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LA LEZIONE Effetti antropogenici sull’atmosfera: “Il buco dell’Ozono” Tra i fattori non naturali, le ricerche finora condotte hanno messo in evidenza che alcuni inquinanti prodotti dalle attività umane sono in grado di distruggere l'ozono stratosferico e quindi assottigliare l'ozonosfera che svolge l'importante funzione di proteggere la Terra dalle pericolose radiazioni ultraviolette UV. "Il Protocollo di Montreal, con il quale gli stati hanno accettato la necessità di eliminare gradualmente l'uso di sostanze che riducono lo strato di ozono, va considerato l'accordo internazionale forse più importante in ambito ambientale ". Kofi Annan, Segretario Generale dell’ONU - Settembre, 1987 La riduzione dello strato di ozono stratosferico, il cosiddetto “buco dell’ozono”, è stata probabilmente la prima emergenza ambientale globale che ha interessato l’atmosfera e che ha ricevuto attenzione a livello mondiale. E' anche una delle poche emergenze a seguito delle quali è stata decisa un’azione decisa, nell’ambito di accordi internazionali promossi dalla Nazioni Unite, per la salvaguardia dell’ambiente. Tutto ebbe inizio nel corso del 1985 quando ricercatori del British Antarctic Survey, pubblicarono dei risultati del tutto inattesi: la quantità di ozono atmosferico misurato al di sopra della Halley Bay, in Antartide, era diminuita fra il 1977 e il 1984 di più del 40% e principalmente durante la stagione primaverile. Altri gruppi confermarono ben presto questo rapporto, dimostrando che la regione in cui si era verificata tale diminuzione dell’ozono era più vasta dell’intero continente e si estendeva grosso modo dai 12 ai 24 km di altezza, abbracciando gran parte della media e l’intera bassa stratosfera (v. fig.1). Figura 1 – Misure dell’ozono stratosferico effettuate mediante il Total Ozone Mapping Spectrometer (TOMS). L’area su cui si estende il buco dell’ozono e indicata dalla linea rossa (220 DU) La natura stagionale della deplessione, se da una parte aggiungeva mistero al buco dell’ozono, dall’altra aiutava a stabilire che il trend era reale e non il risultato di problemi nella calibrazione strumentale. Fu suggerito fin dall’inizio delle ricerche che la notevole riduzione stagionale della concentrazione di ozono doveva essere dovuta ad una combinazione di fattori quali la chimica dei processi fotochimici dei clorofluorocarburi (CFC) presenti nell’atmosfera, le temperature estremamente basse al di sopra dell’Antartide e la presenza del vortice polare. L’ozono, dal greco ζειν “che ha odore”, è una molecola contenente 3 atomi di ossigeno (O 3 ), presente allo stato gassoso nell’atmosfera. Reagisce rapidamente con molti composti chimici ed è esplosivo in quantità concentrate. Le scariche elettriche sono generalmente usate per produrre ozono nei processi industriali di purificazione dell’aria e dell’acqua e per lo sbiancamento dei tessuti e dei prodotti alimentari. La maggior parte dell’ozono naturale (90%) si trova nella stratosfera, che

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LA LEZIONE

Effetti antropogenici sull’atmosfera: “Il buco dell’Ozono”

Tra i fattori non naturali, le ricerche finora condotte hanno messo in evidenza che alcuni inquinanti prodotti dalle attività umane sono in grado di distruggere l'ozono stratosferico e quindi assottigliare l'ozonosfera che svolge l'importante funzione di proteggere la Terra dalle pericolose radiazioni ultraviolette UV.

"Il Protocollo di Montreal, con il quale gli stati hanno accettato la necessità di eliminare gradualmente l'uso di sostanze che riducono lo strato di ozono, va considerato l'accordo internazionale forse più importante in ambito ambientale ". Kofi Annan, Segretario Generale dell’ONU - Settembre, 1987

La riduzione dello strato di ozono stratosferico, il cosiddetto “buco dell’ozono”, è stata probabilmente la prima emergenza ambientale globale che ha interessato l’atmosfera e che ha ricevuto attenzione a livello mondiale. E' anche una delle poche emergenze a seguito delle quali è stata decisa un’azione decisa, nell’ambito di accordi internazionali promossi dalla Nazioni Unite, per la salvaguardia dell’ambiente.Tutto ebbe inizio nel corso del 1985 quando ricercatori del British Antarctic Survey, pubblicarono dei risultati del tutto inattesi: la quantità di ozono atmosferico misurato al di sopra della Halley Bay, in Antartide, era diminuita fra il 1977 e il 1984 di più del 40% e principalmente durante la stagione primaverile. Altri gruppi confermarono ben presto questo rapporto, dimostrando che la regione in cui si era verificata tale diminuzione dell’ozono era più vasta dell’intero continente e si estendeva grosso modo dai 12 ai 24 km di altezza, abbracciando gran parte della media e l’intera bassa stratosfera (v. fig.1).

Figura 1 – Misure dell’ozono stratosferico effettuate mediante il Total Ozone Mapping Spectrometer (TOMS). L’area su cui si estende il buco dell’ozono e indicata dalla linea rossa (220 DU)

La natura stagionale della deplessione, se da una parte aggiungeva mistero al buco dell’ozono, dall’altra aiutava a stabilire che il trend era reale e non il risultato di problemi nella calibrazione strumentale. Fu suggerito fin dall’inizio delle ricerche che la notevole riduzione stagionale della concentrazione di ozono doveva essere dovuta ad una combinazione di fattori quali la chimica dei processi fotochimici dei clorofluorocarburi (CFC) presenti nell’atmosfera, le temperature estremamente basse al di sopra dell’Antartide e la presenza del vortice polare. L’ozono, dal greco ὄζειν “che ha odore”, è una molecola contenente 3 atomi di ossigeno (O3), presente allo stato gassoso nell’atmosfera. Reagisce rapidamente con molti composti chimici ed è esplosivo in quantità concentrate. Le scariche elettriche sono generalmente usate per produrre ozono nei processi industriali di purificazione dell’aria e dell’acqua e per lo sbiancamento dei tessuti e dei prodotti alimentari.La maggior parte dell’ozono naturale (90%) si trova nella stratosfera, che

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inizia intorno a 10-16 km dalla superficie della Terra e si estende fino ai 50 km di altitudine con un massimo attorno a 20 km, (v. fig.2).

Figura 2 – Rappresentazione schematica di come la quantità di ozono cambia con l’altitudine

La regione stratosferica con la piu alta concentrazione di ozono e detta “strato di ozono” e si estende sull’intero globo terrestre con alcune variazioni in altitudine e spessore. Il rimanente ozono (10%), si trova nella troposfera, ovvero la zona piu bassa dell’atmosfera posta tra la superficie della Terra e la stratosfera.La sua concentrazione nell’atmosfera e comunque relativamente bassa. Nella stratosfera, intorno al picco di massima concentrazione, in realtà solo circa 10 molecole per ogni milione di molecole di atmosfera sono molecole di ozono.I livelli di ozono sono espressi in altezza della colonna equivalente a pressione e temperatura standard, in unità di 0,01 mm (unità Dobson, DU). In pratica si misura lo spessore dello strato che si avrebbe se tutto l’ozono direttamente al di sopra di un osservatore che si trova sulla superficie terrestre fosse il solo gas presente in condizioni normalizzate di temperatura e pressione (v.fig.3). Se ad esempio la misura è 300 DU,

vuol dire che se tutta questa quantità di ozono venisse portata al livello del suolo, esso formerebbe uno strato di 3.0 mm.

Figura 3 – Viene mostrata una colonna di aria, 10°×5°, sopra il Labrador, in Canada. Se tutto l'ozono di questa colonna fosse compresso a temperatura e pressione normali (a 0°C e ad 1 atmosfera di pressione), si formerebbe uno strato con spessore di circa 3 mm

L’ozono stratosferico è formato naturalmente attraverso reazioni chimiche che coinvolgono le radiazioni ultraviolette e molecole di ossigeno secondo il meccanismo proposto da Chapman nel 1930 e riportato nello schema di fig. 4.

Figura 4 - Schema reazioni di Chapman

Nella reazione (1), una molecola di ossigeno (O2) assorbe un fotone di luce UV (hν) con una lunghezza d’onda di circa 200 nm e si dissocia in due atomi di ossigeno (O•). Ciascuno di questi può allora combinarsi con un’altra molecola di ossigeno per formare l’ozono, se la pressione (M è ad esempio N2 o O2) è abbastanza elevata da stabilizzare la

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molecola di ozono appena formatasi (2). Maggiore è l’altitudine più veloce è la reazione (1), in quanto al disotto dei 20 km di quota la radiazione UV con λ ~ 200 nm non è presente. La velocità della reazione (2), tuttavia, è maggiore nelle vicinanze del suolo, dove la pressione atmosferica è più elevata. Di conseguenza, la massima quantità di ozono si forma all’incirca tra i 25 e i 30 km di altitudine (v. fig. 2).La reazione (3) è esotermica (cede calore), e in questo modo la stratosfera risulta essere uno strato più caldo rispetto alla parte alta della troposfera, rendendo le condizioni meteorologiche nella troposfera meno estreme di quello che sarebbero altrimenti. La reazione (4) distrugge l’ozono e porta alla fine del ciclo, che per continuare ad avvenire deve essere nuovamente innescato dalla reazione iniziale (Le reazioni 1-4 sono riassunte nella fig. 5).

Figura 5 – Schema del meccanismo di formazione ed eliminazione dell’ozono stratosferico

L’ozono nella stratosfera quindi, assorbe gran parte della radiazione UV proveniente dal Sole. Se non assorbiti, i raggi UV raggiungono la Terra in quantità che sono dannose per una grande varietà di forme di vita (v. fig. 6).I raggi UV-B sono in grado di attaccare e danneggiare molecole come il DNA e l’RNA, così se l’esposizione a questi raggi diviene

eccessiva, si possono sviluppare sia dei melanomi che altri tipi di cancro della pelle, cataratte e soppressione del sistema immunitario. Anche le piante, gli organismi unicellulari e gli ecosistemi acquatici possono venire danneggiati da un’esposizione eccessiva ai raggi UV.

Figura 6 - Protezione UV dello strato di ozono. La radiazione UV-B (lunghezza d’onda tra 280-315 nm) proveniente dal Sole e assorbita dallo strato e quindi raggiunge la Terra fortemente ridotta. La radiazione UV-A (lunghezza d’onda 315-400 nm), il visibile e le altre radiazioni solari, non sono assorbite dall’ozono

Misure successive hanno mostrato che i livelli di ozono calcolati per mezzo del modello di Chapman erano considerevolmente più alti di quelli osservati. Questo perché, oltre alla reazione di arresto O3 + O∙ → 2 O2, esistono altre reazioni chimiche che contribuiscono alla riduzione del contenuto di ozono.Vi sono infatti alcune specie atomiche e molecolari che possono reagire con l’ozono secondo lo schema seguente:Il radicale X agisce come catalizzatore in quanto partecipa alla reazione ma non compare come prodotto. La conseguenza è che la molecola X viene rigenerata e può partecipare ad un’altra sequenza determinando così la distruzione di

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altre molecole di ozono.Nel 1970 Paul Crutzen, mostrò che gli ossidi di azoto NO e NO2

reagivano cataliticamente con l’ozono riducendone il contenuto.Le molecole X che portano alla perdita di ozono entrano nella stratosfera principalmente dalla troposfera, possono essere di origine naturale o antropica. Vengono ad esempio rilasciati nell’atmosfera da processi biologici che hanno luogo sulla superficie terrestre ossidi di azoto, vapore acqueo e metano, mentre i composti del cloro e del bromo derivano prevalentemente da prodotti industriali. I radicali possono essere allontanati temporaneamente dalle reazioni catalitiche attraverso la formazione di gas deposito che legano fra di loro i radicali. Alcuni dei gas deposito, grazie alla loro solubilità, sono intrappolati in nubi stratosferiche e trasportati per deposizione dalla stratosfera alla troposfera.

Figura 7 – Ciclo distruzione dell’ozono da parte del cloro

In fig.7 è mostrato il ciclo di distruzione dell’ozono da parte del cloro. Come risultato, un atomo di cloro può distruggere circa 105

molecole di ozono prima che formi gas deposito come HCl (acido cloridrico) e ClONO2 (cloronitrato).

Insieme HCl e ClONO2 immagazzinano più del 99% del cloro presente nella stratosfera, lasciando libera di partecipare alla distruzione catalitica dell'ozono una quantità inferiore all'1%. La chimica della stratosfera è complessa in quanto tutti i cicli catalitici sono accoppiati l'uno con l'altro ed è necessario deve tener conto delle loro interrelazioni. Tutte queste reazioni presentano il loro massimo di efficienza alle medie latitudini terrestri e particolarmente ai tropici, dove la radiazione UV è più abbondante, l'ossigeno atomico è più facilmente disponibile e vi è una continua formazione di ozono.Nel 1974 Frank S. Rowland e Mario J. Molina mostrarono che la maggiore sorgente di cloro e dei suoi ossidi nella stratosfera poteva essere la fotodissociazione dei clorofluorocarburi (CFC), composti organici quali il triclorofluorometano (CFCl3) e diclorodifluorometano (CF2Cl2), da parte delle radiazioni ultraviolette. Per i loro studi sulla chimica dell’atmosfera nel 1995, insieme a Paul J. Crutzen, sono stati insigniti del Premio Nobel per la Chimica. Questi composti organici alogenati sono molto stabili nella bassa atmosfera e sono stati utilizzati estensivamente nelle nazioni industrializzate principalmente come propellente nelle bombolette spray, come refrigeranti per impianti frigoriferi, come agenti schiumogeni per la produzione di schiume poliuretaniche e come detergenti per componenti elettronici. Le loro caratteristiche chimiche eccezionali, li hanno resi adatti a tali usi in quanto sono generalmente non tossici, inodori ed incolori, stabili chimicamente e termicamente, solubili in alcol e in etere ma non in acqua, non sono corrosivi, né

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infiammabili, né esplosivi, hanno elevata densità, bassa viscosità e bassa temperatura di ebollizione.Il processo di riduzione dell’ozono da parte dei CFC può essere schematizzato nel modo seguente: i gas emessi dalla superficie della Terra si accumulano nella bassa atmosfera e vengono poi trasportati nella stratosfera attraverso i naturali processi di trasporto atmosferico. Qui, i raggi ultravioletti sono in grado di scindere le molecole di CFC producendo atomi di cloro libero, che iniziano la catena di reazioni catalitiche che portano alla distruzione dell'ozono (v. fig. 8) e alla formazione dei gas deposito.

Figura 8 - I radicali cloro (5) entrano in un ciclo catalitico (reazioni 6 e 7) di netta decomposizione dell’ozono, che può essere terminato dalle reazioni 8 e 9 con la formazione dei gas deposito

I CFC hanno tempi di semivita o tempo di permanenza, che indicano quanto in media una molecola di quella sostanza rimarrà nella stratosfera prima di venire eliminata, molto lunghi. Questi possono variare da 1 a oltre 100 anni e ciò è conseguenza del fatto che nella troposfera essi non sono distrutti né dal radicale ossidrile né dalla luce solare e dall’insolubilità in acqua che ne impedisce la loro rimozione con le piogge. Misurazioni della concentrazione di ozono eseguite nella stratosfera in numerose stazioni dislocate in tutto il mondo (in fig.9 sono riportati quelli misurati ad Arosa in Svizzera) hanno

evidenziato che i livelli di ozono misurati dalla metà degli anni 60 hanno subito una diminuzione intorno al 3% nelle zone temperate dell’emisfero nord e 6% in quelle del sud, con perdite complessive del 10% in inverno e primavera e dell’8% in estate ed autunno.

Figura 9 -La serie temporale dell’ ozono ad Arosa dal 1926 al 2000 (blu). A partire dal 1980 circa e possibile un confronto con le misure da satellite, (TOMS, NASA) mostrate in verde

Tuttavia, nessuno aveva previsto che si sarebbe verificata una diminuzione così drammatica dei livelli di ozono nella stratosfera sopra l'Antartide. Il fenomeno si manifesta in occasione della primavera antartica, e cioè nel periodo settembre-ottobre, con regolarità e ampiezza crescente a partire dal 1979 è conosciuto appunto come il 'buco dell’ozono' (v. fig. 10).

Figura 10 – Confronto delle riduzioni dello strato di ozono antartico tra il 1979 e il 1985

Questo grave assottigliamento dello strato di ozono si verifica in Antartide perché le condizioni chimiche e atmosferiche uniche di questa regione incrementano l’efficacia della distruzione dell’ozono

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dei gas alogeni reattivi. Oltre alla presenza di questi gas reattivi sono necessarie basse temperature per la formazione delle nuvole polari stratosferiche (PSC), le speciali condizioni meteorologiche che originano il vortice polare (v. fig.11) e il sorgere del sole polare in primavera (v. fig.12).

Figura 11 - Il vortice polare isola la zona impoverita di ozono all’interno di una configurazione circolare di masse d’aria in rapido movimento. La velocità del vento e rappresentata dai diversi colori

Figura 12 – Schema distruzione dell’ozono durante la primavera antartica

In inverno, l’abbassamento della temperatura e di conseguenza della pressione e la rotazione terrestre, generano un vortice polare, cioè una massa d’aria che ruota su se stessa a velocità fino a 300 km/h, che isola la stratosfera polare da scambi di materia con le latitudini più basse e che mantiene gli elevati valori iniziali di O3 e basse temperature. Il vortice ha circa le dimensioni del continente antartico e si mantiene al polo sud fino a primavera (ottobre) quando la radiazione solare ritorna dopo l’inverno (v. fig. 13).Queste temperature consentono la formazione di nubi dalla condensazione di miscele naturali di

acqua e acido nitrico (HNO3). Queste nubi catalizzano una serie di reazioni eterogenee che si verificano alla superficie dei cristalli di ghiaccio e che coinvolgono le specie inattive del cloroAlla fine del ciclo due molecole contenenti cloro inattivo hanno dato luogo ad una molecola di cloro, mentre l’acido nitrico rimane immerso nella fase condensata.Al termine dell’inverno il sole riappare e la radiazione solare è in grado di attivare il Cl2 nella sua forma radicalica che provoca una rapida distruzione dell’ozono determinando il buco antartico nei mesi di settembre e ottobre (v. fig. 13). A novembre (inizio della primavera antartica) ritorna la radiazione solare completa, le PSC vengono vaporizzate per l’aumento di temperatura, il vortice cessa, riprende il mescolamento e il ciclo di distruzione catalitica di O3 termina e la concentrazione di ozono ritorna a livelli normali (v. fig. 13).

Figura 13 – Immagini dell’evoluzione del buco dell’ozono dalla fine dell’inverno all’inizio della primavera antartica

Anche al Polo Nord, nonostante il vortice polare sia molto più debole e le temperature più alte rispetto a quelle antartiche limitino la formazione delle PSC, a partire dal 1991 si è comunque osservata una diminuzione fino ad 1/3 dell’ozono stratosferico artico in certi periodi dell’inverno, dimostrando come ormai il problema abbia assunto

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carattere planetario. Il grave problema della riduzione dello strato di ozono, è stato riconosciuto internazionalmente nel 1985 nella Convenzione UNEP (United Nations Environment Programme) firmata a Vienna. Questa ha portato nel 1987 alla firma del Procollo di Montreal sulle sostanze che riducono lo strato di ozono (ozone-depleting substances - ODS), in cui sono state prese una serie di misure restrittive sul consumo e nella produzione di alcuni CFC. Nel 2010, il Protocollo di Montreal è stato il primo trattato internazionale ad essere ratificato da tutti gli stati membri delle Nazioni Unite.Nonostante la riduzione dei consumi di CFC gli effetti sull’atmosfera sono molto lenti a causa del lungo tempo di semivita delle sostanze coinvolte.

Figura 14 (a) - Valori medi dell’ozono globale. (b) – Le variazioni di ozono sono comparate per differenti latitudini

In fig. 14a sono riportati valori medi misurati dell’ozono globale. In media il

valore di ozono è diminuito tra il 1980 e 1990. La riduzione si è aggravata per alcuni anni dopo il 1991 a causa degli effetti dell’aerosol vulcanico legato all’eruzione dl Monte Pinatubo. La media globale dell’ozono tra il 2005-2009 è circa il 3,5% in meno a quella tra il 1964-1980. Si osserva (fig. 14b) che il decremento maggiore si ha a più alte latitudini in tutti e due gli emisferi a causa delle grandi riduzioni inverno/primavera nelle regioni polari. Le perdite nell’emisfero Sud sono maggiori di quelle dell’emisfero Nord a causa del buco dell’ozono. Le variazioni a lungo termine ai tropici sono molto più piccole perché i gas alogeni reattivi sono meno abbondanti mentre e le velocità di produzione dell’ozono sono più grandi. Le osservazioni della quantità di ozono a livello globale, hanno quindi mostrato in questi ultimi anni un rallentamento nella riduzione dello strato. Si ritiene, comunque, che questo non diventerà significativo prima della seconda metà del secolo, quando la quantità di componenti ODS, per effetto del Protocollo di Montreal, tornerà ai valori precedenti il 1980 (v. fig.15).

Figura 15 - Proiezione dell’abbondanza di sostanze ODS espresse come valore equivalente effettivo di cloro stratosferico (EESC) in base all’applicazione del Protocollo di Montreal e successive revisioni ed emendamenti. Il nome delle città indica dove sono stati modificati i provvedimenti previsti nel 1987

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Le interazioni tra ozono, temperatura, circolazione atmosferica e altre sostanze chimiche sono molto complesse e interconnesse, questo rende difficile le previsioni sui tempi di recupero. Gli sforzi attuali della ricerca sono quindi indirizzati verso lo studio delle potenziali condizioni atmosferiche future e come esse possano influenzare la salute dello strato di ozono.