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1 La metrica nel primo Novecento Lo sperimentalismo di D’Annunzio e Pascoli Appare imprescindibile prendere le mosse da D’Annunzio e Pascoli, gli autori che hanno preso per mano la lirica italiana tradizionale e l’hanno portata nel Novecento, pur mantenendo immutati numerosi elementi della tradizione. Del resto, non poteva che essere così per due poeti che, se pure con molte differenze tra loro, vestivano ancora i panni del letterato tradizionale. Lettore e scrittore onnivoro il primo, grande sperimentatore, ma ben saldo nel suo ruolo di vate illuminato dalla superiore luce dell’arte; classicista raffinatissimo il secondo, laureato sui frammenti di Alceo e insegnante di grammatica greca e latina, compositore in metrica latina per moltissimi anni. Per motivi diversi, certamente, ma entrambi legati alla tradizione letteraria e, contemporaneamente, innovatori della verseggiatura. Se Pascoli da una parte innova profondamente la punteggiatura, semantizza lo spazio bianco, si fa maestro della sinestesia e dell’onomatopea; D’Annunzio dall’altra sperimenta il verso libero, il versicolo, l’assenza di uno schema metrico, l’assenza di un sistema di rime e di strofe. Il 1903, per entrambi, è l’anno di una pubblicazione fondamentale: I canti di Castelvecchio e Alcyone; il secolo inizia, insomma, con raccolte importanti, che aprono la strada a quel quindicennio fecondissimo, in Italia e in Europa, che precede la Grande Guerra. Pascoli, Temporale Un bubbolìo lontano... Rosseggia l’orizzonte, come affocato, a mare: nero di pece, a monte, stracci di nubi chiare: tra il nero un casolare: un’ala di gabbiano.

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La metrica nel primo Novecento

Lo sperimentalismo di D’Annunzio e Pascoli

Appare imprescindibile prendere le mosse da D’Annunzio e Pascoli, gli autori che

hanno preso per mano la lirica italiana tradizionale e l’hanno portata nel Novecento,

pur mantenendo immutati

numerosi elementi della

tradizione.

Del resto, non poteva che essere

così per due poeti che, se pure

con molte differenze tra loro,

vestivano ancora i panni del

letterato tradizionale. Lettore e

scrittore onnivoro il primo,

grande sperimentatore, ma

ben saldo nel suo ruolo di vate

illuminato dalla superiore luce

dell’arte; classicista

raffinatissimo il secondo,

laureato sui frammenti di Alceo e

insegnante di grammatica greca e latina, compositore in metrica latina per

moltissimi anni. Per motivi diversi, certamente, ma entrambi legati alla

tradizione letteraria e, contemporaneamente, innovatori della verseggiatura.

Se Pascoli da una parte innova profondamente la punteggiatura, semantizza

lo spazio bianco, si fa maestro della sinestesia e dell’onomatopea;

D’Annunzio dall’altra sperimenta il verso libero, il versicolo, l’assenza di uno

schema metrico, l’assenza di un sistema di rime e di strofe. Il 1903, per

entrambi, è l’anno di una pubblicazione fondamentale: I canti di Castelvecchio e

Alcyone; il secolo inizia, insomma, con raccolte importanti, che aprono la strada a

quel quindicennio fecondissimo, in Italia e in Europa, che precede la Grande Guerra.

Pascoli, Temporale Un bubbolìo lontano...

Rosseggia l’orizzonte, come affocato, a mare: nero di pece, a monte, stracci di nubi chiare: tra il nero un casolare:

un’ala di gabbiano.

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D’Annunzio, La pioggia nel pineto

[…]

E il pino

ha un suono, e il mirto

altro suono, e il ginepro

altro ancóra, stromenti

diversi

sotto innumerevoli dita.

E immersi

noi siam nello spirto

silvestre,

d’arborea vita viventi;

e il tuo volto ebro

è molle di pioggia

come una foglia,

e le tue chiome

auliscono come

le chiare ginestre,

o creatura terrestre

che hai nome

Ermione. […]

Futuristi e Crepuscolari

I movimenti Futurista e Crepuscolare si spingono ben oltre nella sperimentazione

poetica, tanto dal punto di vista

formale, che qui maggiormente

ci interessa, che per quanto

riguarda i contenuti. Se

Marinetti enuncia attraverso

un manifesto (il Manifesto

tecnico della letteratura

futurista, 1912) una sorta di

decalogo della nuova poesia,

i Crepuscolari, senza proclami

e nei modi sommessi che sono

loro più propri, giocano con la

misura dei versi, passando

con disinvoltura attraverso

esperienze metriche piuttosto variegate. Nel primo dei testi riportati non si

può ravvisare alcun tipo di scansione metrica; nel secondo ci troviamo di

fronte a versi che compongono strofe di diversa misura (5 versi la prima, 4 la

seconda, ma la lirica presenterà strofe tanto di 3 quanto di 11 versi) e versi

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settenari o addirittura di ventuno sillabe, che si alternano senza alcuna

regolarità all’interno della lirica.

Marinetti, Bombardamento di Adrianopoli

ogni 5 secondi cannoni da assedio sventrare

spazio con un accordo tam-tuuumb

ammutinamento di 500 echi per azzannarlo

sminuzzarlo sparpagliarlo all´infinito

nel centro di quei tam-tuuumb

spiaccicati (ampiezza 50 chilometri quadrati)

balzare scoppi tagli pugni batterie tiro

rapido violenza ferocia re-go-la-ri-tà questo

basso grave scandere gli strani folli agita-

tissimi acuti della battaglia furia affanno

orecchie occhi

narici aperti attenti

Corazzini, Desolazione del povero poeta sentimentale

I

Perché tu mi dici: poeta?

Io non sono un poeta.

Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.

Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.

Perché tu mi dici: poeta?

II

Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.

Le mie gioie furono semplici,

semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.

Oggi io penso a morire.

[…]

In Gozzano, d’altra parte, troviamo spesso un sistema metrico e di rime

piuttosto regolare, anche se non sempre la misura del verso è quella

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consacrata dalla tradizione. Nel primo testo si susseguono regolari strofe di

endecasillabi con schema metrico ABBAAB (posto che si voglia considerare regolare la

celebre rima camice/Nietzsche), mentre nel secondo i versi sono ben più lunghi (un

novenario + un ottonario e viceversa) e caratterizzati da un sistema di rime al mezzo.

La signorina Felicita

Signorina Felicita, a quest’ora

scende la sera nel giardino antico

della tua casa. Nel mio cuore amico

scende il ricordo. E ti rivedo ancora,

e Ivrea rivedo e la cerulea Dora

e quel dolce paese che non dico.

L’amica di nonna Speranza

Loreto impagliato ed il busto d’Alfieri, di Napoleone i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto),

il caminetto un po’ tetro, le scatole senza confetti, i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro,

un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve, gli oggetti col monito, salve, ricordo, le noci di cocco,

Venezia ritratta a musaici, gli acquarelli un po’ scialbi, le stampe, i cofani, gli albi dipinti d’anemoni arcaici,

le tele di Massimo d’Azeglio, le miniature, i dagherrottipi: figure sognanti in perplessità,

il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto,

il cùcu dell’ore che canta, le sedie parate a damasco chèrmisi... rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta!

Palazzeschi e Govoni

A conferma del fatto che si tratta delle due facce della stessa medaglia (il disagio

dell’intellettuale, che ha perso il suo ruolo centrale nella società di massa), si guardi

all’espressione poetica di autori che hanno aderito, in fasi diverse della loro

produzione, a entrambi i movimenti: Palazzeschi e Govoni. Il primo usa versicoli

talvolta completamente onomatopeici, il secondo arriva a una sorta di

Calligramma, una poesia visiva.

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Palazzeschi, Lasciatemi divertire

Tri, tri tri

Fru fru fru,

uhi uhi uhi,

ihu ihu, ihu.

Il poeta si diverte,

pazzamente,

smisuratamente.

Non lo state a insolentire,

lasciatelo divertire

poveretto,

queste piccole corbellerie

sono il suo diletto.

Cucù rurù,

rurù cucù,

cuccuccurucù!

Cosa sono queste indecenze?

Queste strofe bisbetiche?

Licenze, licenze,

licenze poetiche,

Sono la mia passione. […]

Govoni, Il poeta

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Ungaretti, la brevitas fino alla parola-verso

Ben note le motivazioni (da lui stesso più volte dichiarate) delle scelte di brevitas di

Ungaretti. La sua poesia dal fronte, che attraversa l’esperienza della guerra raccolta

nel Porto sepolto (1916) per poi confluire nell’Allegria (1919). L’autore attribuisce

alla difficile situazione contingente sia pratica sia emotiva le scelte metriche

e stilistiche, che lo portano a una poesia essenziale, in cui assume particolare

rilevanza la parola-verso (in neretto gli esempi nella lirica seguente).

Veglia

Un’intera nottata

buttato vicino

a un compagno

massacrato

con la sua bocca

digrignata

volta al plenilunio

con la congestione

delle sue mani

penetrata

nel mio silenzio

ho scritto

lettere piene d’amore

Non sono mai stato

tanto

attaccato alla vita

Anche nella successiva raccolta poetica, Sentimento del tempo, avvicinata dalla critica

alla stagione dell’Ermetismo, Ungaretti si avvale dell’esperienza poetica precedente,

pur tornando, per altri aspetti, alla lirica più tradizionale.

L’isola

A una proda ove sera era perenne

Di anziane selve assorte, scese,

E s’inoltrò

E lo richiamò rumore di penne

Ch’erasi sciolto dallo stridulo

Batticuore dell’acqua torrida,

E una larva (languiva

E rifioriva) vide;

Ritornato a salire vide

Ch’era una ninfa e dormiva

Ritta abbracciata a un olmo.

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Gli anni ’20 e il ritorno all’ordine

Del resto, gli anni Venti sono un decennio in cui

tutto cambia; il primo dopoguerra e il

successivo avvento del regime fascista

coincidono con un desiderio di “ritorno

all’ordine” che caratterizza ampi strati della

società e che, dal punto di vista poetico, viene

portato avanti dalla rivista “La Ronda”,

pubblicata a Roma dal 1919 al 1922 con la

finalità dichiarata di restaurare l’ordine nelle lettere patrie, cancellando con un colpo di

spugna tutto quello che le avanguardie e gli sperimentalismi di tutti i tipi avevano

prodotto. I modelli sono, anche a livello metrico-retorico, i grandi padri della

poesia italiana, da Petrarca a Leopardi, come si avverte nella lirica seguente, in

cui, di là dai temi, evidentemente leopardiani, anche la metrica è tornata, pur

nell’assenza di rima, alla esclusiva presenza di endecasillabi e settenari.

Cardarelli, Illusa gioventù

O gioventù, innocenza, illusioni,

tempo senza peccato, secol d’oro!

Poi che trascorsi siete

si costuma rimpiangervi

quale un perduto bene.

Io so che foste un male.

So che non foco, ma ghiaccio eravate,

o mie candide fedi giovanili,

sotto il cui manto vissi

come un tronco sepolto nella neve:

tronco verde, muscoso,

ricco di linfa e sterile.

Ora che, esausto e roso,

sciolto da voi percorsi in un baleno

le mie fiorenti stagioni

e sparso a terra vedo

il poco frutto che han dato,

ora che la mia sorte ho conosciuta,

qual essa sia non chiedo. Così rapida

fugge la vita che ogni sorte è buona

per tanto breve giornata.

Solo di voi mi dolgo, primi inganni.

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Il ritorno alle forme metriche della tradizione (strofe, sistema delle rime, uso

dell’endecasillabo, del settenario, di versi tipici della letteratura italiana) è visibile

anche nella raccolta Il dolore, di Ungaretti.

Ungaretti, Non gridate più (quartine di endecasillabo, novenari e settenari)

Cessate d’uccidere i morti,

Non gridate più, non gridate

Se li volete ancora udire,

Se sperate di non perire.

Hanno l’impercettibile sussurro,

Non fanno più rumore

Del crescere dell’erba,

Lieta dove non passa l’uomo.

E in alcuni componimenti di Montale, che apre la sua produzione con Meriggiare

pallido e assorto (3 quartine e 1 strofa di 5 versi, tutte composte di endecasillabi,

decasillabi, novenari)

Meriggiare pallido e assorto

presso un rovente muro d’orto,

ascoltare tra i pruni e gli sterpi

schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia

spiar le file di rosse formiche

ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano

a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare

lontano di scaglie di mare

mentre si levano tremuli scricchi

di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia

sentire con triste meraviglia

com’è tutta la vita e il suo travaglio

in questo seguitare una muraglia

che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Saba: tradizione formale e innovazione nei contenuti

Peculiare l’esperienza di Saba, che persegue la poesia onesta, conscia del suo

ruolo a cui essere fedele. Ne deriva, nella sua produzione, la presenza di metri, rime,

impostazione generale (basti pensare al titolo della raccolta poetica che comprende

l’intera produzione: Canzoniere) molto vicini alla tradizione, anche dal punto di

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vista retorico e stilistico; accanto a profonde innovazioni nei contenuti, che

vanno nella direzione della linea antinovecentista.

Amai

Amai trite parole che non uno

osava. M’incantò la rima fiore

amore,

la più antica difficile del mondo.

Sarà nei decenni del boom economico, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del

Novecento, che il mondo culturale tornerà alla sperimentazione metrica,

spesso estrema, a testimonianza di un mutamento talmente profondo nella società da

richiedere forme espressive mai tentate. Paradigmatica in questo senso, l’esperienza

del Gruppo 63 e di Sanguineti in particolare.