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Storie ricordate dai figli nell’occasione del centenario dalla sua nascita 1

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Storie ricordate dai figlinell’occasione del centenario dalla sua nascita

1906 - 2006

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PREMESSA

Ho sempre pensato, insieme ai miei fratelli, che la storia della mamma dovesse essere scritta perché non andasse perduta nella nostra memoria familiare, ma anche in quella del contesto sociale in cui era vissuta. Abbiamo fatto tanti tentativi perché fosse lei stessa a scrivere le sue vicende di vita, ma ha sempre resistito dicendo che era bello raccontare a qualcuno che la stava ascoltando, non sarebbe mai riuscita a scrivere un gran ché senza avere davanti gli occhi di chi era interessato ad ascoltarla. Ora provo a metter giù quanto ricordo, certo, penso anch’io come la mamma, che è diverso raccontare a voce nell’allegria di un gruppo. I miei limiti poi sono grandi, ma è grande anche il desiderio che non vadano perduti questi frammenti di vita autentica, soprattutto per i nostri figli e nipoti che, della vita di quegli anni, non possono avere alcun ricordo poichè sembrano così lontani! L’occasione è il centenario della sua nascita. Un grazie particolare ai miei fratelli Giorgio e Adriano che per il loro carattere allegro e scherzoso sono stati quelli che, più degli altri, hanno saputo aiutare la mamma a tenere vivi i suoi ricordi soprattutto nelle occasioni che ci vedevano tutti insieme. Un grazie a mia sorella Donata che mi ha spinto a scrivere confermando o correggendo i miei ricordi. La fatica è dedicata a tutti i fratelli, con la convinzione che l’amore che la nostra mamma ci ha dato è quello che ci ha tenuti sempre tutti uniti nelle fatiche e nelle gioie.

Marina

In copertina: Un lavoro della mamma a cui ha collaborato in particolare Adriano, disegnando i fiori quando passava a chiacchierare con Lei.E’ una coperta di lana ricavata da un vecchio tabarro dello zio Emilio.

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MONTEBUGLIO

La casa natale della famiglia Antonini

La mia mamma, Anna Caterina Antonini, ma chiamata da tutti Nin, è nata a Montebuglio di Casale Corte Cerro il 9 ottobre 1906 da famiglia contadina, unica femmina con quattro fratelli maschi, Giuseppe (Pipin), Amilcare, Mario e Germano. In famiglia era principalmente sua mamma Melania che lavorava la campagna, era una donna forte e generosa, la mamma ci raccontava che in paese, quando moriva qualcuno, dopo che era venuto il falegname per le misure, erano solo la Melania e un’altra donna di Montebuglio che andavano giù al Gabbio a prendere la cassa da morto e la portavano da sole in spalla, la mamma ci spiegava che doveva metterla “per lungo” perché di traverso avrebbe avuto difficoltà a passare tra le piante della mulattiera!

La sua casa era nel centro del piccolo paese, aveva una bella corte, fuori dal cortile al di là della stradina, c’era una stanza di loro proprietà detta “la cà di pum”, dove sul pavimento di legno venivano distese le mele che si conservavano per tutto l’inverno. Passando davanti si sentiva un forte profumo, erano le mele “arbusele”, una qualità molto soda e che aveva il pregio di lunga conservazione. C’erano anche “i pum ca’ suna”, un tipo di mele rosse che quando le battevi facevano suonare i semi all’interno.La sua famiglia era molto unita e, pur nelle difficoltà, molto allegra; il paese era piccolo, tutti si conoscevano, molti erano parenti. Papà Bacicia (Giovanni Battista) era grande amico di tutti, aveva tenuto, per un certo periodo, una macelleria, successivamente ceduta a dei nipoti, non era bravo ad amministrare ma era bravo a contrattare al mercato delle vacche, per cui anche i nipoti, che avevano “ritirato” la

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macelleria, lo portavano con loro nei giorni della fiera. Conosceva tutti i “mercantit” e a loro prometteva sempre qualche cosa, il vitello che doveva nascere dalla vacca…. ma a qualcuno prometteva anche la figlia in sposa!.

I fratelli andavano a far la stagione negli alberghi di Stresa o Baveno, oppure a tagliar legna nei boschi che il nonno Bacicia prendeva per il taglio. I fratelli hanno fatto il militare negli alpini dell’Intra. Raccontava la mamma che una volta, mentre erano in esercitazione sul Montorfano, un mulo cadde in modo accidentale (così doveva sembrare) giù dalla scarpata, così la povera bestia si dovette fare a pezzi. Il nonno “Bacicia”Naturalmente divenne un ottimo “tapelucco” a casa dei fratelli Antonini, per tutti i commilitoni.Legato al taglio dei boschi c’era anche un lavoro per le donne: portavano i “rampit” della teleferica da valle a monte e le vivande per gli operai. Tante volte la mamma con le amiche hanno fatto questo lavoro per poche lire. “Ul Fonso” chiedeva spesso a loro di portare dei sigari che accoglieva felice passandoli con la lingua per inumidirli e assaporarne il profumo. La Nin e la Elsa un giorno studiarono uno scherzo per ul Fonso: “dai che ga pisum sü!” E lo scherzo “innocente” venne eseguito! Ul Fonso pareva soddisfatto del gusto del sigaro.. Grandi “ghignate” delle ragazze…

In casa non c’era mai una lira, c’era sempre qualche conto da pagare: la bottega, il calzolaio….. la mamma decide di andare a lavorare. Prima trova lavoro dal “Chines” (attuale Lagostina), era un gran lavoraccio, bisognava pulire le posate tutte ruggine, si tornava a casa tutte marroni e anche a lavarsi la ruggine non andava via. I fratelli della mamma non sopportavano di vederla così ridotta, per cui le trovarono un posto al “fabricon” (tessitura/filatura). Sui telai era un lavoro duro, la mamma era una ragazza sempre in ordine, ben vestita (aveva la zia Tersilla che faceva la sarta, era l’unica che d’inverno portava il paletot), un giorno “ul sciur Capia”, il direttore, forse un po’ colpito da questa bella ragazza, la chiamò e disse: “Antonini, da domani in sala fazzoletti!” Lì il lavoro era molto più leggero e bello. La Nin scendeva con le amiche da Montebuglio a piedi per la mulattiera fino a Crusinallo, in mano avevano il secchiellino, chi con la minestra e chi con il latte, molte volte, specialmente d’inverno, cadevano per strada e tutto andava a farsi benedire!… Il secchiello veniva posto su una grande stufa in fabbrica e consumato nella pausa.

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Fuori dalla fabbrica si andava a ricamare dalle suore. La mamma diceva che le suore erano molto brave a ricamare ed erano molto esigenti, i disegni più belli però li davano alle ragazze di “buona famiglia” (le ricche) e anche se una era molto brava nel ricamo, non poteva pretendere di scegliere i disegni.

Muore la nonna Melania

Intorno agli anni ’30 due fratelli della mamma sono emigrati clandestinamente in America e ogni tanto mandavano a casa qualche

pacco o aiuto economico. La nonna Melania era molto in pena perché non arrivavano notizie dal figlio Pipin dall’America, un giorno mentre era al lavatoio a lavare i panni vede arrivare da lontano il postino…le fa segno di no… rientra nel lavatoio e cade a terra morta.I fratelli Amilcare e Giuseppe(Pipin) in America

Il corso da Ostetrica

La perdita della mamma segna pesantemente la vita della Nin. Pensa che la sua vita, così com’è, senza la mamma, a Montebuglio non ha futuro, il papà si consola nel bere… aiutata dai fratelli, progetta di seguire i consigli del dottore del paese che un giorno le dice: perché non vai a studiare da ostetrica!!?Il fratello Mario era ormai un bravo sarto, per cui insieme decidono di trasferirsi a Torino, dove si erano già trasferiti altri amici di Casale per lavoro. Prendono casa in Via Maria Vittoria, Mario va a lavorare da Fortuna, un sarto di grido e la Nin studia. In pochi mesi si prepara per l’esame di licenza inferiore, aiutata dall’amica carissima Mary Gedda, poi si iscrive al corso di Ostetricia all’Università in via Po. Studia con passione e con ottimi risultati. Sono comunque anni duri e di grande povertà. Qualche volta è la vicina, madama Pignata, che ha compassione dei ragazzi e gli prepara un po’ di minestra calda.Un giorno, nello stirare una camicia, che naturalmente lavava la sera per metterla al mattino, il ferro del “sarto” è troppo caldo e si brucia tutta la manica! La Nin deve

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mettersi un vestito di lana in piena estate. Le compagne le dicono: ma Nin col caldo che fa, come ti sei vestita?! … non mi sento tanto bene …Ma..la Provvidenza l’è granda, l’è granda… l’è cume ‘na crava sul tecc che la fa giù cagaret, cagarett, cagarett, ‘na pioda l’auta, ‘na pioda l’auta… giù fin in tera. Nin al corso da Ostetrica Ma il giorno dopo ecco la Provvidenza: arriva dall’America un pacco con vestiti di seta della cognata. Infatti il fratello Pipin, per superare il problema della clandestinità, nel frattempo, aveva sposato Florence, una ragazza americana. Intanto la Nin si era fidanzata con Aldo, uno “scapolo d’oro” di Casale Corte Cerro, d’oro non perché ricco, ma perché molto religioso, serio

e impegnato nella vita del paese e molto ambito da tutte le ragazze, ma che nessuno osava avvicinare! Aldo veniva a Torino con la scusa di incontrare gli amici ed era ospitato dai fratelli Antonini, come succedeva spesso ai giovani di Casale che venivano a Torino. Erano molto belli i racconti della mamma quando ci diceva dei suoi trucchi per farlo “parlare”….(era molto ermetico e dava soggezione)La mamma si diploma a giugno del 1935 con 30 e lode, a settembre torna a Casale e si sposa con Aldo … e la tassa la va! (la tassa che pagavano gli scapoli)

Aldo in una sua visita a TorinoOstetrica a Trobaso e in

Valgrande

Lavora un po’ a Casale, nell’agosto del 1936 nasce il primo figlio Pier Giorgio e a settembre del 1937 la seconda figlia Maria Luigia (Marisa). Nel frattempo si prepara a superare un corso di specializzazione in puericultura, andava a Torino per gli esami in treno con la bambina attaccata al seno, (superato con 30/30) poi si prepara per i concorsi pubblici. Partecipa a diversi concorsi che vince ma sceglie la condotta del Consorzio tra i Comuni di Trobaso, Cossogno e S.Bernardino Verbano perché pensa che la montagna dia più lavoro, si stabilisce a Trobaso nel gennaio del 1938 e in quell’anno nasce il terzo figlio Agostino.

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Nel frattempo l’Aldo, che faceva l’operaio alla cartiera di Crusinallo, si trasferisce a lavorare nella cartiera di Possaccio, fa i turni così può aiutare la mamma nell’accudire i figli che continuano ad aumentare.

Famiglia Calderoni con la nonna e gli zii nella casa “Papetti”

TROBASO

Anno 1940, la nostra famiglia abitava di fronte alla famiglia del Dottore, aspettavano insieme la nascita del 4° figlio, la mamma il 4 dicembre guarda fuori e vede il fiocco rosa, era nata prima Silvia, la figlia del dottore, Lucina nasce il 5. Le donne vicine di casa nostra quando era primavera e la mamma toglieva il cappotto scrutavano curiose per vedere se la mamma avesse ancora la “pancia” e quando c’era facevano commenti…la mamma ha sempre detto: avrei voluto averne 14!!!

La mamma lavorava sempre quando noi eravamo piccoli, usciva tante volte la notte, e per far visita alle donne dopo il parto usciva molto presto la mattina. Succedeva che d’inverno, quando di notte era nevicato, i bambini uscissero a guardare stupiti la neve a piedi nudi, col pigiamino … naturalmente per fare la pipì sulla neve, che diventava “gialla”! Le donne della casa di fronte si mettevano le mani nei capelli e lo dicevano poi alla mamma.

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La nostra casa, nel periodo dal 1940 al 1953, è stata la Casa Papetti, in Via De Notaris. Era una bella casa con giardino, aveva stanze ampie e un grande corridoio che divideva la zona giorno (due stanze) dalla zona notte (due stanze), in fondo al corridoio c’era il gabinetto, era anche questo molto grande ma all’interno c’era soltanto un lavandino e un gabinetto a turca. Il bagno si faceva in un mastello di lamiera zincata, d’inverno in cucina e d’estate nel gabinetto che non aveva il riscaldamento.

Foto di famiglia a TrobasoIn cucina c’era naturalmente la stufa economica, e per farla

funzionare si comperava la legna alla sostra della Mutazzi. Il giorno che arrivava la legna eravamo tutti impegnati, chi per portarla in cantina a braccia e chi per costruire la “pigna”. Dato che il papà lavorava in Cartiera, avevamo anche la possibilità di portare a casa la segatura; per questi viaggi si andava a prendere in prestito l’asino e il carro del Bordonali, per noi ragazzi quel giorno era una festa, i grandi andavano con il papà alla Cartiera di Possaccio a caricarlo e noi piccoli quando il carro arrivava vicino a casa potevamo salirci sopra ed eravamo tutti felici! La segatura si buttava dalla finestra in cantina, ne veniva fuori una montagna altissima che noi scalavamo anche alla ricerca dei piccoli pezzi di legno di scarto mescolati alla segatura. Nelle giornate invernali, per mantenere a lungo il calore , si riempiva la stufa di segatura, nel forno si mettevano i mattoni che alla sera il papà impacchettava con la carta e li metteva nei nostri letti per scaldarci nella stanza gelida.In casa nostra non mancava mai la carta, fogli bianchi credo 1m. x 1 m., che venivano dalla cartiera, ricordo che veniva utilizzata per tanti servizi: la tovaglia di tutti giorni , per esempio, ma ricordo che in un periodo in cui avevamo preso tutti la scabbia, la mamma la sera ci

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copriva tutto il corpo con una pomata schifosissima allo zolfo e poi il papà ci faceva un vestito di carta per non sporcare la biancheria e si andava a dormire con la carta addosso. Ricordo questa scena come un’impresa che ci coinvolgeva tutti, quasi un gioco, forse ci sembrava di fare una cosa importante. Oggi mi verrebbe da dire: come facevo a sopportare quella carta? Certo, eravamo all’avanguardia, anche oggi si usano panni di carta sul corpo, ma quella non era carta morbida!

Certamente una famiglia così numerosa poteva arrecare disturbo ai vicini. Noi avevamo soltanto due famiglie di anziani che abitavano sopra di noi. Di una signora si diceva che facesse la “fisica”! Alcune volte, per farci paura, la sera, metteva sulla scala dei carboni ardenti e faceva strani rumori.Una volta abbiamo sperimentato che la “fisica” era cosa molto solida…! La mamma era solita fare il bucato cambiando i letti tutti insieme (e non esisteva la lavatrice!), i panni si stendevano sui fili tirati nel giardino. Un giorno, quando la mamma scende per ritirare i panni, si sporca tutta con la cacca che la nostra vicina aveva accuratamente messo sotto i fili per punire la nostra “numerosa esistenza”!A parte queste cosucce, noi ci trovavamo bene con i nostri vicini, c’erano tanti ragazzi e si facevano grandi giochi soprattutto la sera: burliscia, de’ libera, vivi e morti, i verbi, indovinelli, ecc..Quando si era più piccoli, in casa il gioco preferito era fare la processione. Adriano era sempre il prete, la sorella più piccola, Donata, era la Madonna che, piazzata sul seggiolone, era portata in processione, tutti cantavano e ci si divertiva un mondo ad imitare i grandi.Donata, la sorella più piccola, è nata il giorno di Natale. La mamma aveva 42 anni, si sentiva già un po’ vecchia, un po’ stanca, aveva anche un po’ di paura. Ha pregato tanto il Signore perché facesse nascere questo bambino il giorno di Natale, partorire lo stesso giorno nel quale aveva partorito la Madonna le dava coraggio. Alla vigilia aveva lavorato tanto per preparare la festa, tutti erano impegnati ad aiutarla a fare i ravioli (se ne facevano 50 “dounzeen” perché dovevano durare fino a capodanno) e, l’insalata russa, tutte cose buone che aveva imparato dalle amiche di Torino.Il pomeriggio di Natale il papà va al Vespro e la mamma, stanca morta, si mette a letto convinta di dover partorire. In serata noi bambini a dormire presto e, verso le 11, il papà ci sveglia e tutti sul lettone a vedere la sorellina: Donata Natalia, dono di Natale!

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La famiglia al completo

La Levatrice

La mamma amava molto il suo lavoro, quante volte, quando il nuovo nato non si attaccava al seno della mamma, lo attaccava al suo che “tracimava” spesso per le sue lunghe soste a casa delle “puerpere” (il periodo post-partum era il puerperio).Alla fine del puerperio, che durava in media una settimana, accompagnava la mamma in Chiesa per la benedizione, molte volte ci portava con lei a questa funzione. Se la mamma non era benedetta non poteva partecipare al Battesimo del bambino. La levatrice partecipava quasi sempre anche alla funzione del Battesimo. La mamma si metteva il suo vestito bello, un abito a giacca nero che aveva fatto per lei lo zio Mario, un tessuto stupendo (penso che abbia accompagnato tutta la sua carriera d’ostetrica!), la camicetta era bianca in “giorgette” di seta (ne ricordo anche una rosa di lanetta).Spesso portava il suo “Portenfant” in prestito. Era un vestitino lungo bianco in seta fatto ricamare da una bravissima ricamatrice di Casale Corte Cerro, in occasione della nascita del suo primo figlio Piergiorgio, c’era poi il copricuscino con delle fasce che tenevano saldo il bambino.Qualche volta portava con lei qualcuno di noi, magari il figlio più piccolo. Quando tornava, comunque, aveva sempre un pacchettino di dolci per i suoi bambini e allora facevamo tutti festa. Per il Battesimo le famiglie preparavano cose buone e speciali, la mamma che era molto brava anche in cucina si faceva dare la ricetta dei dolci per poterli fare per noi.

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Le donne di Unchio avevano i corredini più raffinati, ricamavano bene e avevano anche delle ricette speciali, molte erano state in Francia a lavorare. Una ricetta “storica “ imparata a Unchio era un dolce che la mamma faceva sempre per noi a S.Pietro, una specie di zuppa inglese a due colori fatta con pan d’anice, una cosa “fresca, molle e marrone” che per la sua bontà noi la chiamavamo “Cacca di Gesù”.Nei primi anni andava in giro per il suo lavoro con la bicicletta, sul portapacchi aveva la sua “valigetta dei ferri”. Ricordo la valigetta, era nera, di legno, ricoperta di stoffa, dentro aveva i ferri del mestiere, stetoscopio, provette, il camice bianco, elastici…..Spesso la mamma visitava le donne a casa nostra, faceva loro l’esame dell’urina, ricordo benissimo questa scena, doveva vedere se c’era l’albumina.A mio fratello Adriano, tra i più piccoli, questa operazione piaceva moltissimo immagino, perché si doveva accendere un battufolo di cotone imbevuto di alcool e si metteva la provetta con l’urina sul fuoco. Un giorno il maestro di Adriano chiamò la mamma e disse: -Signora, suo figlio sta facendo l’esame dell’urina a tutti i suoi compagni di scuola!.

La guerra

Gli anni della guerra 1940/45 sono quelli più difficili per tutti, ma ancora di più per la mamma che spesso doveva uscire la notte e perché il territorio della sua condotta arrivava sino a Cicogna, zona teatro di scontri tra tedeschi e partigiani.Ricordo che raccontava di essere stata al comando tedesco per chiedere il rilascio di un permesso per uscire nelle ore di coprifuoco, ma le fu risposto che i militari avrebbero sparato prima che lei potesse mostrare loro il lasciapassare.In quel periodo una sua cliente dava segni di parto imminente, la mamma dice ai parenti: non venite a chiamarmi di notte , non posso uscire, forse è meglio che andiate in ospedale. La mamma era benvoluta da tutte le donne, era rassicurante, esperta e cordiale, la donna non vuole fare a meno del suo aiuto e insieme decidono che il parto è bene che avvenga a casa nostra. La mamma prepara un letto nella sala e il figlio grande della signora porta una gerla di legna per riscaldare l’ambiente; nella notte nasce una bella bambina.La mattina il figlio grande torna a riprendere la mamma, carica la bambina nella gerla e se la porta a casa!

CICOGNA A Cicogna la mamma andava sempre volentieri, primo perché

non doveva tornare più volte per il puerperio, le donne si arrangiavano tra loro, poi alla mamma piaceva molto la gente di Cicogna, ha sempre detto che a Cicogna c’erano belle ragazze, era tutta bella gente!Era una grande fatica però arrivarci. Andava in bicicletta sino al ponte Casletto , poi saliva a piedi per il sentiero.

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La prima volta che andò a Cicogna, prese un grande spavento. In paese non esisteva il telefono, per cui uno doveva scendere a chiamarla e tra un viaggio e l’altro passava un po’ di tempo. Quel giorno, quando arriva nella piazzetta vede sul balcone della casa il prete con la cotta e la stola, donne con le candele in mano che pregano, le viene un colpo… pensa che la donna sia morta… Niente di tutto questo. In paese era “usanza” andare in processione fino ad una cappella fuori paese per implorare la Madonna per la buona riuscita del parto!Un giorno la mamma si trovava a Cicogna per assistere una partoriente, era salita con la macchina “da piazza” (era il “Tut”

Cicogna il taxista di tutta la valle), finito il suo impegno si reca nell’osteria del paese dove c’era il telefono per chiamare la macchina, nell’osteria incontra un “mercantin” che era salito a Cicogna con un furgone per comprare vitelli. Alla mamma sembra di conoscerlo dai tempi della sua gioventù quando andava a ballare, anzi le sembra di vedere uno di quelli a cui il papà Bacicia aveva promesso la figlia in sposa. La mamma chiede: -Ha un posto per me, mi dà un passaggio fino a Trobaso?. Il signore dice: -Purtroppo ho con me mia moglie, se vuole posso caricarla nel cassone, con i vitelli! La mamma aveva sempre premura di tornare a casa dove c’era sempre qualcosa da fare: -Va bene, d’accordo! - rispose.Sale nel cassone con i vitelli…. sospetta una vendetta! Soffriva molto di mal d’auto, ma come lei soffrivano anche i vitelli e, dopo qualche curva sbattuta qua e là, i vitelli cominciano ad innaffiarla con diarrea continua, lei inizia a vomitare tutto quello che può. Arrivata davanti a casa, viene scaricata in uno stato pietoso, aveva viaggiato distesa nel cassone….. Il papà l’ha raccolta e aiutata a spogliarsi ed a lavarsi da capo a piedi. Quando raccontava questa storia era felice, rideva tanto e faceva ridere con compassione chi l’ascoltava.Un’altra volta che si trovava a Cicogna per assistere una donna, la chiamano perché c’era un ragazzo che stava male, il medico era lontano, in pratica il ragazzo era stato mandato a casa a “morire”, dopo essere stato in ospedale per un intervento, di appendicite o ernia. La mamma va a vedere, il ragazzo aveva parte dell’intestino fuoriuscito dalla ferita e stava malissimo, lei rimette nella sede i visceri, chiude la ferita, aveva sempre con sé, nella valigia, delle iniezioni “toniche” … insomma, fa quello che può.Ogni tanto si chiedeva: -Chissà quel ragazzo di Cicogna, che fine ha fatto! Un giorno, dopo qualche anno, il ragazzo arriva a casa della mamma a portarle i “binis”, perché si sposava e voleva ringraziarla… per avergli salvato la vita!

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Alcune volte, per andare a Cicogna, soprattutto se c’era la neve, si faceva portare fino a Rovegro dal Tut, poi proseguiva a piedi. Raccontava che una volta, tornando a piedi dal Casletto verso Rovegro, aveva la neve che arrivava alle ginocchia!. Cammina, cammina, il seno gonfio di latte le faceva tanto male, piangeva , pregava e sperava che ogni curva della strada fosse l’ultima prima del paese, invece il silenzio e il bianco erano infiniti…Ad un certo punto, incontra un uomo che, al vederla in quello stato, è mosso a compassione…. - Oh dona, oh dona! - cerca di farle coraggio, - ma quanta strà a ghè prima da Ruvegar, quanci svolt!? –Oh, ammò du o tri e sì rivada. Arrivata a Rovegro, all’osteria tutti le facevano festa, le volevano un gran bene, poi poteva telefonare per farsi venire a prendere!

Parti difficili

Era appassionata del suo lavoro e diceva che, ogni volta che veniva alla luce un bambino, le spuntavano le lacrime agli occhi.La mamma spesso diceva: -Sono stata molto fortunata nella mia vita di ostetrica, non ho mai avuto parti finiti male per mia imperizia, ma al contrario sono sempre stata in grado di risolvere anche casi molto difficili! Ricordo il caso di un parto difficile risolto bene che in casa nostra è sempre stato l’emblema di una vita difficile, bella, importante e che in noi ha sempre suscitato ammirazione. La mamma viene chiamata dal marito della signora perché “l’è ura!”. Carica la sua valigetta sulla bicicletta, è inverno e c’è la neve, bisogna andare a Bieno, il marito, futuro padre, davanti, l’ ostetrica dietro.Ad un certo punto il percorso si fa difficile, la mamma cade nel fosso con la bicicletta, ma il signore non sente i suoi richiami perché è un po’ sordo!La mamma si rialza a fatica, ma anche la sua “guida” si rende conto di non averla più al seguito e torna ad aiutarla.La signora deve partorire due gemelli, nella stessa camera dorme la prima figlia di 4 anni, chi l’aiuta nell’assistenza è la nonna anziana.Nasce la prima bambina, la sorella grande strilla nel suo lettino, strilla la piccola appena nata, la partoriente sta male, nasce la seconda piccola, la mamma aveva sempre delle iniezioni di “supporto”, bisogna però cercare un tonico per la signora che presenta problemi di cuore, sono gli anni della guerra, in casa non c’è niente… -Ul vaga a cercà un po’ da cognac!... E’ notte, il marito esce alla ricerca…bisogna cercare un peso da mettere sulla pancia per compensare lo svuotamento repentino del ventre … -La ma porta ul sachet dal riis! La vecchia non capisce, un po’ è sorda … -Ul sachet dal riis! Quella un po’ è sbalordita, forse pensa che la mamma cerchi una paga per il suo lavoro, sono momenti di grande panico, ma la partoriente si riprende, verso mattino si può uscire per andare a telefonare al medico e, quando arriva, tutto si è già risolto per il meglio.La mamma prima di lasciare la casa raccomanda alla nonna : -La faga buii un toc da galina in pressa, che la Gina la dev tiras su.

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Nel pomeriggio, quando la mamma ritorna per una visita di controllo, vede appesa in cucina la gallina ancora con le piume senza una zampa: la nonna aveva eseguito! La Gina è rimasta sempre molto affezionata alla mamma, era una sarta e anni dopo veniva a casa nostra a cucire i vestitini per i bambini, si trasformavano i vestiti dei grandi per i piccoli, si rivoltavano i cappotti, ecc.! Bieno

Erano tempi difficili, tutto costava fatica e questo, a

volte, induriva anche il cuore alle persone. Si diceva che a Cossogno la gente era un po’ più dura che in altri paesi. La mamma ci raccontava un fatto un po’ significativo.Era il tempo della vendemmia, su un alpet marito e moglie stavano raccogliendo l’uva. Alla donna cominciano i dolori del parto… -Giuan, a go maal…. -Dai, dai, ammo’ un po’ tira avanti!. Dopo un po’ di tempo:-Giuan, a go maal… -Dai, dai, a deum tirala su tϋta sta ϋga! Dopo ancora un po’ di tempo, con tanta soggezione: -Giuan, a gla fo più! Allora il marito carica la gerla di uva e manda a casa la donna per partorire. La donna a grande fatica si trascina verso casa, passa da un altro alpeggio e incontra una donna, le dice: -A sto maal, a gla faghi più…. -Oh dona, dona… ni…ni…d’arivà in temp…”: neanche un’altra donna ha avuto compassione, anzi quella aveva paura che partorisse lì e l’invitava ad andare. La donna non è arrivata a casa, ha partorito per strada, ha caricato la bambina nella “scvera” ed è arrivata in paese in stato pietoso, è stata poi chiamata la mamma.Quando la mamma ci faceva questi suoi racconti, non lo faceva mai per pettegolezzo, ma per farci capire il valore della gente semplice di montagna, le grandi fatiche, la solidarietà, l’inventiva, l’arte di arrangiarsi. -Erano tutti poveri in montagna … ma un toc da buter, un quai furmagin da crava, par i tusit, u gheva sempar!

Ancora oggi, quando vado per le montagne della Val Grande, mi sembra di percorrere “sacri sentieri”, ho grande rispetto e il cuore felice.

Viaggi in moto e altre storie

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Dopo la bicicletta, il mezzo di trasporto che più usava la mamma per girare i paesi della montagna era la moto, naturalmente sul sellino posteriore di chi la veniva a prendere.Un giorno doveva andare a Scareno, è venuto a chiamarla un signore con la vespa, il tipo aveva un braccio ingessato. La mamma non era certo tranquilla, la strada era nuova allora, era in terra battuta, con tanti tornanti. La mamma, per la grande paura, se la curva era a sinistra si buttava tutta a destra, causando così uno sbilanciamento che l’autista non apprezzava e si metteva a urlare: -Che la staga sü!. Ma non c’era verso, comunque andarono e tornarono senza danni.

Un giorno, la moglie dell’impiegato del Comune di Cossogno ha partorito un bel maschietto, l’Onorato veniva ogni giorno con la sua moto Guzzi a prendere la mamma per il puerperio, dopo un po’ di giorni Adriano, il figlio numero 6, chiede alla mamma: chi è quel “mammalucco” che viene sempre a prenderti? Evidentemente questo andare via della mamma con un altro uomo a lui non piaceva! La LevatriceMolte volte la mamma era fuori la notte, soprattutto quando cambiava la luna, tornava a casa la mattina che era ancora buio. A volte erano le quattro del mattino, le succedeva di incontrare la Rita , con la “scvera” sulle spalle e il lanternino, che andava al lavatoio per lavare i panni prima di andare a lavorare alle sei al “Mugiani”. La mamma diceva che la Rita era una santa donna, aveva tanti figli e il marito beveva, in casa succedevano sempre tante liti, ma la mamma diceva che il marito le voleva bene e quando nasceva un figlio, vedeva la sua sofferenza, si inginocchiava davanti al letto e le diceva: -Perdunam, perdunam! Poi però il vizio era forte e ci ricascava sempre.

Recentemente, incontrando casualmente una figlia della Rita e la figlia del padrone dell’osteria, raccontavo loro della grande ammirazione che la nostra mamma aveva per la Rita: -Ah.. si .. a ma rigordi quand a doveva nass ul mè Leandro da nocc sun gnua giù mi a ciamàa la to mama, a sevi discuzza e curevi! E a proposito del padre, la figlia diceva: -Ah ul mè pà… che ul Signor a gl’abia in gloria… l’ha bevù pusè vin che l’acqua dal lag Magiur! La ragazza dell’osteria racconta: -Ul to pà par un bicer da vin una volta l’a scumetù che l’avrès mangià un rat viv…e ho vist mi cun i me oecc che u mangiava ul ratun e u gheva tut ul sang che u nava giù d’la buca … un schivi!La figlia della Rita poi aggiunge: -A proposit da ratt … mi quand a sevi una tuseta, fin a quasi darset ann, a pisavi sempar in tul lecc e a sevi propi straca da sentì sempar qul’ udur, e un pô a gavevi anca vargugna … un di ul me pà ma dis: se ti mangiat un ratt viv ti pisat

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più. Beh, ti credarè … ho mangià un ratin viv e a go pisà più! Saggezza popolare!Grandi tragedie succedevano un tempo quando a partorire era una ragazza madre. Tante volte era la mamma che riusciva a mediare e fare accettare dalla famiglia la nuova creatura. Di solito le gravidanze erano celate accuratamente e i parenti se ne rendevano conto solo al momento del parto. Una volta, il fratello della ragazza proprio non voleva saperne, era un fascista con tanto di pistola in mano, fuori dalla porta continuava a minacciare una strage. La mamma con fermezza, chiusa a chiave nella camera, zittiva il ragazzo, minacciando di chiamare i carabinieri, intanto faceva partorire la sorella. C’era poi un grande lavoro di solidarietà, incoraggiamento e convincimento, sia presso i parenti, sia nei confronti del padre del bambino. In questo modo le cose si sono quasi sempre appianate, la parte più importante la faceva sempre la nuova creatura, che riusciva con la sua fragilità a scaldare i cuori.Una storia a lieto fine che ci raccontava la mamma era successa a Unchio. In un giorno di festa viene celebrato un matrimonio, lo sposo era proprietario dell’osteria, per cui grandi feste, grandi bevute e cantate. Nel bel mezzo della festa, la sposa si ritira nella camera sopra l’osteria, arrivano le doglie, viene chiamata l’ostetrica, sotto continuavano a cantare e suonare la fisarmonica e sopra la sposa gridava per i dolori del parto…. nasce un bel bambino, viene chiamato lo sposo che, con le lacrime agli occhi, mette il bimbo sul cuscino e lo porta in mezzo alla gente in festa… grandi bevute: sposo e padre in un giorno solo!

In famiglia

La mamma nel suo lavoro era molto scrupolosa ed esperta, il supporto psicologico glielo dava papà, sostenendola e dandogli modo di potersi sfogare nei suoi racconti, non aveva tante parole gentili, ma le dava appoggio, la incoraggiava, avevano due caratteri diversi, papà era molto duro, rigoroso, ma sono sempre andati d’accordo, la mamma era sempre innamorata, non si sono mai contraddetti davanti a noi, anche se la mamma certe durezze nei confronti dei figli le sopportava a malapena, e papà le diceva: -Poura ti, crisciana !Ricordo una scena storica per noi.La domenica pomeriggio, dopo la funzione del Vespro, papà si fermava con gli amici dal Pedrin, caffè-bar dove si ritrovavano perlopiù gli uomini cattolici, ma non solo, di Trobaso; la mamma, invece, andava a casa della vicina a fare una chiacchierata in libertà, però le libertà delle donne, pur se piccole non erano mai ben viste!Una sera in casa c’erano degli amici, papà pigliava in giro la mamma su

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questo suo unico momento libero e diceva: -La va a fa l’ura dalla sciura Emma! E così insinuava che perdeva tempo in chiacchiere. La mamma, sembrandole che lui stesse un po’ esagerando, va nell’altra camera e ritorna con una grossa valigia, l’apre davanti a tutti e dice: -Ecco, questa l’è la mè ura!…saltano fuori un sacco di calze fatte a mano che aveva preparato per l’inverno per i suoi bambini, quelle fatte nuove e quelle a cui aveva rifatto il piede o altro, tutte accoppiate e su ognuna aveva puntato il cartellino: Giorgio, Marisa, Agostino, Lucina, Marina, Adriano, Donata…Tutti rimangono esterrefatti, gli amici hanno le lacrime agli occhi e papà rimane senza parole e mortificato.

A casa nostra non si mancava mai una funzione religiosa, la domenica ci si alzava alle 6.30 perché bisognava andare alla prima messa delle 7.00 perché si doveva andare digiuni per fare la comunione, così appena un bambino aveva fatto la sua prima Comunione aveva anche finito di dormire la domenica. Ricordo che la mia sorellina più piccola molte volte veniva portata in spalla dalla sorella più grande e generosa, così poteva dormire ancora un po’ durante il tragitto. Poi si andava tutti alla Messa “grande”, la messa cantata, meno la mamma che rimaneva a casa a preparare il pranzo (risott e büiì). Il pomeriggio oratorio e Vespro. La funzione del Vespro la ricordo come un incubo, si cantavano i salmi in latino, il prete faceva una piccola predica, a noi veniva un gran sonno ed era una penitenza.Visto che la nostra famiglia poteva essere considerata un “quasi collegio” e che la nostra presenza assicurava una base certa di fedeli, il Prevosto Mons. Rossi raccomandava al papà di non mancare alle funzioni, anche quelle straordinarie. Purtroppo questa raccomandazione la faceva anche il Severin Borella, quando organizzava la commemorazione del 4 Novembre: Messa al campo e corteo fino al monumento ai caduti posto nel cortile della scuola elementare con discorso del Severin. Per alcuni anni abbiamo dovuto partecipare “in massa” a questa celebrazione, finché la mamma, stanca delle nostre rimostranze, aveva imposto al papà una mediazione: da allora hanno partecipato al corteo solo i maschi e le femmine sono rimaste a casa ad aiutare la mamma. Questa fu la nostra prima … vittoria sui fratelli!Tutte le sere in casa si recitava il rosario e, quando non si rispondeva, o a noi ragazzi ci scappava da ridere, qualche volta ci arrivava una “coronata” in testa, tutto per il nostro bene!Gli amici ricordano che nelle sere d’estate venivano sotto le nostre finestre per sentire a che punto era il rosario …. Ave Maria … Santa Maria … perché ci aspettavano in cortile per le grandi giocate di nascondino e delibera.

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L’ultima foto con tutti i suoi figliIl papà era sempre ammalato, aveva le gambe tutte nere per delle vene varicose che si ulceravano spesso. Ricordo che quando eravamo piccoli e ci portava a letto, ci caricava in spalla. Nelle mani, che teneva dietro per sorreggerci sulla schiena, aveva la sveglia, che portava con sé dalla cucina per svegliarsi presto la mattina. Recitava sempre questa filastrocca: -Dandarandan al malavi porta al san… dandarandan al malavi porta al san…Il papà soffriva di un’intossicazione del sangue dovuta al lavoro che aveva fatto da giovane nella piccola impresa di suo papà che faceva il “furmeta” cioè costruiva le forme in stagno per casalinghi. La lavorazione dello stagno era fortemente nociva, ma allora non si sapeva.

La mamma è rimasta vedova a 53 anni con sette figli, il primo aveva 22 anni e l’ultima 9. Ha avuto una vita semplice e faticosa, è stata forte e coraggiosa, sorretta da una grande fede e, anche se non è il caso di descrivere i suoi sacrifici, perché sono uguali a quelli affrontati da tante altre famiglie, mi piacerebbe sottolineare che è stato un obiettivo importante per lei far si che tutti i figli avessero la possibilità di studiare. I primi tre figli dopo la scuola media sono andati a lavorare in fabbrica mentre gli altri studiavano, e man mano che uno si diplomava, uno dei grandi riprendeva lo studio.

Negli anni della vecchiaia ha tenuto sempre uno spirito curioso e aggiornato, tante letture, tante discussioni, politiche e non, sempre interessata a tutto e a tutti. In famiglia, quando ci si ritrovava tutti si facevano sempre grandi cori, la mamma godeva tanto essere circondata da figli e nipoti, a dir la verità piaceva anche a tutti noi, era il momento dei racconti, delle gran “balle” che raccontavano i fratelli

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per vedere se la mamma ci avrebbe creduto, lei stava al gioco e fingeva di crederci.

Le sue mani sono state sempre operose e creative: il ricamo, arte che ha imparato in giovane età, è diventato espressione della sua gioia di vivere; ha impreziosito con i suoi ricami le finestre e le tavole di tutti i suoi figli e nipoti. Ogni volta che terminava una sua opera, ne era molto soddisfatta e orgogliosa.

Intervista alla sig.ra CALDERONI in occasione dei 90 anni

D. Quali sono i momenti belli che le vengono in mente al compimento dei suoi 90 anni?

R. Come faccio a scegliere un momento bello? Sono tanti. Però la mia memoria oggi ricorda meglio momenti e avvenimenti lontani. Un momento bellissimo è quando il mio Aldo ha scelto me e ho potuto sposarlo. Era un giovanotto modello, un santo. Tante ragazze lo guardavano e lo desideravano. Quando ha detto di sì a me è stato bellissimo: La mia vita ha avuto una svolta ricca di affetto e di emozioni.

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Tutta la famiglia in festa per i 90 anni della Nin

D. Quali sono stati i momenti più brutti e faticosi?

R. Certamente la morte di mio marito: Si è spezzato un sostegno prezioso: E poi la morte dei miei figli…. Più brutti di così………. L’Adriano e Giorgio che era particolarmente legato a me e mi sapeva riconoscere in un modo bellissimo. Durante la sua malattia mi ha scritto una lettera che tengo come un ricordo particolarissimo. Quella lettera incomincia così : “Mia bella creatura…………” Aveva una sensibilità enorme quel ragazzo .

D. Che impressioni prova ricordando il mondo del passato e nell’osservare il mondo di adesso?

R. Ci sono delle cose belle. Per esempio c’è un po’ di benessere. Si fa meno fatica ad avere le cose necessarie e a tirare avanti la famiglia. In questo è meglio che nel passato. Ma si approfitta del benessere per fare anche tante cose sbagliate e anche per fare del male. Per esempio non si tiene fede nel matrimonio come una volta, anche in politica è più facile trovare delle persone che abusano malamente del loro potere senza fare davvero il bene del popolo. Mi sembra che adesso sia più brutto. Nel passato vivevamo più modestamente ma si vedeva più umanità. A volte il mondo di adesso mi sembra un po’ pazzo.

D. Se dovesse scegliere una raccomandazione da lasciare ai suoi nipoti, ai giovani di oggi che cosa direbbe?

R. Raccomanderei la fede. Io ho avuto dei nonni santi. Dei genitori veramente buoni. Ci facevano

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pregare e nel paese seguivano i bisognosi, i malati: se ne occupavano sempre. E quando moriva qualche persona erano sempre presenti ad aiutare per vestirli, per sorreggere la famiglia. Hanno regalato la loro fede ai figli e anche il loro modo di voler bene alle persone. La più bella immagine che mi viene per dire questo è “innestare la fede ” I figli possono crescere in tanti modi se noi riusciamo a “innestare la fede” diamo loro un aiuto stabile, che funziona da guida, e li segue tutta la vita. Anche se qualche volta sembra che la perdono…… dopo la riprendono.Io ho fiducia delle persone che hanno la fede……

D. E adesso in questi ultimi anni come si sente, cosa pensa?

R. Ho vissuto molti momenti di tristezza e di melanconia. Ho sentito tante volte la voglia di piangere. Ho anche dei momenti di paura, non so bene di che cosa…Adesso non ho più paura di morire, perché una notte ho sognato il mio Aldo, contento che mi guardava e mi diceva: “ Però ti fai desiderare……. Quando vieni…..?

Intervista dell’anno 1996 alla mamma CalderoniDon Giuseppe Masseroni

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