La lezione di una tragedia - CAI sezione di Gorizia · goriziano” un augurio a tutti gli eletti...

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Foto Carlo Sclauzero. TRIMESTRALE DELLA SEZIONE DI GORIZIA DEL CLUB ALPINO ITALIANO, FONDATA NEL 1883 ANNO XLVII - N. 4 - OTTOBRE-DICEMBRE 2013 “Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - 70% - DCB/Gorizia” In caso di mancato recapito restituire a CAI Gorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia Vajont 1963-2013 La lezione di una tragedia di FULVIO IADAROLA L a notte del 9 ottobre 1963, quasi 300 milioni di metri cubi di roc- cia, per uno spessore comples- sivo di 250 m, si staccano dal versante settentrionale del Monte Toc in Comune di Erto e Casso lungo un fronte di 2 km, scivolano per circa 400 m e precipitano a velocità stimata fra 80 e 100 km/ora nel sottostante lago arti- ficiale, risalendo per qualche decina di metri anche il fianco opposto della valle. La massa di roccia genera un'onda di 200 m d'altezza che lambisce le prime case di Casso e, sormontata la diga, precipita nella valle del Piave pro- vocando la distruzione di Longarone e dei paesi limitrofi e la morte di circa 2000 persone. Chi visita la diga del Vajont, oltre a vedere l'imponente opera idraulica che ha retto ottimamente all'urto immenso della massa d'acqua e di roccia, rimane impressionato dalla estesa ferita inferta al fianco della montagna da una delle frane più grandi mai avvenute in tempi storici, annoverata tra i cinque più grandi disastri al mondo. È a nudo la superficie di scorrimento della frana, rappresentata da due estesi lastroni rocciosi inclinati di circa 40° verso il torrente Vajont, interrotti a Est e a Ovest da piani di faglia verticali. Il ciglio della frana è tuttora ben visibile e dal belve- dere di Casso s'individua tutta la sua geometria che descrive la famosa let- tera M. I fenomeni franosi sono eventi nor- mali nell'evoluzione geomorfologica di un territorio montuoso, dovuti alla pre- senza di agenti morfogenetici molto energici (precipitazioni piovose e ne- vose, acque di ruscellamento superfi- ciale o incanalate, cicli di gelo e di- sgelo, espansione termica) e di fattori predisponenti (variazioni compositive dell'ammasso roccioso, presenza di una rete di fratture diffuse o concen- trate che conferiscono fragilità alla roc- cia, presenza di strati argillosi o ges- sosi, presenza di zone di svincolo come le faglie o sistemi di fratture, inclina-

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Foto Carlo Sclauzero.

TRIMESTRALE DELLA SEZIONE DI GORIZIADEL CLUB ALPINO ITALIANO, FONDATA NEL 1883

ANNO XLVII - N. 4 - OTTOBRE-DICEMBRE 2013

“Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - 70% - DCB/Gorizia”

In caso di mancato recapito restituire a CAI Gorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia

Vajont 1963-2013

La lezione di una tragediadi FULVIO IADAROLA

L a notte del 9 ottobre 1963, quasi300 milioni di metri cubi di roc-cia, per uno spessore comples-sivo di 250 m, si staccano dal

versante settentrionale del Monte Tocin Comune di Erto e Casso lungo unfronte di 2 km, scivolano per circa 400m e precipitano a velocità stimata fra 80e 100 km/ora nel sottostante lago arti-ficiale, risalendo per qualche decina dimetri anche il fianco opposto dellavalle.

La massa di roccia genera un'ondadi 200 m d'altezza che lambisce leprime case di Casso e, sormontata ladiga, precipita nella valle del Piave pro-vocando la distruzione di Longarone edei paesi limitrofi e la morte di circa2000 persone.

Chi visita la diga del Vajont, oltre avedere l'imponente opera idraulica cheha retto ottimamente all'urto immensodella massa d'acqua e di roccia, rimaneimpressionato dalla estesa ferita infertaal fianco della montagna da una dellefrane più grandi mai avvenute in tempistorici, annoverata tra i cinque piùgrandi disastri al mondo. È a nudo lasuperficie di scorrimento della frana,rappresentata da due estesi lastronirocciosi inclinati di circa 40° verso iltorrente Vajont, interrotti a Est e a Ovestda piani di faglia verticali. Il ciglio dellafrana è tuttora ben visibile e dal belve-dere di Casso s'individua tutta la suageometria che descrive la famosa let-tera M.

I fenomeni franosi sono eventi nor-mali nell'evoluzione geomorfologica diun territorio montuoso, dovuti alla pre-senza di agenti morfogenetici moltoenergici (precipitazioni piovose e ne-vose, acque di ruscellamento superfi-ciale o incanalate, cicli di gelo e di-sgelo, espansione termica) e di fattoripredisponenti (variazioni compositivedell'ammasso roccioso, presenza diuna rete di fratture diffuse o concen-trate che conferiscono fragilità alla roc-cia, presenza di strati argillosi o ges-sosi, presenza di zone di svincolo comele faglie o sistemi di fratture, inclina-

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2 Alpinismo goriziano - 4/2013

Casso. Foto Carlo Sclauzero.

La superficie di scorrimento della frana. Foto Carlo Sclauzero.

zione degli strati a franapoggio, elevatependenze dei versanti), che provocanoerosione, degradazione e alterazionedelle rocce. Al Vajont questi agenti efattori geomorfologici c'erano tutti. E lìè stata costruita la diga.

Nel 2008 l'UNESCO ha definito latragedia del Vajont una "lezione per in-gegneri e geologi", parole che oltre a ri-conoscere il carattere non naturale del-l'evento, identifica la mano armata indue specifiche figure tecniche.

Molti geologi si sono chiesti, dopoil disastro, dove la geologia avesse fal-lito nel processo di valutazione preven-tiva dell'idoneità del territorio alla co-struzione di una diga, quasi che ognigeologo dovesse portarsi sulla schienail fardello della sconfitta perpetrata aidanni della quotidiana ricerca dei fe-nomeni premonitori per la prevenzionedai disastri grandi e piccoli. Dove cioèavessero sbagliato i geologi che stu-diarono, a suo tempo, la vallata.

Ciò che fu in verità attentamentestudiato furono le spalle d'imposta roc-ciosa della diga e l'impermeabilità diquell'area, condizioni necessarie perl'efficacia dell'opera, mentre fu sotto-valutata l'importanza della reciproca in-terazione tra l'opera e il bacino idro-geologico coinvolto. Nell'edizione del1975 del volume La geologia applicataall'ingegneria di Ardito Desio comparve,rispetto alla prima edizione del 1948, lastabilità dei versanti come elemento divalutazione per la completezza dellostudio geologico per il progetto delle di-ghe. È stata un'aggiunta che rappre-senta il riconoscimento che al Vajontc'è stato un errore di sottovalutazioneiniziale, dovuto ai limiti metodologicinelle analisi geologiche dell'epoca, an-cora poco "applicate" agli specifici in-terventi ingegneristici e troppo "natu-ralistiche", dai quali già allora il geo-logo cercava di svincolarsi, tanto dadeterminare proprio nello stesso 1963la nascita della figura del geologo pro-fessionista e l'istituzione del relativoOrdine.

L'evento del Vajont è stato in primoluogo una lezione di metodo. L'unicovero geologo presente, l'allora giovaneEdoardo Semenza, aveva riconosciutol'esistenza della frana, circoscrivendola,motivandone le cause e rendendoedotti i suoi committenti del pericolo.Era il 1960, tre anni prima del disastro.La sua valutazione sulle problematichegeologiche della valle, basate su datiscientifici, si contrapponeva a quelledel consulente ufficiale, professoreGiorgio Dal Piaz, docente in pensione(di Scienze Naturali), che sosteneva la

superficialità dei movimenti franosi inatto e la loro innocuità sull'opera in co-struzione. Fu quest'ultimo a riceveremaggiore ascolto.

Errori li fecero in molti, chi per im-perizia, chi per negligenza, dal consu-lente geofisico (prof. Caloi, professoreall'Università di Roma) che stimò in unprimo momento come "di ottima qua-lità" le rocce del versante sinistro del M.Toc per poi smentirsi a distanza di dueanni; il prof. Penta (ingegnere dell'Uni-versità di Roma) che confermò la pre-senza dei movimenti franosi "superfi-ciali" sostenuti da Dal Piaz; il prof.Ghetti (ingegnere all'Università di Pa-dova) che sottostimò le caratteristichedella frana da cui derivarono valuta-zioni sbagliate sui tempi di caduta (90secondi stimati contro i 30 realmenteavvenuti) e l'onda conseguente (valu-tata in 27 m contro i 210 m reali).

Forse l'errore più grosso fu quellodella supponenza di riuscire a control-lare la frana (definita "inarrestabile" daLeopold Muller) variando il livello del-l'acqua del lago; errore fatale, perchéproprio lo svaso, o meglio la sua ese-cuzione troppo veloce, fu la causa sca-tenante, l'incipit che fece risultarequella del Vajont la grande frana pro-vocata dalla mano dell'uomo. La varia-zione rapida del livello del lago ha fattoridurre infatti del 60% le caratteristichegeomeccaniche di quegli strati profondientro i quali la componente argillosaera elevata ed il cui ruolo è stato quellodi consentire il movimento di tutta quel-l'enorme massa rocciosa.

Sono passati 50 anni da quel disa-stro, non vi sono più processi da fare alVajont perchè non servono a restituireserenità ai sopravvissuti, ma serve scol-pire nella memoria una catastrofe che siera annunciata da sé, bastava saperneleggere e interpretare il linguaggio. Ilgeologo, seppure in ritardo rispetto al-l'inizio dei lavori, l'aveva fatto; i decisorinon hanno avuto il coraggio di fermaretutto.

E allora, la "lezione del Vajont" èstata compresa?

I tecnici, geologi e ingegneri, hannofatto nel frattempo molta strada dalpunto di vista tecnico e scientifico, avantaggio dei quali sono andate evol-vendosi alcune normative tecniche.

Ma se dal 1950 in Italia si sonospesi in media 5 miliardi di euro all'annoper il ripristino dei danni sociali provo-cati da eventi geologici (fonte Cresme,2012), a chi era anche rivolta la lezione?I decisori, i politici, gli amministratoripubblici, la società, hanno compresola lezione o hanno pensato di esserneestranei?

La grande tragedia del Vajont cheprovocò immense distruzioni e quasiduemila vittime, coinvolgendo gli abi-tati di Erto, Casso, e la completascomparsa di Longarone e di altri pic-coli paesi, è ritornata alla nostra me-moria per il triste cinquantesimo anni-versario di quella terribile notte del 9ottobre 1963.

Ritornano ancora chiaramente allamente dei più anziani quelle straziantiimmagini di devastazione e di quel"mare" di ghiaie e poveri ruderi lascia-ti sull'alveo del Piave dall'immane on-data provocata dalla frana del monteToc precipitata nell'invaso artificiale.L'alta diga di sbarramento dellaprofonda forra del torrente Vajont è an-

cora lì, visibilissima da quanti percor-rono la statale n° 51 per il Cadore. Èancora lì muto testimone, quasi un mo-numento, per non dimenticare quellaimpressionante disgrazia accaduta trale nostre montagne. Complice "un er-rore di valutazione di uomini di scienzae uomini di Stato…" (*) così l'attualepunto di vista del presidente deiGeologi italiani.

Ed ora, dopo cinquant'anni ( conun po’ di ritardo), le scuse dello Statoche non alleviano sofferenze e tristi ri-cordi ancora presenti tra i pochi super-stiti di quella enorme sciagura.

(C.T.)

(*) da “Il Piccolo” dell’8 ottobre 2013

Pretendere e investire in sicurezzaè un dovere; sostenere un piano orga-nico di prevenzione mettendo sulcampo le figure professionali compe-tenti consentirebbe non solo il rispar-mio economico ma anche quello piùimportante in vite umane e in danni alpatrimonio. Per questo dovrebbe di-ventare "prassi normale" mettere alcentro della pianificazione e della ge-stione territoriale l'uso sostenibile del-l'ambiente; dovrebbe diventare "prassinormale" verificare l'incidenza di qual-siasi opera sul territorio prima di pro-gettarla perché questa attività si chiama"prevenzione"; dovrebbe diventare"prassi normale" favorire le buone pro-gettualità e le buone iniziative semplifi-cando la procedura amministrativa diautorizzazione e pretendendo docu-

menti tecnici a corredo di elevata qua-lità.

Per tutto ciò, abbiamo una grandeopportunità nel prossimo futuro se sirealizzerà la scomparsa delle Province,perchè si potrebbero ridefinire nuovi as-setti amministrativi fondati su Enti diarea vasta, individuati anche sulla basedi caratteristiche fisiografiche e di ge-stione idrogeologica del territorio; inquesto modo qualsiasi intervento, siaesso uno sghiaiamento, un'opera di di-fesa idraulica oppure la costruzione diun termovalorizzatore, sarà frutto discelte univoche e condivise da un am-bito vasto ma rispettoso delle risorse eanche delle fragilità del proprio territorio.

Forse in questo modo non avremopiù bisogno di altre catastrofiche le-zioni.

Cinquant’anni dopo

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Alpinismo goriziano - 4/2013 3

mento, della lotta contro la natura ostiledel calcare. Ma c'è anche l'insegna-mento del ciclamino, la sua dolcezzamomentanea fra i sassi, il suo lasciarsispremere dal vento spazi lievi di profu-mo che si disperde rapido come la suavita. E c'è il saluto dei crochi, delle gen-ziane nel loro vestito d'indescrivibile az-zurro, la meraviglia delle altitudini,«blaues Wunder der Höhen». Fiori chiu-si che attendono il sole nuovo. E miste-ro ovunque ormai nella sera. Domani alprimo calore incontrerai di nuovo glistambecchi, le corna immense (chesproporzione, mio Dio!) che solcanol'azzurro come lunghissime stalattitimentre sulle alture, a piccole assem-blee, attendono pazienti la lenta azionedel rumine. Gli occhi grandi spazianosolenni sulle valli intorno. Quasi deside-rano l'incontro con l'uomo, ti lascianovenire vicino, ma quando la tua ombrascende sull'erba che brucano si ferma-no per fissarti. Un dialogo impenetrabi-le, tenero ma sospettoso. Un colpo dipiedi, un fremito dalle froge e ti scom-paiono agli occhi, velocissimi lungo pa-reti liscie, in una danza d'equilibri inde-scrivibile, spettacolo del più grandecirco del mondo. Penso ai loro inverni,quando c'è solo neve e roccia. Due per-nici bianche beccolano nell'erba. Trecorvi danzano solenni fra gli strapiombi.Sulla sella s'è affacciato un camoscio:

bile andare che è quello dei giorni edelle stagioni. Che sono attimi dei mil-lenni. Rocche e cuspidi fanno festa,giocando con l'ultimo sole, alla sovra-nità delle cime. Il trapezio scuro delMontasio, il salto inconfondibile delJalovec, la gobba del Mangart, i fianchiarrugginiti del Razor, la Škrlatica solen-ne nel suo rosso serotino e decine e de-cine di culmini intorno: se i giganti suo-nassero sarebbe un concerto per lestelle. Che si accendono tremolandocome per una danza.

È ora di scendere, di lasciare alGötterhorn, per dirla con Kugy, la suanotte di solitudine. Scendere verso iboschi di faggi della Krma, verso ilfiume lunare della Vrata, o tra gli stabbidi pecore della Zadnjica. Ubriaco digorghi di calcare, accecato dalle nevi,piccolo e perduto fra le rughe aspre e legole buie: qui la dimensione, il temposono niente. E l'uomo ha una venera-zione che è paura: paura della sua pic-colezza, della sua fretta, del suo attimotroppo breve che qui approfondisce ilmistero. Qui la Tetide si misurò a mil-lenni; ed altri millenni la fecero ritiraredenudando montagne che in nuovi mil-lenni ancora si ruppero in miriadi di ar-chitetture. Ogni cengia, ogni camino,ogni diedro ha la sua storia chiusa nellasolennità sconvolgente ed eterna deisilenzi. Dio, se non avessimo l'anima, lo

N el ricordare la scomparsa diCelso Macor, avvenuta il 28 no-vembre 1998, in questo perio-dico (a. XXIV,4, ott.-dic. 1998,

pp. 1-5) è stato pubblicato anche il di-scorso che egli aveva fatto soltanto unmese prima nel ringraziare quanti (anzi-tutto Carlo Tavagnutti con le sue foto-grafie) avevano contribuito all'edizionerecente del suo Volo con l'aquila; era ilsuo ultimo scritto, a cui sarebbe seguital'anno dopo l'uscita postuma (con le fo-tografie di Renato Candolini) di Silenzi inconcerto, un ossimoro intensamentepoetico, non estraneo all'accostamentotra vita e morte.

Ora, quindici anni dopo, si vuole ri-chiamare le figura di Celso Macor, chetanto ha dato alla cultura e in particola-re alla cultura alpina di Gorizia, siacome direttore di «Alpinismo Gorizia-no» tra il 1975 e il 1988, sia come auto-re di scritti con i quali ha voluto e sapu-to promuovere ad alto livello e con vi-sione penetrante la conoscenza e l'a-more di questa terra e del mondo alpi-no (cfr. In volo sulle montagne, «StudiGoriziani», 87-88, 1998, pp. 389-395).

Il 27 settembre di quest'anno il suoarchivio, ordinato da Gabriele Zanello, èstato depositato nell'Archivio di Stato diGorizia e messo dunque a disposizionedegli studiosi e cioè della storia; nell'oc-casione è stata delineata la sua perso-nalità con interventi vari di amici e co-noscitori: le relazioni saranno edite nellarivista della Società Filologica Friulana«Ce fastu?», sempre con la cura e lacompetenza di Gabriele Zanello.

Celso Macor affidò tanti suoi scrittia questo periodico goriziano, ma anchead altri come «Iniziativa Isontina» e«Voce Isontina»; la sua scrittura è rac-colta anche in edizioni monografiche etra queste spicca il volume Tricorno1778-1978, edito dalla sezione gorizia-na del CAI a duecent'anni dalla primaascensione al Tricorno/Triglav. L'ampiocapitolo (Duecento anni di alpinismo,pp. 25-75), da lui affidato al volume go-riziano, si apre col rapimento davanti aun monte “altissimo” (superlativo che,collocato in apertura del discorso, su-scitò l'ammirazione di Ervino Pocar, au-tore anche lui di un capitolo, Poesia delTricorno, nello stesso volume) e si chiu-de col ricordo analitico della discesa avalle, intessuto di toni e di rimandi chelo fanno sentire come un vero congedoe anzi come allegoria (intravista nel fu-turo) della chiusura di un orizzonte, diun mondo e di un'esperienza sentitacon trasporto e partecipazione profon-da e vibrante.

Sono riprodotte qui di seguito lepagine finali (pp. 73-75) dell'articolo,che sono tutto un intreccio di riflessionie di palpiti incantati e superiori.

(S. T.)

QQuueessttaa lluunnggaa ggiioorrnnaattaa èè aallllaa ffiinnee

È ora di lasciare la vetta. Il soleormai se ne va, grande e pallido, versoil Canin, quasi lambendo la sconfinataassemblea di cime confuse fra brandel-li di nuvole e abissi d'ombre nere. Levalli vivono già in attesa della notte. Lecreste, invece, se le osservi a lungonella loro immobilità, mutano continu-mente di colori ed hanno un impercetti-

spirito, che cosa saremmo in questeimmensità sorde?

Le rughe verticali si addolciscono,la montagna si piega. Respirano già ifaggi in silenzio. È un impatto sconvol-gente: il mondo vegetale ci assomigliaper la pochezza del tempo e dello spa-zio, per il divenire e per il disperdersi.Solo qualche radice contorta tenta direstare alla storia con i segni del tor-

una testolina a quattro punte, due orec-chie e due corna in mezzo. Un trofeonero, in controluce. Il capobranco non tilascia avvicinare. Un fischio: è il segna-le. Il gruppo si snoda fra ghiaioni e roc-cette, una musica di pietre smosse. Poilentamente di nuovo silenzio. Fino ad unaltro incontro. Con il solito vecchio redelle rocce abbandonato, che muore ditristezza e di solitudine. Mi accorgo di

correre nel sole di ieri, perché è giàbuio. Scendere è sempre difficile.

Sera. La parete del Tricorno è un si-pario nero che chiude il cielo a metà, uncielo che ha grappoli di stelle così gran-di e nitide come non ne ho mai vedute.Sembra un aggrapparcisi alzando lebraccia. La Lattea è un immenso fiumegiallo. Dal buio della Vrata giungonoprofumi di fieno e d'abete.

Le nuove cariche

Nel corso della seconda as-semblea annuale dei soci, loscorso 28 novembre, si è provve-duto anche alle votazioni per ilrinnovo delle cariche sociali.L'assemblea è stata caratterizza-ta da un'affluenza insolita econfortante: sono stati ben 217 ivoti espressi, in proprio o per de-lega.

Sono risultati eletti alConsiglio Direttivo: Elio Can -dussi, Roberto Drioli, RobertoFuccaro, Mauro Gaddi, SabinaMari, Fabio Pacori, AlessandraPozzo, Maurizio Quaglia eRoberto Rizzi.

Il Collegio dei Revisori saràcomposto da Manlio Brumati,Paolo Geotti e Manlio Miniussicon Paolo Danelon supplente.

Il Collegio dei Probiviri saràcomposto da Fabio Algadeni,Paolo Besti e Carlo Tavagnutticon Giancarlo Ceriani supplente.

Dalla redazione di “Alpinismogoriziano” un augurio a tutti glieletti di un proficuo triennio di la-voro e ai consiglieri uscenti il rin-graziamento per il prezioso lavo-ro svolto.

1990 - S. Maria di Trenta. Celso Macor raccoglie le testimonianze di Joæef Toæbar, figlio di una delle guide di Julius Kugy e nipote del cac-ciatore al quale l’ultimo orso di Trenta aveva strappato la mascella.

Anniversari

Celso Macor testimone e interpretedi SERGIO TAVANO

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4 Alpinismo goriziano - 4/2013

D opo molte docce d'acqua piovanae molte ore di freddo Sergio Bellinied io ci siamo decisi a lasciare ilgruppo del Civetta. Anche perché

rimangono solamente tre giorni prima delmio rientro al lavoro. Certo che lascio ilgruppo senza alcun rimpianto, a causa diun'amara rinuncia a qualche centinaio dimetri dalla cima. Però posso dire di averfatto buona esperienza di bivacchi e cordedoppie. Una quindicina di bivacchi in ven-titrè giorni sotto neve e pioggia non sonopiacevoli per nessun alpinista, sono coseche molti cercano di evitare.

Decidiamo così di andare a cercare ilsole da qualche altra parte. Pur di trovarlo!

Eccoci di nuovo in viaggio. Nuova metail Passo Sella. Prima di sera siamo già al-loggiati al Rifugio Sella a goderci un bel tra-monto pieno di luci e ombre. Rimaniamo insilenzio, ognuno di noi pensa alle propriecose. Poi le ombre hanno la prevalenzasulle luci, si allungano e la temperatura siabbassa. Dopo una cena francescana siva in camera ripromettendoci di farla finitacon le levatacce mattutine.

L'indomani ci incamminiamo verso labase della III Torre. Abbiamo scelto di sa-lire la parete Ovest lungo la via Vinatzer.Sono le 9 quando siamo all'attacco dellavia. Il solito armeggiare con l'attrezzatura eben presto siamo pronti per partire. In que-sto periodo non ci diamo il cambio: a Ser-gio è caduto un sasso sul mignolo, in Gri-gna, e ora non si sente più sicuro.

Dalla base della via salgo lungo unafessura ed aggiro un piccolo strapiombo.Poi salgo direttamente fino alla base di undiedro. Ricupero il mio secondo e riprendoa muovermi lungo il diedro fino ad un postodi sosta. Siamo di nuovo assieme. Affrontouna fessura che mi porta ad uno stra-piombo. Lo supero. Ancora qualche metroe ci riuniamo ad un nuovo punto di sosta.La via è molto bella e la roccia ottima.

Proseguo lungo la fessura. Adesso èmolto più facile del tratto che ho appenasuperato. Arrivo sotto una placca ben levi-gata che supero per portarmi in una nicchiadove ricupero Sergio che in breve mi rag-giunge. Alzo la testa per studiare la fessurache dovrò superare: sembra un po’ diffi-cile. Sergio mi osserva e mi dà fiducia. Homolta stima in lui, sia per la sua calma siaper i modi di parlare. Così supero anchequesta fessura che effettivamente è abba-stanza ostica. Più in alto però raggiungorocce più facili che mi portano alla cengiaa spirale nel punto in cui passa la via nor-male. Tiriamo fuori dallo zaino la relazione.Mentre la rileggiamo con attenzione be-viamo un sorso d'acqua. Il sole ci asciugala bocca.

Sentiamo avvicinarsi delle voci e così cimuoviamo in fretta. Oltrepasso la fessura e,mentre sto per superare il tetto, sento ilcommento di uno degli osservatori che nelfrattempo erano sopraggiunti: - Bravo!Sono anni che non vedo arrampicare cosìin libera e fare questo passaggio senzamettere la staffa. Bravo, ti aspetto al rifugioe ti offro una birra. - e prosegue nel suocammino.

Lo vedo di sfuggita e, a naso, mi dicoche è una Guida alpina. Ha un signore le-gato alla sua corda e in testa porta un cap-pello a larghe tese. Faccio appena in tempoa osservare questi particolari che è già spa-rito.

Io, da parte mia, proseguo nell'arram-picata. Quando Sergio mi raggiunge allasuccessiva sosta mi chiede se ho ricono-sciuto il signore della birra. Alla mia rispo-sta negativa mi dice che invece lui l'ha ri-

che mi ritrovo davanti, giungo così su unterrazzino aereo dove ricupero ancora.Dico a Sergio di avere l'impressione di tro-varci oramai vicini alla fine della via. Ri-parto e, dopo una quarantina di metri, mitrovo su una cima affollata. A dir la verità misembra di essere in una sagra: inglesi, fran-cesi, tedeschi, australiani e austriaci, pernon citare gli italiani. Con Sergio ci scam-biamo una stretta di mano. Ammiriamo ilpaesaggio che ci circonda: stupendo con ilsole che imbrunisce tutte le pareti e le co-lora. Non ho abbastanza occhi per poterammirare questo panorama stupendo.Peccato essere in mezzo alla folla.

Osservo il rifugio dove il signore diprima ci ha dato appuntamento, poi losguardo si posa su S.Cristina: sembra unacartolina.

Scendiamo. Dopo pochi metri fac-ciamo una doppia al termine della quale de-cidiamo di proseguire in libera. Se doves-simo proseguire legati ben presto ci trove-remmo con le corde ingarbugliate in questovia vai di gente. Mi viene da pensare ad unambiente che, così affollato, non ha moltosenso. Scendendo per paretine e gradiniraggiungiamo la cengia dove, mentre sali-vamo, abbiamo fatto l'incontro. Da qui ar-riviamo ad un canalone. Le difficoltà nonsono alte ma c'è sempre molta gente.

Dopo aver disceso un altro centinaio dimetri fino ad un'altra cengia, ci portiamoverso destra ed arriviamo ad una nicchiacon un chiodo cementato e anello. Ci ca-liamo e siamo alla base della Torre. Cer-chiamo un angolo tranquillo, mettiamo inordine gli zaini e poi via, di corsa, giù per iprati verso il rifugio.

Siamo davanti ad un boccale di birra eGiovan Battista Vinatzer sta seduto davantia me. Mi osserva, mi studia, e solo dopo ini-ziamo a chiacchierare. Mi domanda dadove vengo, quale mestiere faccio. Daparte mia mi sento intimidito e rispettosonei suoi confronti, anche se, alla fine di unabella conversazione quando ci salutiamocon un arrivederci a presto, mi sembra checi siamo capiti su molte cose.

III Torre del Sella Parete ovest - 1963di MARCELLO BULFONI

conosciuto e che era Vinatzer, il primo sa-litore della parete ovest, proprio della viache stiamo ripetendo.

"Bon" dico a Sergio "quest'anno non èil primo personaggio che incontriamo".

Proseguiamo. Supero il diedro che mitrovo davanti. Da circa una trentina di me-tri le difficoltà sono diminuite ma la rocciaè sempre verticale. Arrivo ad un piccolo

posto di recupero. Ci scambiamo ancoraqualche parola sull'incontro di poco sotto,prima di ricominciare a salire lungo diedriper un'altra trentina di metri. Dopo un'ulte-riore sosta riparto su paretine povere diappigli. Abban donando lo spigolo, attra-verso a sinistra e mi trovo sotto uno stra-piombo. Ricupero il compagno, supero lostrapiombo e di seguito anche la fessura

Il 49° “Convegno Alpi Giulie” a Mallnitzdi PAOLO GEOTTI

S abato 5 ottobre 2013 si è svolta a Mal-lnitz, amena località nel Parco Nazio-nale Austriaco degli Alti Tauri, la qua-rantanovesima edizione dell’annuale

convegno tra le organizzazioni alpinistichedi Carinzia (Oesterreichischer Alpen Verein),Slovenia (Planinska Zveza Slovenije) e FriuliVenezia Giulia (Club Alpino Italiano).

I temi in discussione vertevano sullaConvenzione delle Alpi, le Associazioni Al-pine ed il Turismo nelle tre regioni confi-nanti. Si tratta di temi che risultano ben col-legati tra loro, se valutati nell’ottica di unosviluppo armonico e propositivo degli obiet-tivi che ogni settore si pone per la propriaattività. Sia i relatori del primo tema sia glialtri hanno sottolineato come i presuppostidi una piena applicazione della Conven-zione delle Alpi, in concreto riproponga ilruolo collaborativo delle organizzazioni al-pinistiche in quasi tutti i suoi settori di ap-plicazione. L’obiettivo primario resta quellodi realizzare, con una mobilità sostenibile,basata anzitutto sull’autoresponsabilità, un

valore aggiunto per il territorio, salvaguar-dando nel contempo la salute pubblica epromuovendone il futuro turistico.

Uno degli esempi concreti resta l’ini-ziativa dei Villaggi Alpini, che specie in Au-stria trova convinta rispondenza. Già nelconvegno di Sauris di due anni fa, era statopresentato tale progetto, che si affianca ol-tretutto, migliorandone le caratteristiche, algià collaudato marchio delle “AlpinePearls”, con il quale le località di montagnapiù determinate si propongono, difendendoi valori tradizionali dei luoghi.

Mantenere il territorio alpino integro esviluppare nel contempo un approccio clas-sico e non esasperato dell’alpinismo, puòoltretutto assicurare un equilibrio nell’esi-genza del territorio di mantenere integre leproprie prerogative naturali, paesaggisti-che e tradizionali, con la pressione a volteviolenta del c.d. “sviluppo turistico”.

Turismo sostenibile quindi e organiz-zazione sono le chiavi che possono con-sentire alla gente di montagna di affrontareun futuro, che non deve riproporsi sola-

mente con la banalizzazione dei valori tra-dizionali e lo stravolgimento del territorio,con sempre nuove costruzioni di struttureed impianti.

La perfetta organizzazione del conve-gno ha soddisfatto i delegati presenti, chehanno già impostato il programma del pros-simo prestigioso cinquantesimo Convegno,significativamente da svolgere sulla cimadel monte Forno, Dreiländerspitze, Peœ, a1509 m., punto d’incontro confinario dei trePaesi. Una celebrazione doverosa quindi,per un traguardo di assoluto primato neirapporti tra le tre regioni, avendo avuto ini-zio il convegno quando le condizioni politi-che e gli stessi repporti personali, non po-tevano svolgersi con il comune spirito cheimpronta gli alpinisti, da sempre protagoni-sti pacifici, assieme alla gente di monta-gna, delle vette alpine.

Nella giornata di domenica 6 ottobre ipartecipanti hanno concluso l’incontro conuna salita al Rifugio Walligger, con un com-miato festoso di convinta partecipazione.

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Alpinismo goriziano - 4/2013 5

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quale ero allora il redattore. A quell'articolone seguirono altri dieci, l'ultimo alla vigiliadella sua scomparsa avvenuta improvvi-samente nel 1988. Tra di noi ci fu subitouna reciproca simpatia, avendo scopertoche si aveva la stessa concezione dell'al-pinismo e della montagna, propostaspesso come un agone per tenzoni orda-liche da affrontare con il chiodo fra i denti,a ben vedere un'entità ostile da vinceread ogni costo, magari con la vita stessa.

Ci sono alcuni singolari parallelismifra Benuzzi e Kugy: entrambi non eranonati a Trieste dove però trascorsero im-portanti periodi della loro vita. Le originierano austriache e la stesura dei primi la-vori non è stata fatta in italiano, talché lafama degli autori si diffuse solamentedopo la traduzione italiana.

Grazie alla sua professione l'attivitàalpinistica di Benuzzi si è svolta dalle Ame-riche all'Africa e alla Nuova Zelanda. Era

un viaggiatore animato da una forte cu-riosità geografica, con l'occhio attento adogni aspetto naturale, dall'origine dellerocce al corredo vegetazionale.

Benuzzi ha lasciato un dattiloscrittointitolato Più che sassi e nel 2007 ne ab-biamo pubblicato su “Alpinismo goriziano”due brani sulle salite fatte con il padre nel1924 al Monte Nero ed al Tricorno. Ora ri-portiamo qui il racconto del soggiorno del-l'anno successivo al Rifugio Corsi, dovearrivò un personaggio che avrebbe illumi-nato la storia dell'alpinismo mondiale.

Il dattiloscritto si chiude con un pezzoche non ha paragoni nella letteratura dimontagna per l'assoluta lucidità con laquale Benuzzi ha analizzato la sua vitad'alpinista. È una sorta di congedo che ri-corda l'addio di Kugy agli amati monti, suiquali l'uomo può trovare salvezza e tor-nare a valle migliore.

(Dario Marini - GISM)

ma eravamo nel contempo testimoni difatti che sarebbero entrati nella storia del-l'alpinismo. Infatti il 4 agosto arrivò al rifu-gio - edificato in quello stesso 1925 - unapersona che conoscevo già per averla in-contrata l'inverno prima nei pressi di unagrotta del Carso. Era un giovane di circa25 anni, di statura media, aveva lineamentimarcati, l'occhio grigio e grifagno ed unavoce un po’ stridula: Emilio Comici. L'ac-com pagnava un altro triestino asciutto emuscoloso, Giulio Benedetti.

Restai impressionato dalla quantità di"ferramenta" che rovesciarono su un ta-volo del rifugio sotto lo sguardo critico dialcuni anziani.

Io allora non avevo mai visto unchiodo da roccia, ma nelle seguenti serateseguii con viva partecipazione le discus-sioni sull'uso dei mezzi artificiali, ideal-mente schierato con i "progressisti".

Comici e Benedetti salirono una gugliaaffiancata al Campanile di Villaco e scris-sero nel libro del rifugio che l'avevano de-dicata a Federico Prez, precipitato da unaparete delle Grotte di San Canziano. Diseguito affrontarono la faccia Est del Cam-panile. Non fui tra quelli che seguironol'ardita ascensione perché quel giorno erostato ammesso a compiere un'arrampi-cata di grande soddisfazione sulla Cimadel Vallone, una salita che non mi sarei mailasciato sfuggire. Fu così che non assi-stetti al debutto in montagna di un alpini-sta che in seguito avrebbe tanto fatto par-lare di sé.

Comici e Benedetti non sapevano chele loro non erano vie nuove, essendo statipreceduti da scalatori austriaci, i qualiquattro anni prima avevano superato laparete del Campanile di Villaco senzausare i chiodi. Del resto - se è lecito il pa-ragone - nemmeno Cristoforo Colombo,Giovanni da Verazzano e Sebastiano Ca-boto sapevano che il nuovo continenteera già stato scoperto dai Vichinghi, maciò nulla toglie al valore delle loro im-prese.

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Al termine del campeggio al RifugioCorsi m'incontrai con mio padre a SellaNevea per salire il Monte Canin, il quale èper i friulani ciò che il Tricorno è per gli slo-veni, un monumento visibile quasi da ogniparte della loro patria. Per i friulani questaparola ha più d'un significato: è la loroterra di confine estesa dalla Livenza all'I-sonzo e dalle Alpi al mare, secondo Ippo-lito Nievo "un piccolo compendio dell'uni-verso". Essi la chiamano "Patria" con par-ticolare fierezza, non solo nel senso co-mune di paese dei loro padri, bensì anchecome territorio storico-amministrativo findai tempi dei patriarchi di Aquileia, al qualefu soggetto dal 1077 al 1420.

Trovammo il ghiacciaio coperto dallaneve caduta nei giorni precedenti e inmancanza di orme non riuscimmo ad iden-tificare l'attacco della via normale. Non sipoteva sprecare la giornata così bella equindi salimmo il Monte Forato, andandopoi ad osservare la grande finestra natu-rale, di cui mio padre mi raccontò la leg-gendaria origine.

Fu proprio il Canin l'ultima vetta chesalimmo assieme venticinque anni dopo.Lui era vice presidente dell'AssociazioneXXX Ottobre e a 67 anni d'età era ancorain ottima forma grazie alle frequenti escur-sioni; riscontrammo che il ghiacciaio siera alquanto ridotto rispetto alla volta pre-cedente e dalla vetta finalmente raggiuntasi vedeva luccicare il mare di Grado e di Li-gnano. Il cielo era perfettamente sereno,ma il mio cuore era come oscurato da unanuvola, nel presentimento che quella salitasarebbe stata l'ultima salita fatta con miopadre, perché oramai la mia professione divagabondo mi portava in paesi semprepiù lontani.

C om'era nella logica delle cose, dopola rievocazione di Miro Dougan e diRenzo Stabile, ben presto il velodella dimenticanza è ritornato sulle

figure di questi bravi alpinisti. Non è statoinvece così per l'amico Felice Benuzzi, lacui biografia si trova nel ponderoso vo-lume Point Lenana pubblicato quest'annoda Einaudi e un ex ambasciatore austra-liano sta raccogliendo il materiale per ri-costruire le tappe della sua carriera diplo-matica. Le opere di Benuzzi non sonomolte, però la loro valenza è testimoniatadal fatto che esse sono conservate al Mu-seo della Montagna di Torino e del resto ilsuo libro Fuga sul Kenya è stato tradottocon gran successo in molte lingue, ve-nendo letto anche da chi in montagna nonè mai stato.

Il mio incontro con Benuzzi risale al1971 quando venne a portare un articoloda pubblicare sulla rivista “Alpi Giulie” della

Nell'estate del 1925, benché mi man-cassero quattro mesi al compimento del-l'età minima richiesta, fui ammesso alcampeggio del Gruppo Studentesco dellaSocietà Alpina delle Giulie, allestito sullaspianata presso il Rifugio Guido Corsi alJôf Fuart. Si dormiva nelle tende coniche- che oggi consideriamo rudimentali - indotazione alle truppe alpine anche dopo laprima Guerra mondiale, del tipo che - seben ricordo - si chiamava "Bucciantini".All'aperto faceva un freddo cane ed allamattina di uno degli ultimi giorni che fatica,Giutti Comel ed io, alzare il telo appesan-tito dalla neve caduta la notte! Ma era l'av-ventura sognata, non posso dire tuttavial'indipendenza desiderata, perché in mon-tagna con mio padre non mi sentivo af-fatto "dipendente": eravamo amici, com-pagni di cordata, lui certamente piùesperto di me, ma il "fosso delle genera-zioni" lo saltavamo a piè pari.

I pasti serali li consumavamo al te-pore della saletta del rifugio, dove lo statomaggiore della tendopoli composto da

universitari - tra i quali ricordo Paolo Goi-tan, Pino Sgubini, Ennio Steffè ed i fratelliKiss - stabiliva il programma per il giornosuccessivo, con intorno poche candeleed abbondanti fiaschi di vino, prima che laserata finisse in "cantada".

Agli esordienti, come Comel e me, eraseveramente vietato andare sul Montasioperché troppo esposto, nonché scalarel'Innominata, la Cima Alta di Riobianco equella di Riofreddo. Così facemmo varievolte il Jôf Fuart, la traversata delle CimeCastrein, quella del Campanile di Villaco,le Madri dei Camosci e la cima de la Puar-tate: dunque finalmente arrampicavo suvere montagne e con coetanei. Che pia-cere studiare da sotto la via di salita - dicui avevo solo qualche indicazione dimassima - e poi percorrerla riscontrandol'esattezza delle nostre intuizioni e go-dendo di ogni metro guadagnato in al-tezza!

Un'esperienza indimenticabile fu l'in-contro e l'esplorazione cauta e riverente diquanto la guerra aveva lasciato sulle mon-

tagne pochi anni prima. Neppure in questealtitudini potevamo estraniarci dalla pe-sante atmosfera lasciata dagli eventi bel-lici, evocati dai grovigli di cavi e dai grossiargani della teleferica che saliva alla SellaMosè. Le rocce delle vette del Jôf Fuarterano letteralmente avvolte da una ragna-tela di conduttori metallici, relitti di un im-pianto di parafulmini messi a protezionedel piccolo presidio d'osservatori chestava lassù anche d'inverno. Lo testimo-niavano anche i ricoveri italiani sul Cre-gnedùl e sulla Cima de la Puartate in mu-ratura e in caverna, che ci parevano moltopiù poveri e spartani di quelli austriaci,costruiti senza risparmiare il legname ed ilcartone catramato.

Scoprimmo materassi, coperte, uten-sili vari ben conservati e lettere e cartolineancora leggibili. Tutto era stato abbando-nato da un momento all'altro, probabil-mente nell'ottobre del 1917 in conse-guenza della ritirata italiana dopo Capo-retto.

Lì per due anni e mezzo si era svoltauna logorante guerra di posizione. L'in-ventiva e la tenacia dei montanari in divisaavevano creato due fortezze naturali con-trapposte ed inespugnabili, dalle qualiogni sortita era praticamente impossibile.

Noi ragazzi respiravamo in quei luoghiun'aria d'epopea di un recente passato,

Ancora un ricordo di Felice Benuzzi

Al rifugio Corsi nel 1925di FELICE BENUZZI

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6 Alpinismo goriziano - 4/2013

Metti che una mattina, di buon'ora,vi mettete in treno verso la mon-tagna per un'escursione spe-ciale. Anche se piove o se ne-

vica. Vi portate i nonni e i bambini piccoli.Anche i figli adolescenti svogliati e riottosia partecipare alle gite di famiglia, e la mo-glie, o il marito, che vi guarda strano ap-pena pronunciate la parola museo. Bi-glietti per Trento: si va al MUSE, il nuovoMuseo delle Scienze. In treno, perché cosìc'è l'ingresso ridotto (7 euro) e perché ar-rivando ci si passa accanto e poi dalla sta-zione sono solo dieci minuti a piedi. E ilsuo profilo, che aveva fatto in tempo asfuggirvi tra gli edifici del nuovo quartiereLe Albere che correva accanto ai binari, ègià una sorpresa. Da ammirare dal suolato migliore, a nord, dove il piazzale lasciapiù spazio allo sguardo: la sequenza dellelinee delle coperture ridisegna il profilo dimontagne viste, immaginate, sognate,amate, e finisce per scivolare in uno spec-chio d'acqua, che ne riflette la pareteovest, un piano a vetri fortemente incli-nato. Un po' Dolomiti di Brenta, conun'impressione dei profili sopra Andalo eMolveno, che l'hanno ispirato.

Lì, sul Lungofiume Adige, fino alla finedegli anni 90 c'era la Michelin a fabbricarepneumatici, ed è dal 1996 che si lavora,con cantiere dal 2009, a questo progettodi riqualificazione urbana tra i più impor-tanti, per forma e dimensione, realizzati inTrentino di recente. Quartiere e Museodelle Scienze sono stati ideati e progettatidall'architetto Renzo Piano e dal suo stu-dio RPBW secondo un concetto di qualitàdel vivere contemporaneo, a dimensioneumana, che privilegia risparmio energeticoed estetica. D'inverno è difficile che ve-diate molta gente nei grandi spazi verdiche affiancano gli edifici, ma giochi all'a-perto e bassi canali d'acqua sono, nellabella stagione, vere calamite per tutti ibambini. E il MUSE sarà, lo scopriretepresto, il loro regno in qualsiasi stagione.Perché ospita, tra l'altro, la più grandemostra di dinosauri dell’arco alpino, e ilMaxi Ooh!, uno spazio unico pensato erealizzato per i più piccoli, a cui i grandipossono accedere solo se accompagnatida chi ha meno di sei anni, e ancora per-corsi multimediali e interattivi, un ghiac-ciaio, una serra tropicale e tanto altro:12.000 mq dedicati alla scienza, alla na-tura, all’innovazione e, parte molto inte-ressante e inedita, alle sfide per uno svi-luppo sostenibile.

L’inaugurazione, tra sabato 27 e do-menica 28 luglio, è stata una ventiquat-tr'ore di divertimenti e spettacoli a cavallotra scienza e arte, ricca di animazioniscientifiche, dai quali molti genitori hannotrascinato via i figli a fatica (si sa, i piccolihanno energia da vendere). Era un eventoatteso da dieci anni, e a vederlo ora, que-sto museo, si intuisce quale sogno si è in-seguito per così lungo tempo: realizzareun luogo della cultura di altissimo livello esu standard europei, qualcosa di davveronuovo per concezione dei contenuti, mo-dalità di fruizione da parte dei visitatori elinguaggio. Ci sono riusciti.

Luce, trasparenza, leggerezza sonole prima parole che vengono in menteguardando il MUSE. Sono parole che, en-trandoci, vi inseguiranno per tutto ilgiorno, uniche certezze in un giorno disorprese continue, se saprete lasciarvi in-cantare. Tutto il contrario della parola mu-seo, che a me suona vecchia, un po'

'muffa' e

rota di ghiaccio prelevata in Antartide dairicercatori italiani.

Il terzo piano è una pacchia: le Alpi, ein particolare il Trentino, racchiudono unvero tesoro di ambienti diversi, popolatida specie animali e vegetali perfettamenteadattati e per questo unici, che qui si pos-sono incontrare, grazie a superfici virtualiinterattive o ai tradizionali animali tassi-dermizzati, talmente bene esposti dasembrare sul punto di muoversi da unmomento all'altro. Lungo il corridoio, unlupo vi schiva furtivo. Poco oltre, una fotocon l'orso è d'obbligo, e rimarrete affa-scinati dagli innumerevoli uccelli e dai pe-sci che popolano i diversi ambienti alpini.Tra reperti naturali e repliche, documen-tari e video, pannelli interattivi e giochimultimediali si fa conoscenza con le mi-grazioni, l'adattamento delle specie al-l'ambiente, al clima e alle stagioni. Quipotete dare finalmente un nome ai fiori in-contrati lungo un sentiero, nei prati o inuna radura, grazie a un pannello interat-tivo che, lo confesso, mi sarei portata acasa volentieri.

Per i bambini tra i quattro e i nove annic'è la galleria Esplora il bosco, il postoperfetto per chi è curioso, con un giocomultimediale su prede e predatori, repertida manipolare e osservare, peluche daprendere e toccare, suoni da attivare,odori da annusare, luci da modificare ecostumi di animali da indossare.

Il secondo piano è il trionfo delle Do-lomiti: qui capirete perché questo unicummondiale si è meritato nel 2009 un postonel Patrimonio naturale dell’UNESCO, ocome hanno fatto gli antichi fondali a in-nalzarsi sopra il livello del mare e, ripie-gandosi e fratturandosi, a formare le Alpi.Rocce, fossili, minerali – la passione deldirettore, Michele Lanzinger – e poi gla-cialismo, fenomeni di versante, carsismo.Le risorse del sottosuolo e il rapporto frauomo e natura, le miniere di un tempo e lecave di pietre ornamentali. Ma soprat-tutto frane, valanghe, alluvioni, terremoti,eruzioni, incendi: le calamità naturali o in-dotte dall’uomo, in Italia, con le attività diprevisione, prevenzione e intervento dellaProtezione Civile e le norme di compor-tamento in caso di allerta ed emergenzache tutti dovremmo conoscere, per evi-tare che eventi come quelli recenti in Sar-degna si trasformino in tragedie. Grazie adanimazioni grafiche e a multimedia inte-rattivi si entra dal vivo, durante la gestionedi un'emergenza, nella sala operativadella Protezione Civile, si vivono le pro-cedure di allerta e si comprende perchéun efficace sistema di previsione dei rischisi basa sulla conoscenza del territorio esull’individuazione delle aree natural-mente pericolose.

Di grande presa sugli adulti la serie difilmati d'epoca sugli eventi del nostro pas-sato, con interviste a protagonisti e ricer-catori. E voi, sapreste come gestire i di-versi tipi di rischio naturale? Come con-tattare e inviare soccorsi e squadre di vi-gili del fuoco, geologi, forestali? Io

sono partita dazero, foto-

Al MUSEo il futuro è adessodi ALESSANDRA VUGA

un po' 'mausoleo'; un posto che sapevagià di stantio al solo pensarlo, quando mici portavano da piccola. Per fortuna ilconcetto di esporre oggetti rari o di im-portanza storica, artistica o scientifica èmolto cambiato da allora, e trova nelMUSE il suo più fresco e innovativo ri-scontro.

La luce, innanzi tutto, che invade l'in-tero edificio grazie alla trasparenza ricer-cata nella progettazione delle strutture.Bacheche, armadi, scatole e vetrine quinon esistono più, tutto si può vedere

nio, pietra locale e bambù (è il legno più"naturale" possibile perché cresce infretta e dappertutto), il MUSE vive di ener-gie da fonti rinnovabili: oltre ai pannellifotovoltaici delle coperture, un sistema disonde geotermiche permette di rinfre-scare autonomamente gli ambienti sfrut-tando la massa termica del terreno.

Al quarto piano, prima di incontrarerocce e vero ghiaccio, davanti a voi sispalanca uno spazio aperto che attra-versa l'intera struttura in verticale, unvuoto di 18 metri sotto il grande lucerna-

senza filtri e tutto o quasi si può toccare,sperimentare, scoprire in prima persona.

Dopo la grande sala d'ingresso, avetediverse possibilità di visita: seguire unaguida, o farvi guidare dal tablet del MUSE,amatissimo dai ragazzini e caricato dimille informazioni, avviandovi su un per-corso "normale" dal basso verso l'alto,dal seminterrato alla terrazza panoramicadel quinto piano, che vi porta dalle primeforme cellulari, attraverso l'evoluzione,fino alla scoperta delle stelle. Oppure in-filare le scale, o l'ascensore, e permetterviil percorso inverso, quello che gli amantidella montagna preferiranno e che è an-che quello suggerito, per iniziare col riem-pirsi gli occhi del panorama tutt'attorno, laValle dell'Adige, il fiume, le ripide monta-gne a ovest con il Bondone a un passo, lacittà – siete a dieci minuti a piedi dallacentralissima Piazza del Duomo – e gli al-tri monti di sfondo. Poi, come previsto dachi l'ha pensato, il percorso di visita usa lametafora della montagna per raccontarela vita sulla Terra.

La terrazza è la cima della montagna,irta di guglie metalliche che nascondonoun sofisticato sistema di cellule fotovol-taiche. La copertura raccoglie energia dalsole e acque piovane per gli acquari, l'ir-rigazione della serra e gli scarichi dei ser-vizi igienici. Renzo Piano è famoso per ilsuo contatto con la mano artigiana: lo po-tete notare nei dettagli dei corrimano, nel-l'uso dei materiali. Costruito nel rispettodell'ambiente, solo con ve-tro, acciaio eallumi-

rio che lo inonda di luce, in cui sono stati"liberati" in volo gran parte degli animalichiusi per anni sottovetro in quello che dal1964 si chiamava Museo Tridentino diScienze Naturali, amministrativamente le-gato alla Provincia Autonoma di Trento,che dal 1982 aveva sede a Palazzo Sar-dagna, uno dei più pregevoli della città.Sospesi su cavi d'acciaio quasi invisibilivolano davanti a voi scheletri preistorici eanimali ancora presenti sulla Terra, e inparticolare sulle Alpi. E laggiù, in fondo, loscheletro di un'enorme balena che pareun'entità aliena, nella sua bellezza diforme perfette. Nel compiere l'intero girodel piano, potrete conoscere gli elementigeologici e biologici dell’ambiente alpino,e avrete il primo incontro con le espe-rienze multisensoriali del MUSE, nelgrande tunnel che vi porta in volo su unghiacciaio e sulle Alpi, mentre all’esternodel tunnel si cammina lungo un passaggioattrezzato. Un fronte glaciale – di ghiacciovero, da toccare – con rocce e vegeta-zione, vi permette di osservare gli ele-menti biologici e geomorfologici che sonopropri delle aree modellate dalle fluttua-zioni dei ghiacciai. I cristalli di neve e labiodiversità degli ambienti d’alta quotanon avranno più segreti; i video, e nonsolo, vi aiu- teranno a ricostruire i cam-biamenti climatici del passato:questo è l’unico museo a

esporre partedi una ca-

Project - Renzo Piano.

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Alpinismo goriziano - 4/2013 7

sti fossili e i giganteschi scheletri a rac-contare l'evolversi della vita, in un passatovecchio cinque miliardi di anni. Nella partededicata ai rettili terrestri c'è uno dei piùgrandi archivi europei di orme fossili di ret-tili paleozoici e mesozoici e di dinosauri,eccezionali tracce del loro passaggio sco-perte anche nel territorio italiano, e dolo-mitico in particolare, dove, fino alla fine delsecolo scorso, era ritenuto improbabilerinvenirle. E se non sapete che cosa na-sconde veramente il Dna, potrete sco-prirlo lì accanto, prima di avviarvi verso laserra che ricrea la foresta pluviale deiMonti Udzungwa, un centro di diversità edendemismo dell’Africa Tropicale Orien-tale. Già, perché questo Museo delleScienze è l'unico in Italia ad avere unasede permanente all'estero, proprio inTanzania.

Nei 600 metri quadrati di serra tropi-cale, calda e umida, tra cascate e paretiverticali, banani selvatici e fagioli giganti(una enorme liana del genere Entada),felci arboree e le ben note Saintpaulie,endemiche in questi luoghi, ci si addentranelle coltivazioni tradizionali tra orti e vil-laggi, passando per un piccolo mercatodove osservare la frutta e la verdura tro-picali. Attenzione a dove mettete i piedi,perché la serra ospita anche alcuni uccelli,e rettili come il camaleonte di Derema(Trioceros deremensis) e i camaleonti pig-mei (Rampholeon acuminatus e altri). Glo-balità e sostenibilità sono qui i grandi temidei progetti di ricerca e di cooperazioneinternazionale per la protezione delle fo-reste e la lotta alla povertà.

Un saluto ai pesci (nati in cattività), eospitati nei grandi acquari all'uscita, inrappresentanza della biodiversità itticadei grandi laghi e fiumi della Tanzania, e ilgiro è concluso.

Il MUSE è aperto tutti i giorni tranne illunedì, dalle 10 alle 18, il sabato, la do-menica e i giorni festivi dalle 10 alle 19. Sulsito www.muse.it trovate le date per go-dervi il museo anche fuori orario: in que-ste occasioni serali le proposte varianomolto, dai concerti agli aperitivi, alle mo-stre. Il biglietto di ingresso costa 9 euro,poi c'è lo sconto per le famiglie e ancheper genitori single: per informazioni potetechiamare la reception allo 0461.270311 .E, prendete nota, entrano gratis i bambinisotto i 6 anni, chi compie gli anni (nelgiorno del compleanno) e la famiglia di unbambino che compie gli anni, se viene almuseo entro due giorni dal compleanno.L'avete capito: l'archistar, il progetto in-novativo, spazi meravigliosi e milioni dicose da scoprire divertendosi sono inrealtà investimenti per il futuro. Il loro.

grafando "l'inventario zaino", e ora, in unaqualsiasi camminata in montagna, sapreicosa fare.

Certo non doveva essere altrettantoorganizzata e previdente la donna che alprimo piano, come se fosse vera, si ac-cinge a preparare un pasto preistorico: èil viaggio nel tempo, dalle battute di cac-cia in alta quota alla lavorazione dell’ar-gilla, dai cacciatori neandertaliani allosciamano del riparo Dalmeri, dove ven-nero rinvenute oltre 200 pietre con stam-becchi, bisonti, piante e figure umane di-pinte con l’ocra. Mentre nell'area dei la-boratori di ricerca ci si può avvicinare alleattività scientifiche del museo, per cono-scerne alcuni aspetti normalmente riser-vati agli addetti ai lavori. Nel Fablab, il la-boratorio di fabbricazione digitale, si puòdisegnare, scaricare da internet, modifi-care degli oggetti e stamparli in 3D per

sono state emesse 19.160.082.192 ton-nellate di CO2, erosi 3.997.698 ettari diterra coltivabile, desertificati 6.851.912 et-tari e altri 2.969.463 di foresta sono statidistrutti, mentre ben 38.879.317 barili dipetrolio sono stati estratti solo oggi... Sevolete approfondire, agli schermi sui ta-voli, tra piccoli mammiferi in livrea inver-nale, gli scienziati vi spiegano in brevi vi-deointerviste i problemi correlati alle pres-santi esigenze della popolazione umana,che si ripercuotono su clima, animali, le-targo e migrazioni, ma interessano ancheeconomia, società e tecnologia.

L'attenzione è puntata al riscalda-mento del pianeta e alle sue conse-guenze: "per via dell'aumento delle tem-perature, piante e animali di montagnacercheranno un clima sempre più vivibile,spostandosi a quote sempre più alte. An-che così, però, molte specie rischiano di

estinguersi". Non è un caso che riflessioni e dati

così drammatici siano stati messi proprioqui: quello sottostante è il piano più fre-quentato dai giovanissimi visitatori delmuseo, che qui hanno a disposizione gliesperimenti scientifici più incredibili: avetemai sentito la musica con i denti? L'avetemai percepita attraverso il corpo? O uti-lizzato un computer solamente con gli oc-chi? Com'è possibile dormire su un letto

renderli reali. Questo è forse il piano conla superficie espositiva più estesa, domi-nata da una sfera interattiva sospesa, do-tata di un software per illustrare la scienzadel sistema Terra, che mostra al visitatorei dati dei complessi sistemi ambientali inmodo intuitivo, affascinante. Tutto intorno,dei pannelli rossi, luminosi, si aggiornanodi continuo, evidenziando i cambiamentidi equilibrio nel suolo, negli oceani, nel-l’atmosfera: nel 2013, fino al 28 luglio,

insegna, ma partecipa al grande stupore.Ecco perché il pubblico di Maxi Ooh! ècomposto da babult – coppie di bambini(baby) e adulti accompagnatori (adult) –che insieme scoprono l’ambiente, fannoesperienze e condividono un nuovo mododi stare insieme. Insomma, uno spazio direlazione per capire meglio, imparare unpo’ di più dai piccoli, e riavvicinarsi al-l’autenticità e alla bellezza della scienza.

Infine, il piano seminterrato, con i re-

di chiodi? Perché certi colori sembranouscire dai quadri, e certi disegni defor-mare le superfici? La loro scoperta, maanche la vostra, inizia dalla galleria Hands-on, ovvero a portata di mano, perchémolto vicina all'ingresso. E poi ci sono lesfere del Maxi Ooh! ad aspettarli, unazona aperta questo dicembre, per i bam-bini che amano scoprire, capire, osser-vare, provare. E loro partono da quelloche sanno fare meglio: toccare, annusare,guardare e vedere, sentire. È un postoneutro, in attesa: se non c'è qualcunodentro nulla si muove, non fa vedere nullase non c'è qualcuno a fare qualcosa. Mase i bambini entrano, Maxi Ooh! si colorae si muove, dialoga con i pensieri, i gestie la curiosità di chi lo abita. Un luogo diforme rotonde che accoglie e abbraccia,una sfera per ciascun senso; uno spaziosenza indicazioni, dove anche l'adulto non

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8 Alpinismo goriziano - 4/2013

A zonzo per i Tatradi LUISA NESBEDA

T atra, nome che evoca solitudiniselvagge e lontane, paesaggi po-polati da orsi e lupi, monti e vallisolitarie … Bene, niente di tutto

questo, sgombratevi la testa da questisogni inutili. Appena scesi dai pullminiche ci hanno portato all’inizio della no-stra avventura, ci congratuliamo per nonavere le nostre macchine e quindi i pro-blemi di parcheggio che avremmo tro-vato: un compatto muro di gitanti più omeno sudati ci osserva con curiositàmentre ci sistemiamo in spalla i pesantizaini (i loro sono al più degli zainetti daspiaggia) e ci leghiamo gli scarponi (loroal massimo hanno delle scarpe di tela,se non le infradito). Va bene, direte voi (eabbiamo pensato anche noi …), è il finesettimana, la strada è quasi asfaltata, cisono anche le carrozzette che vanno sue giù tirate da folkloristici cavallini, madopo … E dopo anche.

La dolina Chocholowska è in ognicaso la più ampia e forse la più bellaporta di entrata ai Tatra polacchi: alfondo della vallata, chiusa dalla cerchiadi monti, sulla cresta dei quali corre ilconfine con la Slovacchia, una villa, unacasa di caccia, il nostro primo rifugio!

Tra tutti, solo il piccolo rifugio delladolina Kondratowa è veramente un rifu-gio di montagna, tutti gli altri sono dellebellissime costruzioni in legno, con am-pie sale di soggiorno e scale scenogra-fiche, pur nella estrema essenzialità del-l’arredo.

Altra sorpresa, le scale. I sentieri,che partano dalla valle o che siano in-termedi tra una valle e l’altra, sono fattia scale, si scende e si sale per enormipietre lisciate dall’uso: non abbiamo ca-pito se negli anni dei passati regimi leguardie confinarie ammazzassero iltempo sistemando in questo modo icamminamenti (il nostro itinerario cor-reva quasi sempre sulle creste di confinecon la Slovacchia) o se i gruppi dell’as-sociazione alpinistica locale abbiano neiloro statuti l’obbligo della manutenzionedei sentieri in questo modo. Vero è cheil terreno è molto friabile e la frequenta-zione così intensa di escursionisti po-trebbe fare della zona un deserto in bre-vissimo tempo; a questo proposito è in-teressante notare come, essendo parconazionale, l’ambiente sia veramentesotto controllo, e in molte zone si incon-trino dei sentieri chiusi, senza dubbioper dare il tempo al terreno di rinsal-darsi e prendere un po’ di riposo, e pureai fiori di crescere e di formare quei bel-lissimi tappeti, protagonisti delle nostrefoto. Si dovrebbe agire così anche incerte zone delle Dolomiti!

Andando sempre per creste (anchese la nota denominazione “in quota” èquanto mai fuorviante …), si ha il tempodi ammirare il panorama: da questopunto di vista la fortuna è stata davverodalla nostra parte, il tempo in quelle zonesa essere veramente malvagio e la no-stra settimana invece si è svolta nel mi-gliore dei modi, un solo giorno di piog-gia, mentre altre volte dall’ennesimacima della giornata si poteva godere delsole e la valle più in là sprofondava nelnero più pauroso. Da una parte dunquela catena rocciosa dei Tatra Slovacchi,dall’altra la sconfinata pianura polacca,con Zakopane ai nostri piedi e tutto in-torno a noi cime e cimette piene di gente… di corsa.

Ecco un’altra delle particolarità deglialpinisti tatrensi (si dirà così?), la velo-cità: corrono, corrono tirando il fiatocome matti, poi si fermano a bere unsorso e poi via di nuovo, come se fos-sero sempre in ritardo; tanti sono addi-rittura senza zaino e solo l’eterna botti-glietta in mano, ma non credo che tuttifacciano corsa in montagna: è vero chela media di età è abbondantemente

sotto la nostra (non me ne vogliano icompagni di gita, ma noi eravamo vera-mente un gruppo di anziani!!!), e che i giripossono essere anche molto lunghi, mal’impressione era quella di vedere un’e-terna competizione anche in questocampo, una vita vissuta in fretta. A loroonore sta invece la perfetta pulizia del-l’ambiente: una simile quantità di escur-sionisti da noi vorrebbe dire sacchi di im-mondizia da raccogliere ogni sera; gliescursionisti polacchi sembrano invece(o lo sono veramente) molto consapevoliche quelle sono le loro uniche montagnee, se le vogliono godere devono mante-nerle bene: anche nei posti di tradizio-nale sosta la gente si riporta a casa tuttii suoi rifiuti.

Ed ecco finalmente anche loro, glizaini come li intendiamo noi! Ma questisono veri, sono ragazzi all’antica: nonmangiano niente dal rifugio, hanno leloro provviste, dormono per terra nell’a-

nosciuto e più frequentato, immetten-dosi letteralmente nella processione chesale dal posteggio: ma che sia un luogodi pellegrinaggio? Quello che invece col-pisce è il silenzio: con questa quantità digente da noi ci sarebbe un frastuonoimpossibile, qui si sente solo un quietobrusio, nonostante che la gente facciabeatamente pic nic sistemata dapper-tutto. Anche questa un’esperienza pernoi!

E così, bella questa settimana, gra-zie a Maurizio che ha organizzato tutto,grazie a tutto il gruppo, provato dallastanchezza del primo giorno e dalle vi-cissitudini sanitarie, che nonostantetutto “ha tenuto” e alla fine, davanti aduna grigliata nel viale principale di Zako-pane e brindando con una Zywiec, hadimenticato tutto tranne l’amicizia ed ibellissimi panorami che hanno riempitogli occhi di tutti.

trio della casa o negli ampi pianerottoli,riempiono i tavoli di carte oleate chefanno uscire i panini e vanno, vanno conpasso lento, a gruppetti di due o tre,chissà quanto tempo se ne staranno ingiro … Mi consolo, pensando che cisono ancora ragazzi e ragazze chehanno voglia di fare queste sfaticate,soprattutto vedendoli a sera controllarele vesciche ai piedi e togliersi ginoc-chiere o cavigliere, aperti a nuove cono-scenze e a nuove esperienze entusia-smanti.

Il Morskie Oko invece è proprio laspiaggia dei Tatra polacchi: si rimanesenza fiato quando si arriva all’enormerifugio (sempre una villa di montagna…)e si contempla lo splendido panoramasul grande lago, trasformato in spiaggiada centinaia di persone (spero non mi-gliaia, ma non ne sarei proprio così si-cura!): del resto basta percorrere la largastrada per capire che è il posto più co-

Appuntamento in casa

FFoottoo aarrcchhiivviioo RRoobbeerrttoo FFuuccccaarroo..

SSAABBOOTTIINNOO rreeaaddiinngg mmuussiiccaattoo

Domenica 12 gennaio 2014dalle ore 11 a Casa Cadorna alCol le Nero sopra il lago di Dober -dò.

Giovanni Fierro - lettura e testoSandro Carta - trombaUn racconto di salita e discesa,

di confine e frontiera, di sguardo epoesia, per un monte che regalasempre stupore e storia.

Il racconto dal quale Sabotinoha origine è stato pubblicato nelnumero 3/2012 di “Alpinismo gori-ziano”.

La lettura si terrà con qualsiasitempo.

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cendosi del suo logoramento, una sortadi masochistica, ricercata, lenta agoniache individua come responsabili sempregli altri. Un continuo piagnisteo su tutto,che non dà e non vuole dare soluzionianzi, se le aspetta sempre dall’esterno.Serve un’inversione di tendenza, un ap-proccio più propositivo, la disponibilità amettersi in gioco di persona. Questodeve nascere già dalle cose piccole. Seci teniamo ad una cosa quella cosa deveessere valorizzata innanzitutto da noi. Eallora anche voi mille e più soci del CAI diGorizia dateci un segnale di vitalità, con-vinceteci che non siete iscritti al CAI soloper gli sconti ai rifugi, fateci sentire che cisiete vicini e che anche il Coro Monte Sa-botino è parte integrante della sezione eche merita di proseguire nella sua attività.Permettetemi una similitudine di attualità:per avere un punto nascita bisogna avereinnanzitutto tanti bambini da far nascere,per avere un bel coro servono innanzi-tutto tanti coristi. La montagna si onoraanche ricordando a chi non ci va quantoè bella, magari facendola immaginare inmusica. E allora che cosa aspettate? nonfatevi prendere dalla pantofolite serale evenite a cantare con noi, abbiamo da-vanti quattro anni di lavoro e di soddi-sfazioni che costruiremo insieme con ilnostro impegno! Ci troviamo in sede ilmartedì dalle ore 20.30 alle 22.00 ed ilgiovedì dalle ore 19.00 alle 20.30.

sotto la guida dei nostri valenti maestri. IlCoro non è mai mancato ai momenti im-portanti della sezione. Qualcuno dei socianziani certamente ricorda le messe diapertura e chiusura dell’attività stagio-nale di oltre vent’anni fa, e poi gli ap-puntamenti in grotta, i momenti felici e tri-sti della sezione, che il coro ha solenniz-zato con i suoi canti, il tradizionale Con-certo Cittadino giunto alla sua quarante-sima ininterrotta edizione; la messa diNatale. Attività dedicate soprattutto aduna sezione che vanta oltre mille soci.Ebbene, il quadriennio che si apre saràdenso di significati per le nostre terre e lenostre montagne. Ricorderemo i fattidella Prima Guerra Mondiale, che hannovisto Gorizia e le montagne che ci cir-condano teatro di pagine rimaste nellastoria. Il Coro coglierà questa occasioneper contribuire a far sì che questi fatti nonsi dimentichino. Lo farà con la musica.Molte sono le iniziative in cantiere, dalla

realizzazione di un CD musicale ad hoc,all’organizzazione di rassegne corali sultema, da concerti in trincea a incontricon le scuole. Un’attività sviluppata neiprossimi quattro anni che darà certa-mente lustro alla nostra sezione. Un pro-gramma ambizioso che il Coro si impe-gna a portare avanti per la sua sezione eper la sua città, a maggior ragione se trai mille soci del CAI qualcuno riterrà didarci una mano, perché di questo ab-biamo estremo bisogno per rafforzare lenostre file. Lo dicevo all’inizio, noi nonfacciamo grandi imprese, non scaliamocime, regaliamo solo sensazioni. In tempidi spending revue, dove tutto costa sem-pre di più, dove i problemi che ci assil-lano ci fanno vedere tutto nero, da noibasta mettere a disposizione una cosagratuita, la propria voce, per regalare eregalarci un po’ di serenità.

Viviamo in una città che tende a chiu-dersi in se stessa, quasi autocompia-

Cari amici della sezione gorizianadel CAI, ho chiesto alla redazioneospitalità sul nostro notiziario se-zionale non per fare la lista delle

nostre attività, ma per condividere convoi alcuni pensieri.

Come saprete, il Coro Monte Sabo-tino è parte integrante della sezione daoltre cinquant’anni. È dal 1961 infattiche con la sua attività cerca di dare lustroad una sezione prestigiosa come la no-stra. Certo non abbiamo conquistatovette, aperto nuove vie, scoperto anfrattisconosciuti, non siamo stati protagonistidi particolari avventure. Semplicementecon le nostre voci abbiamo cercato di ri-creare nella fantasia degli amanti dellamontagna atmosfere, sensazioni, ab-biamo cercato di riportare alla mente beiricordi. Tutto ciò con un lavoro assiduosvolto nella sede nella nostra sezione. Inquesti anni oltre centocinquanta sonostati i coristi che si sono avvicendati

I l colpo d'occhio, appena entrati nelterritorio austriaco del Nassfeld-Pra-mollo, rimane decisamente catturatodalla struttura montana del Gartner -

kofel.Le linee frastagliate, le torri, le

profonde gole ed i canali che solcano ilversante rivolto al Passo, riescono ad im-primere un senso di leggerezza scono-sciuta al dirimpettaio Cavallo-Creta di Pri-cot.

La quota di 2195 metri, poi, livellataalle maggiori vette di questo settore delleAlpi Carniche, garantisce un panoramanon a torto riconosciuto tra i più gratifi-canti.

Ma agli escursionisti friulani, complicela rinomata stazione sciistica distesa aisuoi piedi, risulta quasi impossibile nonessere da tempo a conoscenza di questarealtà.

Non di meno, la peculiarità della raris-sima Wulfenia Carinthiaca che fiorisce allesue falde, in alcune zone del Montenegroed in Himalaya, ha contribuito a catalizzareulteriori appassionati, anche se sollecitatida motivazioni di legittima curiosità.

Meno stimolante invece - ripetuto de-stino delle elevazioni di contorno - per-mane il richiamo della montagnola che,spostata a Nord-Ovest dal corpo princi-pale, si allunga erbosa e mansueta sopradorsali alberate, macchie di pini mughi elontani dirupi rocciosi.

Identificata oltre confine come Kamm-leiten (Costa del pendio ripido) o ancheKühweger Köpfl (Piccola testa del sen-tiero delle mucche), si innalza a 1998 me-tri, sorretta verso la valle dello Gail dall'a-spra e franosa Reppwand (La parete agradino).

Il suo accesso, già da lontano preve-dibilissimo, avviene dalla selletta Kühwe-ger Törl (La porta del sentiero delle muc-che) che si raggiunge staccandosi dallaprima parte della normale al Gartnerkofel.

Da qui, i fascinosi e multicolori con-glomerati che accompagnano il facile per-corso terminale, evidenziano anche ai pro-

fani e ai più disattenti la particolarità diquesto monte; spiegata in modo com-prensibile e coinvolgente da una tabellaplurilingue che s'incrocia lungo il percorso.Ad incremento delle informazioni consul-tabili attraverso pannelli posti lungo la ro-

tabile di accesso al parcheggio di malgaWatschig. Tramite essi, ci si erudisce circala complessa storia geologica delle falde,in loro stravolgimenti e le sovrapposizioni,la datazione del ciottolato affogato nei se-dimenti e la sua provenienza in rapporto

allo stato di arrotondamento dello stesso.In un contesto di grande interesse che

la zona ha sempre suscitato principal-mente tra gli studiosi, ma rilevabile sem-plicisticamente da chiunque, già nell'os-servazione delle colorazioni e dislocazionidelle rocce attorno al rinomato valico al-pino.

I conglomerati quarziferi del Madrizze,ad esempio, sono nettamente diversi daigrigi calcari del Cavallo, che ricompaionoquasi per incanto in un limitato ammassa-mento nei pressi della vetta di quest'ul-timo.

L'alternanza cromatica tra le bandatedell'Auernig, a loro volta così differenti daicalcari rosati - unico esempio in Europa -della non lontana Creta di Aip o le dolomiedel Trias che compongono la parte supe-riore del citato Gartnerkofel. Il tutto fitta-mente addensato in una complessa man-ciata di chilometri quadrati, sì da meri-tarsi, geologicamente parlando, l'appella-tivo di "Super gruppo pontebbano".

Oltre all'immancabile croce e libro divetta, sul pur modesto Kammleiten un utilepannello fornisce le generalità delle variemontagne visibili, svelando, probabil-mente a molti, un panorama verso l'Austriadi non sempre facile interpretazione.

Se a seguito di una doverosa sosta invetta la "voracità" alpinistica dovesse pre-valere, dalla selletta Kühweger Törl, lafronteggiante e segnalata cresta Nord-oc-cidentale della "Montagna del giardiniere"(Gartnerkofel), prospettando alcuni pas-saggi di II grado (NON È UNA VIA AT-TREZZATA!) ci guiderà sulla vetta princi-pale fra spettacolari scorci sulle selvaggeforre settentrionali del Sandgrube (Il val-lone della sabbia).

La discesa lungo la frequentatissimavia normale del lato Sud, raccordandosi aisentieri che lambiscono le piste di sci,completerà la duplice ascensione nelgruppetto tra i più rappresentativi del Landcarinziano.

Tra i ciottoli multicolori del Kammleitendi BRUNO CONTIN - GISM

DDaall KKaammmmlleeiitteenn vveerrssoo iill GGaarrttnneerr KKooffeell.. ((FFoottoo BB.. CCoonnttiinn))..

L’appello

Aiutiamo il nostro corodi GIUSEPPE DE MARTINO - Presidente del Coro Monte Sabotino

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che lo fa per indole, che cerca di trasfe-rire le proprie conoscenze formando per-sone meno esperte, anche smessa la di-visa. Almeno questo è quello che rap-presenta ai miei occhi e ciò che secondome "Jure” era. Volontario e generoso,spinto da una passione che possedeva,un po’ come la fede, non poteva essereinventata o improvvisata, così è statocon me. In montagna a volte a prevalereè l’egoismo ma ci sono anche molte per-sone davvero in gamba. Tra questi c’eralui. Apparentemente semplice, sapevarincuorarti quando eri afflitto, incorag-giarti quando ne avevi bisogno, oppureancora convincerti a lasciare perderequando non era il caso di andare avanti.Nella vita come in montagna. La telefo-nata prima di partire, un rapido consulto,e quella appena tornati facevano partedella “nostra tradizione” così come unasemplice telefonata per chiedere: “Comeva?”. L’ambiente alpinistico si caratte-rizza spesso per un forte opportunismo.Era stato "Jure” in passato a farmi capireche in quanto uomini siamo egoisti e avolte anteponiamo le nostre esigenze aquelle del gruppo. Anche in questo era

differente: alla base di molte delle suescelte c’era l’amicizia, associata a unaforte consapevolezza dei propri limiti. Osi era amici o era meglio stare a casa;non esistevano compagni per opportu-nità. Già… non era sicuramente un topclimber, parola che oggi va tanto dimoda. Predicava un alpinismo d’altritempi, grossi avvicinamenti, difficoltàcontenute, pareti non sempre solide, sa-lite di ricerca dove era fondamentaleavere sviluppato un certo “fiuto”. Le suefrasi mi rimbombavano nella testa, chelui ci fosse o no. Prima della tecnologia,prima della tecnica l’alpinismo è osser-vazione, fantasia, passione e calma:questo insegnava. “Fai un passo in susolo se sai di poterlo fare anche in di-scesa”; “Per dove pensi sia salito ilprimo salitore ai primi del ‘900? Lungoquella fessura dove poteva tranquilla-mente sfruttare il proprio corpo o lungoquella placca levigata che anche oggicon le scarpette faresti fatica a salire? Iprimi salitori avevano corda di canapa escarponi… ragiona”; “Se hai portato iramponi nello zaino per due ore perchéora non li indossi? Che senso ha?”; “So-

stituisci quel cordino da calata con unotuo, la tua vita vale sicuramente di più diquanto spenderai per comprarne un al-tro”; “Se dovessi fare una sosta dove lafaresti? Su un comodo terrazzino o ap-peso in piena parete? Allora vai a cer-care i chiodi dove sarebbe logico met-terli”; “un soldato che fugge è prontoper un’altra guerra”; “Segui le tracce del-l’ungulato e da qualche parte arriverai”;ungulato... non poteva dire stambecco?“Lui” era fatto così e basta, solo per ci-tarne alcune. Non l’ho mai visto perderela pazienza, anche nei momenti più dif-ficili, nemmeno quando le cose si met-tevano male. Parlava a chi aveva da-vanti con il rispetto che pretendeva e sedoveva dire una cosa o fartela notare lofaceva. Con il suo stile, a volte irruentema corretto e con un occhio ai senti-menti di chi aveva davanti. Mi ha datotanto, nella vita di ogni giorno. Nelle set-timane successive ho continuato ad ar-rampicare e lungo i tiri sentivo ancoraquella voce che mi ha accompagnatoper anni, che mi ha dato sempre ottimiconsigli e anche oggi che lui non c’ècontinua a darmi. Mi ha insegnato molto,moltissimo, ha contribuito alla mia ma-turazione da ragazzo a uomo e qualchevolta, voglio pensare, ha contribuito afarmi tornare a casa. Con le sue vicendepersonali, con i suoi affetti mi ha inse-gnato i valori della vita, fatto capire checosa è realmente importante, come di-mostrare il proprio affetto per un’ altrapersona, cosa che non sapevo fare cosìbene. Non mi sento ipocrita nel dire chesenza averlo conosciuto la mia vita sa-rebbe stata diversa. Istruttore, amico,maestro. I suoi difetti, i suoi racconti,mostravano come nella vita nulla fosseperfetto, tutti avevano dei contrasti enessuno era infallibile, tutti potevamocommettere degli errori. Non si potevapretendere troppo dagli altri quandonemmeno noi eravamo perfetti: le rigiditàportavano solo a chiusure. Coerenza edelasticità potevano andare a volte di paripasso.

Sono questi i pensieri che mi attor-niavano domenica notte (29 settembre)mentre tornavamo a casa dopo una gior-nata passata con la fidanzata. Era tardi,stavo guidando sotto l’acquazzone. Ri-flettevo mentre guidavo, la luce dei lam-pioni attraversava l’abitacolo e tra luci eombre incrociavo il mio sguardo nellospecchietto retrovisore. Sul viso c’erauna nuova ruga con un nome ben pre-ciso che rimarrà sempre con me. Gui-davo sotto la pioggia, diluviava, ripen-savo a quella voce che mi ha suggeritodi prendere l’autostrada. Arrivato a casa,aperta la portiera, l’abitacolo si è illumi-nato. Prima di uscire ho guardato la miaruga conscio che rimarrà lì, anchequando sarò al buio o senza uno spec-chio. Anche quando penserò di esseresolo. Col tempo se ne aggiungerannoaltre, così come altri ricordi o altre espe-rienze. Chiusa la macchina, sono entratoin casa, erano quasi le due, tra pocheore sarebbe stato un classico lunedìmattina in cui dividersi tra lavorare epensare alla prossima cima, al prossimofine settimana, alla prossima ruga.

S ono passati circa due mesi e iltempo è servito a fare sedimentarealmeno un po’ le idee, a dare piùchiarezza: ai pensieri e ai gesti im-

pulsivi si è sostituita la razionalità.Torno alla sera del 14 settembre:

Valvasone, sto camminando verso lamacchina dopo avere salutato i mieiamici. È stata una giornataccia, è tardi,mezzanotte passata, sono lontano dacasa, sveglio da prima che sorgesse ilsole, con molti chilometri sotto ai piedi el’ennesima via di arrampicata salita.Cammino e realizzo che quando saròarrivato a casa e mi sarò infilato nel letto,spenta la luce sarò più solo.

La notizia è arrivata una decina diore prima con un sms di un amico che holetto mentre stavo arrampicando sopraTimau. Un pugno nello stomaco, pen-sieri che si accavallavano, dolore, tantoe la decisione di continuare, ormai erasuccesso. Non esiste un momentoadatto per certe cose. Rinfrancante è sa-perlo da una persona che ti è vicina e chesa che cosa proverai quando leggerai.

Sono tante le persone che ognigiorno incontriamo, conosciamo, o pre-sumiamo di conoscere, molte passano,alcune rimangono, come gli anelli di untronco appena tagliato permettono dileggere oltre la solida apparenza. Così lerughe sul nostro volto, la luce particolaredi uno sguardo raccontano il nostro vis-suto. Era stato “Jure” a confidarmi checonoscere veramente una persona eraestremamente difficile: “Dovresti cam-minare con le sue scarpe” diceva. L’e-sempio era esplicito, diretto, semplice eschietto ma sicuramente non banale, ag-gettivi che ben dipingevano i tratti ca-ratteriali del mio amico. Nei giorni suc-cessivi a quella sera, con un po’ di no-stalgia ho sfogliato un album di vecchiefoto rivedendo me e i miei amici alloramolto più giovani di oggi. Mi sono resoconto di come ogni cima, via di roccia,ghiacciaio abbiano scritto il loro nomesui nostri volti un po’ come noi facciamosui libri di vetta. Qualcuno la chiamaesperienza, a volte la vedo quando da-vanti allo specchio mi tolgo i primi capellibianchi che qua e là sparuti iniziano aspuntare. Il racconto di oggi è lontanodal dolore dei primi giorni, quello che tispalanca la bocca, che ti toglie il fiato,che ti impedisce di pensare, ora tutto èpiù razionale, concreto ma senza unasoluzione diversa dal farsene una ra-gione. Rimane sicuramente un vuoto chenon sarà facile colmare, ma rimangonoanche tanti ricordi e tanti insegnamenti,vivere è come scalare, si impara un po’alla volta. Chi è più portato e chi meno.Chi è un istruttore? Che cosa può dareun istruttore? È prima di tutto un uomocon una grande passione, un volontario

In memoria

“Jure GioCa” - Una nuova rugache non poteva aspettaredi PATRICK TOMASIN

FFoottoo aarrcchhiivviioo PPaattrriicckk TToommaassiinn..

Stava finendo l’estate e”Jure”Giorgio Camolese, un amico, se neandava improvvisamente e senzapreavviso lasciandoci tutti sbigottiti eimpreparati. Tante le idee e le iniziati-ve nate per una persona così impor-tante e generosa: per lui che non c’èpiù ma sicuramente anche per chi ri-mane. Mi sono permesso di proporrela pubblicazione di questo testo natoda un’esigenza che portavo con me.Le parole sono mie, così come l’ideadi raccontarle in questa maniera machiunque l’abbia conosciuto si po-trebbe rispecchiare in almeno unaparte del racconto. Decido quindi difirmare questa breve introduzione la-sciando a ognuno di voi la possibilitàdi immedesimarsi in almeno una partedi questo testo. L’occasione è quelladi parlare di un amico e di guardarsidentro, alle spalle e al futuro.

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Alpinismo goriziano - 4/2013 11

Daniele Bucco - SSUULL CCOONNFFIINNEE FFaalleessiiee ddeellFFrriiuullii--VVeenneezziiaa GGiiuulliiaa ee ddeellllee tteerrrree ccoonnffiinnaannttiiddii SSlloovveenniiaa- ed. Versante sud - pag. 299 -€ 29.00

Johnny Dawes - IIOO SSUUPPEERRCCLLIIMMBBEERR - ed.Versante sud - pag. 301 - € 19,00

In libreriadi MARKO MOSETTI

prima di affacciarsi sul golfo di Triestedalle parti della Costiera e dellaNapoleonica. La Val Rosandra è un'im-mersione nella storia e nel mito dell'ar-rampicata declinati nella sua espressio-ne più moderna.

Osp, Misija Peœ, Œrni Kal sono le trefalesie slovene più vicine al confine trie-stino note a livello internazionale, nellequali non è infrequente trovarsi a fiancodell'élite dell'arrampicata mondiale.

Il lavoro, come negli standard del-l'editore, è completo e curato nelleinformazioni essenziali, che in fondosono quelle che interessano l'utilizzato-re della guida. Al ricco corredo icono-grafico si accompagnano i fondamen-tali schizzi con i tracciati degli itinerari ela consueta e consolidata simbologia il-lustrativa. Per ogni singola falesia sonoindicate le aree di parcheggio e le coor-dinate GPS.

Se qualche appunto bisogna fare,questo riguarda la parte introduttivache sarebbe opportuno arricchire diinformazioni riguardanti il territorio(dalla storia alle peculiarità gastronomi-che ed enologiche, all'accoglienza, allealtre attrattive extra arrampicatorie)visto che una guida di questo genere sirivolge prevalentemente a chi arriva dafuori regione o frequenta le varie zoneper la prima volta. Un tanto per invo-gliare l'arrampicatore extraregionale afare una visita alle falesie friulane, giu-liane, slovene ma facendo in modo chenon sia solamente la qualità e la diffi-coltà dei tiri superati che si riporti acasa nella memoria ma anche le moltealtre emozioni che una regione come lanostra è capace di proporre. Sugge -stioni che, assieme ad un'infarinaturastorica un po’ più ricca, si faranno sem-pre in tempo ad aggiungere in unaprossima sicura edizione.

Fuori degli schemi(e anche un po’ di testa)

La Gran Bretagna, da sempre, hafornito all'alpinismo e all'arrampicatamateriale umano e idee di prim'ordine.Audacia, fantasia, completa dedizioneed una ferrea etica di assoluta sportivitàcontraddistinguono quei figli di Albione.L'infornata di arrampicatori che si affac-ciarono all'Europa e al mondo negli anni

Giocare in casa

D Dopo l'incursione in veste inver-nale con Scialpinismo nelle AlpiGiulie la casa editrice Versantesud ripropone all'interesse de-

gli appassionati l'estremo nord-est d'I-talia. Questa volta è il turno delle falesiedella nostra regione e di alcune sloveneparticolarmente vicine al confine ad es-sere illustrate e descritte. Sul confine èil frutto di due anni intensissimi di la-voro sul campo, ma sarebbe più oppor-tuno dire in parete, del pordenonese Da-niele Bucco. Lavoro duro indubbiamentema nello stesso tempo non si può nonpensare che egli si sia anche oltremododivertito. Istruttore FASI - UISP, Bucco siè dedicato a tutte le forme di scalata,dall'alpinismo classico in Dolomiti e AlpiCarniche, all' 8b in falesia, fino al boul-der, specialità della quale è anche trac-ciatore. Buon conoscitore delle zoned'arrampicata del Triveneto ha messo afrutto la sua competenza dando allestampe questa guida.

L'Autore parte dalla convinzione,fondata, che storicamente l'arrampica-ta nella nostra regione ha rappresenta-to un'eccellenza a livello nazionale.Alpinisti noti a livello mondiale chehanno segnato la storia e l'evoluzionedell'arrampicata quali Emilio Comicinell'area triestina e Raffaele Carlessonel Pordenonese furono gli antesignanidell'allenamento sulle falesie di bassaquota, a pochi passi da casa.

Furono scoperti così siti che anco-ra oggi vengono proficuamente fre-quentati dai climber moderni: Dardago,Val Rosandra, Œrni Kal e altri. Alcuninemmeno segnalati su questa guida,forse per l'esiguità dei sito e delle vie,altri, pur interessanti, per il degradosconsiderato che hanno subito (vediSistiana).

Comunque l'appassionato rimarràpiù che soddisfatto dalla mole dei sug-gerimenti sparsi nelle 300 pagine delvolume. Falesie e vie per tutti i gusti eper tutte le capacità. Si va dagli stra-piombi ertani noti a livello europeo, adAvostanis, magnifica falesia in quota,passando per i tanti piccoli siti nascostitra i boschi del Parco delle DolomitiFriulane, fino al calcare dell'area carni-ca e tarvisiana.

Bucco propone una piccola sostaanche nella nostra piccola Doberdò

'80 del Novecento comprendeva perso-naggi come Ben Moon, Jerry Moffat,Ron Fawcett. Questi ed altri avrebberolasciato un segno molto deciso e preci-so nel panorama dell'arrampicata diquegli anni e dei successivi. Forsemeno noto alla grande massa degli ap-passionati rispetto ai nomi sopra citati,Johnny Dawes ricopre però un ruolo diprimo piano accanto a loro.

A colmare questa lacuna di noto-rietà fuori del giro degli appassionatiesce oggi in Italia la sua autobiografia. Èsufficiente il titolo, Io Superclimber, amarcare la caratura del personaggio.

Potrebbe apparire vanteria invece cista tutto anche se meno mediatizzatoper le sue caratteristiche caratteriali deisuoi amici, colleghi, antagonisti sulle viepiù dure, difficili, rischiose.

Personaggio difficile da inquadraree rinchiudere in uno schema o in un'im-magine precisa. Imprevedibile e arditocome la sua scrittura. Il lettore rimarràsulle prime sorpreso e sconcertato daiveri e propri funambolismi della prosa diDawes. Al di là della pura descrizione ècapace di trasmettere le emozioni, leansie e le paure che lo tormentano nelcorso delle sue salite più difficili e peri-colose.

Artista sulla roccia, sempre in cercadi problemi apparentemente insolubili,sempre mettendosi in gioco completa-mente, mai abdicando a quell'etica disportività che, vista da questa parte delCanale della Manica, appare a noi con-tinentali se non folle quantomeno stra-vagante.

L'arrampicata di Johnny Dawes ècostantemente sul filo del rasoio, ed èun rasoio che lui sceglie particolarmen-te affilato. Sconsideratezza? Istinto sui-cida? O assoluta fiducia nei proprimezzi fisici e tecnici?

Comunque è sempre un raccontoavvincente e divertente che apre un'al-tra finestra, questa sì particolarmenteadrenalinica, sul mondo che pensava-mo già ben noto e sviscerato, dell'ar-

rampicata britannica.Lo seguiamo così bambino dalla ri-

cerca delle prime difficoltà sui muri dicasa, o su quelli di altri edifici, attraver-so l'età adulta sul grit, sul granito, sulcalcare, sempre all'inseguimento dellacomprensione del tormento che lo portacontinuamente a mettersi e rimettersi ingioco. Nell'arrampicata come nellecorse automobilistiche, altra sua grandepassione, questa ereditata dal padre,affrontate con il medesimo spirito, sem-pre spingendosi al limite e oltre, suo, delmezzo, della via o della pista, senza ri-cercare trucchi e compromessi.

Alle descrizioni delle vie di roccia, icui nomi sono entrati nella storia nonsolamente dell'arrampicata britannica,che immagina, tenta, risolve, si alterna-no quelle delle corse in automobile siasulle piste, e passi, ma, e con il medesi-mo spirito, anche nel traffico normaledella campagna inglese.

Un capitolo è dedicato a due scala-te che fece alla celebre colonna sor-montata dalla statua dell'ammiraglioNelson che domina Trafalgar Square aLondra. Salite fatte illegalmente (servivaspecificarlo?) per fini di sensibilizzazio-ne sociale.

Se Fawcett, Moffat, Moon alla finesono rientrati nei ranghi così non è statoper Dawes. Personalità decisamenteeccezionale, non inquadrabile né doma-bile.

La frase che forse lo descrive me-glio è quella che stà a pagina 190 dellibro: Salii alcune vie interessanti, inquel periodo, ma non interessanti quan-to quelle su cui non riuscivo a salire.

I suoi miti? Franck Zappa nella mu-sica e Ayrton Senna nell'automobilismo.Serve aggiungere altro?

La montagna sparita (o rubata)Il 29 novembre l'ente pubblico RAI, al quale noi tutti paghiamo un canone,

spegnerà l'unica trasmissione del servizio pubblico dedicata alla montagna, atempo indeterminato.

CAI, TCI, CNSAeS, AGAI, CAAI, UNCEM, Società Speleologica Italiana,chiedono alla RAI di rivedere le decisioni assunte e di ricollocare la trasmissio-ne all'interno del palinsesto del servizio pubblico

29 novembre: data triste per la montagna. TGR Montagne, settimanale, daotto anni si occupa delle tematiche relative alle Terre Alte, viene sospeso atempo indeterminato dai palinsesti di RAI 5, senza previsione di futura ricollo-cazione.

Ora più che mai c'è bisogno invece di mantenere vivi l'interesse e l'infor-mazione sulla montagna, sull'ambiente e sulla salvaguardia della biodiversità,senza dimenticare il ruolo strategico dell'ambiente montano nell'economiaverde, con le sue molteplici risorse (acqua, legno, agricoltura, prodotti tipici,paesaggio, artigianato, turismo).

Il dissesto idrogeologico è un problema sempre più evidente, come dimo-strano i fatti di questi ultimi mesi dell'anno. Come lo spopolamento delle TerreAlte che mette a rischio anche le pianure.

Per questi e altri motivi non si deve spegnere l'unica voce del servizio pub-blico radiotelevisivo specificamente impegnata in attività di divulgazione dellastoria, cultura, tradizioni, tutela ambientale, dei territori e dell'economia dellamontagna.

Andrebbero viceversa potenziate fortemente le occasioni di informazionepubblica su questi temi non solo inerenti alla montagna.

Le associazioni chiedono alla RAI di ricollocare la trasmissione all'internodel proprio palinsesto ai fini di garantire alle comunità montane, agli abitantidelle Terre Alte e alle problematiche ambientali relative a queste zone un'ade-guata e autorevole cassa di risonanza atta a valorizzare le potenzialità dei ter-ritori montani.

Scelta che si metterebbe in linea con l'Articolo 44 della CartaCostituzionale italiana, che nella sua parte finale afferma: la legge disponeprovvedimenti a favore delle zone montane.

Page 12: La lezione di una tragedia - CAI sezione di Gorizia · goriziano” un augurio a tutti gli eletti di un proficuo triennio di la - voro e ai consiglieri uscenti il rin - g r azim ent

12 Alpinismo goriziano - 4/2013

Lettera ai Soci

Futuro volontariodi MAURIZIO QUAGLIA

Sentieri in curadi ROBERTO DRIOLI

Cari soci, cari lettoriQuesta è l’ultima lettera di questo

anno ed anche l’ultima di questo consi-glio direttivo.

Uno dei problemi che si dovrannoaffrontare in futuro è, dal mio punto divista, il recupero dei soci della fasciad’età che va tra i 20 ed i 45 anni. Ancheal convegno biveneto di Bagnoli dellaRosandra, svoltosi a fine novembre,questo è stato uno dei punti all'ordinedel giorno e quindi è sentito anche dallealtre sezioni. A Bagnoli, un altro argo-mento importante di cui si è parlato è ilvolontariato.

Come più volte ripetuto in assem-blea, in seno al consiglio direttivo escritto su “Alpinismo Goriziano”, il bud-get per avviare una stagione sociale di-venta sempre più piccolo e sempre piùimportante diventa non disperdere le ri-sorse economiche che abbiamo a di-sposizione. In questi tre anni abbiamosostenuto la figura del volontario puro,in modo da poter mantenere le numero-se attività che la sezione attua durantel’anno in tutti i campi: l’attività escursio-nistica quali le gite sociali domenicali,quelle del gruppo seniores, l’attività dialpinismo giovanile; i corsi di alpinismo,di escursionismo, di scialpinismo e dispeleologia; la manutenzione delleopere alpine e della sentieristica, la ge-stione di casa Cadorna, la parte cultu-rale, quali le serate mensili, la rassegnacinematografica Montifilm, la pubblica-zione di 4 numeri all’anno di “AlpinismoGoriziano”, l’attività corale. Ma nonbasta: probabilmente molti soci non siricordano che la sezione ha una propriacasa e che anch’essa ha un suo costodi gestione. Inoltre la partecipazione aicorsi di aggiornamento, ai convegni,alle riunioni delle commissioni di cuifacciamo parte. Tutto ciò lo dico in

modo da far capire ai nostri soci che isoldi sono pochini e se vogliamo man-tenere questa mole di attività, che per ilsottoscritto è indispensabile, bisognache tutti facciamo dei sacrifici. E qui ri-torna il discorso della necessità del vo-lontariato puro…

La sintesi delle attività svolte inquesto triennio l'ho riassunta nelloscorso numero di “Alpinismo Gori -ziano”.

Vorrei solo segnalare GoMonti:quest’anno, anche per celebrare il 130anno di fondazione della nostra sezio-ne, la manifestazione GoMonti è stataportata a Doberdò del Lago. Purtroppole condizioni meteo della mattinatahanno impedito lo svolgimento di tuttele attività previste e quindi si è svilup-pata solamente la parte ufficiale conl’esibizione del nostro coro, la presenzacon la loro serata di diapositive diAriella Sain e Marino Babudri e la pre-miazione dei soci venticinquennali ecinquantennali che elenco qui di segui-to: Gratton Giorgio, Komel Paolo,Smania Nada, questi i soci cinquanten-nali e questi invece i venticinquennali:Badin Maurizio; Besti Fabio; CaporalSergio; Cecconi Riccardo; Costa Ezio;Feresin Roberto; Furlan Ilaria; IaneschAndrea; Ippolito Giorgio; LoviscekPiero; Madama Antonio; Monai Sergio;Pajarin Paolo; Squarcina Dorina;Squarcina Rosanna; Suligoj Daniela;Zotti Maria Grazia.

A loro va un grazie di cuore per laloro fedeltà e sostegno che in questianni hanno dato e spero che continue-ranno a dare.

Infine, concludendo l’ultima letteradell’anno, vorrei fare, a nome mio e ditutto il consiglio direttivo ai soci ed alleloro famiglie i più sinceri auguri di buonNatale e felice anno nuovo.

AAllppiinniissmmoo ggoorriizziiaannooEEddiittoorree:: Club Alpino Italiano, Sezione diGorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia.Fax: 0481.82505Cod. fisc.: 80000410318 - P. IVA 00339680316E-mail: [email protected]

DDiirreettttoorree RReessppoonnssaabbiillee:: Fulvio Mosetti.

SSeerrvviizzii ffoottooggrraaffiiccii:: Carlo Tavagnutti - GISM.

SSttaammppaa:: Grafica Goriziana - Gorizia 2013.

Autorizzazione del Tribunale di Gorizia n. 102 del 24-2-1975.

LLAA RRIIPPRROODDUUZZIIOONNEE DDII QQUUAALLSSIIAASSII AARRTTIICCOOLLOO ÈÈ CCOONN--SSEENNTTIITTAA,, SSEENNZZAA NNEECCEESSSSIITTÀÀ DDII AAUUTTOORRIIZZZZAAZZIIOONNEE,,CCIITTAANNDDOO LL’’AAUUTTOORREE EE LLAA RRIIVVIISSTTAA..

VVIIEETTAATTAA LLAA RRIIPPRROODDUUZZIIOONNEE DDEELLLLEE IIMMMMAAGGIINNII SSEENNZZAALL’’AAUUTTOORRIIZZZZAAZZIIOONNEE DDEELLLL’’AAUUTTOORREE..

UUnn ggrruuppppeettttoo ddii vvoolloonnttaarrii ddeellllaa sseezziioonnee dduurraannttee uunn’’uusscciittaa ddii mmaannuutteennzziioonnee ddeeii sseennttiieerrii ddeell CCaarrssoo..

BBuuoonn NNaattaallee ee ffeelliiccee AAnnnnoo NNuuoovvooVVeesseell BBoožžiicc iinn ssrreeccnnoo NNoovvoo lleettoo

BBoonn NNaaddââll ee BBoonn AAnn

FFrrööhhlliicchhee WWeeiihhnnaacchhtteennuunndd eeiinn GGllüücckklliicchheess nneeuueess JJaahhrr

I n vista del centesimo anniversario dellaGrande Guerra i sentieri, dei quali lanostra sezione è responsabile, sarannopercorsi da una grande numero di per-

sone alla ricerca delle memorie di cui il no-stro Carso è pieno.

Molti altri percorsi sono stati tracciatia cura della Provincia per raggiungereluoghi di significativa importanza, maquelli tracciati e mantenuti dalla nostrasezione sono già in grado di condurreverso trincee, cannoniere e musei. Forseil più significativo è il sentiero AbramoSchmid ( segnavia 79) che da Gabria portaa Medeazza ( Media Vas) alle pendici delmonte Ermada lungo i 16 Km che colle-gavano le linee austriache passando perla vetta del Kremenjak dalla quale si godedella visione sul golfo di Monfalcone.Poco più a valle, partendo da Jamiano, ilsentiero n°75 passa nei pressi dell'abissoBonetti, continua verso il valico di Deve-tachi costeggiando la grande cava; lungoil suo percorso si trovano caverne scavatecome deposito materiali. Di fronte, attra-versata la statale 55, ci sono le cannonieredel Brestovi, recentemente risistemate,che si possono raggiungere con il sentieron° 74 sia dalla statale che dalla frazione diDevetachi passando per Cotiœi Inferiore.

Non intendo dilungarmi in descrizionidegli altri sentieri che si possono trovaresu altre pubblicazioni ma voglio ricordareancora il sentiero n°72 che unisce SanMartino del Carso a Jamiano passando

per Casa Cadorna, struttura che la nostrasezione cura e mantiene aperta nei giornifestivi da ottobre a maggio; il sentiero èparte sia del Sentiero Italia, sia del re-cente tracciato dell'Alpe-Adria-Trail che,

partendo dalle pendici del Grossglokner,porta a Muggia.

Per ultimo ma a noi più vicino, il sen-tiero 97 del Sabotino. Parte da San Mauroe raggiunge la cima passando per SanValentino, scende poi a fianco della ca-serma tagliando i tornanti della strada mi-litare per ricongiungersi con il percorso disalita nei pressi della vecchia cava di pie-tra.

La manutenzione di questi sentieri perun totale di oltre 80 Km ( non sono messiin conto né quelli sul Collio né quelli inmontagna) è dovuta ad un gruppo di socivolontari che, una o più volte alla setti-mana, si ritrovano per pulirli dalla vegeta-zione invasiva, mettere i segnavia bianchie rossi che il tempo sbiadisce.