La geodinamica del sistema...

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y t t n•••,•• n••• Faglie da estensione Fronti di accavallamento - Faglie trascorrenti P Avampaese apulo Avampaese europeo Crosta oceanica [1]ff l Unità vulcaniche e magmatiche PIANURA PADANA _ 1 1F g".«.-1 Vulcano Vavilov P I o .. 7 " MARE TIRRE12 tr~.1, ellaffia \l" >1/4\)\ (I) (1) 4 o 100 Monte rs _ili chilometri 44 LE SCIENZE n. 343, marzo 1997 LE SCIENZE n. 343, marzo 1997 45 P La geodinamica del sistema Tirreno-Appennino L'evoluzione geologica del Mediterraneo centrale e dell'area italiana è inquadrata in una visione integrata dei processi geodinamici di Renato Funiciello, Massimo Mattei, Fabio Speranza e Claudio Faccenna niti con il nome di «Scaglia»), che han- no ottime proprietà per le analisi paleo- magnetiche. I primi dati paleomagnetici ottenuti in Umbria e pubblicati negli an- ni 1974 e 1975 influenzarono in modo determinante i modelli sull'evoluzione geodinamica della penisola italiana. In- fatti gran parte dei paleomagnetisti che avevano campionato la Scaglia cretacica umbro-marchigiana si era resa conto che le rocce calcaree avevano declinazioni magnetiche, in origine allineate in sen- so meridiano, orientate ovunque verso nord-ovest. Ciò significava che le unità studiate avevano subito grandi rotazioni antiorarie (anche fino a 60 gradi) dopo il Cretaceo, cioè da 60 milioni di anni fa a oggi. Tenuto conto che allora quasi tutti i paleomagnetisti consideravano la re- gione umbro-marchigiana «autoctona», cioè solidale con la crosta profonda, i dati osservati diedero luogo a due scuole di pensiero fondamentalmente diverse. Da una parte Channell, Tarling, Van- denBerg e Klootwijk osservarono che analoghe rotazioni post-cretaciche ve- nivano riconosciute nel cratone africa- no, e quindi dedussero che le rotazioni antiorarie umbro-marchigiane e di al- tre parti della penisola dimostravano che l'Italia doveva considerarsi un pro- montorio della zolla africana. Dall'altra Lowrie e Alvarez consideravano l'Italia come una microzolla che aveva subito rotazioni antiorarie di 40-60 gradi indi- pendentemente dalle due zolle maggio- ri (Europa e Africa) poste ai suoi mar- gini. Questa diversa interpretazione de- rivava dall'incertezza riguardo all'in- dipendenza geologica e dinamica della regione italiana rispetto alle zolle mag- giori limitrofe. Infatti non era possibile stabilire in modo definitivo quanta par- te delle rotazioni post-cretaciche osser- vate in Italia fosse solo il riflesso delle rotazioni africane o europee, che tra l'al- tro risultano a tutt'oggi non completa- mente definite. In ogni caso il concetto della rotazione antioraria, generalizzata nel tempo da 60 milioni di anni a oggi ed estesa indiscriminatamente all'inte- ra penisola italiana, venne accettato da In questa carta è rappresentata in continuità la forma dei fondali marini e delle terre emerse nell'area del Mediterraneo centrale. Le aree geologicamente più re- centi corrispondono alle depressioni del bacino ligure-provenzale e del Mare Tir- reno. Tali aree sono circondate da catene montuose recenti (come le Alpi) o ancora in formazione come gli Appennini o le montagne dell'Atlante e della Sicilia. l ir 'evoluzione geodinamica del Me- . diterraneo centrale costituisce da 1_J diversi decenni l'oggetto di un intenso dibattito scientifico. In questo piccolo settore della crosta terrestre il generale processo di raccorciamento, provocato dalla collisione del continente africano con quello europeo, è stato as- sociato alla formazione di strutture geo- logiche di natura ed evoluzione assai differente: accanto alle catene montuo- se, naturale prodotto dei processi di col- lisione, il Mediterraneo centrale ha visto la nascita e la progressiva evoluzione di bacini marini di limitate dimensioni, ca- ratterizzati, come il Tirreno, dalla for- mazione di nuova crosta, simile a quella delle grandi strutture oceaniche. Nei primi anni settanta la struttu- ra del Mediterraneo è stata interpretata come un mosaico di frammenti di lito- sfera (la parte più esterna e rigida della Terra) i cui processi di rotazione e di traslazione erano la causa dell'apertura di nuovi bacini oceanici e del corruga- mento delle catene montuose. La for- mazione del bacino ligure-provenzale e del bacino tirrenico furono interpretate come il risultato della progressiva rota- zione antioraria e traslazione di due mi- crozolle indipendenti: il blocco sardo- -corso e la penisola italiana. Questi mo- delli evolutivi trovarono il loro fonda- mento teorico nei concetti generali del- la tettonica a zolle, la cui possibilità di applicazione al Mediterraneo centrale era confermata dalla presenza di alcuni elementi classici, quali il piano di sub- duzione sotto l'arco calabro e il vulca- nismo calcoalcalino delle isole Eolie e della Sardegna. Su queste basi i pionieri del paleoma- gnetismo applicarono in Italia gli stessi criteri utilizzati con successo sulle gran- di zolle del pianeta. Così oltre 20 anni fa, quasi simultaneamente, gruppi di ri- cercatori provenienti da istituti di ricer- ca svizzeri (William Lowrie), inglesi (James Channell e Don Tarling), olan- desi (Jorge VandenBerg e Cris Kloot- wijk) e americani (Walter Alvarez) in- trapresero un'intensa campagna di studi nell'Appennino Essi campionarono si- stematicamente le successioni di strati calcarei mesozoici (prevalentemente di età cretacica, compresa tra 100 e 60 mi- lioni di anni fa) della regione umbro- -marchigiana (in gergo geologico defi- La catena appenninica costituisce l'os- satura della penisola italiana e della Si- cilia. L'origine del suo andamento ar- cuato ha rappresentato per molti anni un motivo di discussione tra le diverse scuole di geologi e paleomagnetisti.

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Faglie da estensione

• Fronti di accavallamento

- Faglie trascorrenti

P Avampaese apulo

Avampaese europeo

Crosta oceanica

[1]ffl Unità vulcaniche

e magmatiche

PIANURA PADANA

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1 —1Fg".«.-1 VulcanoVavilov

P

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(I) (1) 4o 100

Monters_ili

chilometri

44 LE SCIENZE n. 343, marzo 1997 LE SCIENZE n. 343, marzo 1997 45

P

La geodinamica del sistemaTirreno-Appennino

L'evoluzione geologica del Mediterraneo centralee dell'area italiana è inquadrata in una visione integrata

dei processi geodinamici

di Renato Funiciello, Massimo Mattei, Fabio Speranza e Claudio Faccenna

niti con il nome di «Scaglia»), che han-no ottime proprietà per le analisi paleo-magnetiche. I primi dati paleomagneticiottenuti in Umbria e pubblicati negli an-ni 1974 e 1975 influenzarono in mododeterminante i modelli sull'evoluzionegeodinamica della penisola italiana. In-fatti gran parte dei paleomagnetisti cheavevano campionato la Scaglia cretacicaumbro-marchigiana si era resa conto chele rocce calcaree avevano declinazionimagnetiche, in origine allineate in sen-so meridiano, orientate ovunque versonord-ovest. Ciò significava che le unitàstudiate avevano subito grandi rotazioniantiorarie (anche fino a 60 gradi) dopo ilCretaceo, cioè da 60 milioni di anni fa aoggi. Tenuto conto che allora quasi tuttii paleomagnetisti consideravano la re-gione umbro-marchigiana «autoctona»,cioè solidale con la crosta profonda, idati osservati diedero luogo a due scuole

di pensiero fondamentalmente diverse.Da una parte Channell, Tarling, Van-

denBerg e Klootwijk osservarono cheanaloghe rotazioni post-cretaciche ve-nivano riconosciute nel cratone africa-no, e quindi dedussero che le rotazioniantiorarie umbro-marchigiane e di al-tre parti della penisola dimostravanoche l'Italia doveva considerarsi un pro-montorio della zolla africana. Dall'altraLowrie e Alvarez consideravano l'Italiacome una microzolla che aveva subitorotazioni antiorarie di 40-60 gradi indi-pendentemente dalle due zolle maggio-ri (Europa e Africa) poste ai suoi mar-

gini. Questa diversa interpretazione de-rivava dall'incertezza riguardo all'in-dipendenza geologica e dinamica dellaregione italiana rispetto alle zolle mag-giori limitrofe. Infatti non era possibilestabilire in modo definitivo quanta par-te delle rotazioni post-cretaciche osser-vate in Italia fosse solo il riflesso dellerotazioni africane o europee, che tra l'al-tro risultano a tutt'oggi non completa-mente definite. In ogni caso il concettodella rotazione antioraria, generalizzatanel tempo da 60 milioni di anni a oggied estesa indiscriminatamente all'inte-ra penisola italiana, venne accettato da

In questa carta è rappresentata in continuità la forma dei fondali marini e delleterre emerse nell'area del Mediterraneo centrale. Le aree geologicamente più re-centi corrispondono alle depressioni del bacino ligure-provenzale e del Mare Tir-reno. Tali aree sono circondate da catene montuose recenti (come le Alpi) o ancorain formazione come gli Appennini o le montagne dell'Atlante e della Sicilia.

lir 'evoluzione geodinamica del Me-. diterraneo centrale costituisce da

1_J diversi decenni l'oggetto di unintenso dibattito scientifico. In questopiccolo settore della crosta terrestre ilgenerale processo di raccorciamento,provocato dalla collisione del continenteafricano con quello europeo, è stato as-sociato alla formazione di strutture geo-logiche di natura ed evoluzione assai

differente: accanto alle catene montuo-se, naturale prodotto dei processi di col-lisione, il Mediterraneo centrale ha vistola nascita e la progressiva evoluzione dibacini marini di limitate dimensioni, ca-ratterizzati, come il Tirreno, dalla for-mazione di nuova crosta, simile a quelladelle grandi strutture oceaniche.

Nei primi anni settanta la struttu-ra del Mediterraneo è stata interpretata

come un mosaico di frammenti di lito-sfera (la parte più esterna e rigida dellaTerra) i cui processi di rotazione e ditraslazione erano la causa dell'aperturadi nuovi bacini oceanici e del corruga-mento delle catene montuose. La for-mazione del bacino ligure-provenzale edel bacino tirrenico furono interpretatecome il risultato della progressiva rota-zione antioraria e traslazione di due mi-crozolle indipendenti: il blocco sardo--corso e la penisola italiana. Questi mo-delli evolutivi trovarono il loro fonda-mento teorico nei concetti generali del-la tettonica a zolle, la cui possibilità diapplicazione al Mediterraneo centraleera confermata dalla presenza di alcunielementi classici, quali il piano di sub-duzione sotto l'arco calabro e il vulca-nismo calcoalcalino delle isole Eolie edella Sardegna.

Su queste basi i pionieri del paleoma-gnetismo applicarono in Italia gli stessicriteri utilizzati con successo sulle gran-di zolle del pianeta. Così oltre 20 annifa, quasi simultaneamente, gruppi di ri-cercatori provenienti da istituti di ricer-ca svizzeri (William Lowrie), inglesi(James Channell e Don Tarling), olan-desi (Jorge VandenBerg e Cris Kloot-wijk) e americani (Walter Alvarez) in-trapresero un'intensa campagna di studinell'Appennino Essi campionarono si-stematicamente le successioni di straticalcarei mesozoici (prevalentemente dietà cretacica, compresa tra 100 e 60 mi-lioni di anni fa) della regione umbro--marchigiana (in gergo geologico defi-

La catena appenninica costituisce l'os-satura della penisola italiana e della Si-cilia. L'origine del suo andamento ar-cuato ha rappresentato per molti anniun motivo di discussione tra le diversescuole di geologi e paleomagnetisti.

11° 12° 13°

50

chilometri

MARE ADRIATICO

o

MARE TIRRENO

SUCCESSIONE CARBONATICAMESO-CENOZOICA

Ck.,9

CORNO GRANDE

gran parte della comunità scientificaitaliana e internazionale e consideratocome il motivo geodinamico responsa-bile dell'apertura e dell'evoluzione delMar Tirreno.

La letteratura scientifica degli ultimianni ha mostrato che i processi dideformazione continentale non possonoessere assimilati a interazioni di bloc-chi rigidi, ma che la deformazione al-l'interno dei continenti è complessa edistribuita in spazi molto estesi. Inoltrei processi di raccorciamento e di cor-rugamento delle catene montuose sono

L'Appennino settentrionale e il marginetirrenico tosco-laziale sono due aree daicaratteri geodinamici estremamente dif-ferenti (in alto). Il margine tirrenico ècaratterizzato da un elevato flusso di ca-lore (linee rosse in milliwatt per metroquadrato) collegato alla presenza di uncorpo intrusivo che si estende lungo tut-ta l'area della Toscana marittima. Que-sta regione ha una sismicità debole e su-perficiale, legata quasi esclusivamentead attività vulcanica (croci, quadrati etriangoli rappresentano terremoti conprofondità ipocentrali fino a 5, 10 e 20chilometri). La catena appenninica è in-vece caratterizzata da un flusso di calo-re basso e da una intensa attività sismi-ca con profondità ipocentrali che rag-giungono anche 80 chilometri (cerchi).Nella carta geologica semplificata inbasso sono riportate le principali unitàdell'Appennino centrosettentrionale. Iterreni della successione umbro-marchi-giana e del bacino marsicano definisco-no due importanti strutture arcuate (ar-co umbro-marchigiano e arco del GranSasso). In verde scuro sono rappresen-tate le successioni di piattaforma carbo-natica; in verde chiaro le unità internedell'Appennino; in rosso mattone le roc-ce ignee affioranti nel margine tirrenico.I dati paleomagnetici sono stati ottenutinelle avanfosse mioceniche (in marrone)e plioceniche (in giallo chiaro) della ca-tena appenninica (rappresentati dallefrecce in nero) e nei bacini estensionafi(giallo scuro) del margine tirrenico to-sco-laziale (rappresentati dalle frecce az-zurre). Le frecce indicano la declinazio-ne magnetica e definiscono la rotazionesubita dal campione di sedimento esa-minato. La catena appenninica è stataoggetto, a partire dal Miocene superiore(circa sei milioni di anni fa), di intensifenomeni di raccorciamento crostale ac-compagnati da importanti rotazioni del-le strutture tettoniche. Allo stesso tempole strutture estensionali che si sono for-mate sul margine tirrenico, al retro del-la catena, si sono sviluppate in un regi-me irrotazionale.

Il fronte del Gran Sasso, di cui èvisibile l'imponente piega fronta-le, rappresenta uno degli esempipiù evidenti di tettonica compres-siva nell'Appennino centrale. Lamessa in posto di questa strutturaè stata accompagnata da impor-tanti rotazioni antiorarie. Rota-zioni orarie sono invece state rico-nosciute nella regione sabina, nel-la Marsica e nella parte meridio-nale dell'arco umbro-marchigia-no. Il grafico qui sotto correla ladeclinazione magnetica misuratanei vari siti e l'orientazione dellecorrispondenti strutture tettoni-che. La retta di regressione dimo-stra come, nei primi stadi di evo-luzione, la catena appenninica sisia sviluppata attraverso strutturetettoniche ad andamento rettili-neo, successivamente ruotate.

80

.2 60

0 40

cc -20

-40

g _60

-60 -40 -20 0 20 40

DIREZIONI STRUTTURALI

spesso accompagnati da imponenti pro-cessi di rotazione che interessano pic-coli settori di crosta dal comportamentotra loro indipendente. Oltre a ciò nuo-vi dati geologici hanno messo in luceche gli eventi deformativi che hannocausato la formazione della catena ap-penninica e l'apertura del Mare Tirrenosono estremamente giovani e in granparte ancora attivi. Appare quindi evi-dente che l'interpretazione dei vecchidati paleomagnetici era inadeguata aspiegare i processi geodinamici com-plessi che hanno agito nel Mediterra-neo centrale durante gli ultimi 25 mi-lioni di anni.

Nel corso degli anni novanta gruppidi ricercatori olandesi, francesi e italia-ni hanno concentrato la loro attenzionesullo studio di sequenze sedimentarierecenti (più giovani di 7 milioni di an-ni), affioranti nella penisola italiana ein Sicilia, con lo scopo di definire iprocessi di rotazione che hanno ac-compagnato la deformazione e la co-struzione della catena appenninica edell'arco calabro. I risultati ottenutihanno modificato in maniera sostan-ziale le conoscenze fino a quel mo-

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mento acquisite, fornendo un quadrodel tutto originale della formazione edell'evoluzione del sistema Appenni-no-Mare Tirreno e consentendo la co-struzione di un modello evolutivo del-l'area centro-mediterranea basato sumodelli analogici in scala.

I NUOVI DATI PALEOMAC;NETICI

L'analisi paleomagnetica è stata con-dotta con le strumentazioni del Centredes Faibles Radioactivités di Gif-sur-Yvette, del Dipartimento di scienzegeologiche dell'Università Roma Tre edell'Istituto nazionale di geofisica, at-traverso la raccolta e lo studio di più di1400 carote distribuite in circa 140 sitidi campionamento.

La parte centro-settentrionale dellapenisola italiana è caratterizzata dallagiustapposizione di diverse provincegeodinamiche: il margine tirrenico, lacatena appenninica e l'area adriatica.

La catena appenninica costituiscel'ossatura della penisola italiana (si ve-da l'illustrazione a pagina 44). E for-mata da una serie di unità struttura-li progressivamente accavallate verso il

settore adriatico secondo una geometriaestremamente complessa. Tali unità de-rivano dalla deformazione di sequenzemetamorfiche e sedimentarle origina-riamente appartenenti al bacino dellaTetide (l'antico oceano che separava ilcontinente africano da quello europeo)e al margine continentale africano conla sua prosecuzione nell'area adriatica.La progressiva traslazione del sistemaorogenetico è stata costantemente ac-compagnata dalla nascita di strutturetettoniche di natura estensionale che sisono sviluppate al retro dell'orogene.

I processi estensionali sono stati atti-vi in Corsica a partire dall'Oligocenesuperiore (circa 25 milioni di anni fa) esono progressivamente migrati versoest fino a raggiungere nel Quaternario(meno di 2 milioni di anni fa) l'attualecrinale dell'Appennino, la cui forte at-tività tettonica attuale è testimoniatadalla presenza di grandi terremoti. Ilprocedere della tettonica estensionaleha, inoltre, causato il progressivo as-sottigliamento della crosta appenninicae la nascita del bacino tirrenico a parti-re dal Miocene medio (tra 15 e 20 mi-lioni di anni fa). Tale processo è stato

N

46 LE SCIENZE n. 343, marzo 1997

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Messiniano (— 6,5-5,5 milioni di anni fa)

MAREADRIATICO

MARETIRRENO

AESTENSIONE LOCALIZZATA ESTENSIONE DELOCALIZZATA

Bacino tirrenico-meridionale

MIGRAZIONEDEL MARGINE

C

NON MIGRAZIONEDEL MARGINE

Bacino tirrenico-settentrionale

A

Bacino ligure-provenzale

GEOTERMA INIZIALE

ESTENSIONE

ROTAZIONE DEL BLOCCO

SUBDUZIONEDI LITOSFERA OCEANICA

ESTENSIONEROTAZIONE DEL BLOCCO

mei

CROSTA OCEANICA

SUBDUZIONEDI LITOSFERA OCEANICA

ESTENSIONEROTAZIONE CONFINATAAl FRONTI DI ACCAVALLAMENTO

%

CROSTA CONTINENTALE

AlefrSUBDUZIONEDI LITOSFERA TRANSIZIONALEO CONTINENTALEC

ASSOTTIGLIATA

-

CROSTA OCEANICA

A

48 LE SCIENZE n. 343, marzo 1997 LE SCIENZE n. 343, marzo 1997 49

Depositi post-orogeni del margine tirrenico

Falda del Cervarola e falda toscana

Dominio umbro-marchigiano interno

Dominio umbro-marchigiano esterno

la Piattaforma laziale-abruzzese

Depositi di avanfossa

Fronte esterno della catena appenninica

Futuro fronte della catena

Accavallamenti Trascorrenti Normali,

Faglie

accompagnato dallo sviluppo di bacinisedimentari affioranti nella Toscana enel Lazio e da una intensa attività mag-matica rappresentata dai numerosi cor-pi granitoidi affioranti nell'Arcipelagotoscano e nell'entroterra.

La diversa evoluzione tettonica subi-ta dall'Appennino e dal margine tirreni-co trova una sua evidenza nei differenticaratteri geofisici. Nell'illustrazione apagina 46 in alto è riportata la distribu-zione della sismicità e del flusso di ca-lore nella parte settentrionale della pe-nisola. La distribuzione degli epicentridei terremoti mostra una concentrazio-ne degli eventi sismici nell'area del cri-nale appenninico e nel settore adriati-co della catena. Tali eventi sono legatiprincipalmente all'attività di faglie e-stensionali, e in misura minore ai pro-cessi di sottoscorrimento della litosferaadriatica al di sotto della catena. Questaintensa attività sismica non proseguenella regione tirrenica, la quale è con-traddistinta dalla presenza di un elevatoflusso di calore, con valori che raggiun-gono i 200 milliwatt per metro quadrato(il flusso di calore medio sulla superfi-cie è all'incirca di 60 milliwatt per me-tro quadrato).

Gli studi paleomagnetici condotti dalnostro gruppo di ricerca nella penisolaitaliana sono stati progettati tenendoconto dell'estrema complessità struttu-rale dell'area e dei differenti caratterigeologici e geofisici sopra descritti. Lanatura variegata dei processi tettoniciagenti nell'Appennino e nel marginetirrenico conferisce infatti un significa-to geodinamico diverso ai dati paleo-

Pliocene inferiore (— 5,5-4,5 milioni di anni fa)

Le illustrazioni rappresentano sche-maticamente l'evoluzione dell'Appen-nino centro-settentrionale e del mar-gine tirrenico tosco-laziale. La mes-sa in posto delle strutture compressi-ve è accompagnata da considerevolirotazioni, alle quali si deve il carat-teristico aspetto arcuato della cate-na. Contemporaneamente il margi-ne tirrenico, sottoposto a tettonica e-stensionale, non è soggetto ad alcunarotazione.

magnetici provenienti da queste aree.Osservando la forma dei fronti ap-

penninici è evidente come il loro anda-mento sia complesso, con direzioni chesono talvolta molto diverse da quellamedia regionale e definiscono soven-te forme arcuate (si veda l'illustrazionea pagina 46 in basso). In particolarenell'Italia centro-settentrionale si nota-no due archi principali: il primo arco, ascala più grande, occupa gran parte del-l'Appennino centro-settentrionale: ini-zia in Sabina, pochi chilometri a nord-est di Roma, prosegue lungo il settoreappenninico umbro-marchigiano e ter-mina in Romagna. Nella parte meri-dionale dell'arco, a direttrice prevalen-temente meridiana, le strutture sabinesi accavallano sulle successioni car-bonatiche appartenenti alla piattafor-ma carbonatica laziale-abruzzese. Que-sto complesso sistema di accavallamen-ti, noto in letteratura come linea Ole-vano-Antrodoco, rappresenta un impor-tante limite strutturale. A ovest di talelinea le strutture tettoniche hanno unandamento meridiano, mentre a est esseassumono un andamento nordovest--sudest, tipicamente appenninico. Unanalogo progressivo cambiamento de-gli assi strutturali avviene nella regionemarsicana, nel bordo orientale dellapiattaforma carbonatica, dove le strut-ture tettoniche assumono nuovamenteun andamento meridiano. Il bordo set-tentrionale della piattaforma laziale--abruzzese è costituito dal fronte arcua-to del Gran Sasso, a convessità nord-orientale (si veda l'illustrazione a pagi-na 47 a destra).

Pliocene inferiore-presente (4,5-0 milioni di anni fa)

I risultati ottenuti in questa regionehanno mostrato l'esistenza di importan-ti rotazioni il cui verso e la cui entitàsono direttamente dipendenti dall'o-rientazione della struttura esaminata. Inparticolare, rotazioni orarie sono sta-te riconosciute nell'area sabina, in Mar-sica e nel tratto meridionale delle strut-ture umbro-marchigiane, dove gli as-si delle strutture tettoniche assumonoun'orientazione pressoché meridiana.Rotazioni antiorarie sono state misuratenella piattaforma laziale-abruzzese, enella parte centro-settentrionale dell'ar-co umbro-marchigiano, dove le struttu-re hanno una orientazione prevalentenordovest-sudest.

Questa stretta correlazione tra l'o-rientazione dell'asse della struttura e ladeclinazione magnetica misurata è stataanalizzata statisticamente. L'esistenzadi una correlazione significativa indi-cherebbe, infatti, che l'attuale orienta-zione differente delle strutture è dovutaa rotazioni, cioè che le forme arcuatenon sono originarie. La mancanza diuna correlazione, al contrario, testimo-nierebbe che non esiste alcuna relazio-ne tra rotazioni misurate e asse del-le strutture e che la forma arcuata nonè dovuta a rotazioni differenziali. Nelgrafico a pagina 47 viene mostrato il ri-sultato di tale correlazione, che mostracome l'orientazione attuale delle strut-ture dipenda esclusivamente dall'entitàe dal verso delle rotazioni che esse han-no subito.

Il riconoscimento di rotazioni diffe-renti nelle diverse strutture dell'Appen-nino poneva in maniera chiara la neces-sità di riconsiderare le vecchie interpre-tazioni della rotazione antioraria com-plessiva della penisola e della conse-guente apertura del Mare Tirreno. Percercare di affrontare direttamente questoproblema si è messa in atto una nuovacampagna di campionamento paleoma-gnetico. I siti campionati dovevano cor-rispondere a due criteri fondamentali:non dovevano essere stati coinvolti nel-l'attività tettonica compressiva, che ave-va sicuramente dato luogo a rotazioniimportanti ma di estensione locale; do-vevano avere una posizione strutturale e

un'età che permettesse la correlazionediretta tra le eventuali rotazioni misuratee i processi di apertura del Mare Tirre-no. Si è proceduto quindi al campiona-mento delle unità argillose di età com-presa tra 6 e 2 milioni di anni, largamen-te affioranti sul margine tirrenico tosco-laziale. Tali unità, appartenenti al cosid-detto ciclo «neoautoctono» toscano, so-no deposte all'interno dei bacini esten-sionali formatisi lungo tutto il marginetosco-laziale in seguito ai processi dicollasso e di assottigliamento crostaleche hanno causato la formazione del ba-cino tirrenico. I risultati ottenuti sonostati assolutamente sorprendenti: le unitàdel margine tirrenico, contrariamente a

L'evoluzione dei bacini estensionali pre-senti nel Mediterraneo centrale è forte-mente condizionata dai caratteri reolo-gici della litosfera e dal differente tassodi estensione. Nel bacino ligure-proven-zale (A) i processi di estensione hannoagito su un'area di avampaese caratte-rizzata da una crosta di spessore nor-male con bassi valori della geoterma ini-ziale. La geometria del bacino è sim-metrica e l'estensione è localizzata. Inblu scuro è rappresentata la crosta o-ceanica più vecchia e in blu chiaro quel-la più recente. Lo stile dell'estensione,dato il basso valore della geoterma ini-ziale, è indipendente dalla velocità dideformazione. Nel caso dell'arco cala-bro (B) e del Tirreno settentrionale (C),l'estensione ha agito su una crosta pre-cedentemente ispessita, quindi con ele-vati valori della geoterma iniziale, e sipropaga in una vasta area (estensionedelocalizzata). Il verde scuro rappresen-ta la crosta continentale assottigliata daiprocessi estensionali, che diventano piùgiovani verso est (in verde chiaro). Inquesto caso un elemento di notevole im-portanza è dato dalla maggiore velocitàdi estensione nel Tirreno meridionale,dove si ha formazione di crosta oceanicae si assiste al progressivo allontanamen-to del margine calabro. Nelle sezionischematiche in basso, si noti che nel ba-cino ligure-provenzale (A) e nel Tirrenomeridionale (B) l'elevata velocità di e-stensione causa l'allontanamento, la ro-tazione e la separazione di due blocchicontinentali precedentemente attigui (inmarrone scuro). Nel caso del Tirrenosettentrionale (C) l'estensione procedeinvece senza deriva del margine e i feno-meni di rotazione sono confinati ai fron-ti di accavallamento che definiscono ilmargine in compressione della catena.Le frecce verdi indicano la persistenzadei processi estensionali in un'area ri-stretta (A) oppure la loro migrazionenel tempo (B, C).

La modellazione analogica dei processitettonici dell'area mediterranea si è ri-velata un potente mezzo di indagine. Lafigura si riferisce a un modello della du-rata di 24 ore che mostra la progressivadeformazione della litosfera per la con-temporanea attività dei meccanismi dicollisione, collasso gravitazionale e sub-duzione. A sinistra si vede uno schematettonico semplificato della penisola ita-liana. Nei riquadri 1, 2,3 sono mostratii tre stadi evolutivi dell'esperimento (O,Il e 23 h). La zolla azzurra, più densa,simula il comportamento della litosferaoceanica, mentre la zolla grigia simulaquello di una litosfera continentale. Èvisibile il progressivo arretramento dellimite tra le due zolle, con la scomparsadella zolla più densa. Le aree in arancio-ne rappresentano settori dove i processiestensionali hanno portato in superficiele parti profonde della crosta continen-tale. Si noti come, analogamente a ciòche avviene nel Mediterraneo centrale, ibacini estensionali si orientano paralle-lamente al movimento di convergenzadell'Africa, qui indicato dal pistone. Nelcomplesso la geometria ottenuta nel mo-dello è confrontabile con quella reale.

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Tirreno

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quanto era stato fino ad allora postulatonella letteratura geologica, non avevanosubito alcuna importante rotazione apartire dal Messiniano (circa 6 milionidi anni fa).

Questi risultati modificano conside-revolmente il quadro evolutivo propo-sto per i processi di apertura del Ma-re Tirreno, suggerendo un modello deltutto originale per l'evoluzione del si-stema Tirreno-Appennino centro-setten-trionale. Nell'illustrazione a pagina 48vengono rappresentati i diversi momen-ti evolutivi che hanno dato luogo allaprogressiva arcuatura della catena e alcontemporaneo processo di estensionee di assottigliamento crostale del mar-gine tirrenico.

I dati ottenuti in Italia centro-setten-trionale mettono in luce che, almeno dacirca 6 milioni di anni fa, il fronte ester-no della catena si deformava lungo unazimut di 320 gradi, direzione secondola quale si allunga la penisola italiana.L'avanzamento della catena appenninicaverso l'Adriatico avveniva, in una primafase, tramite la formazione di strutturerettilinee. Di fronte all'unità più avanza-ta (e più recente) del sistema, una fossa,allungata anch'essa secondo un azimutdi 320 gradi, accoglieva i sedimenti de-tritici che erano prodotti dallo smantella-mento e dal rapido accumulo sottomari-no di rocce della catena alpina, già allo-ra completamente emersa.

Con l'avanzare dei processi di raccor-

ciamento la progressiva attivazione deifronti compressivi veniva accompagnatada importanti rotazioni di segno ed en-tità differenti nei diversi settori della ca-tena. Nello stesso tempo il fronte piùesterno della catena migrava e deforma-va nuovi settori della crosta adriatica,sempre secondo una orientazione rispet-to al nord di circa 320 gradi. Le diffe-renti rotazioni hanno definito le attualigeometrie arcuate della catena e sonostate accompagnate e incrementate dal-l'attivazione di importanti faglie trascor-renti riconosciute sia nell'area sabinasia nella piattaforma laziale-abruzzese.Questo complicato andamento delle ro-tazioni non è in alcun modo direttamen-te legato ai processi di estensione e as-sottigliamento crostale che hanno datoluogo allo sviluppo del bacino tirrenico.Infatti mentre il fronte della catena si ac-cavallava e progressivamente ruotava fi-no a portarsi nella configurazione attua-le, i bacini sedimentari posti sul marginetirrenico non erano soggetti ad alcunarotazione pur in presenza di una intensatettonica estensionale.

L'EVOLUZIONEDEI BACINI ESTENSIONALINEL MEDITERRANEO CENTRALE

Dal punto di vista geodinamico que-sto andamento dei processi rotaziona-li caratterizza i meccanismi di aperturadel Tirreno settentrionale e li differen-

zia da quelli del bacino ligure-proven-zale e del Tirreno meridionale (si vedal'illustrazione a pagina 49). L'apertu-ra del bacino ligure-provenzale, a dif-ferenza di quanto avvenuto nel Tirrenosettentrionale, è stata infatti accompa-gnata da imponenti fenomeni di trasla-zione e di rotazione del suo margineorientale, costituito dal blocco sardo--corso. Allo stesso modo la progressi-va apertura del bacino tirrenico meri-dionale è stata accompagnata dallacontemporanea migrazione dell'arcocalabro-peloritano. Recenti ricerchepaleomagnetiche hanno dimostrato chela progressiva arcuatura dell'arco cala-bro è legata a importanti rotazioni ora-rie e antiorarie fino, a 25 gradi di am-piezza, avvenute successivamente alPleistocene inferiore (meno di un mi-lione di anni fa). Tali rotazioni, a diffe-renza di quanto visto in Appenninosettentrionale, non sono di esclusivapertinenza delle strutture compressivedella parte ionica dell'arco, ma sonostate misurate anche sul bordo tirreni-co, interessato esclusivamente da pro-cessi estensionali.

Queste differenze nei processi di ro-tazione trovano riscontro nei caratte-ri geologici e nell'evoluzione tettonicadei diversi bacini estensionali del Me-diterraneo centrale, rappresentati sche-maticamente nell'illustrazione a pagi-na 49. Nel bacino ligure-provenzalel'asse dell'attività estensionale tende a

restare «localizzato» al centro del ba-cino: in quest'area, infatti, i baciniestensionali più antichi, di età compre-sa tra 35 e 20 milioni di anni, sono po-sizionati lungo gli stretti bordi del ba-cino, mentre i processi di estensionepiù giovani sono ubicati al centro delbacino, dove, durante il Miocene infe-riore (cioè circa 20-16 milioni di annifa), si è formata nuova crosta oceani-ca. Nel Tirreno settentrionale, al con-trario, l'attività tettonica estensionaleè estremamente «delocalizzata», ovve-ro si è manifestata mediante strutturetettoniche e bacini sedimentari che so-no distribuiti in una vasta area. L'atti-vità estensionale è migrata, a partiredall'Oligocene (circa 25 milioni di an-ni fa), dalla Corsica, attraverso la To-scana marittima, sino in Umbria, dovesono ubicate le strutture tettoniche at-tive ai nostri giorni.

L'evoluzione del Tirreno meridiona-le mostra un carattere ibrido rispetto aquesti due stili estensionali. In quest'a-rea i bacini sedimentari posti subito aovest dell'arco calabro (bacino di Gioiae bacino di Paola) hanno un'età simi-le (circa 8 milioni di anni) ai bacini chesi trovano subito a est del massicciosardo, definendo quindi una simmetrianella geometria del bacino tirrenicomeridionale. La loro attuale posizione èlegata al fatto che, successivamente allaloro formazione, essi sono stati traspor-tati verso sud-est insieme con l'intero

blocco calabro-peloritano, lasciando al-le proprie spalle lo spazio necessa-rio alla progressiva apertura dei bacinioceanici del Vavilov (circa 4-2,5 milio-ni di anni fa) e del Marsili (circa 2-0,2milioni di anni fa). La migrazione del-l'arco è stata accompagnata da rotazio-ni cospicue, avvenute durante il motodi deriva, che interessano l'intero setto-re calabro. Dal punto di vista dei pro-cessi rotazionali, quindi, il bacino tirre-nico meridionale mostra caratteristichesimili a quanto descritto per il bacino«localizzato» ligure-provenzale. Tutta-via il processo di migrazione e allonta-namento del margine è avvenuto, ana-logamente a quanto osservato nel Tirre-no settentrionale, attraverso una «delo-calizzazione» delle strutture tettoniche,accompagnata dalla migrazione spazio--temporale dell'attività vulcanica dalmargine sardo all'arco delle Isole Eo-lie. In questo processo si assiste allacompleta rottura della crosta continen-tale e alla formazione di nuova cro-sta oceanica solamente in aree ristrette(bacini del Vavilov e del Marsili). Sullabase di queste considerazioni è possibi-le definire due stili estensionali diffe-renti: il primo, caratterizzato da un pro-cesso tettonico localizzato, con rotazio-ni del bordo del bacino, è osservabilenel bacino ligure-provenzale, mentre ilsecondo stile è caratterizzato da un pro-cesso delocalizzato, senza rotazione delmargine, ed è osservabile nel bacino

tirrenico settentrionale. Il bacino tirre-nico meridionale ha invece uno stileibrido, in quanto la deformazione è de-localizzata, ma la sua formazione è av-venuta mediante la migrazione e l'ar-cuatura del proprio margine rappresen-tato dal blocco calabro.

Simulazioni sperimentali e numeri-che, basate principalmente su studi delcomportamento dei materiali a diversepressioni e temperature, hanno recente-mente messo in luce che lo sviluppo diquesti due differenti stili estensionali(localizzazione con migrazione e rota-zione dei margini e delocalizzazionesenza rotazione né migrazioni dei mar-gini) è da mettere in relazione con ilcomportamento «reologico» della lito-sfera, ovvero è funzione della sua ri-sposta nei confronti del campo di pres-sioni agenti. È noto che la resistenzadella litosfera è diretta funzione dellasua storia geologica. Infatti una litosfe-ra con una crosta (la sua parte più su-perficiale) ispessita per una orogenesirecente, sarà più debole di una litosferacon crosta normale, tipica delle areeche sono stabili da centinaia di milio-ni di anni (cratoni) come, per esempio,quella africana. Infatti, durante i pro-cessi di collisione il materiale crostalefreddo viene portato in profondità; do-po qualche milione di anni i processidi riequilibrio termico ne provocanoil riscaldamento causandone l'indeboli-mento. In queste condizioni la crosta

50 LE SCIENZE n. 343, marzo 1997 LE SCIENZE n. 343, marzo 1997 51

LE SCISCIEAMERICAN

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?Gli spunti più significativi e-kmersi du<cete l'intervista l sa-

raniegalOcessivamente og-getto al. rftlessione e dibatti-to tra i relatori e il pubblicopresente in sala.

La partecipazione è gratug19ma strettamente sta, per n3itivi rganvi, alla pparteci

Per infogi con

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terrestre, se sottoposta a un campo diforze tensionali, reagisce assottiglian-dosi lungo una vasta area (estensionedelocalizzata). Al contrario una regionecaratterizzata da una crosta normale, sesottoposta a un processo estensionale,tenderà a concentrare la deformazio-ne in un'area ristretta (estensione loca-lizzata). Nel mondo esempi classici diquesti due stili di estensione sono rap-presentati dalla Basin and Range Pro-vince (Stati Uniti) o dall'area del MarEgeo (delocalizzate), e dalla Rift Val-ley africana o dalla fossa tettonica delReno (localizzate).

Questa differenza nel profilo reologi-co iniziale della litosfera può essere in-vocata come la causa dei diversi stilideformativi del bacino tirrenico e delbacino ligure-provenzale. I processi diestensione avvenuti nell'area tirrenicahanno infatti interessato una crosta giàispessita durante il Cretaceo-Paleogene,quando in quest'area si ergeva, con de-corso circa meridiano, una catena mon-tuosa simile a quella alpina, i cui lembiresidui affiorano tutt'oggi nell'area ca-labra, nell'estremità settentrionale dellaCorsica e nell'area toscana. Al contra-rio, il processo estensionale che ha por-tato all'apertura del bacino ligure-pro-venzale è iniziato nell'Oligocene (circa30 milioni di anni fa) su di una crostastabile, non interessata cioè da processiorogenici alpini.

Il Tirreno settentrionale e meridiona-le sono invece caratterizzati da un pro-filo reologico iniziale del tutto com-parabile e quindi il loro diverso stileestensionale deve essere legato a qual-che altro fattore geodinamico. In questocaso, infatti, il ruolo determinante nel-la definizione dello stile estensiona-le può essere svolto dal diverso tassodi deformazione. L'evoluzione tettoni-ca del Tirreno meridionale sembra in-fatti caratterizzata da una elevata ve-locità di estensione che, durante il Neo-gene superiore (a partire cioè da circa 7milioni di anni fa), è stata mediamentedell'ordine di diversi centimetri all'an-no, notevolmente più elevata che nelTirreno settentrionale.

L' EVOLUZION E MAGMATICADELL'AREA TIRRENICA

La differenza nei caratteri geofisici enella meccanica dei processi che hannoportato all'apertura del bacino tirrenicosettentrionale rispetto a quello meridio-nale sembra riflettersi in modo evidenteanche nell'evoluzione termica e mag-matologica dell'area.

Lungo il bordo del Tirreno setten-trionale sono ben conosciute numero-se aree geotermiche (Larderello, Trava-le, Monte Amiata, Latera, Cesano). In

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queste aree di notevole interesse in-dustriale sono presenti manifestazionigeotermiche attive e fossili (acque ter-mali e depositi di minerali), elevataanomalia di flusso di calore (con valoripositivi oscillanti tra 200 e 100 mil-liwatt per metro quadrato) e un diffusoplutonismo originato dalla rifusione(anatessi) di porzioni di crosta. Tali ca-ratteri sono assolutamente propri del-l'area tosco-laziale e non si estendononell'area a sud di Roma.

Le manifestazioni vulcaniche dellaregione toscana sono caratterizzate dal-la produzione di magmi potassici gene-rati in gran prevalenza nella parte su-perficiale della crosta (5-13 chilome-tri); tali magmi sono caratterizzati daivalori più elevati del mondo dell'isoto-po stabile dell'ossigeno (0-18) e daanomali arricchimenti in stronzio radio-genico, che testimoniano un'interazio-ne continua e prolungata tra i magmisubcrostali, ricchi di potassio, e la cro-sta continentale, ricca di componentisedimentarie calcaree o argillose, ingrado di modificare la composizioneelementare e isotopica dei magmi. Talearricchimento può prodursi solamentein regime stazionario di flusso termicoelevato e si genera in tempi geologiciprecedenti alla messa in posto dei corpiintrusivi, da stock magmatici dell'ordi-ne delle decine di migliaia di chilometricubi. Recentemente lo studio delle mi-neralizzazioni, delle inclusioni fluide edei fluidi idrotermali in superficie e nelsottosuolo dei famosi campi geotermicitoscani ha dimostrato come, nell'areadi Larderello, il plutone «granitico» to-scano sia in piena attività da più diquattro milioni di anni. L'età del corpointrusivo richiede una continua e pro-lungata sorgente di alimentazione ter-mica al di sotto del corpo intrusivo, eha nello stesso tempo dimostrato comel'anomalia termica attuale sia rimastamolto elevata, se non costante, almenodal Pliocene inferiore a oggi.

Questa particolare situazione non èpresente nell'area a sud di Roma, carat-terizzata da uno stile estensionale diffe-rente. Lungo il bordo meridionale dellapenisola, infatti, le condizioni di flussotermico diminuiscono bruscamente (tra50 e 40 milliwatt per metro quadrato) ele anomalie geotermiche sono ristret-te ai vulcani attivi del Golfo di Napolie alle aree abissali centro-tirreniche. Lacomposizione dei magmi (valori menoelevati dei rapporti isotopici dello stron-zio e dell'ossigeno) testimonia un'origi-ne più profonda e meno contaminata, la-sciando ipotizzare la presenza di corpimagmatici superficiali di dimensioni piùridotte. In particolare, molti autori sonoin accordo nel riconoscere in quest'areauna miscelazione inusuale tra magmi più

profondi, originari del mantello e caratte-rizzati da bassi contenuti in 0-18 e Si02,e magmi da crosta continentale con alticontenuti in 0-18. Si tratterebbe quindidi due aree vulcaniche distinte, legate aprocessi di subduzione differenziati siaper le diverse caratteristiche della zollasubdotta sia per la diversa dinamica dellacrosta superficiale.

La distinzione delle due aree mag-matiche, settentrionale e meridionale,è ben evidente anche sulla base del-l'arricchimento dei magmi in elementilitofili di grande dimensione ionica(LILE) e del depauperamento in ele-menti minori quali l'europio e il bario,caratteristici solamente del settorenordoccidentale della provincia vulca-nica tosco-laziale. Tale composizionechimica costituisce una ulteriore testi-monianza indiretta della presenza este-sa di un corpo cristallizzato di tipogranitico al di sotto delle coltri appen-niniche. La transizione tra queste dueprovince sembra essere graduale poi-ché alcuni dei magmi dei vulcani tra iColli Albani e Roccamonfina hannoun carattere alcalino-potassico simile.In sintesi, si può avanzare l'ipotesi chei magmi tosco-laziali possano essereinfluenzati dalla presenza di un regimenon rotazionale con un elevato flussotermico, in cui il processo estensionalesi esplichi senza migrazione e allonta-namento del margine. Questo mecca-nismo è infatti il solo che permette lacontinua alimentazione termica, ne-cessaria per lo sviluppo di processimagmatici come quelli descritti perl'area tosco-laziale. Al contrario, dal-l'area romana verso la Campania iprocessi di estensione provocano lace-razioni profonde e i magmi tipici delsettore risalgono più velocemente dalmantello, seguiti da prodotti più conta-minati dalla crosta superficiale.

IL MODELLO GEODINAMICO

L'insieme dei dati relativi alla rico-struzione della meccanica del processoestensionale e ai caratteri paleomagne-tici, paleogeografici e strutturali ha per-messo di descrivere con buona ap-prossimazione l'evoluzione geologi-ca del Mediterraneo centrale duranteil Neogene. Questo stadio rappresentaperò solo una visione parziale dei com-plessi processi che hanno agito nel-l'area, non affrontando in alcun modoil problema della «dinamica», ovverodella descrizione e quantificazione del-le forze che hanno generato il comples-so quadro geologico che caratterizza ilMediterraneo centrale.

Il nostro gruppo di ricerca ha cercatodi affrontare questo problema da unpunto di vista sperimentale, attraverso

la costruzione di modelli analogici, ef-fettuati nei laboratori dell'Universitéde Rennes I e dell'Università di RomaTre. I modelli sperimentali vengono co-struiti in laboratorio a gravità naturalemediante l'utilizzo di materiali, provatifisicamente e in grado di soddisfare lerigorose leggi di scala, che riproduconoil comportamento della litosfera alle di-verse profondità.

Per la ricostruzione dell'evoluzionetettonica dell'area del Mediterraneocentrale abbiamo preso in considerazio-ne i diversi modelli proposti in lettera-tura. Il modello più diffuso è quello chedescrive il Tirreno come un bacino di«retroarco», la cui apertura, cioè, è laconseguenza della subduzione passivadella litosfera ionica al di sotto dellaCalabria, la cui prova più evidente èdata dalla sismicità profonda dell'ar-co calabro, in modo del tutto simile aquanto osservato nei bacini del Pacificooccidentale. Il secondo modello consi-dera l'apertura del bacino tirrenico co-me il risultato del collasso estensionaledella precedente catena montuosa alpi-na, sotto l'azione della forza di gravità.Il terzo modello prevede l'espulsionelaterale di materiale crostale verso est,connessa con la spinta e l'indentazionedel blocco rigido africano verso nord. Ilmodello analogico proposto, illustratoalle pagine 50-51, è stato costruito con-siderando il contributo di queste diver-se forze. Si sono infatti riprodotti sia imeccanismi di subduzione di litosfe-ra oceanica, più densa al di sotto dellalitosfera continentale, sia i processi di

collasso gravitazionale di una crostagravitativamente instabile, sia, infine,la spinta dell'Africa verso nord attra-verso l'uso di un pistone.

I risultati di questi esperimenti hannomostrato come la complessa situazio-ne tettonica del Mediterraneo centralepossa essere riprodotta in scala soltan-to applicando contemporaneamente tut-te queste diverse forze. La mancanzao l'errata quantificazione di uno deitre processi porta, infatti, a geometriedeformative distanti dal modello reale.Nel complesso il modello riproducel'insieme delle strutture tettoniche delMediterraneo centrale, e in particolarela coesistenza di strutture compressive,estensionali e trascorrenti nello stessoambito geodinamico. Allo stesso modole differenti geometrie e il minore tassodi deformazione del Tirreno settentrio-nale rispetto a quello meridionale sem-brano trovare una giustificazione nelladifferente velocità di subduzione neidiversi settori della catena (minore nel-l'area settentrionale rispetto a quellameridionale). In natura questo processosembra riconducibile alla differente na-tura della litosfera adriatica, di tipocontinentale o transizionale, che è me-no densa di quella ionica (di tipo ocea-nico) e di conseguenza ha meno facili-tà a immergersi passivamente nell'aste-nosfera. Questo fattore potrebbe averecondizionato in maniera determinante iprocessi di rotazione, lo stile estensio-nale e le geometrie deformative di su-perficie e, infine, le diverse tipologiemagmatiche dell'area.

RENATO FUNICIELLO è professore ordinario di geologia strutturale presso ilDipartimento di scienze geologiche dell'Università degli Studi «Roma Tre». Fa par-te di numerosi consigli scientifici di istituti di ricerca italiani e stranieri.

MASSIMO MATTEI è ricercatore presso il Dipartimento di scienze geologichedell'Università degli Studi «Roma Tre» e svolge la sua attività nel campo della geo-logia strutturale e del paleomagnetismo.

FABIO SPERANZA attualmente collabora con l'Istituto nazionale di geofisica esi occupa di paleomagnetismo ed evoluzione geodinamica dell'area centro-mediter-ranea. Nel 1995 ha conseguito il dottorato in scienze della Terra presso l'Universitéde Paris 6, discutendo i risultati di studi paleomagnetici svolti nell'area adriatica.

CLAUDIO FACCENNA, ricercatore presso il Dipartimento di scienze geologi-che dell'Università degli Studi «Roma Tre», svolge la sua attività nel campo dellageologia strutturale anche mediante l'utilizzo di modelli analogici in scala.

Gli autori ringraziano Leonardo Sagnotti per il suo contributo alla realizzazione diquesto articolo.

BUCK R. W., Modes of Continental Lithosphere Extension in «Journal of Geophy-sical Research», n. 96, pp. 20161-20178, 1991.

MATTE! M., KISSEL C. e FUNICIELLO R., No Tectonic Rotation of the TuscanTyrrhenian Margin (Italy) since Late Messinian in «Journal of Geophysical Re-search», n. 101, pp. 2835-2845, 1996.

FACCENNA C., DAVY P., BRUN J.P., FUNICIELLO R., GIARDINI D., MATTE M. e NALPAST., The Dynamics of Back-Arc Extensions: An Experimen tal Approach lo the Ope-ning of the Tyrrhenian Sea in «Geophysical Journal International», n. 126, pp. 781--795, Blackwell, Oxford (data?).