La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci - ilgibbo.it · scuola dei cadaveri, 1938; e in specie...

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ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA AL CORSO La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci 2 settembre 2018 www.ilgibbo.it CHIESA E POVERI, UN AMORE LUNGO E PROBLEMATICO (A. M. FANUCCI, PRO MANUSCRIPTO. LEZIONI ALLA LUMSA-GUBBIO, ANNO 1999 ) Cap. 12 Nella chiesa della prima parte del SECOLO BREVE (1914-1958) TRE PAPI VENUTI DAL PASSATO (VI) Don Angelo M. Fanucci, Canonico Penitenziere e Rettore di Santa Maria al Corso. Comunità di Capodarco dell’Umbria. Residenza per disabili “Pierfrancesco”, Via Elba 47, 06024 Gubbio (Pg) 075 922 11 50 XXII domenica del tempo ordinario 02.09.2018 Gubbio Chiesa S. Maria dei Servi – Sabato 1°settembre 2018 Lectio Divina alle ore 15.30 PIO XI: IL FUTURO È TUTTO NEL PASSATO 13.6 Le Missioni come seconda priorità pastorale: PER il mondo. Anche CON il mondo? Chiamata dal suo fondatore a portare la Buona Novella a tutte le genti, secondo Pio XI la Chiesa deve investire tutta se stessa nelle Missioni; prima con la costituzione apostolica Fidei Depositum (1992), poi con la lettera apostolica Laetamur Magnopere (1997), Giovanni Paolo II ha legittimato l’inserimento di questa tesi nel nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), steso dal Card. Ratzinger.

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ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA AL CORSO

La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci 2 settembre 2018 www.ilgibbo.it

CHIESA E POVERI, UN AMORE LUNGO E PROBLEMATICO

(A. M. FANUCCI, PRO MANUSCRIPTO. LEZIONI ALLA LUMSA-GUBBIO, ANNO 1999 )

Cap. 12

Nella chiesa della prima parte del SECOLO BREVE

(1914-1958)

TRE PAPI VENUTI DAL PASSATO (VI)

Don Angelo M. Fanucci, Canonico Penitenziere e Rettore di Santa Maria al

Corso.

Comunità di Capodarco dell’Umbria. Residenza per disabili “Pierfrancesco”,

Via Elba 47, 06024 Gubbio (Pg) 075 922 11 50

XXII domenica del tempo ordinario 02.09.2018

Gubbio Chiesa S. Maria dei Servi – Sabato 1°settembre 2018 Lectio Divina alle ore 15.30

PIO XI: IL FUTURO È TUTTO NEL PASSATO

13.6 Le Missioni come seconda priorità pastorale: PER il mondo.

Anche CON il mondo?

Chiamata dal suo fondatore a portare la Buona Novella a tutte le

genti, secondo Pio XI la Chiesa deve investire tutta se stessa nelle

Missioni; prima con la costituzione apostolica Fidei Depositum (1992),

poi con la lettera apostolica Laetamur Magnopere (1997), Giovanni

Paolo II ha legittimato l’inserimento di questa tesi nel nuovo

Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), steso dal Card. Ratzinger.

13.6.1 Sulla linea di Benedetto XV

Su questa linea, che diventerà la linea ufficiale della Chiesa, Papa Ratti attribuisce una

grandissima importanza alle Missioni cattoliche, inserendosi nella linea tracciata da

Benedetto XV.

Il suo predecessore, con l’enciclica Maximum illud (1919), aveva confermato la prassi

missionaria della Chiesa, ma aveva decisamente preso le distanze dal colonialismo,

espungendo dal concetto di “missione” evangelica ogni presunta pretesa di superiorità

culturale o razziale dell’evangelizzatore sull’evangelizzato.

13.6.2 Oltre la linea di Benedetto XV

Al tempo di Benedetto XV la mentalità razzista e colonialista cantava in sordina; però al

tempo di Pio XI, con il nazismo e il fascismo, essa aveva dilagato.

Di grande rilevanza, in questo contesto è la grandissima cura che Pio XI riservò alle

Chiese locali e alla formazione del clero indigeno: l’enciclica Rerum ecclesiae (1926)

anticipava la gioia del giorno in cui il clero avrebbe preso in mano il timone della vita

ecclesiale della propria comunità, con la propria cultura, diversa dalla cultura europea al

cui interno era cresciuto il cristianesimo.

13.6.3 Sempre PER, mai CON

Ma l’impegno missionario della Chiesa era tutto PER il mondo, qualsiasi impegno CON

il mondo era fuori dell’orizzonte di Papa Ratti: per lui il mondo è una scatola vuota

finché la Chiesa non la colma, finché la Chiesa non gli dà senso, convincendo il mondo

ad accettare la regalità di Cristo su tutti gli aspetti della vita, pubblica e privata.

Parallelamente Pio XI contrastò quanto poté la crescita delle Missioni protestanti: la

Riforma per lui

non era la discutibile riproposta della sintesi tra vangelo e cultura, ma solo una delle

cause prime del laicismo moderno.

Ci vorrà il Concilio Ecumenico Vaticano II per capire che il mondo è il regno di Dio, a

servizio della cui crescita la Chiesa è impegnata ad impegnarsi, a tutti i livelli.

13.7 Pio XI e L’antisemitismo

Nel sec. xx l’antisemitismo assume nel mondo le dimensioni di un mostro. Sul piano

teorico basti dire che tra gli antisemiti emersero Henry Ford (cfr L'Ebreo internazionale,

1920), Adolf Hitler (cfr Mein kampf , 1924), Celine (cfr Bagatelle per un massacro, 1937; La

scuola dei cadaveri, 1938; e in specie Les Beaux Draps, 1941), Julius Evola (cfr Sintesi di una

dottrina della razza, 1941).

Da noi l’antisemitismo vero e proprio si afferma solo con le leggi razziali del 1938.

13.7.1 Nell’Italia prefascista

Nei primi anni del secolo le comunità ebraiche erano ben integrate nel tessuto sociale

italiano: solo gruppi esigui di cattolici predicavano l’antisemitismo, ma erano senza

seguito: i sei senatori ebrei dei primi anni del secolo salirono a 19 nel 1922; tra il 1905 e

il 1910 furono tre gli esponenti del mondo ebraico che divennero Presidenti del

Consiglio: Fortis, Sidney Sonnino e Luzzatti.

Durante la prima guerra mondiale i generali di religione ebraica furono 50.

13.7.2 Nell’Italia fascista prima del 1938

L’azione di Mussolini per la conquista del potere fu appoggiata dagli ebrei benestanti,

che non si limitarono a finanziarla (Elio Jona, che coinvolse anche molti industriali

lombardi, terrorizzati da un’eventuale avanzata del comunismo), ma si esposero di

persona: 350 gli ebrei che parteciparono alla marcia su Roma, sui 746 ebrei iscritti ai

Fasci Italiani di Combattimento; nel ’33 gli ebrei iscritti al Patito Nazionale Fascista

saliranno a 4.920, il 10% della popolazione ebraica italiana. Solo una minoranza di

intellettuali ebrei (i Sionisti) inizialmente presero le distanze dal fascismo, perché il

fascismo li voleva italiani di religione ebraica e loro si sentivano cittadini di nazionalità ebraica:

piccole divergenze, l'Italia risultò ancora il Paese europeo più liberale verso gli ebrei.

Diversi esponenti dell’ebraismo ricoprirono cariche importanti nei vari gabinetti del

Duce: Aldo Finzi sottosegretario agli Interni e membro del Gran Consiglio del Fascismo

(più tardi ripudierà il fascismo e finirà alle Fosse Ardeatine). Dante Almansi vice capo

della polizia, Guido Jung ministro delle Finanze fra il 1932 al 1935, Maurizio Ravà vice-

governatore della Libia e governatore della Somalia, nonché generale della Milizia

fascista. Ebrea è Margherita Sarfatti, la biografa ufficiale del Duce, direttore editoriale

della rivista Gerarchia, che fu a lungo in pole position nella lunga lista della amanti del

taurino figlio del fabbro di Bertinoro.

Ebbene, prima del 1938 l’antisemitismo fece capolino in qualche discorso dei gerarchi

fascisti, ma niente di impegnativo.

13.7.3 Nell’Italia fascista dopo il 1938

Ma il 3 maggio 1938 Hitler venne in Italia e si fermò fino al 9 maggio; con Mussolini alle

calcagna visitò Roma, Napoli e Firenze; parlarono moltissimo, e quando il Führer riprese

la strada di casa il Duce s’era deciso a dare il via anche lui ad una campagna antisemita

tutta italiana.

Pio XI, che pure avvertiva con orrore l'anima neopagana del nazismo, snobbò quel

viaggio, al punto che l'Osservatore Romano non gli dedicò nemmeno una sola riga.

Vittorio Emanuele III, che pure giudicava Hitler “un perverso di infimo grado”, due

mesi dopo il viaggio di Hitler controfirmò quel Manifesto della razza del quale Mussolini ci

tenne a far sapere a tutti che era stato solo lui l’unico autore, dalla prima all’ultima parola.

Lo sottoscrivono subito un gruppo di scienziati. I giornali si allineano. Si distingue per

irruenza e continuità polemica la rivista La difesa della razza: segretario di redazione ne è

Giorgio Almirante, futuro segretario del MSI.

In rapida successione, sempre nel 1938,il governo fascista emana le famigerate Leggi per la

difesa della razza e i relativi decreti applicativi.

13.7.4 Un’accusa ridicola, ma dalle conseguenze pesanti

L’accusa principale formulata da Mussolini contro gli ebrei è (niente meno!) quella di

essere i veri responsabili della rivoluzione d’ottobre, visto che di origine ebrea erano

Marx, la Luxemburg, Lev Trockij e (sebbene alla lontana) anche Lenin; non per nulla nel

1918, dei 12 membri del Comitato Centrale del Partito Comunista Russo, ben nove

erano ebrei.

Ma le conseguenze pratiche di questa boiata furono davvero molto pesanti:

Alle scuole di ogni ordine e grado ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno

essere iscritti alunni di razza ebraica;

gli ebrei stranieri non potevano fissare la residenza in Italia e le cittadinanze

concesse ad ebrei stranieri dopo il 1° gennaio 1919 venivano revocate.

La maggioranza degli italiani, e in modo particolare i cattolici, accolsero con grande

sconcerto e grandissima indignazione questi decreti; molte le lettere inviate al Papa

perché intervenisse presso Mussolini.

Pio XI, il 9 settembre, tramite P. Tacchi Venturi S.J. fece sapere a Mussolini: Il Santo Padre

come italiano si rattrista veramente di vedere dimenticata tutta una storia di buon senso italiano, per

aprire la porta o la finestra a un'ondata di antisemitismo tedesco. Mussolini rispose dieci giorni

dopo: l'Italia non aveva deciso la politica razziale per fare “cosa gradita” alla Germania,

ma perché l'ebraismo mondiale è sempre stato un nemico giurato del fascismo, e proseguì la strada

intrapresa.

In ottobre il Gran Consiglio deliberò:

vietato il matrimonio tra italiani/e appartenenti a razze non ariane;

espulsione degli ebrei dal partito fascista;

vietato agli ebrei di “essere possessori o dirigenti di aziende di qualsiasi

natura che impieghino cento o più persone” o “essere possessori di oltre

cinquanta ettari di terreno”;

vietato agli ebrei di prestare servizio militare;

allontanamento di tutti gli ebrei dagli uffici pubblici;

impegno a stilare uno speciale regolamento per filtrare l'accesso degli ebrei

alle professioni.

13.7.4 Un discorso in sordina si ritorce contro il papa

Lo stesso giorno Pio XI elaborò contro il razzismo e l'antisemitismo un discorso forte e

chiaro. Il

discorso muoveva dalla parola dell'apostolo Paolo sulla nostra spirituale figliolanza da

Abramo: L'antisemitismo non è compatibile con il sublime pensiero e la realtà evocata in questo testo.

L'antisemitismo è un movimento odioso, con cui noi cristiani non dobbiamo avere nulla a che fare. Non

è lecito che i cristiani prendano parte all'antisemitismo. Noi riconosciamo che ognuno ha il diritto

all'autodifesa e che può intraprendere le azioni necessarie per salvaguardare gli interessi legittimi. Ma

l'antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti.

Ma il ministro degli interni, Alfieri, in base a istruzioni avute direttamente da Mussolini,

bloccò la diffusione del discorso del papa, obbligando i prefetti a bloccarne la stampa.

Pio XI poté tenerlo solo a Castel Gandolfo, davanti ad un gruppo di pellegrini belgi.

La non pubblicazione suscitò le reazioni degli antipapisti cronici, che accusarono Pio XI

di non aver voluto prendere posizione contro le leggi di Mussolini per motivi politici. È

l’anticipo dell’accusa che verrà formulata, in maniera molto più pesante, contro Pio XII

per aver taciuto sulla shoàh.

Balle. Certo, la Santa Sede adottò un atteggiamento di prudenza per non esasperare quel

Duce che già da tempo era maldisposto nei riguardi del Papa: Pio XI non dette seguito a

quel discorso perché ogni intervento diretto del Vaticano contro il Gran Consiglio,

avrebbe solo peggiorato la situazione: una linea, adottata per salvare il salvabile. A

conferma di tutto questo, la Chiesa si adoperò in ogni modo e con ogni mezzo al fine di

evitare il peggio e di alleviare le sofferenze degli ebrei.

Se Pio XI avesse fatto ciò che oggi molti reclamano (compreso anche qualche

esponente del mondo ebraico), o meglio, un’accusa frontale contro le leggi razziali e di

conseguenza un’ accusa contro il nazi-fascismo, il popolo ebraico, in termine di vite

umane avrebbe pagato un prezzo molto più alto di quello che pagò. Ed oggi le

ideologie del male tramite i loro “pifferai magici”, sarebbero ben felici di accusare la

Chiesa che avrebbe fatto meglio ad adottare un atteggiamento più prudente.

Ciononostante ancora oggi da più parti si continua a parlare di una cripto-simpatia di Pio

XI per l’antisemitismo.

Gubbio, 28 agosto 2018 don Angelo M. Fanucci, Rettore della Chiesa di S. Maria de’

Servi a Corso Garibaldi Residenza Pierfrancesco, Via Elba 47, 06024 Gubbio (PG)

075 922 11 50 347 35 51 044

LA TEOLOGIA DI PAPA FRANCESCO, 9

LA DEBOLEZZA DI DIO PER L’UOMO

(AL: Amoris Laetitia; EG: Evangelii gaudium; EN: Evangelii nuntiandi; ES: Eserciti Spirituali;

GS: Gaudium et spes; LG: Lumen gentium; LS: Laudato si’; MeM: Misericordia et Misera; RS:

Ratio studiorum)

secondo

JÙRGEN WERBICK

CAPITOLO IV (2)

LA GIUSTIZIA COME DONO

Eccola, la vera prospettiva TEO/logica della giustizia, quella che sostengono

l’episcopato sudamericano con il Documento finale della Conferenza episcopale di Aparecida e

papa Francesco con la Esortazione apostolica Evangelii gaudium: la giustizia è un dono che

Dio ha fatto alla creazione nell’atto di comunicarle l’essere.

La giustizia umana richiede che si facciano partecipare e si facciano pienamente entrare

gli esclusi nell’οικονομία della società e della Chiesa. L’esclusione, il rifiuto della

partecipazione sono per principio contrari all’οικονομία della creazione.

Difficile escludere qualcuno. Quando, per qualsivoglia ragione, fosse indispensabile

escludere qualcuno, sarebbe necessaria una rigorosa legittimazione di quella scelta. Tutte

le strategie di legittimazione da questo punto di vista suscitano il sospetto, difficile da

eliminare, di una prevenzione ideologica da parte dei corrispondenti interessi di potere.

Ciò che dal punto di vista strettamente teologico è ovvio porta a una partecipazione che

sia giusta nei confronti dell’uomo e della creazione. Ciò che non è completamente e

assolutamente ovvio non solo deve avere di per se stesso dei buoni motivi, ma si deve

poter dimostrare che è al servizio di ciò che è teologicamente ovvio, quando ciò deve

avvenire in modo lecito.

Impossibile accettare l’ingiustizia sociale. Inaccettabili, in quanto fondamentalmente

contrarie alla creazione, sono «le condizioni di vita per le quali molti uomini restano

disprezzati, esclusi e abbandonati alla loro sofferenza e miseria».

Esse, dice Francesco:

contraddicono il «progetto del Padre,

sollecitano i credenti a impegnarsi più fortemente a favore della cultura

della vita.

Così questi sono esortati a impegnarsi perché vengano messe da parte le gravi

disuguaglianze sociali e le enormi differenze nell’accesso ai beni (Aparecida, n. 358).

I credenti devono

condividere l’opzione per i poveri e gli esclusi,

essere presenti con solidarietà fattiva «nelle nuove realtà di esclusione e

marginalizzazione, dove vivono i più deboli e la vita è più fortemente minacciata».

La Conferenza episcopale latinoamericana guarda con particolare attenzione

ai nuovi esclusi: ai migranti e alle vittime della violenza, ai profughi e ai rifugiati, alle vittime di

rapimenti e di commercio di esseri umani, ai desaparecidos, alle persone ammalate di AIDS e di

altre pandemie, ai tossicodipendenti e alle persone anziane, ai bambini e bambine che diventano

vittime di prostituzione, pornografia e violenza o del lavoro infantile; alle donne maltrattate che

sono escluse dalla società e vittime della tratta di esseri umani ai fini di uno sfruttamento

sessuale; ai portatori di handicap, ai grandi gruppi di uomini e donne senza lavoro, a tutti coloro

che sono esclusi per analfabetismo tecnologico; agli uomini che vivono per le strade delle metropoli,

agli indigeni e agli afro-americani, agli agricoltori senza terra e ai minatori (Aparecida, n.

402).

Per motivi squisitamente teologici. Il vero scandalo consiste nel fatto che tutte queste

persone sono rimaste fuori, o addirittura allontanate, dai processi di crescita con i quali la “creatio

continua” vuole portare gli uomini allo sviluppo pieno della vita.

I cristiani obbediscono a quello statuto della realtà, secondo cui la vita trova compimento

solo attraverso l’inserimento in una communio di creazione e di vita, «attraverso una

comunione giusta e fraterna». Essi possono davvero accogliere l’offerta di vita in Cristo

che viene loro avanzata solo entrando in un dinamismo di liberazione integrale, di

umanizzazione, di riconciliazione e di inserimento sociale» (Aparecida, n. 359). Questo

dinamismo che li integra nella società è la proiezione di quel dinamismo della creazione

con il quale Dio fa partecipare gli uomini alla sua creatività e porta la loro vita alla

pienezza.

Il nostro sistema economico Tuttavia - secondo l’EG - l’intero sistema economico è

costruito sull’esclusione e sulla marginalizzazione, che sono contrari alla creazione. Per

questo, l’Esortazione apostolica pronuncia un netto

no a un’economia dell’esclusione e della iniquità. [...] Questa economia uccide. Essa, infatti,

obbedisce alla legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di

questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro,

senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di

consumo, che si può usare e poi gettare. [...] Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello

sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua

stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei

bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma

rifiuti, “avanzi” (EG, n. 33).

La presenza di quanti si trovano fuori dal giro di questa economia non viene nemmeno

avvertita. I padroni del vapore hanno adottato uno «stile di vita che “non vuole essere

più disturbato dagli esclusi”, una «globalizzazione dell’indifferenza» nei confronti di tutto

quello che avviene e si subisce «al di fuori» (EG, n. 54).

Un sistema di potere contrario alla creazione.Siamo dunque di fronte un potere

contrario alla creazione, il potere strutturale del male, che proprio per aver investito la

struttura della vita tende a invadere ogni cosa: Come il bene tende a comunicarsi, così il male a

cui si acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente

le basi di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido possa apparire. Se ogni azione ha delle

conseguenze, un male annidato nelle strutture di una società contiene sempre un potenziale di

dissoluzione e di morte. È il male cristallizzato nelle strutture sociali ingiuste, a partire dal quale non ci

si può attendere un futuro migliore (EG, n. 59).

Se la cultura dell’uomo è la sua autocoltivazione, qui siamo di fronte ad una vera e

propria anti cultura, l’anticultura dell’esclusione e del disfacimento.

I credenti e le Chiese sono chiamati a contrastarla per un motivo estremamente

profondo: perché la creazione possa avere un futuro; devono testimoniare la scelta

dell’inclusione creazionale che è il gesto dello stesso Creatore, con cui egli vuole far

entrare le creature, e in particolare gli uomini, nel processo dello sviluppo della

creazione, facendoli partecipare ad esso da protagonisti.

EG fa appello alle Chiese, in primo luogo a quella cattolica, perché si lascino alle spalle la

mentalità dell’esclusione. A esse sono affidati il Vangelo e i beni di grazia che Gesù

Cristo ha dato loro nel cammino per salvare gli uomini dal destino maligno.

Questo è il motivo profondo per cui la Chiesa di Gesù Cristo deve «essere sempre

una casa aperta, la casa del Padre», «una Chiesa con le porte aperte», che non si

chiude alla necessità e allo stato di abbandono degli esclusi – anche se spesso

sono stati resi tali proprio da lei (cfr. EG, nn. 46-47).

Non siamo di fronte ad un impegno genericamente morale, ma ad un motivo

rigorosamente teologico: Nella Parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di

“uscita” che Dio vuole provocare nei credenti e con cui li contagia con la gioia dello Spirito Santo per

farli “uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno

della luce del Vangelo” (EG, n. 20).

ALLA RADICE: LA «DINAMICA DELL’ESODO. La dinamica dell’esodo e del

dono, dell’uscire da se stesso (EG, n. 21) coglie il movimento più profondo e proprio

di Dio, quel suo uscire-da-sé nella creazione che poi Gesù Cristo ha riproposto tra gli

uomini.

Egli è andato dagli emarginati, proprio per testimoniare a essi che Dio esiste

per loro.

Egli invita sempre a «correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro,

con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la

sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo» (EG, n. 88).

Uscire da sé per stare vicini agli esclusi, lasciarsi commuovere e compromettere dal loro

bisogno; reinserire gli abbandonati all’interno della rete di una vita insieme proficua per

la creazione, nel «gregge» di quelli che cercano la vita tra di loro e la trovano nella

presenza di Dio, nella signoria di Dio: Gesù Cristo la ritiene una missione (cfr. Le 15,3-

6) e vuole affidarla a quelli che accolgono la strada che ha tracciato. Insieme a lui essi

devono «prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli

incroci delle strade per invitare gli esclusi». Insieme a lui avvertono «un desiderio

inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del

Padre e la sua forza diffusiva». Come Cristo «la Chiesa sa “coinvolgersi”. Gesù ha lavato i

piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi» (EG, n. 24).

Dio esce da sé soprattutto coinvolgendosi - nel suo Cristo - nella ricerca di quanti

sono perduti, per accoglierli nella sua misericordia.

E VUOLE CHE ANCHE LA CHIESA SI COINVOLGA IN QUESTO

MOVIMENTO DI USCITA –UN MOVIMENTO DI MISERICORDIA - superi il

proprio egocentrismo e si lasci alle spalle il narcisismo ecclesiale (cfr. EG, nn. 20-21). In

tal modo abbiamo toccato un tema conduttore dell’annuncio che papa Francesco fa di

Dio, un tema che attraversa come nessun altro tutti gli aspetti dell’esercizio del suo

ministero, ma anche delle sue opzioni teologiche: la misericordia di Dio.

9.a continua

***

ALLA RICERCA DELLA TEOLOGIA

CHE MOTIVA E ARTICOLA LA RADICALITÀ

DELL’IMPEGNO CRISTIANO CONTRO L’EMARGINAZIONE

I - 6

di don Angelo M. Fanucci

(EMARGINAZINE E SOCIETÀ)

IL FASULLO TENTATIVO DI

LEGITTIMARE LO STATO DELL’ARTE

A legittimare il dato di fatto dello sviluppo strutturalmente segnato dallo squilibrio è

intervenuta la teoria delle giuste disuguaglianze.

6. La “giusta disuguaglianza”

Oggi si parla moltissimo di solidarietà e pochissimo d’uguaglianza. Un atteggiamento

tipico della destra, per la quale solidarietà e uguaglianza sono inversamente

proporzionali: meno gli uomini sono uguali, più deve crescere la "generosità verso i

deboli".

Ma anche la sinistra, per la quale solidarietà e uguaglianza dovrebbero essere

complementari, parla sempre meno di uguaglianza. Basta compulsare qualcuno dei suoi

documenti, e constatare che all’uguaglianza spesso tocca solo un piccolo spazio, poco

più che rituale.

6.1 Un tentativo di legittimazione

In sostanza - si dice - una volta tramontate le stagioni delle utopie, è puerile continuare a

perseguire l'uguaglianza tra gli uomini. L'unica cosa saggia da fare è governare la

disuguaglianza.

In fondo - si dice - il nostro mondo una SOSTANZIALE uguaglianza l'ha assicurata a

tutti, e dunque non bisogna demonizzare la disuguaglianza, quanto piuttosto delineare i

parametri idonei a caratterizzare come giusta o ingiusta una certa disuguaglianza"i. Les jeux

sont faits: il problema dell'uguaglianza s'è convertito nel problema dell' "equa

disuguaglianza". L' "equa disuguaglianza" è il volto concreto di quell' "uguaglianza

sostanziale" che senza questa precisazione rimarrebbe una fumisteria. A questa

impostazione s’è vigorosamente opposto, negli ultimi anni della sua vita, Norberto

Bobbio1.

Era stato John Rawls che, a partire dal 1973, aveva più di ogni altro accreditato in

Occidente il concetto di "disuguaglianza giusta" 2.

Siccome non esistono né la libertà assoluta, né l’assoluta uguaglianza, un programma

politico sarà moralmente corretto non quando punterà in maniera utopica e fallace a

rendere tutti ugualmente liberi, ma a massimizzare concretamente la libertà dei suoi

membri, e quando prometterà ai suoi non l’uguaglianza assoluta (che non potrà mai

realizzare), ma la più concretamente giusta tra tutte le uguaglianze possibili.

Quello che conta, in proposito, è

o che il sistema delle disuguaglianze sociali ed economiche sia tale da

garantire il miglioramento delle condizioni di vita anche di colui che occupa

l'infimo gradino della scala sociale;

o che rimanga sempre e comunque uguale per tutti "la possibilità di accesso a

tutte le posizioni sociali".

6.2 Una legittimazione fasulla

Rawls è la mosca cocchiera di un carro che galoppa secondo ben altri interessi che quelli

scientifici.

E infatti da subito c'è stato chi, a proposito di "equa disuguaglianza", ha calcato la mano

molto più sul sostantivo ("disuguaglianza") che non sull'aggettivo ("equa").

C’era da aspettarselo: inesorabilmente l'equa disuguaglianza secondo Max Hellerii3tende a

diventare vera e propria ingiustizia sociale. Lo dimostra l’analisi di tre settori emblematici:

1. il settore delle opportunità di lavoro: esse crebbero ovunque in Occidente fra gli

anni ‘60 e gli anni ‘80 (del 30% negli Usa, del 10% in Giappone), ma dopo la crisi

del 1975 si andò gradualmente affermando la tendenza strutturale ad espellere

stabilmente e selettivamente giovani, donne, soggetti privi d'istruzione, handicappati (il

"climax" è in crescendo);

2. il settore delle opportunità di istruzione; dopo i sogni di una scuola che

"producesse uguaglianza", (anni ‘60, Barbiana docet: era questa la più radicale delle

proposte di don Milani), lo Heidenheimer4 ha dimostrato che in tutto l'Occidente

1cfr.Destra e sinistra, Donzelli 1994, 83-90 2 J.RAWLS, A theory of justice, Oxford-New York 1973 3cfr Significato e dimensioni delle disuguaglianze" in AA. VV:, Disuguaglianze ed equità in Europa, a cura di L.

Gallino, Laterza 1993, 3 e 12-28 4in Education and social security. Entitlements in Europe and America, New Brunswick/London 1981

la scuola si dedica prevalentemente ad elaborare sistemi di sicurezza sociale obbligatori per

le classi inferiori, come mezzo di dissuasione da aspirazioni di carriera non realizzabili;

3. il settore della suddivisione dei redditi; il reddito pro capite nel 1984 collocava

molto al di sopra della media Svizzera, Svezia e Norvegia, poco sopra la media

Austria, Belgio e Inghilterra, sotto la media le "periferie europee" (Italia, Spagna,

Irlanda, Grecia, Portogallo, Turchia: qui il "climax" è in calando); tra la prima della

classe (la Svizzera) e l'ultima (la Turchia) il rapporto è di 13 a 1.

Per quanto riguarda il settore dell’emarginazione, nel contesto agghiacciante della "logica

dei due terzi" era più che naturale che silenziosamente venissero svilite alcune

significative conquiste: si pensi all'assegno di accompagnamento che, nato per "accompagnare"

un invalido nei posti di studio o di lavoro, s'e rapidamente deteriorato in pensione

supplementare. Si pensi all'abolizione delle barriere architettoniche, una tematica che si è

sempre più tecnicizzata, concentrandosi sugli elementi materiali di quelle barriere, invece

che dilatarli ben oltre i dati dei rilievi planimetrici.

La teoria di Rawls è un éscamotage che al massimo può tornare utile ad affrontare una

situazione socio/politica contingente, ma non potrà mai assurgere a modulo di governo.

Esiste un solo obbiettivo che propriamente è degno della nostra umanità, anche se va

ricalibrato ogni giorno: battersi contro tutte le disuguaglianze. È il culto dell'uguaglianza,

e non l'accettazione delle disuguaglianze, che va sempre rimesso al centro della tensione

morale e civile.

634. E i frutti sono stati amarissimi

In occasione del Forum Economico Mondiale di Davos del 2018, le magagne del sistema

economico attuale sono emerse in tutta la loro devastante tragicità.

OXFAM (onlus “Insieme contro la povertà”) denuncia che questo sistema consente solo

a una ristretta élite di accumulare enormi fortune, mentre centinaia di milioni di persone

lottano per la sopravvivenza con salari da fame.

In Europa ci sono 342 miliardari (con un patrimonio totale di circa 1.340 miliardi di

euro) e 123 milioni di persone – quasi un quarto della popolazione – a rischio povertà

ed esclusione sociale.

Un quadro che riguarda anche l’Italia, dove il 20% degli italiani più ricchi oggi

detiene il 61,6% della ricchezza nazionale netta, mentre il 20% degli italiani più

poveri ne detiene appena lo 0,4%.

Tra il 2009 ed il 2013 il numero di persone che viveva in una condizione di grave

deprivazione materiale, vale a dire senza reddito sufficiente per pagarsi il riscaldamento o

far fronte a spese impreviste, è aumentato di 7.5 milioni in 19 paesi dell’Unione

Europea, inclusi Spagna, Irlanda, Italia e Grecia, arrivando a un totale di 50 milioni. In

Italia dal 2005 al 2014 la percentuale di persone in stato di grave deprivazione materiale è

aumentata di 5 punti (dal 6,4% all’11,5%). Sono quasi 7 milioni di persone, e tra di

loro ad essere più colpiti sono i bambini e i ragazzi sotto i diciotto anni.

Dalla classifica che ordina gli Stati membri dell’Unione europea secondo 7 parametri (tra

questi disuguaglianza di reddito, deprivazione materiale, divario retributivo di genere),

appare chiaro che nessun paese è immune da elevati gradi di disuguaglianza, con paesi

come Bulgaria e Grecia che registrano il peggior risultato. Se la disuguaglianza nel

reddito disponibile è maggiore in Bulgaria, Lettonia e Lituania, è importante rilevare che

anche paesi come Francia e Danimarca hanno visto un aumento di questa dimensione

della disuguaglianza tra il 2005 e il 2013.

Anche chi ha un lavoro è a rischio di cadere nella trappola della povertà: questa

probabilità è particolarmente alta anche in Italia, dove l’11% delle persone tra i 15 e i 64

anni che lavorano è a rischio di povertà, un dato che ci posiziona al 24° posto tra i

ventotto paesi dell’Unione Europea. Anche in paesi-traino della UE, come la

Germania questo dato sta aumentando. Sempre in tema di reddito da lavoro, l’Europa

non è immune dal divario salariale tra uomini e donne: sono Lettonia, Portogallo, Cipro

e Germania gli stati nei quali le discriminazioni retributive sono più gravi.

La classifica mostra anche come le politiche di governo possano contribuire ad

accrescere o diminuire le disuguaglianze: il sistema fiscale e previdenziale svedese, per

esempio, è il più avanzato in Europa e favorisce una riduzione delle disuguaglianze di

reddito del 53%, mentre il sistema fiscale e previdenziale italiano, tra gli ultimi

posti della classifica, ha permesso nel 2013 una riduzione della disparità di

reddito solo del 34%.

Un’Europa per tutti e non per pochi rivela anche che, il grande potere d’influenza dei

super ricchi, delle multinazionali e di una parte del settore privato a livello nazionale ed

europeo, non fa che accrescere povertà e disuguaglianza in tutto il continente. Sulle

norme fiscali, per esempio, l’82% dei componenti del gruppo che elabora

raccomandazioni per l’Unione europea sulla riforma del settore fiscale appartiene al

settore privato e commerciale.

Dichiarazione di Roberto Barbieri, direttore di Oxfam Italia:

“In Europa – come del resto in tutto il mondo – la povertà e l’aumento della

disuguaglianza non sono fenomeni inevitabili, ma sono l’effetto di scelte

politiche troppo spesso effettuate tenendo in conto l’interesse di pochi e non

quello di tutti i cittadini europei. Per questo chiediamo all’Unione Europea e ai

suoi Stati Membri una maggiore trasparenza sul modo in cui vengono definite le

politiche economiche e sociali. Perché non sia sempre una minoranza – potente e

ben organizzata, ma pur sempre minoranza – di gruppi ricchi e potenti a dettare

leggi che hanno un impatto sulla vita di tutti noi e che colpiscono in particolare i

gruppi più vulnerabili”.

6.4 La riedizione nostrana del “governo delle disuguaglianze”

Una riedizione nostrana, tipicamente italiana, della tesi della giusta disuguaglianza è la

"teoria dei due tempi dell'intervento sociale". Chi oggi sostiene che l'Italia deve PRIMA

risanare il debito pubblico, e solo POI affrontare i problemi dei poveri aggrega consensi

a man bassa.

Come è stata una follia mantenere (ben al di là di tante dichiarazioni di segno opposto) la

dimensione regionale della questione meridionale: la questione meridionale è una

questione nazionale, la sua mancata o parziale soluzione non inguaia solo il Sud, ma

inceppa lo Stato tutto intero.

C'è solo un modo per uscire dai problemi: uscirne tutti insieme. Era la definizione che

don Milani dava della politica: uscirne insieme è politica, uscirne da soli è egoismo.

6. continua