La lotta naxalita in India

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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE E INTERNAZIONALI LA LOTTA NAXALITA IN INDIA Relatore: Prof. Andrea Francioni Tesi di Laurea di: Lorenzo Romizi

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE E

INTERNAZIONALI

LA LOTTA NAXALITA IN

INDIA

Relatore:

Prof. Andrea Francioni

Tesi di Laurea di:

Lorenzo Romizi

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Anno Accademico 2012-2013

Indice

1.La rivolta ……………………………………..………… …………...…...…...…..... 3

2.L’India coloniale e indipendente………………………………...…..………………4

3. Il problema della terra in India ……………………………… …………...….….…13

4.Le comunità tribali e i Santal ………………………………… ………………..…...17

5.Il contesto internazionale …………………………………… ………….…...……..21

6.Contesto culturale e politico del Bengala Occidentale ……………………………. 22

7. Il pensiero di Mao e le sue influenze in India…………………………...…...….…24

8.CPI(M),CPI(ML) e i partiti di Sinistra…………………………………..…......… 25

9. La repressione dei rivoluzionari e la diffusione della lotta ……………………...…30

10.Dissensi interni e sgretolamento del Partito Comunista ……………………….…33

11.Interpretazione “essenzialista” e “residualista” …………………...……...………39

12.Il Naxalismo oggi ………………………………………………………….....…..43

13.Conclusioni ………………………………………………………………...……..56

Note ……………………………………….………………………………………58

Bibliografia …………………….…………………………………………………63

Sitografia ………………………………………………………………………….68

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3

1. La rivolta

Il 3 Marzo 1967, nella località di Naxalbari, villaggio dell'India di 1.763 abitanti,

situata nel distretto di Darjeeling, nello stato federato del Bengala Occidentale,

accadde un fatto destinato a cambiare le sorti della popolazione locale e dell’intero

subcontinente indiano.

Circa 150 contadini armati di archi e frecce appartenenti alla tribù dei Santal (di cui si

parlerà in seguito) occuparono un latifondo circondandolo di bandiere rosse e

affermando il loro diritto di lavorare quella terra, stanchi dei soprusi di cui erano stati

da sempre vittime.

Un episodio apparentemente normale in una nazione giovane, di recente indipendenza,

generalmente ascrivibile alla riottosità delle masse sfruttate, ebbe in questo caso un

seguito importante perché dette inizio a una rivolta su larga scala i cui echi sono

tuttora vivi non solo nelle cronache locali ma anche nelle coscienze di tutti i

movimenti che anche adesso, nel XXI secolo, si trovano a combattere gli esiti

d’ingiustizia portati dal liberismo post-coloniale.

In sé, quello di Naxalbari fu poco più di un tumulto – una ventina di morti in tutto –

tra l’altro fallito da un punto di vista militare. Il contesto economico, storico e politico

ne ingigantisce il significato. Represso dal governo locale (cioè dal Partito comunista

ufficiale), fu invece celebrato dalla Repubblica Popolare Cinese.

“Durante tutto il mese di Giugno 1967, la radio di regime cinese annunciava: «Il

tuono di Primavera fa tremare l’India», cui fecero eco diversi editoriali sul

Quotidiano del Popolo in cui si condannava la repressione operata dal PCI (M) nel

Bengala Occidentale”. (1)

Sarà una piccola scintilla destinata a incendiare una vasta prateria.

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E’ necessario però fare un’analisi del contesto storico e dell’ambiente sociale rurale

nel quale questa rivolta si era prima radicata per poi esplodere in episodi di cui quello

di Naxalbari rappresenta solo l’epilogo.

2. L’India coloniale e indipendente

I primi insediamenti nell’attuale stato indiano avvennero circa cinquemila anni fa nel

bacino dell’Indo (o, com’è meglio scrivere nel bacino del Ggaggar-Hakra, immenso

fiume fossile parallelo all’Indo) per opera dei Dravidi. Attorno al 2000 a.C. vi

s’insediarono, grazie alla loro supremazia militare, gli Arya, popoli indo-europei

originari della Russia meridionale. La loro società era divisa in varna, gruppi sociali

che poi dettero luogo alle caste.

Nel quarto secolo il territorio fu occupato nella parte Nord-Occidentale da Alessandro

Magno seguito poi dall’invasione araba nell’ottavo secolo. Tra il dodicesimo e il

diciottesimo secolo si ebbe la conquista islamica (all’inizio del sedicesimo secolo fu

fondato l’ultimo grande impero, quello del Gran Moghul che durò circa tre secoli).

Nel frattempo era già iniziata la penetrazione europea grazie alla spedizione del

portoghese Vasco da Gama nel 1498.

L’insediamento europeo avvenne inizialmente solo nelle coste e con l’appoggio del

Moghul.

Tra la fine del 1757 e la prima metà dell'ottocento, la Gran Bretagna si espanse in

India gradualmente e incessantemente. Il Government of India Act del 1858 ratificò la

fine dell'impero Moghul, dopo la deposizione dell'ultimo imperatore Muhammad

Bahadur Shah, e trasformò l'India in una colonia britannica sotto l’autorità di

un viceré. La Compagnia delle Indie Orientali, organizzazione britannica che aveva

detenuto il monopolio sui commerci asiatici, trasferì il suo potere al governo di

Londra. Nel 1876 la regina Vittoria fu proclamata imperatrice delle Indie.

L'India rimase sotto il dominio inglese all'incirca due secoli e per la prima volta

l'intera nazione fu unificata sotto un unico stato.

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Nel 20esimo secolo in tutto il mondo si diffusero idee nazionaliste e l’India stessa ne

fu colpita, i cittadini indiani (che mai riuscirono a integrarsi con i coloni britannici)

iniziarono movimenti di protesta per ottenere diritti civili e politici. Le proteste

confluirono nel National Movement alla guida del quale, nel 1920, fu posto Mohandas

Karamchand Gandhi. Fu proprio quest’ultimo a dare una svolta tramite l’utilizzo della

resistenza non-violenta (satyagraha).

I suoi ideali permearono la popolazione indiana che vi aderì in massa, le

manifestazioni del movimento nazionalista di Gandhi costrinsero gli inglesi a

promettere all'India la concessione dell'indipendenza, a cui effettivamente si giunse il

15 agosto del 1947.

Nel frattempo la Muslim League si era battuta per la costituzione di uno stato

islamico. Dalla spartizione dell’India derivarono, infatti, due entità: il Pakistan (a

maggioranza musulmana) e l’Unione indiana (a maggioranza indù).

Questa spartizione sarà all’origine di scontri cruenti e dell’esilio volontario o della

deportazione di milioni di persone. Il 30 gennaio 1948 il Mahatma Gandhi fu ucciso

da un fanatico indù che lo reputava troppo moderato e indulgente verso i musulmani.

Il potere fu quindi affidato all’erede spirituale di Gandhi, Pandit(maestro) Jawaharlal

Nehru. Egli fu Primo Ministro e Segretario del Partito del Congresso Nazionale

Indiano fino al 1964. Attuò un programma di riforme progressiste, socialisteggianti e

laiche. Era lui il leader ufficiale ma il controllo effettivo nel partito era esercitato da

Vallabhbhai Jhaverbhai Patel detto Sardar, rappresentante conservatore delle caste

contadine dominanti e di tendenza confessionale indù.

Questo equilibrio precario ai vertici del Partito di maggioranza causò l’incapacità da

parte del popolarissimo Nehru di portare a termine numerose riforme in ambito

industriale e rurale. Egli propugnò un’economia mista pubblica - privata organizzata

in piani di sviluppo quinquennali (sulla scia dell’U.R.S.S.) che irritò non poco la

potente ala destra del partito che riuscì ad allontanare i collaboratori più di sinistra del

Presidente.

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“Il primo Piano quinquennale del Dicembre 1952 andava direttamente contro gli

interessi dei contadini ricchi e dei mercanti (due figure che, talvolta, coincidevano

nella medesima persona). Costoro avevano un immenso peso politico all’interno del

Congresso (attraverso legami di tipo familiare, di casta o d’interesse privato). Gli

strati dominanti del mondo contadino avevano, quindi, i mezzi per frenare le riforme

volute da Nehru. D’altra parte, gli strati subordinati, che da tali riforme avrebbero

tratto beneficio, non avevano il grado di coesione sociale e di organizzazione politica

per mobilitarsi”. (2)

Nell’Aprile del 1955 l’Egitto di Nasser, la Jugoslavia di Tito e l’India nehruviana

fondarono il “Movimento dei paesi non allineati” (durante la Conferenza di Bandung,

Indonesia) come risposta alla S.E.A.T.O. (Southeast Asia Treaty Organization),

organizzazione militare fortemente voluta dagli USA nel Sud-Est Asiatico.

Nel 1962 l’invasione da parte della Cina nella regione nord orientale indiana

(Ladakh), e la sconfitta delle forze militari indiane rappresentò l’inizio del declino

politico di Nehru che due anni dopo morì.

Nel biennio seguente il potere fu retto da un pool di notabili (il cosiddetto “sindacato”)

che applicò una politica di privatizzazione nel settore industriale, abbandono della

pianificazione, soppressione del controllo statale sui piani di sviluppo delle grandi

aziende, indirizzamento di sussidi verso le grandi elite agrarie e i grandi capitalisti.

Furono delle vere e proprie controriforme che favorirono la trasformazione

capitalistica delle campagne, assecondando la “rivoluzione verde”accessibile solo ai

detentori di grosse quantità di capitali (fu questa politica che dette avvio alle

disuguaglianze oggi presenti, incrementate dalla dipendenza dell’economia indiana

nei confronti degli Istituti Finanziari Internazionali).

Nel 1966 fu nominato Primo Ministro Indira Gandhi (figlia di Nehru) sulla scia

dell’enorme popolarità della quale godeva il padre.

Alle quarte elezioni generali del 1967, però, il Partito del Congresso ottenne uno

scarso risultato, ottenendo la maggioranza in solo una delle due camere e, a livello

statale, in solo otto dei sedici stati dell’Unione.

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La situazione era di forte incertezza perché il partito era spaccato in due: una fazione

di destra molto attiva e potente (incarnata dal “sindacato”) e un’altra fazione ostaggio

dell’estrema sinistra.

Il neo-primo Ministro agì in maniera muscolare contro il sindacato riesumando le

politiche socialiste del padre. Nel 1969, dopo la vittoria della destra alle consultazioni,

al fine di assicurarsi il consenso dei socialisti e dei comunisti, Indira Gandhi prese una

decisione storica: nazionalizzò le quattordici maggiori banche indiane (di proprietà

delle più importanti famiglie capitaliste indiane). Lo stato acquisì quindi la proprietà

delle banche e ne controllò direttamente gli affari, suscitando, tra le altre, le ire

dell’amministrazione americana.

“Indira era nelle mire di Nixon e della C.I.A. e temeva di fare la fine di Salvador

Allende sostituito da un colpo di stato sponsorizzato dalla CIA, con il generale

Pinochet” (3.)

Questa nazionalizzazione del sistema creditizio aveva anche lo scopo di indirizzare il

credito verso le piccole e piccolissime imprese manifatturiere e rurali (solitamente

ostaggio degli usurai).

“I crediti, così distribuiti sarebbero dovuti essere concessi non più in conformità a

garanzie d’ordine economico da parte del richiedente (ciò che avrebbe

automaticamente escluso gli strati più poveri), ma in base all’utilità sociale del

progetto per il quale si richiedevano i finanziamenti. In realtà, i crediti continuarono

a essere distribuiti, almeno nella maggioranza dei casi, in base ai tradizionali criteri

di economicità, quindi a beneficio dei medi e piccoli industriali e, soprattutto, a

favore delle élite agrarie. Il Congresso della Gandhi divenne una copia conforme del

Congresso di Nehru e, come quello, un’organizzazione che sposava la disponibilità

ad accettare a livello verbale audaci programmi di riforma con la volontà di

boicottarli in maniera coperta ma effettiva, al momento della loro concreta

attuazione, qualora andassero contro gli interessi dei gruppi sociali dominanti.”. (4)

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L’ala conservatrice del Partito uscì dal Congresso (avvicinandosi ai partiti di destra

propriamente detti) e il Primo Ministro fu appoggiato dall’esterno dai partiti comunisti

e da un partito Tamil, il DMK.

Questo riassetto delle forze politiche rese necessario uno scioglimento delle camere e

un ritorno al voto.

Nel Marzo 1971 le elezioni rappresentarono un plebiscito per la Gandhi che, forte

dell’amplissimo sostegno elettorale, dette una svolta autoritaria e arrogante al suo

esercizio del potere: “Il Congresso fu privato di una serie di funzioni di cruciale

importanza. Esso perse il ruolo di strumento di raccolta d’informazioni sulla

situazione reale della base sociale, quello di canale di trasmissione delle esigenze dei

quadri del partito nei confronti della leadership e quello di foro d’arbitrato fra i

molteplici e contraddittori interessi presenti nella società indiana. Ben presto si

assistette a degli insuccessi nelle riforme economiche e sociali, ai quali si

accompagnò il malgoverno in particolare di certi governi statali e fenomeni di

corruzione che finirono per coinvolgere i vertici stessi del partito, arrivando a

lambire lo stesso primo ministro”. (5)

Nello stesso anno (1971) scoppiò la guerra di liberazione bengalese che portò

all’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan. Indira Gandhi intervenne in sostegno

degli indipendentisti (appoggiata dai comunisti indiani tradizionali) mentre la Cina (e i

ribelli indiani filo-cinesi, ossia i naxaliti) si schierò col Pakistan.

Fu una posizione scomoda quella che si trovarono a dover prendere i ribelli comunisti

indiani perché, se da un lato dovevano sostenere la “madrepatria” cinese, dall’altro si

schierarono contro i loro compagni bengalesi, vittime dell’aggressione pachistana.

In seguito la carriera politica di Indira si complicò poiché nel 1975 fu ritenuta

colpevole di brogli elettorali e fu condannata all’interdizione dai pubblici uffici per sei

anni. Per risposta la Gandhi dichiarò lo stato d’emergenza nazionale, instaurando una

dittatura con i mezzi costituzionali del caso. Incarcerò gli oppositori, limitò il potere

dei magistrati, annullò la sentenza che le interdiva l’esercizio dell’attività pubblica,

censurò l’informazione e sospese le libertà politiche.

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Questi provvedimenti non fecero altro che velocizzare il suo declino; il

comportamento antidemocratico le valse l'alienazione del consenso del popolo che

non riconosceva più in lei un degno successore di Nehru. Il calo di consensi fu tanto

forte che nel 1977 il partito del Congresso perse il potere. Questo perché: “Le

politiche di riforma sociale promosse durante l’Emergenza avevano spaventato i

conservatori, le sospensioni delle libertà democratiche avevano disgustato i

progressisti, le riforme avevano raggiunto solo settori limitati delle masse.” (6)

La Presidente lasciò quindi la scena politica a un nuovo partito, il “Bharatiya Janata

Party” (B.J.P.), partito conservatore, fautore di una politica nazionalista e di difesa

dell'identità induista.

Nel 1980, con il nuovo partito da lei rifondato (Congresso Nazionale Indiano), Indira

Gandhi tornò al potere ottenendo il 43% dei consensi, 350 seggi su 529. Questo

esecutivo fu però funestato da una serie di avvenimenti negativi: peggior periodo di

siccità dal 1947, calo del 5% del PIL, aumento vertiginoso del processo

inflazionistico.

Per cercare di contrastare questi fenomeni la Gandhi, per la prima volta in assoluto,

fece ricorso ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale. Quest’ultimo si dichiara

un organismo creato per aiutare i paesi in difficoltà ma si è rivelato lo strumento

attraverso il quale gli USA hanno potuto imporre il proprio controllo sugli altri stati,

soprattutto quelli poveri. Poiché l’India fece ricorso a questi “aiuti”, in cambio dovette

applicare una rigida ricetta economica: riduzione delle spese sociali, aumento dell’età

pensionabile, congelamento o riduzione degli stipendi, aumento delle tariffe

pubbliche, aumento delle imposte, privatizzazioni e liberalizzazioni (per esempio sul

prezzo dell’acciaio e del cemento), coatta apertura alle importazioni. Il paese fu aperto

agli investimenti stranieri che nel triennio 1980-1983 passarono da otto a 65 miliardi

di dollari.

Nel 1984 esplose il problema dei Sikh del Punjab e Indira, per evitare un'autentica

secessione, diede ordine di snidare i ribelli asserragliati nel Tempio d'Oro di Amritsar.

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Per vendicarsi dell'oltraggio subito, i Sikh fecero assassinare Indira (31 ottobre 1984)

sulla soglia di casa.

Il giorno prima della sua morte, durante un comizio in Orissa pronunciò le seguenti

parole che suonarono come una profezia:

“I am here today; I may not be here tomorrow. But the responsibility to look after

national interest is on the shoulder of every citizen of India. I have often mentioned

this earlier. Nobody knows how many attempts have been made to shoot me, this have

been used to beat me. In Bhubaneswar itself, a brickbat hit me. They have attacked me

in every possible manner. I do not care whether I live or die. I have lived a long life

and I am proud that I spend the whole of my life in the service of my people. I am only

proud of this and nothing else. I shall continue to serve until my last breath and when

I die, I can say that every drop of my blood will invigorate India and strengthen

it.”(7)

Subito dopo l’annuncio della morte della leader, in tutta l’India scoppiò la caccia al

sikh (poiché i responsabili dell’omicidio erano esponenti di questo gruppo religioso).

Nella sola Delhi oltre 5000 sikh persero la vita, anche grazie alla complicità della

polizia. In questo clima sociale Rajiv, unico figlio in vita di Indira, prestò giuramento

come Primo Ministro di un’India anche economicamente allo sbando.

Rajiv abbandonò le politiche socialisteggianti che avevano caratterizzato la madre

(tramite una politica più liberale) dando spazio a una specie di tecnocrazia

accentratrice e personale. Favorì inoltre una linea di conciliazione nazionale allo

scopo di arginare le spinte centrifughe ai massimi livelli (soprattutto fra i sikh).

Le riforme economiche si concentrarono sull’abbassamento delle tariffe doganali,

incentivazione all’iniziativa e ai consumi privati, diminuzione della pressione fiscale e

abolizione del sistema delle licenze. Tutto ciò a discapito del welfare state degli strati

poveri che subì abbondanti tagli: “Il taglio delle tasse su ricchezza e pratiche

ereditarie insieme all’abolizione dei dazi sulle importazioni di prodotti tecnologici

come computer, televisioni e videoregistratori, segue le orme del Reaganismo che

aveva come scopo smuovere la povera India dal basso terreno in cui il socialismo

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l’aveva posta e farla correre sull’autostrada delle opportunità offerte dal trikkle

down e dalla veloce crescita economica” (8)

L’obiettivo delle riforme economiche era la classe media, che comprendeva all’epoca

circa settanta milioni di persone, portatrice di “un desiderio di emulare lo stile di vita

alla moda prevalente nelle nazioni sviluppate” (9)

Rajiv voleva “portare maggiore efficienza e stimolare la competizione, rinnovare le

strutture sclerotizzate dalla mancanza di concorrenza e dalla chiusura all’esterno…

estendendo i benefici dello sviluppo, il rinnovamento della società” (10)

Il debito però, nel corso degli anni Ottanta raddoppiò e questo non a causa

d’investimenti produttivi, ma di quelli che Emanuela Scridel definisce “sperperi

governativi” (11), tanto che il rapporto debito PIL toccò il 23%, la Rupia fu svalutata

del 55% rispetto al dollaro, l’inflazione arrivò al 13%. (12).

Il peggioramento economico fu dovuto alla privazione delle possibilità commerciali e

degli aiuti provenienti dall’URSS ormai al collasso.

Le vicende collegate al caso Shah Bano, lo scandalo Bofors e la calamitosa campagna

militare in Sri Lanka decretarono la fine del Governo Gandhi. Rajiv Gandhi

(soprannominato mister clean) fu ucciso nel 1991 dalle Tigri Tamil come ritorsione

per l’intervento indiano in Sri Lanka.

Ciò che Rajiv lasciò in eredità fu l’apertura incondizionata dello stato indiano alla

globalizzazione neoliberista, dovuta alle pressioni di un’emergente classe benestante e

del capitale internazionale in una situazione di debolezza politica dell’India.

Lo Stato cessò di creare posti di lavoro (gli investimenti pubblici stagnarono mentre

crebbero quelli privati), abolì tutte le licenze e i sussidi per le esportazioni, allentò i

vincoli sulle importazioni e sugli investimenti diretti stranieri, rese più difficoltoso

l’accesso al credito agevolato da parte dei piccoli coltivatori e operatori commerciali.

Le istituzioni finanziarie internazionali governavano ormai il paese assieme al

Governo.

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La reazione popolare a questa perdita di sovranità portò a un rinvigorimento di fedeltà

pre - moderne ossia a un ritorno a valori anti-secolari tradizionali, simboleggiati dal

BJP, partito tradizionalista, confessionale hindu, nazionalista e swadeshi (movimento

di derivazione gandhiana che sostiene la necessità di consumare in loco ciò che è

prodotto, senza acquistare merci estere).

Questo partito divenne nel 1991 primo partito d’opposizione e nel 1996 divenne

partito di governo sotto la guida di Atal Vajpayee. Egli si era sempre opposto alle

politiche liberiste e filo statunitensi dei governi precedenti e denunciava come l’India

fosse “schiava del FMI e dell’ordine mondiale capeggiato da USA e Giappone”. (13)

Nonostante i proclami populisti e di resistenza swadeshi alla globalizzazione neo-

liberista, una volta giunto al potere, il Primo Ministro Vajpayee continuò a seguire i

programmi di aggiustamento strutturale imposti dalle IFI attraverso una serie di

accordi con il WTO e direttamente con gli USA.

Nel 2004 le elezioni sono state vinte dalla coalizione del Partito del Congresso

capeggiata da Manmohan Singh. L’errore decisivo per la sconfitta del BJP fu aver

dimenticato il mondo rurale oltre ad avere accresciuto le tensioni intercomunitarie.

L’arrivo al Governo di Manmohan Singh, ex funzionario del Fondo Monetario

Internazionale fu salutato da Arundhati Roy con queste parole: “Today we have a

prime minister who has not been elected. He is a technocrat who has been nominated.

He is part of the Washington Consensus.”(14)

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3. Il problema della terra in India

Durante l’impero Moghul (dinastia imperiale islamica indiana che ebbe il suo culmine

negli anni 1526-1707) si consolidò il sistema pre-moderno di coltivazione della terra

caratterizzato dalla figura del mezzadro (detto raiyat) che coltivava la terra, tratteneva

il necessario per il proprio sostentamento e poi era costretto a dare il surplus

produttivo (se così possiamo chiamarlo) al detentore del diritto di rendita agricola, lo

zamindar (dal persiano zamin=terra e dar=possessore).

La gestione effettiva della terra era affidata a un intermediario, lo jotedar. Il raccolto

era dunque spartito nella seguente maniera: un terzo allo zamindar, un altro terzo allo

jotedar e il restante al mezzadro. La figura dello jotedar fu particolarmente invisa dai

guerriglieri rivoluzionari perché egli deteneva il libro dei prestiti.

La dominazione britannica non cambiò la struttura sociale rurale indiana perché

garantiva ordine e rispetto delle regole. Cambiò solamente il ruolo dello zamindar che

perse il suo diritto ereditario sulle terre (cosa non di poco conto perché causò una crisi

nella vecchia elite zamindar) e fu imposta una tassa permanente (permanent

settlement) che garantiva alla Corona una percentuale certa di guadagno con

l’obiettivo intrinseco di una riconversione capitalistica dell’agricoltura.

L o zamindar che non riusciva a raggiungere una produzione adeguata che potesse

soddisfare il permanent settlement (notoriamente soglia molto alta) perdeva la

proprietà sulla terra. (15)

Circa il 50% della vecchia aristocrazia zamindar (classe sfruttatrice ma presente ed

esperta) perse così la propria fonte di sostentamento nel giro di mezzo secolo e questo

favorì l’acquisizione delle terre da parte di gruppi indù di estrazione urbana e da parte

dei funzionari inglesi (completamente disinteressati e assenteisti).

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Come affermò nel 1829 Lord William Bentinck, Governatore Generale dell’India dal

1828 al 1835, “Se anche mancava la sicurezza contro i tumulti popolari o la

rivoluzione, direi che la "sistemazione permanente" [...] ha questo grande vantaggio

[...] di aver creato un vasto corpo di ricchi proprietari terrieri profondamente

interessati alla continuità del dominio britannico e con un controllo completo della

massa del popolo.” (16)

Per correttezza storica bisogna precisare che anche sotto l’Impero Moghul vi era la

consuetudine del nasaq (tributo fisso) ma gli esattori erano molto inefficienti, ossia

commisuravano il tributo dovuto alla situazione generale: condizioni climatiche,

eventuali carestie, specifiche condizioni sociali che influenzavano la produttività netta

delle terre soggette a tassazione.

Con il dominio britannico questa versatilità venne meno e si assistette a un generale

impoverimento dei contadini (ben più dei già citati zamindar) che, per corrispondere

alla necessaria quota, sacrificavano la sussistenza della propria famiglia. Il

protagonista di questa rigidità era il landlord (che diverrà poi landowner), interfaccia

fra coltivatori e Raj (con questo termine s’indica l’insieme dei domini diretti e

protettorati che il Regno Unito accumulò nel subcontinente indiano).

Ulteriore elemento destabilizzante fu la natura monetaria dell’imposizione, che prima

era corrisposta in natura.

Il paese fu così duramente colpito da carestie. Come si deduce dallo studio di

W.S.Lilley nel solo periodo 1875-1900 si contarono circa quindici milioni di morti per

carestia mentre, nello stesso tempo, le esportazioni di prodotti necessitanti alla

madrepatria registravano un netto aumento. (17)

“Historians who have examined the periodic famines that plagued India during the

colonial and modern periods have concurred with the Famine Commission that

occurrences of famine were not a function of food scarcity, nor were they a result of a

Malthusian imbalance between the size of India's population and the food producing

capacity of the land. Under British rule, the commercialization of agriculture that

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would be stepped up in the late twentieth century had already begun, with an

emphasis on industrial and export crops over food crops.

Wheat poured out of the Punjab, cotton out of Bombay, and jute out of Bengal. As

commercial agriculture and money economy spread, the older practices associated

with a self-subsisting economy declined. In some districts the peasant shifted over

completely to industrial corps, villagers sent to market the cereal reserves

traditionally kept for poor years. Years of successive droughts led to great famines

and agrarian unrest. The landless laborers who lived "from hand to mouth" could

scarcely feed themselves even in a good harvest year. As one agricultural laborer

from Bihar, India put it, "If you don't own any land, you never get enough to eat, even

if the land is producing well."(18)

E’ da porre l’accento sulla Grande Carestia del 1943 in cui, si calcola, morirono fra i

3,5 e i 3,8 milioni di persone. La causa principale di tale disastro fu, secondo il premio

Nobel per l’Economia Amartya Sen, un aumento sconsiderato del prezzo del riso

(dovuto a fenomeni speculativi collegati con la guerra in atto) che gettò nell’inedia

intere fasce di popolazione urbana e rurale. (19) (20)

In effetti, iniziò in questo periodo coloniale la parziale conversione dei campi in

colture adibite all’esportazione e sempre meno al consumo interno. Processo che

s’intensificherà, poi, nella cosiddetta Rivoluzione Verde del 1944. Questo fenomeno

portò alla conversione di colture miste, per il consumo interno, in monoculture

dedicate all’esportazione e collegate all’utilizzo di fertilizzanti, prodotti agro-chimici e

ingenti quantità di acqua.

La situazione si polarizzò portando a una netta distinzione fra un esercito di contadini

senza terra (relegato ai margini della società a causa della perdita dei diritti negoziali,

della progressiva riduzione delle terre di uso comune e del processo di migrazione

dalle città alle campagne) e una piccola elite di contadini ricchi spalleggiata dal

governo coloniale.

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Il processo di graduale pauperizzazione s’incrementò tanto che le condizioni

economiche (e non più quelle extraeconomiche) iniziarono a determinare i rapporti

sociali rurali; per esempio i contadini poveri furono costretti a produrre cotone

(finalizzato all’esportazione in Inghilterra) in luogo del miglio (prodotto di auto-

sussistenza).

Alla fine del XIX secolo in ogni parte del globo si assisteva a un inasprimento del

processo di occupazione e di commercializzazione delle terre che spinse i contadini a

organizzarsi in due rivoluzioni di portata internazionale: nel 1905 in Russia e nel

1910-1911 in Messico. In questi due paesi il processo di modernizzazione finì per

assorbire i contadini pauperizzati. (21) (22)

In Cina e in India le manovre di rapina finanziaria messa in atto dalle potenze

coloniali misero in moto un meccanismo che culminò nella Rivoluzione Cinese e nella

lotta d’indipendenza indiana.

In India la mancanza di terra (che all’inizio del XX secolo coinvolgeva circa

ottantacinque milioni di persone) era un tratto distintivo della povertà molto più di

quanto lo fosse l’analfabetismo o l’appartenenza alle caste o alle tribù.

Solamente dopo molti anni si poté avviare un ciclo di riforme in ambito agricolo

tramite i piani quinquennali (il primo dei quali redatto da Nehru nel 1951). Essi

perseguivano la redistribuzione della terra, la costruzione di canali d’irrigazione, dighe

e la diffusione di fertilizzanti per incrementare la rendita agricola.

Gli obiettivi della pianificazione furono disattesi poiché i capitali furono indirizzati

per lo sviluppo industriale e a favore dei grandi proprietari terrieri.

Poi, in seguito al ricorso ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale da parte di

Indira Gandhi nel 1980, furono poste delle condizioni ulteriormente sfavorevoli alla

classe lavoratrice e contadina indiana poiché furono imposte misure di

liberalizzazione e una generale apertura alle importazioni.

Page 17: La lotta naxalita in India

17

I braccianti, provenienti dalle caste basse indù e dal mondo tribale, furono anch’essi

danneggiati da questo scollamento fra impegni presi a livello statale ed effettiva

realizzazione. Tutte le leggi sul salario minimo non furono rispettate perché sia il

Governo centrale sia i vari governi statali erano politicamente legati ai grandi

possidenti terrieri.

Tutti quelli che non facevano parte dell’elite agricola erano completamente asserviti a

meccanismi di mercato che erano a loro sconosciuti e sui quali non avevano nessuna

voce in capitolo. S’intensificò l’indebitamento e l’alienazione dalla terra. (23)

4. Le comunità tribali e i Santal

Questo fenomeno riguardò anche e soprattutto le comunità tribali, dette Adivasi (dal

sanscrito a d i = originale; va s i = abitante). Con questo termine s’indicano gli

appartenenti ai popoli tribali indigeni indiani. Sono ufficialmente riconosciuti dal

governo indiano che, nella quinta appendice della Costituzione, li raggruppa nelle

“Scheduled Tribes”. In questa categoria sono annoverati gli emarginati dell’universo

indù. Giacché presenti in questa categoria, dovrebbero, almeno sulla carta, essere

soggetti a piani di sviluppo specifici. Secondo il censimento del 2001 la popolazione

appartenente alle “Scheduled Tribes” ammonta all’8,2% del totale. I popoli tribali

sono particolarmente numerosi negli stati indiani di Lakshadweep, Meghalaya, Orissa,

Madhya, Chhattisgarh, Rajasthan, Gujarat, Maharashtra, Andhra Pradesh, Bihar,

Jharkhand, Bengala Occidentale e negli stati dell'estremo nord-est come il Mizoram.

Page 18: La lotta naxalita in India

18

Percentuale della popolazione di Scheduled Tribes in India. In (http://tribal.nic.in/)

Essi avevano (e hanno) uno stile di vita con forti legami comunitari, salde solidarietà

culturali e bassa stratificazione e differenziazione interna. Non hanno nessuna

categorizzazione di casta all’interno del proprio ordine sociale, parlano lingue

differenti da quelle comunemente in uso nel subcontinente. Queste caratteristiche

fanno di loro un popolo a parte di origine pre-dravidrica, stanziatosi prima dell’arrivo

degli Arya.

Page 19: La lotta naxalita in India

19

Questi ultimi, considerati progenitori dell’attuale popolazione indiana (soprattutto

dalla letteratura indù) derivano da popoli indo-europei che si installarono nell’attuale

India attorno al 500 a.c. e dalla quale lingua deriva il sanscrito. La loro società era

suddivisa in quattro gruppi che andranno poi a costituire le quattro caste (varna).

Oggetto di ampie discussioni storiche è stato cosa accadde quando queste due

comunità s’incontrarono. L’attuale prevalenza della cultura degli Arya (dovuta in

origine anche alla padronanza di uno strumento fondamentale: il ferro) fa intuire che

questi ultimi scacciarono gli Adivasi, schiavizzandoli ed emarginandoli nelle zone più

impervie del sub-continente.

Essi si rifugiarono allora nelle foreste, zone che rimasero inaccessibili ai più, fino alla

dominazione britannica che fece di quelle zone, proprio perché inesplorate, una terra

fertile per lo sfruttamento minerale - forestale e incrementò la penetrazione di dikus

(stranieri) creando i primi presupposti per una rivolta.

Alla vigilia di Naxalbari, infatti, erano proprio gli Adivasi i più diretti beneficiari della

rivolta. Questo perché avevano poco da perdere e, eventualmente, molto da

guadagnare in termini di diritti sociali.

La questione tribale è stata spesso romanzata da un filone di studi romantico-

ecologista, in cui era rappresentato un popolo che viveva in perfetta sintonia con la

natura, con strutture sociali perfettamente egualitarie. Questa visione è stata spesso

criticata da analisi marxiste e leniniste perché favoriva una strumentalizzazione da

parte della maggioranza indù che, asserendo il venir meno da questa sintonia con la

natura, si scagliò contro l’opera corruttrice dei missionari musulmani e cristiani. (24)

Ma è da rilevare anche l’apporto fondamentale che gli Adivasi dettero alla causa

marxista-leninista in maniera duale: la lotta contro lo sfruttamento indiscriminato delle

risorse comuni e la lotta per l’affermazione della loro identità, per millenni rimasta

incontaminata dagli influssi dikus (l’assenza di struttura di casta ne è un efficace

esempio). Essi erano organizzati in vari movimenti (“Hill States Movement”, “Mizo

National Front Movement” , “Adhistan Movement” , “Jharkhand Movement”,

“Negaland Movement”). (25)

Page 20: La lotta naxalita in India

20

La prima grande rivolta che vide protagonista l’universo tribale, dopo l’indipendenza

dell’India, fu quella scoppiata fra il 1946 e il 1951, chiamata Telangana Movement,

nello stato principesco dell’Hyderabad. (26)

I l Telangana Movement chiedeva la fine della riscossione e degli sfratti forzati.

L’insurrezione era condotta dai comunisti ma si risolse in una carneficina, 4000 morti

ed esecuzioni pubbliche.

Fra le comunità tribali dell’India i Santal sono la più grande.

Essa è stanziata negli stati occidentali del Bengala, Bihar, Jharkhand e Orissa (questa

diffusione in varie regioni è dovuta alla loro pratica di agricoltura itinerante). Vi è

anche una significativa minoranza Santal nel vicino Bangladesh.(27)

Hanno la peculiarità, rispetto agli altri gruppi tribali, di cercare il coinvolgimento nella

politica per accrescere il loro potere negoziale. Sono esperti di agricoltura e

classificazione della terra ma il loro sistema, che non fu scalfito dai Moghul, fu

sconvolto dalla natura monetaria dell’economia inglese. Essi furono tra i promotori di

varie rivolte per la giustizia sociale, fra le quali l’Hul (in lingua santali significa

“Movimento di liberazione”).

Questa lotta, iniziata nel luglio 1855, era diretta contro lo sfruttamento e l’oppressione

operata dai governanti britannici e dai loro agenti locali, proprietari terrieri e poliziotti

ed è riconosciuta da molti storici e studiosi come il primo movimento di libertà e di

lotta dell'India. I leader Santal vi ricorsero dopo aver esaurito tutti i mezzi negoziali.

La repressione fu impietosa e portò a circa 20000 morti tra i Santal. In seguito a

questa rivolta ci fu una diaspora dei sopravvissuti che, trovando lavori precari nel

settore ferroviario, si stabilirono nella zona del Darjeeling (distretto in cui si trova

Naxalbari). Qui posero le basi della rivolta del 1967. (28)

Page 21: La lotta naxalita in India

21

5. Il contesto internazionale

Il 1967 (anno d’incubazione del 1968) fu, a livello internazionale, un anno di varie

problematiche che sfociarono in una coscienza di lotta da parte di molti giovani e

progressisti in generale. In USA, impantanati in Vietnam, si combatteva una guerra

interna che vedeva fronteggiarsi la futura classe dirigente da una parte e la polizia

dall’altra. L’attivismo politico dei movimenti di sinistra raggiunse il suo culmine e i

baby boomers condivisero le proposte pacifiste e moralistiche. Nel frattempo a Parigi

si ponevano le basi di quello che poi, di lì a un anno, sarà il Maggio Francese (1968)

in cui migliaia di persone si trovarono a manifestare (anche violentemente) contro

l’imperialismo, il capitalismo, la società tradizionale, il potere gollista. La rivolta si

estese talmente tanto che arrivò a coinvolgere non solo le due categorie

tradizionalmente più rivoluzionarie (studenti e operai) ma tutta la struttura sociale

francese.

In Italia la classe operaia di recente immigrazione unitamente agli universitari, dettero

l’incipit a una rivoluzione politica che si allargò a macchia d’olio, prima attaccando

l’Esercito statunitense e inneggiando a Mao, Ho Chi Minh, Che Guevara (che

diventarono emblema di tutti i dimenticati della terra, di tutti coloro i cui diritti erano

continuamente ignorati).Il 1967 è anche l’anno della guerra dei sei giorni in cui Israele

dimostrerà la sua potenza militare occupando la Palestina.

Il fattore Cina ovviamente influì e non poco; in quegli anni Mao mise in atto la

strategia del terrore e presentò gli obiettivi della Rivoluzione Culturale.

Fu soprattutto il modello cinese di emancipazione delle campagne contro la borghesia

cittadina unitamente al rigetto di quei quadri di partito imborghesiti che influirono

nella coscienza popolare.

Tutti questi fatti crearono un collante formidabile fra i vari movimenti indipendentisti,

studenteschi e dei lavoratori che si lasciarono affascinare dalle tendenze egalitarie

marxiste. L’India non rimase impermeabile a questi ideali con un’unica differenza

sostanziale: a differenza degli attivisti europei, gli indiani oppressi erano disposti a

morire pur di ottenere i loro scopi di giustizia sociale.

Page 22: La lotta naxalita in India

22

6. Contesto culturale e politico del Bengala Occidentale

Mappa del Bengala Occidentale,in

(http://www.mapsofindia.com/census2001/population/westbengal.gif)

Il Bengala Occidentale è uno Stato dell'India orientale. Confina a est con il

Bangladesh,a nordest con gli Stati dell'Assam e Sikkim e del Bhutan, a sudovest con

lo Stato di Orissa,a ovest con gli Stati di Jharkhand e Bihar, e a nordovest con

il Nepal. Questi confini, in particolare quello con il Nepal, si dimostreranno molto

importanti per il radicamento del movimento rivoluzionario. La città di Kolkata

(Calcutta) fu per molti anni capitale dell’India britannica (fino al 1911, quando la

capitale divenne Nuova Delhi) ma fu, al tempo stesso, la culla del movimento

indipendentista nazionale e il laboratorio dei movimenti politici e progressisti di tutta

l’India, che ne fecero la terra d’elezione dei militanti progressisti e comunisti. Era

Page 23: La lotta naxalita in India

23

descritta come la città dove un cittadino è un poeta, due sono un circolo culturale e

tre fanno un partito.

Per esempio, alle elezioni generali del 1967, il neonato partito comunista CPI (M)

riuscì ad ottenere tre ministeri nel nuovo governo dell’United Front (UF) che si

costituì in questo stato.

Qua si poterono diffondere ideali contro l’idolatria, la poligamia, i matrimoni

combinati (fra infanti o fra adulti e bambine), il sistema di casta, il dogmatismo

religioso.

Questo è in parte anche dovuto al processo di modernizzazione culturale e politica

derivante dall’occidentalizzazione che fu perseguita soprattutto dai bhadralok (classe

medio - alta di stampo conservatore che si costituì nel Bengala Occidentale grazie al

contatto con i dominatori inglesi; avevano la peculiarità di provenire da varie caste

differenti.) Essi erano interessati alla cultura occidentale, studiavano inglese e

consideravano l’Inghilterra un modello al quale ispirarsi.

Influssi dell’Illuminismo europeo furono impersonati da un importante innovatore e

leader culturale bengalese, Ram Mohan Roy. Fu l’ispiratore di campagne contro la

poligamia, l’idolatria, il sistema di casta e il famigerato sati (una pratica che

prevedeva che, una volta morto il marito, la vedova si bruciasse viva sulla pira

funeraria del marito; il rito era percepito come un atto di devozione). Quest’ultimo

venne, infatti, reso illegale dal Governatore Britannico.

Inoltre fu in questo stato che un intellettuale bengalese (Chunder Sen) dette avvio alla

battaglia per l’introduzione di un’età minima per il matrimonio.

Degno di nota è un innovatore religioso bengalese, Sri Ramakrishna Parahmsa,

conosciuto come il profeta dell’armonia delle religioni. Egli affermava l’uguaglianza

delle religioni mondiali che hanno tutte un fine comune e sono parimenti vere e

credibili. Il dogmatismo e la repressione religiosa erano quindi condannati come

impropria coscienza di dio. Le sue teorie (diffuse dal discepolo Swami Vivekananda)

Page 24: La lotta naxalita in India

24

influenzarono il Mahatma Gandhi, Nehru e personalità di spicco della Sinistra

mondiale dell’epoca.

Alcune politiche che vi furono applicate arrivarono addirittura a superare gli standard

europei.

In questo clima progressista, innovatore e illuminato si formarono molte personalità

che guideranno la Sinistra Indiana.

7. Il pensiero di Mao e le sue influenze in India

Le influenze del pensiero maoista negli stati asiatici e in particolare in India furono

rilevanti. Le caratteristiche di tale pensiero s’imperniarono sulla critica al

revisionismo e sull’importanza della politica come mezzo di risoluzione delle

problematiche.

Il maoismo vide nell’arrivo al potere di Kruscev l’inizio del revisionismo. Quella che

voleva apparire come una diatriba ideologico - dottrinaria era in realtà la valvola di

sfogo di tensioni geo-strategiche fra le due potenze asiatiche accomunate

dall’ideologia comunista.

“Negare i principi del Marxismo, negare le sue verità universali. Questo è il

revisionismo. Il revisionismo è una delle concezioni borghesi. I revisionisti

cancellano le differenze fra capitalismo e socialismo, fra dittatura della borghesia e

dittatura del proletariato. In realtà essi auspicano la linea capitalista, non socialista.

(29)

Differentemente dai dettami della Seconda e Terza Internazionale, Mao

(congiuntamente con Lenin) riteneva che la storia sia sotto determinata dall’economia

e non sovra determinata, ne derivava che il processo di transizione era un

procedimento politico.

Page 25: La lotta naxalita in India

25

“Stalin mette l’accento solo sulla tecnologia e sui quadri tecnici, ignora la politica e

le masse. Egli parla esclusivamente di economia, non affronta la politica.” (30)

Infine la cosiddetta “Teoria della campagna che accerchia la città”, applicabile in uno

stato prevalentemente agricolo com’era la Cina post-rivoluzionaria. Mao intuì che per

condurre la Rivoluzione di Nuova Democrazia contro l’imperialismo era necessario

liberare le campagne (con l’appoggio delle masse contadine) tramite l’esercito di

liberazione popolare per poi accerchiare sempre più in una morsa le aree urbane.

Questa strategia mette in luce che le basi di consenso maoiste erano quelle rurali.

L’adesione al Mao Tse Tung Pensiero fu una delle cause scatenanti delle divergenze

interne alla Sinistra Indiana.

8. CPI (M), CPI (ML) e gli altri partiti di Sinistra

Proseguiamo per gradi presentando le varie organizzazioni dei partiti di sinistra

presenti in India all’indomani dell’Indipendenza (1947). Nell’universo della Sinistra

Indiana erano presenti vari partiti:

l-Congresso Nazionale Indiano (Indian National Congress, I.N.C.) è un partito

politico indiano laico di centrosinistra ispirato alla socialdemocrazia e al liberalismo

sociale. Fu fondato nel 1885. Fu il riferimento politico nazionale del movimento di

indipendenza indiano, con più di 15 milioni di indiani attivi nelle sue organizzazioni e

più di 70 milioni aderenti alla sua lotta contro l'imperialismo britannico. Dopo

l'indipendenza del paese divenne il partito politico dominante. Era un movimento che

spaziava dal conservatorismo estremo ai fautori della pianificazione economica di stile

sovietico. Vinse nettamente le prime elezioni politiche generali del 1951-1952,

conquistando 364 seggi su 489 alla Lob Sabha (Camera del Popolo, Camera bassa del

Parlamento indiano). (31)

-Partito Socialista Rivoluzionario (RSP), piccolo partito politico indiano, ottenne

sempre risultati elettorali molto modesti. Ritiene terminata la rivoluzione democratico

Page 26: La lotta naxalita in India

26

- borghese in seguito all’Indipendenza e giudica l’India una nazione già

compiutamente capitalista, differentemente dai partiti comunisti.

- Il Partito Comunista dell'India (Communist Party of India CPI) Nel movimento

comunista indiano, ci sono opinioni diverse su quando esattamente il partito

comunista indiano è stato fondato. Ufficialmente il 26 dicembre 1925, ma il Partito

Comunista dell'India (Marxista), che si separò dal CPI, sostiene che il partito è stato

fondato in realtà nel 1920. Ritiene, contrariamente al RSP, che la rivoluzione

democratica è incompleta e che la borghesia nazionale è deputata a fare dell’India un

paese democratico e capitalista.

La sua adesione alle posizioni del Comintern (Terza Internazionale 1919-1943),

spesso non condivise dall’opinione pubblica indiana di sinistra, gli fece perdere molto

consenso portandolo a una frattura fra la fazione destra e quella di sinistra (che finì per

appoggiare la rivolta di Telangana).

Alle elezioni generali del 1951-1952 ottenne sedici seggi affermandosi come prima

forza d’opposizione e ottenne delle cariche nel neonato Governo del Kerala. Le insidie

però arrivarono proprio dal suo interno poiché la corrente più estremista (di chiaro

stampo maoista) denunciò il cosiddetto “deviazionismo parlamentarista filo-sovietico”

(si opponeva cioè alla decisione di candidarsi e seguire la via parlamentare).

Una fazione del CPI, il CPI (M), dichiaratamente filo-maoista, appoggiò la

Repubblica Popolare nella guerra cino-indiana del 1962 e, nel 1964, si staccò con una

scissione dal CPI andando a formare il Communist Party of India (Marxist), CPI (M).

Le sue linee guida sono il marxismo, l’anticapitalismo, l’antimperialismo e la

contrarietà alle forme della globalizzazione. Storicamente è forte nel Kerala, nel

Bengala Occidentale e nel Tripura (in questo stato governa dal 2007).

Nel 1967 il neonato CPI (M) si presentò alle elezioni locali in Bengala Occidentale

ottenendo ben tre ministeri nel nuovo Governo (di sinistra) dell’United Front (UF),

coalizione composta di rappresentanti del Congresso, CPI, Partito dei Lavoratori e,

appunto, CPI (M).

Page 27: La lotta naxalita in India

27

All’interno del movimento comunista indiano si è registrata storicamente una

dialettica molto viva tra le varie componenti. In merito alle posizioni da tenere nella

gestione del Governo si creò la prima frattura interna al partito. Infatti, Charu

Mazumdar, leader militante e più spiccatamente vicino alle richieste delle classi

contadine povere, si oppose alla presenza di rappresentati del CPI (M) nel governo del

Fronte Unito, sostenendo la necessità dell’attuazione della dottrina maoista della

“campagna che circonda la città”.

Le sue analisi si basavano essenzialmente sulla considerazione di una problematica

principale sulla quale intervenire il prima possibile: la persistenza di un sistema

economico pre-moderno in un’economia che si dichiarava capitalista.

In questo quadro l’unica regola di risoluzione possibile era l’insurrezione popolare (di

lavoratori, contadini, classe media e borghesia nazionale), guidata da un esercito di

liberazione popolare, volta alla destituzione della classe dirigente, delle elite agrarie e

d e i bhadralok (ceto sociale di nuovo conio che incarnerà la classe media filo-

occidentale particolarmente interessata alle riforme neo-liberiste). Lo scopo finale era

l’instaurazione di una dittatura democratica prima e di una comunista poi.

La stessa indipendenza dell’India era considerata una fake independence. Egli

giudicava l’India come un paese semi-feudale con una borghesia compradora al

servizio dell’imperialismo. Com’erano giustificate queste affermazioni?

Secondo Mazumdar lo stato di semi-colonialismo indiano era chiaro ed era dovuto ad

accordi segreti stretti fra il governo del Congresso e i britannici per salvaguardare gli

interessi in India dei capitalisti inglesi dopo l’indipendenza.

Le vie democratiche di rappresentanza, il parlamentarismo erano cioè giudicate

incapaci di rappresentare le richieste delle classi sociali meno abbienti e, in quanto

tali, dovevano essere boicottate. Gli stessi partiti indiani (quelli di sinistra compresi)

erano asserviti all’imperialismo neo-compradore e si erano rivelati opportunisti perché

deficitavano di ricette per la risoluzione della questione contadina considerata un

problema residuale. L’analisi dei rivoluzionari del CPM differiva da quella ufficiale

del CPM, giacché i primi giudicavano l’India, un paese semi-feudale e semi-coloniale.

Page 28: La lotta naxalita in India

28

Il “riformismo socialisteggiante” (di Nehru prima e di Indira Gandhi poi) fu visto

come la prova della politica fallimentare dei “revisionisti”, buona solo a disarmare le

masse popolari.

Il socialimperialismo sovietico, così come l’imperialismo statunitense erano segnalati

come antagonisti della giustizia sociale mondiale fra le classi lavoratrici.

Ne derivava un pieno appoggio agli ideali marxisti-leninisti e del Mao Tse Tung

Pensiero (come gli stessi comunisti cinesi ricordavano in opposizione al termine

Maoismo).

I dissensi interni al CPI (M) aumentarono tanto che i gruppi rivoluzionari ruppero

ogni collaborazione col partito e si riunirono, nel 1968, in un Comitato, “All India

Coordination Committee of Communist Revolutionaries” (A.I.C.C.C.R.).

Il Comitato fu oggetto di una brutale repressione da parte del Governo centrale e dei

governi locali, fatto che rafforzò la forza centrifuga dei rivoluzionari dai partiti

tradizionali.

Il 22 aprile 1969 (dopo un 1968 d’intense lotte), dal Congresso dell’A.I.C.C.C.R.,

nacque una nuova formazione politica, il Communist Party of India-Marxist Leninist,

CPI (ML), il cui Segretario era Charu Mazumdar. L’annuncio della fondazione fu

dato, non a caso, a Calcutta (capitale indiana del progressismo e dell’innovazione

politica) da quello che verrà a delinearsi come l’altro leader del partito, Kanu Sanyal.

(32)

Il CPI (M) fu danneggiato dalla creazione di questa nuova fazione perché temeva una

perdita di consensi e perché non voleva nessuno alla propria sinistra. Ci furono scontri

e azioni di disturbo.

Il CPI (ML) si delineava già come un partito di lotta in condizioni di clandestinità

(così si svolse, infatti, il primo Congresso nel 1970 in un centro di ferrovieri a

Calcutta).

Page 29: La lotta naxalita in India

29

Ciò che più differenziava i partiti comunisti di Governo e il CPI (ML) erano le analisi

economico-sociali. I partiti comunisti di governo, CPI E CPI (M), ritenevano che la

rivoluzione democratico - borghese non era ancora stata completata e che era compito

della borghesia nazionale trainare la nazione verso il completamento del processo.

Un'altra visione, propria del Revolutionary Socialist Party, affermava che la

rivoluzione fosse stata completata nel 1947 con l’Indipendenza e che l’India era a tutti

gli effetti, un paese capitalista. Infine la posizione del CPI (ML) si discostava dalle

prime due sostenendo che l’India era ancora un paese semi-feudale e semi-coloniale

con un’economia pre-capitalistica dominata da landlord e da una borghesia

compradora (non nazionale.) La contraddizione principale era quindi fra il sistema

feudale e le grandi masse.

“Dopo il trasferimento di poteri e la vergognosa dichiarazione d’indipendenza nel

1947, lo Stato indiano si è limitato a portare avanti l'approccio dei dominatori

coloniali britannici nei confronti dei lavoratori - riconoscendo nominalmente alcuni

dei loro diritti come risposta ai movimenti di classe militanti dei lavoratori - ma in

realtà facilitando lo sfruttamento sfrenato degli operai da parte dei grandi capitalisti

nazionali ed esteri. La borghesia compradora e i capitalisti stranieri preservano i

prevalenti rapporti sociali semi-feudali e semi-coloniali per lo sfruttamento di

manodopera a basso costo e saccheggio delle risorse naturali del paese. Mantengono

i salari a un livello inferiore a quello di sussistenza, privando le masse lavoratrici

perfino dell'indispensabile, tenendoli dipendenti dall'agricoltura e altre attività per la

sopravvivenza legate alla terra, tenendoli incatenati a legami feudali, e nella trappola

del debito perpetuo, sottoponendoli a coercizione extra-economica.”. (33)

Con la nascita del CPI (ML) la rivolta di Naxalbari aveva un rappresentante politico-

istituzionale ma, nonostante ciò, fu proprio in questi anni che la situazione degenerò.

(34)

Page 30: La lotta naxalita in India

30

9. La repressione dei rivoluzionari e la diffusione della lotta

Un mese dopo la nascita del nuovo partito, la rivolta di Naxalbari iniziò a subire duri

colpi. Nel Luglio 1979 i paramilitari degli Eastern Frontier Rifles (polizia statale del

Bengala Occidentale) e la polizia iniziarono a rastrellare i villaggi alla ricerca di

rivoluzionari e di contadini che li coprivano. Fatto che fece calare ancora di più la

fiducia nelle forze di polizia, che si considerava avessero le radici affondate nel

precedente dominio coloniale britannico dato che la loro ideologia si era formata

proprio in quegli anni. La polizia era vista come un corpo corrotto e dedito a pratiche

violente e illegali.

I feriti furono migliaia e Kanu Sanyal stesso, insieme con un altro leader, Jangal

Santal, fu arrestato. Charu Mazumdar, invece, riuscì a fuggire, fatto decisivo nelle

politiche future del Movimento.

Il Governo dell’United Front (U.F.) del Bengala Occidentale si trovò in una situazione

d’imbarazzo perché non poteva né appoggiare il nuovo partito, dichiaratamente e

orgogliosamente, extra-istituzionale; né poteva (almeno così agì inizialmente)

attaccarlo frontalmente perché molti dei quadri del CPI (ML) erano ex leader del CPI

(M), che sosteneva l’UF.

Decise quindi, in un tentativo di “recupero”, di rilasciare i prigionieri naxaliti al fine di

impedire l’ennesima emorragia di adesioni all’interno del CPI (M).

I rapporti fra CPI (M) e CPI (ML), però, si inasprirono fra il 1970 e il 1972. Il CPI

(M) soprattutto, temeva un’intromissione sulle sfere di sua influenza, soprattutto i

sindacati.

Nel giro di pochi mesi iniziò una repressione brutale coordinata dal Congresso

Nazionale, dai partiti della sinistra tradizionale e dal CPI (M) stesso, noncurante del

fatto che fino a pochi mesi prima le vittime erano compagni dello stesso partito con

vedute politiche molto simili.

Page 31: La lotta naxalita in India

31

Tra il 1970 e il 1972 si svolsero le azioni più cruente che si appoggiavano legalmente

su provvedimenti speciali ereditati dal Raj britannico (Preventive Detection Act,

Prevention of Violent Activities Act e Maintenance of Public Order Act).

Aumentarono esponenzialmente episodi di encounter. Esso è un eufemismo usato in

Asia del Sud, in particolare in India, per descrivere omicidi extragiudiziali in cui

polizia o forze armate abbattono sospetti gangster e terroristi in scontri a fuoco.

Solitamente le vittime, di età compresa fra i diciassette e venticinque anni e disarmate,

sono trucidate a sangue freddo in conformità a sospetti arbitrari e le donne sono

stuprate.

Corpi scelti di vigilantes, capeggiati da esponenti del Partito del Congresso, dal capo

della polizia Ranjit Guha e dal ministro Siddart Ray, furono i principali esecutori di

queste esecuzioni che non risparmiarono i giovani studenti nelle città. Il fatto che, a

mio parere, fa più inorridire è che la regia di queste azioni non fu esclusiva di partiti di

destra e/o conservatori ma fu diretta e gestita dai leader di un partito comunista, il CPI

(M), con ampia base sociale di consenso. Questo accadde perché il CPI (M) non

voleva avere forze politiche alla propria sinistra in grado di alienargli approvazione

popolare.

Il 12 e il 13 agosto sono due giorni che pesano sulla memoria storica bengalese anche

oggi. In questi due giorni fatali del 1971 fu perpetrata un’infame carneficina presso

Baranagar-Cossipore.

Più di 150 giovani furono massacrati dai sicari del Congresso in connivenza con

l'amministrazione statale. L'orgia di violenza superò in crudeltà quella degli inglesi.

Per avere un'idea dello svolgimento dei fatti riproduciamo qui una parte della cronaca

pubblicata nel “Frontier” il 18 settembre 1971:

“More than 150 boys were butchered within two days; the Friday and Saturday.

Others who were not young had also to die. Lest there be any mistake, a list

containing the names of the boys killed was hung up on improvised scaffolding on

Kutighat Road, the main road connecting the Baranagar police station with the other

parts. There were hour-to-hour additions to the list, and the list covered only a part of

Page 32: La lotta naxalita in India

32

the whole area of operations. The list ran to more than 60 names on Friday

alone.”(35)

Si annoverarono episodi di crudeltà inimmaginabili: stupri, abitazioni bruciate, anziani

cosparsi di kerosene e poi dati alle fiamme. Il leader maoista Panchu Gopal Dey fu

prima smembrato e poi lapidato. La leader Karuna Sarkar fu marchiata a fuoco con la

sigla della sua causa di morte, CPI (ML). Il bilancio finale di questa repressione parla

di 10000 morti e 50000 incarcerati.

Charu Mazumdar fu catturato nel suo nascondiglio a Calcutta il 16 luglio 1972. Morì

alle quattro del 28 luglio 1972 presso la stazione di polizia nella quale era trattenuto.

In un comunicato del CPI (ML) si sottolineò come " During his ten days in police

custody in Lal Bazar lock-up no one was allowed to see him, not even his lawyer,

family members or a doctor. The Lal Bazar lock-up had achieved a reputation

throughout the country for the most horrifying and cruel tortures. He died at 4 am on

July 28, 1972 in the same lock-up. Even the dead body was not given to his family.

Police, accompanied with immediate family members carried the body to

crematorium... The whole area was cordoned off and no other relatives were allowed

in as his body was consigned to flames.”(36)

Diventò così una figura mitica della ribellione: un suo busto è ancora oggi meta di

pellegrinaggio proprio nel villaggio di Naxalbari.

Quanto alle conseguenze della rivolta di Naxalbari (che si può far terminare, come

fatto storico, con la morte di Charu Mazumdar) c’è da porre l’accento sugli effetti che

ebbe fra i movimenti studenteschi urbani specialmente a Calcutta dove i più autorevoli

college divennero centri nevralgici della programmazione strategica della lotta.

Gli studenti maoisti ottennero le cariche studentesche più rilevanti e si resero

protagonisti (assieme agli operai e impiegati) di azioni di guerriglia urbana

organizzata. Tutto ciò con l’assenza pressoché totale di una strategia precisa da parte

del PCI (ML) a difesa delle categorie urbanizzate (studenti ivi inclusi).

Page 33: La lotta naxalita in India

33

Il risultato fu che molti studenti abbandonarono gli studi e usarono la loro conoscenza

delle teorie marxiste per convincere sempre più contadini ad aderire alla lotta. Nelle

campagne diversi villaggi sono ribattezzati con nomi tipo Leninnagar o Stalinpur.

Nel frattempo nel CPI (M) continuava un’emorragia di consensi che portava sempre

più simpatizzanti (e militanti) verso il CPI (ML).

Nel distretto di Srikakulam (in Andhra Pradesh) era in corso la rivolta della tribù dei

Girijan che avevano perso la più parte delle loro terre a favore di non tribali durante

l’occupazione britannica. Il processo di pauperizzazione che ne seguì fu talmente forte

che la fame divenne endemica.

I rivoluzionari non solo combatterono per loro ma anche li addestrarono alle tecniche

di guerriglia, occupando terre, espropriando ricchezze e raccolti, organizzando

tribunali del popolo contro i famigerati jotedar.

La linea seguita era similare; per prima cosa erano confiscati i beni dei landlord e poi,

in seguito, si procedeva all’attacco delle stazioni di polizia. (37)

I contadini non poterono che appoggiare questi rivoluzionari (tra i quali molti erano

intellettuali venuti dalle città), la cui rivolta dal “rosso” Bengala si diffuse celermente

in Andhra Pradesh, Kerala, Kashmir, Tamil Nadu, Punjab, Assam e Maharashtra.

10. Dissensi interni e sgretolamento del Partito Comunista

Prima ancora della fondazione del CPI (ML) iniziarono profonde riflessioni sulla linea

politica che i comunisti indiani avrebbero dovuto seguire.

Già nel 1964 (al Settimo Congresso del Partito Comunista) si era discusso fortemente

su alcuni punti:

“(A) CPI (M) is a revisionist Party and unmasking them is the main political task.

(b) The path of the Indian revolutionist along the path of China and the immediate

task is to start armed struggle.

Page 34: La lotta naxalita in India

34

(c) To build up secret combat group is the immediate task.

(d) Combat group will set fire to the houses of the landlords and eliminate the

landlords physically.

(e) Collection of guns is another immediate task.

(f) Action mobilizes the masses and not the political propaganda.

(g) Necessity of mass organization and mass struggles.

(h) Area wide seizure of political power.

It was agreed to work separately and learn from practice. It was also decided that

Comrades who upheld mass revolutionary line would practise in Siliguri Terai

region. And the comrades who upheld the line of action oriented secret combat group

negating mass line would practice at Chathat area.” (38)

Una volta fondato il CPI (ML) la spaccatura principale avvenne per opera dell’altro

grande leader e fondatore del partito insieme a Mazumdar, Kanu Sanyal. Tale

bicefalismo fu così spiegato nel 2006 da egli stesso:

“Nel Marzo del 1967 si tenne una Convention nel distretto di Darjeeling in cui

emerse un accordo fra i rivoluzionari sulla questione della redistribuzione della terra.

Di fatto si trattava né più né meno che dell’implementazione della Land Reform che

prevedeva un tetto di venticinque acri per singolo possedimento. Una riforma

disattesa dai governi locali. Fu così che formammo una sorta di comitato distrettuale

ombra del CPM con parole d’ordine alternative a quelle del CPM stesso, che su

questo tema centrale era stato sostanzialmente inerte e opportunista. Le parole

d’ordine erano”Prendere la terra”, ”Tenere la terra”, ”Farsi consegnare le armi dai

latifondisti”. Esse delineavano la linea di massa: per tenere la terra espropriata ai

latifondisti, bisognava disarmare i latifondisti stessi ed essere pronti a difenderla con

le armi.

Io avevo idee differenti da quelle di Charu Mazumdar. Per Charu Mazumdar la

situazione era matura per iniziare la rivoluzione da subito.

Page 35: La lotta naxalita in India

35

Io invece pensavo che bisognasse prima fare un lavoro di massa, un lavoro

d’inchiesta per capire cosa pensassero le masse.

Nonostante il movimento di Naxalbari abbia avuto vita breve, gli effetti positivi del

movimento sono tuttora persistenti, com’è evidente qua, nel distretto di Darjeeling.

Purtroppo le cose iniziarono ad andare male già nel Settembre del 1967 a causa

dell’esistenza di due linee politiche contrapposte: la linea dell’”annichilimento del

nemico di classe” propugnata da Charu Mazumdar, di fatto una linea terroristica, e

la linea propugnata da me e altri della “lotta di massa”.

Sostanzialmente la linea di Charu Mazumdar fu considerata quella ufficiale del CPI

(ML) per il semplice fatto che mentre molti di noi erano stati messi in prigione

(Luglio 1969), Charu Mazumdar era libero e poteva così promuovere e diffondere le

proprie idee tra i comunisti rivoluzionari.” (39)

Conseguentemente la linea che fu seguita “ufficialmente” fu quella

dell’annichilimento del nemico di classe che portò a una professionalizzazione dei

drappelli di guerriglieri e un loro graduale allontanamento dalle masse contadine.

Tra i due leader, in realtà, c’era un accordo segreto secondo il quale ognuno avrebbe

portato avanti la propria linea in luoghi diversi, sebbene quella ufficiale rimanesse

quella di Mazumdar.

In seguito alla morte di Charu Mazumdar (Luglio 1972), però, il partito si spaccò

ulteriormente perché non vi era unanimità sulla strategia di lotta da perseguire, né sul

parallelismo automatico che era fatto fra la situazione indiana di allora e quella cinese

pre-rivoluzionaria. Come sintetizzò Marius Damas si faceva equivalere il

“Kuomintang col Partito del Congresso; i Signori della Guerra con i Principi

feudali.” (40)

I seguaci di Mazumdar (definibili maoisti) accusavano gli oppositori di revisionismo

mentre questi ultimi (definibili marxisti-leninisti) accusavano il leader di

“deviazionismo avventurista”.

Page 36: La lotta naxalita in India

36

Il modello di Mazumdar, nella nostra terminologia potrebbe essere definito

“brigatista”, prevedeva l’eliminazione di latifondisti, uomini della polizia, politici e

funzionari statali. La conquista del potere statale era considerata cronologicamente

precedente alla riforma agraria, alla condizione dei tribali e dei dalit.

Il punto di collisione era il ruolo che dovevano avere i contadini. “What should be the

role of the peasantry in the stage of the New Democratic Revolution in a semi-feudal

and semi-colonial country like India? On the solution of this question, depend the

success or failure of the democratic revolution of India. To state more explicitly, is it

the bourgeoisie who will lead the peasant, or is it the proletariat who will establish

hegemony over its dependable and numerically bigger ally, the peasantry, in the stage

of democratic revolution?” (41)

Mazumdar riteneva che la presa del potere fosse la prima e più importante azione da

portare a termine giacché la riforma agraria (come quella messa in atto dal Governo di

Sinistra dell’United Front) non risolveva nessun problema poiché distribuiva in

maniera “economicista” la terra ai contadini senza formare in loro una coscienza di

classe, fondamentale per l’instaurazione e il consolidamento di una dittatura del

proletariato.

Quello che propugnava era una lotta diretta contro i rappresentanti e i luoghi del

potere statale gestita da bande armate professionali appoggiate logisticamente dai

contadini (che quindi avevano un ruolo marginale).

“I movimenti aperti di massa e le organizzazioni di massa sono degli ostacoli sulla via

dello sviluppo della guerra di guerriglia”, affermò. (42)

Questa linea, che inizialmente ebbe grande successo grazie anche al clamore e al

sensazionalismo che provocò fra le persone più povere, divenne gradualmente invisa

ai tribali e ai contadini perché scatenò una guerra di rappresaglia fra i rivoluzionari e

le forze di polizia statali le cui vittime furono per la stragrande maggioranza i civili

stessi (colpevoli di dare appoggio ai ribelli o semplicemente di vivere in un luogo di

guerriglia).

Page 37: La lotta naxalita in India

37

Il “Charu Mazumdar pensiero”, oltre che dividere il partito di appartenenza e iniziare

ad attirare le antipatie delle popolazioni colpite dal “terrore rosso” (quello scatenato

dallo Stato nella sedicente lotta ai comunisti), fu criticato anche dal Partito Comunista

Cinese stesso (fonte d’ispirazione primaria del Compagno C.M.) durante un incontro,

nell’Ottobre 1970, fra il Capo del Governo Zhou Enlai e il rappresentante del CPI

(ML), Souren Bose.

I cinesi dichiararono che: “A) Ogni partito era indipendente e doveva applicare il

marxismo-leninismo-Mao Tse Tung Pensiero nelle condizioni concrete della propria

rivoluzione senza copiare meccanicamente l’esperienza cinese. B)Era sbagliato da

parte dei rivoluzionari indiani dichiarare “Il Presidente Cinese è il nostro

Presidente”. C)La lotta per il potere e la terra erano intrecciate. D)La formazione di

squadre guerrigliere segrete, cospirative e staccate dalle masse era sbagliata. E)La

linea di annichilamento individuale si era già dimostrata disastrosa durante la

Rivoluzione cinese. F)Era sbagliato abbandonare i movimenti anti-imperialisti e i

sindacati attivi nelle aree urbane ed era sbagliato formare delle Guardie Rosse

composte di studenti. G) Il Partito non aveva nessun programma per una rivoluzione

agraria.” (43)

L’analisi dei rappresentanti cinesi, fredda e diretta, di fatto dava appoggio alla linea di

massa contro di quella dell’annichilimento. Era ripresentata ancora una volta l’enorme

importanza rivestita da una Riforma/Rivoluzione Agraria con le masse contadine in

prima linea e non spettatrici di un cambiamento imposto da guerriglieri molte volte

esterni (perché provenienti dalle città o da altre regioni).

I maoisti non accettavano l’equazione “lotta di massa=linea di massa” e accusavano i

marxisti-leninisti di utilizzo della lotta di massa senza però adottare una vera linea di

massa (ossia di non avere attenzione verso le masse). La scelta della lotta armata si

basava su una motivazione prevalente: l’India era considerata una nazione

sottosviluppata, dove regnava la corruzione, l’illegalità e la repressione e quindi i

rivoluzionari non potevano piegarsi a utilizzare strumenti legali di lotta (si diffidava

quindi dei partiti che si autodefinivano rivoluzionari, ma agivano per vie tradizionali

di rappresentanza). Inoltre i maoisti insistevano sul compito principale di ogni

Page 38: La lotta naxalita in India

38

rivoluzione che era quello di assumere il potere statale (aspetto non menzionato dai

marxisti-leninisti).

La morte del leader storico causò un frazionamento senza precedenti all’interno del

Movimento che portò alla costituzione di varie correnti legate a richieste locali e

scoordinate fra loro. A livello generale si distinsero tre correnti, solo parzialmente e

forse erroneamente definibili, di destra, di centro e di sinistra.

Kanu Sanyal, come già analizzato, promotore della linea di massa in opposizione a

quella di annichilimento del nemico, sostenne una tendenza democratica, di uso delle

istituzioni e dei mezzi parlamentari. Kanu sosteneva l’assenza di possibilità di vittoria

con l’utilizzo della lotta armata e indirizzava il movimento verso l’uscita definitiva

dalla clandestinità e quindi dall’illegalità. All’inizio del 2005 questa fazione si

congiunse con il CPI (ML) Red Flag andando a formare un nuovo CPI (ML). Gli

aderenti furono duramente criticati come revisionisti e traditori.

Un'altra corrente rimase fedele al pensiero del defunto leader e continuò a far

prevalere una filosofia di lotta armata e con obiettivi individuali. Questa tendenza

continuista cambiò il suo nome in CPI (ML) Liberation. Il comitato centrale (eletto nel

Bengala Occidentale) nominò Subroto Dutta (detto Jaunar) come nuovo capo. Dopo

una fase di continuità con la politica pericolosa e avventurista anche questa fazione si

adattò alla linea di uso alternativo delle istituzioni. Il suo leader, Jaunar, morì il 29

novembre 1975 ed è tutt’oggi considerato una figura mitica.

La terza e ultima corrente incarnò al suo interno le argomentazioni dei due precedenti

movimenti (di lotta di massa e annichilimento del nemico) e li fuse in una lotta armata

di popolo. Dopo varie peripezie i suoi militanti confluirono nel PCI (ML)

(PW=People’s War, guerra di popolo). Il partito fu fondato in Andhra Pradesh nel

1980 da Kondapalli Seetharamaiah raggruppando prevalentemente i ribelli nella

regione di Telangana. Esso rinunciò alla partecipazione alla politica elettorale. Il

partito è stato inizialmente in gran parte confinato alla regione Telangana, ma in

seguito ha esteso ad altre aree il suo raggio d’azione (Andhra Pradesh, Maharashtra,

Madhya Pradesh e Orissa). Nell’Agosto del 1998 il CPI (ML) (PW) si unì con il CPI

Page 39: La lotta naxalita in India

39

(ML) Party Unity (partito con base nella regione del Bihar). In seguito a questa

fusione le aree d’influenza (ossia di lotta) si ampliarono significativamente.

Nell'ottobre 2002 il CPI (ML) PW ha rilasciato una dichiarazione contenente minacce

di morte nei confronti dei primi ministri di tre stati indiani: Buddhadev Bhattacharya,

Chandrababu Naidu e Babulal Marandi. Esattamente un anno dopo, l'organizzazione

ha effettuato un tentativo di assassinio contro Chandrababu Naidu. Nel Settembre

2004 è stato inglobato anche il MCC (Maoist Communist Centre of India) e ha

assunto la denominazione di CPI (Maoist), oggi il più importante partito di lotta

armata che sarà ampiamente analizzato a seguire.

11. Interpretazione “essenzialista” e “residualista”

Il pensiero del CPI (ML) era però ambiguamente interpretabile, soprattutto per quanto

riguarda il termine “semifeudale”. L’analisi marxista dell’arretratezza dell’India è da

sempre incentrata sul concetto di “semi-feudalità”. Che cosa significa nell’India post-

indipendenza affermare che il paese è semi-feudale?Il dibattito era, infatti, sulla

caratteristica di questa feudalità, se “residuale” o “essenziale”.

L’interpretazione essenzialista (propria dei movimenti maoisti indiani, nepalesi e

filippini) considera che non esista una borghesia nazionale ma solamente una

borghesia compradora corrotta e guidata dalle nazioni imperialiste - colonialiste. La

strategia rivoluzionaria deve puntare allora all’alleanza fra i contadini (pressoché

schiavizzati nello status quo) e il proletariato urbano (numericamente inferiore).

Essi, accerchiando le città dalle campagne, come teorizzò Mao, potranno dare avvio

alla rivoluzione democratica allo scopo di indirizzare il processo produttivo. Questa

lettura è risultata preminente all’interno della guerriglia maoista nepalese (considerata

la più forte del mondo).

L’interpretazione di un sistema con residui feudali si basa su concezioni differenti: il

paese è già avviato nella competizione globale e di conseguenza esiste una borghesia

nazionale ma ci sono delle episodiche manifestazioni di rapporti feudali nelle

Page 40: La lotta naxalita in India

40

campagne. L’accordo da perseguire è quello fra le masse povere (contadini, tribali e

dalit) e la borghesia nazionale affinché si possano isolare definitivamente le sacche

residuali di feudalesimo (perpetuate dai grandi proprietari terrieri e dai capitalisti

industriali).

Nelle campagne quindi convivono rapporti sociali semi-feudali e penetrazione

capitalistica esterna. In Europa la diffusione del capitalismo favorì la distribuzione

delle proprietà private e una modernizzazione dell’agricoltura (tramite macchinari,

pesticidi, concimi). In India è avvenuto il fenomeno opposto; l’intervento del capitale

internazionale ha promosso un ritorno al passato, a uno pseudo - latifondo. Per

sostenere quest’asimmetria le forze capitaliste hanno fatto uso di forza extra-

economica (violenza in ogni sua forma) e intra-economica (differenziali di cambio

imposti, limitazioni al commercio, tariffe doganali sbilanciate).La sovrapposizione e

presenza simultanea di residuali forme di sottosviluppo e sfruttamento pre-

capitalistiche e di forme di sviluppo capitalistiche hanno quindi prodotto effetti

regressivi (nel senso letterale di ritorno indietro a pseudo - latifondi o a una

compradorizzazione della borghesia).

Sono proprio le multinazionali a grande capitale che hanno incentivato forme pre-

capitalistiche affinché garantiscano loro libertà totale di azione, massimizzazione del

prodotto, utilizzo del suolo senza condizioni; ciò che conta sono i rapporti di potere

che diventano rapporti sociali.

Il capitalismo non è semplicemente una norma di produzione e di accumulazione cui

corrisponde un’univoca sovrastruttura politica, ma è soprattutto una composizione

sociale basata su rapporto intrinsecamente conflittuale necessitante di patti fra il

capitale e il potere territoriale.

“Durante “il corso ordinario delle cose” il processo di accumulazione del capitale e

di riproduzione del rapporto sociale capitalistico si basa su meccanismi puramente

economici, perché è solo col capitalismo che i rapporti di potere assumono una

predominante forma economica. Ma il Capitale, poiché privo di strumenti

organizzativi e coercitivi diretti, per imporsi come rapporto sociale e per riprodurre

Page 41: La lotta naxalita in India

41

tale rapporto nei momenti di crisi deve ricorrere al potere territoriale. Il capitalismo

è, infatti, un rapporto sociale intrinsecamente conflittuale, sia in senso verticale

(conflitto tra classi in senso lato) sia in senso orizzontale (conflitto tra segmenti di

capitale) e l'alleanza con il potere territoriale è utilizzata dal Capitale per risolvere

questi conflitti, ricorrendo ai vari livelli di organizzazione e di violenza di cui gli

stati-nazione detengono il monopolio. Ma a sua volta l’alleanza tra potere territoriale

e potere economico è caratterizzata da una sua contraddizione. Mentre da un lato il

Capitale ha bisogno della forza organizzativa e coercitiva del potere territoriale,

dall’altro i suoi processi tendono costantemente a trascendere i limiti giurisdizionali

dei singoli stati-nazione. In altre parole, mentre la logica territoriale è definita da

uno “spazio-di-luoghi”, quella economica è definita da uno “spazio-di-flussi” (ed è

per questo che i due poteri sono divisi).” (44)

Nell’India post-coloniale era in corso un passaggio dal feudalesimo al capitalismo e la

lotta era necessaria proprio a questo scopo. Lo slogan di Mao, la “politica al primo

posto”, intendeva porre l’accento su come questo passaggio doveva essere impedito e

gestito politicamente. I rivoluzionari naxaliti hanno fatto propria la lezione politica

leninista e maoista.

Negli anni sessanta, l’economista neosmithiano Morris Davis sostenne che: “I sistemi

di gestione delle risorse e di organizzazione sociale che il lessico delle teorie della

modernizzazione (allora in auge) denominava premoderne, garantivano maggiori

opportunità di sussistenza e benessere di quanto non si fossero dimostrate capaci di

fare storicamente i sistemi imposti dai colonizzatori”. (45)

Quest’analisi si discostò molto dalla storiografia coloniale che vedeva nell’avvento

degli inglesi un avvenimento indispensabile per l’avvio della modernizzazione.

Ma in conformità a cosa i naxaliti e, come abbiamo appena visto illustri studiosi,

asseveravano l’esistenza di forme feudali e di regresso generalizzato?

La progressiva svendita dei beni pubblici tramite privatizzazioni, l’assoggettamento

alle condizioni di aggiustamento strutturale dettate dalle Istituzioni Finanziarie

Internazionali, la mancanza di un vero e proprio proletariato industriale nazionale, la

Page 42: La lotta naxalita in India

42

penetrazione d’industrie multinazionali straniere, tutti questi elementi avevano

cementato nelle coscienze del popolo indiano che l’Indipendenza era un inganno e che

era in atto, in condizioni nuove, apparentemente democratiche, un nuovo dominio che

stavolta, invece che beneficiare solamente il Raj britannico, beneficiava tutte le

potenze straniere sviluppate capitalisticamente parlando.

Ultimo aspetto, ma non meno importante, di riprova dell’esistenza di caratteristiche

pre-moderne nell’organizzazione socio-economica delle campagne indiane è la

persistente incidenza delle caste, conformemente al principio marxista che le classi

avrebbero soppiantato le caste in una società completamente capitalistica. . Nella

specificità indiana, c’è stato un adattamento/interazione del sistema di casta con la

penetrazione del capitalismo colonialista: “La struttura di classe ha tagliato

trasversalmente la gerarchia di casta aprendo nuove contraddizioni, nuove alleanze e

nuovi antagonismi.” (46)

L’economia classica nega che possa essere avvenuto questo, affermando invece che il

libero scambio porta inevitabilmente a uno sviluppo dallo stato originale di

sottosviluppo feudale a uno di sviluppo capitalistico tendente all’uguaglianza dei

cittadini.

La colonizzazione britannica è vista come l’enzima che ha indotto lo sviluppo nel

subcontinente introducendo infrastrutture sanitarie di base, istituzioni di governo,

sistema di leggi codificate.

L’India non sarebbe mai stata capace di incamminarsi autonomamente lungo il tragitto

della modernizzazione poiché le strutture economiche e politiche che caratterizzano

tale processo erano estranee alla cultura e alle forme di organizzazione indigene. (47)

I naxaliti, nella loro analisi, accostavano la semi-feudalità alla semi-colonizzazione

che l’India soffriva dall’indipendenza e quest’associazione serviva loro per declinare

assieme la lotta rivoluzionaria con quella nazionale. La prova della semi-

colonizzazione in atto era la mancanza di una borghesia con obiettivi prettamente

Page 43: La lotta naxalita in India

43

nazionali. Il leader Kanu Sanyal affermò inoltre che c’erano accordi segreti fra

Congresso e Governo britannico per porre l’accento la persistenza della sudditanza al

vecchio colonizzatore: “Lo stato di semi-colonialismo era esplicito ed era dovuto ad

accordi segreti stretti fra il governo del Congresso e i britannici per salvaguardare

gli interessi in India dei capitalisti inglesi dopo l’Indipendenza.” (48)

In conclusione, l’analisi dei naxaliti si discostava da quella leninista che considerava

semi-coloniali quei paesi di recente indipendenza nei quali però le potenze occidentali

mantenevano una forma di spartizione in aree d’influenza deprimendo così ogni

possibilità di sviluppo (come per esempio la Turchia, la Persia, la Cina). In Turchia,

come risposta a questa situazione, si sviluppò, infatti, nel 1922 una guerra

d’Indipendenza capeggiata da Mustafa Kemal (idem in Cina nel 1940 e in Siria negli

anni Cinquanta). Mentre i residualisti affermavano l’esistenza della sola matrice semi-

feudale, gli “essenzialisti” erano convinti anche del concetto di semi-colonialismo.

Quest’ultimo trovò poca approvazione popolare, essendo l’India un paese percorso da

molteplici divisioni statali, etniche, religiose, linguistiche e di casta ed ergo carente di

sentimento nazionalista.

12. Il Naxalismo oggi

Il “corridoio rosso” (detto anche Compact Revolutionary Zone), ormai, copre almeno

un quarto del territorio indiano. Inizia nel Bihar, al confine con il Nepal, scende verso

il Jharkhand, Bengala Occidentale, naturalmente il Chhattisgarh, poi l’Orissa, l’Andra

Pradesh e infine, a occidente, fino al Karnataka. I giornali indiani l’hanno

soprannominato così per la sua forma verticale (da Nordest a Sudovest) e per il fatto

che i maoisti qua hanno un’influenza e un controllo predominante.

Page 44: La lotta naxalita in India

44

Mappa del “Corridoio Rosso”, zona di influenza maoista odierna.

In(http://globalconflictanalysis.com/2013/01/number-3-naxalite-maoist-

insurgency/india-red-corridor-map/).

Dalla galassia della ribellione (una quarantina di gruppi diversi, secondo l’Intelligence

di Delhi) si giunge, il 14 Ottobre del 2004, al Congresso di rifondazione del partito

che ha unito i due tronconi principali del movimento naxalita, il Maoist Communist

Centre of India (MCC) e il Communist Party of India (Marxist-Leninist) People's War

Page 45: La lotta naxalita in India

45

(anche conosciuto come People's War Group e spesso abbreviato in PWG), nel Partito

comunista d’India (maoista).

Dopo quattro decenni di controversie, scissioni, malumori e reciproche ostilità il

movimento sembra aver adesso raggiunto l’unità sia politica (nel CPI-Maoist) che

militare. Le rispettive milizie sono state, infatti, fuse in un unico esercito

rivoluzionario, il People Liberation Guerrilla’s Army, accreditato di 10000 soldati

operativi.

Il segretario generale è, dal 2004, Muppala Lakshman Rao, detto Ganapathi che, nel

discorso d’insediamento espose le linee guida del rinato Partito:

“The immediate aim and programme of the Maoist party is to carry on and complete

the already ongoing and advancing New Democratic Revolution in India as a part of

the world proletarian revolution by overthrowing the semi-colonial, semi-feudal

system under the neo-colonial form of indirect rule, exploitation and control… This

revolution will be carried out and completed through armed agrarian revolutionary

war, i.e. protracted people’s war with the armed seizure of power remaining as its

central and principal task, encircling the cities from the countryside and thereby

finally capturing them. Hence the countryside as well as the Protracted People’s War

will remain as the "centre of gravity" of the party’s work, while urban work will be

complimentary to it." (49)

Il Governo Indiano ha schedato il CPI (Maoist) come un’organizzazione terroristica e

ha posto il suo smantellamento fra gli obiettivi primari della politica di sicurezza

interna. Mariella Gramaglia ne parla come di un “reperto archeologico della politica

e dei sogni comunisti degli anni ’60.” (50)

Il partito ha attualmente contatti stretti con organizzazioni maoiste nepalesi, turche,

bhutanesi e filippine. Nella prospettiva di diffondere la propria battaglia nel mondo, il

movimento naxalita sta cercando anche di rafforzare i legami interni e internazionali:

scambi di armi con le Tigri Tamil in Sri Lanka, legami con gli indipendentisti

Page 46: La lotta naxalita in India

46

dell’Assam e del Kashmir. L’intento finale, però, è di assumere un ruolo di leadership

all’interno del Ccomposa (Co-ordination Committee of Maoist Parties and

Organizations of South Asia), Internazionale maoista sud asiatica che dal 2001

riunisce i leader rivoluzionari di India, Nepal, Bangladesh, Sri Lanka e Bhutan.

L’area d’influenza è estesa (secondo i dati del Governo stesso i naxaliti sono presenti

nel 35% del territorio); sono presenti in quattordici dei ventotto stati dell’India

(Chhattisgarh, Jharkhand, Uttar Pradesh, Asma, Uttaranchal, Kerala, Tamil Nadu,

Bengala Occidentale, Gujarat, Andhra Pradesh, Madhya Pradesh, Orissa, Maharashtra

e Bihar), questo tradotto in cifre significa che sono presenti in 182 distretti su un totale

di 602, e sono in crescita.

Una crescita non riguardante solo la campagna, ma che si sta estendendo anche nelle

zone operaie e industriali di Delhi, Mumbai, Raipur, Pune e Jammu, alternando azioni

propagandistiche con azioni militari. L’obiettivo è riuscire a “liberare” sempre più

zone per poi unirle in una sorta di “stato rosso nello stato”. Se tale scopo è

immaginabile dal punto di vista dell’appoggio concettuale, non lo è dal punto di vista

militare poiché la controparte, l’Esercito ufficiale indiano, conta su circa un milione di

effettivi (esclusa la riserva e i paramilitari) e armamenti all’avanguardia.

Da questa situazione è derivata l’empasse che costringe i naxaliti a nascondersi nella

foresta e a continuare a condurre una guerra clandestina contro lo Stato.

Differentemente da quello che è accaduto in Nepal, dove nel 2006 il Governo fu

costretto a raggiungere un accordo per una Costituzione provvisoria, aprendo la via

del governo e del Parlamento anche ai ribelli maoisti. Caso a parte è quello della

regione di Bastar, dove la lotta naxalita è riuscita a primeggiare. (51)

Come scrive il giornale “The Piooner” il 19 agosto 2008, sia la polizia che i funzionari

statali hanno timore ad operare nel distretto di Bastar(Chhattisgarh).

Come afferma il Segretario della Federazione Sindacale dei Minatori: “In quest’area i

naxaliti sono arrivati negli anni Ottanta con le armi e hanno stabilito una sorta di

area liberata. Ora i contadini occupano e coltivano le terre e i proprietari terrieri

non osano obiettare. Nelle zone minerarie i naxaliti rinascono grazie alla rabbia di

popolazioni marginalizzate e impoverite proprio dalle miniere.”. (52)

Page 47: La lotta naxalita in India

47

Questo territorio, di estensione maggiore di quella del Belgio con i suoi 36000 km

quadrati, è una vera e propria roccaforte della rivolta armata maoista.

Nel capoluogo di questa regione, Jagdalpur, vi è una densità record di caserme e

accampamenti delle forze paramilitari come la Central Reserve Police Force e altri

corpi scelti con nomi esotici come CoBRA (battaglioni di elite della polizia), Snake

Battallion, Greyhound. Questa regione è vista dal Governo centrale come un mondo

remoto, rimasto ai margini della modernità, primitivo, circondato da mitologie. La

zona effettivamente è carente in quanto a infrastrutture, strade, scuole, ospedali.

Perfino la mappatura del terreno è imprecisa.

In questa terra nel Marzo 2011 si è svolta un’atroce operazione di polizia che ha visto

come protagonisti le truppe dei CoBRA e i commando Koya, corpo reclutato fra i

maoisti pentiti e i giovani tribali: “Police and SPOs have attacked villages near

Chintalnar in Dantewada district and have burnt many houses; police have also killed

two people and raped five women during these attacks in last one week. I appeal to

media to go to these villages and find out the truth”. (53)

Come ha testimoniato il corrispondente di “The Hindu”: “C’erano case ridotte a

poche pietre, granai (pieni del raccolto appena fatto) bruciati, trecento case bruciate,

tre abitanti uccisi e tre donne violentate, una di loro sfigurata dai colpi ricevuti. Gli

abitanti del villaggio hanno subito tutto il peso del raid. E’ stata un’orgia di violenza,

i commando Koya sembravano impazziti” (54)

Perché c’è tanto impegno e dispiego di forze militari in una regione che, come già

scritto, è considerata negletta, off-limits?

Il Bastar racchiude il 10% delle riserve di tutto il paese di carbone e acciaio (settori

strategici dalla fine degli anni Sessanta) e quindi si trova in una posizione centrale

nelle politiche di modernizzazione. Nella valle le miniere hanno creato un’economia a

se stante, tanto che sono state costruite due città aziendali per gli oltre duemila

dipendenti (di cui quasi nessuno è originario della regione).

Gli abitanti Adivasi (della tribù Marja) che abitavano la zona non hanno avuto né terra

né lavoro, essi hanno anzi perso terre e accesso all’economia di sussistenza senza

guadagnare né benessere né considerazione sociale. Il Governo ha obbligato tali

Page 48: La lotta naxalita in India

48

comunità ad andare via risarcendo (con somme irrisorie) solo la terra riconosciuta

come proprietà individuale del capo-famiglia, non quella usata per diritto comune

dall’intero villaggio né tantomeno i frutti spontanei, l’acqua, le risorse forestali.

Le comunità sono quindi state smembrate in varie località, spezzando legami e

relazioni sociali e creando di conseguenza stato di conflitto con la popolazione non-

adivasi che andava incrementandosi grazie all’attrazione occupazionale che miniere e

industrie stavano rappresentando.

L’India ha, infatti, soprattutto dagli anni Novanta in poi, invitato investitori privati e

stranieri (su tutti l’inglese Vendana, la sudcoreana Posco, Arcelor-Mittal, Essar, Tata

Iron, Steel….) con l’unico vincolo di lavorare localmente i minerali estratti. Il settore

pubblico, sinonimo di corruzione e inefficienza, è stato gradualmente abbandonato a

causa di ristrutturazioni e riduzioni del personale (che hanno colpito primariamente gli

Adivasi assunti sulla base della reservation, ossia la quota riservata per legge ai gruppi

sociali svantaggiati).

I naxaliti non legano con gli operai delle miniere perché essi non rientrano nelle loro

strategie politiche. Il loro radicamento sul territorio è dovuto alla situazione di

oppressione ed estrema povertà della popolazione nativa. E’ altresì evidente che

quando (e se) saranno garantiti i diritti basilari d’istruzione, sanità, lavoro, dignità

verrà meno il retroterra naxalita. Infatti, secondo l’analista Ramtanu Maitra: “Il filo

comune che lega questa massiccia estensione di terra (del corridoio rosso) è

costituito dal sottosviluppo e dalla povertà.” (55)

Dal 2004, anno di formazione della nuova coalizione al potere, l’U.P.A. (United

Progressive Alliance), il Movimento naxalita ha iniziato ad avere sempre più rilevanza

politica e militare con inaspettata rapidità tanto che il Primo Ministro Manmohan

Singh disse nel 2006 (in occasione di un meeting a New Delhi con i governatori degli

stati più colpiti dalla violenza comunista):

“It would not be exaggeration to say that the problem of Naxalism is the single

biggest internal security challenge ever faced by our country” aggiungendo poi che la

recente militarizzazione naxalita è condotta con “superior army style organisation,

better trained cadres, attacks on large targets through large scale frontal assaults,

Page 49: La lotta naxalita in India

49

better coordination and possible external links. We must recognise that such

extremism is a threat to our democracy, our way of life”. Enfatizzò poi la necessità di

rafforzare la polizia che doveva essere: "better trained and equipped to face an enemy

who is evolving into a major force. We need to improve their weapons, buildings and

vehicles. We need to invest heavily in their capabilities." (56)

In un’altra circostanza Singh sintetizzò così la situazione attuale: “È ovviamente

assolutamente prematuro parlare del movimento naxalita come di una minaccia

esistenziale per lo Stato indiano. Ma certamente la risorgenza dei naxaliti è il sintomo

inequivocabile che la ricerca dello status di grande potenza e il parallelo egoistico

perseguimento di un benessere americano, da parte di quella minoranza della

popolazione indiana che forma la cosiddetta classe media, non stanno avvenendo a

costo zero”. (57)

Dalla riunificazione del 2004, infatti, i ribelli hanno deciso di fare un salto di qualità

strategico e mediatico, con lo scopo primario di acquisire visibilità a livello nazionale

(i grandi media nazionali, infatti, fino a poco tempo fa, ignoravano chi fosse Rao e il

suo CPI-Maoist).

Così, nel Novembre 2005 un piccolo esercito di circa 1.000 ribelli maoisti ha attaccato

una prigione a Jehanabad nello Stato del Bihar, liberando più di 340 prigionieri, tra cui

numerosi guerriglieri maoisti detenuti. Tre guardie sono rimaste uccise.

Nel Marzo successivo (durante le elezioni legislative) ribelli maoisti hanno

sequestrato un treno e tenuto in ostaggio circa 300 passeggeri nello stato orientale di

Jharkhand. L’obiettivo dei naxaliti era invitare i cittadini a boicottare le elezioni,

soprattutto negli stati di Jharkhand e Bihar. Nel Marzo 2007,55 poliziotti sono stati

uccisi in un raid maoista nel distretto di Bijapur e un anziano ufficiale di polizia ha

ammesso "I have no hesitation in admitting the Naxalites had not only drafted an

excellent strategy to raid the Rani Bodli outpost last Thursday but also executed it like

a professional army.” (58)

Sempre nel 2007 i maoisti hanno iniziato blocchi di massa delle principali arterie di

collegamento fra Orissa e Andra Pradesh in una delle prime operazioni totalmente

scoperte.

Page 50: La lotta naxalita in India

50

La strategia odierna di Ganapathi è di effondere la lotta nei grandi centri urbani, in

primis nella capitale del Bengala Occidentale, Calcutta. Come già in precedenza

descritto, fu proprio in questa megalopoli che negli anni 60 si poterono diffondere

ideali di egualitarismo e riscatto sociale e questo grazie alla floridezza culturale e

sociale di questo conglomerato urbano. Tutt’oggi roccaforte maoista, con bandiere

rosse e slogan insurrezionalisti per le strade, questa città è oggi un estratto di

contraddizioni. Buddhadeb Bhattacharjee, soprannominato il Buddha rosso, è il leader

incontrastato del partito comunista al potere responsabile del recente boom

economico. L’iconografia militante è poco più che un abbaglio poiché le sue posizioni

sono liberiste e i suoi maggiori supporter sono le potenti famiglie industriali Birla e

Tata.

Strano effetto vedere come il Buddha rosso accondiscenda a ogni progetto industriale

a discapito degli interessi dei contadini le cui terre sono espropriate e indennizzate a

prezzi miseri. Buddhadeb Bhattacharjee rappresenta quel blocco del partito comunista

istituzionale, governativo e globalizzato orientato verso l’economia di mercato come

mezzo di emancipazione delle masse.

Dall’altro lato del canale (scavato dall’economia globalizzata), non c’è la classe

imprenditoriale ma i comunisti puri, agricoli, quasi neoluddisti. Rappresentanti di

quella classe che è rimasta esclusa dal benessere generalizzato e che sta perdendo

tutto: terre, risorse e dignità. Questa polarizzazione, insolita, sta portando alla

creazione di una duplice società.

La classe operaia, nata col mito del progresso (in parte ottenuto), sostiene il partito

comunista alleato del capitale che autorizza la costruzione di fabbriche ed enormi

infrastrutture. Dall’altro lato la classe contadina, espropriata e pauperizzata. E’ come

se si stesse ripresentando la situazione che portò alla rivolta di Naxalbari, nel

(sembrerebbe lontanissimo) 1967.

Questo è uno dei più grandi problemi dell’India contemporanea, l’enorme differenza

che c’è fra gli abitanti urbani e quelli rurali. Così ha dichiarato Mahasveta Devi

(scrittrice e attivista indiana), intervistata da Marina Forti: “In India c’è un grande

gap comunicativo.Te ne stai seduto nella tua comoda casa di Calcutta e non hai

Page 51: La lotta naxalita in India

51

neppure idea della vita in un villaggio senza acqua potabile, strada, scuola,

ambulatorio. Magari vai a vedere ma non sai come leggere ciò che vedi perché ti è

lontano. Ci sono molti gap di comunicazione. La valle di Narmada, ad esempio: il

governo costruisce grandi dighe e costringe centinaia di migliaia di persone ad

allontanarsi dalle loro terre. Se parli e dici che una popolazione è rimasta senza

casa, terra e diritti, e che non vogliono quattro soldi ma terra in cambio della terra

persa, ti dicono che stai facendo political disturbance. E' un altro gap di

comunicazione.” (59)

La globalizzazione ha enfatizzato le iniquità, radicalizzato le contraddizioni e i

contrasti, tagliato trasversalmente la società fra risaie e grattacieli, fra neoricchi ed

eterni miserabili.

Nel Maggio 2006 la Tata Motors (in collaborazione con la FIAT) annunciò

l’implementazione di una fabbrica con la conseguente requisizione di terreni agricoli

per la produzione della famigerata NanoCar (al costo di 1500 dollari) in Nandigram e

Singur (due zone del Bengala Occidentale). A fronte di probabili 2000 lavoratori

assunti, 30.000 contadini persero la terra, che rappresenta nella maggioranza dei casi

l’unica fonte di sussistenza. Il CPI (M), al governo in Bengala Occidentale, si schierò

a favore del progetto. Ne derivò uno scontro armato fra i militanti del partito

comunista al potere e i contadini appoggiati dal CPI-Maoist e dal Partito

Rivoluzionario Socialista.

Durante una protesta di massa, negli scontri con la polizia, furono uccisi alcuni

manifestanti e molti furono i feriti. Fu rinvenuto il corpo carbonizzato di una

ragazza, Tapasi Malik, attivista del Krishjami Raksha Committee - Comitato per la

Difesa della Terra. Il clima di tensione salì a causa dell’annuncio che circa 22000 acri

di terreno sarebbero stati destinati alla costruzione di un vasto insediamento

petrolchimico. Il bilancio finale fu di quindici morti, migliaia di profughi, case

saccheggiate e l’ennesimo trionfo del capitale sulle necessità dei cittadini. (60)

Page 52: La lotta naxalita in India

52

Questa l’interpretazione della recente violenza statale in Bengala per opera di

Arundhati Roy: ”Non è molto diversa dalla violenza statale e poliziesca di qualsiasi

altro posto – compreso il problema dell’ipocrisia e del doppio standard esercitato da

ogni partito politico, compresa la Sinistra istituzionale. Perché le pallottole

comuniste dovrebbero essere diverse da quelle capitaliste? Ne stanno succedendo di

cose strane: è nevicato in Arabia Saudita; i gufi appaiono alla luce del sole; il

governo cinese ha varato una legge che sanziona il diritto alla proprietà privata. Non

so se tutto ciò ha a che fare col cambiamento climatico. I comunisti cinesi stanno

diventando i più grandi capitalisti del XXI secolo. Perché dovremmo aspettarci che la

nostra Sinistra parlamentare debba essere diversa? Nandigram e Singur sono segnali

chiari. Non possiamo non domandarci se per caso non siano lo stadio

immediatamente precedente allo scoppio di una nuova rivoluzione contro il

capitalismo. Pensateci: la Rivoluzione Francese, la Rivoluzione Russa, la Rivoluzione

Cinese, la Guerra del Vietnam, la lotta anti-apartheid, la cosiddetta freedom struggle

gandhiana in India … qual è l’ultimo stadio al quale sono tutte giunte? È questa la

fine dell’immaginazione? (61)

Questo fatto mostra l’attuale stato delle cose in Bengala Occidentale e spiega il

rinnovato interesse da parte dei vertici del CPI-Maoist in un attacco al CPI

istituzionale. I naxaliti si sono infiltrati nel movimento contro le nuove fabbriche

rendendo comprensibile l’obiettivo di focalizzare le azioni di lotta nelle cosiddette

S.E.Z. (Special Economic Zones), le aree che, grazie agli sgravi fiscali, consentono

alle aziende di non pagare tasse favorendone la produttività ed eludendo la normale

legislazione del paese in materia lavorativa, sindacale e ambientale con l’obiettivo di

attrarre gli investitori locali e stranieri. In India oggi esistono quaranta S.E.Z.

operative, e il governo centrale calcola che il volume di commercio sarà superiore ai

27 miliardi di dollari annui. In totale, il governo indiano ha previsto l’approvazione di

339 S.E.Z. per un impiego diretto di 800.000 persone. (62)

Nella specificità di Calcutta (eternata da Dominique Lapierre come la Città della

gioia) la lotta naxalita è indirizzata al contrasto dell’edificazione dei nuovi quartieri

Page 53: La lotta naxalita in India

53

residenziali destinati alla nuova borghesia cittadina, i cosiddetti new luckies, i grandi

beneficiari della globalizzazione con redditi occidentali.

La costruzione di questi rioni, infatti, costringe i contadini inurbati a spostarsi sempre

più lontano dalla città perché la vista delle loro baracche (chiamate bustees, ossia

abitazioni a basso prezzo, malsane e terribilmente affollate) potrebbe dare una cattiva

impressione ai nuovi agiati abitanti.

Il CPM, al potere da decenni ininterrottamente nel Bengala Occidentale, ha assunto

come consulente governativo per le politiche economiche la compagnia statunitense

McKinsey &Company. Questa nota multinazionale di consulenza direzionale ha

suggerito misure per trasformare l’agricoltura tradizionale in agri-business, in altre

parole in agricoltura compiutamente capitalistica e globalizzata. All’interno di queste

misure si suggerisce di creare colture al solo scopo di esportazione (mango, ananas,

riso aromatico, fiori) ed è stato suggerito il cosiddetto contract farming (contratti

prestabiliti tra il produttore e l’acquirente, ossia le grandi corporations). La stessa

Banca Mondiale ha ringraziato i partiti della Sinistra per la loro collaborazione.

Il 2009 è l’anno dell’escalation di violenza da parte dello stato. L’“Asian Human

Rights Commission”, organizzazione che conduce indagini indipendenti sulla

violazione dei diritti umani in Asia, ha pubblicato un rapporto dal titolo indicativo

“L’India: una democrazia in pericolo” (A.H.R.C. 2009).

In tale rapporto si evidenzia come “fighting terrorists, insurgent groups, Maoists,

Naxalites and other armed resistance groups are common excuses the security

agencies, including the police, pose after each incident of extrajudicial execution. Out

of an estimated 840 incidents of extrajudicial execution reported this year from India

by various credible sources, the AHRC is yet to know a case where an officer is

punished or an incident investigated after the incident. Instead, it is a common

practice for the government to promote officers involved in the incident. It is thus not

surprising that police officers in the country wrongly believe that illegal detention,

torture and killings are legitimate tools to maintain law and order” (63)

Il rapporto denuncia anche come manchi un dibattito pubblico sulla questione dello

sproporzionato uso della violenza da parte dello stato sui suoi cittadini.

Page 54: La lotta naxalita in India

54

Il 18 giugno 2009 al Lok Sabha, il Parlamento indiano, il Primo Ministro, Manmohan

Singh, è stato esplicito: “Se gli estremisti di sinistra continuano a prosperare in zone

che hanno ricchezze naturali minerarie, il clima per gli investimenti ne risentirà

sicuramente”.

Circa cinque mesi più tardi, nel Novembre 2009, con la mobilitazione di diciotto

compagnie armate (con 70000 uomini), ex abrupto, fu lanciata l’Operazione Green

Hunt e le azioni delle corporation minerarie schizzarono alle stelle. (64)

Il governo nega che sia in corso un’operazione chiamata Green Hunt. Ma l’operazione

è in corso, l’ordine di sparare a vista ai maoisti veri o sospettati c’è, l’ordine di

uccidere per il progresso c’è. Cinque Stati sono coinvolti direttamente da questo

straordinario impiego di forze militari e paramilitari: il Bengala Occidentale, l’Orissa,

il Chhattisgarh, il Jharkhand e il Maharashtra.

Scopo dell’Operazione è sostanzialmente scacciare i guerriglieri dai nuovi territori nei

quali si stanno insediando per consentire il contenimento dell’espansione maoista.

Nel febbraio 2010 è indetta dai Maoisti l’Operation Peace Hunt, come risposta alla

missione voluta dal governo. Nel corso di uno scontro a fuoco presso Silda (Bengala

Occidentale) sono uccisi ventiquattro paramilitari. Due mesi più tardi un nuovo,

indicativo attacco è messo a segno dai Maoisti in Chhattisgarh, nel distretto di

Dantewada. Agguato senza precedenti nella storia dei movimenti di guerriglia in

India, costato la vita a settantasei soldati indiani. Si tratta del numero più alto di

vittime mai registrato in un singolo attacco.

Page 55: La lotta naxalita in India

55

13.Conclusioni

“Un cinico può chiedere: che cosa ha ottenuto il movimento di Naxalbari in termini

pratici? Ed è una domanda alla quale è difficile rispondere. Bisogna ammettere che

Naxalbari ha sollevato più problemi di quanti ne abbia risolti. Ma proprio quei

problemi che ha sollevato e che ha cercato di risolvere troppo in fretta non erano mai

stati sollevati con tanta forza e tanta sincerità prima e dopo Telengana.Questo è il

risultato.”

Samar Sen, poeta bengalese

I successi militari dei maoisti indiani sono stati accompagnati da un successo politico

e sociale riscontrabile nel miglioramento del livello di vita della popolazione.

Attualmente essi sono l’unica alternativa credibile alla Sinistra tradizionale e

riformista/liberista. Questo fa sì che siano apprezzati da molti intellettuali

contemporanei fra i quali Arundhati Roy (scrittrice e attivista politica indiana), che si

rifiuta di definirli immorali o terroristi, Ravi Shankar, che recentemente li ha

qualificati come ammirevoli e sono celebrati dal gruppo punk-rap-rock londinese

Asian Dub nel celebre brano “Naxalites”.

Page 56: La lotta naxalita in India

56

Sempre più indiani li sostengono e credono in loro, vorrebbero però più attenzione

verso le classi medie. I naxaliti hanno di fronte una sfida non indifferente, creare una

piattaforma politica e soprattutto culturale che si distingua da quella che, nonostante la

modernità, ancora sopravvive nella società indiana. E’ loro compito sradicare il

sistema di casta, il sistema gerarchico intra-familiare, il rapporto fra i sessi e la

corruzione dilagante che ha ormai permeato completamente i compagni istituzionali

governanti e istituzionalizzati.

Il maoismo, considerato quasi un’infamia nel ricco mondo Occidentale, trova terreno

fertile nell’Asia meridionale. Esso è tuttora l’emblema della giustizia sociale dei

nullatenenti, del riscatto rurale.

Cerca di intercettare la richiesta, sempre più pressante e disperata, di quella larga

fascia di popolazione dimenticata dal benessere capitalista.

Il maoismo si trova oggi in una fase cruciale della sua storia. La sua diffusione sotto

forma di guerriglia sta diventando sempre più una costante nei paesi del Sud dell’Asia

(con particolare incidenza in Nepal e India, appunto). La povertà, l’esclusione,

l’emarginazione sono il filo comune.

Ciò che spicca però è l’assenza del sostegno della nazione in cui il maoismo è nato e

si è diffuso. La Repubblica popolare, dal 1979, anno dell’avvento di Den Xiaoping, si

è progressivamente de-maoizzata e questo ha portato all’interruzione dei

finanziamenti verso i guerriglieri dei paesi limitrofi. L’ideologia maoista è discordante

con le politiche economiche scelte dal paese, ma gli attuali squilibri interni al PCC

potrebbero portare (nel medio - lungo termine) a un nuovo sostegno dei gruppi maoisti

esterni per fini di redde rationem interna e per destabilizzazione di paesi concorrenti

nell’ascesa verso il primato mondiale.

Page 57: La lotta naxalita in India

57

NOTE:

(1) Ascione Gennaro, A Sud di Nessun Sud, Post - colonialismo, movimenti antisistemici e studi de

coloniali, Milano, 2010, p.73.

(2) Torri Michelguglielmo, Storia dell’India, Laterza, Bari, 2000, p. 655.

(3)Frank Katherine, Indira, the Life of Indira Nehru Gandhi, Londra, 2001, p. 375.

(4) Boillot Jean Joseph, L’économie de l’Inde, Paris, 2006, p. 11.

(5)Guidolin Monica, La via indiana dello sviluppo, op. cit., in http://www.indika.it/arte-cultura/lindia-

contemporanea-dal-1947-ad-oggi-parte-terza/(ultimo accesso 14 giugno 2013).

(6)Toye John, Dilemmas of Development, London, 1993, p. 696.

(7)Indira Gandhi, Last speech of Prime Minister Indira Gandhi prior to her assassination, India Study

Channel, 2011, in http://www.indiastudychannel.com/resources/142182-Last-speech-Indira-Gandhi-

at-Bhubaneswar.aspx (ultimo accesso 14 giugno 2013).

(8)Wolpert Stanley, A New History of India, Oxford, 2004, p. 422.

(9)Chandrasekhar, Patnaik Prabat, Indian Economy under Structural adjustment, in “Economic and

Political Weekly”, Vol. XXX, No.40, 25-11-1995, p. 3066.

(10) D'Orazi Flavoni Francesco, Storia dell'India, Venezia, 2000, p.160.

(11) Scridel Emanuela, L’India da paese in via di sviluppo a potenza economica. Strategia di

sviluppo e ruolo dei mercati finanziari internazionali, Roma, 2013, p. 85.

Page 58: La lotta naxalita in India

58

(12) Biondi Lorenzo, Lezioni indiane sulla crescita, in “Europa”, 06 maggio 2013, in

http://www.europaquotidiano.it/2013/05/06/india-sviluppo-recensione-scridel/ (ultimo accesso 14

giugno 2013).

(13)Satyameva Jayate, Manifesto elettorale del BJP, 2011, in http://bjp.org/index.php?

option=com_content&view=article&id=129&Itemid=545 (ultimo accesso 14 giugno 2013).

(14) Goodman Amy, Arundhati Roy: back in the USA, in “AlterNet”, 25 maggio 2006. In

http://www.alternet.org/story/36643/arundhati_roy%3A_back_in_the_u.s.a (ultimo accesso 14 giugno

2013).

(15)Guha Ramachandra, India after Gandhi: The history of the world's largest democracy, New York,

2007.

(16) Chomsky Noam, I nuovi mandarini. Gli intellettuali e il potere in America, Milano, 2003, p. 257.

(17) Lilly William Samuel, India and its problems, London, 2009.

(18)Thorner, Daniel and Alice, Land and Labor in India, London, 1962, p. 114.

(19)Nash Madeleine, El Niño: Unlocking the Secrets of the Master Weather-Maker, New York and

London, 2003.

(20)Michael Collier, Webb Robert, Floods, Droughts, and Climate Change, Tucson, 2002.

(21) Herzog Jesus Silva, Storia della Rivoluzione Messicana, 2 vol., Longanesi Milano, 1975.

(22) Cinnella Ettore, 1905. La vera rivoluzione russa. Della Porta Editori, Pisa - Cagliari, 2008.

(23) Bory John Bagnell, Cook Stephen Arthur, e Adcock Frank Ezra, Cambridge History of India,

Cambridge University Press, London, 1963.

(24) Torri Michelguglielmo, Storia dell’India, op. cit.

(25)Kumar Suresh Singh, Tribal Society in India: An Anthropo-historical Perspective, New Delhi,

1985.

(26) Dei 562 stati principeschi esistenti durante l’Impero Indiano solamente due sopravvissero dopo

l’indipendenza: Kashmir e Hyderabad.

(27) Il termine Santal si riferisce alla loro lingua.

(28)Edward Duyker, Tribal Guerrillas: The Santals of West Bengal and the Naxalite Movement, New

Delhi, 1987.

Page 59: La lotta naxalita in India

59

(29) “Mao Tse-Tung, Discorso alla Conferenza Nazionale di propaganda del Partito Comunista

cinese, 1957. In “Opere Complete”, Milano, 1991, Vol. 14, pp.197-209.

(30) Mao Tse-Tung, Su problemi economici del socialismo nell’URSS di Stalin, 1958. In “Opere

Complete”, Milano, 1991, Vol. 16, pp. 255-260.

( 3 1 ) I n f o r m a z i o n i p r e s e s u l s i t o u f f i c i a l e d e l P a r t i t o d e l C o n g r e s s o

Indiano(http://www.aicc.org.in/new/index.php).

(32)Metcalf Barbara, Metcalf Thomas, Storia dell'India, Milano, 2004.

(33) Citazione dall’appello del Fronte Democratico Rivoluzionario in occasione dello sciopero dei

lavoratori indiani del 20-21 febbraio 2013. In http://proletaricomunisti.blogspot.be/2013/02/pc-27-

febbraio-il-grande-sciopero.html (ultimo accesso 14 giugno 2013).

(34)Basu Pradip, Towards Naxalbari (1953–1967) – An Account of Inner-Party Ideological Struggle,

Calcutta, 2000.

(35)Mitra Joydeep, West Bengal sit-in demanding inquiry into the carnages of the ’70s, 2001, in

http://www.cpiml.org/liberation/year_2001/september/dev8_wb.htm (ultimo accesso 14 giugno 2013).

(36) Registrazione audio del CPI (M) riportata da Nadeem Ahmed, Charu Mazumdar -The Father of

Naxalism, in “Hindustan Times”, 15 December 2005, http://www.hindustantimes.com/News-

Feed/NM1/Charu-Majumdar-The-Father-of-Naxalism/Article1-6531.aspx (ultimo accesso 14 giugno

2013).

(37)Koenraad Elst, Who is a Hindu? Hindu Revivalist Views of Animism, Buddhism, Sikhism and

Ot h e r O f f s h o o t s o f H i n d u i s m, V o i c e o f I n d i a , N e w D e l h i , 2 0 0 1 . In

http://koenraadelst.voiceofdharma.com/books/wiah/index.htm (ultimo accesso 14 giugno 2013).

(38)Sanyal Kanu, The history of CPI (ML) from 1969-1972, an evaluation. In

http://www.janasakthionline.com/downloads/history_en.pdf (ultimo accesso 14 giugno 2013).

(39) Intervista a Kanu Sanyal, ex Segretario Generale del nuovo CPI (ML) raccolta da Piero Pagliani

l’11 luglio 2006 nel villaggio di Sebdella, distretto di Darjeeling, Bengala Occidentale. Pagliani Piero,

Naxalbari-India. L’insurrezione maoista nella futura Terza Potenza Mondiale, Milano, 2007, pp.305-

311.

(40)Damas Marius, Approaching Naxalbari. Radical Impression, Calcutta, 1991, pp.153-154.

Page 60: La lotta naxalita in India

60

(41)Reddy Tarimala Nagi, Historical and polemical documents of the communist movement in India ,

1964-1972, Vol.2, Memorial Trust Vijayawada. I n http://mlclassstruggle.blogspot.be/2012/08/more-

about-naxalbari-comkanu-sanyal_7.html (ultimo accesso 14 giugno 2013).

(42) Discorso di Charu Mazumdar del Dicembre 1969, citato in: Samar Sen, Debabrata Panda, Ashish

Lahiri, Naxalbari and after:a frontier anthology,Calcutta,1978,p.341.

(43) Pagliani Piero, Naxalbari-India, op. cit. ,pp.110-111.

(44) Pagliani Piero, Imperialismo preventivo o impero: domande non eludibili, in “Guerre & Pace”,

N. 107, 2004, p.39.

(45)Morris David, Indian Economy in the Nineteenth Century: a Symposium, New Delhi, 1969, p.

(46)Mukherjee Ramkrishna, Caste in Itself, Caste and Class, or Cast in Class, in “Journal of World-

Systems Research”, vol.6, n.2, 2000, p.338.

(47)Seal Anil, The emergence of Indian Nationalism, Cambridge, 1968.

(48) Intervista a Kanu Sanyal, in Pagliani Piero, Naxalbari-India, op. cit., pp.305-311.

(49)Kishan and Ganapathi, Press Statement, 14-10-2004, CPI (ML) (PW) and MCCI Merged.

Communist Party of India (Maoist) Emerged. In http://www.bannedthought.net/India/CPI-

Maoist-Docs/Statements/PressStatementOnMerger.htm (ultimo accesso 14 giugno 2013).

(50) Gramaglia Mariella, Indiana. Nel cuore della democrazia più grande del mondo, Roma, 2008,

p.16.

(51) Cruz Alberto, La sinistra in India-La rivoluzione naxalita, in “Rebèlion”, 15/10/2008. In

http://www.rebelion.org/noticia.php?id=74346 (ultimo accesso 14 giugno 2013).

(52) Forti Marina, Il cuore di tenebra dell’India. Inferno sotto il miracolo, Milano, 2012, pp. 67-74.

(53)Himashnu Kumar, Alleged killing, rape and burning of houses in Dantewada, CGNet Swara, 18

marzo 2011.In http://cgnetswara.org/index.php?id=3700 (ultimo accesso 14giugno 2013).

(54)Aman Sethi, Chhattisgarh villages torched in police rampage, in “The Hindu”, 23 marzo 2011, inhttp://www.thehindu.com/news/national/other-states/chhattisgarh-villages-torched-in-police-rampage/article1562165.ece (ultimo accesso 25 giugno 2013).

(55)Maitra Ramtanu, Rise of Maoists in India: A Side-Effect of Globalization? , in “Executive

Intelligence Review”, 26 maggio 2006, pp. 54-56.

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