La leva della responsabilità · versità degli Studi Federico II di Napoli presso il Dipartimento...

16
Anno 3 - n. 5 Maggio 2018 Periodico della Diocesi di Caserta www.ilpoliedro.info formazione | informazione | cronaca Territorio, 7 Opinione, 3 Giustizia, 2 La voce del Vescovo di Giovanni D’Alise M i guardo intorno e cerco di com- prendere qual è “la leva” che può sollevare questo microrganismo vivente che è il nostro territorio chiamato, signiſ- cativamente, “Terra di Lavoro”. E poi mi chiedo: è possibile posare l’o- biettivo solo sul nostro territorio, quando ormai la globalizzazione - il mondo ridotto ad un piccolo villaggio - ha stretto ancora più fortemente, in un ingranaggio che tenta di schiacciare, lo spazio della libertà individuale e anche delle istituzio- ni locali? Ho scartato sociologicamente, moral- mente e politicamente ogni analisi. Ciò perché manca una forza interiore che possa elevare la persona e liberarla dai legacci che l’attuale società ha intreccia- to per tenerci «fermi», «addormentati», «alienati», proiettandoci in un clima fred- do di indifferenza, che gela la mente ed il cuore, o peggio intorpidendo le nostre coscienze ammaliate, in un’atmosfera apparentemente ovattata, da un grande delirio di consumare il tempo ed ogni cosa. Le orecchie, dovunque si orientano, ricevono migliaia di notizie, di messaggi che si sovrappongono e si annullano vicendevolmente. I quotidiani trattano sempre gli stessi temi: sangue, sesso, soldi - le tre “s” che hanno guidato l’infor- mazione ſno ad oggi -, riducendo così i mass-media all’omologazione dell’infor- mazione. I più illuminati della comunica- zione stanno prendendo coscienza che ormai si sta uccidendo la verità. Gli occhi sono ſnalmente “soddisfatti” perché arrivano migliaia e migliaia di immagini, tutte colpiscono le regioni più immediate e sensibili, gli istinti. Non si è più capaci di distinguere il bello e il vero da immagini spazzatura e così si sta uccidendo la bellezza. La bocca, da dove raramente esce una parola apportatrice di positività, di dialogo e di costruzione di futuro, diventa strumento di inganni, tradimenti e corruzione e così si è uccisa la ſnestra che mostra il cuore dal quale non esco- no più, se non raramente, poesia amore e preghiera. La bocca ormai è sempre tappata da sapori nuovi, esotici, promet- tenti, ma bugiardi. E si stanno uccidendo i gusti e i sapori dei nostri luoghi, gusti semplici, ma privilegiati e generosi. Si uccide la nobiltà e la verità della parola. Osservo questo mondo e ho l’impressio- ne di vedere come le persone assomi- sono coloro che odorano di humus - la terra generatrice - e prendono a cuore la «responsabilità» di elevare questo proprio territorio e soprattutto gli uomini che vi abitano. L’imperativo nuovo è prendere respon- sabilità, prendere a cuore le sorti di questa Terra di Lavoro. Un proverbio russo che circolava duran- te il tempo della cortina di ferro diceva: “Chi soffre e spera per una zolla di terra, soffre e spera per tutta la terra”. Gesù ha fatto questo! Ha preso casa in Palestina e vi è rimasto sino alla morte, prendendo a cuore quella terra e quella umanità che l’abitavano. E Papa Francesco ci sta indicando que- sta strada, visitando la gente di territori precisi dove sono sorti e hanno operato uomini e donne, cristiani e non solo, che hanno avuto cura «per la propria gente»: don Lorenzo Milani, don Primo Mazzolari, don Zeno e la comunità di Nomadelſa, Chiara Lubich e la cittadella di Loppiano, don Tonino Bello, l’uomo della stola e del grembiule, ed una inſ- nità di altri esempi sparsi in Italia e nel mondo. In questo mese di maggio mi è balzato agli occhi del cuore il Vangelo di Maria, la Madre di Gesù, ma anche la no- stra Madre, che riassume in sé tutti gli esempi sopracitati. Maria è la donna che seguendo Gesù, uomo-Dio, è diventata sempre più padrona della sua libertà e perciò si è preso cura non solo del suo Figlio, ma di tutti noi. In questo mese di maggio, soffermando- mi nella preghiera e nella meditazione su uno scritto di Chiara Lubich, ho trova- to questa esperienza spirituale che ella racconta: «Sono entrata in chiesa un giorno e con il cuore pieno di conſdenza gli chiesi: Perché volesti rimanere sulla terra, su tutti i punti della terra, nella dolcissima Eucaristia, e non hai trovato, Tu che sei Dio, una forma per portarvi e lasciarvi anche Maria, la Mamma di tutti noi che viaggiamo?. Nel silenzio sembrava rispondesse: Non l’ho portata perché la voglio rivedere in te. Anche se non siete immacolati, il mio amore vi verginizzerà e tu, voi, aprirete braccia e cuori di madri all’umanità, che, come allora, ha sete del suo Dio e della madre di Lui. A voi ora lenire i dolori, le piaghe, asciugare le lacrime. Canta le litanie e cerca di rispecchiarti in quelle». Ciascuno di noi è chiamato «ad aprire le braccia e cuori di madri dell’umanità». Avere cuore di madre signiſca avere a cuore ciascun fratello e sorella, pren- dersene cura, perché “tu mi interessi”: I care” amava ripetere don Milani. Questo signiſca essere uomini e donne «responsabili», nel silenzio, nel racco- glimento, operando partendo dal basso, amando uno alla volta, veramente, concretamente, con mitezza. Maria è concretamente “la leva” che cercavo. Non solo a maggio, ma tutti i giorni «cantare le litanie e specchiarsi in esse». glino a dei burattini, i cui ſli sono tirati da pochi e scaltri individui. Non possiamo contribuire a costruire un tale mondo! Voglio un mondo diverso, vero, più sem- plice e soprattutto più solidale. E questo oggi è una vera rivoluzione! La stessa rivoluzione che ha tentato e ha avviato Gesù di Nazareth duemila anni fa, quando con solennità ha pro- clamato le strade principali per essere felici: le Beatitudini! «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli». Essere poveri nel cuore, questa è santità. «Beati i miti, perché avranno in eredità la terra». Reagire con umile mitezza, questa è santità. «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati». Saper piangere con gli altri, questa è santità. «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati». Cercare la giustizia con fame e sete, questa è santità. «Beati i misericordiosi, perché troveran- no misericordia». Guardare e agire con misericordia, questa è santità. «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio». Mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore, questa è santità. «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati ſgli di Dio». Seminare pace intorno a noi, questa è santità. «Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il Regno dei cieli». Ac- cettare ogni giorno la via del Vangelo nonostante ci procuri problemi, questa è santità. Questa è allora la leva per sollevare il nostro mondo, per elevarlo ad una di- mensione del vivere personale, comuni- tario e sociale. Un suggerimento poi o mi è nato nel cuore: devi cercare fra le persone più semplici ed umili. Umili sono le persone che restano attac- cate al proprio luogo, alla propria terra, La leva della responsabilità Filippo Lippi, Annunciazione, 1435-1440 circa, National Gallery of Art di Washington

Transcript of La leva della responsabilità · versità degli Studi Federico II di Napoli presso il Dipartimento...

Anno 3 - n. 5Maggio 2018

Periodico della Diocesi di Caserta

www.ilpoliedro.info

formazione | informazione | cronaca

Territorio, 7Opinione, 3Giustizia, 2

La voce del Vescovodi Giovanni D’Alise

Mi guardo intorno e cerco di com-prendere qual è “la leva” che può

sollevare questo microrganismo vivente che è il nostro territorio chiamato, signi -cativamente, “Terra di Lavoro”.E poi mi chiedo: è possibile posare l’o-biettivo solo sul nostro territorio, quando ormai la globalizzazione - il mondo ridotto ad un piccolo villaggio - ha stretto ancora più fortemente, in un ingranaggio che tenta di schiacciare, lo spazio della libertà individuale e anche delle istituzio-ni locali?Ho scartato sociologicamente, moral-mente e politicamente ogni analisi. Ciò perché manca una forza interiore che possa elevare la persona e liberarla dai legacci che l’attuale società ha intreccia-to per tenerci «fermi», «addormentati», «alienati», proiettandoci in un clima fred-do di indifferenza, che gela la mente ed il cuore, o peggio intorpidendo le nostre coscienze ammaliate, in un’atmosfera apparentemente ovattata, da un grande delirio di consumare il tempo ed ogni cosa.Le orecchie, dovunque si orientano, ricevono migliaia di notizie, di messaggi che si sovrappongono e si annullano vicendevolmente. I quotidiani trattano sempre gli stessi temi: sangue, sesso, soldi - le tre “s” che hanno guidato l’infor-mazione no ad oggi -, riducendo così i mass-media all’omologazione dell’infor-mazione. I più illuminati della comunica-zione stanno prendendo coscienza che ormai si sta uccidendo la verità.Gli occhi sono nalmente “soddisfatti” perché arrivano migliaia e migliaia di immagini, tutte colpiscono le regioni più immediate e sensibili, gli istinti. Non si è più capaci di distinguere il bello e il vero da immagini spazzatura e così si sta uccidendo la bellezza.La bocca, da dove raramente esce una parola apportatrice di positività, di dialogo e di costruzione di futuro, diventa strumento di inganni, tradimenti e corruzione e così si è uccisa la nestra che mostra il cuore dal quale non esco-no più, se non raramente, poesia amoree preghiera. La bocca ormai è sempre tappata da sapori nuovi, esotici, promet-tenti, ma bugiardi. E si stanno uccidendo i gusti e i sapori dei nostri luoghi, gusti semplici, ma privilegiati e generosi. Si uccide la nobiltà e la verità della parola.Osservo questo mondo e ho l’impressio-ne di vedere come le persone assomi-

sono coloro che odorano di humus - la terra generatrice - e prendono a cuore la «responsabilità» di elevare questo proprio territorio e soprattutto gli uomini che vi abitano.L’imperativo nuovo è prendere respon-sabilità, prendere a cuore le sorti di questa Terra di Lavoro.Un proverbio russo che circolava duran-te il tempo della cortina di ferro diceva: “Chi soffre e spera per una zolla di terra, soffre e spera per tutta la terra”.Gesù ha fatto questo! Ha preso casa in Palestina e vi è rimasto sino alla morte, prendendo a cuore quella terra e quella umanità che l’abitavano.E Papa Francesco ci sta indicando que-sta strada, visitando la gente di territori precisi dove sono sorti e hanno operato uomini e donne, cristiani e non solo, che hanno avuto cura «per la propria gente»: don Lorenzo Milani, don Primo Mazzolari, don Zeno e la comunità di Nomadel a, Chiara Lubich e la cittadella di Loppiano, don Tonino Bello, l’uomo della stola e del grembiule, ed una in -nità di altri esempi sparsi in Italia e nel mondo.In questo mese di maggio mi è balzato agli occhi del cuore il Vangelo di Maria, la Madre di Gesù, ma anche la no-stra Madre, che riassume in sé tutti gli esempi sopracitati. Maria è la donna che seguendo Gesù, uomo-Dio, è diventata sempre più padrona della sua libertà e perciò si è preso cura non solo del suo Figlio, ma di tutti noi.In questo mese di maggio, soffermando-mi nella preghiera e nella meditazione su uno scritto di Chiara Lubich, ho trova-to questa esperienza spirituale che ella racconta: «Sono entrata in chiesa un giorno e con il cuore pieno di con denza gli chiesi: Perché volesti rimanere sulla terra, su tutti i punti della terra, nella dolcissima Eucaristia, e non hai trovato, Tu che sei Dio, una forma per portarvi e lasciarvi anche Maria, la Mamma di tutti noi che viaggiamo?. Nel silenzio sembrava rispondesse: Non l’ho portata perché la voglio rivedere in te. Anche se non siete immacolati, il mio amore vi verginizzerà e tu, voi, aprirete braccia e cuori di madri all’umanità, che, come allora, ha sete del suo Dio e della madre di Lui. A voi ora lenire i dolori, le piaghe, asciugare le lacrime. Canta le litanie e cerca di rispecchiarti in quelle».Ciascuno di noi è chiamato «ad aprire le braccia e cuori di madri dell’umanità». Avere cuore di madre signi ca avere a cuore ciascun fratello e sorella, pren-dersene cura, perché “tu mi interessi”: “I care” amava ripetere don Milani. Questo signi ca essere uomini e donne «responsabili», nel silenzio, nel racco-glimento, operando partendo dal basso, amando uno alla volta, veramente, concretamente, con mitezza.Maria è concretamente “la leva” che cercavo. Non solo a maggio, ma tutti i giorni «cantare le litanie e specchiarsi in esse».

glino a dei burattini, i cui li sono tirati da pochi e scaltri individui.Non possiamo contribuire a costruire un tale mondo!Voglio un mondo diverso, vero, più sem-plice e soprattutto più solidale. E questo oggi è una vera rivoluzione!La stessa rivoluzione che ha tentato e ha avviato Gesù di Nazareth duemila anni fa, quando con solennità ha pro-clamato le strade principali per essere felici: le Beatitudini!«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli». Essere poveri nel cuore, questa è santità.«Beati i miti, perché avranno in eredità la terra». Reagire con umile mitezza,questa è santità.«Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati». Saper piangere

con gli altri, questa è santità.«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati». Cercare la giustizia con fame e sete, questa è santità.«Beati i misericordiosi, perché troveran-no misericordia». Guardare e agire con misericordia, questa è santità.«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio». Mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore, questa è santità.«Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati gli di Dio». Seminare pace intorno a noi, questa è santità.«Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il Regno dei cieli». Ac-cettare ogni giorno la via del Vangelononostante ci procuri problemi, questa è santità.Questa è allora la leva per sollevare il nostro mondo, per elevarlo ad una di-mensione del vivere personale, comuni-tario e sociale.Un suggerimento poi o mi è nato nel cuore: devi cercare fra le persone più semplici ed umili.Umili sono le persone che restano attac-cate al proprio luogo, alla propria terra,

La leva della responsabilità

Filippo Lippi, Annunciazione, 1435-1440 circa, National Gallery of Art di Washington

2 Maggio 2018 Anno 3 - n. 5il poliedro Giustizia

di Raffaello Magi

Sentiamo spesso parlare, da parte dei mezzi di comunicazione, di

emergenze: emergenza ma a, emer-genza terrorismo, emergenza corruzio-ne dei pubblici amministratori ed altro. Ciò da un lato risponde ad una tenden-za commerciale, posto che l’ampli ca-zione della notizia è uno dei modi che le agenzie informative utilizzano per sopravvivere all’interno del mercato, attirando l’attenzione dei propri lettori, dall’altro intercetta situazioni reali la cui incidenza sul sentire comune è da sempre elevata.Il nostro paese ha realmente vissuto, ad esempio, l’emergenza ma a e camorra.

Responsabilità pubblica e corruzioneRaffaello MagiMagistrato

Nato nel 1963 a Napoli, è in magistratura dal 1993. Ha

prestato servizio no al 2013 presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con funzioni di giudice per le indagini prelimina-ri, giudice a latere presso la Corte di Assise, presidente del collegio per l’applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimo-niali. È stato estensore - nel 2005 - della sentenza di primo grado del maxiprocesso cd. Spartacus, aven-te ad oggetto l’attività criminosa del clan dei casalesi negli anni 1988/1996. Dal 2013 è consigliere presso la Corte di Cassazione, assegnato alla prima sezione pe-nale. È componente del gruppo di attuazione del Protocollo stipulato nel dicembre 2015 tra la Corte Suprema di Cassazione e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Ha svolto attività didattica come cultore della materia presso l’Uni-versità degli Studi Federico II di Napoli presso il Dipartimento di Diritto e Procedura Penale negli anni 1992-2002. È stato docente in Procedura Penale presso la scuola di specializzazione per le professioni legali della Seconda Università di Napoli nonché pres-so l’Istituto Superiore di Tecniche Investigative dell’Arma dei Cara-binieri in Velletri. Ha svolto inca-richi di relatore presso la Scuola Superiore della Magistratura in numerose iniziative formative. È stato componente di Commissioni Ministeriali per la riforma del codice di procedura penale (2006) e per la riforma delle leggi in tema di misure di prevenzione antima- a (2013).

politico degli anni ‘70, con le stragi del 1992 (Capaci e via D’Amelio) che costarono la vita a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e tanti uomini delle loro scorte. La progettualità ma osa non era tuttavia realmente nalizzata alla sovversio-ne del sistema democratico italiano, trattandosi di violenza verso obiettivi sensibili con connotati essenzialmente di tipo ricattatorio. L’azione di contrasto portata avanti da magistrati e investiga-tori andava, infatti, fermata con azioni che da un lato servivano come monito, dall’altro avevano lo scopo di costrin-gere le istituzioni a ripristinare la antica ‘non belligeranza’ che aveva consentito per lunghi anni agli organismi criminali di alimentare consensi e ricchezze.La camorra campana, tranne che nel periodo casertano del 2008, non ha mai alzato il tiro verso le istituzioni ma ha, per certi versi, cercato di anticipare il fenomeno che secondo molti analisti si veri ca adesso, rappresentato dall’a-zione di in ltrazione e condizionamento delle amministrazioni pubbliche territo-riali a ni di tutela delle imprese amiche o delle varie ‘cordate’ politico-affaristi-che del momento .

Atella la criminalità organizzata investe nel settore dell’edilizia, mimetizzando la propria presenza. Con questo si vuole dire che le realtà criminali sono frutto - come ogni realtà umana - di abitudini, contesti, radicamenti familiari e sociali, sempre più dif cili da estirpare se non si agisce sui fattori di riproduzione so-ciale dei modelli devianti.In tale quadro, reso ancor più dramma-tico dalla crisi economica degli ultimi cinque anni e dalla carenza di una reale progettualità di sviluppo sosteni-bile delle attività produttive, si assiste a crescenti forme di appro ttamento del potere, piccolo o grande che sia. La corruzione è infatti vissuta, da molti cittadini, come una necessità di agevo-lare la riuscita di un progetto, l’assegna-zione di una gara di appalto, la ricerca di una opportunità lavorativa, in altre parole il superamento di un ostacolo, in virtù del rapporto privilegiato che il cittadino instaura - con consegna di una utilità - al soggetto pubblico (o privato) capace di in uire sull’esito o di realizza-re quella aspettativa.Dietro la corruzione ci sono dunque atteggiamenti culturali complessi, che la nostra società tende a riprodurre

rispetto ad intimidazioni o attentati.Non possiamo pensare, dunque, che la repressione giudiziaria sia l’unico modo per venir fuori da una situazione simile, che tende a creare enormi disfunzioni sociali ed economiche (quanto ci costa un primario ospedaliero inadatto che ricopre il suo ruolo in forza di un accor-do politico di tipo corruttivo?; quanto ancora paghiamo in più del dovuto la manutenzione delle strade cittadine o il servizio di rimozione dei ri uti? etc.).Dobbiamo invece essere consapevoli che il problema di cui parliamo riguarda tutti, ciascuno di noi, nel proprio vivere i rapporti con gli altri, l’educazione dei gli, l’accesso al lavoro, la partecipazio-ne politica alla vita pubblica. Recupe-rare il senso etico della responsabilità individuale è l’unico modo per ristabilire quella collettiva, insieme all’azione degli organismi pubblici di tutela e di preven-zione.Occorrono idee per la soluzione dei problemi individuali di adattamento so-ciale che escludano il ricorso ai rapporti privilegiati con chi gestisce una fetta di potere, occorre riscoprire il merito come criterio di selezione, in un contesto di maggior solidarietà sociale e abbando-no dell’individualismo.

Se per emergenza si intende la dilata-zione di un fenomeno criminale oltre la soglia minima di tollerabilità, gli anni ‘80 ed primi anni ‘90 in sicilia e l’intero periodo che va dalla metà degli ani ‘80 ai primi anni del nuovo secolo in cam-pania sono stati tali. La ma a siciliana, in particolare, ha lan-ciato l’attacco alle istituzioni più dram-matico e sanguinario dopo il terrorismo

Certo, parliamo in via generale e spes-so con sempli cazioni.Le realtà criminali campane sono diverse tra di loro anche a distanza di poche decine di chilometri, come è dimostrato dal fatto che mentre a Scampia o Melito si perpetua il sistema capillare dello spaccio a cielo aperto (dunque con ostentazione visibile del controllo militare del territorio) a Orta di

costantemente, se è vero che l’Italia (da una ricerca effettuata nel 2016) risulta essere uno dei paesi a più alto tasso di corruzione ‘percepita’ d’Europa (siamo al terzultimo posto, seguiti solo da Gre-cia e Bulgaria). L’influenza dei comportamenti dei soggetti pubblici, su tale fenomeno, è enorme, atteso che se chi gestisce il potere mostra - più o meno aperta-mente - di essere sensibile a richieste individuali che alterano la parità di opportunità tra i cittadini ciò legittima la riproduzione ‘a cascata’ di tale modo di agire. D’altra parte, sono gli stessi cittadini comuni, in moltissime occasioni, a pro-porre l’accordo corruttivo giusti cando se stessi - ove necessario - attraverso considerazioni del tipo ‘tanto lo fanno tutti’, o ‘è un modo per difendersi’ o simili.Anche le ma e cosiddette storiche, ormai, tendono a scendere sul terreno della contrattazione con chi gestisce il potere pubblico, dato il minor rischio di scoperta che simili condotte provocano

3il poliedroMaggio 2018 Anno 3 - n. 5 Opinione

di Angelo Agrippa

L’etica della responsabi-lità, con la capacità di

porsi puntualmente il pro-blema delle conseguenze del proprio agire, così come suggeriva Max Weber, resta un riferimento decisamente trascurato dalle classi diri-genti (vere o presunte). Negli ultimi anni, peraltro, è af o-rata una corrente di pensiero giusti cazionista che tenta di assolvere le governance inceppate dei giorni nostri e di spiegare l’inesorabile fallimen-to cui vanno incontro le fragili leadership che si alternano, con frenetica intermittenza, sul proscenio politico. Per colo-ro che aderiscono a questa impostazione di giudizio, i cicli politici a rapida deperibilità e la inestricabile complessità dei problemi posti dalle nuove esigenze sociali, economiche,

L’etica della responsabilitàcausa dei modesti strumenti operativi in dotazione alle am-ministrazioni pubbliche. Si ha la sensazione di fronteggiare un groviglio complicatissimo sia per aggiudicare i lavori di rifacimento di un pezzo di strada che per favorire investimenti sul territorio con l’auspicio che possano portare qualche bene cio occupazio-nale. E come al solito nisce che l’amministratore pubbli-co si difende dicendo che è colpa della burocrazia e delle lungaggini procedurali se non si riesce a coprire una buca o a creare opportunità di lavoro e i cittadini che insultano chi, una volta eletto, si dimentica di loro. Dunque, ha ragione chi affer-ma che oggi i problemi che assillano le nostre comunità sono talmente giganteschi da svilire qualunque tentativo di fronteggiarli? Ma è immagi-nabile una epoca nella quale ad una impetuosa corsa verso il futuro non corrisponda una adeguata capacità di soste-nerla? Può essere che siamo diventati, tutti ad un tratto, talmente inadeguati da non riuscire a prendere le misu-re con il mondo? Certo, sin troppo spesso diamo voce ad un increscioso disagio: ci sen-tiamo esclusi dalle dinamiche sociali e politiche che credia-mo predominanti e soprattutto a forte impronta

urbani perché non sanzionano chi parcheggia in doppia o tripla la, ma se capita a noi di lasciare l’auto violando il divie-to, siamo i primi a giusti carci: e che diamine, il tempo di un caffè al bar!L’etica della responsabilità non riguarda esclusivamen-te chi ci rappresenta nelle istituzioni democratiche, ma tutti: compresi i moralisti tanto al chilo, quei feroci predatori da tastiera sempre pronti, sui social, a redarguire chi sbaglia e ad insegnare agli altri come si vive nel mondo civile. Beninteso, nessun intento assolutorio. Sono più che con-sapevole della differenza che separa i doveri di un pubblico amministratore da quelli di un cittadino non suddito. Già, poi-ché la sudditanza è una cifra caratteriale di noi meridionali, e lo dimostriamo tutte le volte che assegniamo deleghe in bianco a chi ci governa, tanto da svendere i nostri diritti con i favori che eventualmente pos-siamo riscuotere in cambio di un po’ di benevolenza da chi detiene il potere. D’altro canto, chi amministra una comunità di persone ha il dovere quanto meno di provarci a fornire soluzioni ai problemi, e a non peggiorare la situazione (trop-po spesso sento ripetere tra i casertani che si stava meglio quando si stava peggio), come purtroppo accade per il doppio default di bilancio al Comune capoluogo, per i tanti e inutili rimpasti di giunta, l’inef ciente vigilanza urbana, il traf co che continua ad essere un cappio alla gola della città, la inesi-

stente manutenzione delle aree verdi, la protervia con la quale si confonde un regola-mentato sviluppo commerciale con la soppressione progres-siva di spazi pubblici a causa della proliferazione incontrol-lata dei gazebo. Di recente ho assistito ad una polemica astiosa sulla individuazione dell’area dove dovrà essere allocato un im-pianto di biodigestione. Certo, si sarebbe potuto trovare una soluzione migliore, ma tra i contestatori non ho sentito suggerimenti alternativi che fossero soprattutto, in breve tempo, praticabili. Da parte dell’amministrazione comu-nale neanche una parola per giusti care, no in fondo, la scelta di collocare l’impian-to a poche decine di metri dalla Reggia. (Già immagino le vibranti contestazioni di storici dell’arte, intellettuali e ambientalisti che pioveran-no come grandine). Il vuoto della discussione, che non è riempito dalla sola polemica, genera sospetti, così come

il fragore propagandistico della protesta. Ecco, mi sarei aspettato qualcosa di più, una maggiore qualità del confronto più che la esclusiva asprezza dello scontro. E resto ancora in attesa di una risposta: qual è l’idea di città che persegue l’amministrazione comunale di Caserta? Cosa vorrebbe mettere in campo per sfruttare al meglio la scia del succes-so di visitatori che ha saputo produrre l’ef cace strategia promozionale della direzione della Reggia targata Felicori? Certamente non basta far ar-rivare i bus panoramici in città per sostenere che qualcosa si sta facendo. I frammenti di im-pegno non fanno una compat-ta programmazione strategica e sicuramente rischiano di vani care anche gli effetti dei singoli sforzi. Diceva Weber che occorre sempre porsi il problema delle conseguenze del proprio agire. Non per sé, ma per ciò che può accadere agli altri, a tutti i nostri concit-tadini, soprattutto in assenza di un progetto da condividere.

elitaria; contestiamo la casta della politica, della cultura e dell’imprenditoria, ma ci sfug-ge la dimensione autoreferen-ziale del recinto (anch’esso molto protetto allo stesso modo di una casta) nel quale ci rinchiudiamo per tutelarele nostre ribelli e forse anche un po’ invidiose argomenta-zioni. Siamo puntualmente solleciti non a proporre una alternativa al nostro presente inquieto, ma a rifugiarci nel passato (“quelli di una volta sì che erano politici in gamba”) per consolarci con il ricordo, in modo da farci apparire la scon tta presente non colpa nostra, bensì del marciume che avvolge il mondo. Quante volte inveiamo contro i vigili

produttive e soprattutto dal velocissimo progresso tecno-logico, formano un combinato disposto di tale peso da non consentire immediate soluzio-ni di sistema. Anzi, l’enorme mole di istanze popolari che si concentra sui rappresentanti politici e istituzionali (dalla incalzante richiesta di inter-vento perché si ponga sempli-cemente riparo alle buche di una strada a quella non meno impellente, ma certamente più complessa, che riguarda la implacabile fame di opportu-nità occupazionali) quasi mai riesce a ottenere riscontri in tempi brevi, ma forse, oggi, neanche in tempi lunghi. Un po’ per l’inettitudine di chi ricopre i ruoli elettivi, un po’ a

Caserta, Reggia (veduta aerea)

4 Maggio 2018 Anno 3 - n. 5il poliedro Università

di Gian Maria Piccinelli

Il primo maggio, la compe-tizione artistica di “Europe

is Culture – Giovani senza frontiere” si è conclusa con una grande festa. Mentre le Fanfare dei Carabinieri e dei Bersaglieri si esibivano a piazza Margherita, nel cuore di Caserta, i giovani artisti vincitori venivano premiati con una borsa di studio universita-ria. Nei tre giorni precedenti, studenti delle scuole superiori si sono esibiti all’interno della Reggia, presentando il loro mi-glior repertorio e mettendo in campo tutte le proprie capaci-tà. Un centinaio di performan-ces di musica e canto, teatro e danza che hanno attirato il pubblico e incuriosito, spesso, i tanti turisti presenti nel gran-de monumento vanvitelliano. All’arte sono stati alternati

Vicino e lontanomomenti di approfondimento e dibattito sui temi a cui cia-scuna giornata della mani-festazione è stata dedicata: patrimonio culturale, legalità e cittadinanza, salute e dieta mediterranea. Inoltre, ogni giorno ci sono stati momen-ti di degustazione dei piatti preparati, per i concorrenti e per il pubblico, dagli istituti alberghieri e agrari di tutta la provincia.È sul palco, però, che i cuori battono più forte, è lì che le emozioni, a volte, mettono a rischio il risultato. Tra le mura disegnate dal Vanvitelli, poi, le vibrazioni create dalla musica e dalla voce sembrano avere una frequenza diversa. Come se l’eco della storia si volesse unire all’arte contemporanea dei concorrenti per concedere loro un pizzico di maestosità e regalità. Molti hanno perce-pito quest’atmosfera e sono saliti, ancora più intimoriti, lungo i pochi gradini del palco. Qualcuno più tremolante, altri più decisi, tutti hanno offerto al pubblico momenti di autentica bellezza arricchiti dal fascino artistico di quel pentagramma architettonico che Vanvitelli ha scritto oltre due secoli fa.Questo numero “zero” della manifestazione (esperimento di un progetto più ampio che

proseguirà nei prossimi anni) ha raggiunto due risultati importanti.Innanzitutto, ha “liberato” il patrimonio culturale materiale, giustamente vincolato e tutela-to, trasformandolo per qualche giorno in spazio di espressivi-tà artistica concesso ai giovani per incontrarsi, fare e ascolta-re musica, ballare e far festa. Con loro, l’esperienza cultu-rale della “visita alla Reggia” si arricchisce di contenuti e si modi ca nel racconto e nel lin-guaggio. La percezione dello spazio culturale, da parte loro, sarà da oggi più immediata, interessata e coinvolgente. Sentiranno di aver contribuito con la propria vitalità a man-tenere viva la straordinaria storia del palazzo e di esserne diventati protagonisti.Il secondo risultato è stata la straordinaria risposta dei

giovani. Una prova di respon-sabilità, direi, nel senso che presentarsi a una competizio-ne artistica, salire su un palco, esibirsi pubblicamente, met-tersi in gioco con le proprie capacità, sono un esperimen-to – in piccolo – della capacità di rispondere alle s de che la vita, nei suoi diversi momenti, ci pone davanti. Ma anche di rispondere delle proprie scel-te, affrontando il giudizio degli altri e accettando il risultato.Premessa del rispondere (come responsa-abilità) è l’ascolto di chi ci interpella, vicino o lontano si trovi, e l’attenzione a ciò che avviene intorno a noi, vicino o lontano succeda. Ne è fondamento la consapevolezza di “essere in-sieme” ad altri, dal compagno di banco, all’amico, al vicino di casa, ma anche a tutti

coloro che, in qualsiasi punto dell’universo, sono esistiti e verranno in futuro senza che io li possa conoscere perso-nalmente. Fanno parte della stessa storia di cui anch’io faccio parte, storia costruita dalle risposte che diamo ogni singolo momento, dalla nostra responsabilità di “agire per” e “pensare a” chi ci è vicino e lontano, nello spazio e nel tempo.Dietro il palco di “Europe is Culture”, i concorrenti si preparavano all’esibizione: i gruppi si tenevano per mano, tutti si facevano carico delle paure e delle ansie degli altri; i solisti maneggiavano nervosa-mente il loro strumento, amico inseparabile che li avrebbe sostenuti sin dalla prima nota. Un esempio di solidarietà e con-responsabilità utile ad

affrontare la s da del momen-to ma che, in piccolo, è una prova di come si può essere nella vita di tutti i giorni.L’Università della Campania, il Comune di Caserta e il Di-partimento di Studi Europei di Locarno (Svizzera), che han-no promosso l’evento, stanno già lavorando all’organizza-zione della prossima edizione di Europe is Culture che si terrà dal 25 al 28 aprile 2019. La manifestazione crescerà nella dimensione europea e mediterranea, chiamando ad esibirsi giovani di culture, lingue e ritmi musicali diversi, ma con la stessa voglia di “vi-vere insieme”, di incontrarsi e dialogare, di rispondere positi-vamente all’invito ad abbellire per qualche giorno con arte e gioia il panorama, già bello in sé, della nostra Reggia.

Foto nella pagina: evento “Europe is Cilture - Giovani senza frontiere”

5il poliedroMaggio 2018 Anno 3 - n. 5 Politica

di Paola Broccoli

Le cause della nostra con-dizione sociale e politica

vengono da lontano e si sono aggravate poiché negli anni nessuno le ha affrontato. Si af-ferma l’ idea che le democrazie ostacolino i mercati. L’esito del voto del 4 marzo ha fornito al-cuni dati inequivocabili: l’Italia è sempre più divisa, gli italia-ni invocano giustizia sociale, equità, sobrietà, lotta alle dise-guaglianze e lavoro, in sintesi l’attuazione della Carta costi-tuzionale, tanto invocata ma poco rispettata da tutte le forze politiche. Gli italiani invocano una politica che si occupi del-la vita reale, che ascolti e dia sicurezza e garantisca traspa-renza nelle istituzioni. Il Nord ha af dato alla Lega di Mat-teo Salvini le proprie istanze, il Sud al M5s di Luigi Di Maio. Il PD con le sue politiche rivol-te più alle elites che al proprio elettorato di riferimento è stato sonoramente bocciato, stes-so dicasi per il partito di Silvio Berlusconi, che era partito nel ’94 con il voler fare la rivolu-zione liberale ma si è trovato a fare altro. Ad oltre 70 giorni

Una politica che si occupi della vita realedal voto, non abbiamo ancora un governo e quella Costituzio-ne tante volte invocata, ultimo argine al neoliberismo, viene quotidianamente vilipesa e di-sattesa: tocca al Presidente della Repubblica nominare il Presidente del Consiglio, non ai leaders dei principali partiti, che da giorni ci intrattengono con la stesura del “contratto”, solo per fare un esempio. Non ci piacciono i toni, non ci piace lo stile poco istituzionale, non ci piace la corsa al potere a qualunque costo che tradisce le aspettative e la ducia di milioni di italiani, soprattutto al Sud. Non è questo che serve al Paese, che al contrario ha bisogno di ritrovare punti di co-esione e condivisione per rico-struire una comunità nazionale. Il Sud non meritava l’ennesimo voltafaccia dal partito che ha raccolto la totalità dei consen-si, il Sud era e resta questione nazionale. Anche Caserta ha visto l’elezione di ben 9 parla-mentari del M5S!Cosa propongono per la pro-vincia ultima nelle classi che nazionali di vivibilità? Aprano un confronta con la società casertana al più presto. “La

politica non sia al servizio del-la nanza” ha affermato Papa Francesco focalizzando il vero nodo della questione, il docu-mento “Oeconomicae et pecu-niariae quaestiones” critica la speculazione, i “titoli di credito fortemente rischiosi” come i subprime all’origine della crisi del 2007, lo “shadow banking”.

E auspica che siano favorite “realtà quali il credito cooperati-vo, il microcredito, così come il credito pubblico a servizio delle famiglie, delle imprese, delle comunità locali”. Il neoliberismo non ama la democrazia, anzi la avversa ferocemente.Il suo principio motore è nella pulsione ad elevare il concetto

di mercato al di sopra della po-litica, questa “è la crisi”, questo è il sistema nel quale siamo im-brigliati e dal quale dobbiamo difenderci. Solo una politica che affonda le sue radici nelle migliori tradizioni del cattolice-simo e del riformismo socialde-mocratico potrà aiutarci a risol-vere i nostri problemi.

Roma, Aula del Parlamento

6 Maggio 2018 Anno 3 - n. 5il poliedro Lavoro

di Carmine Ventrone

Tra i molteplici temi che caratterizzano l’azione

pastorale e di governo di Papa Francesco spicca, con incisivo rilievo, la ricerca del bene comune e l’assunzio-ne di responsabilità da parte di tutte le componenti sociali per favorire la realizzazione di un contesto socio-economi-co vicino alle necessità della collettività. Il prossimo otto-bre i padri sinodali saranno chiamati a confrontarsi su “I giovani, la fede e il discerni-mento vocazionale”, e nell’in-contro preparatorio del 19 marzo 2018, il papa ha sot-tolineato come e quanto sia urgente affrontare con nuovo slancio le problematiche lega-

Papa Francesco: “Il lavoro è una priorità umana”

Sentirsi responsabiliper il bene di tutti

Compendio Della Dottrina Sociale Della Chiesa

IL PRINCIPIO DEL BENE COMUNE (CAPITOLO QUARTO)

a) Significato e principali implicazioni 164 Dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone de-riva innanzi tutto il principio del bene comune, al quale ogni aspetto della vita sociale deve riferirsi per trovare pienezza di senso.165 Una società che, a tutti i livelli, vuole intenzionalmente ri-manere al servizio dell’essere umano è quella che si propone come meta prioritaria il bene comune, in quanto bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo.

b) La responsabilità di tutti per il bene comune166 Le esigenze del bene comune derivano dalle condizioni sociali di ogni epoca e sono strettamente connesse al rispet-to e alla promozione integrale della persona e dei suoi diritti fondamentali.167 Il bene comune impegna tutti i membri della società: nes-suno è esentato dal collaborare, a seconda delle proprie ca-pacità, al suo raggiungimento e al suo sviluppo. Tutti hanno anche il diritto di fruire delle condizioni di vita so-ciale che risultano dalla ricerca del bene comune.

c) I compiti della comunità politica168 La responsabilità di conseguire il bene comune compe-te, oltre che alle singole persone, anche allo Stato, poiché il bene comune è la ragion d’essere dell’autorità politica.169 Per assicurare il bene comune, il governo di ogni Paese ha il compito speci co di armonizzare con giustizia i diversi interessi settoriali.170 Il bene comune della società non è un ne a sé stante; esso ha valore solo in riferimento al raggiungimento dei ni ultimi della persona e al bene comune universale dell’intera creazione.

te soprattutto alla mancanza di lavoro e all’elevato livello di disoccupazione, in special modo per i giovani. Ha infatti ribadito come spesso i giovani risultano “emarginati dalla vita pubblica ordinaria” trovandosi “a mendicare occupazioni che non garantiscono un domani”. E di come questo possa ge-nerare frustrazioni e azioni da parte dei giovani nelle quali la società è chiamata a sentirsi responsabile di un disagio che può essere de nito “peccato sociale”.È signi cativo a tal proposto ricordare l’intervento del papa tenuto presso lo stabilimento dell’Ilva, durante la visita pa-storale del maggio 2017 alla Diocesi di Genova.In quell’occasione il papa,

uscendo dagli schemi e dai luoghi convenzionali, rifacen-dosi alla Chiesa in uscita della Evangelii Gaudium ha voluto dimostrare come “il mondo del lavoro è il mondo del po-polo di Dio” e pertanto le va-rie forze che compongono la struttura del mondo del lavoro devono avvertire la necessità di cooperare per promuove-re il bene comune. Nell’inter-vento il papa ha risposto agli interrogativi e alle questioni proposte dagli imprendito-ri, dalle forze sindacali, dai lavoratori e dai disoccupati. Ciò per ribadire come in ogni società sana il lavoro “è una priorità umana” e che per re-alizzare tale “priorità” tutte le componenti sociali devono at-tivarsi al ne di dare impulso allo sviluppo del bene comune attraverso azioni di responsa-bilità che possano promuove-re e garantire la salvaguardia della dignità e la prosperità di INCONTRO CON IL MONDO DEL LAVORO

Stabilimento IlvaGenova - Sabato, 27 maggio 2017

Agli imprenditori:L’imprenditore è una gura fondamentale di ogni buona economia: non c’è buona economia senza buon imprenditore. Non c’è buona economia sen-za buoni imprenditori, senza la vostra capacità di creare, creare lavoro, creare prodotti. È importante riconoscere le virtù dei lavoratori e delle lavoratrici.

Ai sindacati:Gli uomini e le donne si nutrono del lavoro: con il lavoro sono “unti di dignità”. Per questa ragione, attorno al lavoro si edi ca l’intero patto sociale. Togliere il lavoro alla gente o sfruttare la gente con lavoro indegno o malpagato o come sia, è anticosti-tuzionale. Dev’essere chiaro che l’obiettivo vero da raggiungere non è il “reddito per tutti”, ma il “lavoro per tutti”!

Ai lavoratori:La competizione all’interno dell’impresa, oltre ad essere un errore antropologico e cristiano, è anche un errore economico, perché dimentica che l’impre-sa è prima di tutto cooperazione, mutua assisten-za, reciprocità. Bisogna dire con forza che questa cultura competitiva tra i lavoratori dentro l’impresa è un errore, e quindi una visione che va cambiata se vogliamo il bene dell’impresa, dei lavoratori e dell’e-conomia.

Ai disoccupati:Chi perde il lavoro e non riesce a trovare un altro buon lavoro, sente che perde la dignità, come per-de la dignità chi è costretto per necessità ad accet-tare lavori cattivi e sbagliati. Non tutti i lavori sono buoni: ci sono ancora troppi lavori cattivi e senza dignità.

Parole del Papa

un Paese. L’obiettivo pertanto non è quello di procurare “un reddito per tutti” ma “un lavo-ro per tutti”. Questo diventa di fondamentale importanza perché “Il lavoro è amico della preghiera; il lavoro è presente tutti i giorni nell’Eucaristia, i cui doni sono frutto della terra e del lavoro dell’uomo”. Il lavo-ro entra nella relazione tra Dio e l’uomo e scandisce i tempi della vita tra azione riposo e festa. Tutto deve essere rivol-to ad edi care l’uomo! Anche durante l’omelia tenuta per la concelebrazione durante la stessa visita pastorale il papa ha sottolineato l’urgenza per i cristiani di lasciare i luoghi

comuni per “lavorare concre-tamente per il bene comune e per la pace, con coraggio,

convinti che c’è più gioia nel dare che nel ricevere (cfr At 20,35)”.

Genova, Papa Francesco presso lo stabilimento ILVA

7il poliedroMaggio 2018 Anno 3 - n. 5 Territorio

di Federico Paolini*

Nella provincia di Caserta, l’avvio di un vero e pro-

prio processo di industrializ-zazione ebbe inizio a partire dagli anni Cinquanta che videro la trasformazione di un’economia prevalentemen-te agricola in un’economia che trovava il proprio perno nell’attività industriale. Nel corso del decennio successivo, grazie al deci-sivo impulso rappresentato dall’istituzione del Consorzio per lo sviluppo industriale, gli insediamenti produtti-vi aumentarono in misura esponenziale costellando di moderni opi ci le principali direttrici della mobilità. Oltre all’impianto chimico della 3M,

La parabola dell’industria casertanasi ampliò con l’insediamento di altre multinazionali quali l’Elettrogra te Meridionale e la SIO, operanti nella chimica di base, e la SOGIB, appar-tenente al gruppo Coca-Cola che insediò i propri impianti rispettivamente a San Nicola La Strada e a Marcianise; ancora a Marcianise nacque lo stabilimento Olivetti che fece da apripista agli investi-menti da parte di altri gruppi nazionali. Nel decennio 1961-1971 lo sviluppo industriale interessò soprattutto la parte meri-dionale della provincia. Si svilupparono due nuovi poli: la conurbazione meridionale della provincia, cioè la zona aversana (dalle maggiori capacità occupazionali) e la conurbazione casertana che comprendeva il territorio dei comuni di Caserta, Madda-loni, Marcianise e Capua. Va comunque osservato che tutta la super cie consortile, e non solo l’area dell’agglo-merato urbano casertano, ottenne sensibili migliora-menti della propria struttura industriale con un consistente aumento dei posti di lavoro. In modo particolare, i comuni di Aversa, Curti, Gricignano

nifatturiera rappresentava il settore verso cui erano stati indirizzati i maggiori sforzi per accelerare lo sviluppo econo-mico: rappresentava il 77%

vuto al fatto che le decisioni strategiche venivano assunte al di fuori dell’area caserta-na, impedì lo sviluppo di un substrato di imprese locali nei

Per questi motivi, all’inizio del XXI secolo il quadro appare signi cativamente mutato. La deserti cazione dei settori tecnologici riporta in quota i

di Aversa, Maddaloni, San Prisco, Santa Maria a Vico, Santa Maria Capua Vetere e Sant’Arpino furono coinvolti in un processo di accelerazio-ne industriale. All’inizio degli anni Settanta, la provincia di Caserta aveva una struttura industriale caratterizzata dai grandi stabilimenti dell’in-dustria straniera e da una galassia di imprese di piccole dimensioni: questa dicotomia tra grande e piccola impresa rappresentava la principale caratteristica del «modello casertano». L’industria ma-

28.996 nel 1971.Tra la ne degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, lo sviluppo industriale mo-strò chiari segnali di crisi. Esauritasi la prima fase dello sviluppo, il modello casertano entrò in crisi. In primo luogo perché le grandi aziende non riuscirono a costruire un ne-cessario network di aziende satelliti (il cosiddetto indotto), anche per alcune dif coltà legate alla tradizione e alla cultura locale. Il mancato o inadeguato ricorso al tessuto imprenditoriale locale, do-

delle attività industriali della provincia. Gli addetti passa-rono da 12.933 nel 1951 a

settori a maggiore densità di tecnologia. Le piccole impre-se casertane, infatti, conti-nuarono ad operare nei setto-ri tradizionali caratterizzati da un basso livello tecnologico e dal ricorso a manodopera non particolarmente quali -cata. Questo stato di cose produsse, negli anni Novanta, un’ulteriore polarizzazione fra grande e piccolissima impre-sa che si tradusse, di fatto, nell’assenza (o quasi) di aziende di medie dimensioni. Inoltre, l’ubicazione degli in-sediamenti – spesso sponta-nea e decisa autonomamente dalle imprese senza nessuna sinergia con le istituzioni locali – non tenne conto del livello di infrastrutturazione e del contesto socio-econo-mico. La localizzazione delle imprese esterne di grandi di-mensioni, pertanto, avvenne senza la partecipazione delle comunità locali che subirono scelte decise altrove.

settori più tradizionali, quelli a bassa intensità di innovazio-ne che impiegano manodope-ra scarsamente quali cata. Il settore manifatturiero mostra una signi cativa perdita di occupazione e un aumento delle unità locali, ovvero una parcellizzazione dei settori industriali sempre più caratte-rizzati dalla piccola e piccolis-sima impresa. La contrazione degli occupati nell’industria manifatturiera è imputabile alla limitata dimensione delle imprese e alla progressiva scomparsa della grande im-presa, dovuta all’incapacità di ampliare la gamma di prodot-ti, alla lentezza dei processi di innovazione tecnologica e all’inabilità di cogliere i cam-biamenti nella struttura della domanda.

*Università della Campania Luigi Vanvitelli (Dipartimento di Lettere e

Beni culturali)a San Marco Evangelista, fu creato un vero e proprio com-parto dell’elettronica e delle telecomunicazioni grazie alla presenza del gruppo pubblico Stet a Santa Maria Capua Vetere, della multinazionale americana Texas Instruments ad Aversa, della Face Stan-dard a Maddaloni e della GTE a Marcianise, mentre a Sparanise, a partire dal 1962, fu avviata la costruzione di una cittadella industriale per la lavorazione della cerami-ca da parte della Pozzi e a Ponteselice sorsero le OMC Of cine Fiore per la riparazio-ne e l’allestimento di veicoli ferroviari. Sul nire degli anni Sessanta, il quadro produttivo

Caserta, Belvedere di San Leucio

8 Maggio 2018 Anno 3 - n. 5il poliedro Formazione

di Rosana De Lucia

Essere “mattone vivo per la costruzione del Regno di

Dio sulla terra” è la vocazione di ogni Cristiano. Ma chi è dav-vero consapevole degli aspet-ti peculiari di tale missione? Abbiamo ri ettuto insieme su questo argomento negli incon-tri con il Vescovo Giovanni che l’Uf cio Catechistico Diocesa-no ha proposto ai giovani cre-simandi della nostra Diocesi. Quasi ogni cristiano è stato cre-simato, ma solo pochi ri ettono sul signi cato profondo di que-sto avvenimento. Sarebbe im-portante porci serie domande al riguardo. Per esempio: que-sto Sacramento dice qualcosa alla mia persona e alla mia vita oppure potrei vivere ugualmen-te bene senza di esso? Come posso, ogni giorno, vivere la mia Cresima? E ancora: se la Cresima è il Sacramento del-la missione, qual è, allora, la mia? Ho davvero una missione da compiere in quanto adulto confermato nella fede, oppure mi è suf ciente attenermi alle “regolette del bravo Cristiano”? In un tempo in cui i sociologi parlano di «società dell’espe-rienza immediata», dove «Vivi più esperienze che puoi» è lo slogan preferito di molti, la Cre-sima dovrebbe essere intesa dalla Chiesa come l’occasione per introdurre i giovani nell’arte di vivere in modo veramente in-tenso, così da non avere biso-gno di ‘sballi’ sempre nuovi per riuscire a sentirsi vivi. Il termine tedesco che indica la Cresima, ‘Firmung’, deriva dal latino r-mare, che signi cava “raffor-zare”, “rendere capace”, “dare la capacità di stare diritto”. La Cresima vorrebbe forti care i giovani nel loro essere cristiani e trasmettere loro la capacità di mantenersi in piedi, perché imparino a reggersi da soli e trovino la loro base d’appoggio per vivere, in forza dello Spiri-to Santo, in un mondo spesso tendente ad equilibri incerti. E’, dunque, una trasformazio-ne radicale quella che avviene con la Cresima, che de nisce i lineamenti della propria iden-

La Cresima: il Sacramento della Responsabilità

tità e invita ad assumersi la responsabilità di sé stessi e della propria vita. L’infantilismo e il vittimismo del nostro tempo spingono al ri uto di assumer-si ogni tipo di responsabilità e a pensare che la colpa della propria infelicità risieda negli altri: è colpa dei genitori, degli insegnanti, della chiesa, della società... Ma se non riusciamo ad essere responsabili per noi stessi, come potremmo riuscir-ci verso gli altri? Con lo Spirito Santo ricevuto nella Cresima, sgorgano in noi nuove capaci-tà morali e spirituali: lo Spirito ci fa dei doni da impiegare a favore degli altri, proprio come fece Gesù. Ognuno, infatti, è chiamato a fare sulla terra qualcosa che può essere fat-to da lui soltanto. E allora ci chiediamo: Che cosa so fare bene? Qual è il mio carisma? Che cosa avrei voglia di fare, di cambiare, di smuovere? Sono chiamato a prendere in

di Carla Bassarello e Clemente Sparaco

La famiglia oggi non può, né deve, rinunciare ad essere luogo di sostegno, di accompagnamento e di guida. Ma deve rein-

ventare metodi e strategie educative. Nella nostra società postindustriale le comunità, sociali, religio-se, politiche, che un tempo alimentavano il senso di apparte-nenza e formavano le identità, si sono sgretolate. Sono venute meno così reti di protezione e rifugi sicuri. Parimenti si sono logorate e assottigliate le piccole comunità familiari, in cui ci si poteva ritrovare, cosicché bambini e adolescenti sono sempre più esposti e disarmati.Tuttavia, l’ossessione, che può essere la risposta più immediata all’ansia da spaesamento, non è educativa. Il progetto educativo non deve far leva sulla paura. Piuttosto deve puntare alla perso-na, “al centro della sua libertà” (AL 262), in quell’interiorità dove solo possono albergare prudenza, buon giudizio e buon senso. Per questo la responsabilità che i genitori hanno è grande. Essa inizia dall’essere autorevoli. Nella misura in cui i genitori sono degni di ducia, i gli avranno ducia nel mondo che li cir-conda, negli altri e, ancor prima, in se stessi. E’ questa “l’espe-rienza fondamentale educativa” (AL 263), la fonte da cui origina l’educazione della volontà.Quali metodi?I metodi devono essere attivi. Il glio deve arrivare a scoprire da sé l’importanza di valori, principi e norme. Si coltiva, infatti, la libertà, non la coazione o l’ipocrisia che ne deriva. “E’ indispen-sabile sensibilizzare il bambino e l’adolescente affinché si renda

Spigolando dall’Amoris LaetitiaLa responsabilità educativa

conto che le cattive azioni hanno delle conseguenze” (AL 268). La libertà chiama alla responsabilità. La responsabilità chiama al rispetto, che è funzione della capacità di mettersi nei panni degli altri. Per questo occorre “…orientare il bambino con fer-mezza a chiedere perdono e a riparare il danno causato agli altri...” (AL 268). In tal caso, la sanzione servirà ad educare alla ri essività e all’approfondimento morale. Nella famiglia “si impara il buon uso della libertà” (AL 274). La disciplina non deve essere, quindi, avvertita come mutilazione del desiderio, ma come stimolo ad andare oltre (AL 270). Pertanto, occorre evitare due estremi: “pretendere di costruire un mondo a misura dei desideri del fi-glio”, che, in tal caso, crescerà sentendosi “soggetto di diritti ma non di responsabilità”;“portarlo a vivere senza consapevolezza della sua dignità, della sua identità singolare e dei suoi diritti, torturato dai doveri e sot-tomesso a realizzare i desideri altrui” (AL 270).E’ un’educazione al saper aspettare che nasce da una pazien-te opera educativa e da una paziente ducia. Saper aspettaresigni ca apprendere ad essere padroni di se stessi, non sot-tomessi alla soddisfazione delle proprie necessità immediate, all’impulso del “tutto e subito” (AL 275). Signi ca ancora impa-rare il rispetto dei tempi degli altri. E’ qui che inizia l’educazione alla prossimità, in cui l’altra per-sona non è utilizzata come oggetto, per compensare carenze e grandi limiti (AL 283), ma diventa esperienza fondamentale per superare la chiusura nei propri limiti e nella propria solitudine, per aprirsi all’accettazione dell’altro (AL 285).

mano la mia vita e capire quali orizzonti dare al mio futuro, te-nendo ben presente i problemi del mondo per intervenire su di essi e contribuire a renderlo più umano e vivibile.È importante sapere che, se mi lascio guidare dallo Spirito, nella società e nel cosmo pos-so lasciare una traccia che può cambiare in modo permanente l’aspetto di questa società, at-traverso le mie scelte e il mio modo di vivere il rapporto con chi e cosa mi circonda. Vivere relazioni autentiche fatte di le-altà, giustizia, pace, misericor-dia, bontà, coraggio... Si, forse sarà solo una traccia, ma essa sortirà i suoi effetti.Non siamo stati solo “catapul-tati” in questo mondo, vi siamo stai inviati.E in quanto cristiani cresima-ti abbiamo un compito, una missione da svolgere: essere “mattone vivo per la costruzio-ne del Regno di Dio”.

Caserta, Mons. D’Alise con il gruppo dei cresimandi

9il poliedroMaggio 2018 Anno 3 - n. 5 Intervista

di Ornella Mincione

“Ho instaurato n da subito un rapporto molto forte

con la diocesi e con la comuni-tà casertana”. Mons. Giovanni D’Alise è vescovo di Caserta da quattro anni. L’anniver-sario, caduto il 18 maggio scorso, è stata occasione per il pastore di analizzare quan-to è cambiata la diocesi del capoluogo di Terra di Lavoro e quanto ancora è necessario fare perché la comunità che sta guidando possa diventare più forte, nel segno dell’amore in Cristo.

Come è iniziata la sua avventura episcopale nella diocesi casertana?

A quattro anni dall’ingresso di Mons. D’Alise a Caserta

«Nel segno dell’amore in Cristo»le e che assolutamente non dovevo tenere lontano l’amo-re e il rispetto verso questa diocesi. Anzi. Capì subito che era indispensabile parlar chiaro. Dovevo relazionar-mi con chiarezza ai fratelli, in modo diretto. Sono stato accolto dagli altri sacerdoti con estremo affetto: ho capito che mi aspettavano, che c’era un’attesa nei miei confronti. La prima comunità che conobbi fu quella dell’ospedale. Come ad Ariano scelsi la cappella del carcere, qui iniziai dall’azienda ospedaliera: ho iniziato dove si trovano i più bisognosi”.

Dopo quattro anni di lavoro in questa città, in questa diocesi, che idea ha di Ca-

coraggio di scendere in piaz-za. Bisogna aiutare loro ad aiutare la città”.

Quale deve essere la spinta perché queste persone che non sentono di avere forza e coraggio per mettersi in gioco possano decidere di fare altrimenti?“L’incontro con Cristo Gesù. E’ fondamentale instaurare un rapporto personale con Lui attraverso il Vangelo. Quello che sta crescendo adesso, in questo momento, è un forte individualismo, un’indifferen-za, un egoismo, che sono tutte frutto di questo mancato rapporto. Si sta diffondendo un ri uto dell’amore, un ri uto della vita e delle dif coltà che

“Ebbi un dialogo con il cardina-le Crescenzio Sepe; in tempi non sospetti mi chiese una mia opinione sulla diocesi di Ca-serta. Io, legato alla mia dioce-si di Ariano, non avevo un’o-pinione ben precisa perché non mi era successo di avere a che fare con questa dioce-si. Dunque, il mio animo era assolutamente disponibile e svincolato da ogni tipo di pre-giudizio nei confronti di questa comunità, con la certezza che il luogo più giusto per vivere è sempre quello dove Dio ti colloca, dove ti vuole”.

Come venne accolto dalla comunità e dagli altri sa-cerdoti. E quale fu la prima comunità da cui iniziò il suo lavoro?“Ebbi una bellissima acco-glienza e notai come Gesù venne a trovarmi attraverso tutti i fratelli che vennero qui a salutarmi. Sapevo che dovevo essere umile, che non dovevo fare alcun discorso ecclesia-

serta e della comunità che la vive?“Caserta vive una situazione che deve essere ricostruita. Più volte ho parlato di una Resurrezione di Caserta.Per capirne il senso, bisogna vedere questa città come una morente. Come può tornare alla vita una morente se c’è gente che non la sostiene e non l’aiuta? Spesso le istituzio-ni (e non mi sento di escludere anche la Chiesa, nel suo ruolo di istituzione) niscono di ucci-dere questa morente”.

In questi anni ha capito qua-le può essere la soluzione per ‘guarire’ questa morente città?“Deve nascere l’atteggiamentocivico. Quello vero, che per-mette alle persone di prendersi cura dei bisognosi. Ora ci vogliono persone che vogliono riportare in vita la propria città. Vedo che c’è qualcuno con idee possibili, ef caci. Questi, però, non hanno la forza e il

la caratterizzano, perché non si accetta l’amore di Cristo. Bisognerebbe capire che la vita è bella perché c’è la fatica di vivere. Qui c’è il senso della felicità”.

Tra i compiti della Chiesa c’è quello di indicare il giusto cammino ai fedeli, quello per cui Dio è la vita. Perché ora c’è tanta indifferenza tra le persone rispetto a questo messaggio?“La Chiesa attualmente è divisa. Una parte istituzio-nale e una parte formata dai credenti. Questa seconda parte è più piccola, ma ben radicata, meno visibile ma fa più rumore. L’altra parte, quella istituzionale, si fonda sull’organizzazione ed è simile ad un’associazione onlus. Io, come Papa Francesco, non sono d’accordo che questa parte organizzativa prenda il sopravvento sull’altra. Purtrop-po però, in questo momento, sta perdendo vigore la vita e si

sta rafforzando l’organizzazio-ne. L’indifferenza che esiste in una buona fetta della società contribuisce alla crescita dell’organizzazione ‘Chiesa’ e non alla parte più importante, quella più radicata nell’amore in Cristo. Questo con itto è evidente, per no al Papa. Il fatto è che adesso si vuole un cristianesimo di comodo, che non disturbi”.

Dopo aver stilato un bilan-cio degli ultimi quattro anni di questa città, qual è il

bilancio degli ultimi quattro anni della sua prima co-munità visitata a Caserta, l’ospedale?“Sto guardando l’ospedale che fa continuamente sforzi per alzarsi di nuovo in piedi. Qualcuno dovrebbe porgere le proprie mani ad aiutarlo. Questi quattro anni sono stati dif cilissimi per l’azienda ospedaliera. Il rispetto della legalità e di tutti quelli che lavorano per essa, però, è una grande risorsa. Dovrebbe essere colta e valorizzata”.

Caserta, Mons. D’Alise e il Card. Sepe

Caserta, Mons. D’Alise e Papa Francesco

I Vescovi della Campania

Caserta, ingresso di Mons. D’Alise (18 maggio 2014)

10 Maggio 2018 Anno 3 - n. 5il poliedro Comunicazione

La verità ci fa liberi. Con-trastare le notizie false.

Giornalismo di pace. Ingre-dienti della Giornata delle co-municazioni sociali celebrata il 13 maggio scorso. E oggi? Come essere liberi e veri? Come riconoscere, difendersi, smontare, prevenire la falsità? Come scrivere e raccontare storie di pace?Il dif cile sta sempre lì, sul come. Equilibro tra teoria e prassi, parola e azione. Anda-ta e ritorno dalla pratica alla ri essione e dalla ri essione nuovamente alla pratica. Gior-

Comunicazioni sociali:ritrovare la potenzaevocativa della parola

Implica, dunque, una relazio-ne molto forte con il pensiero e la realtà, anche se non ne esaurisce le potenzialità, in quanto entrambi sono ecce-denti. Nell’atto della comuni-cazione siamo soggetti attivi, creiamo signi cati. Il processo comunicativo è dinamico, in-terattivo e comporta continui riferimenti al contesto. Un ac-cordo sui segni che vengono signi cati.Apprendere l’arte del narrare. In un tempo di disintermedia-zione dove le narrazioni si in-crociano, moltiplicando i punti

nalismo, mi hanno insegnato, è scrivere ogni giorno la storia degli uomini e delle donne. Io ripartirei dall’educarci e dall’e-ducare a:Ridare senso alla parola e alle parole che scriviamo e dicia-mo in ogni ambiente di vita e contesto di comunicazione. Il nostro è un agire comunicati-vo che crea comunione, parte-cipazione, dialogo.Il rapporto di signi cazione che la lingua innesca espri-me emozioni, trasmette cono-scenze e rispecchia visioni e interpretazioni del mondo.

di vista e i racconti; di pratiche di consumo mediale che di-ventano pubbliche e condivise è urgente recuperare l’autoria-lità e l’autorevolezza, la gram-matica e la sintassi del narra-re. Il destino delle parole vere è quello di mettere in viaggio chi le ascolta o le legge. La parola rinvia a un incontro, a una presenza, al dialogo.Rimettere la realtà al centro, non perdere di vista l’umano, allenarsi a uno sguardo posi-tivo perché ci sia qualcosa di vero che copra il falso, il ne-gativo.

Servire e farsi voce nella re-sponsabilità e nella verità. Ri-appropriarci dei valori vecchi quanto il giornalismo: unicità e servizio al pubblico. La comu-nicazione è generativa perché approccio creativo e critico alla produzione di contenuti; perché coinvolge, pone do-mande, scova risposte e fonti, denuncia omologazioni, rifug-ge la banalità e la mediocrità, diventa polis, bene comune. Scrivere, parlare e postare online devono essere qualco-sa di responsabile, di serio e di importante.

Ryszard Kapu ci ski interro-gato sui requisiti di un buon giornalista indicò, tra gli altri, curiosità del mondo, cono-scenza delle lingue, capacità di viaggiare, apertura verso genti e culture diverse, pas-sione e, soprattutto, capacità di pensare.Diventare cittadini. È un “com-pito a casa” per tutti. Non solo per i professionisti della co-municazione, per i giornalisti. Come Papa Francesco ha più volte sottolineato nel suo Mes-saggio: “Nessuno di noi può esonerarsi dalla responsabi-

lità di contrastare queste fal-sità”. C’è campo per tutti: per piccoli e grandi che videogio-cano, costruiscono pro li nei social, postano e condividono, taggano e rendono virali foto, video, documenti… Essere re-sponsabili di quanto si fa den-tro e fuori la Rete signi ca as-sumersi le conseguenze degli spazi in cui viviamo e diventar-ne parte, cittadini e cittadine.

Mettersi in gioco impegna, ma ritrovare la potenza evocativa della parola ci fa riscoprire la relazione dei volti e il signi ca-to dei vissuti e delle azioni. Sia che siamo adulti, sia che sia-mo ragazzi, bambini. Provare per credere, giorno dopo gior-no. Pole pole, come dice un detto africano… piano piano, a piccoli passi.

(fonte: Agenzia SIR)

«La dif coltà a svelare e a sra-dicare le fake news è dovuta anche al fatto che le persone interagiscono spesso all’in-terno di ambienti digitali omo-genei e impermeabili a pro-spettive e opinioni divergenti.

«La verità vi farà liberi (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace»

L’esito di questa logica della disinformazione è che, anzi-ché avere un sano confronto con altre fonti di informazione, la qual cosa potrebbe mettere positivamente in discussione i pregiudizi e aprire a un dia-

logo costruttivo, si rischia di diventare involontari attori nel diffondere opinioni faziose e infondate. Il dramma della disinformazione è lo scredi-tamento dell’altro, la sua rap-presentazione come nemico, no a una demonizzazione che può fomentare con itti. Le notizie false rivelano così la presenza di atteggiamenti al tempo stesso intolleran-ti e ipersensibili, con il solo esito che l’arroganza e l’odio rischiano di dilagare. A ciò

conduce, in ultima analisi, la falsità. Come possiamo rico-noscerle?Nessuno di noi può esonerar-si dalla responsabilità di con-trastare queste falsità. Non è impresa facile, perché la di-sinformazione si basa spesso su discorsi variegati, voluta-mente evasivi e sottilmente in-gannevoli, e si avvale talvolta di meccanismi raf nati. Sono perciò lodevoli le iniziative educative che permettono di apprendere come leggere e

valutare il contesto comuni-cativo, insegnando a non es-sere divulgatori inconsapevoli di disinformazione, ma attori del suo svelamento. Sono al-trettanto lodevoli le iniziative istituzionali e giuridiche impe-gnate nel de nire normative volte ad arginare il fenomeno, come anche quelle, intraprese dalle tech e media company, atte a de nire nuovi criteri per la veri ca delle identità perso-nali che si nascondono dietro ai milioni di pro li digitali».

Dal Messaggio di Papa Francesco per la 52ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

11il poliedroMaggio 2018 Anno 3 - n. 5 Informazione

di Maria Rocereto

Consegnato nella Biblioteca del Seminario Vescovile di Caser-

ta il Premio Buone Notizie Scuola/Giovani - Targa Angelo Ferro. L’ini-ziativa rientra nella decima edizio-ne del premio giornalistico nazio-nale «Buone Notizie» e ha visto la premiazione di un video reportage sul tema “Inchiesta: la mia comu-nità, tra buone pratiche e cattive abitudini”. La cerimonia si è tenuta al termine di un dibattito, dedicato al libro “Meno Male” di Gian Gia-como Schiavi, appena uscito in libreria e ispirato al Premio Buo-ne Notizie di Caserta. All’incontro intitolato “Le buone notizie e le fake news” hanno partecipato lo stesso Schiavi, editorialista del Corriere della Sera; e Silvia Vaccarezza del Tg2.«Lavorare nelle scuole e nelle Uni-versità per la buona informazio-ne - ha detto il vescovo di Caser-ta, monsignor Giovanni D’Alise ai giornalisti presenti - è un impegno urgente per far crescere una nuo-va generazione di cittadini consa-pevoli di fronte alle storture della società».Il Premio Buone Notizie Scuola/Gio-vani-Targa Angelo Ferro, è la prima edizione ordinaria della sezione Gio-vani del Premio di giornalismo Buo-ne Notizie e punta a diventare la più grande manifestazione del genere in Italia. E’ intitolato all’imprenditore padovano Angelo Ferro, già vincito-re della «Buona Notizia» nel 2015, fondatore del laboratorio di coesione sociale «Civitas Vitae» di Padova, presieduto da Andrea Cavagnis e rappresentato, per l’occasione, a Caserta, da Guido Masnata.

Mons. D’Alise: “Lavorare nelle scuole e nelleUniversità per la buona informazione”

Premio Buone Notizie Scuola/Giovani-Targa Angelo Ferro

di M.C.

Ruben, un onesto lavoratore di campagna, uomo simbolo per il cuore di Ernesto Pel-

legrini, ex presidente dell’Inter, imprenditore di successo che intitola con questo nome il primo ristorante solidale d’Italia, nel cuore di Milano. Una lettera scritta da un bimbo all’allora presi-dente della Rai Anna Maria Tarantola: chiede insistente un tg per soli bambini, che parli unicamente di buone notizie e nasce “Tutto il bello che c’è” su Rai Due. E ancora, Hicham, il musulmano con il cuore di un Cristiano. “Il Bullone” un’associazione con tanto di gior-nale, dedicata ai giovani malati di cancro. La missione? Mettere sulla carta le speranze per ricominciare. Sono solo alcune delle più belle notizie di cui si è parlato in dieci anni - sin da quel giorno di un freddo gennaio 2008 - quan-do il Premio Buone Notizie era all’inizio di una lunga carrellata di storie positive. La cronaca nera iniziava a sciogliersi in colori meraviglio-si, grazie alle idee e al coraggio di testimoni della comunicazione di tutta Italia che hanno contribuito anno dopo anno a mettere in risal-to che c’è tanto di buono di cui parlare nella società e che anche il Bene fa notizia. Alcune fra le più belle sono raccontate nel libro di Gian Giacomo Schiavi, “Meno male”, edito da Sperling & Kupfer ed ispirato proprio al Premio Buone Notizie Civitas Casertana. Il volume è stato presentato a metà mese, sabato 12, nella Biblioteca del Seminario Vescovile di Caserta, teatro da 10 anni a questa parte della premiazione. Il volume di Schiavi racconta non solo le storie positive passate per Caserta, ma anche le tante altre che l’ex vice direttore del Corriere della Sera ha incontrato nella sua carriera. E soprattutto la rivoluzione nei media partita da Terra di Lavoro grazie al Premio Buone Notizie. Al Corriere della Sera - scrive Schiavi nel libro - avevano le pagine bianche da riempire con un nuovo modo di fare comu-nicazione prima che scoprissero la rivoluzione delle Buone Notizie. Il Premio ideato da Luigi Ferraiuolo e organizzato insieme con Michele De Simone, colonna del giornalismo caserta-no; e con la Diocesi, ha volato sugli oceani e ora è arrivato anche negli Stati Uniti. Con la benedizione di Francesco e anche dell’attuale Vescovo di Caserta, monsignor Giovanni D’A-lise. Il Premio e la sua rivoluzione è tutt’uno con il cammino all’avanguardia della Diocesi nei media, n dall’inizio.

Gian Giacomo Schiavi Meno maleSperling & Kupfer«Il nostro lavoro nelle scuole e nel-

le università, con i giovani - spiega-no Michele De Simone e Luigi Fer-raiuolo, organizzatori del Premio - nasce dalla considerazione nata dal premio Buone Notizie, che non si può fare buona informazione se i lettori e gli spettatori non sono con-sapevoli e critici. Lo stesso vale per educare le persone a leggere. Ri-teniamo perciò fondamentale con-tinuare a lavorare in questo settore e a farlo crescere».I premi sono stati assegnati per la sezione elementari all’istituto Fer-rante Aporti di Roma con il repor-tage “Ziggy save the planet”. Per la sezione medie alla scuola De Ami-cis di Enna con “Appesi al muro – Hanging on the wall”.Vincitore per le Scuole superiori è stato “Una famiglia sempre aperta ai bisognosi”, del Liceo Scienti co dell’Istituto Salesiano Sacro Cuore di Napoli – Vomero. Per le Univer-

sità la vittoria è andata all’Ateneo di Roma Tre – Corso Dams con “Ter-mini”. Menzioni d’onore a “Terrible Kids”, Laboratorio Kinetta spazio Labus per ragazzi di Benevento; “Il nostro no”, Scuola primaria di Ma-cerata Campania (Caserta); “Dalla Lorenzini nuove speranze per il futuro”, Scuola primaria Lorenzini, Caserta.La giuria del Premio era presiedu-ta da Silvia Vaccarezza del Tg2 è composta da Cristina Pepe, Gian-rolando Scaringi, Margherita Lanna ed Angela Cuccaro. Tra i sosteni-tori del Premio, erano presenti il sindaco di Caserta Carlo Marino, il presidente di Con ndustria Ca-serta Gian Luigi Traettino, l’avvo-cato Gian Paolo Iaselli, il presiden-te dell’Ordine dei giornalisti della Campania, Ottavio Lucarelli; e il presidente del Sindacato unitario dei giornalisti della Campania, Ar-mando Borriello.

Caserta, Biblioteca Diocesana: da sx M. De Simone, G.G. Schiavi,Mons. D’Alise, S. Vaccarezza e L. Ferraiuolo

Caserta, Biblioteca Diocesana: foto della manifestazione

RECE

NSIO

NE/Li

bro

12 Maggio 2018 Anno 3 - n. 5il poliedro Vita diocesana

di Angela Santonastaso

Sogni al cielo, cuori in ascol-to e un tappeto di pallonci-

ni in aria hanno colorato il cielo di Caserta, domenica 6 mag-gio in piazza Ruggiero a con-clusione della festa “Dammi un cuore che ascolta”. L’iniziativa è stata organizzata dai giovani dell’equipe di Pastorale giova-nile e vocazionale della Dioce-si di Caserta, coadiuvati dai ri-spettivi direttori, don Gennaro D’Antò e don Gianmichele Ma-rotta, e dall’eccellenza del tea-tro casertano della Fabbrica di Wojtyla, diretta da Patrizio Ciu, con il patrocinio del Comune di Caserta.Una serata diversa, dove gio-ia e divertimento si fondevano perfettamente in sguardi, ab-bracci improvvisi; dove il teatro e la musica hanno fatto emo-zionare e ballare rivoluzionan-do una piazza divenuta angolo di ritrovo di giovani e adulti, ri-uscendo a trasmettere il mes-saggio concreto di una chiesa bella che ha voglia di uscire e farsi conoscere per eliminare ogni pregiudizio. La chiesa è casa, è bellezza, è sinodo.Ogni angolo della piazza è sta-to trasformato in un luogo dove ognuno poteva trovare la pro-pria dimensione: è stato cre-ato uno spazio dedicato alle interviste che i giovani hanno rilasciato liberamente coinvolti dall’atmosfera di amicizia che si respirava; uno spazio par-ticolare è stato l’angolo degli sguardi ovvero, dei tavolini po-sti al centro della piazza dove si poteva sostare e guardarsi per riscoprirsi senza mai par-lare. E ancora, dei laboratori alternativi fatti su tappeti posi-zionati alle spalle del palco. Su ciascun tappeto, i giornalisti Alessia Aulicino, Roberto Della Rocca, Marco Lugni e Gianro-lando Scaringi hanno ascoltato i giovani lì presenti affrontando diverse tematiche: dall’amore affettivo a quello della propria terra, dalla responsabilità di compiere le proprie scelte alla cura dell’altro.Al centro della scena, l’incon-tro intervista con il Vescovo di Caserta, monsignor Giovanni D’Alise, a cura di Luigi Ferra-iuolo, giornalista di TV2000, che ha coinvolto sul palco gli stessi giovani che avevano la-vorato nei laboratori in piazza e per le strade di Caserta, uti-lizzando le idee dei ragazzi per il dibattito. Il Vescovo si è mes-so in gioco rispondendo alle domande poste, indirizzando ed incoraggiando i giovani presenti trasmettendo il senso vero di Chiesa: “Non c’è biso-gno di camminare per le strade del centro- spiega- se poi non

Verso il Sinodo dei giovani“La chiesa è casa, è bellezza, è sinodo”

si opera nel giusto”. Ha poi chiamato sul palco i due diret-tori della pastorale e, in veste di giornalista, ha intervistato loro per parlare del sinodo e del lavoro che da settembre la Diocesi sta organizzando per i giovani: incontri, foraniali, in-terviste nelle scuole, proposte estive ed in ne il sinodo dioce-sano sui giovani che si terrà ad ottobre. Insomma, sempre più

iniziative af nché tutti si senta-no protagonisti.“Il senso della serata - hanno spiegato don Gennaro e don Gianmichele - è stato proprio quello di mettersi in ascolto dei giovani, esaudendo il de-siderio dei ragazzi di stare in-sieme, di parlarsi, di guardarsi negli occhi. Il sinodo sta dando tale opportunità a tutti, anche ai non credenti e noi ci stiamo

impegnando ad accoglierla”.Scendere in piazza, ha signi- cato proprio scuotere la co-scienza di tutti, portare avanti un impegno che il Papa ha dato a ciascuna Diocesi. Una scelta coraggiosa, che ha dato i suoi frutti: tutti hanno potuto esprimersi nel miglior modo, senza preoccuparsi di essere giudicati.E in ne la croce portata dai

giovani della Pastorale giova-nile e vocazione ha racchiuso l’unicità della festa. Improv-visamente silenzio. Una pre-ghiera corale interpretata dai giovani attori della fabbrica di Wojtyla. La benedizione del Vescovo. E i sogni e le emo-zioni af date a Lui per una se-rata a ritmo d’amore e di gioia, che è rimasta viva in ognuno di loro.

In occasione del 56mo anniversario del transito del Venerabi-le Servo di Dio Giacomo Gaglione, il Vescovo Mons. Giovanni D’Alise presiederà una solenne Concelebrazione Eucaristica lunedì 28 maggio alle ore 18.00 presso la Chiesa di S.An-drea Apostolo in Capodrise, dove sono conservate le spoglie mortali di Giacomino. A tale appuntamento sono invitati tutti i fedeli che desiderano ringraziare il Signore per la Sua vita carismatica e chiederne il dono della Beati cazione. Sabato 2 giugno alle ore 20.00 sempre a Capodrise ci sarà una Veglia per i giovani in cammino verso il Sinodo dal tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale nell’esperienza di Gia-como Gaglione”, che si concluderà con un adorazione euca-ristica sotto le stelle.

APPUNTAMENTO

Caserta, foto della manifestazione

13il poliedroMaggio 2018 Anno 3 - n. 5 Liturgia

di Elio Catarcio

Il termine parusia è adopera-to nell’ellenismo come paro-

la d’azione: indica la venuta,la visita, il ritorno, il rendersipresente di una persona desi-derata. Nel Giudaismo richia-ma il giorno di Jahwè, la sua presenza nella vita del popolo mediante un profeta, un re (Is2,12; 13,6-10). Nel N.T. il ter-mine è riferito al giorno del Si-gnore, al giorno del suo ritorno alla fine dei tempi. Nelle Lette-re paoline viene ricordato di-

“…ritornerò e vi prenderò con me, perchésiate anche voi dove sono io” (Gv 14,3)

La Parusia, il giorno del ritorno del Signore

gli sforzi fatti per incontrare gli altri nella solidarietà e nell’a-iuto fraterno. Allora capiranno pienamente che proprio quegli atti di amore hanno fatto loro sperimentare la presenza di Dio nella loro vita e meritare la partecipazione alla sua vita di-vina. Al contrario, quanti avran-no fatto la scelta di vivere nel segno dell’egoismo e del ri uto delle proposte di amore di Dio si renderanno conto che quelle scelte da loro operate costitui-ranno delle forze vettoriali cen-trifughe che li porteranno fuori

da dirsi; qualche giorno prima, infatti, Egli aveva rivelato loro, con il terzo annuncio della sua Passione, che “i capi del po-polo e gli anziani lo avrebbero condannato, flagellato, appeso alla croce” (Mc 10,34). Mentreparla con loro, però, d’improv-viso Gesù stacca bruscamente i quattro apostoli, ancora scos-si per quell’annuncio, dalla sua vicenda personale per proiet-tarli verso quanto essi perso-nalmente avrebbero vissuto fra non molto tempo: “…badate bene, quando comincerete ad annunciare il Vangelo… anche voi sarete consegnati al Sine-drio… vi porteranno davanti ai governanti… sarete odiati da tutti a causa del mio nome…” (13,9-13). Gesù predice loro con parole dure le sofferenze a cui sarebbero andati incontro loro stessi e tutte le comunità cristiane nascenti nell’area del Mediterraneo ed in Oriente. Come Gesù mentre era in vita, sotto il tiro dei capi del popo-lo, ancora di più, ora, Marco appressandosi a scrivere il suo Vangelo tra il 60-65 d.C.. L’Evangelista si era reso con-to della feroce determinazione degli Zeloti che aizzavano il popolo, in tutte le città ed i vil-laggi, a prendere le armi contro Roma - come poi avverrà con la prima rivolta giudaica (66-74 d.C.) - per combattere una guerra scellerata che avrebbe portato alla distruzione di Ge-rusalemme e del Tempio e ad un bagno di sangue in ogni an-golo della Giudea. Marco, per primo, preso da questi pensieri terri canti, si sforza di infon-dere coraggio ai propri fratelli esortandoli ad aver fede nelle parole del Signore e ad atten-dere il suo ritorno che Egli stesso aveva un giorno pro-messo mentre era in vita: “Ar-riveranno giorni in cui ci sarà una tribolazione quale non c’era mai stata dall’inizio della creazione no al presente… Ci saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle… vedranno

Noi professiamo nel credo: “Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà…”. Martin Hei-degger, nell’Introduzione alla filosofia della religio-ne, scrive nel 1920 che la speranza e l’attesa della vita eterna è proposta e strutturata nella religione cristiana come in nes-sun altra religione. E poi aggiunge che tale convin-zione egli l’aveva derivata dalla Prima Lettera ai Tessalonicesi dell’Apostolo Paolo. Il Filosofo, seguen-do l’Apostolo, distingue due categorie di persone: quelli che attendono, cioè quanti vivono per af dare se stessi alla ne della loro vita al Signore che verrà e quelli che non attendo-no, cioè quanti vivono nel segno del carpe diem, nel segno del cogliere l’attimo. Alla ri essione di Heideg-ger possiamo aggiungere

Attendere la venuta del Signore significa attendere la vita eterna

le parole del salmo 90: “Insegnaci a contare bene i nostri giorni, per acquistare un cuore saggio. Ritorna, Signore, vienici incontro ogni giorno. Riempici della tua grazia. Rendi stabile l’opera delle nostre mani; sì, l’opera delle nostre mani rendila stabile”. Il tempo eterno di Dio che non ci ap-partiene può essere intuito solo nella comunione con Lui ed è questa intuizione che presta un carattere di stabilità a ciò che siamo e a ciò che facciamo. Questa stabilità può essere soltanto invocata in preghiera, come fa l’orante del salmo 90, non è a nostra disposizione, non è in nostro potere. La stabilità può essere spera-ta ed anche sperimentata nei tempi speciali che Dio per grazia ci concede in vita e può essere definitiva soltanto nell’incontro con il Signore alla ne dei tempi.

ciassette volte: tre volte (1 Cor1,7; Fil 1,23; 3,20; Rm 8,19-25)indica non solo il ritorno del Signore nell’ultimo giorno, maanche attenderlo, accoglierlo con gioia nella propria vita. Al-tre tre volte, invece, l’Apostolo usa il termine parusia per in-dicare la manifestazione ultima del Cristo quando verrà alla ne dei tempi per suggellare la sua vittoria sulla morte, risu-scitando i corpi e presentando gli eletti al Padre (1 Tess 4,14-17; 1 Cor 15,22-28 e 50-57). In questa sua ultima apparizione,secondo il Vangelo di Matteo,opererà con giustizia e miseri-cordia una netta divisione tra Bene e Male, tra Buoni e Catti-vi, separando quelli che si sal-veranno da quelli che saranno condannati (Mt 25,31-46). In quel giorno ognuno nella Divi-na Sapienza sarà in grado di distinguere le cose della sua vita vissute nel segno dell’amo-re e quelle vissute nel segno dell’egoismo. In una visione d’insieme gli eletti rivedrannotutte quelle azioni che li hanno portati a sperimentare l’amore umano autentico e rivivranno

dall’amore divino per l’eternità.Oltre che dall’Apostolo Paoloe dall’Evangelista Matteo altri riferimenti sul giorno del ritorno del Signore li traiamo dal Van-gelo di Marco, il Vangelo che ci viene proclamato nel Tempo liturgico festivo di quest’anno. Le ultime settimane del Tempo ordinario che vivremo nel do-po-Pentecoste porranno una serie di interrogativi circa il ri-torno del Signore e gli eventipremonitori della sua seconda venuta. I versetti che ci riguar-deranno sono raccolti quasi tutti nel cap. 13 di tale Vange-lo. Il v. 1 presenta Gesù che, mentre esce dal Tempio, ad un discepolo che gli fa osservare la maestosità e la magni cen-za delle opere architettoniche che sono sotto il loro sguardo, risponde: “Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra che non sia di-strutta” (v. 2). Sedutosi poi su un muricciolo del monte de-gli Ulivi, di fronte al Tempio, insieme a Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea, si pone a conversare con denzialmente con loro. Avevano molte cose

il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e glo-ria. Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra no all’estremità del cielo”. (13, 14-25). Davanti a tali previsioni solo nell’attesa duciosa del ri-torno del Signore si poteva spe-

rare di avere salvezza, come, del resto, già si pregava nella liturgia del primo secolo: Ma-ranatah, vieni o Signore Gesù, manifesta la tua gloria e la tua potenza in favore della tua Chiesa; vieni a ricongiungerci a te nella tua gloria (1 Cor 16,22; Ap 22,20; Didachè 10,5).Sopra e in basso: Ventaroli - Carinola, Basilica di Santa Maria ad

Forum Claudii

Basilica di S. Angelo in Formis, Giudizio universale

14 Maggio 2018 Anno 3 - n. 5il poliedro Sovvenire

di Antimo Castiello

Nell’anno 2017, ventiquat-tro sono state le par-

rocchie che hanno chiesto all’Uf cio diocesano di prov-vedere agli incontri di forma-zione sulla sensibilizzazione della tematica 8x1000. Per il 2018 si registra un incremen-to sia a livello nazionale che diocesano. Comunione, cor-responsabilità, partecipazione dei fedeli, perequazione, soli-darietà, trasparenza e libertà: sono alcuni dei pilastri su cui si fonda il sostegno economi-co alla Chiesa scaturito dalla revisione concordataria del

Con l’espressione “otto per mille” che cosa si intende? La legge 222/85 ha stabilito che una percentuale del gettito complessivo dell’Irpef, pari appunto all’otto per mille, sia de-stinata per scopi sociali, umanitari, religiosi, caritativi e cul-turali. Ogni contribuente può scegliere di destinare l’otto per mille alla Chiesa Cattolica, allo Stato, o ad altre confessioni religiose.

In quale periodo dell’anno è possibile aiutare la Chiesa Cattolica scegliendo di destinarle l’otto per mille? Al mo-mento della dichiarazione dei redditi.

Chi può destinare l’otto per mille alla Chiesa Cattolica? Tutti i contribuenti che hanno l’obbligo di presentare il mo-dello Unico o il 730 o che hanno ricevuto il modello CU ex CUD (che hanno percepito solo redditi di pensione, di lavoro dipendente o assimilati e sono esonerati dalla presentazione della dichiarazione dei redditi).

Firmando per destinare l’otto per mille si paga una tassa in più? No. Infatti con la rma si esprime solo una preferenza per far destinare l’otto per mille del gettito complessivo dell’Ir-pef già versato da tutti i contribuenti.

Per quanti e quali scopi la Chiesa Cattolica deve impiega-re i fondi provenienti dall’otto per mille? La legge 222/85 prevede, per la Chiesa Cattolica, tre scopi: esigenze di culto e di pastorale, interventi di carità in Italia e nel Terzo Mondo, sostentamento del clero diocesano.

(A cura dell’Uf cio diocesano Promozione Sovvenire)

L’attività dell’Uf cio diocesanoPromozione Sovvenire

GUIDA ALL’8X1000

1984. Sono valori che rendono più ricca spiritualmente l’inte-ra comunità. La formazione riguarda il sostegno economi-co della Chiesa in Italia. Nello speci co il sistema dell’8xmille, le Offerte per il sostentamento dei sacerdoti e i dati aggiornati, nazionali e diocesani, ad essi riferiti; i valori del Sovvenire, la conoscenza delle opere della Chiesa locale e tutto quanto possa contribuire a migliorare la conoscenza trasparente del settore della gestione dei beni della Chiesa che è in Italia. L’incontro formativo tenuto da un Incaricato diocesano, può essere organizzato ad hoc op-

pure inserito nel programma di altro già esistente come mani-festazioni, sagre, incontri. Per aiutare nella costruzione del programma dell’incontro for-mativo, è stato predisposto un format che prevede le cose più importanti da comunicare al pubblico. L’incontro formativo si può organizzare in qualsia-si periodo dell’anno. Ad ogni modo, tutti gli incontri formativi realizzati dal 1 giugno 2017 al 31 maggio 2018 danno diritto a partecipare all’edizione del concorso Tuttixtutti 2018 di cui ampliamente è stata data diffu-sione su questa rivista dioce-sana. L’obiettivo di tale incontri di formazione è di stimolare la Diocesi e le parrocchie a pro-muovere i valori e gli strumenti del sostegno economico alla Chiesa (Sovvenire) fra i fedeli.

Alcuni incontri di formazioni dell’Uffi cio diocesano Promozioni Sovvenire nelle Parrocchie

15il poliedroMaggio 2018 Anno 3 - n. 5 8xmille

di Elpidio Pellino

Un grazie di cuore a tutti i fedeli della Diocesi di Caserta, che hanno devoluto,

con la loro rma sul modello 730, la quota relativa all’8x1000 del gettito IRPEF alla Chiesa Cattolica. La quota assegnata alla nostra Diocesi, per l’anno 2017, è stata di €1.059.460,24 così suddivisa: - per le attività di Culto e Pastorale €497.188,72- per gli interventi caritativi € 562.271,52Per le attività di Culto e Pastorale sisono nanziati i lavori per la messa in sicurezza della struttura del Seminario e i locali dell’Archivio Storico Diocesano; la formazione degli operatori liturgici; la sistemazione e decoro per arredi sacri in Cattedrale; la realizzazione del Convegno Diocesano sulla Famiglia; il nanziamento del progetto Policoro (avviamento al lavoro dei giovani); il sostegno a tutti gli uf ci di Curia per il buon funzionamento della Diocesi; il sostegno all’Istituto Scienze Religiose; la formazione del Clero e dei diaconi permanenti; il sostegno al Seminario per la formazione dei nuovi sacerdoti; il sostegno ai mezzi di comunicazione come il mensile diocesano il Poliedro; il sostegno alla ristrutturazione della casa canonica di S. Maria Assunta in Castelmorrone; il contributo all’ANSPI per gli oratori e all’Azione Cattolica.Per gli interventi caritativi si è sostenuto le attività della Caritas diocesana a favore di famiglie bisognose; il sostegno alle Parrocchie della nostra diocesi, per carità a persone e famiglie bisognose; il sostegno alla Tenda di Abramo per l’accoglienza e la dignità degli extracomunitari; il sostegno alle Suore Orsoline che tanto bene fanno alle ragazze madri e più volte vittime della delinquenza di strada; il sostegno ai centri per la tossicodipendenza; il sostegno al Banco delle opere di carità e alla confraternita della Misericordia per persone indigenti; il sostegno al progetto delle suore di S. Carlo Lwanga per bambini senza genitori e in estrema necessita presso il loro paese, in Angola. Sono tutte attività che, grazie al generoso gesto dei fedeli casertani, si son potute realizzare.Il dettaglio delle erogazioni si può consultare sul sito della Diocesi di Caserta.Uno dei cinque precetti della Chiesa, secondo il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, è quello di sovvenire alle necessità materiali della Chiesa secondo le proprie necessità. Apporre la rma sul modello 730 è un gesto per rispondere alla chiamata di tutti i credenti al servizio della Chiesa e dei fratelli.Grazie ancora di cuore a tutti i fedeli, per l’appartenenza dimostrata alla Chiesa Cattolica.

*Economo della Diocesi

Grazie aifedeli dellaDiocesi diCaserta

2018Agenda del Vescovo Giugno 1 giugno 2018ore 10:00-13:00 - Curia Vescovile: il Vescovo riceve in udienza i signori laiciOre 17:00 - Scuola Nazionale dell’Amministrazione di Caserta: il Vescovo partecipa al Seminario “Il dono del Carisma Divino” organizza-to dalla Chiesa Taoista d’Italia

2 giugno 2018ore 19:00 - Parrocchia “Santa maria della Pietà” in San Nicola la Strada: Sante Cresime

4 - 5 giugno 2018Mugnano del Cardinale: il Vescovo partecipa all’assemblea della C.E.C.

6 giugno 2018ore 19:00 - Parrocchia “Buon Pa-store” di Caserta: Sante Cresime - I turno

7 giugno 2018ore 19:00 - Parrocchia “Buon Pasto-re” di Caserta: Sante Cresime - II turno

8 giugno 2018ore 10:00-13:00 - Curia Vescovile: il Vescovo riceve in udienza i signori laiciOre 18:30 - Parrocchia “Santa Maria degli Angeli” in San Nicola la Strada: Sante Cresime

10 giugno 2018Celebrazione Eucaristica per i parte-cipanti al campo estivo di A.C.

11 giugno 2018ore 18:30 - Parrocchia “San Bartolo-meo” in Caserta: Sante Cresime

12 giugno 2018Abbazia di Casamari: Giornata di santi cazione del Clero di Capua e Caserta

13 giugno 2018ore 18:30 - Parrocchia “S. Antonio di Padova” in Caserta: Celebrazione Eucaristica

14 giugno 2018ore 18:30 - Parrocchia “San Vincen-zo Martire” in Briano (CE): Sante Cresime

15 - 17 giugno 2018Mugnano del Cardinale: il Vescovo presiede gli Esercizi Spirituali per i diaconi permanenti

20 giugno 2018ore 19:00 - Parrocchia “Santa Maria Madre della Chiesa”: Sante Cresime - I turno

21 giugno 2018ore 18:30 - Parrocchia “Maria SS.ma Immacolata” in Maddaloni (CE): Sante Cresime

22 giugno 2018ore 19:00 - Parrocchia “Santa Maria Madre della Chiesa”: Sante Cresime - II turno

23 giugno 2018ore 19:00 - Parrocchia “SS. Nome di Maria” in Puccianiello (CE): Sante Cresime

24 giugno 2018ore 19:00 - Cattedrale: Celebrazione Eucaristica

25 giugno 2018Giornata Pro Episcopo

26 giugno 2018ore 18:00 - “Fondazione Ferrara” in Maddaloni (CE): Celebrazione Euca-ristica

27 giugno 2018ore 19:00 - Parrocchia “Santa Mar-gherita” in Maddaloni (CE): Sante Cresime

29 giugno 2018ore 19:00 - Parrocchia “San Pietro” in Aldifreda di Caserta: celebrazione Eucaristica

30 giugno 2018ore 19:30 - Parrocchia “San Clemen-te Papa” in San Clemente (CE): San-te Cresime

Periodico della Diocesi di Caserta

Reg. Trib.S. Maria C.V.n. 839, 28/09/2015

Iscritto a

Direttore ResponsabileLuigi Nunziante

Direzione - RedazioneAmministrazioneCaserta, Piazza Duomo, 11Tel. e Fax 0823 448014 (int. 70)e-mail: [email protected]

EditriceDiocesi di Caserta

StampaDepigraf s.n.c.Caserta, Via Cifarelli, 14

Si ringrazia per la realizzazionedi questo numero:Mons. Giovanni D’AliseAngelo AgrippaCarla BassarelloPaola BroccoliAntimo CastielloElio CatarcioRosanna De LuciaRaffaello MagiOrnella MincioneFederico PaoliniElpidio PellinoGian Maria PiccinelliMaria RoceretoAngela SantonastasoClemente SparacoCarmine Ventrone

Si ringrazia per le foto:Gianfranco CarozzaLuciano FrattariNicolina LeonePietro Natale