La Miocardite Imita la Cardiomiopatia Aritmogenica del ... · (A) Elettrocardiogramma in 12...

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1 INDICE : La Miocardite Imita la Cardiomiopatia Aritmogenica del Ventricolo Destro, pag. 1-4; Grave Insufficienza Mitralica Asintomatica: terapia medica o chirurga? pag 5-9; Miglioramento della funzionalità regionale dopo trapianto di cellule staminali autologhe in pazienti con infarto acuto del miocardio; Biforcazione coronarica: applicazione della tecnica “crushing” usando stent a rilascio di sirolimus; Efficacia di Cilostazolo dopo terapia endo-vascolare per arteriopatia femoro-poplite, pag. 10-20; Proviamo ad applicare la lezione di Keynes anche alla bioetica pag. 21; Un vivace contradditorio con una lettrice, pag. 22-25. INDICE : : INDICE La Miocardite Imita la Cardiomiopatia Aritmogenica del Ventricolo Destro (1) Diagnosi differenziale con biopsia endomiocardica guidata dalla mappatura elettro-anatomico tridimensionale Figure 1 Reperti non invasivi ed invasivi in un paziente con diagnosi istologica di miocardite (A) Elettrocardiogramma in 12 derivazioni che mostra onde T negative da V 1 a V 4 e frequenti battiti ventricolari prematuri, isolati trigemini e in triplette, con morfologia di

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I N D I C E : La Miocardite Imita la Cardiomiopatia Aritmogenica del Ventricolo Destro, pag. 1-4; Grave Insufficienza Mitralica Asintomatica: terapia medica o chirurga? pag 5-9; Miglioramento della funzionalità regionale dopo trapianto di cellule staminali autologhe in pazienti con infarto acuto del miocardio; Biforcazione coronarica: applicazione della tecnica “crushing” usando stent a rilascio di sirolimus; Efficacia di Cilostazolo dopo terapia endo-vascolare per arteriopatia femoro-poplite, pag. 10-20; Proviamo ad applicare la lezione di Keynes anche alla bioetica pag. 21; Un vivace contradditorio con una lettrice, pag. 22-25.

I N D I C E :: I N D I C E

La Miocardite Imita la Cardiomiopatia Aritmogenica del Ventricolo Destro (1)

Diagnosi differenziale con biopsia endomiocardica guidata dalla mappatura elettro-anatomico tridimensionale

Figure 1 Reperti non invasivi ed invasivi in un paziente con diagnosi istologica di miocardite

(A) Elettrocardiogramma in 12 derivazioni che mostra onde T negative da V1 a V4 e frequenti battiti ventricolari prematuri, isolati trigemini e in triplette, con morfologia di

blocco di branca sinistra e asse inferiore. (B) Elettrocardiogramma in 12 derivazioni che mostra tachicardia ventricolare sostenuta con morfologia di blocco di branca sinistra. Angiografia del ventricolo destro in proiezione obliqua anteriore destra (30°) (C) e mappa di voltaggio bipolare (D) che mostrano un ventricolo destro moderatamente ingrandito e ipocinetico con ectasia della parete libera e del tratto di efflusso ed un area estesa di basso voltaggio (rosso = voltaggio <0.5 mV) della parete libera che si estende dal segmento postero-laterale a quello antero-laterale e al tratto di efflusso. La freccia indica l’area dove furono prelevate le biopsie endomiocardiche (EMBs). (E) Biopsia ventricolare destra mostra diffusi infiltrati infiammatori associati con la necrosi dei miociti adiacenti; reperto concordante con la diagnosi di miocardite attiva. (ematossilina ed eosina, ingrandimentox100).

Figure 2 Reperti non invasivi ed invasivi in un paziente con diagnosi di Cardiomiopatia Aritmogenica Ventricolare Destra

(A) Elettrocardiogramma in 12 derivazioni che mostra onde T negative da V1 a V3 e frequenti battiti ventricolari prematuri, bigemini, con morfologia di blocco di branca sinistra e asse inferiore.. (B) Elettrocardiogramma in 12 derivazioni mostra una fibrillazione ventricolare indotta durante stimolazione ventricolare programmata. Angiografia del ventricolo destro in proiezione obliqua anteriore destra (30°) (C) e mappa di voltaggio bipolare (D) che mostrano un ventricolo destro moderatamente ingrandito e ipocinetico con trabecolazione aumentata della parete diaframmatica e libera ed ectasia del segmento infundibolare. La mappa elettroanatomica mostra una estesa area di basso voltaggio (rosso = voltaggio <0.5 mV) della parete libera che si estende dal segmento inferobasale al tratto di eflusso e segmenti infundibolari. La freccia indica l’area dove furono prelevate le biopsie endomiocardiche (EMBs). (E) Biopsia ventricolare destra mostra estesa atrofia miocardica sostituita con tessuto fibroadiposo coerente con la diagnosi of cardiomiopatia aritmogenica ventricolare destra (ARVC). (tricromica di Masson, ingrandimento dell’originale x5).

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Commento

La cardiomiopatia aritmogenica ventricolare destra è una malattia del muscolo cardiaco caratterizzata da atrofia e sostituzione fibroadiposa del miocardio ventricolare destro, che provoca anormalità morfofunzionali ed instabilità elettrica del ventricolo destro (2,3). La malattia è causa frequente di aritmie ventricolari pericolose per la vita in persone giovani, e le forme nascoste possono essere alla base di morte improvvisa

in persone con un cuore apparentemente normale, inclusi gli atleti (4,5).

In 30 pazienti consecutivi (17 maschi, età media 43 ± 17 anni) con una diagnosi non invasiva di cardiomiopatia aritmogenica ventricolare destra secondo i criteri correnti fu valutato il contributo diagnostico e le implicazioni terapeutiche e prognostiche della biopsia endomiocardica guidata dal mappaggio elettroanatomico tridimensionale. Il 97% dei 30 pazienti presentavano una mappa con voltaggio anormale (zone in rosso nelle figure 1 e 2). L’esame istologico ed immunoistochimico confermò la diagnosi di cardiomiopatia aritmogenica ventricolare destra in 15 pazienti, e dimostrava miocardite attiva secondo i criteri di Dallas nei restanti 15 pazienti. I due gruppi non erano distinguibili sulla base delle caratteristiche cliniche, presenza e gravità delle anormalità strutturali e funzionali del ventricolo destro e conclusioni del mappaggio elettro-anatomico tridimensionale. Un cardioverter-defibrillatore è stato impiantato su indicazione clinica (rischio di morte improvvisa) in 13 pazienti con cardiomiopatia aritmogenica ventricolare destra e solo in 1 paziente con miocardite. In un follow-up medio di 21 ± 8 mesi, 7 (47%) pazienti con cardiomiopatia aritmogenica ventricolare destra ripresentarono una aritmia ventricolare sostenuta sintomatica interrotta dall’intervento appropriato del defibrillatore in tutti i casi. Tutti i pazienti con miocardite rimasero invece asintomatici e liberi da eventi aritmici (fig.3).

Figura 3 Analisi Kaplan-Meier di Sopravvivenza Libera da Eventi Aritmici sulla base dei Risultati Istologici

Gli eventi aritmici furono definiti come aritmia ventricolare sostenuta sintomatica e/o shocks appropriati del defibrillatore impiantabile. Linea

3

solida = cardiomiopatia aritmogenica ventricolare destra; linea tratteggiata = miocardite. Log-rank p = 0.003.

Il riconoscimento della cardiomiopatia aritmogenica ventricolare destra presenta implicazioni terapeutiche e prognostiche rilevanti sia per i pazienti che per i loro famigliari, essendo causa di aritmie ventricolari e morte improvvisa nei giovani (4,5). La miocardite del ventricolo destro può simulare la cardiomiopatia aritmogenica ventricolare destra in una elevata percentuale di pazienti e le tecniche diagnostiche non invasive non permettono una diagnosi differenziale sicura, sopratutto in casi sporadici. Tuttavia la diagnosi con tecniche non invasive rimane ancora difficile e rappresenta un importante problema clinico per i medici. L’impiego della nuova tecnica del mappaggio elettro-anatomico tridimensionale ha consentito agli Autori per la prima volta di eseguire, senza importanti complicazioni, le biopsie endomiocardiche da regioni selezionate della parete del ventricolo destro caratterizzate dai voltaggi anormali e modificando significativamente la prima diagnosi e orientando in modo decisivo la successiva terapia.

Bibliografia

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Segretario Scientifico: Dott. Gabriele Dell’Era ‐ [email protected] 

 

 

Il trattamento di pazienti con grave insufficienza mitralica è cambiato radicalmente nei passati 20 anni. Tale cambiamento è principalmente attribuibile a 3 fattori. Primo. I miglioramenti significativi delle tecniche operatorie hanno permesso di ottenere risultati prevedibili e durevoli dopo la riparazione della valvola. Nella pratica attuale, in più del 95% di pazienti con insufficienza mitralica pura causata da malattia degenerativa si esegue la riparazione della valvola piuttosto che la sostituzione valvolare protesica; con i metodi moderni semplificati di riparazione dei lembi valvolari e dell'anuloplastica, il rischio di re-intervento dopo riparazione non è maggiore di quello dopo sostituzione della valvola mitralica.1 Il secondo importante cambiamento nella malattia della valvola mitralica riguarda la variazione della fisiopatologia del rigurgito valvolare. Nella pratica corrente, circa l'80% di pazienti sottoposti ad operazioni della valvola mitralica presentano solo

rigurgito valvolare invece che stenosi valvolare o insufficienza e stenosi combinate, e la causa più frequente è la malattia degenerativa o mixomatosa; mentre risulta essere in declino la frequenza della malattia post-infiammatoria in molte regioni del mondo. Il terzo importante cambiamento nel trattamento di pazienti con malattia della valvola mitralica è costituito dalla migliore conoscenza della storia naturale della insufficienza mitralica, resa possibile sia dagli studi dettagliati sulla storia naturale della malattia sia dai miglioramenti tecnologici della ecocardiografia bi-dimensionale e Doppler.2–4

Prima del 1990, la maggior parte dei clinici considerava l'insufficienza mitralica come una condizione relativamente benigna, e l'intervento chirurgico era riservato per i pazienti che fossero gravemente sintomatici o quelli nei quali il trattamento medico risultasse inefficace.5,6 La riluttanza a procedere con l'operazione era correlata alla elevata probabilità di una sostituzione di valvolare protesica ed alla convinzione che i pazienti asintomatici con grave rigurgito valvolare costituissero un gruppo stabile compensato con un rischio trascurabile di serie complicazioni, compresa la morte improvvisa. Nel 1996, Ling e collaboratori 7 descrissero l'esito a distanza di 229 pazienti con i lembi fluttuanti della valvola mitralica, un reperto ecocardiografico che è quasi sempre associato con grave rigurgito valvolare. In questo studio osservazionale, 45 pazienti

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o eseguito era un fattore predittivo indipendente di migliorata

pravvivenza in un follow-up di 5 anni

grave rigurgito mitralico calcolato con

'anatomia funzionale dalla

ssione arteriosa polmonare calcolata con il Doppler >50 mm Hg, o fibrillazione atriale.

(20%) morirono sotto trattamento medico; 31 dei 45 morti (69%) furono dovuti a cause cardiache. La sopravvivenza attuariale dei pazienti con rigurgito valvolare era

significativamente minore di quella di una coorte di controllo confrontabile per età e sesso benché la chirurgia correttiva non fosse stata interrotta. Invece, i clinici

trattavano i pazienti secondo una pratica standard, che, nella maggior parte dei casi ricorreva alla correzione del rigurgito valvolare dopo che l'osservazione o la terapia medica avevano fallito. La presenza di gravi sintomi al momento della diagnosi di rigurgito valvolare fu il principale fattore predittivo di morte a breve termine, tuttavia la mortalità annuale fu di ben il 4.1% in pazienti che erano in classe I o II della New York Heart Association, e più di un terzo di tutte le morti cardiache si sono verificate in pazienti che non ebbero sintomi pregressi di classe III o IV. Importante il risultato dell'analisi multivariata che metteva in evidenza come l'intervento chirurgico in qualunque tempsopravvivenza. In una ulteriore analisi, 221 pazienti con i lembi fluttuanti della valvola mitralica furono stratificati in base al tempo dell'intervento chirurgico.8 I pazienti che furono sottoposti alla riparazione chirurgica della valvola mitralica entro 1 mese dalla diagnosi presentarono un miglioramento complessivo della sopravvivenza confrontati con quelli sottoposti al trattamento convenzionale (sopravvivenza a 10 anni, 79% verso 65%; P=0.028). L'effetto benefico della chirurgia precoce è risultato essere evidente in pazienti asintomatici, in quelli poco sintomatici e in quelli con scompenso cardiaco.Fra i pazienti asintomatici con grave rigurgito valvolare, (volume rigurgitante medio, 66±40 mL per battito; area media effettiva dell'orificio rigurgitante, 40±27 mm2) il rischio di morte stimato a 5 anni è risultato del 22%, e il rischio di ogni evento cardiaco (morte da cause cardiache, scompenso cardiaco, o nuova fibrillazione atriale) fu del 33%9. All'analisi multivariata, quei pazienti con un orificio di almeno 40 mm2 avevano un aumentato rischio di morte da qualunque causa (rapporto aggiustato di rischio, 2.90; P<0.01), morte da cause cardiache (rapporto aggiustato di rischio, 5.21; P<0.01), e di eventi cardiaci (rapporto aggiustato di rischio, 5.66; P<0.01). La correzione chirurgica del rigurgito valvolare, eseguito in 232 pazienti, era indipendentemente associata con migliorata so(rapporto aggiustato di rischio, 0.28; P<0.01).

In questo dibattito sul trattamento di pazienti asintomatici con grave rigurgito mitralico, sono molto importanti i recentissimi dati di Kang e coll 10. In uno studio clinico prospettico, 447 pazienti presentavano l'ecocardiografia Doppler quantitativa (Fig. 1). L’entità del rigurgito mitralico è stato graduato come lieve (raggio PISA <4 mm), moderato (raggio PISA <8 mm), o grave (raggio PISA 8 mm).12 La grave insufficienza mitralica degenerativa è stata definita come grave prolasso e/o lembi mitralici fluttuanti con un raggio PISA 8 mm. L’ecocardiografia trans-esofagea è stata utilizzata in 345 pazienti (77%) per valutare in dettaglio lvalvola mitralica e la fattibilità della riparazione chirurgica. Dei 447 pazienti, 161 pazienti furono operati entro 6 mesi dalla prima valutazione

(chirurgia precoce). I pazienti rimanenti furono trattati secondo il così detto modo convenzionale, cioè furono inviati al chirurgo per la correzione quelli che presentavano dispnea da sforzo, disfunzione ventricolare (frazione di eiezione ventricolare sinistra

<60%, dimensione tele-sistolica ventricolare sinistra >45 mm), pre

 

 

 

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Figura 1. Entità del rigurgito mit o con l'ecocardiografia Doppler 

fu calcolata dividendo  la 11

e 22

zione. Soltanto in 2 dei 151 pazienti fu necessario il re-intervento durante il follow-up.

 

ralico calcolatquantitativa 

Didascalia  figura 1: Grave  insufficienza mitralica degenerativa.  In A e B,  le  immagini mostrano grave prolasso della valvola mitralica con grave rigurgito valvolare.  Con il metodo PISA semplificato è calcolata l’area della superficie prossimale a velocità uniforme del getto di  rigurgito. L’ area effettiva dell’orificio  rigurgitante  (ERO) velocità del flusso rigurgitante per il picco della velocità di rigurgito.   

Durante il follow-up mediano di 5 anni, non vi furono morti cardiache fra i pazienti sottoposti ad intervento chirurgico precoce, e 2 pazienti furono rioperati. Tra i pazienti trattati nel modo convenzionale, vi furono 12 morti cardiache, 1 fu rioperato,ricoverati in ospedale per il trattamento di uno scompenso cardiaco congestivo.

Per le 127 coppie confrontabili, la sopravvivenza attuariale a 7 anni libera da eventi

(fig.2) risultò essere significativamente più elevata nel gruppo della chirurgia precoce rispetto a quella dei pazienti trattati con il metodo convenzionale (99% verso 85%; P=0.007). Tra i pazienti operati precocemente, la riparazione della valvola fu conseguita nel 94%, e non vi furono morti precoci durante la riparazione o la sostitu

 

 

Figura 2 Sopravvivenza Attuariale a 7 Aanni Libera da Eventi  

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o degli operati 

alità cardiaca uò contare di più dei rischi potenziali correlati all’intervento chirurgico.

tation due to flail leaflets: a long-term outcome study. Circulation. 1997; 96: 1819–1825.

Figura 2. Confronto delle frequenze di sopravvivenza libera da eventi tra il grupp(OP) e quello del trattamento convenzionale (CONV) in 127 coppie confrontabili.  

Benché il rischio di morte cardiaca improvvisa sia molto basso nei pazienti con insufficienza mitralica degenerativa,13 la presenza di lembi fluttuanti era associata con un rischio più elevato di morte cardiaca improvvisa. La frequenza annuale di morte improvvisa in pazienti asintomatici con lembi mitralici fluttuanti e preservata funzione sistolica del ventricolo sinistro è stata dimostrata essere dello 0.8%.14 Ciò fa ritenere che la chirurgia precoce possa essere più efficace del trattamento convenzionale nella prevenzione della morte cardiaca improvvisa.15,16 Poiché la riparazione elettiva della insufficienza mitralica è associata con una frequenza di mortalità operatoria molto bassa,17 il beneficio della chirurgia precoce nella prevenzione della mortp

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Introduzione L’insufficienza cardiaca costituisce, nelle società avanzate, una delle principali

cause di mortalità, morbilità ed ospedalizzazioni, tanto da essere considerata una vera e propria epidemia (1); nonostante i notevoli progressi nel campo della terapia farmacologica compiuti negli ultimi decenni, i tassi di morbilità e di mortalità rimangono, a tutt’oggi, piuttosto elevati (2).

In tale contesto, la terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT) mediante stimolazione biventricolare si è affermata come una valida alternativa terapeutica nei pazienti con scompenso cardiaco refrattario e dissincronia ventricolare. Numerosi studi hanno infatti dimostrato come la terapia di resincronizzazione cardiaca sia in grado di migliorare la qualità di vita, la capacità funzionale, la morbilità e la mortalità nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra ed aumentata durata del QRS (3-7). In questi studi sono stati inclusi pazienti con:

scompenso cardiaco severo e classe funzionale avanzata (NYHA III-IV) nonostante una terapia farmacologica ottimizzata,

ridotta funzione ventricolare sinistra (FE < 35%), complessi QRS larghi: > 120 ms con disturbo della conduzione

interventricolare. Sulla base di questi criteri di inclusione e dei risultati favorevoli di questi trials

sono state elaborate e pubblicate le attuali linee guida da adottare nella pratica clinica.

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Secondo le recenti linee guida europee (8), la terapia di resincronizzazione cardiaca mediante stimolazione biventricolare è indicata in caso di pazienti con scompenso cardiaco in classe funzionale III o IV nonostante una terapia farmacologia ottimizzata, con frazione di eiezione ≤ 35 %, dilatazione ventricolare sinistra (diametro telediastolico > 55 mm), ritmo sinusale e complessi QRS allargati (≥ 120 msec); (Classe di raccomandazione I, livello di evidenza A).

E’ noto come la terapia di resincronizzazione cardiaca agisca sulla dissincronia meccanica cardiaca mediante una sorta di “reverse remodeling” del ventricolo sinistro. Questo effetto potrebbe prevenire o quanto meno rallentare la naturale progressione dello scompenso cardiaco anche nei pazienti paucisintomatici.

Lo studio REVERSE (REsynchronization reVErses Remodelling in Systolic left vEntricular dysfunction-REVERSE) è stato avviato proprio allo scopo di determinare gli effetti della terapia di resincronizzazione cardiaca nei pazienti in classe funzionale NYHA I e II, ridotta frazione di eiezione del ventricolo sinistro e QRS largo (9).

Metodi 

In questo trial multicentrico (sono stati coinvolti 73 centri: 38 nordamericani e 35 europei), randomizzato ed in doppio cieco sono stati arruolati pazienti in classe funzionale NYHA I (ma che in precedenza avevano manifestato sintomi di scompenso cardiaco) o in classe funzionale NYHA II, con ridotta frazione di eiezione del ventricolo sinistro (FE ≤ 40%), in ritmo sinusale con durata del QRS ≥ 120 msec e con diametro telediastolico ventricolare sinistro ≥ 55 mm. Tutti i pazienti erano in terapia farmacologica ottimale.

Erano esclusi i pazienti che negli ultimi 3 mesi si erano presentati in classe funzionale NYHA III-IV (con o senza necessità di ospedalizzazione), con indicazione convenzionale al pacing cardiaco ed i soggetti con fibrillazione atriale persistente o permanente.

I pazienti arruolati venivano valutati mediante questionario sulla qualità di vita, test del cammino di 6 minuti, ECG a 12 derivazioni ed ecocardiogramma. Dopo la valutazione iniziale, i pazienti venivano sottoposti ad impianto di dispositivo biventricolare pacemaker o defibrillatore impiantabile (PM o ICD) e quindi randomizzati con un rapporto 2:1 a terapia di resincronizzazione cardiaca attiva (CRT-ON) o a terapia di resincronizzazione cardiaca non attiva (CRT-OFF). Le valutazioni effettuate all’arruolamento venivano poi ripetute a 1, 3, 6 e 12 mesi.

Al termine dei previsti 12 mesi, in tutti i pazienti arruolati nei centri nordamericani veniva attivata la stimolazione biventricolare; mentre in quelli arruolati nei centri europei era previsto un ulteriore periodo di 12 mesi con il dispositivo programmato come da randomizzazione.

End point primario era un end point composito che comprendeva la morbilità e le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, la mortalità, la classe funzionale NYHA e la qualità di vita. I pazienti, in base a questo end point, venivano classificati in 3 gruppi: il gruppo che durante il follow-up presentava un miglioramento, il gruppo che peggiorava ed infine il gruppo le cui condizioni

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rimanevano invariate. End point secondario era la variazione del volume telesistolico ventricolare sinistro indicizzato (LVESVI).

Risultati

Sono stati arruolati 610 pazienti: 419 randomizzati a CRT-ON e 191 a CRT-OFF. Le caratteristiche cliniche risultavano sovrapponibili nei due gruppi; in particolare la frazione di eiezione media del ventricolo sinistro era del 26 ± 7%, la durata del QRS risultava in media 153 ± 22 msec; un defibrillatore biventricolare è stato impiantato nel 83% dei casi ed un pacemaker biventricolare nel rimanente 17%. L’eziologia della cardiomiopatia era ischemica nel 51% dei soggetti randomizzati a CRT-OFF e nel 56% del gruppo CRT-ON. Circa l’82% dei pazienti arruolati era in classe funzionale NYHA II. Da notare l’elevata percentuale di successo della procedura di impianto risultata, in questo studio, del 97% con una percentuale di complicanze peri-procedurali piuttosto bassa (4%); più elevata invece la percentuale di complicanze correlate alla procedura ad un anno di follow-up (16%) rappresentate per lo più da dislocazione degli elettrocateteri (prevalentemente il catetere ventricolare sinistro) e dalla stimolazione diaframmatica.

Ad un anno di follow-up, non è stata osservata nessuna differenza statisticamente significativa per quanto riguardava l’end point primario: dei 419 pazienti randomizzati a CRT-ON il 16% peggiorava vs il 21% dei 191 pazienti randomizzati a CRT-OFF, (P=0.10).

Per quanto riguardava l’end point secondario, invece, è stata osservata una significativa riduzione del volume telesistolico ventricolare sinistro indicizzato nei soggetti randomizzati a CRT-ON rispetto a quelli randomizzati a CRT-OFF (rispettivamente – 18.4 ± 29.5 ml/m2 vs –1.3 ± 23.4 ml/m2; P < 0.0001); la riduzione del volume telesistolico ventricolare sinistro indicizzato era di 3 volte superiore nei pazienti con eziologia non ischemica della cardiomiopatia rispetto a quelli con eziologia ischemica (rispettivamente – 29.8 ± 30.5 vs –9.5 ± 25.5 ml/m2 ) ma sovrapponibile nei pazienti in classe funzionale NYHA I e II. Anche il volume telediastolico indicizzato e la frazione di eiezione del ventricolo sinistro miglioravano significativamente nei pazienti con CRT-ON. Al contrario, la qualità di vita e la distanza percorsa al test del cammino risultavano sovrapponibili nei due gruppi; così come non sono state rilevate differenze statisticamente significative per quanto riguardava la mortalità e le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco. Solo il tempo intercorso tra la randomizzazione e la prima ospedalizzazione per insufficienza cardiaca risultava significativamente maggiore nel gruppo CRT-ON.

Gli Autori hanno anche osservato una certa riduzione dell’incidenza di aritmie ventricolari gravi, documentate all’interrogazione telemetrica del dispositivo, nei pazienti randomizzati alla terapia di resincronizzazione cardiaca attiva (P = 0.09).

Gli effetti della terapia di resincronizzazione cardiaca sull’end point primario sono stati poi analizzati nei vari sottogruppi (Fig. 1); e quì i risultati sono più incoraggianti (vedi odd ratio): i soggetti che traevano maggior beneficio dalla terapia di resincronizzazione cardiaca erano più giovani, con eziologia non ischemica della cardiomiopatia, con frazione di eiezione ventricolare sinistra più compromessa, con QRS più slargati, quelli in terapia con beta-bloccante e

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quelli, come prevedibile, in cui era stato effettuato il concomitante impiantato di un defibrillatore impiantabile (ICD).

L’odd ratio globale dello studio è stato di 0.70 a favore della CRT-ON. Durante il follow-up, sono stati osservati 6 crossover nel gruppo CRT-ON (di

questi, in due casi per peggioramento dello scompenso cardiaco) e 14 nel gruppo CRT-OFF (di questi, in ben 13 casi per l’aggravarsi dell’insufficienza cardiaca)

Conclusioni

Gli Autori concludono che la terapia di resincronizzazione cardiaca associata ad una terapia farmacologica ottimale (ed in questo studio è sicuramente tale) riduce il rischio di ospedalizzazioni per scompenso cardiaco e determina una sorta di rimodellamento inverso anche nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra in classe funzionale NYHA II o I e pregressi sintomi di scompenso cardiaco.

Commento

Come già avvenuto per altri trials che hanno valutato il ruolo, ad esempio, del defibrillatore automatico impiantabile nella prevenzione primaria della morte improvvisa, i risultati di questo studio sembrano destinati a lasciare il segno anche se i risultati sull’end point primario possono, ad una prima valutazione, sembrare deludenti.

Se si analizzano approfonditamente i dati, però si può desumere che i risultati non proprio entusiasmanti siano legati principalmente all’“affollamento” dell’end point primario che comprendeva, come già detto sopra, la morbilità e le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, la mortalità, la classe funzionale NYHA e la qualità di vita.

In realtà si tratta di un trial con i gruppi bene assortiti per il confronto; da rilevare anche come in questo studio la terapia farmacologica fosse assolutamente ottimale: circa il 95% dei pazienti era in terapia con beta-bloccante (tra le percentuali più elevate negli studi condotti su pazienti con disfunzione ventricolare sinistra) e circa il 97% con ace-inibitori o antagonisti dei recettori dell’angiotensina II.

Lo studio dimostra come la terapia di resincronizzazione cardiaca migliori la struttura e la funzione del ventricolo sinistro nei soggetti asintomatici o paucisintomatici; questo è un risultato sicuramente importante se si considera che il rimodellamento ventricolare, a differenza dell’eventuale miglioramento clinico, è stato osservato correlare ad una migliore sopravivenza (10); inoltre, la terapia di resincronizzazione cardiaca riduceva del 53% il rischio relativo di ospedalizzazione per scompenso cardiaco; il fatto che in questo trial la terapia di resincronizzazione cardiaca non apportasse significativi benefici in termini di qualità di vita e di capacità funzionale non deve poi sorprendere data la relativa asintomaticità della popolazione arruolata.

Non si può neanche escludere che il mancato miglioramento sull’end-point primario sia correlato al follow-up relativamente breve; in tale contesto, dati più incoraggianti potrebbero emergere dai risultati del follow-up a 24 mesi previsto nei centri europei.

Nel nostro centro, a partire dal novembre 1999, su di un totale di 220 pazienti impiantati con dispositivi biventricolari (PM o ICD) 41 pazienti erano in classe funzionale NYHA II e 8 in classe funzionale NYHA I. Nella nostra popolazione è stato osservato un significativo miglioramento della frazione di eiezione ventricolare sinistra: da un valore medio basale di 25.1 ± 7.7 % ad un valore medio di 33.6 ± 11.9 % ( P = 0.0005) al follow-up a 6 mesi.

Probabilmente la parola definitiva sull’utilità della terapia di resincronizzazione cardiaca in termini di morbilità e mortatilità nei pazienti ancora paucisintomatici la diranno i risultati del follow-up a 24 mesi del REVERSE ed i risultati degli studi attualmente in corso RAFT (Resynchronization/defibrillation for Ambulatory heart Failure Trial) e MADIT CRT (Multicenter Automatic Defibrillator Implantation Trial-Cardiac Resynchronization Therapy) (11,12).

Tuttavia, indipendentemente dai risultati che emergeranno, bisognerà pur sempre tenere ben presente le complicanze potenzialmente pericolose (perforazione o dissezione del seno coronarico, infezioni, stimolazione diaframmatica, ecc.) correlate all’impianto di un dispositivo biventricolare ed analizzare attentamente il rapporto rischio beneficio e l’impatto economico di tali procedure.

Dr.ssa Miriam Bortnik Divisione Clinicizzata di Cardiologia. Facoltà di Medicina e Chirurgia Università del Piemonte Orientale, Novara. e-mail: [email protected]

N. 1

Miglioramento  della  funzionalità  regionale  dopo  trapianto  di  cellule staminali autologhe in pazienti con infarto acuto del miocardio 

Obiettivi dello studio: l’obiettivo dello studio è stato valutare il trattamento con cellule progenitrici derivate dal midollo osseo (BMPCs) dopo la terapia riperfusiva per infarto miocardico acuto (IMA)

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15

Ipotesi: la somministrazione di cellule progenitrici derivate dal midollo osseo potrebbe essere più efficace nel miglioramento della funzionalità miocardica regionale

Metodi: I pazienti con infarto miocardico acuto sono stati randomizzati a ricevere infusione intracoronarica di cellule staminali del midollo osseo prelevate dalla cresta iliaca (n=33) o a placebo (n = 34). Endpoint primario: funzione regionale del miocardico definite dagli indici di tensione (strain) derivati dalla velocità. Endpoint secondario:cambiamenti nella frazione d’eiezione. Popolazione: pazienti con infarto miocardico acuto da più di due ore dall’insorgenza dei sintomi e almeno 6 mm complessivi di sopraslivellamento del tratto ST, sottoposti a terapia di riperfusione con impianto di stent. Criteri di esclusione: pregresso infarto miocardico acuto

Principali risultati: complessivamente sono stati randomizzati 67 pazienti. Non c’erano differenze nelle caratteristiche basali delle popolazione dei due gruppi. L’età media era 55 anni, il 18% erano donne, l’indice di massa corporea media era 26 kg/m2 e la coronaria sinistra discendente anteriore era l’arteria responsabile dell’infarto nel 64% dei pazienti, la pressione sistolica media era di 134 mmHg e l’intervento di riperfusione coronarica avveniva entro una media di 3.7 ore.

A 4 mesi di follow-up, il miglioramento della tensione (strain) tele-sistolica è stato di -8.2% ± 7.2% nel gruppo dei pazienti trattati con cellule progenitrici derivate dal midollo osseo e di -4.7% ± 8.3% nei pazienti trattati con placebo (effetto del trattamento vs placebo -3.7% ± 1.0%, p = 0.0003). La velocità di tensione (strain) al picco sistolico era migliorata nel gruppo dei pazienti trattati con cellule progenitrici derivate dal midollo osseo (effetto del trattamento -0.20 sec-1 ± 0.07 sec-1, p = 0.0035), e c’è stato un recupero dello spostamento dell’anello valvolare mitralico (effetto del trattamento 0.93 mm ± 0.43 mm, p = 0.034).

La frazione d’eiezione (FE) media era del 56% nel gruppo trattato con cellule progenitrici derivate dal midollo osseo e del 53% nel gruppo placebo. Al follow up di 4 mesi la FE media era aumentata di 3,5% nel gruppo BMPCs rispetto al 5% con placebo (p = 0.84).

A 4 mesi, la pressione arteriosa sistolica era 119 mmHg nel gruppo trattato con cellule progenitrici derivate dal midollo osseo e 131 mmHg nel gruppo placebo (p = 0,0062). Un paziente è morto nel gruppo cellule progenitrici derivate dal midollo osseo a causa di emorragia intra-addominale per eccessiva anticoagulazione.

Interpretazione: l’infusione precoce di cellule progenitrici derivate dal midollo osseo dopo infarto acuto del miocardio migliora la funzione miocardica regionale. Questo è stato dimostrato da un miglioramento della tensione tele-sistolica, della velocità di tensione al picco sistolico e dal recupero dello spostamento della valvola mitralica nei segmenti infartuati. Non c’è stato miglioramento della FE al follow-up.

Questo studio ha dimostrato che l’infusione di cellule progenitrici derivate dal midollo osseo dopo un infarto miocardico acuto migliora alcuni indici della funzione miocardica. Non è noto se i pazienti con peggiore funzione sistolica del ventricolo sinistro al basale possano aver beneficiato di più di questa terapia. Mentre le differenze nei valori della pressione arteriosa possono essere

dovute al caso, è possibile che questo effetto possa derivare dal miglioramento della funzione miocardica regionale. Sono necessari ulteriori studi per determinare se effettivamente l’infusione delle cellule staminali del midollo osseo possa essere in grado di sono in grado di migliorare la prognosi.

Herbots L, D’hooge J, Eroglu E, et al. Improved regional  function after autologous bone marrow­derived stem cell transfer in patients with acute myocardial infarction: a randomized, double­blind strain rate imaging study. Eur Heart J 2008;Dec 23.

N. 2

Biforcazione coronarica: applicazione della tecnica “crushing” usando stent a rilascio di sirolimus (CACTUS) 

Descrizione: l’obiettivo dello studio era di valutare l’uso routinario della tecnica “crush” confrontata con la provisional side-branch T-stenting per il trattamento delle lesioni e livello della biforcazione coronarica

Ipotesi: la tecnica “crush” può essere più efficace nel prevenire restenosi ed evitare eventi cardiaci avversi maggiori (MACE)

Metodi: dopo l’esecuzione dell’angiografia coronarica, i pazienti con lesioni della biforcazione venivano randomizzati alla strategia del doppio stent usando la tecnica “crush” (n=177) o con il posizionamento dello stent a T nel ramo principale con provvisorio stent nel ramo laterale (n = 173).

Nel gruppo trattato con duplice stent, sono necessarie la predilatazione e la dilatazione finale tramite kissing balloon in entrambi i rami. Anche nel gruppo con stent provvisorio va effettuata la dilatazione finale con kissing balloon. Nel ramo laterale veniva provvisoriamente posizionato uno stent con la tecnica a T se residuava più del 50% di stenosi o se si verificavano dissezioni limitanti il flusso. In entrambi i gruppi sono stati utilizzati stent rilascianti sirolimus.

Trattamenti concomitanti:Tutti i pazienti sono stati pretrattati on aspirina o tienopiridinici. E’ stata somministrata eparina non frazionata per raggiungere un tempo di coagulazione di 250-300 secondi. Gli inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa potevano essere usati a discrezione dell’operatore. Dopo la procedura, l’aspirina era raccomandata per il trattamento per tutta la vita, e le tienopiridine sono state somministrate per almeno 6 mesi.

Popolazione: Pazienti di almeno 18 anni con angina stabile, instabile o test ergometrico positivo Stenosi a livello della biforcazione

Disegno dello studio Randomizzato Parallelo Pazienti arruolati: 350 Follow-Up medio: 6 mesi Età media dei pazienti: 65 anni Percentuale di donne: 20% Frazione di eiezione media: 55%

Endopoint primari Restenosi a 6 mesi; MACE: morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico acuto, rivascolarizzazione percutanea a 6 e 12 mesi; riportati solo i dati riferiti al follow up a 6 mesi

Endopoint secondari: Restenosi tardiva dello stent, IMA STEMI o NSTEMI, trombosi dello stent

Popolazione: Pazienti di almeno 18 anni con angina stabile, instabile o test ergometrico positive Stenosi a livello della biforcazione

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Principali risultati: complessivamente sono stati trattati 350 pazienti. Con l’eccezione dell’ipertensione non c’erano differenze nelle caratteristiche

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demografiche e angiografiche della popolazione in esame. Nel gruppo trattato con duplice stent, l’età media era di 65% e il 20% dei pazienti era di sesso femminile, il 71% dei partecipanti era iperteso (80% nel gruppo trattato con stent provvisorio, p=0,05), e la frazione di eiezione media era 55%. La localizzazione della lesione alla biforcazione era la discendente anteriore/diagonale nel 74%, circonflesso/ramo marginale nel 19%, coronaria destra/ramo discendente posteriore nel 7%. L'inibitore delle glicoproteine IIb/IIIa è stato usato nel 23% pazienti trattati con duplice stent e nel 17% del gruppo trattato con stent provvisorio.

Il successo angiografico è stato ottenuto nel 98.9% dei pazienti trattati con duplice stent e nel 97.7% dei pazienti trattati con stent provvisorio. Lo stent provvisorio veniva applicato, nel ramo laterale nel 31% dei pazienti (generalmente per residua stenosi del ramo laterale nel 72% dei casi). La dilatazione finale con kissing balloon non è stata eseguita nel 7,9% dei pazienti trattati con duplice stent, rispetto al 9,8% dei pazienti trattati con stent provvisorio. Approssimativamente nella metà dei casi, non è stata effettuata per incapacità a ri-attraversare con la guida o il pallone. Nei restanti casi, non è stata effettuata per scelta dell’operatore.

Al follow up di 6 mesi, gli eventi avversi maggiori (MACE: morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico acuto, rivascolarizzazione percutanea) si sono verificati nel 15,8% dei pazienti trattati con duplice stent e nel 15% dei pazienti trattati con stent provvisorio (p=0,95). Per quanto riguardi l'esito, non si sono verificati casi di morte per cause non cardiache in nessuno dei due gruppi, l’infarto miocardico si è verificato nello 0,5% dei pazienti in entrambi i gruppi e la rivascolarizzazione percutenea dei vasi in esami si è verificata nel 7,9% dei pazienti trattati con duplice stent rispetto al 7,5% dei pazienti trattati con stent provvisorio. La trombosi dello stent a distanza di 6 mesi si è verificato nell’1,7% e nell’1,1% rispettivamente; in entrambi i casi, la dilatazione con kissing balloon ha ridotto l’incidenza di trombosi dello stent o di successive procedure di rivascolarizzazione.

Il controllo angiografico è stato effettuato nell’86% dei pazienti. A distanza di 6 mesi, la restenosi intra-stent del ramo principale si è verificata nel 4,6% vs 6.7%, mentre la restenosi intra-stent del ramo laterale si è verificata nel 13,2% vs 14,7%, rispettivamente per il gruppo trattato con duplice stent rispetto al gruppo trattato con stent provvisorio. In entrambi i gruppi, il kissing balloon finale ha ridotto l’incidenza di infarto miocardico acuto.

Summary slide 

CACTUS

• MACE: 15.8% with double stent vs. 15.0% with provisional stent (p = 0.95)

• Main branch in-segment restenosis: 4.6% vs. 6.7% (p = NS), respectively

18

• Side branch in-segment restenosis: 13.2% vs. 14.7% (p = NS), respectively

Trial design: After coronary angiography, patients with a bifurcation lesion were randomized to double-vessel stenting (n = 177) vs. main-vessel stenting with provisional stenting of the side branch (n = 173). Follow-up was 6 months.

Results

Conclusions• Among patients with a bifurcation lesion, a

complex strategy of double stenting with the “crush” technique is not superior to only stenting the main branch with provisional stenting of the side branch

• Similar MACE and in-segment restenosis between the groups

Colombo A, et al. Circulation 2009;119:71-78

(p = 0.95) (p = NS)

0

9

18

MACE main branch restenosis

Double-vessel stenting

Provisional side-branch stenting

CV death, MI, TVR Main vessel restenosis

4.66.7

15.8 15.0

%

  Interpretazione 

Fra i pazienti con vera lesione a livello della biforcazione, la più complessa strategia di duplice stent con la tecnica “crush” non è superiore alla più semplice tecnica che prevede il posizionamento dello stent nel ramo principale con provvisorio stent sul ramo laterale. Un secondo stent è stato necessario nel 31% dei casi nel gruppo con stent provvisorio; tuttavia, questo era soprattutto richiesto nei casi con stenosi residua di almeno il 50%. L’incidenza di eventi cardiaci avversi maggiori e di restenosi intrastent a distanza di 6 mesi era simile in entrambi i gruppi. In entrambi i gruppi, l’ulteriore dilatazione con kissing balloon ha ridotto l’incidenza di eventi cardiaci avversi maggiori e restenosi

Le biforcazioni coronariche restano lesioni difficili da trattare. Lo studio CACTUS concorda con gli altri studi che non sono riusciti a dimostrare la superiorità della complessa procedura di duplice stentino. Mentre lo stent del ramo principale con stent provvisorio nel ramo laterale sembra essere il trattamento in prima istanza per la maggior parte delle lesioni, la doppia procedura può essere preferita a seconda delle caratteristiche della lesione.

Colombo A, Bramucci E, Saccà S, et al. Randomized Study of the Crush Technique Versus Provisional  Side­Branch  Stenting  in True  Coronary Bifurcations. The  CACTUS (Coronary Bifurcations: Application of the Crushing Technique Using Sirolimus­Eluting Stents) Study. Circulation 2009;119:71­8. 

 

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N. 3 

Efficacia di Cilostazolo dopo terapia endo­vascolare per arteriopatia femoro­poplitea in pazienti con Claudicatio Intermittens 

Descrizione Lo scopo dello studio è stato di valutare il trattamento con cilostazolo a confronto con trattamento di controllo in pazienti con claudicatio sottoposti a terapia endovascolare per arteriopatia femoro-poplitea.

Ipotesi Il cilostazolo dovrebbe essere più efficace nel prevenire la rivascolarizzazione della lesione target.

Popolazione dello studio: Pazienti di età 18-80 anni con claudicatio intermittens per arteriopatia femoropoplitea che dovevano essere sottoposti a terapia endovascolare. Indice caviglia-braccio ≤0.9. Percentuale di stenosi almeno del 50%

Farmaci/procedure utilizzati Pazienti con claudicatio intermittens a causa di arteriopatia femoro-poplitea trattati con terapia endovascolare sono stati randomizzati a cilostazolo (n=39) versus controllo (n=39).

Farmaci concomitanti Tutti i pazienti erano trattati con aspirina (81-100 mg/die) e ticlopidina (200mg/die) prima della randomizzazione. La ticlopidina è stata sospesa nei pazienti trattati con angioplastica con solo Pallone, mentre è stata continuata per 4 settimane nei pazienti che avevano ricevuto uno stent. I pazienti hanno ricevuto eparina non frazionata intraprocedurale (3000-5000 U) per ottenere un tempo di coagulazione attivata (ACT) maggiore di 200 secondi.

Risultati principali: Complessivamente, sono stati randomizzati 78 pazienti. Nel gruppo del cilostazolo, l’età media dei partecipanti era 70 anni, e il 21% erano donne. Il successo della procedura è stato ottenuto nel 97%, Sono stati utilizzati stent nel 41% del gruppo di cilostazolo e nel 51% del gruppo di controllo. Nel gruppo del cilostazolo la lunghezza media della lesione era 121mm, la stenosi percentuale della lesione era 79% e il diametro medio di riferimento del vaso era 4,8mm, mentre un’occlusione cronica totale è stata osservata nel 26%. Non c’erano differenze nelle caratteristiche basali o procedurali tra i gruppi. Nel gruppo del cilostazolo c’è stata una compliance al farmaco del 90%.

L’outcome primario, cioè la libertà da rivascolarizzazione del vaso target, si è verificato nell’84,6% del gruppo del cilostazolo, contro il 62,2% del gruppo di controllo (p=0,038). Restenosi binaria si è verificata nel 43,6% contro il 70,3% (p=0,02), e la libertà da eventi cardiaci avversi maggiori si è verificata nel 79,5% contro il 48,7% (p=0,006), rispettivamente, per cilostazolo verso controllo.

Per gli outcome individuali: il numero delle morti è stato di 1 contro2, il numero di infarti miocardici non fatali è stato 0 contro 0, il numero di ictus è stato 0 contro 1, il numero di amputazioni della gamba è stato 0 contro 0, e il numero dei sanguinamenti maggiori è stato 0 contro 0, rispettivamente per il cilostazolo contro il controllo. Al follow-up l’indice caviglia-bracco era 0,72 nel gruppo del cilostazolo contro 0,81 nel gruppo di controllo (p=0,046).

 

Efficacy of Cilostazol After Endovascular Therapy for Femoropopliteal Disease

• Freedom from target vessel revascularization: 84.6% with cilostazol vs. 62.2% with control (p = 0.038)

• Freedom from major adverse cardiac events: 79.5% vs. 48.7% (p = 0.006), respectively

• Binary restenosis: 43.6% vs. 70.3% (p = 0.02), respectively

Trial design: Patients with intermittent claudication were randomized to cilostazol (n = 39) vs. control (n = 39). Follow-up was 2 years.

Results

Conclusions• Among patients with claudication due to

femoropopliteal disease who underwent endovascular therapy, cilostazol improved freedom from target vessel revascularization and reduced major adverse cardiac events

• This therapy will need to be evaluated in larger placebo-controlled trials

Soga Y, et al. J Am Coll Cardiol 2008;53:48-53

(p = 0.038)

0

45

90

Freedom from TVR

Cilostazol Control

Freedom from target vessel revascularization

%

84.6

62.2

 Interpretazione 

Tra i pazienti con claudicatio intermittens per arteriopatia femoro-poplitea sottoposti a terapia endovascolare (angioplastica con pallone o impianto di stent secondo la decisione dell’operatore) l’uso di cilostazolo era associato a migliorata libertà da rivascolarizzazione del vaso target e libertà da eventi cardiaci avversi maggiori. Anche la restenosi era significativamente ridotta nel gruppo del cilostazolo. La compliance al cilostazolo era circa del 90% e non ci sono stati sanguinamenti maggiori in nessuno dei due gruppi.

La rivascolarizzazione del vaso target per restenosi resta un problema significativo dopo terapia endovascolare per arteriopatia periferica. La terapia ottimale per prevenire questa complicanza rimante incerta. Sebbene i risultati di questo studio siano di assoluto interesse, le piccole dimensioni del campione e l’uso “open-label” del cilostazolo pone una significativa limitazione metodologica. Sarà necessario valutare l’uso del cilostazolo nella prevenzione della restenosi un un ampio studio randomizzato condotto in cieco.

Soga  Y,  Yokoi  H,  Kawasaki  T,  et  al.  Efficacy  of  cilostazol  after  endovascular therapy for femoropopliteal artery disease in patients with intermittent claudication. J Am Coll Cardiol 2008;53:48­53. 

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21

John Maynard Keynes diceva che “l’azione più importante dello stato si riferisce non

a quelle attività che gli individui privati manifestano già, ma a quelle decisioni che nessuno compie se non sono compiute dallo stato”. L’affermazione è importante per comprendere una possibile soluzione allo scontro in atto sulla bioetica e sul testamento biologico. L’opzione divide chi concepisce la vita come indisponibile e chi la pensa come un bene a portata di mano, a disposizione della libertà. Si tratta di stabilire se c’è o no un limite che occorra affermare legalmente oltre la singola scelta. Bisogna decidere se tutto quello che si può fare liberamente della vita è eticamente valido e giustificato o se si debba porre una barriera all’arbitrio per non soccombere. Limitare le possibilità individuali è sempre un’impresa ostile, destinata di solito a un eroico insuccesso, anche se talvolta necessaria per una peculiare conseguenza del ragionamento è la trasformazione della nozione classica di “bene comune” in somma delle molteplici libertà, priva d’ogni possibile fondamento e controllo oggettivo. L’importante è negare sempre ogni rimando all’essenza dell’uomo e a ogni tipo di considerazione metafisica sulla natura umana. Il resto verrà da sé. E’ lampante, per contro, che le nuove frontiere della bioetica mostrano la debolezza della suddetta impostazione liberale. Anzi, la necessità di dare una soluzione etica all’enigma della vita richiede un passaggio dall’idea di un “bene comune” come somma delle libertà all’idea di un “comune bene umano” come base della vita civile sottratta al libero gioco delle individualità. Questo salto è enorme, ma indispensabile per non rimanere sguarniti di criteri morali. Solo quando, dal punto di vista politico e legale, le nostre società avranno il coraggio di pensare, prima ancora delle prerogative individuali e sopra il bene comune derivato dalle libertà, un ambito essenziale e naturale di diritti umani – inteso come un bene oggettivo insindacabile e trascendente, assunto e posto a tutela normativa del diritto – allora saremo certi di avere una risorsa etica sufficiente per controllare e dirigere umanamente la libertà personale, curando l’inizio e la fine vita in modo sicuro e garantito. La legge positiva poi, assieme al diritto pubblico, deve curasi esclusivamente di quei “principi comuni della persona” che è necessario siano preliminarmente sottratti alla disponibilità individuale delle libertà e al conseguente relativizzarsi del “bene comune”. Prima, dunque, di una legislazione sul testamento biologico, è quanto mai indispensabile avere subito a disposizione una base legale sufficiente di principi antropologici, come il diritto alla nutrizione e all’idratazione della persona, che corrisponde direttamente al bene comune, “cioè – come diceva Keynes – a quelle decisioni che nessuno compie se non sono compiute dallo stato”, la sopravvivenza. Mentre affermare la libertà e basta, sperando in una successiva autolimitazione, è un sogno utopistico spregiudicato ma poco efficace. A essere chiamato in causa alla fine è lo stato, che deve legiferare. Il presupposto ideale di chi sostiene la disponibilità della vita – e che è a favore del testamento biologico – è la concezione liberale individualista, presa nella sua radicalità. In effetti, il liberalismo

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ita indegna, sottomettendo la lla volontà.

BENEDETTO IPPOLITO Il Foglio 7 marzo 09

 Rosanna D'Ambrosio 

solo per motivi razziali. Ma ha figli la signora Tamaro? Che paese di bugiardi.

è piuttosto

sua lettera per dimostrare come può essere utile

si regge su un’inappellabile autodeterminazione personale. Per giustificare questo principio, un filosofo come Fichte concepiva, ad esempio, la realtà umana come espressione di una creazione totale dell’Io. Da quest’avvio è derivata la persuasione che nessuno debba mai porre un argine all’esercizio illimitato della volontà. In bioetica si arriva a ritenere che sia la sola soggettività, generatrice degli strumenti tecnologici, a dover sottrarre l’individuo al dolore indesiderato di una v

natura umana alle leggi positive imposte da

     Riceviamo dalla Dott.ssa

Gentile redattore,

sono un medico che legge il vostro giornale. Vorrei esprimere il mio dissenso per le parole della signora Tamaro e di Don Vinicio sul caso Eluana e sul testamento biologico, mi meraviglio come da medici si possano avallare e pubblicare senza il minimo contraddittorio tesi così assolute e di parte. In particolare quando don Vinicio dice che ad un malato terminale di cancro, lui acconsente a togliere la spina, viceversa ad una persona in stato vegetativo non sospenderebbe mai alimentazione e idratazione, pure se costui avesse chiesto in precedenza di farlo. Ma siamo al delirio, fregarsene così della volontà della persona? Ma è un diritto universale rifiutare le cure!!! E poi il cancro consuma il corpo, viceversa nello stato vegetativo, non c'è più la mente la capacità di interagire con il mondo esterno, e allora perché distinguere fra queste due condizioni? Ma perché il padre di Eluana avrebbe dovuto mentire sulla sua volontà , a che scopo ? Ma quale pretese assurde hanno queste persone nel giudicare gli altri? Ma dio non ha insegnato certo questo. e poi un foglio di informazione CARDIOLOGICA, lascia dire a un intervistato che la dopamina è accanimento terapeutico? Certo ci sono condizioni di scompenso ormai terminale in cui non ha più senso, ma in alcune condizioni acute può aiutare a superare quel momento? O dico bugie? Non è uno degli inotropi più usati? Certamente non fonte di sofferenza per un paziente! E poi la Tamaro ma con che coraggio paragonare la vicenda di Eluana alla Shoah. Ma siamo impazziti? Uno sterminio di persone SANE, mandate a morte

Commento 

Gentile dottoressa D'Ambrosio, capisco dal tono della sua lettera, in cui affronta diversi problemi di etica tanto delicati quanto difficili, che arrabbiata. Ciò può spiegare l'incongruità di alcune sue espressioni. Innanzitutto pubblichiamo lail dialogo e il contradditorio.

• Se legge bene l'intervista pubblicata su NIC 16 si accorgerà che al malato di cancro in fase terminale, don Vinicio non stacca la spina (come lei

PPPooossstttaaa dddeeeiii LLLeeettttttooorrriii

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iaco avanzato in attesa di un trapianto, diviene inutile in

uoi polmoni

sostiene) ma sospende i farmaci divenuti inutili che sarebbero un accanimento terapeutico, vietato dalla legge, mentre continua l'assistenza per aiutare il malato e usa queste parole inequivocabili: "Lo accompagnerei alla morte senza infierire su di lui: senza mantenerlo in vita ad ogni costo con mezzi spropositati. Senza accanimento terapeutico. Anzi, a quel punto, credo che si abbia ogni diritto ad avere una preghiera per la buona morte." Indipendentemente da pregiudizi ideologici è difficile per un medico in buona fede ed esperto di questo tipo di malati non essere d'accordo. Anche la dopamina, utile per affrontare le fasi iniziali di uno shock cardiogeno o per sostenere uno scompenso cardfase terminale.

• La persona in stato vegetativo persistente (non viene più usato il termine permanente perché non si conoscono mezzi clinici che permettano di prevederne l'evoluzione) è così descritto da don Vinicio: "Lo stato vegetativo è uno stato nel quale esternamente e cerebralmente non si manifestano reazioni, non si risponde, non si comunica. Però si vive. Si respira. E noi non conosciamo tutti i livelli di conoscenza e sensazioni che una persona ha seppure non riesca ad esprimerli all’esterno." Io le aggiungo che in alcuni di questi pazienti la PET della circolazione cerebrale ha dimostrato che le diverse aree dell'encefalo si attivano coerentemente con le proposte sussurrate, quali collaborare all'esperimento, andare in cucina, ecc. (il primo di questi casi è stato pubblicato su Science nel 2006 ad opera delle equipe congiunte delle università di Londra e di Lovanio). Le sembra morta una persona: "Quando il suo cuore batte da solo, la sua carne è calda, i ssono capaci di respirare e lei di aprire e chiudere gli occhi?".

• Lei scrive: "ad una persona in stato vegetativo non sospenderebbe mai alimentazione e idratazione, pure se costui avesse chiesto in precedenza di farlo. Ma siamo al delirio, fregarsene così della volontà della persona? Ma è un diritto universale rifiutare le cure!!!". Dovrei dedurre che lei considera il piatto di pasta e il bicchiere d'acqua una medicina che assumiamo tutti i giorni per sopravvivere. Così pure il latte che la mamma da al neonato, per cui se il bambino rifiuta di bere il latte (per i suoi problemi, intestino, dentini, febbre), la madre dovrebbe lasciarlo senza acqua. La persona in stato neurovegetativo è simile ad un neonato, incapace ad esprimere una volontà e bisognevole di tutto. Il "diritto universale a rifiutare le cure" esprime, a mio avviso una concezione massimalista e fuori della realtà per le seguenti ragioni: 1) alimentazione e idratazione non possono essere considerati farmaci (come è stato riconosciuto nella legge in discussione al senato) ed è ovvio per il naturale buon senso (che non sia oscurato da pregiudizi ideologici); 2) l'autodeterminazione del paziente è un diritto costituzionale, per il cui rispetto è previsto il consenso informato prima di adempiere procedure diagnostiche e terapeutiche, quindi non riguarda alimentazione ed idratazione. Ma tale autodeterminazione non è e non può essere assoluta, come lei sostiene, per molti motivi. Innanzitutto nel rapporto medico-paziente l'autodeterminazione del malato si deve

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di farsi carico di ogni dolore, di

confrontare con la capacità e la responsabilità del medico al quale il cittadino si rivolge in una relazione di fiducia e di bisogno. Il medico da parte sua ha un compito ben preciso (sancito dai codici civile e penale, dal codice deontologico dell'Ordine dei Medici e dal giuramento ippocratico), quello di curare e guarire, non certo quello di uccidere in modo diretto o indiretto, neppure se richiesto dal paziente stesso o addirittura da un giudice. Non esiste, e non può esistere, alcuna tecnica giuridica che possa consentire una cura coercitiva del malato: la persona è libera di rifiutare la cura, dunque è legittimo che si possa esprimere al riguardo. Ma ciò non è in contraddizione con il dovere del medico di esercitare fino in fondo il dovere di cura, né con il principio della indisponibilità della vita umana. C’è un pericolo concreto di perdita del senso del reale, in una società in cui i deboli possono essere cancellati dalle sentenze; né si invochi il testamento biologico, pretesto fin troppo manovrabile, addirittura beffardo, per imporre scelte ben poco consapevoli. Perché non è il diritto di scelta sulla vita la misura alta di una civiltà: è, piuttosto, il coraggio assumersi la responsabilità degli altri.

• Lei scrive: "Ma perché il padre di Eluana avrebbe dovuto mentire sulla sua volontà , a che scopo ? Ma quale pretese assurde hanno queste persone nel giudicare gli altri?" Gli interrogativi mi fanno pensare che lei non conosca nei dettagli le sentenze che hanno costellato i 15 anni dell'iter giudiziario intrapreso da Peppino Englaro. La decisione dei giudici della Corte di Appello di Milano fa seguito alla sentenza di Cassazione dell'ottobre 2007 ove si afferma che si può autorizzare la cessazione delle terapie di un paziente in stato vegetativo “irreversibile”, ove si ritenga, in base ad alcune presunzioni, che questa sia la sua volontà. Ora i giudici d’Appello applicano il principio al caso specifico ricorrendo alla figura del rappresentante legale. Cosa significa questo? Significa che un soggetto diverso da Eluana può decidere se interrompere le terapie. Ma attenzione qui c’è già un gravissimo errore di fatto: Eluana non era sotto terapia, non aveva bisogno di alcun farmaco, ma veniva alimentata attraverso un tubicino. Si tratta, dunque, di non darle più da bere e da mangiare, esattamente come il caso di Terry Schiavo. Ma Eluana non essendo cosciente, si è ricorso ad un terzo soggetto, che secondo i giudici fungerebbe da arbitro circa la presunta volontà di Eluana, ma che in realtà ha posto in essere un arbitrio giuridicamente e costituzionalmente inaccettabile. Perché il nostro diritto conosce la figura della rappresentanza solo per l’esercizio di diritti disponibili e, invece, la vita è giuridicamente “indisponibile”. Poi, e soprattutto, perché il diritto serve a tutelare le persone, qui, invece, viene strumentalmente utilizzato per eliminarle. A ben vedere (come ricorda anche Susanna Tamaro), da un punto di vista giuridico, non c’è molta differenza con il potere di vita e di morte degli imperatori romani, l’ideologia nazista o la schiavitù che rende gli uomini come cose. Sono concetti forti ma esatti se si ha presente la funzione del diritto che è, ripeto, quella di tutelare sfere di interesse, in primis la vita, non di annientarle.

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• I giudici richiesero anche una valutazione dei principi etico-religiosi del malato. E questo non può che aggravare l’erroneità della decisione della Corte d’Appello e, ancora prima, della Cassazione. Risalire alle visioni del mondo del paziente, che nessuno può dire ancora attuali, significa definitivamente di non tenere conto della reale volontà del malato, che, per essere libera, deve essere attuale, circostanziata e contestualizzata. E’ umanamente drammatico e sbagliato retrodatarla perché si finisce,

nte su questo articolo l’obiettivo era quello di

riportarono le cronache qualche anno fa per il caso di una donna che rifiutò l’amputazione di un

orì.

Prof. Paolo Rossi, primario cardiologo, Novara e-mail: [email protected]

come detto, per farsi strumento di un arbitrio, in base ad una presunta volontà altrui.

• La decisione è inaccettabile anche con riferimento alla Costituzione italiana. Intanto perche alcuni interpreti fanno erroneamente discendere il diritto del malato al rifiuto delle cure dall’art. 32 della Costituzione, dove si fa divieto di trattamenti sanitari obbligatori a meno che non ci sia una legge a consentirli. Nel caso di Eluana, intanto non siamo davanti ad un trattamento sanitario, che non consiste certo nel dare da mangiare ad un malato. Inoltre l’articolo 32 della Carta costituzionale si riferisce a trattamenti collettivi, come una terapia imposta dall’autorità pubblica ai cittadini, e non alla cura indicata dal medico per un singolo paziente. Nel dibattito alla Costitueevitare, memori delle aberrazioni dei regimi totalitari, interventi terapeutici di massa.

• In base a cosa allora il paziente può rifiutare le cure? In base alla sua libertà, che preclude che altri possano intervenire sul proprio corpo senza il necessario consenso dell’interessato. Siamo nell’articolo 2 della Costituzione che riconosce i diritti inviolabili della persona e la sua libertà ne è il presupposto, fino alla drammatica estrema conseguenza di lasciarsi morire anziché farsi curare, come

arto in cancrena, e poi a causa di questo m