La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci - ilgibbo.it · scuola dei cadaveri, 1938; e in specie...
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ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA AL CORSO
La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci 2 settembre 2018 www.ilgibbo.it
CHIESA E POVERI, UN AMORE LUNGO E PROBLEMATICO
(A. M. FANUCCI, PRO MANUSCRIPTO. LEZIONI ALLA LUMSA-GUBBIO, ANNO 1999 )
Cap. 12
Nella chiesa della prima parte del SECOLO BREVE
(1914-1958)
TRE PAPI VENUTI DAL PASSATO (VI)
Don Angelo M. Fanucci, Canonico Penitenziere e Rettore di Santa Maria al
Corso.
Comunità di Capodarco dell’Umbria. Residenza per disabili “Pierfrancesco”,
Via Elba 47, 06024 Gubbio (Pg) 075 922 11 50
XXII domenica del tempo ordinario 02.09.2018
Gubbio Chiesa S. Maria dei Servi – Sabato 1°settembre 2018 Lectio Divina alle ore 15.30
PIO XI: IL FUTURO È TUTTO NEL PASSATO
13.6 Le Missioni come seconda priorità pastorale: PER il mondo.
Anche CON il mondo?
Chiamata dal suo fondatore a portare la Buona Novella a tutte le
genti, secondo Pio XI la Chiesa deve investire tutta se stessa nelle
Missioni; prima con la costituzione apostolica Fidei Depositum (1992),
poi con la lettera apostolica Laetamur Magnopere (1997), Giovanni
Paolo II ha legittimato l’inserimento di questa tesi nel nuovo
Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), steso dal Card. Ratzinger.
13.6.1 Sulla linea di Benedetto XV
Su questa linea, che diventerà la linea ufficiale della Chiesa, Papa Ratti attribuisce una
grandissima importanza alle Missioni cattoliche, inserendosi nella linea tracciata da
Benedetto XV.
Il suo predecessore, con l’enciclica Maximum illud (1919), aveva confermato la prassi
missionaria della Chiesa, ma aveva decisamente preso le distanze dal colonialismo,
espungendo dal concetto di “missione” evangelica ogni presunta pretesa di superiorità
culturale o razziale dell’evangelizzatore sull’evangelizzato.
13.6.2 Oltre la linea di Benedetto XV
Al tempo di Benedetto XV la mentalità razzista e colonialista cantava in sordina; però al
tempo di Pio XI, con il nazismo e il fascismo, essa aveva dilagato.
Di grande rilevanza, in questo contesto è la grandissima cura che Pio XI riservò alle
Chiese locali e alla formazione del clero indigeno: l’enciclica Rerum ecclesiae (1926)
anticipava la gioia del giorno in cui il clero avrebbe preso in mano il timone della vita
ecclesiale della propria comunità, con la propria cultura, diversa dalla cultura europea al
cui interno era cresciuto il cristianesimo.
13.6.3 Sempre PER, mai CON
Ma l’impegno missionario della Chiesa era tutto PER il mondo, qualsiasi impegno CON
il mondo era fuori dell’orizzonte di Papa Ratti: per lui il mondo è una scatola vuota
finché la Chiesa non la colma, finché la Chiesa non gli dà senso, convincendo il mondo
ad accettare la regalità di Cristo su tutti gli aspetti della vita, pubblica e privata.
Parallelamente Pio XI contrastò quanto poté la crescita delle Missioni protestanti: la
Riforma per lui
non era la discutibile riproposta della sintesi tra vangelo e cultura, ma solo una delle
cause prime del laicismo moderno.
Ci vorrà il Concilio Ecumenico Vaticano II per capire che il mondo è il regno di Dio, a
servizio della cui crescita la Chiesa è impegnata ad impegnarsi, a tutti i livelli.
13.7 Pio XI e L’antisemitismo
Nel sec. xx l’antisemitismo assume nel mondo le dimensioni di un mostro. Sul piano
teorico basti dire che tra gli antisemiti emersero Henry Ford (cfr L'Ebreo internazionale,
1920), Adolf Hitler (cfr Mein kampf , 1924), Celine (cfr Bagatelle per un massacro, 1937; La
scuola dei cadaveri, 1938; e in specie Les Beaux Draps, 1941), Julius Evola (cfr Sintesi di una
dottrina della razza, 1941).
Da noi l’antisemitismo vero e proprio si afferma solo con le leggi razziali del 1938.
13.7.1 Nell’Italia prefascista
Nei primi anni del secolo le comunità ebraiche erano ben integrate nel tessuto sociale
italiano: solo gruppi esigui di cattolici predicavano l’antisemitismo, ma erano senza
seguito: i sei senatori ebrei dei primi anni del secolo salirono a 19 nel 1922; tra il 1905 e
il 1910 furono tre gli esponenti del mondo ebraico che divennero Presidenti del
Consiglio: Fortis, Sidney Sonnino e Luzzatti.
Durante la prima guerra mondiale i generali di religione ebraica furono 50.
13.7.2 Nell’Italia fascista prima del 1938
L’azione di Mussolini per la conquista del potere fu appoggiata dagli ebrei benestanti,
che non si limitarono a finanziarla (Elio Jona, che coinvolse anche molti industriali
lombardi, terrorizzati da un’eventuale avanzata del comunismo), ma si esposero di
persona: 350 gli ebrei che parteciparono alla marcia su Roma, sui 746 ebrei iscritti ai
Fasci Italiani di Combattimento; nel ’33 gli ebrei iscritti al Patito Nazionale Fascista
saliranno a 4.920, il 10% della popolazione ebraica italiana. Solo una minoranza di
intellettuali ebrei (i Sionisti) inizialmente presero le distanze dal fascismo, perché il
fascismo li voleva italiani di religione ebraica e loro si sentivano cittadini di nazionalità ebraica:
piccole divergenze, l'Italia risultò ancora il Paese europeo più liberale verso gli ebrei.
Diversi esponenti dell’ebraismo ricoprirono cariche importanti nei vari gabinetti del
Duce: Aldo Finzi sottosegretario agli Interni e membro del Gran Consiglio del Fascismo
(più tardi ripudierà il fascismo e finirà alle Fosse Ardeatine). Dante Almansi vice capo
della polizia, Guido Jung ministro delle Finanze fra il 1932 al 1935, Maurizio Ravà vice-
governatore della Libia e governatore della Somalia, nonché generale della Milizia
fascista. Ebrea è Margherita Sarfatti, la biografa ufficiale del Duce, direttore editoriale
della rivista Gerarchia, che fu a lungo in pole position nella lunga lista della amanti del
taurino figlio del fabbro di Bertinoro.
Ebbene, prima del 1938 l’antisemitismo fece capolino in qualche discorso dei gerarchi
fascisti, ma niente di impegnativo.
13.7.3 Nell’Italia fascista dopo il 1938
Ma il 3 maggio 1938 Hitler venne in Italia e si fermò fino al 9 maggio; con Mussolini alle
calcagna visitò Roma, Napoli e Firenze; parlarono moltissimo, e quando il Führer riprese
la strada di casa il Duce s’era deciso a dare il via anche lui ad una campagna antisemita
tutta italiana.
Pio XI, che pure avvertiva con orrore l'anima neopagana del nazismo, snobbò quel
viaggio, al punto che l'Osservatore Romano non gli dedicò nemmeno una sola riga.
Vittorio Emanuele III, che pure giudicava Hitler “un perverso di infimo grado”, due
mesi dopo il viaggio di Hitler controfirmò quel Manifesto della razza del quale Mussolini ci
tenne a far sapere a tutti che era stato solo lui l’unico autore, dalla prima all’ultima parola.
Lo sottoscrivono subito un gruppo di scienziati. I giornali si allineano. Si distingue per
irruenza e continuità polemica la rivista La difesa della razza: segretario di redazione ne è
Giorgio Almirante, futuro segretario del MSI.
In rapida successione, sempre nel 1938,il governo fascista emana le famigerate Leggi per la
difesa della razza e i relativi decreti applicativi.
13.7.4 Un’accusa ridicola, ma dalle conseguenze pesanti
L’accusa principale formulata da Mussolini contro gli ebrei è (niente meno!) quella di
essere i veri responsabili della rivoluzione d’ottobre, visto che di origine ebrea erano
Marx, la Luxemburg, Lev Trockij e (sebbene alla lontana) anche Lenin; non per nulla nel
1918, dei 12 membri del Comitato Centrale del Partito Comunista Russo, ben nove
erano ebrei.
Ma le conseguenze pratiche di questa boiata furono davvero molto pesanti:
Alle scuole di ogni ordine e grado ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno
essere iscritti alunni di razza ebraica;
gli ebrei stranieri non potevano fissare la residenza in Italia e le cittadinanze
concesse ad ebrei stranieri dopo il 1° gennaio 1919 venivano revocate.
La maggioranza degli italiani, e in modo particolare i cattolici, accolsero con grande
sconcerto e grandissima indignazione questi decreti; molte le lettere inviate al Papa
perché intervenisse presso Mussolini.
Pio XI, il 9 settembre, tramite P. Tacchi Venturi S.J. fece sapere a Mussolini: Il Santo Padre
come italiano si rattrista veramente di vedere dimenticata tutta una storia di buon senso italiano, per
aprire la porta o la finestra a un'ondata di antisemitismo tedesco. Mussolini rispose dieci giorni
dopo: l'Italia non aveva deciso la politica razziale per fare “cosa gradita” alla Germania,
ma perché l'ebraismo mondiale è sempre stato un nemico giurato del fascismo, e proseguì la strada
intrapresa.
In ottobre il Gran Consiglio deliberò:
vietato il matrimonio tra italiani/e appartenenti a razze non ariane;
espulsione degli ebrei dal partito fascista;
vietato agli ebrei di “essere possessori o dirigenti di aziende di qualsiasi
natura che impieghino cento o più persone” o “essere possessori di oltre
cinquanta ettari di terreno”;
vietato agli ebrei di prestare servizio militare;
allontanamento di tutti gli ebrei dagli uffici pubblici;
impegno a stilare uno speciale regolamento per filtrare l'accesso degli ebrei
alle professioni.
13.7.4 Un discorso in sordina si ritorce contro il papa
Lo stesso giorno Pio XI elaborò contro il razzismo e l'antisemitismo un discorso forte e
chiaro. Il
discorso muoveva dalla parola dell'apostolo Paolo sulla nostra spirituale figliolanza da
Abramo: L'antisemitismo non è compatibile con il sublime pensiero e la realtà evocata in questo testo.
L'antisemitismo è un movimento odioso, con cui noi cristiani non dobbiamo avere nulla a che fare. Non
è lecito che i cristiani prendano parte all'antisemitismo. Noi riconosciamo che ognuno ha il diritto
all'autodifesa e che può intraprendere le azioni necessarie per salvaguardare gli interessi legittimi. Ma
l'antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti.
Ma il ministro degli interni, Alfieri, in base a istruzioni avute direttamente da Mussolini,
bloccò la diffusione del discorso del papa, obbligando i prefetti a bloccarne la stampa.
Pio XI poté tenerlo solo a Castel Gandolfo, davanti ad un gruppo di pellegrini belgi.
La non pubblicazione suscitò le reazioni degli antipapisti cronici, che accusarono Pio XI
di non aver voluto prendere posizione contro le leggi di Mussolini per motivi politici. È
l’anticipo dell’accusa che verrà formulata, in maniera molto più pesante, contro Pio XII
per aver taciuto sulla shoàh.
Balle. Certo, la Santa Sede adottò un atteggiamento di prudenza per non esasperare quel
Duce che già da tempo era maldisposto nei riguardi del Papa: Pio XI non dette seguito a
quel discorso perché ogni intervento diretto del Vaticano contro il Gran Consiglio,
avrebbe solo peggiorato la situazione: una linea, adottata per salvare il salvabile. A
conferma di tutto questo, la Chiesa si adoperò in ogni modo e con ogni mezzo al fine di
evitare il peggio e di alleviare le sofferenze degli ebrei.
Se Pio XI avesse fatto ciò che oggi molti reclamano (compreso anche qualche
esponente del mondo ebraico), o meglio, un’accusa frontale contro le leggi razziali e di
conseguenza un’ accusa contro il nazi-fascismo, il popolo ebraico, in termine di vite
umane avrebbe pagato un prezzo molto più alto di quello che pagò. Ed oggi le
ideologie del male tramite i loro “pifferai magici”, sarebbero ben felici di accusare la
Chiesa che avrebbe fatto meglio ad adottare un atteggiamento più prudente.
Ciononostante ancora oggi da più parti si continua a parlare di una cripto-simpatia di Pio
XI per l’antisemitismo.
Gubbio, 28 agosto 2018 don Angelo M. Fanucci, Rettore della Chiesa di S. Maria de’
Servi a Corso Garibaldi Residenza Pierfrancesco, Via Elba 47, 06024 Gubbio (PG)
075 922 11 50 347 35 51 044
LA TEOLOGIA DI PAPA FRANCESCO, 9
LA DEBOLEZZA DI DIO PER L’UOMO
(AL: Amoris Laetitia; EG: Evangelii gaudium; EN: Evangelii nuntiandi; ES: Eserciti Spirituali;
GS: Gaudium et spes; LG: Lumen gentium; LS: Laudato si’; MeM: Misericordia et Misera; RS:
Ratio studiorum)
secondo
JÙRGEN WERBICK
CAPITOLO IV (2)
LA GIUSTIZIA COME DONO
Eccola, la vera prospettiva TEO/logica della giustizia, quella che sostengono
l’episcopato sudamericano con il Documento finale della Conferenza episcopale di Aparecida e
papa Francesco con la Esortazione apostolica Evangelii gaudium: la giustizia è un dono che
Dio ha fatto alla creazione nell’atto di comunicarle l’essere.
La giustizia umana richiede che si facciano partecipare e si facciano pienamente entrare
gli esclusi nell’οικονομία della società e della Chiesa. L’esclusione, il rifiuto della
partecipazione sono per principio contrari all’οικονομία della creazione.
Difficile escludere qualcuno. Quando, per qualsivoglia ragione, fosse indispensabile
escludere qualcuno, sarebbe necessaria una rigorosa legittimazione di quella scelta. Tutte
le strategie di legittimazione da questo punto di vista suscitano il sospetto, difficile da
eliminare, di una prevenzione ideologica da parte dei corrispondenti interessi di potere.
Ciò che dal punto di vista strettamente teologico è ovvio porta a una partecipazione che
sia giusta nei confronti dell’uomo e della creazione. Ciò che non è completamente e
assolutamente ovvio non solo deve avere di per se stesso dei buoni motivi, ma si deve
poter dimostrare che è al servizio di ciò che è teologicamente ovvio, quando ciò deve
avvenire in modo lecito.
Impossibile accettare l’ingiustizia sociale. Inaccettabili, in quanto fondamentalmente
contrarie alla creazione, sono «le condizioni di vita per le quali molti uomini restano
disprezzati, esclusi e abbandonati alla loro sofferenza e miseria».
Esse, dice Francesco:
contraddicono il «progetto del Padre,
sollecitano i credenti a impegnarsi più fortemente a favore della cultura
della vita.
Così questi sono esortati a impegnarsi perché vengano messe da parte le gravi
disuguaglianze sociali e le enormi differenze nell’accesso ai beni (Aparecida, n. 358).
I credenti devono
condividere l’opzione per i poveri e gli esclusi,
essere presenti con solidarietà fattiva «nelle nuove realtà di esclusione e
marginalizzazione, dove vivono i più deboli e la vita è più fortemente minacciata».
La Conferenza episcopale latinoamericana guarda con particolare attenzione
ai nuovi esclusi: ai migranti e alle vittime della violenza, ai profughi e ai rifugiati, alle vittime di
rapimenti e di commercio di esseri umani, ai desaparecidos, alle persone ammalate di AIDS e di
altre pandemie, ai tossicodipendenti e alle persone anziane, ai bambini e bambine che diventano
vittime di prostituzione, pornografia e violenza o del lavoro infantile; alle donne maltrattate che
sono escluse dalla società e vittime della tratta di esseri umani ai fini di uno sfruttamento
sessuale; ai portatori di handicap, ai grandi gruppi di uomini e donne senza lavoro, a tutti coloro
che sono esclusi per analfabetismo tecnologico; agli uomini che vivono per le strade delle metropoli,
agli indigeni e agli afro-americani, agli agricoltori senza terra e ai minatori (Aparecida, n.
402).
Per motivi squisitamente teologici. Il vero scandalo consiste nel fatto che tutte queste
persone sono rimaste fuori, o addirittura allontanate, dai processi di crescita con i quali la “creatio
continua” vuole portare gli uomini allo sviluppo pieno della vita.
I cristiani obbediscono a quello statuto della realtà, secondo cui la vita trova compimento
solo attraverso l’inserimento in una communio di creazione e di vita, «attraverso una
comunione giusta e fraterna». Essi possono davvero accogliere l’offerta di vita in Cristo
che viene loro avanzata solo entrando in un dinamismo di liberazione integrale, di
umanizzazione, di riconciliazione e di inserimento sociale» (Aparecida, n. 359). Questo
dinamismo che li integra nella società è la proiezione di quel dinamismo della creazione
con il quale Dio fa partecipare gli uomini alla sua creatività e porta la loro vita alla
pienezza.
Il nostro sistema economico Tuttavia - secondo l’EG - l’intero sistema economico è
costruito sull’esclusione e sulla marginalizzazione, che sono contrari alla creazione. Per
questo, l’Esortazione apostolica pronuncia un netto
no a un’economia dell’esclusione e della iniquità. [...] Questa economia uccide. Essa, infatti,
obbedisce alla legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di
questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro,
senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di
consumo, che si può usare e poi gettare. [...] Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello
sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua
stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei
bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma
rifiuti, “avanzi” (EG, n. 33).
La presenza di quanti si trovano fuori dal giro di questa economia non viene nemmeno
avvertita. I padroni del vapore hanno adottato uno «stile di vita che “non vuole essere
più disturbato dagli esclusi”, una «globalizzazione dell’indifferenza» nei confronti di tutto
quello che avviene e si subisce «al di fuori» (EG, n. 54).
Un sistema di potere contrario alla creazione.Siamo dunque di fronte un potere
contrario alla creazione, il potere strutturale del male, che proprio per aver investito la
struttura della vita tende a invadere ogni cosa: Come il bene tende a comunicarsi, così il male a
cui si acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente
le basi di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido possa apparire. Se ogni azione ha delle
conseguenze, un male annidato nelle strutture di una società contiene sempre un potenziale di
dissoluzione e di morte. È il male cristallizzato nelle strutture sociali ingiuste, a partire dal quale non ci
si può attendere un futuro migliore (EG, n. 59).
Se la cultura dell’uomo è la sua autocoltivazione, qui siamo di fronte ad una vera e
propria anti cultura, l’anticultura dell’esclusione e del disfacimento.
I credenti e le Chiese sono chiamati a contrastarla per un motivo estremamente
profondo: perché la creazione possa avere un futuro; devono testimoniare la scelta
dell’inclusione creazionale che è il gesto dello stesso Creatore, con cui egli vuole far
entrare le creature, e in particolare gli uomini, nel processo dello sviluppo della
creazione, facendoli partecipare ad esso da protagonisti.
EG fa appello alle Chiese, in primo luogo a quella cattolica, perché si lascino alle spalle la
mentalità dell’esclusione. A esse sono affidati il Vangelo e i beni di grazia che Gesù
Cristo ha dato loro nel cammino per salvare gli uomini dal destino maligno.
Questo è il motivo profondo per cui la Chiesa di Gesù Cristo deve «essere sempre
una casa aperta, la casa del Padre», «una Chiesa con le porte aperte», che non si
chiude alla necessità e allo stato di abbandono degli esclusi – anche se spesso
sono stati resi tali proprio da lei (cfr. EG, nn. 46-47).
Non siamo di fronte ad un impegno genericamente morale, ma ad un motivo
rigorosamente teologico: Nella Parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di
“uscita” che Dio vuole provocare nei credenti e con cui li contagia con la gioia dello Spirito Santo per
farli “uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno
della luce del Vangelo” (EG, n. 20).
ALLA RADICE: LA «DINAMICA DELL’ESODO. La dinamica dell’esodo e del
dono, dell’uscire da se stesso (EG, n. 21) coglie il movimento più profondo e proprio
di Dio, quel suo uscire-da-sé nella creazione che poi Gesù Cristo ha riproposto tra gli
uomini.
Egli è andato dagli emarginati, proprio per testimoniare a essi che Dio esiste
per loro.
Egli invita sempre a «correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro,
con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la
sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo» (EG, n. 88).
Uscire da sé per stare vicini agli esclusi, lasciarsi commuovere e compromettere dal loro
bisogno; reinserire gli abbandonati all’interno della rete di una vita insieme proficua per
la creazione, nel «gregge» di quelli che cercano la vita tra di loro e la trovano nella
presenza di Dio, nella signoria di Dio: Gesù Cristo la ritiene una missione (cfr. Le 15,3-
6) e vuole affidarla a quelli che accolgono la strada che ha tracciato. Insieme a lui essi
devono «prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli
incroci delle strade per invitare gli esclusi». Insieme a lui avvertono «un desiderio
inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del
Padre e la sua forza diffusiva». Come Cristo «la Chiesa sa “coinvolgersi”. Gesù ha lavato i
piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi» (EG, n. 24).
Dio esce da sé soprattutto coinvolgendosi - nel suo Cristo - nella ricerca di quanti
sono perduti, per accoglierli nella sua misericordia.
E VUOLE CHE ANCHE LA CHIESA SI COINVOLGA IN QUESTO
MOVIMENTO DI USCITA –UN MOVIMENTO DI MISERICORDIA - superi il
proprio egocentrismo e si lasci alle spalle il narcisismo ecclesiale (cfr. EG, nn. 20-21). In
tal modo abbiamo toccato un tema conduttore dell’annuncio che papa Francesco fa di
Dio, un tema che attraversa come nessun altro tutti gli aspetti dell’esercizio del suo
ministero, ma anche delle sue opzioni teologiche: la misericordia di Dio.
9.a continua
***
ALLA RICERCA DELLA TEOLOGIA
CHE MOTIVA E ARTICOLA LA RADICALITÀ
DELL’IMPEGNO CRISTIANO CONTRO L’EMARGINAZIONE
I - 6
di don Angelo M. Fanucci
(EMARGINAZINE E SOCIETÀ)
IL FASULLO TENTATIVO DI
LEGITTIMARE LO STATO DELL’ARTE
A legittimare il dato di fatto dello sviluppo strutturalmente segnato dallo squilibrio è
intervenuta la teoria delle giuste disuguaglianze.
6. La “giusta disuguaglianza”
Oggi si parla moltissimo di solidarietà e pochissimo d’uguaglianza. Un atteggiamento
tipico della destra, per la quale solidarietà e uguaglianza sono inversamente
proporzionali: meno gli uomini sono uguali, più deve crescere la "generosità verso i
deboli".
Ma anche la sinistra, per la quale solidarietà e uguaglianza dovrebbero essere
complementari, parla sempre meno di uguaglianza. Basta compulsare qualcuno dei suoi
documenti, e constatare che all’uguaglianza spesso tocca solo un piccolo spazio, poco
più che rituale.
6.1 Un tentativo di legittimazione
In sostanza - si dice - una volta tramontate le stagioni delle utopie, è puerile continuare a
perseguire l'uguaglianza tra gli uomini. L'unica cosa saggia da fare è governare la
disuguaglianza.
In fondo - si dice - il nostro mondo una SOSTANZIALE uguaglianza l'ha assicurata a
tutti, e dunque non bisogna demonizzare la disuguaglianza, quanto piuttosto delineare i
parametri idonei a caratterizzare come giusta o ingiusta una certa disuguaglianza"i. Les jeux
sont faits: il problema dell'uguaglianza s'è convertito nel problema dell' "equa
disuguaglianza". L' "equa disuguaglianza" è il volto concreto di quell' "uguaglianza
sostanziale" che senza questa precisazione rimarrebbe una fumisteria. A questa
impostazione s’è vigorosamente opposto, negli ultimi anni della sua vita, Norberto
Bobbio1.
Era stato John Rawls che, a partire dal 1973, aveva più di ogni altro accreditato in
Occidente il concetto di "disuguaglianza giusta" 2.
Siccome non esistono né la libertà assoluta, né l’assoluta uguaglianza, un programma
politico sarà moralmente corretto non quando punterà in maniera utopica e fallace a
rendere tutti ugualmente liberi, ma a massimizzare concretamente la libertà dei suoi
membri, e quando prometterà ai suoi non l’uguaglianza assoluta (che non potrà mai
realizzare), ma la più concretamente giusta tra tutte le uguaglianze possibili.
Quello che conta, in proposito, è
o che il sistema delle disuguaglianze sociali ed economiche sia tale da
garantire il miglioramento delle condizioni di vita anche di colui che occupa
l'infimo gradino della scala sociale;
o che rimanga sempre e comunque uguale per tutti "la possibilità di accesso a
tutte le posizioni sociali".
6.2 Una legittimazione fasulla
Rawls è la mosca cocchiera di un carro che galoppa secondo ben altri interessi che quelli
scientifici.
E infatti da subito c'è stato chi, a proposito di "equa disuguaglianza", ha calcato la mano
molto più sul sostantivo ("disuguaglianza") che non sull'aggettivo ("equa").
C’era da aspettarselo: inesorabilmente l'equa disuguaglianza secondo Max Hellerii3tende a
diventare vera e propria ingiustizia sociale. Lo dimostra l’analisi di tre settori emblematici:
1. il settore delle opportunità di lavoro: esse crebbero ovunque in Occidente fra gli
anni ‘60 e gli anni ‘80 (del 30% negli Usa, del 10% in Giappone), ma dopo la crisi
del 1975 si andò gradualmente affermando la tendenza strutturale ad espellere
stabilmente e selettivamente giovani, donne, soggetti privi d'istruzione, handicappati (il
"climax" è in crescendo);
2. il settore delle opportunità di istruzione; dopo i sogni di una scuola che
"producesse uguaglianza", (anni ‘60, Barbiana docet: era questa la più radicale delle
proposte di don Milani), lo Heidenheimer4 ha dimostrato che in tutto l'Occidente
1cfr.Destra e sinistra, Donzelli 1994, 83-90 2 J.RAWLS, A theory of justice, Oxford-New York 1973 3cfr Significato e dimensioni delle disuguaglianze" in AA. VV:, Disuguaglianze ed equità in Europa, a cura di L.
Gallino, Laterza 1993, 3 e 12-28 4in Education and social security. Entitlements in Europe and America, New Brunswick/London 1981
la scuola si dedica prevalentemente ad elaborare sistemi di sicurezza sociale obbligatori per
le classi inferiori, come mezzo di dissuasione da aspirazioni di carriera non realizzabili;
3. il settore della suddivisione dei redditi; il reddito pro capite nel 1984 collocava
molto al di sopra della media Svizzera, Svezia e Norvegia, poco sopra la media
Austria, Belgio e Inghilterra, sotto la media le "periferie europee" (Italia, Spagna,
Irlanda, Grecia, Portogallo, Turchia: qui il "climax" è in calando); tra la prima della
classe (la Svizzera) e l'ultima (la Turchia) il rapporto è di 13 a 1.
Per quanto riguarda il settore dell’emarginazione, nel contesto agghiacciante della "logica
dei due terzi" era più che naturale che silenziosamente venissero svilite alcune
significative conquiste: si pensi all'assegno di accompagnamento che, nato per "accompagnare"
un invalido nei posti di studio o di lavoro, s'e rapidamente deteriorato in pensione
supplementare. Si pensi all'abolizione delle barriere architettoniche, una tematica che si è
sempre più tecnicizzata, concentrandosi sugli elementi materiali di quelle barriere, invece
che dilatarli ben oltre i dati dei rilievi planimetrici.
La teoria di Rawls è un éscamotage che al massimo può tornare utile ad affrontare una
situazione socio/politica contingente, ma non potrà mai assurgere a modulo di governo.
Esiste un solo obbiettivo che propriamente è degno della nostra umanità, anche se va
ricalibrato ogni giorno: battersi contro tutte le disuguaglianze. È il culto dell'uguaglianza,
e non l'accettazione delle disuguaglianze, che va sempre rimesso al centro della tensione
morale e civile.
634. E i frutti sono stati amarissimi
In occasione del Forum Economico Mondiale di Davos del 2018, le magagne del sistema
economico attuale sono emerse in tutta la loro devastante tragicità.
OXFAM (onlus “Insieme contro la povertà”) denuncia che questo sistema consente solo
a una ristretta élite di accumulare enormi fortune, mentre centinaia di milioni di persone
lottano per la sopravvivenza con salari da fame.
In Europa ci sono 342 miliardari (con un patrimonio totale di circa 1.340 miliardi di
euro) e 123 milioni di persone – quasi un quarto della popolazione – a rischio povertà
ed esclusione sociale.
Un quadro che riguarda anche l’Italia, dove il 20% degli italiani più ricchi oggi
detiene il 61,6% della ricchezza nazionale netta, mentre il 20% degli italiani più
poveri ne detiene appena lo 0,4%.
Tra il 2009 ed il 2013 il numero di persone che viveva in una condizione di grave
deprivazione materiale, vale a dire senza reddito sufficiente per pagarsi il riscaldamento o
far fronte a spese impreviste, è aumentato di 7.5 milioni in 19 paesi dell’Unione
Europea, inclusi Spagna, Irlanda, Italia e Grecia, arrivando a un totale di 50 milioni. In
Italia dal 2005 al 2014 la percentuale di persone in stato di grave deprivazione materiale è
aumentata di 5 punti (dal 6,4% all’11,5%). Sono quasi 7 milioni di persone, e tra di
loro ad essere più colpiti sono i bambini e i ragazzi sotto i diciotto anni.
Dalla classifica che ordina gli Stati membri dell’Unione europea secondo 7 parametri (tra
questi disuguaglianza di reddito, deprivazione materiale, divario retributivo di genere),
appare chiaro che nessun paese è immune da elevati gradi di disuguaglianza, con paesi
come Bulgaria e Grecia che registrano il peggior risultato. Se la disuguaglianza nel
reddito disponibile è maggiore in Bulgaria, Lettonia e Lituania, è importante rilevare che
anche paesi come Francia e Danimarca hanno visto un aumento di questa dimensione
della disuguaglianza tra il 2005 e il 2013.
Anche chi ha un lavoro è a rischio di cadere nella trappola della povertà: questa
probabilità è particolarmente alta anche in Italia, dove l’11% delle persone tra i 15 e i 64
anni che lavorano è a rischio di povertà, un dato che ci posiziona al 24° posto tra i
ventotto paesi dell’Unione Europea. Anche in paesi-traino della UE, come la
Germania questo dato sta aumentando. Sempre in tema di reddito da lavoro, l’Europa
non è immune dal divario salariale tra uomini e donne: sono Lettonia, Portogallo, Cipro
e Germania gli stati nei quali le discriminazioni retributive sono più gravi.
La classifica mostra anche come le politiche di governo possano contribuire ad
accrescere o diminuire le disuguaglianze: il sistema fiscale e previdenziale svedese, per
esempio, è il più avanzato in Europa e favorisce una riduzione delle disuguaglianze di
reddito del 53%, mentre il sistema fiscale e previdenziale italiano, tra gli ultimi
posti della classifica, ha permesso nel 2013 una riduzione della disparità di
reddito solo del 34%.
Un’Europa per tutti e non per pochi rivela anche che, il grande potere d’influenza dei
super ricchi, delle multinazionali e di una parte del settore privato a livello nazionale ed
europeo, non fa che accrescere povertà e disuguaglianza in tutto il continente. Sulle
norme fiscali, per esempio, l’82% dei componenti del gruppo che elabora
raccomandazioni per l’Unione europea sulla riforma del settore fiscale appartiene al
settore privato e commerciale.
Dichiarazione di Roberto Barbieri, direttore di Oxfam Italia:
“In Europa – come del resto in tutto il mondo – la povertà e l’aumento della
disuguaglianza non sono fenomeni inevitabili, ma sono l’effetto di scelte
politiche troppo spesso effettuate tenendo in conto l’interesse di pochi e non
quello di tutti i cittadini europei. Per questo chiediamo all’Unione Europea e ai
suoi Stati Membri una maggiore trasparenza sul modo in cui vengono definite le
politiche economiche e sociali. Perché non sia sempre una minoranza – potente e
ben organizzata, ma pur sempre minoranza – di gruppi ricchi e potenti a dettare
leggi che hanno un impatto sulla vita di tutti noi e che colpiscono in particolare i
gruppi più vulnerabili”.
6.4 La riedizione nostrana del “governo delle disuguaglianze”
Una riedizione nostrana, tipicamente italiana, della tesi della giusta disuguaglianza è la
"teoria dei due tempi dell'intervento sociale". Chi oggi sostiene che l'Italia deve PRIMA
risanare il debito pubblico, e solo POI affrontare i problemi dei poveri aggrega consensi
a man bassa.
Come è stata una follia mantenere (ben al di là di tante dichiarazioni di segno opposto) la
dimensione regionale della questione meridionale: la questione meridionale è una
questione nazionale, la sua mancata o parziale soluzione non inguaia solo il Sud, ma
inceppa lo Stato tutto intero.
C'è solo un modo per uscire dai problemi: uscirne tutti insieme. Era la definizione che
don Milani dava della politica: uscirne insieme è politica, uscirne da soli è egoismo.
6. continua