La mia islanda

41
La mia ISLANDA… La mia ISLANDA…

Transcript of La mia islanda

Page 1: La mia islanda

La mia ISLANDA…La mia ISLANDA…

Page 2: La mia islanda

La notte prima della partenza l’ho trascorsa di turno in Croce Rossa a guidare la “mia”

ambulanzina… per fortuna la città si è già svuotata e la notte è stata tranquilla..

Colazione con un’amica, ultimi preparativi e via per la prima “breve” tappa, giusto per spezzare in 3 giorni il lungo trasferimento continentale..

Difficile spiegare le emozioni di un viaggio come questo. E infatti non ci provo più. Un viaggio ai

confini dell’Europa, in moto, in solitaria è una cosa non certa straordinaria, non è un’impresa epica,

ma sicuramente non è comune. Ho sempre avuto una visione romantica del viaggio in moto, della

figura del viaggiatore. Non mi sono mai definito un turista, termine che non sento mio. Il turista resta sempre un estraneo nel paese che visita. Io cerco di viverlo. Mi piace fare la spesa nei

supermercati insieme alla gente del posto, cercare i loro locali, i loro negozi. Più che agli uffici del

turismo chiedo indicazioni ai ragazzi per strada su ristoranti e cose da vedere…

Solito traffico nel nord della Germania, anche per loro è tempo di vacanze e al contrario di noi, da

una certa latitudine, per andare al mare loro dirigono a nord. I km scorrono veloci come i pensieri, i bimbi mi salutano dai finestrini delle auto, c’è aria di vacanza e in breve tempo archivio

preoccupazioni e amarezze lavorative.

Finalmente Hirstals, Danimarca. Da qui l’imbarco per i 2 giorni necessari ad arrivare in Islanda.

L’hotel è onesto, la signora molto disponibile mi segnala che lì vicino si trova una delle più famose spiagge del paese, un luogo particolare dove si arriva direttamente di fronte al mare con l’auto. E’

una spiaggia aperta, dall’aria vagamente hippy..

Incontro anche gli altri ragazzi con i quali mi ero scambiato consigli ed indicazioni via internet nei

mesi precedenti la partenza e ceniamo tutti insieme bevendo una bottiglia di vino che avevo

portato per l’occasione dall’Italia. Di notte sto male, ho la schiena bloccata e dormo 2 ore sdraiato nel bagno della camera cercando di farmi un’iniezione di Lixidol. Al mattino sono in condizioni di

arrivare all’imbarco, conoscere altri motociclisti, caricare e legare con le cinghie al ponte della

Norrona la moto. I 2 giorni sono lunghi, le cabine non sono accoglienti, la nave dimostra molto più

degli anni che ha… almeno si mangia bene e non soffro il mal di mare. Conosco una ragazza

polacca dell’equipaggio che sta studiando fisioterapia, mi fa un massaggio che mi da’ beneficio. Sono un po’ preoccupato, ma nei giorni successivi migliorerà. Blanca, la ragazza polacca, mi dice

che la Norrona non è una nave da crociera, serve solo per muoversi.. e infatti si muove. Anche con

il mare piatto come l’olio si muove verso l’Islanda, passando per le isole Faroe, si muove nel senso

del rollio, impenna di prua e poppa… misteri della fisica. Il 04/08 finalmente è Islanda.

Page 3: La mia islanda

Curiosi personaggi e veicoli quelli che scendono dalla Norrona… 8 sono i GS, qualche altra moto,

2 sidecar da fuoristrada ovviamente tedeschi, una quantità enorme di Defender e Land Cruise con

snorkel, verricelli, binde e pale sul tetto… Unimog camperizzati e i soliti fumosi camion ex militari DDR dei giovani berlinesi. La prima sterrata la imbocco in compagnia di Ale, Jafo e Luca, gli altri

ragazzi conosciuti sul forum; mettiamo timidamente le ruote sulla pista, non è nulla di impegnativo,

ma la distanza da casa, le moto cariche, l’adrenalina ci fanno essere molto più prudenti del

dovuto… in pratica guidiamo “sulle uova” per i primi Km…

Page 4: La mia islanda

Lentamente si prende confidenza e le manate sull’acceleratore diventano più sicure e frequenti…

ci separiamo quando io decido di provare la prima parte della F910 per l’Askja, una delle piste più

impegnative a causa dei suoi guadi. Non sono intenzionato a farla, ma voglio rendermi conto della difficoltà.. difficoltà che arrivano presto con la pista molto rovinata, è il primo giorno, e ci metto

poco a girare la moto.

Page 5: La mia islanda

Li incontro nuovamente in un piccolo ristoro, dove una cameriera finlandese di rara bellezza sta

servendo caffè e dolci islandesi. In breve tempo raggiungo i crateri di Kafla, la nuovissima centrale

geotermica e il lago Myvatn, una delle perle dell’isola. Il tempo è nuvoloso, la luce non offre gli spettacolari tramonti che ho visto nelle guide…ma c’è comunque la straordinaria profondità di

prospettiva del cielo di queste latitudini.

Il giorno successivo è ancora nuvoloso. Con un cielo plumbeo mi dirigo verso nord, Hùsavik da

dove partono le barche per il whalewatching e dove c’è un “museo fallologico”… Ritrovo gli altri

sulla divertente sterrata per le cascate Dettifoss, il salto d’acqua con la portata maggiore d’Europa.. ed in effetti sono impressionanti. Lo scenario ha qualcosa di primordiale: ci si sente piccoli piccoli…

Page 6: La mia islanda

Poi, con il passare dei Km, il cielo improvvisamente si apre…

…chiaro, no!?!?!?

Page 7: La mia islanda

Prendo anche più confidenza con la guida della mukka (il GS) su queste piste, ma devo aprire le

sospensioni e frenare l’idraulica. Lo farò domani, prima della pista F35. Ad Akureyri (seconda città

dell’Islanda, 17.500 abitanti!!) trascorro la prima notte in un Edda Hotel, le loro scuole che d’estate si trasformano in strutture ricettive. Alberghi a quasi tutti gli effetti, gestiti da ragazze islandesi di

22-25 anni. Notevole l’accoglienza e il colpo d’occhio appena entrato..

Arriva la F35, la pista per Kjolur, un deserto tra 2 ghiacciai. Gli americani si sono addestrati qui per

l’allunaggio dell’Apollo I; credo questo sia sufficiente a descrivere il luogo. Quasi 200 Km di nulla.

Un rifugio con una radio circa a metà. Solo nel nulla. E’ quello che volevo provare da tempo, la sensazione va oltre le aspettative, mi fermo spesso, scatto foto, scendo dalla moto giro su me stesso per far spaziare lo sguardo a 360° come una specie di ballerina con stivali da motociclista. Il

tempo è buono, la temperatura perfetta. Altri che sono passati nei giorni successivi, causa il vento

forte sono dovuti tornare indietro. Per me la giornata è perfetta. Fortuna. Era uno dei miei sogni

percorrere in moto piste e luoghi così. Sono felice e carico.

Page 8: La mia islanda

La F35, come tutte le altre strade “F” è aperta pochi mesi l’anno. Ora ci sono i bulldozer a renderla

più “confortevole”, ma in passato per le popolazioni che d’estate la utilizzavano come scorciatoia

tra il nord e il sud dell’isola, percorrerla non era un’impresa che compivano a cuor leggero. A questo si aggiungano le storie che narrano di fantasmi, di Trolls, di streghe, di eroici condottieri e di

amori perduti che da sempre hanno accompagnato il pellegrinaggio in questi luoghi. E’ la tradizione

della Saghe, cara agli islandesi. Più realistiche e documentate invece le vicende di banditi e

dissidenti che trovavano rifugio in queste inospitali highlands…

Ho incontrato pochi fuoristrada, nessuna moto, tante pecore. Sempre piantate in mezzo a guardarti

con aria perplessa. In certi tratti devo guidare a velocità sostenuta per passare sopra il tolue ondule

creato dai cingoli dei mezzi meccanici e dalle sospensioni scariche dei 4x4. 60,70, passo un paio di volte i 120 orari per rendere la guida meno stressante e far alleggerire l’avantreno sullo strato di

ghiaia di diversi cm che copre la pista in alcuni punti. Altre volte devo rallentare repentinamente per

aggirare e superare profonde buche o le pietre più grandi. Su questi terreni il GS si comporta

inaspettatamente bene, sembra che la rotazione del polso destro gli faccia superare qualsiasi

cosa, riprendere con decisione la traiettoria desiderata. Mi diverto sempre di più, man mano che passano i Km sotto i tasselli, euforia a mille e un sorriso permanente, un ghigno soddisfatto, dietro

la visiera del casco..

Tutto talmente perfetto che merita di essere rovinato con una cazzata delle mie… Proprio alla fine

della pista, vedo sulla cartina una deviazione che porta ai piedi di un ghiacciaio. Mi ci infilo senza

che nessun neurone possa intervenire a dire la sua. La pista è più impegnativa, ma fattibile…arrivo alla fine, trovo una specie di cottage chiuso, uno dei loro camion con 6 enormi ruote motrici

per portare i turisti sul ghiacciaio e niente altro. il punto elevato favorisce una fantastica visuale..

Page 9: La mia islanda

Mi fermo qualche minuto, soliti innumerevoli scatti e imbocco quella che credevo fosse la strada che girando intorno ad un promontorio prende la via del ritorno. Subito si stringe, al punto che la

moto non potrei più girarla, percepisco il pericolo. Pericolo che si concretizza quando mi trovo di

fronte ad una rampa piena di buche e grosse pietre. Mi fermo a riflettere, non ho altre vie. Chiudo

gli occhi, do una gran manata al gas e mi sposto indietro sulla sella, la moto salta, ma sembra

andare avanti. Qualche metro, poi improvvisamente si siede con la ruota posteriore in una profonda buca. Insisto con l’acceleratore e peggioro la situazione. Sono bloccato. Sono le 6 di

sera. Sono alla fine di una pista cieca.

Page 10: La mia islanda

Scavo davanti e dietro la ruota, insisto stupidamente nel farla girare a vuoto fino a quando l’aria è

pregna dell’odore di frizione bruciata. Non sono lucido, sono stanco e affamato e la

preoccupazione sale. Trovo un pezzo di plastica che cerco di usare come piastra, ma assolutamente nulla. La moto, completamente spanciata sul paramotore è immobile. Tolgo le

borse, tranne la sinistra che la sorregge appoggiata su un sasso, provo a scuoterla ma nulla. Mi

guardo in giro, mi rassegno già all’idea di cercare un luogo riparato dove stendere il sacco a pelo.

Inveisco contro me stesso. Dopo qualche ora e ulteriori sfiancanti tentativi sono madido di sudore

dentro la tuta da moto. Nel silenzio totale appare quasi senza rumore proveniente dal ghiacciaio uno di quei superfurgoni con le ruote grandissime.. lo fermo. E’ carico di scienziati giapponesi che

stanno studiando il ghiacciaio. L’enorme autista islandese mi chiede perché mai abbia messo la

moto lì, tengo da parte la mia solita ironia e non rispondo, mi aiutano ed in 20 minuti la moto è

libera. Li ringrazio e li invito tutti a cena in Italia dall’euforia… 2 giapponesi mi chiedono il numero di

telefono per venire quanto prima ad incassare il “meritato” riconoscimento… ovviamente i 2 che praticamente non sono scesi dal furgone.

Raggiungo Geyser dove avevo prenotato una specie di hytte in una struttura nuovissima. C’è la

piscina, mi ci fiondo dentro con le solite raccomandazioni tanto care agli islandesi prima di entrare

nelle loro vasche: “lavati bene”. Ma vaff…

Page 11: La mia islanda

Arrivo ad Husafell nel tardo pomeriggio, dopo una giornata tutta guidata. E’ quello che volevo.

F550 e il ghiacciaio Langjokull, nel parco nazionale Geitlandshaurn

L’indomani riparto subito alla volta della valle del Kaldidarum…

Page 12: La mia islanda

Rebecca e la Old Farm di Husafell

Sono arrivato alla vecchia fattoria di Husafell nell’Islanda centro occidentale, alla fine della F550 , una pista che passa sotto il ghiacciaio Langjokull. Non è stata troppo lunga e mediamente

impegnativa, solo il vento che alla fine si è alzato con vigore, costringendomi a guidare di traverso

su ghiaioni polverosi, ha reso faticoso l’ultimo tratto.

Chiedo indicazioni al cassiere dell’area di servizio e arrivo a destinazione. Avete presente la casa

nella prateria del telefilm con gli Ingols, Laura, Charles, i panni stesi, ecc….? Ecco ero proprio lì.

Il “fattore” mi mostra la casa, una vecchia costruzione in legno che emette rumori di vita passata da

ogni trave, da ogni scricchiolìo del legno sotto i passi. Il pavimento è storto. Davvero, il “fattore” si è

premurato di dirmi che la strana sensazione camminando era dovuto a questo.. ma storto tanto!

Page 13: La mia islanda

Mi invita subito a bere un caffè con biscotti al tavolo fuori e mi presenta gli altri ospiti presenti.

Natalie, una ragazza svizzero tedesca che sta accompagnando gli attempati genitori a visitare

l’Islanda, uno dei sogni della loro vita. Il padre in particolare è orgoglioso ed eccitato per l’avvento del nuovo ospite, e soprattutto orgoglioso della sua moto tedesca, per lui che è di Monaco.

Ci sono anche degli spagnoli, lì per la pesca di fiume, ma al momento sono in una battuta. E poi

c’è Rebecca. Inglese, 27 anni, artista. E’ ad Husafell per studiare le opere di uno scultore locale,

pare famoso (a me ovviamente sconosciuto, ma ho fintamente manifestato interesse..). Occhi

chiari, sorriso limpido, capelli corti, senza una precisa pettinatura, una naturale eleganza. Una di quelle ragazza sensuali e dotate di quel fascino genuino, che non lascia spazio ad una precisa

cura di sé, piuttosto tutte quei piccoli dettagli pratici del vestire, dei suoi oggetti e accessori

fornivano un insieme magnetico.

La Moleskine sul tavolo, la vecchia e malconcia borsa di pelle con un grosso taglio su una tasca

dalla quale prende il suo Mac ultimo modello. Stupende contraddizioni.Mi sono tolto la pesante giacca da moto, i muscoli delle braccia sono tesi per le ore di guida in

fuoristrada e li sento indolenziti dentro la maglia tecnica… in altre occasioni avrei sicuramente

evidenziato ulteriormente la cosa, a riempire il mio ego narcisista, ma quella sera ero un po’ a

disagio, non volevo si facesse un’idea sbagliata. Estraggo la mia Moleskine, intenzionalmente cercando un punto di contatto, una complicità… funziona. Mi sorride e iniziamo a parlare. Dopo

poco mi dice che deve chiudere alcune cose nel laboratorio dove sta lavorando, ma che se avessi

voluto, dopo cena sarebbe stata lì, a leggere e bere the. Doccia, cena alla stazione di servizio poco

lontana con hamburger e insalata. Una coca light. Faccio un giro più lungo per rientrare al fine di

guardare la zona circostante. Al mio ritorno è già lì. La schiena appoggiata al muro, le gambe distese sulla panca. Continuiamo subito a parlare, anche se non chiude il libro, lo tiene con un dito

sull’ultima pagina letta, come se dovesse riprendere a leggere da un momento all’altro. Questa

cosa mi da’ un certo disagio, mi lascia sospeso come se dovesse interrompere da un momento

all’altro quel momento. I suoi gesti sono lenti e misurati. Consapevoli e delicati.

La bellezza dei luoghi, i viaggi, gli strani percorsi della vita… Parliamo fino a notte fonda, complice la straordinaria luce e gli interminabili tramonti di quelle latitudini non ce ne accorgiamo.. Mi

avvicino, vorrei baciarla ma non lo faccio… però siamo vicini, percepisco il calore del suo corpo.

Indossa un maglione che le delinea il seno, è davvero sexy. Resto sempre sospeso nella mia

contraddizione tra intenzione e azione, ma non prendo l’iniziativa. Temo di poter perdere la magia

di quel dialogo, di quella notte… Non ci siamo baciati, ma certamente una parte intima e profondadentro di noi si è toccata. Ci salutiamo e ci ritiriamo nelle nostre stanze che è quasi mattino.

Decidiamo di fare colazione insieme l’indomani e scambiarci i contatti. Poi io avrei ripreso come da

programma il mio viaggio. Inutile dire che non ho dormito.. pensavo a cosa sarebbe potuto

succedere, pensavo al destino.. pensavo… pensavo non volevo che quell’incontro finisse in modo

banale, con il solito inutile cliché definito: mail, qualche sms e telefonata, magari ci saremmo rivisti, in fondo oggi con poche decine di euro si vola in qualsiasi capitale europea. All’inizio sarebbero

stati contatti frequenti, poi sempre più radi, fino probabilmente a non sentirci più. Non volevo finisse

così. Volevo decidere un epilogo diverso. E così è stato. Il mattino seguente sono uscito presto, le

ho messo dei fiori bianchi e un biglietto fuori dalla porta, ho spinto la moto fin sulla strada e me ne sono andato senza lasciarle nessun riferimento di me. Farewell Rebecca, grazie per quella notte.

Page 14: La mia islanda

La strada che si allontana da Husafell in direzione Borgarnes… perfetta scenografia alla

notte appena trascorsa.

“certi viaggi portano a destini, non soltanto a destinazioni…”

Page 15: La mia islanda

Trasferimento per Holmavik, prima tappa

per accedere alla remota regione dei fiordi

nord occidentali. Mi fermo presto, non appena la moto entra in temperatura

perché voglio controllare il livello dell’olio.

Non dovrebbe consumarne come il vecchio

modello, ma ne aggiungo comunque 250

cc. Seguo ingenuamente un’indicazione del Garmin e mi trovo subito su un dedalo di

sterrate, non indicate come F (la lettera che

contraddistingue in Islanda le piste

riservate ai veicoli 4x4), ma dal fondo molto

irregolare. Proseguo, ci sono delle fattorie e la cosa mi rassicura.

Vedo dove sono incrociando i dati del GPS e della cartina, la direzione è corretta ma il fondo

peggiora. L’ultimo tratto scollina su una piccola altura, la salita è molto impegnativa e tecnica in

considerazione della moto da 300 Kg carica con la quale la sto affrontando… devo prenderla a velocità adeguata per passare sopra i massi e le buche più profonde, prendo un paio di imbarcate,

mi spavento ma ormai non posso tornare indietro. Penso di essermi messo ancora nei guai, di

trovarmi di fronte a qualche guado troppo alto o chissà che altro. Finalmente dopo qualche km,

come un miraggio mi appare all’orizzonte la Ring Road (la strada 90% asfaltata che fa il giro

dell’isola), finalmente la pista si ricongiunge, bacio l’asfalto come Papa Woytila e proseguo spedito in favore dell’ottimo grip ritrovato…

Page 16: La mia islanda

L’allenamento funzionale nella valle di Baulusandur (strada 60) – atleti un po’ matti in viaggio

Prima di imboccare la pista del Kaldidalur faccio una deviazione di pochi km sulla strada 60 per

arrivare ad un punto panoramico su un altopiano poco distante. La visuale è grandiosa, ne

approfitto per mangiare un po’ di pane islandese (nero, tipo il nostro di segale, ma dolciastro), mi

rilasso godendomi panorama e temperatura, quando… mi viene voglia di ripassare alcune serie

dell’allenamento funzionale fatto durante l’inverno!!! Questi scatti sono dedicati agli amici della 5 Anelli! ☺

Confesso di essermi divertito

come un matto, soprattutto

quando è passato un pulmino

di turisti francesi!!

Page 17: La mia islanda

Il giorno successivo sono a Isafjordur, la capitale dei fiordi nord occidentali. E’ una città

rispetto le precedenti con negozi e ristoranti. I preziosi consigli della solita fanciulla alla

reception dell’Edda mi indirizzano persino a fare shopping in un negozio rivenditore Craft dove riesco a prendere dei pantaloncini da MTB a prezzo affare e faccio la mangiata di pesce del

secolo seduto allo stesso tavolo con i ragazzi del posto. Nei prossimi giorni sarò in zone

definite quasi disabitate, decido di far lavare dalla lavanderia della scuola maglie e intimo per

poche corone.

Page 18: La mia islanda

La remota e desolata regione dei fiordi occidentali è… remota e desolata! Km e Km di una bellezza

straordinaria, di baie, di spiagge d’acqua cristallina, di qualche fattoria ogni tanto… perdo un sacco

di tempo a fare foto. Ci sono relitti di mezzi agricoli e navali qua e là; mi hanno sempre affascinato gli oggetti meccanici vecchi e arrugginiti, monumenti a testimonianza di lavoro, fatica e tecnologia. Non resisto ed entro, visito, tocco il metallo ossidato.

Page 19: La mia islanda

- dove stai

andando?

- Non lo so.

- Allora sarà

impossibile

perdersi..

Page 20: La mia islanda

Arrivo a Latrabjarg, il punto più ad ovest dell’Europa, per capirci sono sotto la Groenlandia. La latitudine (siamo intorno al 66° parallelo) impedisce alla notte di essere buia, la luce dura 24 ore.

La tuta da moto e la GS sono coperte di terra sottile, non c’è asfalto per l’intera regione, la penisola più orientale è completamente disabitata e priva di strade o piste, solo pochi sentieri... Ceno e

raggiungo attraverso una spiaggia l’ultima scogliera, paradiso dell’Atlantic Puffin, la pulcinella di mare. Servizio fotografico e tramonto.

Page 21: La mia islanda

La serata diventa un po’ malinconica. Si, a tratti mi sentivo solo. La notte era bellissima, il

panorama spettacolare.. Magnifico. Ascolto un po’ di musica dallo shuffle, ma è peggio. Recupero

quella frase trascritta da un libro sulla Moleskine “non era solo perché non aveva amici, forse era da solo dentro (F.G)”, la sento molto mia in questo momento. Sia chiaro, sono consapevole sia

tutto sotto controllo. Anzi questo momento ne è la conferma. Più di 3 settimane in solitaria, oltre

7000 km per tutta Europa sono tanti, anche per un “animale” solitario come me. Sentirmi solo, in

fondo era la prova che stavo bene, che era normale, che sono normale!

L’indomani, per la prima volta dopo quasi una settimana che guido verso ovest, punto a sud. In un

paio di giorni raggiungerò la capitale Reykjavik.Appena raggiunto l’asfalto e la prima area di servizio faccio il pieno e passo un getto d’acqua sulla

moto, la polvere sta bloccando tutte le serrature delle valige. Mi accorgo di aver lasciato una carta

di credito alla fattoria a Latrbjarg. Chiamando la banca per bloccarla mi accordo anche di una vite

da 9 mm infilata nella gomma posteriore. Confesso di aver leggermente imprecato. Calma. Caffè.

Penso. Al posto di riparare subito con il kit decido di tornare indietro 8 km fino alla fattoria dove avevo visto una montagna di pneumatici accatastati e sicuramente avrei trovato il modo per

vulcanizzarla meglio. La gonfio a 3 atm e parto. Arrivato alla fattoria scopro che il “fattore”, in realtà

è principalmente un pescatore e gommista a tempo perso. Gli smonto la ruota e la ripara in pochi

minuti in mezzo a polli ed altri pennuti..

E’ un ragazzo giovane, mi spiega di aver ha raggiunto la quantità massima di pesce che poteva pescare (credo qualcosa simile alle nostre quote latte..), di essere uno dei pochi ad avere mucche

e vitelli, ma essendo estate sono fuori, quindi si dedica a piccoli lavori di manutenzione e

riparazione per lui e le altre fattorie della zona. Soddisfatto per il piacevole incontro, trovando in

esso una conseguenza positiva alla rottura di palle della foratura, riparto.

Latrabjarg. Nel senso che quello

è il paese. In Islanda si impara

presto che il nome della fattoria

è anche il nome del paese.

Perché la fattoria è il paese.

Page 22: La mia islanda
Page 23: La mia islanda

L’agreste riparazione funziona, ma ho guidato troppo con la ruota sgonfia e ho un piccolo taglio

sulla spalla del pneumatico. La faccenda è più seria, la moto inguidabile, Reykjavik, unico luogo

dove forse avrei trovato una gomma della misura giusta, ancora lontana. Mi fermo a gonfiare in una piccola stazione, dove due Islandesi intenti a riparare un tetto capiscono a gesti il problema

(non parlano inglese, cosa rara) e propongono di usare della colla da legno… sono molto

determinati nel loro intento e li lascio fare quasi divertito. Ovviamente si rivelerà inutile.. Devo

percorrere ancora un tratto di sterrato con un piccolo passo, gonfio a 3,5 atm e parto spedito

guidando in piedi per non caricare il posteriore. Il “breve tratto” si rivela un ripido percorso tra le montagne. A queste latitudini, la vegetazione a 500

metri è come da noi a 2500.. Per capirci, i mirtilli crescono praticamente al livello del mare, quindi il

paesaggio è da alta montagna. Stringo la moto con le gambe, fino ad avere dei lividi causati dagli

stivali. Vedo il rifugio d’emergenza (nonostante il tratto sia breve, credo giustificato dall’altitudine

che , specialmente in inverno, può rendere problematico il percorso..) e prendo in considerazione di passare la notte lì…

Page 24: La mia islanda

E’ ancora chiaro, il rifugio non è il massimo della pulizia (quelle sul pavimento

credo siano feci di topo…) decido quindi di proseguire mettendo un’altra mezza

capsula di CO2 (ne avevo molte, sono le stesse che uso per la MTB..).

Faccio gli ultimi km con la moto che sbanda ovunque (sempre i soliti 300 Kg) e

arrivo alla guesthouse; doccia, cena, e domani sarà un altro giorno… troppo stanco per prendere decisioni.

Il giorno dopo con il premuroso aiuto della signora della guesthouse vengo indirizzato da un gommista distante solo 20 Km da lì. Uso le ultime capsule di CO2

e raggiungo AMK SportTrucks a Boudaldlur.

Janni mi aspetta – informato dalla signora – con un enorme tazza di caffè e una

pipa in mano che lo rende subito simpatico in considerazione dei suoi circa 30

anni. Beviamo, parliamo un po’, mi mostra il funzionamento dei riduttori e delle

sospensioni pneumatiche dei superfurgoni, e poi finalmente ci mettiamo al lavoro.

Capiamo subito che la gomma è da buttare. Maledizione. Lui si attacca la telefono e ne trova una a Reykjavik. Decidiamo di provare a mettere una pezza all’interno

giusto per farmi arrivare nella capitale. Mi congeda con le seguenti parole “it could

works forever, but it could falls down at the 1st curve, my Italian friend”. Così

rassicurato, lo abbraccio e mi sparo gli ultimi 200 Km con la consapevolezza che

ogni curva potrebbe essere l’ultima… o_O

Page 25: La mia islanda

A Reykjavik, gli angeli di Biking Viking (forse gli unici a mettere le mani su moto BMW in tutta

l’Islanda) mi fanno trovare una Heidenau K60 Scout (la famosa gomma da vulcano) nuova e me la

montano in pochi minuti. Mi perdo in chiacchiere da officina con i ragazzi di BV e con gli altri bikersavventori.. le officine di moto intrise di olio e passione sono uguali in tutto il mondo, penso tra me e

me mentre un Islandese su Triumph Tiger e barba rossa, lunghissima e intrecciata (!) mi invita a

bere una birra la sera.. Cordialmente rifuito l’invito in considerazione dei modi ambigui del

caratteristico personaggio.

Trovata la guesthouse (di fronte ad una società di pompe funebri) e scaricata la moto mi perdo a girare a piedi per le vie di Reykjavik. La capitale è una cittadina poco più grande di Busto Arsizio

dove sono cresciuto (ha circa 120.000 abitanti), senza monumenti storici di rilievo, senza un centro

pedonale, senza un reale fascino che invece avevo trovato in altri centri minori. Non è che non mi

sia piaciuta, è che non mi ha trasmesso nessuna emozione. Forse la sua vita notturna, ma non

sono il tipo e non è quello che cerco.

Page 26: La mia islanda

Sto camminando senza una destinazione precisa, quando vengo colpito da un vecchio stabile

dipinto a tinte forti; mi infilo dentro al cortile che lo delimita incurante possa essere casa di

qualcuno… La solita curiosità è stata premiata. Trovo quello che considero uno degli angoli più belli di Reykjavik. Non era casa di qualcuno… era casa di tutti! Di tutti i biker (nel senso ciclistico

del termine). Una specie di comune, o di centro sociali per amanti delle 2 ruote, un luogo di

aggregazione per scambiarsi competenze in materia di bicicletta. Un luogo suggestivo e vivo.

Page 27: La mia islanda

In un secondo momento torno sul lungo mare a fare qualche altro (auto) scatto e vengo abbordato

ad un’abbondante fanciulla locale intenta a festeggiare il suo addio al nubilato.. Quando mi accorgo

che mi sta per vomitare sulla moto la scarico “elegantemente..”

Page 28: La mia islanda

Relax totale a Laguna Blu (il centro termale più noto dell’isola) e il sabato sera a Reykjavik al posto

di andare a vivere la famosa notte della capitale con le stupende ragazze (pare) disinibite e

svestite, resto sul divano della guesthouse con una classe di studenti adolescenti americani e i loro professori (tutti piuttosto strani, cantavano preghiere tipo gospel prima di ogni pasto) a guardare “Io

sono leggenda” in inglese…

Riparto in fretta ed esco dalla città ancora addormentata di domenica mattina. Visito la base

militare abbandonata di Keflavik, o meglio la vedo da fuori perché è tutto recintato, speravo di poter

entrare. Percorro veloce la strada che mi allontana dal caos della città e ritrovo la mia dimensione…

Arrivo in un posto straordinario, la congiunzione tra la placca tettonica americana e quella europea,

un piede da una parte e uno dall’altra! Si spostano di 2,5 cm all’anno e un grandissimo flusso di

lava è qui proprio sotto i miei piedi…

Page 29: La mia islanda

Proseguo veloce verso est, seguendo la costa meridionale. Ormai guido su questi sterrati con

grande sicurezza e qualche traverso di troppo. Mancano pochi giorni all’imbarco per il rientro, mi

continuo quindi a ripetere che non posso permettermi nessuno tipo di imprevisto. La Norrona parte con o senza di me, e ritorna dopo una settimana. Anche per questo quando mi trovo di fronte ad

una pista che si apre con un poco incoraggiante cartello “Can be impassable”, maledico la mia

ostinata volontà di non percorrere mai le strade principali… (e poi “impassable” a chi?!?! Non lo

sanno che sono “unstoppable”?!!?)

Fortunatamente la pista si

rivela facile, almeno con il

tempo buono e in assenza di piogge recenti.

Inizia anche a cambiare il

paesaggio e sempre più

spesso il verde brillante

dell’erba domina il nero del basalto. Mi perdo nelle

solite decine di scatti e

resto fermo ad ascoltare

la voce di questi spazi…

Alla mia destra una distesa di terra punteggiata di fazzoletti erbosi e poi il mare, a sinistra

delle alture grigio-nere, nello specchietto la riga di polvere che si alza al mio passaggio,

netta dalla ruota per stemperarsi spinta dal vento verso mare dissolvendosi lentamente. Confesso di sentirmi dentro un film, o quantomeno un documentario sui viaggi in moto…

Visito una serie di cascate avvicinandomi alla mia prossima meta, purtroppo non sempre il sole

favorisce i famosi arcobaleni, ma lo spettacolo è sempre grande. Incontro un gruppo di ragazze

italiane, una è della mia zona e abbiamo pure un’amicizia in comune.

Page 30: La mia islanda
Page 31: La mia islanda

La sorpresa del giorno la trovo nei pressi di Skogar, il vento si alza e guido con la moto inclinata

per molti km sulla costa, fino a rimanere bloccato insieme agli altri veicoli in quella che credevo

fosse una bufera di sabbia (il mare è a poche centinaia di metri dalla strada). Non si vede nulla, leauto che mi precedono si fermano, faccio lo stesso, ma non è semplice restare in piedi con la moto

per il vento davvero fortissimo… Fatico a respirare. Finalmente dopo qualche minuto si riparte e

arrivo all’Edda. Commento facendo la figura del cretino con la sempre carina fanciulla al desk che

non avevo letto nulla sulla Lonely Planet in merito alle tempeste di sabbia in Islanda. Lei mi guarda

stupita e mi risponde che non era sabbia, ma cenere vulcanica dell’ultima eruzione. Ecco lo sapevo, sono in mezzo ad un evento vulcanico e non me ne sono accorto, ho pensato subito di

avvisare mia mamma che stavo bene… Lei mi vede agitato e prontamente mi informa che è tutto

tranquillo, si riferisce all’eruzione di maggio (quella che si era portata via un pezzo di Ring Road).

Sono sollevato ed anche un po’ orgoglioso di essere finito dentro una bufera di cenere vulcanica!!

Lei continua a guardarmi e sicuramente sta pensando che sono un cretino. Il giorno successivo, ripulito me e la moto (chissà il filtro dell’aria...) dal grosso della cenere, prendo

un pista secondaria per andare a toccare il primo dei ghiacciai che lambiscono e poi si buttano più

ad est nell’oceano.. Purtroppo c’è ancora vento e quella foschia è proprio cenere vulcanica…

La pista

che sale a

Laki

Page 32: La mia islanda

E’ incredibile questa zona. Una delle più grandi calotte glaciali al mondo è qui sopra la mia testa,

ma soprattutto molti dei vulcani più attivi e potenti sono proprio sotto questi ghiacciai. Qui sono tutti

consapevoli che quando, non se succederà il prossimo evento di una certa importanza, alcune zone come la cittadina di Vik potrebbero essere spazzate via dall’inondazione che consegue

un’eruzione sotto un ghiacciaio. Sono già attive delle telecamere in vari punti per documentare

l’evento!!! Le persone qui ci convivono apparentemente senza alcuna preoccupazione. Mah…

Visito però una fattoria abbandonata durante un’eruzione pochi anni addietro, in questo caso i

proprietari credo si siano rotti le palle e hanno abbandonato tutto lì, auto e camion compresi.. confesso inquietante, non sono entrato, avevo la solita paura dei cani (che in Islanda non ho mai

incontrato, ma non si sa mai!!)…

Guido con il mare alla mia sinistra e scorgo dalla parte opposta le lingue più estreme del

Vatnajokull, la più grande calotta glaciale euorpea. E’ grande come la Valle d’Aosta. Ovviamente

non resisto e appena vedo una “strada” che muove in quella direzione la imbocco. Ormai l’ho imparato: la mia curiosità, forse un po’ di incoscienza, quando non mi fanno impiantare, mi

ripagano di grandi emozioni… Percorro una decina di Km verso nord, e mi trovo su un terrapieno

naturale dal quale si vede oltre un pianoro di ghiaia, il fronte dell’enorme ghiacciaio. Purtroppo

cenere e terra lo rendono nero come l’asfalto.. Tutto intorno a me ci sono dei fazzoletti di verde e

morbido muschio.. Curiosi tappeti in quell’ambiente lunare. Ovviamente non resisto…

Page 33: La mia islanda

Quel muschio verde

rame è soffice e

persino caldo!

Page 34: La mia islanda

Il Ferragosto lo trascorro mangiando pane morbido su una spiaggia di sabbia lavica, con l’oceano

che si infrange su scogli di basalto. Alle mie spalle verdi fattorie, dietro le quali imponenti ghiacciai,

sotto i quali minacciosi vulcani… non aggiungo altro! Incontro nuovamente dei signori israeliani conosciuti in guesthouse ad Holmavik, hanno vissuto a

Roma per qualche anno e ci perdiamo in chiacchiere mentre mi offrono una specie di the al

mirtillo..

Page 35: La mia islanda

Il penultimo giorno di viaggio mi emoziona e stupisce con i ghiacciai che frammentano iceberg nel

mare, o meglio in una laguna che si è formata solo 70 anni fa e che tramite un canale (ampliato

dall’uomo) si riversa nel mare… I blocchi di ghiaccio impiegano anche mesi per uscire dalla laguna. Purtroppo manca il sole a sfumare i vari toni di azzurro del ghiaccio e la cenere (e terra credo) ha

coperto il candore della neve. Lo spettacolo resta comunque da fermare il respiro..

Page 36: La mia islanda
Page 37: La mia islanda
Page 38: La mia islanda

Con gli occhi ancora bagnati da quello spettacolo riparto per andare a visitare una spiaggia di

cui mi aveva parlato un ragazzo alla stazione di servizio.

Si trova qualche Km ad a sud rispetto alla strada 1 e ci si arriva con una pista abbastanza segnata ma un po’ “molle” in alcuni tratti, mi dice.. Al solito i buoni propositi di non fare cazzate

2 giorni dalla partenza vengono disattesi e mi infilo con lo sguardo del bambino che sta facendo

una marachella in una specie di steppa coperta di un muschio ambrato…

Page 39: La mia islanda

Il primo tratto è divertente e mi fermo a fare un po’ di foto… le nuvole sono basse, ma i colori del

manto erboso che cresce su questi terreni lavici conferisce una luce particolare. Mi piace molto. Proseguo, qualche curva e alcuni dossi non mi consentono di vedere la direzione, controllo con il

GPS e comunque sto andando a sud, e poi si vedono le tracce… Appena dietro uno scollinamento

però il fondo cambia all’improvviso e diventa prima molle, poi sabbioso. Comprendo subito il

rischio, la parte razionale si attiva e con un ampio cerchio inverto la direzione guidando di traverso senza fermarmi. Riesco a fatica a riprendere la traccia di prima rallento in corrispondenza del

cambio di colore del terreno che all’improvviso diventa più scuro… mi accorgo che è un errore, è

sabbia fine. Cerco di dare gas lentamente, mi sposto indietro, mantengo la direzione, ma il

posteriore si abbassa sempre di più, perdo velocità nonostante stia accelerando, lentamente mi

fermo… Ed è la terza volta.Immediatamente spengo tutto, non insisto (e che cavolo l’esperienza della F35 insegna...),

appoggio la moto che fortunatamente non ha spanciato. Si riprende a scavare. Ho fatto più buchi io

in Islanda che un tarlo in una vecchia trave penso. Questa volta è sabbia e si asporta meglio della

terra e pietre. Inoltre la ruota è meno sprofondata; ho la sensazione di potercela fare da solo... Per

sicurezza scavo davanti e dietro, ma anche di lato, una buona mezz’ora mentre sudo dentro la tuta con l’imbottitura termica. Mi fermo, prendo fiato. Decido di non salire sulla moto, ma spingerla di

lato inserendo la marcia. La moto è sempre la stessa da 300 Kg delle puntate precedenti. Chiave,

check, pulsante d’accensione e prima. Faccio “pistonare” il boxer lentamente mentre con il cuore in

gola per lo sforzo e per la paura di non farcela spingo sul manubrio con tutte le mie forze…

Lentamente si muove, slitta, ma non sprofonda, mi sposto di qualche metro e guadagno la terra più compatta. E’ andata. Bravo Claudio. Ma adesso davvero basta.

Page 40: La mia islanda

Arrivo alla guesthouse che pioviggina, decido di uscire subito per cenare, poi torno in camera a

togliere un po’ di terra dalla tuta. La notte non dormo per il casino che fa’ una famiglia di olandesi

del vicino ostello, ci discuto, ma poi lascio stare e con un italianissimo “ma vai a cagare” mi congedo con il gestore della guesthouse il mattino successivo. Capita, doveroso segnalare che gli

islandesi sono sempre disponibili e molto cordiali una volta conosciuti. L’educazione e un sorriso

sono elementi costanti.

Parto alla volta di Eglisstadir dove trascorrerò l’ultima notte, è il 17 di agosto.Lungo la strada non resisto ed entro in un altro capanno abbandonato dove trovo vere e proprie

inconsapevoli opere d’arte…

Mi concedo una sontuosa cena

chiacchierando con la cameriera in un

ristorante semi deserto e l’indomani mi ricongiungo con gli altri ragazzi conosciuti

sulla Norrona all’andata. Mi aspettano 2

giorni di racconti, esperienze, confronti con

altri viaggiatori complici nella condivisione di

questa stupenda esperienza. Le storie si sprecano, ogni tanto forse si esagerano, ma

tutti con grande passione e quella genuina

disponibilità che solo i grandi viaggiatori

sanno manifestare.

Page 41: La mia islanda

Ceno per 2 giorni in mezzo all’Oceano Atlantico, la nave non balla troppo e cerco di godermi la

traversata, Ogni minuto. Ogni istante. La notte è fredda, ma offre una bellissima luna. Aggiorno la

Moleskine, chiacchiero con i ragazzi, compro cazzate al triste duty free della Norrona… Arriviamo in orario in Danimarca e mestamente mi avvio ai 1662 Km per casa. Il secondo giorno, alle 7 di

sera, anziché infilarmi nel tunnel del San Bernardino, ho ancora la voglia di fare il passo, guardare

il sole sparire dietro le cime delle montagne prima di riprendere la discesa…

Ore 22.45 del 22.08.2011. Arrivo a casa dopo una tirata da oltre 1300 Km. Ceno con

birra calda e una barretta al sesamo seduto sul pavimento del box guardando la moto,

parlandole, toccando la terra accumulata in tanti Km. Guardo i segni lasciati sul cerchio posteriore dalla F35, i tasselli rovinati da tanti Km e tante pietre.

Gesti incomprensibili. O forse no… Sempre sulla via di Shangri-La mi sento un viaggiatore di orizzonti perduti.