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LA MAGNA CHRASTA Gennaio 2019 SECONDO NUMERO Edizione 2 n°2 I ragazzi della redazione Cari lettori, ben ritrovati! È passata ormai una settimana da quel nerissimo lunedì, in cui ci siamo visti costretti a sgusciare fuori dal nostro caldo, soffice e accogliente nido di coperte, ed affrontare un gelido ritorno a questa tanto odiata routine scolastica. Ed ora eccoci qui, ripieni di mascarpone e buoni propositi, pronti per affrontare questo secondo quadrimestre con lo spirito giusto, o, chissà, forse semplicemente sperando che i 50 giorni che ci separano dalle "vacanze" di carnevale passino in fretta. Ma sebbene ormai la sveglia sia stata reimpostata, l'eterna lotta tra pandoro e panettone rimandata ancora una volta, e la playlist "Solo Michael Bublé" accantonata fino al prossimo Natale, tornare tra i banchi di scuola ha i suoi lati positivi: e tra i più importanti, oserei dire, il ritorno della Magna Chrasta! Possiamo dire che il nostro amato Giornalino Scolastico ha iniziato l'anno proprio bene: lo scorso dicembre la redazione ha partecipato ad un'intervista con Noisiamofuturo, progetto e associazione culturale per raccontare l'oggi dei giovani. Settimana scorsa il video è stato pubblicato online sul quotidiano nazionale al sito https://www.noisiamofuturo.it/ e ora è disponibile anche sul nostro sito scolastico. Speriamo, grazie a questa opportunità, di riuscire a condividere la passione che ci ha spinto in questa meravigliosa esperienza, e la natura stessa del progetto. Sembra che la nostra Magna Chrasta non sia la sola a cercare di stimolare l'interesse nei giovani, l'evento Scuola Formazione per Studenti agisce per la stessa causa, e lo fa molto più in grande! Ma di ciò ne sapremo di più tra poco, con uno dei nostri articoli di oggi. E mentre da una parte si cerca di avvicinare i giovani alla cultura, scontrandosi con quei social che spengono la nostra curiosità, dall'altra sono i nostri stessi capi di Stato il primo esempio di vita social che ci troviamo davanti. E parlando di politica, non si poteva non menzionare la vicenda dei 49 migranti sbarcati a Malta. Secondo round, invece, per il tema del consumismo che, dopo l'articolo del mese scorso sul Black Friday, si ripresenta alla nostra porta, questa volta nascosto dietro l'argomento pubblicità. Si passa poi al momento "Cinema" di questa edizione: Quale serie tv ha stravolto i canoni di tale genere cinematografico, portandolo al successo? Restando in tema successo, oggi l'immancabile articolo sportivo presenta la vita di un "vincente silenzioso": Shuan Livingston. E per non farci mancare nulla, l'edizione di oggi ci immerge in tematiche molto più grandi e più profonde, tematiche esistenziali: qual è il senso della vita? Per completare, last but not least, la zona di comfort, condizione positiva o non?? Buona Lettura! Lucia Bottana, 5^A

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LA MAGNA CHRASTA Gennaio 2019

SECONDO NUMERO

Edizione 2 n°2

I ragazzi della redazione

Cari lettori, ben ritrovati! È passata ormai una settimana da quel nerissimo lunedì, in cui ci siamo visti costretti a sgusciare fuori dal nostro caldo, soffice e accogliente nido di coperte, ed affrontare un gelido ritorno a

questa tanto odiata routine scolastica. Ed ora eccoci qui, ripieni di mascarpone e buoni propositi, pronti per affrontare questo secondo quadrimestre con lo spirito giusto, o, chissà, forse semplicemente sperando che i 50 giorni che ci

separano dalle "vacanze" di carnevale passino in fretta. Ma sebbene ormai la sveglia sia stata reimpostata, l'eterna lotta tra pandoro e panettone rimandata ancora una volta, e la

playlist "Solo Michael Bublé" accantonata fino al prossimo Natale, tornare tra i banchi di scuola ha i suoi lati positivi: e tra i più importanti, oserei dire, il ritorno della Magna Chrasta! Possiamo dire che il nostro amato Giornalino

Scolastico ha iniziato l'anno proprio bene: lo scorso dicembre la redazione ha partecipato ad un'intervista con Noisiamofuturo, progetto e associazione culturale per raccontare l'oggi dei giovani. Settimana scorsa il video è stato

pubblicato online sul quotidiano nazionale al sito https://www.noisiamofuturo.it/ e ora è disponibile anche sul nostro sito scolastico. Speriamo, grazie a questa opportunità, di riuscire a condividere la passione che ci ha spinto in

questa meravigliosa esperienza, e la natura stessa del progetto.

Sembra che la nostra Magna Chrasta non sia la sola a cercare di stimolare l'interesse nei giovani, l'evento Scuola Formazione per Studenti agisce per la stessa causa, e lo fa molto più in grande! Ma di ciò ne sapremo di più tra poco, con uno dei nostri articoli di oggi.

E mentre da una parte si cerca di avvicinare i giovani alla cultura, scontrandosi con quei social che spengono la nostra curiosità, dall'altra sono i nostri stessi capi di Stato il primo esempio di vita social che ci troviamo davanti. E parlando di politica, non si poteva non menzionare la vicenda dei 49 migranti sbarcati a Malta.

Secondo round, invece, per il tema del consumismo che, dopo l'articolo del mese scorso sul Black Friday, si ripresenta alla nostra porta, questa volta nascosto dietro l'argomento pubblicità. Si passa poi al momento "Cinema" di questa edizione: Quale serie tv ha stravolto i canoni di tale genere cinematografico, portandolo al

successo?

Restando in tema successo, oggi l'immancabile articolo sportivo presenta la vita di un "vincente silenzioso": Shuan Livingston. E per non farci mancare nulla, l'edizione di oggi ci immerge in tematiche molto più grandi e più profonde, tematiche esistenziali:

qual è il senso della vita? Per completare, last but not least, la zona di comfort, condizione positiva o non??

Buona Lettura! Lucia Bottana, 5^A

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Edizione 2 n°2

Tutto questo per poi rimanere pietrificati dal terrore davanti a due barchette con meno di 50 disperati a bordo. C’è chi urla, strepita e grida all’invasione, senza rendersi conto nemmeno di quanto è ridicolo: quei 49 poveracci sono meno delle persone che prendono con noi l’autobus ogni mattina per andare a scuola. Questo porta alla mente e conferma una celebre frase del giornalista Domenico Quirico: “Abitanti di un mondo in declino, trepidiamo soltanto per la nostra ricchezza, proprio come i popoli vecchi e le civiltà del tramonto. E non ci accorgiamo che nelle nostre tiepide città, in cui coltiviamo la nostra artificiale solitudine, vi sono già alveari ronzanti, di rumore e di colore, di preghiera e di furore. Il mondo di domani”. La verità è che il mondo inizia e finisce con noi: siamo impauriti, vediamo mostri pericolosi ovunque, anche se forse, il vero mostro è dentro ognuno di noi.

Andrea Ceciliani, 3^A

Gennaio 2019

Mostruosità umana

E’ un mondo davvero curioso quello in cui viviamo: un intero Paese è rimasto bloccato da 49 persone, l’Europa e in particolare l’Italia e Malta hanno fatto l’ennesima pessima figura, confermando la loro inettitudine ad affrontare e risolvere quelle che dovrebbero essere questioni banali, e noi non abbiamo ancora imparato la lezione. Ormai non si tratta più di una battaglia di ideali, ma solo di ricerca di consenso: appena si tenta di dialogare sull’argomento immigrazione, si viene tacciati di “buonismo” e ogni commento diventa polemica, lacerando ancora di più le parti in gioco; del resto questa situazione è figlia di una costante campagna elettorale e propagandistica di alcune delle principali forze politiche. Gli unici a pagare realmente il prezzo di queste continue discussioni, slogan e tentennamenti sono proprio le vittime della tratta, che sono costrette ad allungare la loro odissea, in condizioni disperate. E noi? Non siamo diversi dalla massa, la questione non ci interessa, è un problema lontano, come fu distante, a suo tempo, il caso della nave Diciotti. Infatti, siamo impegnati in faccende più importanti come per esempio parlare di noi stessi: passiamo quindi il tempo libero a vantarci, a viziare l’ego mostrando i nostri risultati e coltiviamo una singolare forma di narcisismo patologico sui social.

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Edizione 2 n°2

Gennaio 2019

Non è raro domandarsi, ad un certo punto della propria esistenza, quale sia il senso di quest'ultima: faticare, studiare, lavorare, creare una famiglia, con la consapevolezza che tutto questo sia soggetto ad una caducità angosciante e che, con la morte, inevitabilmente scomparirà, senza lasciare nessun segno del proprio passaggio.

Una risposta la si può trovare leggendo l'ultimo capitolo di "Sette brevi lezioni di fisica" di Carlo Rovelli, fisico ed autore italiano. In poco meno di sessanta pagine è capace di provocare domande e di dare, nelle ultime righe, una grande ed unica soluzione.

Dopo aver descritto brevemente le grandi scoperte della fisica degli ultimi cent’anni, presenta un quesito riguardante l'importanza dell'uomo in mezzo a questo sconfinato ed arabesco disegno universale, di cui il nostro sistema solare compone solo la minima parte. E la risposta che si può dedurre è apparentemente semplice: il senso della vita sta proprio nel sottostare alle regolarità della natura e alle leggi della fisica, che ci fanno nascere e morire.

In altre parole, le nostre fatiche, le nostre emozioni ed i nostri sogni non sono insignificanti perché parti integranti della natura, quindi soggette ad un tempo breve e finito, ma sono importanti proprio per questo: fanno parte della natura, sono la natura; esattamente come il Sole e tutte le altre stelle, un po' come diceva il filosofo olandese Spinoza. E chi ha il coraggio di dire che il Sole sia insignificante? Eppure, anche lui, come tutte le stelle, si spegnerà.

Quindi noi siamo parte della stessa natura che leggiamo e studiamo sui libri, in una delle sue infinite e varie manifestazioni, forse una delle più curiose, e nessuno si permetterebbe di dire che quel che è presente sul nostro libro di scienze sia insensato. Immersi in questa natura siamo quindi a casa, una casa composta dalle stesse particelle e dagli stessi legami di cui siamo composti noi stessi. E così come la natura ogni giorno ci stupisce, mostrandoci la sua potenza e personalità sconfinata, anche l'uomo ha dentro un mondo sorprendente, capace di amare senza alcun limite, di soffrire, di ridere e di gioire, ed è forse questo che rende la vita preziosa. Inevitabilmente effimera, e per questo preziosa e da valorizzare.

Amina Owis, 5^B

Nella fisica, il senso della vita

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Edizione 2 n°2

BELLA DOMANDA!

La scuola senza studenti non esiste, ma senza studenti attivi non si evolve. Che cosa significa? Semplicemente che lo scopo dello studente non è quello di essere “imboccato” di sapere o di assorbire nozioni senza alcun confronto. Ogni tanto alzare la mano e porre una domanda può essere una svolta per la lezione, andando ad approfondire argomenti che altrimenti non verrebbero mai trattati. Se il problema sta nel fare una domanda, basta ricordarsi che non esistono domande stupide, se non quelle delle quali non siamo disposti ad ascoltare le risposte. Un altro fatto che rischia di limitare la nostra curiosità è la prepotenza dei social, che danno l’impressione di soddisfare le nostre domande ancora prima di potercele porre, inoltre danno la facoltà a chiunque di “sfornare” una propria verità non necessariamente valida e fondata su dati certi: basta che un video diventi virale e con un click la terra è improvvisamente piatta! Troppe verità e troppe poche certezze portano al cosiddetto relativismo assoluto, ossia la paradossale assenza di una verità valida per tutti. Questo non solo crea confusione ma rischia di impedire che ognuno sviluppi un proprio pensiero critico.

La scuola in questo ci aiuta in quanto palestra di vita, ma se noi non riflettiamo sulle domande che il mondo ci pone, rischiamo di arrivare alla maggiore età senza saper prendere posizione o fare scelte consapevoli, non suggerite dal vento. Le tematiche di attualità dovrebbero essere oggetto di grande interesse per noi studenti, in quanto sono la prospettiva di un futuro che, anche se sembra ancora lontano, non lo è. Dobbiamo prenderne coscienza ed essere più attivi e propositivi. Bastano solo pochi minuti al giorno per farsi un’idea veloce di cosa succede intorno a noi, vincendo svogliatezza e passività spesso attribuiteci. E ben venga il professore che ci stimola e ci interpella continuamente nelle lezioni, facendoci riflettere con la nostra testa. Per chi fosse interessato ad allargare i propri orizzonti e affinare lo spirito critico, c’è una grande opportunità di confronto tra oltre 1200 studenti provenienti dalle superiori di tutta Italia su importanti temi di attualità: dignità umana, questione ambientale e Unione Europea, in occasione delle Europee 2019 (con un’attenzione particolare ai maggiorenni). Sará condotto da docenti altamente qualificati e autorevoli personaggi del mondo della cultura, senza alcun orientamento politico o religioso. Si tratta della Scuola Formazione per Studenti (SFS), evento organizzato con cadenza triennale dal MSAC (Movimento Studenti di Azione Cattolica), patrocinato dal MIUR. Si svolgerà dall’8 al 10 marzo a Montesilvano (PE). È un’esperienza imperdibile, in quanto durante le attività di workshop e le conferenze, tutti avranno l’opportunità di fare più di una “Bella Domanda!”. Diversi di noi copernicani andranno, manchi solo tu! Per ulteriori informazioni contattateci, contiamo su di voi!

Letizia Bottani, 4^I Daniele Frigerio, 3^B

Margherita Barone, 3^B

Gennaio 2019

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Edizione 2 n°2

La pubblicità, ovvero: tutto il mondo mangia uova di gallina

“Le anatre depongono le loro uova in silenzio. Le galline invece schiamazzano come impazzite. Qual è la conseguenza? Tutto il mondo mangia uova di gallina.” (Henry Ford) Vi è mai capitato di ascoltare un bellissimo brano musicale, magari il vostro preferito, come sottofondo di una pubblicità di pannolini o di pasta adesiva per dentiera? Nel 2008 “All you need is love” dei Beatles è stata usata come colonna sonora di una pubblicità americana di una marca di pannolini; oggi L’Oreal Paris (non sto facendo pubblicità) manda in onda uno spot sulle note di “Don’t stop me now” dei Queen, mentre Dior sceglie i Rolling Stones con “She’s a Rainbow”. La pubblicità è persuasione che, servendosi di suoni, scritte e colori, deve emozionare, innamorare, sedurre. Con la massima originalità, la massima sintesi, il massimo dinamismo, aggancia la curiosità del pubblico, fino a fargli desiderare un prodotto. Lo aveva notato perfino Marinetti, fondatore del futurismo, nell’epoca dei grandi manifesti pubblicitari in stile Art Nouveau all’inizio del Novecento, quando la pubblicità dava sempre più importanza all’immagine e sempre meno alla scritta,

servendosi della nuova grafica in Stile Liberty per illustrare con gusto il prodotto commerciale, al punto di elevare il manifesto pubblicitario al rango di arte.

È passato un secolo da allora, e chissà quanti millenni da quando, come notava Cesare Marchi, il serpente cominciò a decantare a Eva la virtù della sua frutta: la pubblicità continua a invadere le nostre vite intasando le buche delle lettere, deturpando muri e giornali, invadendo la rete e interrompendo i programmi in televisione: o forse sono le pubblicità ad essere interrotte dai programmi televisivi? Come osservava Marshall McLuhan già negli anni ’60 del Novecento, la pubblicità è diventata il vero prodotto, e lo scopo del commercio non è più produrre beni, ma pubblicizzarli, al punto che la spesa pubblicitaria globale stimata nel 2018 è stata di 613,5 miliardi di dollari. Al di là del risvolto economico, la pubblicità produce una standardizzazione del consumo di massa che, in una parola, significa uniformità. Come mezzo per far spostare più velocemente un prodotto dagli scaffali di un supermercato alle borse della spesa, riduce l’uomo al ruolo di consumatore, che deve desiderare un prodotto ad ogni costo, indipendentemente dalla reale necessità di possederlo: la pubblicità deve innescare nella mente un “missile nel cervello”, che non ci faccia solo ricordare il prodotto, ma che ci spinga al suo acquisto. “La democrazia è in pericolo? Lo sapremo dopo la pubblicità.” (Ellekappa)

Francesca Bandi, 5^B

Gennaio 2019

Esempio di come una pubblicità di biscotti ha fatto crollare l’immagine del grande mito di Zorro

Manifesto pubblicitario di biscotti in Stile Liberty del 1897

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Edizione 2 n°2

L’ultima frontiera della politica

I social network e internet sono sempre più protagonisti delle nostre vite, non c'è dubbio, ma da qualche tempo sono diventati anche la vetrina dove i rappresentanti politici mostrano il meglio (o il peggio) di sé.

Il primo a usare le nuove piattaforme social per progetti politici è stato Barack Obama durante la sua prima campagna elettorale nel 2007, quando creò una pagina Facebook che oggi conta oltre 46 milioni di like, consacrando così Obama come politico più amato sui social. Ha avuto altrettanto successo anche la pagina ufficiale del presidente degli Stati Uniti @POTUS, da lui creata nel 2015.

L'attuale presidente Donald Trump, predilige l'uso di Twitter, dove spesso pubblica tweet con frasi a caratteri cubitali, immancabili insulti rivolti ai suoi avversari politici e non di rado pieni di errori grammaticali.

Anche in Italia siamo al passo coi tempi. L'esempio più significativo è l'uso spropositato dei social da parte dell'attuale Ministro dell'Interno Matteo Salvini.

Andando a sbirciare la sua pagina Instagram, che conta oltre un milione di seguaci, potremmo pensare di trovarci sul profilo di un food blogger, viste le numerose foto dei suoi pasti che pubblica regolarmente.

Anche il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Luigi di Maio si lascia andare a foto di questi momenti di quotidianità. Cosa c'entra però un “megababbà a forma di Vesuvio” (immortalato in un post del pentastellato il 24 Dicembre) con il lavoro? Nulla. Ma niente è a caso: delle foto del genere, per quanto possano sembrare prive di senso, mirano ad avvicinarsi ai propri elettori, mostrandosi a loro nei momenti di normalità quotidiana. Qual è del resto il potere più grande dei social network se non quello di avvicinare le persone?

Oltre alle proprie abilità culinarie però, è comunque presente una continua ricerca di consenso, sottolineata da ripetute domande e frasi ad effetto, come possiamo notare sempre nei post del Ministro dell'Interno, dall'”io non mollo!” allo “sbaglio??” (domanda chiaramente retorica), senza dimenticare i “bacioni” che è solito mandare ai suoi detrattori nei commenti.

Se pensate che il ruolo dei politici sia condividere più foto possibili delle proprie giornate, che nulla hanno a che vedere con il migliorare questo Paese, beh, forse la politica non fa per voi.

Dario Carretta, 3^A

Gennaio 2019

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Spesse volte ho sentito confondere la mera analisi di una situazione reale, e ancora più frequentemente la sua prognosi, prodotto di un’oggettiva e corretta - come poi il futuro, nella maggioranza dei casi, ha potuto dimostrare - interpretazione del presente e della logica e necessaria conseguenza di questo nel domani, con un atteggiamento di stampo pessimista nei confronti della situazione particolare, o addirittura dell’esistenza stessa, come spesso e volentieri intendono coloro che ci tengono a dar voce alle loro erronee ed affrettate sentenze. Voglio dunque chiarire, o quantomeno chiarirmi, di fronte a quelli che sono stati così poco attenti da credere, più volte nell’arco della loro vita, la semplice esternazione di un pensiero - sia esso stato a loro più o meno piacevole - fondato su basi razionali solide, capace di descrivere in tutta probabilità la realtà, o almeno in grado di enucleare un’analisi giudiziosa e personale, solo un’amara speculazione del proprio interlocutore. Soffermiamoci sulla più emblematica forma di pessimismo, quello esistenziale, e, partendo dalle premesse del caso, cerchiamo di comprendere come esso venga largamente frainteso oppure imputato in modo forviante. La realtà che quotidianamente interiorizziamo può, o no, essere interpretata dal singolo come manifestazione di un principio superiore-

sia esso divino, o più in generale spirituale - o solo frutto di casualità per definizione incontrollata e quindi priva di un ordine finalistico, senza che questo comporti necessariamente che una concezione sia più pessimista dell’altra. Di certo, è naturale che sentirsi qualcuno che ha senso in qualcosa di sensato sia molto più rassicurante per l’individuo, piuttosto che credersi una sola coscienza razionale inscritta nel corpo d’un animale più o meno sveglio che abita un insignificante pianeta del Cosmo: tuttavia, questa seconda concezione, a mio avviso più verosimile, non comporta una preclusione di fatto rispetto alla felicità personale, come da molti viene intesa in quanto tale. Questi molti sono coloro con i quali voglio chiarirmi: “pessimista” è la reazione, non la percezione. Se da un lato, credere se stessi come sola successione di pensieri che termina con la morte, senza poi un senso specifico contestualizzato nella natura se non in funzione dei posteri, ovvero della Storia - anche qui avremmo di cui parlare! -, porta all’immediata reazione: “esistere è una condizione infelice”, oppure “l’auto-coscienza conduce all’infelicità”, dall’altra apre gli orizzonti alla prospettiva più pura di libertà. In un certo senso, cosa c’è di più vincolante dell’agire in funzione di un dopo? Libero arbitrio o no, cosa c’è di meno stimolante e infelice del pensare di dovere, o di dover volere, piuttosto che volere? Detto questo, sarebbe di certo erroneo ritenere pessimista chi sorride senza aver paura del niente, sebbene niente rimanga. Insomma, al crepuscolo del mio percorso scolastico posso affermare, quantomeno per ora con una certa sicurezza, che Esistere sia come il pomeriggio prima del giorno di una verifica alla quale non si sa se verrà o meno assegnata una valutazione. Libertà è stare a casa e studiare? Libertà è uscire con amici? Libertà è poter scegliere cosa fare? Poco importa. È potenzialmente ognuna di queste cose, e nessuna di esse, ma di certo sappiamo che può essere magnifico credere che, qualsiasi cosa si decida di fare, un voto non ci sarà. Poi se ci dovesse essere e si ha studiato non può che andare da Dio.

Tommaso Brambilla, 5^G

Edizione 2 n°2 Gennaio 2019

All’orale di umanità

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Edizione 2 n°2

Rialzarsi in silenzio Gennaio 2019

Il mondo della pallacanestro a stelle e strisce, il mondo dell’Nba, non ha mai avuto una risonanza così elevata nel nostro Paese, almeno fino a quando Tele+, l’equivalente dell’odierna Sky, ha iniziato a far conoscere le gesta di Michael Jordan e dei suoi Chicago Bulls sugli schermi delle nostre case negli anni ’90. Ecco, i Bulls: i tori della “Windy City” sono una delle franchigie più note ai molti, assieme ai Lakers di Los Angeles ed ai loro acerrimi rivali che giocano nella Eastern Conference, i Boston Celtics.

Ma queste tre squadre, negli ultimi anni, non collezionano più i classici anelli dei vincitori; da ormai cinque anni, infatti, la Lega (no, non quella di Salvini) è nelle mani dei Golden State Warriors. La squadra di Oakland ha vinto tre degli ultimi quattro scontri per la vittoria del titolo contro i Cleveland Cavaliers del Prescelto LeBron e può contare in squadra mostri sacri come Steph Curry e Kevin Durant. Ma siamo sicuri che lo strapotere degli Warriors provenga dal cinismo di Klay Thompson, dalla cattiveria agonistica di Draymond Green o dal talento di Curry e Durant? Negli stessi campi in cui KD va a schiacciare in transizione, in cui Curry e Thompson macinano punti con innumerevoli tiri da tre e Green si fa sentire sotto canestro, si aggira, con il numero 34, l’anima silenziosa del gruppo, portavoce di una storia unica nella pallacanestro: Shaun Livingston.

Shaun nasce a Peoria, in Illinois, a metà degli anni ’80 e non passa un’infanzia difficile tra le strade di quartieri malfamati, a differenza della maggior parte dei cestisti americani; tutto sembra andare per il meglio, ama il basket, ama creare il gioco

anche se supera i due metri d’altezza ed alcuni azzardano paragoni con Magic Johnson. Nel 2004 si rende eleggibile per il Draft, la serata estiva nella quale i sogni di 30 ragazzi, americani e non, si realizzano: Shaun è uno di quelli e viene scelto con la quarta scelta assoluta dai Los Angeles Clippers. Bè, Los Angeles… niente male. Vive le sue prime stagioni senza clamore, guadagnandosi il rispetto dei veterani a suon di ottime prestazioni, pur partendo dalla panchina; è esattamente dove sognava di essere da bambino, su un parquet ad amare il suo lavoro, la sua passione. Poi, il blackout. Il 26 febbraio 2007 allo Staples Center si gioca Clippers - Bobcats; di certo non si scontrano due corazzate, ma Livingston è titolare, ha rubato il posto a Sam Cassell: è la sua occasione. Quando non sono passati neanche 4 minuti dall’inizio della gara, Shaun sta andando a segnare in contropiede, ma qualcosa va storto: si appoggia al difensore e cade male, molto male. L’esito ha dell’incredibile: si rompe due legamenti crociati, il legamento collaterale mediale, il menisco laterale e si lussa una rotula: l’ipotesi amputazione viene presa seriamente in considerazione. Dopo un anno e mezzo torna a correre su un parquet Nba, ma nessuno lo considera più un giocatore “normale”, tant’è che in quattro anni cambia nove squadre. Ma, come si è potuto facilmente intuire, il play di Peoria non è uno che molla facilmente: nel 2014 si accasa ai Warriors, con i quali vince 3 titoli. Shaun non è mai sulle copertine delle azioni salienti, non lo chiamano per intervistarlo, in pochi comprano la sua canotta. Livingston è un vincente silenzioso di cui si dovrebbe parlare di più, perché ciò che ha passato non può essere altro che fonte d’ispirazione ed ammirazione. Il ragazzino che sognava l’Nba ha rischiato di perdere una gamba per fare ciò che ama ed ora vince con tutte le ossa integre. From hell to paradise, firmato Shaun Livingston.

Cesare Milanti, 5^H

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Edizione 2 n°2

F•R•I•E•N•D•S: madre delle serie tv

Gennaio 2019

Con l'avvento di piattaforme come Netflix, oggi il confine tra cinema e serie tv è andato assottigliandosi sempre di più, il mondo cinematografico è stato letteralmente invaso dal genere seriale.

Ma come siamo giunti a questa "epoca d'oro delle serie tv"?

Creata da David Crane e Marta Kauffman, Friends è una delle più emblematiche serie tv degli anni '90, una novità che con le sue differenze stupì il pubblico, ottenendo un successo mai visto. Parliamo di una delle serie più note e amate di quegli anni; una serie innovativa che ancora oggi riesce a influenzare notevolmente il mondo delle sitcom, gettando le basi per i futuri successi. Si pensi, per esempio, ad How I Met Your Mother, forse il caso più evidente di serie "figlia" di Friends, che condivide con essa più analogie di qualunque altra.

Fino agli anni '90 nel mondo televisivo spopolavano le serie comedy, ultime arrivate: Sabrina vita da strega e Willy il principe di Bel-Air; ma il debutto di una nuova sitcom avrebbe presto influenzato, anzi, rivoluzionato i canoni di questo genere televisivo. Il 22 settembre 1994, il pubblico americano assistette al grande esordio di una serie, targata NBC, che possiamo considerare la "Madre delle sitcom": Friends.

In Friends, per la prima volta, la storia viene strutturata al di fuori del contesto familiare, introducendo il tema dell'amicizia e del passaggio alla vita adulta.

La storia gira intorno a cinque ragazzi comuni, tra i 25 e i 30 anni, alle prese con la vita di tutti i giorni; così le vicissitudini dei protagonisti attirano direttamente l'empatia del pubblico, che subito si immedesima negli stessi percorsi sentimentali o professionali. Il punto forte di questa serie sono proprio i personaggi, che fin dal primo episodio ci vengono presentati come realistici, e non solo. Ross, il ragazzo intelligente e pignolo; Monica, competitiva perfezionista; la bella e viziata Rachel; Phoebe, spirito libero strampalato; il playboy, Joey, ragazzo buono e forse un po' ingenuo; e infine Chandler, l'insicuro re del sarcasmo. Tutti hanno personalità realistiche e perfettamente credibili, ma in loro ritroviamo anche noi stessi, i nostri modi, le nostre ossessioni e debolezze: con questa serie, per la prima volta, il pubblico si identifica e cresce insieme ai suoi personaggi. Friends nasce come sitcom, leggera, ironica, che non scivola mai nel volgare, ma, nella sua completezza, ci presenta un quadro perfettamente credibile del mondo, che non ci illude che nella vita andrà sempre tutto bene, ma ci prepara anche a delusioni e cambiamenti. Dopo 10 stagioni, questa meravigliosa storia di crescita e maturazione giunge al termine, e i produttori ci rendono ancora una volta parte di questo processo. Ormai cresciuti, giunge il momento di trasferirsi e iniziare un nuovo capitolo: i nostri personaggi hanno ormai una carriera o dei figli a cui pensare e devono dire addio a quegli amici che per anni sono stati la loro famiglia.

Lucia Bottana, 5^A

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“La vita comincia alla fine della tua zona di comfort” A pronunciare questa affermazione così perentoria è stato un autore americano, Neale Donald Walsch, che, sebbene sconosciuto ai più nel nostro paese, vanta una considerevole fama oltreoceano come guru e scrittore. L'attenzione non deve, però, esser focalizzata sul chi, ma sul cosa. Questa è, infatti, solo una delle innumerevoli frasi che ci vengono ripetute, fatte masticare, stampate in mente, inculcate fino quasi all'esaurimento, ogni singolo giorno. Ricolmi, siamo continuamente spronati a fare, dare di più, osare, osare, osare, perché la vita è una e si tende sempre a rimpiangere le azioni mai fatte anziché quelle portate a termine. Eppure, quante volte ci si è fermati a riflettere davvero su cosa sia, questa fantomatica “zona di comfort”? Forse che essa abbia confini reali? Forse che sia possibile espanderla? Forse che non sia la stessa per tutti? È tempo di fare chiarezza. La cosiddetta zona di comfort è una condizione mentale nella quale ci si sente a proprio agio e nel pieno controllo della situazione, non si provano né ansia né stress. In pratica, possiamo tracciare i confini della nostra area semplicemente chiedendoci cosa faremmo senza tentennamenti, senza provare quella – leggera o meno – sensazione di disagio. Ciò varia incredibilmente da persona a persona. Basti pensare a coloro che si sentono profondamente imbarazzati a parlare al telefono, a svolgere un esercizio in palestra, a chiedere ad un esponente del sesso opposto di uscire assieme per un caffè, a parlare davanti ad un piccolo pubblico, a complimentare il vestito di uno sconosciuto incrociato per strada. Per alcuni, queste azioni sono qualcosa di totalmente naturale e, forse, scontato; per altri sono impossibili

Gennaio 2019 Edizione 2 n°2

Non comfortiamoci!

anche solo a pensarsi. La domanda che sorge spontanea, a questo punto, è da cosa derivino queste diversità. Partendo dal presupposto che alcuni siano stati educati sin da bambini ad avventurarsi al di fuori da questo confortevole territorio mentale, è superfluo specificare come essi siano proprio i ragazzi e gli adulti con una maggior “abitudine al non abituarsi”. Largamente portati a mettersi in gioco, accettano lo stress e l'ansia dati dall'uscita dell'area di comfort come una sfida positiva per la loro crescita. Con il passare del tempo, le azioni che portavano a disagio e incertezza, facenti parte della zona detta “di crescita” – lo spazio al di fuori della prima area – diventano naturali e conseguentemente inglobate nella zona di comfort che subisce, quindi, un'espansione. Le aree d'azione sono tre: la prima, già largamente citata, di comfort. La seconda, di crescita; chi si avventura qui, utilizza lo stimolo di inadeguatezza e inesperienza per imparare come comportarsi in quella determinata situazione, crescendo, appunto. La terza è la zona di panico; essa si trova oltre quella di crescita e si verifica nel momento in cui lo stress portato dal compiere una determinata azione è talmente alto da causare una sorta di collasso mentale. Panico. Il cervello non pensa più. Bianco. Reset. Il trucco sta nel capire quanto ci si possa spingere al di fuori della prima zona, senza finire nella terza. Dopo aver passato abbastanza tempo nell'area di crescita, essa diventerà confortevole e, ad un tratto, si sarà in grado di osare un minimo in più. E chi lo sa che, magari, nel tempo, tutti questi piccoli passi non possano anche portare, per esempio, alla pubblicazione di un proprio articolo.

Sara Bettini, 5^C