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MERIDIANA RIVISTA DI STORIA E SCIENZE SOCIALI 67 DONNE DI MAFIA VIELLA Estratto della pubblicazione

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MERIDIANARIVISTA

DI STORIAE SCIENZE

SOCIALI67

DONNE DI MAfIA

VIELLA

La lente di genere è una prospettiva fe-conda negli studi sulla criminalità organizza-ta meridionale, dalla strutturazione storica ai mutamenti epocali del secondo Novecento. Nelle turbolenze dell’espansione contem-poranea, si può dire che i fenomeni mafiosi confermino la loro natura adattiva nel la-sciare alle donne crescenti possibilità nella gestione economica e nella stessa delega di potere, a fronte della forte assenza maschile per carcerazioni e latitanze. Nonostante la perdurante esclusione dall’affiliazione e il ca-rattere strumentale e temporaneo delle dele-ghe alle donne di famiglia, gli spazi da queste occupati segnano uno scarto netto rispetto a un passato di esclusione dalla rete «stretta». Benché la donna sia tradizionalmente esclusa dalle organizzazioni fortemente strutturate dai maschi con strategie violente di potere territoriale di tipo militare, negli ultimi de-cenni due fenomeni hanno infatti dato una inedita visibilità alla situazione delle donne nel mondo mafioso: il pentitismo con le con-nesse possibilità di scegliere tra diverse lealtà, e i processi sociali generali di emancipazione femminile. L’evoluzione si riflette anche a li-vello giudiziario, con il relativo superamento della differenziazione di genere nel tratta-mento processuale e dunque con l’inclusio-ne delle donne almeno nel concorso esterno del 416 bis, mentre intanto l’estendersi della collaborazione incrina la regola del silenzio e apre alle donne le strategie di scelta del caso.

Queste tematiche attraversano i diver-si contributi ospitati in questo numero di «Meridiana», già presentati nel panel dedica-to a Gli spazi delle donne nella criminalità organizzata meridionale tra XIX e XXI se-colo: ruoli, pratiche, identità, che si è svolto nel Quinto Congresso della Società Italiane delle Storiche (Napoli, gennaio 2010). Nel-le ricerche su contesti e casi sia storici che contemporanei, vengono a fuoco problema-

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MERIDIANARivista quadrimestrale dell’Istituto meridionale di storia e scienze sociali

Direttori:Maurizio Franzini, Salvatore Lupo.

Comitato di redazione: Antonio Agosta, Bianca Arcangeli, Laura Azzolina, Nicoletta Bazzano (esecu-tivo), Ada Becchi, Francesco Benigno (esecutivo), Piero Bevilacqua, Jean Louis Briquet, Antonino Blando, Sergio Bruni, Gabriella Corona (esecutivo), Giuseppe Croce, Ida Dominijanni (direttore responsabile), Matteo Di Figlia, Giuseppa Di Gregorio, Alessandra Dino, Maurizio Franzini (esecutivo), Anna Giunta, Elena Granaglia (esecutivo), Salvatore Lupo (esecutivo), Marcella Marmo (esecutivo), Alfio Mastropaolo (esecutivo), Maria Minicuci (esecutivo), Marina Montacutelli, Antonio Nicita, Gabriele Pedullà, Marta Petrusewicz, Simona Piattoni, Michele Raitano (esecutivo), Biagio Salvemini, Rocco Sciarrone (esecutivo), Luca Scucci-marra (esecutivo), Pietro Tino, Marcello Verga, Angelo Ventrone (esecutivo).

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Amministrazione: Viella S.r.l., via delle Alpi, 32 00198 Roma; tel./fax: 06 8417758, 06 85353960; e-mail: [email protected]; internet: www.viella.it.

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© 2011 Imes, Istituto meridionale di storia e scienze socialiISSN 0394-4115 ISBN 978-88-8334-548-7 Pubblicazione quadrimestrale, anno XI, n. 67, 2010Registrazione presso il Tribunale di Roma, n. 144 del 31 marzo 1987

Prima edizione (ebook):marzo 2012ISBN 978-88-8334-830-3

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MERIDIANARIVISTA

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«Meridiana» ringrazia il Ministero per i Beni e le Attività Culturalie la Banca d’Italia

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MERIDIANA

Indice

9 Che differenza fa

di Gabriella Gribaudi e Marcella Marmo

21 Tendenze e prospettive

di Renate Siebert

22 1. Il nesso tra famiglia parentale e famiglia/clan criminale, tra affetti e affari criminali 24 2. Parole pronunciate in prima persona, il ruolo del linguaggio, della comunicazione e di una certa «diversità cognitiva» 26 3. La questione della violenza in un’ottica di genere 27 4. La questione dell’emancipazione

35 Donne, ’ndrangheta, ’ndrine. Gli spazi femminili nelle fonti giudiziarie

di Ombretta Ingrascì

36 1. La ’ndrangheta, una struttura in trasformazione 41 2. Donne e ’ndrangheta. La sorella d’omertà 47 3. Donne e ’ndrine: agenti della violenza privata 52 4. Il fuori e il dentro. La soglia del potere ’ndranghetista

Narrazioni al femminile di Cosa nostra

di Alessandra Dino

55 1. Premessa 58 2. Prospettive di genere 62 3. I tanti volti di Giusy Vitale 69 4. Carmela Rosalia Iuculano: la ricerca di un’identità

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Indice

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«È la giustizia che mette in mezzo le donne»: il carcere, la mafia, le donne

di Monica Massari

79 1. La questione delle fonti e delle rappresentazioni molteplici della «realtà» 82 2. Alla ricerca di un senso 84 3. Le donne della Casa di Borgo San Nicola 91 4. Riflessioni conclusive

Donne violente e donne criminali a Napoli nelle fonti di polizia giudiziaria (1888-94)*

di Antonella Migliaccio e Iolanda Napolitano

95 1. La fonte di polizia giudiziaria 98 2. Donne violente 102 3. Donne criminali 109 4. Due donne camorriste

La rima amore/onore di Pupetta Maresca. Una primadonna nella camorra degli anni cinquanta

di Marcella Marmo

113 1. Aspettava un bambino e aveva vent’anni 115 2. Corso Novara 1955-59, una storia di dopoguerra 124 3. La rima amore/onore nella scena giudiziaria 136 4. Il dolore e l’odio nel racconto della vita

Donne di camorra e identità di genere

di Gabriella Gribaudi

145 1. Una rete di donne nel mercato della cocaina 147 2. Indietro nel tempo 148 3. Le donne dei clan camorristi nella Napoli contemporanea 153 4. «Sono guappa, non mi metto paura di nessuno!»

155 L’emergenza rosa. Dati e suggestioni sulle donne di camorra

di Anna Maria Zaccaria

158 1. Donne, crimini e misfatti

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Indice

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167 2. «Capesse» 172 3. Riflessioni

Saggi

Le divergenze parallele. Le organizzazioni di interessi nel sistema politico bipolare

di Mimmo Carrieri

175 1. Il passaggio dopo la Repubblica dei partiti 179 2. La centralità dei governi nel sistema politico successivo al 1994 181 3. Le logiche degli attori sociali nel bipolarismo 190 4. Le dinamiche evolutive nelle organizzazioni di rappresentanza 196 5. Spunti conclusivi

La questione idroviaria: politiche territoriali e trasporti nell’Italia del boom economico

di Matteo Proto

201 1. La politica e il territorio 202 2. L’idrovia Locarno-Venezia 210 3. Le divergenze sul tracciato: la navigazione del Po e la grande idrovia pedemontana 213 4. Il dibattito parlamentare e il fallimento del progetto 220 5. Note conclusive

I giorni filmati

223 Tragedia, sceneggiata e astrazione: Luna Rossa di Antonio Capuano

di Emiliano Morreale

229 Gli autori di questo numero

233 Summaries

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Che differenza fa

di Gabriella Gribaudi e Marcella Marmo

«Mer

idia

na»,

n. 6

7DONNE DI MAFIA

Nell’introdurre Le donne, la mafia, ricerca pioneristica che nei primi anni novanta svolgeva un’ampia trattazione di aspetti teorici e vicen-de specifiche, Renate Siebert chiariva come la domanda «e le donne?» possa sostanzialmente arricchire la comprensione generale del fenomeno mafia, nonché delle sue implicazioni per il destino della nostra società civile1. Questo secondo aspetto veniva argomentato considerando che la mafia è fenomeno di economia e di politica ma anche di cultura: in sintesi la negazione radicale dei diritti dell’uomo, la prepotente signoria terri-toriale il cui controllo si estende alle donne, tanto nella mafia storica ov-vero «tradizionale», quanto nella sua riproduzione in contesti moderni. Dunque, «porsi da un punto di vista delle donne mette necessariamente a fuoco una serie di aspetti centrati sulla soggettività, sulle strutture di coscienza, sulle modalità della socializzazione e dell’educazione»2. Que-sta prospettiva si è inserita nella nuova antimafia della stagione dei maxi-processi e del primo pentitismo, dando spazio a interpretazioni proble-matiche, eventualmente ottimiste circa le tensioni che attraverserebbero i fenomeni mafiosi anche nelle relazioni di genere, minando dall’inter-no il controllo sulle donne, a partire dal ricambio generazionale e non solo3. Benché si siano nel tempo molto ridimensionate le speranze di quella mobilitazione (in particolare palermitana)4, intorno ai successivi sviluppi di mafia e antimafia si è consolidato un filone di ricerche rivolto a studiare la nuova cospicua visibilità della componente femminile nei

1 R. Siebert, Le donne, la mafia, il Saggiatore, Milano 1994, p. 20.2 Ibid.3 Si vedano per esempio le storie in realtà molto diverse di Rita Atria, Rosetta Cerminara,

Serafina Battaglia, Pietra Lo Verso, naturalmente Felicia Impastato, ibid., ad nomen.4 Per le iniziative associative che puntano sulla voice delle donne, si veda ivi, pp. 435 e sgg., e

il bilancio nel contributo di Siebert in questo volume.

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Donne di mafia

complessi sviluppi dei fenomeni mafiosi contemporanei. In occasione del quinto congresso della Società Italiana delle Storiche, che si è svolto a Napoli tra il 28 e il 30 gennaio 2010, diversi contributi di studio si sono aggregati nel panel Gli spazi delle donne nella criminalità organizzata meridionale tra XIX e XXI secolo: ruoli, pratiche, identità. In questo numero di «Meridiana» pubblichiamo in ampia versione tali contribu-ti5, che affrontano vicende e narrazioni di mafia per differenti contesti e con metodologie e interpretazioni diverse, insieme con l’intervento della discussant Renate Siebert, che ci riporta un bilancio articolato del più lungo percorso sulla tematica donne di mafia.

La presente introduzione svolge innanzitutto una valutazione d’insie-me circa le prospettive di genere nello studio delle mafie, tra la prospettiva storica e le trasformazioni contemporanee. Propone inoltre una riflessio-ne sulla rilevanza che il prisma di genere è venuto acquistando nello svi-luppo degli studi storico-sociali sulla tematica mafiosa: l’attenzione alle donne permette infatti alla ricerca di approfondire la comprensione della complessità del fenomeno, nei suoi aspetti culturali e nei suoi molteplici punti di forza, tra paradigmi associativi e relazionali.

Studiare il rapporto tra le donne e la criminalità organizzata significa affrontare una serie di temi cruciali per gli studi di genere: le relazioni con le gerarchie del potere, il rapporto con le idee di tradizione e di modernità, il tema della violenza.

Che cosa significa essere una donna in un gruppo criminale organiz-zato? Le differenze di genere sono più forti che in altri ambiti sociali? È più marcata la subordinazione femminile? Quale il rapporto con gli altri ambiti sociali?

I gruppi criminali si caratterizzano per la capacità di usare e imporre la violenza. Storicamente la violenza è una sfera eminentemente maschile. Le guerre sono affare di uomini, il ruolo delle donne è eccezionale o marginale. Tra gli uomini in armi si crea una cultura virile specifica, che in alcuni casi amplifica ulteriormente il ruolo della forza nella costruzione della leadership maschile. Noto è il caso del battaglione tedesco di soldati di riserva utilizzato nei massacri degli ebrei in Polonia, studiato da Cristopher Browning, in cui la solidarietà tra compagni e l’identità virile dei singoli si formano sulla capacità di usare una ferocia indiscriminata

5 In versione più sintetica gli stessi contributi si leggeranno negli atti del congresso della Società Italiana delle Storiche in corso di stampa.

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Gribaudi e Marmo, Che differenza fa

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contro la popolazione civile6. Gli studi sulla guerra ci hanno a questo proposito offerto analisi e riflessioni che possono essere utili anche per studiare la criminalità organizzata7. Il monopolio della forza crea il debole e quindi il subordinato. Il leader è colui che sa esercitare con maggior vigore la violenza e creare uno stuolo più elevato di uomini e donne a lui sottomessi. In questi casi le differenze di genere si estremizzano e le gerarchie di potere, costruite sull’esercizio della forza, si fanno più manifeste. Ciò ha generato alcune coppie interpretative di opposti: da un canto i maschi e la violenza e dall’altro le donne e la non violenza, gli uomini guerrieri e le donne pacifiche. Le categorie di onore ci ripropongono tali categorie interpretative: l’onore maschile, immagine di forza e di ardimento, viene opposto alla modestia e all’umiltà femminile (la nota coppia di honor and shame dell’antropologia sul Mediterraneo)8. Nel caso delle organizzazioni criminali, dove forza e violenza costituiscono la risorsa cruciale dei gruppi e lo stesso linguaggio dell’onore si curva a rappresentare insieme le virtù militari dell’élite criminale maschile e i confini dell’organizzazione9, la divisione di genere si ripropone in diverse misure e combinazioni, nella realtà e nella rappresentazione. Come emerge chiaramente dai saggi, in molti gruppi esiste, ed è anche normata da statuti e regole formali di affiliazione, una separazione dei ruoli che attribuisce ai maschi il ruolo di organizzatori e perpetratori della violenza, ma esistono anche molti gruppi in cui la divisione è molto più sfumata e, soprattutto, le donne esercitano elevati livelli di violenza.

L’analisi ravvicinata dei casi ci consegna dunque un quadro più com-plesso di quanto appaia a una prima visione superficiale. I gruppi di mafia e ’ndrangheta consentono un’affiliazione strettamente maschile regolata da riti di ingresso e da uno statuto formalizzato; la divisione di genere è sancita da regole formali che dettano anche i comportamenti privati. Secondo queste regole le donne possono partecipare al gruppo solo in

6 Ch. Browning, Uomini comuni. Polizia tedesca e “soluzione finale” in Polonia, Einaudi Torino 1999 (ed. or. New York 1992).

7 E.J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mon-diale, il Mulino, Bologna 1985 (ed. or. Cambridge 1979); J. Bourke, Le seduzioni della guerra. Miti e storie di soldati in battaglia, Roma, Carocci 2003 (ed. or. New York 2000).

8 Il testo classico sul tema è J.G. Peristiany, Honor and Shame: the Values of Mediterranean Society, Weindenfeld & Nicolson, London 1965. Una riflessione critica sul concetto di onore ma-schile e femminile in G. Gribaudi, A Eboli. Il mondo meridionale in cent’anni di trasformazioni, Marsilio, Venezia 1990, pp. 55-73. Si veda ancora la raccolta di saggi curata da G. Fiume, Onore e storia nelle società mediterranee, La Luna, Palermo 1989 (atti del convegno di studi di Palermo, dicembre 1988), e la recensione-discussione di I. Fazio e G. Gribaudi in «Quaderni storici», 73, 1990, pp. 277-85.

9 M. Marmo, Il coltello e il mercato. La camorra prima e dopo l’Unità d’Italia, l’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2011, pp. 169 e sgg.

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Donne di mafia

maniera subordinata ai maschi. Queste sono le norme teoriche, che nella pratica danno luogo a comportamenti molto più sfumati e ambigui. L’ege-monia maschile sulla violenza, tuttavia, non sarà sostanzialmente intacca-ta, e, come capita in altri ambiti sociali, possono nascerne contraddizioni: le donne acconsentiranno alla violenza esercitata su altri, ma potranno su-bire esse stesse la violenza e l’arbitrio che potrebbe condurle a comporta-menti dissonanti. Alcune di esse si immedesimeranno nel ruolo di vittima e passeranno poi nel campo della ribellione (Dino, Ingrascì). Nei gruppi camorristi contemporanei – a differenza dell’«onorata società» attiva tra metà Ottocento e primo Novecento – non c’è una esplicita affiliazione maschile, non ci sono riti formali di affiliazione, c’è una maggiore fluidità delle reti di leadership e questo offre un maggiore spazio alle donne. Le differenze di genere nella camorra rimandano, a ben vedere, alle carat-teristiche della più ampia società napoletana: una società urbana in cui le donne degli strati popolari hanno giocato ruoli cruciali nella gestione dell’economia illegale e fin dalle epoche più lontane si sono misurate con l’esercizio della forza (Migliaccio-Napolitano, Marmo, Gribaudi). Queste antiche qualità delle pratiche femminili conducono dunque nel contesto odierno a un maggior protagonismo delle donne nella camorra e a una loro quasi totale identificazione con le reti criminali. Questo discorso vale anche per i comportamenti sessuali: la presenza di lesbiche dichiarate con ruoli di «capesse», i rapporti extramatrimoniali, le unioni more uxorio ci danno un ritratto di queste donne molto distante da quello dell’onore fem-minile fatto di modestia e di moderazione. Ma, se la divisione di genere è molto più sfumata, se le donne giocano ruoli centrali nelle reti criminali, questo implicherà da parte loro una minore vittimizzazione, una totale identificazione con il gruppo e quindi una difficile presa di distanza. Anzi prevarrà la volontà di tenere il gruppo unito, di rafforzarlo. Non a caso le pentite di camorra si contano sulle dita, mentre i loro compagni maschi sono numerosi.

A che cosa rimanda questo protagonismo femminile? Come lo pos-siamo definire? Nel caso delle donne mafiose che acquistano nuovi ruoli, o che si ribellano al gruppo, possiamo parlare di percorsi di emanci-pazione o di pseudo-emancipazione?10 Nel caso, ben poco frequente, delle donne che decidono di collaborare con le istituzioni contro i loro

10 Per queste definizioni, accanto al percorso di Renate Siebert svolto anche nel contributo qui ospitato e su cui torneremo più avanti, si veda pure la correzione del primo ottimismo «emancipazionista» svolta da O. Ingrascì, Donne d’onore. Storie di mafia al femminile, Bruno Mondadori, Milano 2007, pp. 84-91.

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Gribaudi e Marmo, Che differenza fa

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antichi compagni, siamo di fronte a percorsi di distacco dal gruppo, che rappresentano un cammino di emancipazione individuale spesso dolo-roso, che implica anche la trasformazione di pratiche e valori. Nei casi di leadership femminile o di ruoli rilevanti all’interno delle organizzazioni, le donne agiscono cercando di cambiare le pratiche interne ma in un con-testo di norme difficile da modificare e in buona parte condiviso. Come ci fa notare Ombretta Ingrascì, le trasformazioni avvengono tra contrad-dizioni e conflitti. Si veda il caso di Nunzia Graviano: ruolo di mana-ger e di leader, ma sottoposta ai voleri dei fratelli nell’ambito della sfera privata e sessuale11. Se la categoria di emancipazione può, con difficoltà, essere utilizzata per descrivere alcuni percorsi, è sicuramente inadeguata o addirittura fuorviante se applicata alle donne di camorra con ruoli di protagoniste. Siebert osserva bene come, riferita alle carriere femminili mafiose, la parola perda ogni validità euristica. Anna Maria Zaccaria pre-cisa che quest’accezione viene dalla sociologia statunitense per indicare l’allargarsi del mercato del lavoro criminale alle donne, in parallelo con processi sociali generali della modernità. In realtà, almeno nella camorra troviamo piuttosto dei modelli storici femminili che vengono da lontano e che accomunano più generazioni di donne.

Questo ci consente di fare ancora alcune riflessioni sulla categoria di emancipazione e sul suo legame con altre coppie di opposti: modernità-tradizione, sviluppo-arretratezza. Nella tradizione le donne sarebbero su-bordinate, subirebbero la violenza degli uomini, non sarebbero soggetti attivi nelle dinamiche di trasformazione sociale. Nella modernità le donne si emanciperebbero dalla subordinazione maschile e dalla violenza, si at-tutirebbero le differenze di genere. Un paradigma, questo, messo profon-damente in crisi dagli studi postcoloniali e dalle analisi della postmoderni-tà12, che perdura tuttavia quando si vanno ad analizzare le organizzazioni mafiose, per antonomasia accostate a una mitica tradizione, connotata dalle gerarchie di genere sopra descritte. I saggi qui riprodotti ci mostrano percorsi storici più complicati e controversi: subordinazione con scarse vie di uscita, ma anche chiaro protagonismo criminale fin dall’Ottocento, fenomeno che coinvolge più generazioni di donne, le cui traiettorie non possono essere interpretate secondo la categoria di emancipazione dalla tradizione alla modernità.

Un’ultima riflessione: la camorra, ma anche la ’ndrangheta e la mafia, costruiscono le loro reti sui rapporti familiari. Il cuore dei clan e delle

11 Ivi, p. 72.12 G. Ch. Spivak, A Critique of Postcolonial Reason: toward a History of the Vanishing

Present, Harvard U.P., Harvard 1999; J. Butler, Undoing Gender, Routledge, New York 2004.

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Donne di mafia

cosche è costituito da un più o meno esteso gruppo familiare. Le don-ne acquistano anche da questo punto di vista una centralità particolare, che si configura in maniera diversa nei vari casi. Può alludere semplice-mente a un tradizionale ruolo materno, a una funzione di riproduzione della cultura del gruppo attraverso l’educazione dei figli, a un ruolo di supporto alle azioni dei maschi. Esse saranno dunque madri di…, sorel-le di…, mogli di… Ma nei vasti fronti parentali che caratterizzano, ad esempio, le famiglie camorriste, sono spesso gli uomini a venire etichet-tati come mariti di…, poiché essi entrano a pieno titolo all’interno di un clan in quanto hanno sposato una delle donne del gruppo. Il prestigio del gruppo passa in questo caso per via femminile. Prendiamo il clan napoletano dei Mazzarella, uno dei più estesi e potenti della città: i tre fratelli e la sorella ereditano fama e potere non dal padre ma dalla madre, che apparteneva a una famiglia di camorristi, trafficanti di sigarette e droga da più generazioni. Essi vengono dunque identificati come i figli di Nunzia Zaza13 (e viene da ricordare la dinastia ottocentesca di Marian-na la Sangiovannara, tavernaia attiva addirittura verso la politica liberale tra 1848 e 1860 e cugina del capintesta Salvatore De Crescenzo)14. È, spesso, la documentazione giudiziaria a sottolineare il legame e l’iden-tificazione delle donne con i protagonisti maschili: avvocati, poliziotti, magistrati applicano in maniera più o meno consapevole gli stereotipi che dominano le rappresentazioni dei fenomeni mafiosi e della società in generale, tesi a escludere le donne dall’organizzazione mafiosa e quindi dalle responsabilità penali. Stereotipi che poi i mass media amplificano.

Tutto ciò non significa che si debba passare dalla visione di donne su-bordinate ai voleri e alle logiche maschili dell’organizzazione criminale a quella opposta di donne pienamente autonome, libere di agire in un campo sociale aperto. Ci troviamo di fronte a figure estremamente di-versificate, lungo un continuum ai cui estremi abbiamo leader indiscusse che incarnano pienamente valori che potremmo definire maschili e vittime completamente prostrate ai voleri dei maschi del gruppo. In mezzo mol-tissime possibilità in relazione ai contesti storici e sociali in cui le vite delle donne si pongono.

13 La storia del clan Mazzarella è in G. Gribaudi, Clan camorristi a Napoli: radicamento loca-le e traffici internazionali, in Traffici criminali. Camorra, mafie e reti internazionali dell’illegalità, a cura di G. Gribaudi, Bollati Boringhieri, Torino 2009, pp. 187-240.

14 L. Fruci, Il sacramento dell’unità nazionale. Linguaggi, iconografia e pratiche dei plebisciti risorgimentali (1848-70), in Storia d’Italia, Annali 22, Il Risorgimento, a cura di A.M. Banti e P. Ginsborg, Einaudi, Torino 2007, p. 589.

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Gribaudi e Marmo, Che differenza fa

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La presente stagione di ricerca, apertasi appunto alle biografie, ha uti-lizzato le ricche fonti giudiziarie degli ultimi cinquant’anni e ne ha inol-tre prodotte di nuove attraverso interviste e più lunghe testimonianze che risultano importanti percorsi di «colloquio tra donne»15. Il fuoco si può spostare allora da pratiche e relazioni a sentimenti e identità, un campo tanto interessante quanto particolarmente complesso da analizzare16. Si può dire in via generale che le donne di ambiente mafioso sembrano vivere con maggior forza rispetto ai loro compagni maschi, e quindi anche con maggiori contraddizioni, il rapporto con il mondo degli affetti.

Renate Siebert nelle sue osservazioni sui contributi di ricerca osserva che per molte donne di mafia «la dimensione degli affetti si sovrappone e si confonde con quella degli affari criminali in modo tale da impastarsi in una ragnatela inestricabile»17. L’attenzione delle studiose si diversi-fica in riferimento a questa ragnatela contorta. Dalle fonti pubblicisti-che sulla guerra di camorra che la vide nel 1955-59 giovanissima pro-tagonista di una guerra di camorra e da un intenso racconto di vita più recente, Pupetta Maresca emerge come una personalità forte e fredda, capace di recitare per più decenni il ruolo di protagonista di medio peso e di incassare le cospicue frustrazioni nella sua vita pubblica e privata di camorrista – provenienti da supremazie pur sempre maschili. Monica Massari analizza un documentario in cui viene messa in scena la dura vita di un gruppo di detenute della Sacra corona unita che scontano la pena per reato associativo nel carcere di alta sicurezza di Lecce. Nel filmato esse si rappresentano soprattutto attraverso il dramma della lontananza dai propri figli, producendo empatia nello spettatore e ripercorrendo di fatto lo stereotipo tradizionale della estraneità femmnile alla rete asso-ciata, per quella differenza emotiva ovvero infirmitas sexus che a livello giudiziario ha a lungo portato a ignorare o depenalizzare le connivenze

15 Ingrascì, Donne d’onore cit., p. 161; in questo volume, Dino, p. 56.16 Circa le difficoltà epistemologiche che la storia dei sentimenti incontra nella riflessione

storiografica, accanto alla recente rassegna di S. Ferente, Storici ed emozioni, in «Storica», 43/45, 2009, è ancora utile la lettura di A. Boureau, Propositions pour une histoire restreinte des mentalités, in «Annales. Economies, Societés, Civilisations», 6, 1989, che discute in chiave di «archivi espressivi» la pretesa storia dei sentimenti di ascendenza fevbriana. Si vedano pure i diversi orientamenti di ricerca confluiti in Storia e paure. Immaginario collettivo, riti e rappresentazioni della paura in età moderna, a cura di L. Guidi, M.R. Pelizzari e L. Valenzi, Franco Angeli, Milano 1992. Sul tema delle biografie e dei racconti di vita si è sviluppata in questi anni una vasta riflessione. Un approccio interdisciplinare tra psicanalisi e scienze sociali in G. Starace, Il racconto della vita. Psicanalisi e autobiografia, Bollati Boringhieri, Torino 2004. Si veda anche la discussione Tra storia e psicoanalisi. Interventi di: Antonis Liakos, Peter N. Stearns, Luisa Passerini, Daniel Wickberg, Giovanni Starace, a cura di C. Sorba, in «Contemporanea», 2, 2008, pp. 257-300. Un’analisi dell’uso della biografia nella storia in S. Loriga, Le petit x: de la biographie à l’histoire, Seuil, Paris 2010.

17 Si veda in questo stesso volume il contributo di Siebert.

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Donne di mafia

delle donne di famiglia mafiosa. Stereotipo ben manipolato dalle mafiose del film, e forse per paradosso convergente con l’ideologia anticarceraria in versione femminista della regista18, che non a caso lascia girare nella pellicola un’autorappresentazione delle detenute imperniata sul dolore materno, evitando pour cause di scavare nella loro partecipazione alla Scu, come Monica Massari non manca di osservare. Una messa a fuoco più intensa sulle personalità e le emozioni dei soggetti risulta il registro scelto da Alessandra Dino, che indaga con efficacia le diversità cognitive di due donne di famiglia mafiosa, opposte quanto a personalità forte/fragile, lungo la crisi del gruppo di comando maschile e la scelta per la collaborazione di giustizia.

È certo significativo che, nella letteratura e nelle ricerche qui presen-tate, i casi di ribellione alla logica delle morti si affollino quando a venire colpiti sono i maschi di famiglia. Anche nel profilo del lutto si segnala dunque la forte dipendenza della donna di mafia dalle dominanti figure maschili cui è legata, e non sorprende l’adesione totale alla logica della faida e della vendetta. In questo senso è difficile analizzare questi per-corsi come itinerari di emancipazione secondo una tradizionale lettura femminista (individuazione della persona a fronte di ruoli cogenti e ade-sione a valori di liberazione, irrinunciabili tra uguaglianza e differenza) lettura che sconta, inoltre, la forte impronta ideologica dei paradigmi sulla modernizzazione. Di là dalle poche effettive ribellioni alla logi-ca mortifera della mafia, che sia proprio la donna ad aprire il rituale di faida prendendo la parola per chiedere al maschio la vendetta19, indica quanto intimamente la figura femminile sia integrata nei giochi perversi delle reciprocità che reggono la cultura mafiosa, per cui alla solidarietà tendenzialmente assoluta all’interno del gruppo deve corrispondere l’ag-gressività analogamente assoluta all’esterno20.

18 L’effetto empatia con le vittime di una reclusione che «non è per le donne!», a causa dell’intrinseca differenza femminile, si rende esplicito per esempio nel blog donne&carcere, dove si legge il 29 ottobre 2010, per posta della regista Caterina Gerardi a commento di una proiezione del film, seguita da un dibattito carico di «sogni e incubi»: «Esiste un surplus di sofferenza per loro [le donne]? Sembrerebbe proprio di sì. Perché le donne sono bachi da seta. Lavorano fili, creano legami, cosruiscono connessioni […]. Un’esperienza di interruzione e sosta dolorosa com’è il carcere recide tutti quei fili. Punisce e cancella. Priva le donne del loro ruolo scatenando sensi di colpa profondissimi nei confronti dei figli, della casa, dei luoghi abbandonati […] infinite variabili forme di amore e di sofferenze».

19 Siebert, Le donne, la mafia cit., pp. 190-1.20 Secondo il modello che descrive la camorra storica, ma è riferibile al più ampio fenomeno

mafioso: M. Marmo, La città camorrista e i suoi confini, in Traffici criminali cit., pp. 41-2, Ead., Il coltello e il mercato cit., pp. 148-52.

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Quest’ultima osservazione ci porta ad alcune considerazioni conclu-sive sui contributi di conoscenza che il taglio di genere offre all’incrocio con gli studi sulla criminalità organizzata. Si può dire in sintesi che la progressiva messa a fuoco delle figure femminili confermi alcune «qua-lità» forti del fenomeno mafioso – quali la coesione del gruppo chiuso intorno a strategie estorsive e violente, l’assolutismo maschilista con-nesso alla stessa strategia di controllo militare sul territorio della mafia, l’adattamento ai mutamenti del contesto – che vanno tenute presenti a monte della ricerca sulle donne di mafia. L’istanza femminista sottesa al taglio di genere tende infatti talora a porre in termini intriganti, con interrogativi tesi a complicare l’analisi ma che possono risultare retorici – donne complici o vittime? sentimenti di amore o calcolo? dipendenza, emancipazione, pseudoemancipazione? – quelle tracce di comportamen-ti e identità delle donne di mafia, generalmente subordinati, che in realtà appaiono immediatamente congrui con la natura ben nota di potere to-talizzante della mafia. Accanto alle considerazioni già svolte sulla faida come espressione della cultura profonda del gruppo, si può osservare come l’incontrare continuamente nella ricerca situazioni subalterne, complicità strategiche e percezioni di dipendenza, pur con possibilità diverse per i contesti di mafia e ’ndrangheta più segreganti a fronte di quelli camorristi, rinvii in maniera evidente ai punti di forza del gruppo violento bene organizzato come potere territoriale: che si dà dei confini e li consolida attraverso un ferreo controllo di uomini e donne, spazi, regole e gerarchie, prima di aprirsi a un ventaglio di networks utili per molti scambi sociali21. Benché escluse, nella mafia come nella ’ndrangheta e nella Sacra corona unita, dall’affiliazione (finalizzata appunto a delimi-tare i confini del gruppo mafioso, a fissarne le regole e ad aggregare con vincolo assoluto gli uomini per la guerra), la dipendenza pronunciata delle donne di famiglia dalle strategie e dalle sorti dei maschi, cosi come le complicità e i ruoli più o meno complementari variamente svolti, rien-trano evidentemente in quella logica primaria del gruppo chiuso e coeso al suo interno, come Famiglia ma a partire dalle famiglie, senza la quale la mafia non sarebbe quello che è.

A un discorso di confini riporta l’attribuzione maschile dell’onore camorrista/mafioso, che accompagna com’è noto la forte ritualizzazio-ne maschile già ottocentesca di camorra, ’ndrangheta e mafia, e prose-gue del resto nell’affiliazione relativamente meno formale delle variegate mafie odierne: escludendo ieri come oggi le donne dall’affiliazione stessa

21 Ibid.

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Donne di mafia

e quindi dall’area onorifica densa di rappresentazione pubblica22. Però, nella nostra prospettiva di studio di condizioni e identità delle donne di gruppi mafiosi lungo le trasformazioni contemporanee, è interessante che dapprima a livello mediatico, quindi negli studi, la fuoriuscita dal cono d’ombra faccia parlare di «donne d’onore». In realtà nelle fonti solo ecce-zionalmente (in due passaggi su guerre di mafia) vediamo ricorrere per le donne questa parola fondamentale che identifica e rappresenta lo speciale gruppo di potere criminale maschile, ma si tratta di tracce significative23. Sono poi numerosi i riferimenti al prestigio riflesso che si estende dagli uomini d’onore alle loro donne, quale che sia il grado della partecipazione di queste agli affari del gruppo. Altrettanto significative le tracce di iden-tità forte, portata al comando e alla sfida – si può dire di tipo maschile –, che passano nelle biografie di donne a vario titolo attive o protagoniste di vicende di mafia24. Tracce che si fanno consistenti con l’emergere di mol-teplici figure femminili al comando nella camorra odierna.

Questa uscita delle donne dal cono d’ombra che arriva a sfiorare i linguaggi di onore, se letta in relazione agli aspetti qualificanti della storia mafiosa, conferma infine le tipiche capacità adattive del fenome-no verso le trasformazioni del contesto, aspetto tra gli altri che hanno incrinato negli studi la dicotomia tradizione-modernità, di cui si è già detto. La ricerca storico-sociale sulle mafie italiane può dunque agevol-mente collocare i crescenti spazi delle donne, che segnano sicuramente uno scarto rispetto a un passato di marginalità silenziosa, nel duttile adattamento da una parte alle odierne condizioni dell’agire economico, della resistenza alla repressione e della stessa guerra di mafia, d’altra parte al contesto di un’evoluzione culturale dei soggetti femminili in tutta la società. Alla complessità di questi processi riporta la stessa am-bigua iscrizione delle trasformazioni dei ruoli femminili nella definizio-ne di «emancipazione», che sembra muoversi come si è visto tra due poli eterogenei: un’acquisizione valoriale di libertà delle vittime dal potere totalitario mafioso, cara alla prospettiva di antimafia democratica e fem-

22 Ma il significato di potere pubblicamente riconosciuto sotteso alla parola permette ad esempio che, a latere della onorata società maschile ed estorsiva della camorra storica, si parli nelle fonti di patrona annurrata per la anziana che controllava il mercato della prostituzione affluente a Napoli, cfr. Marmo, L’onore dei violenti cit., p. 188.

23 Cfr. in questo volume Ingrascì, pp. 59; Ead., Donne d’onore cit., p. 142, qui ripresa da Marmo, pp. 143.

24 Si vedano per tutte: la ricca trattazione della biografia di Giusy Vitale (Dino); il ricorrente protagonismo, militare e mediatico, di Pupetta Maresca (Marmo); la storia di «nonna eroina» ripresa da Siebert, Le donne, la mafia cit., pp. 222 e sgg.

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minista (Siebert); la verifica sociologica, in apparenza banale, che nelle tumultuose trasformazioni contemporanee cresce lo spazio per ruoli e carriere femminili anche nella criminalità organizzata (Zaccaria). È in-teressante che le due prospettive – eterogenee dal punto di vista teorico, ed oppositive quanto alla prospettiva di antimafia –, sembrano conflu-ire nella narrazione che Giusy Vitale fa della propria vita di donna di mafia collaboratrice di giustizia (Dino). Una narrazione funambolica in equilibrio tra più mondi, spiega Dino: all’autorità giudiziaria e nell’in-tervista alla studiosa la Vitale parla a lungo dapprima delle sue scelte insieme di condivisione e contestazione del potere mafioso nelle figure dei pur amati fratelli, quindi della percezione di libertà che la sua forte personalità ha avvertito paradossalmente nella detenzione carceraria, vissuta come esperienza della riscoperta di sé a fronte della condivisa/conflittuale vita di mafia. Diremmo dunque che il caso di Giusy Vitale rientra in qualche modo nell’emancipazione indicata da Siebert come processo di individuazione, id est percorso di libertà della persona da ruoli cogenti imposti dall’esterno; senza però che questo percorso passi attraverso i valori di antimafia, in sé estranei all’orizzonte della collabo-ratrice, che onestamente si dice di niente «pentita».

È particolarmente rilevante che la crescita degli spazi delle donne nel mondo mafioso si rifletta anche a livello penale, con il superamento del paternalismo giudiziario che ha escluso le donne dal reato associativo ancora nei primi processi centrati sul 416 bis, mentre intanto l’estendersi della collaborazione ha incrinato la regola del silenzio e aperto alle don-ne le strategie di scelta del caso25. Molteplici sono dunque le prospettive di storia della mafia che riconoscono oggi una nuova collocazione del-le figure femminili nelle vicende articolate e turbolente del fenomeno di fine Novecento, tuttora in corso. Le indicazioni che le ricerche qui pubblicate suggeriscono allo sviluppo degli studi si possono in sinte-si segnalare per un verso nell’opportunità di moltiplicare lo studio di contesti e di casi, tanto con i metodi quantitativi (Zaccaria), che sarebbe bene estendere all’intera area della collaborazione anche in chiave com-parativa26, quanto attraverso analisi di aspetti culturali ed emozionali, che possono come si vede ben mettere a fuoco le ricche fonti sui soggetti provenienti dal giudiziario e produrre inoltre nuove fonti preziose at-traverso lavori di intervista. Per altro verso, l’esperienza storiografica

25 Ingrascì, Donne d’onore cit., pp. 95 sgg.26 Svolge indicazioni analitiche del pentitismo, in chiave comparativa tra Cosa nostra e

’ndrangheta, R. Sciarrone, La difficile via di uscita dalle mafie, in Traffici criminali cit., pp. 162-83.

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Donne di mafia

e delle scienze sociali suggerisce di ancorare lo studio importante della soggettività espressa dalle donne di mafia alla forza e alla complessità dei contesti in cui esse vivono, contesti certamente più cogenti di altre «situazioni» in cui donne e uomini si trovano ad agire e modellare le proprie strategie di vita27.

27 Suggestivo il richiamo alla tematica situazionista presente lungo la riflessione sul genere, nelle tensioni tra le istanze di uguaglianza e differenza sottese alla categoria, che nell’incalzante post-modernità declina in particolare la differenza dal singolare al plurale: dalla differenza che si presume connaturata alla vita femminile, alle «differenze situate», che sono da identificare al di là delle frontiere occidentali e della scala dei valori eurocentrica dello stesso femminismo, praticando una prospettiva world travelling che torna a valorizzare il genere come costruzione sociale, nella struttura familiare e nelle chance concrete del capitale sociale. Cfr. Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, a cura di S. Piccone Stella e C. Saraceno, il Mulino, Bologna 1996, pp. 19-24.

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