La legge di Quirra - E – il...

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102 103 Ogni mattina alle sette in punto il sovrintendente di polizia Marras passa a prendere il procuratore capo Domenico Fiordalisi al suo alloggio in commissaria- to. La Hyundai bianca percorre una breve serie di tornanti prima di arrivare al Tribunale di Lanusei, capoluogo della provincia di Ogliastra. Marras, ca- pelli brizzolati, fisico sottile e agile, non perde mai d’occhio il procuratore. Il suo sguardo attento moni- tora tutto ciò che accade nelle vicinanze. Fiordalisi La legge di Quirra di Nicola Sessa foto Francesco Nonnoi È impegnato in un’inchiesta scomoda e difficile che sta per essere chiusa: dimostrare che il poligono militare ha avvelenato uno degli angoli più belli della Sardegna. Ritratto del procuratore Domenico Fiordalisi, il magistrato che, nonostante i tanti condizionamenti, non ha girato la testa dall’altra parte della montagna che, prima in maniera brusca, poi dolce, muore sul tratto di costa che va da Bari Sardo ad Arbatax. Tutto è in perfetto ordine: i faldoni dei procedimenti sono allineati, appoggiati gli uni agli altri lungo il pavimento; sul divano, diverse pile di registri e libri. Appesi sulla parete verde pastello, alcu- ne delle onorificenze ottenute in carriera, gagliardetti e calendari delle forze dell’ordine. Della vita privata del procuratore non c’è nulla, non una sola fotografia. ha bisogno della scorta. È uno di quei magistrati che indossa la toga come un abito talare; il senso dello Stato è il suo unico credo. Per questo fa paura ai criminali. Per la stessa ragione questi lo minacciano tentando, invano, di intimorirlo. Calabrese di nasci- ta, dopo le esperienze nelle trincee anti ’ndrangheta, il procuratore chiede il trasferimento a Lanusei. Dal suo ufficio al secondo piano del Tribunale si ha una vista spettacolare. Gli occhi seguono il declivio Unica eccezione un coniglietto bianco che abbraccia la lampada sul tavolino di fianco al computer. Dall’a- gosto del 2008, Fiordalisi ha rivoltato e riorganizzato la procura: «Quando sono arrivato ho trovato cinque- mila fascicoli ancora aperti, ai quali in tre anni se ne sono aggiunti altri undicimila. Oggi, sono poco più di mille». Tutto l’arretrato è sparito. Molti procedimenti che erano sul punto di cadere in prescrizione han- no ripreso vita. «È importante che anche la giustizia

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102 103Ogni mattina alle sette in punto il sovrintendente di polizia Marras passa a prendere il procuratore capo Domenico Fiordalisi al suo alloggio in commissaria-to. La Hyundai bianca percorre una breve serie di tornanti prima di arrivare al Tribunale di Lanusei, capoluogo della provincia di Ogliastra. Marras, ca-pelli brizzolati, fisico sottile e agile, non perde mai d’occhio il procuratore. Il suo sguardo attento moni-tora tutto ciò che accade nelle vicinanze. Fiordalisi

La legge di Quirra

di Nicola Sessa

foto Francesco NonnoiÈ impegnato in un’inchiesta scomoda e difficile che sta per essere chiusa: dimostrare che il poligono militare ha avvelenato uno degli angoli più belli della Sardegna. Ritratto del procuratore Domenico Fiordalisi, il magistrato che, nonostante i tanti condizionamenti, non ha girato la testa dall’altra parte

della montagna che, prima in maniera brusca, poi dolce, muore sul tratto di costa che va da Bari Sardo ad Arbatax. Tutto è in perfetto ordine: i faldoni dei procedimenti sono allineati, appoggiati gli uni agli altri lungo il pavimento; sul divano, diverse pile di registri e libri. Appesi sulla parete verde pastello, alcu-ne delle onorificenze ottenute in carriera, gagliardetti e calendari delle forze dell’ordine. Della vita privata del procuratore non c’è nulla, non una sola fotografia.

ha bisogno della scorta. È uno di quei magistrati che indossa la toga come un abito talare; il senso dello Stato è il suo unico credo. Per questo fa paura ai criminali. Per la stessa ragione questi lo minacciano tentando, invano, di intimorirlo. Calabrese di nasci-ta, dopo le esperienze nelle trincee anti ’ndrangheta, il procuratore chiede il trasferimento a Lanusei. Dal suo ufficio al secondo piano del Tribunale si ha una vista spettacolare. Gli occhi seguono il declivio

Unica eccezione un coniglietto bianco che abbraccia la lampada sul tavolino di fianco al computer. Dall’a-gosto del 2008, Fiordalisi ha rivoltato e riorganizzato la procura: «Quando sono arrivato ho trovato cinque-mila fascicoli ancora aperti, ai quali in tre anni se ne sono aggiunti altri undicimila. Oggi, sono poco più di mille». Tutto l’arretrato è sparito. Molti procedimenti che erano sul punto di cadere in prescrizione han-no ripreso vita. «È importante che anche la giustizia

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“minuta” faccia il suo corso, perché così i cittadini per-cepiscono che lo Stato si occupa anche delle loro piccole questioni». Fiordalisi, però, non si è fermato qui. Grazie al suo intuito, ha dato una svolta decisiva a un’inchiesta che languiva da dieci anni, quella sull’omicidio dell’imprendi-trice Rosanna Fiori, nipote di Francesco Cossiga e titolare della Barbagia Flores, la seconda serra più grande d’Euro-pa, con un fatturato che negli anni Novanta si aggirava sui cinque miliardi di lire annui. Nel primo anno di servizio alla procura di Lanusei, ha portato a termine un’opera-zione spettacolare a Ilbono, facendo circondare il paese e procedendo a un maxi arresto di ventuno criminali. E poi, lotta allo sfruttamento della prostituzione, operazioni antidroga, sequestri di oltre cento villette abusive. Troppo rumore per una zona come quella della bassa Barbagia. Le scritte di minaccia sui muri contro il procuratore e la sua famiglia, gli squarci nelle ruote della macchina della moglie lo hanno costretto ad accettare la scorta e, con dolore, ad allontanare la famiglia dalla Sardegna. «È stato necessario: mia moglie e i miei figli non sono costretti a vivere in un carcere e io mi sento più libero di svolgere il mio lavoro», dice Fiordalisi mentre con un dito cerca di cancellare una macchia che non c’è dalla sua scrivania.Non importa. Chi come questo magistrato – e sono sem-pre meno – cerca di compiere il proprio dovere fino in fondo, sa a cosa va incontro e sa anche che il più delle volte si è soli contro molti.Stava quasi per rilassarsi, il procuratore: aveva fatto un ottimo lavoro con l’arretrato e non gli rimaneva che gestire l’ordinario. Nel gennaio di quest’anno, però, i quotidiani Nuova Sardegna e Unione Sarda ritirano fuori la storia della “Sindrome di Quirra”: tumori sopra la media, morti premature, agnelli nati con gravi malfor-

Il poligonoll Poligono interforze Salto di Quirra (Pisq) è operativo dal primo luglio 1956. Si estende su un’area complessiva di 12.700 ettari e si trova nei territori dell’Ogliastra e del Sarrabus. I poligoni sono situati pressoil paese di Perdasdefogu. Lungo la costa si giunge a Capo San Lorenzo. Qui vi si addestrano unità della Nato e della Sesta flotta con attività nelle varie combinazioni terra-aria-mare. Il poligono è stato messo a disposizione anche di aziende private per i test di armi e materiale altamente tecnologico. Il costo di una singola sessione si aggira intorno ai 50mila euro per ora. Inquietante la casistica: negli anni Ottanta, a Escalaplano (2.500 abitanti) nove bambini sono nati con gravi malformazioni; a Quirrasi sono registrati 30 casi di tumore su 150 abitanti; a Tintinau, tre fratelli, pastori, si sono ammalati di cancro. Circa 35mila ettari del territorio sardo sono sottoposti a servitù militare.

Gli ultimi mesiA gennaio due quotidiani sardi pubblicano la relazione medica Lorrai-Mellis che attestano i danni prodotti su persone e animali dalla “Sindrome di Quirra”. La procura della Repubblica di Lanusei apre un’inchiesta. Due mesi più tardi, vengono acquisiti oltre duemila filmati dalla videoteca del Poligono di Perdasdefogu. La Commissione parlamentare d’inchiesta dà il via libera alla ricerca epidemiologica. A maggio, su richiesta del procuratore, il Gip ordinail sequestro preventivo del poligono: 120 chilometri quadrati, il più grande sequestro d’Europa. Il comandante della base, nominato custode giudiziario, firma l’ordinanza di sgombero. I pastori ottengono una proroga fino al 20 luglio. A giugno scatta il sequestro probatorio per 180 giorni di 12 radar fissi e uno mobile. Cominciano le proteste dei pastori. A luglio viene sequestrato un missile Milan ed eseguito in via definitiva lo sgombero del Poligono. Un mese dopo, una soldatessa di Oristano, caporal maggiore in servizio da due anni e mezzo al Pisq, dichiara di essere ammalata di cancro. È solo l’ultima vittima di una lunga lista.

mazioni. Tutto documentato, stavolta, in una relazione medica firmata dai veterinari delle Asl di Lanusei e Ca-gliari, Giorgio Mellis e Sandro Lorrai. I giornali scrivo-no che il responsabile di tutti questi casi è il poligono interforze del Salto di Quirra (Pisq), dodicimila ettari a disposizione di forze armate italiane e straniere, ma anche di ditte private costruttrici di armi e di materiali altamente tecnologici. Fiordalisi ne aveva sentito parlare in passato, certo. Ma non in termini tanto preoccupan-ti; non aveva mai immaginato che il quadro fosse così critico. Una settimana dopo, l’assessore alla Sanità sar-da, Antonello Liori, chiede un incontro con il ministro della Difesa per avere chiarimenti sul Pisq. La relazione porta alla luce dati sconcertanti: da esami comparativi compiuti tra i pascoli a ridosso del Pisq e altri situati sulle montagne del Gennargentu, risulta che il 65 per cento dei pastori – dieci su diciotto – che lavorano nel raggio di 2,7 chilometri dal poligono si sono ammalati di tu-more. Inoltre sono stati registrati casi di animali nati con gravi malformazioni, ipofertilità elevata, malformazioni minori in misura del 5-7 per cento.

Si apre il fascicolo«A quel punto cosa avrei dovuto fare? Tapparmi le orecchie, chiudere gli occhi e fare finta di niente?», sbotta il procuratore portandosi le mani sugli occhi. Chi lo conosce, sa che il passo indietro non è nella sua natura. Non c’è tempo da perdere: Fiordalisi non apre il fascicolo in base a una denuncia formale (che forse mai sarebbe arrivata), ma avvia il procedimento d’ufficio (327/2011), di sua iniziativa. Cominciano i primi sopralluoghi, la nomina di con-sulenti, l’audizione delle persone informate sui fatti, i sequestri probatori e preventivi, l’acquisizione di atti, do-cumenti in possesso della Difesa: «Sempre molto gentili e disponibili, ma bisogna sapere bene cosa cercare per-ché i generali non ti consegnano niente di più di quello

▲ Domenico Fiordalisi, procuratore della repubblica di Lanusei▶ Il paese e la spiaggia sequestrata

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che chiedi», spiega il magistrato. Una parte importante della scrivania al secondo piano del Tribunale di Lanusei è occupata da libri e studi, anche internazionali, sull’u-ranio impoverito, su altri elementi chimici e sugli effetti dannosi per l’uomo. Con grande pignoleria, Fiordalisi vuole essere in grado di capire bene in prima persona, anche senza il prezioso aiuto dei consulenti, la compo-sizione degli armamenti usati, il modo in cui l’uranio o il torio “bombardano” le eliche del Dna.Per oltre cinquant’anni, nel poligono sono state provate “armi nuove”, mentre quelle a scadenza ravvicinata sono state fatte brillare, disperdendo nell’aria elementi tossici e nanoparticelle poi assorbite dai terreni di pascolo. Quella sul poligono di Quirra è un’indagine delicata, difficile e forse anche scomoda. Troppi interessi gira-no intorno all’area, primo fra tutti quelli dei costruttori d’armi. Il procuratore sapeva benissimo che si sarebbe scontrato con il segreto militare e con i brevetti indu-striali, ma non poteva immaginare che il muro più alto da scavalcare sarebbe stato quello eretto dagli abitanti dell’Ogliastra e del Sarrabus che proprio la procura vor-rebbe tutelare. «È difficile rompere il muro del silenzio dei sardi, quell’omertà che è radicata nella popolazione locale», dice scuotendo la testa il procuratore. Al mo-mento, il suo appello lanciato in un’intervista al Tg3, «Chi sa, parli», non ha sortito gli effetti sperati. La sorte della popolazione è legata a doppio filo a quella del poligono e dell’indotto generato: un centinaio di bu-ste paga in tutto. Poi ci sono gli operatori turistici, i pro-duttori agricoli, i pastori e le pecore. Tutti contro Fiorda-lisi, che può contare sulla solidarietà di poche associazioni (Gettiamo le Basi, Gruppo d’intervento giuridico onlus), sui 3.600 sostenitori di un gruppo Facebook a lui dedicato e su qualche sparuto ammiratore che lo ha definito «più sardo di un sardo, perché ci sta difendendo».

Dall’uranio al torioI consulenti sono al lavoro per dimostrare che al poligo-no sono state utilizzate munizioni all’uranio impoverito. Il ministero della Difesa continua a negare l’impiego di tali armamenti. Il 2 agosto il ministro Ignazio La Russa scriveva nella sua risposta all’interrogazione parlamen-tare presentata dai deputati radicali: «L’Italia non ha mai impiegato armamenti all’uranio depleto», premurandosi però di specificare che comunque «la ricerca scientifica non ha dimostrato che esiste un nesso di causalità tra le patologie contratte dai militari e l’esposizione all’uranio impoverito». Forse l’Italia non ha mai usato armi all’u-ranio impoverito, ma c’è la testimonianza del capitano Giancarlo Carrusci, responsabile dell’attività operativa nel poligono dal 1977 al 1992, che conferma il lancio di un missile Kormoran Due con testata all’uranio im-poverito nel 1989. Il missile fu lanciato da un aereo della Germania Federale per conto della Mbb contro un rimorchiatore affittato dalla Marina. Il missile non esplose, ma s’incastrò nel rimorchiatore che è rimasto ormeggiato nel porto di Cagliari per diversi anni.L’uranio, comunque, non è il solo indiziato della serie di morti premature e di tumori che hanno colpito pastori e operatori del poligono. L’ultimo caso, in ordine di tem-

po, è quello di un caporal maggiore donna di ventotto anni che, ammalatosi di cancro, ha scritto una lettera aperta per chiedere la verità. Vuole sapere se la malattia dipende dal suo ruolo di missilista. A luglio, il procuratore Fiordalisi ha ordinato il seque-stro del missile spalleggiabile di fabbricazione francese Milan. Al momento del lancio l’arma rilascia una cari-ca di torio nebulizzato che, se inalato, è sei volte più pericoloso dell’uranio. Si è calcolato che nel poligono sono stati lanciati, fino al 2004, almeno 1.200 missili di questo tipo. Tracce di torio sono state ritrovate an-che nel miele, nel formaggio e tanto, troppo tungsteno, estremamente cancerogeno, nei polmoni, reni e fegato di alcuni animali. Uno studio dell’Università di Siena del 2004, commissionato dalla Difesa, concludeva che nel terreno su cui insiste il poligono non era stata trovata nessuna traccia significativa di uranio. Stranamente, in una tabella allegata è riscontrabile una forte presenza di torio, in diversi punti del poligono. Ma gli esperti dell’Università di Siena non fanno alcuna menzione dell’elemento e delle possibili conseguenze sull’uomo. Verrebbe da chiedersi se i generali della Difesa abbiano mai contestato questa omissione che anche agli occhi di un profano risulterebbe quanto meno anomala.D’altro canto è difficile fare affidamento su una relazio-ne quando il controllato sceglie il proprio controllore. Non è un caso che la procura di Lanusei stia indagan-do per falso ideologico due chimici della Sgs per una relazione che Fiordalisi, ascoltati i suoi consulenti, ha ritenuto non attendibile a causa delle molte omissioni. Secondo il procuratore, ci sarebbero «sospetti evidenti di collusione» per via di complicatissimi interessi so-cietari. Questa la ricostruzione: la Difesa commissiona uno studio alla Namsa – agenzia della Nato – la quale affida una parte dell’indagine ai chimici della Sgs che fa parte del gruppo Fiat ed è presieduta dall’ad Sergio Marchionne; la Oto Melara – controllata del gruppo Finmeccanica, consorziata di Iveco-Fiat-Oto Melara – sperimenta da anni nel poligono sardo le armi prodotte nei propri stabilimenti.

Il paese ostileIl quadro probatorio diventa sempre più sostanzioso. Al fascicolo aperto per omicidio plurimo con dolo even-tuale e disastro ambientale nei confronti di ignoti, si aggiunge quello aperto nei confronti del generale Fabio Molteni, indagato, in concorso con gli altri comandanti della base tra il 1984 e il 2004, per omissione di atti d’ufficio e disastro ambientale colposo. Il procuratore Fiordalisi chiede al Gip di Lanusei di eseguire il sequestro preventivo dell’intera area del po-ligono: centoventi chilometri quadrati sigillati, il più grande sequestro in Europa. Si apre una grave spacca-tura nel tessuto sociale: i pastori scendono in strada per protestare contro il provvedimento. Coldiretti, sindacati, commercianti, operatori turistici sono tutti dalla loro parte. Persino il vescovo di Lanusei, Antioco Piseddu, si pronuncia sulla questione portando la soli-darietà della diocesi ai circa trecento pastori che si sono

raccolti sotto il tribunale “invitando” il procuratore ad affacciarsi dalla finestra. Il punto è sempre quello: il danno economico che le indagini del magistrato sta-rebbero arrecando a tutta la zona. Si piange per i morti, si prega per gli ammalati, ma poi non si può fermare il flusso di denaro. Alcuni cittadini che hanno provato a parlare, a denun-ciare, sono finiti sotto processo o addirittura presi per pazzi. L’ex sindaco di Villaputzu e dottore pneumo-logo Antonio Pili, che aveva provato a fare domande scomode perché teneva più alla salute dei suoi con-cittadini che non ai soldi, è stato condannato a otto mesi di carcere per aver ignorato una lettera dell’Asl sulla presenza di arsenico nella zona di Baccu Locci. «Una lettera che non ho mai visto», affermava Pili in un’intervista all’Unione Sarda del 7 dicembre 2008. Ma la cosa più strana è che a portarlo davanti ai giudici era stata la procura militare. Pili non si è mai spiegato cosa c’entrasse la procura militare con un certificato dell’Asl. In un incubo simile è precipitato un pastore di Villaputzu che dopo aver parlato con un giornalista di Report, secondo il suo racconto, sarebbe stato trascinato in macchina da due sconosciuti e minacciato di morte. La procura di Cagliari, territorialmente competente, non gli ha creduto e anzi ha aperto a suo carico un procedimento per procurato allarme. Fiordalisi, nonostante le pressioni, va avanti per la sua strada ed è pronto a presentare una prima tranche di richieste al giudice. Spera che tutti capiranno che sta agendo per proteggere quella che sente essere quasi la sua gente. E il sequestro dei pascoli potrebbe svolgere un ruolo rilevante in questo senso: le pecore sono molto importanti per la popolazione locale e la relazione dei capi di bestiame con il terreno ancora di più. Adesso for-se capiranno che non è la giustizia ad averli privati della terra. I pascoli li hanno persi cinquant’anni fa quando non si ribellarono alla militarizzazione del territorio, come avrebbero fatto tredici anni più tardi, nel 1969, gli abitanti di Orgosolo sui pascoli di Pratobello.

B▶▲ Un allevatore di Perdasdefogu ▶ Agenti del corpo forestale nella discarica del poligono▶ ▼Analisi delle onde elettromagnetiche sulle arnie

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