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La fraternit del sabato santo

In ascolto della vita/10 - Dio soffre con noi e la Sua parola sale nella terra ignara

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 28/08/2016

Mentre Giobbe ancora parlava, entr un altro e

disse: I tuoi figli e le tue figlie stavano mangiando

e bevendo vino in casa del loro fratello maggiore,

quand'ecco un vento impetuoso si scatenato da

oltre il deserto: ha investito i quattro lati della

casa, che rovinata sui giovani e sono morti.

Allora Giobbe si alz e si stracci il mantello; si

rase il capo, cadde a terra, si prostr e disse: Nudo

uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi

ritorner

(Giobbe 1, 18-21).

S, stata devastata di notte. Ar-Moab stata distrutta, stata annientata di notte, Kir-Moab stata distrutta. Sale la figlia di Dibon sulle alture per piangere, sul Nebo e su Mdaba Moab innalza un lamento. Ogni testa rasata, ogni barba tagliata. Nelle sue strade si indossa il sacco, sulle sue terrazze e nelle sue piazze si fa lutto e ci si scioglie in lacrime, salgono grida strazianti. S, lurlo risuonato per tutto il suo territorio (Isaia 15,1-8).

Siamo giunti al ciclo degli oracoli e delle lamentazioni di Isaia per le citt e per le nazioni devastate di Babilonia, Assur, Moab, Damasco, Egitto, Etiopia, e non c un momento, un tempo-kairos pi appropriato del nostro tragico tempo. Oracoli e lamentazioni pi grandi del loro tempo e dei loro autori, e cos ci possono donare parole grandi e estreme anche per piangere oggi sulle nostre Amatrice, Arquata, Accumuli, sulla nostra Siria, e sulle tante citt e nazioni dove le parole del profeta continuano a diventare sangue e carne, ad incarnarsi. Quelle strade e quelle piazze distrutte e ricoperte dalle macerie sono oggi il miglior luogo dove poter leggere e meditare la Bibbia e i profeti: soltanto l le possiamo capire senza turbarci, scandalizzarci, e accoglierle come dono di parole vere quando le nostre non ci sono pi perch vogliono solo tacere: I loro bambini sfracellati davanti ai loro occhi, saccheggiate le loro case; urleranno le iene nei palazzi, gli sciacalli nelle case (13, 18,21-22). Quei fatti storici, quelle devastazioni di cui ci parla Isaia, sono ormai troppo distanti, incerti, rarefatti, forse smarriti per sempre. Ma il suo canto di lamento e di lutto pu diventare, diventa, il nostro canto di lutto per le nostre citt devastate e per i loro abitanti che non ci sono pi. Per una legge misteriosa di reciprocit, le parole bibliche fanno diventare pi umane le nostre e il nostro dolore-amore le fa restare vive e fruttificanti, fa dire loro cose sempre nuove. una legge vera sempre, ma resta latente finch un evento non laccende, quasi sempre nei giorni del grande dolore. Quando improvvisamente capiamo con lintelligenza della carne che noi abbiamo bisogno della Bibbia per essere pi umani e che la Bibbia ha bisogno di noi per restare viva. Gli evangelisti hanno cambiato il mondo anche perch furono capaci di dare nuove parole alla profezia dellImmanuel, al Giordano, al Mar rosso, al deserto, facendo dire cose nuovissime a quelle antiche parole. Se ogni generazione di credenti in quella stessa parola biblica non trova

nuove parole vive per ridire qui ed ora Moab, Damasco, per i deserti, per i monti Tabor e Moria, la Bibbia non trasforma la nostra storia e non ci salva, diventa una ideologia tra le tante, e nellipotesi pi felice serve a fare da corredo alla liturgia o ad essere usata per la meditazione personale ed troppo poco.

I grandi dolori collettivi, quando non ci fanno peggiori, possono diventare levatrici di nuovi evangeli. Dopo questi momenti il mondo inizia a parlare diversamente e in esso anche le parole bibliche parlano di pi, hanno pi verbi e pi aggettivi. In questi giorni possibile capire diversamente e di pi la terra, la fede, Dio. E scoprire, ad esempio, che nel mondo ci sono milioni di Giobbe e di Isaia che continuano a intonare i loro canti, a scrivere i loro libri, a gridare le loro parole, e che non hanno mai letto neanche una riga di Bibbia. E poi restare senza fiato per la sorpresa. La Bibbia sarebbe troppo piccola se parlasse soltanto per chi la legge e la conosce, se amasse solo chi la ama. Se anche una sola persona passa oggi per le rovine delle nostre citt, raccoglie le urla delle mamme e dei padri e in essi riesce a rivedere Giobbe, Agar, lAbbandonato, quella sola persona dona alla parola biblica la possibilit di continuare ad amarci e salvarci, ad amare e salvare anche chi non conosce e non ama quella parola. Anche cos la buona novella diventa universale, non una esperienza striminzita da consumarsi nellangusto club degli eletti. La parola sale, lievito della terra, anche se la terra non lo sa. Senza prediche, senza parlare di religione n di Dio, ma semplicemente dando un nome diverso ai segni che incontra, soprattutto al dolore muto degli altri. Qualcosa di simile, anche se non identico, accade con la poesia e con larte, che quando sono oneste non fanno altro che dare nomi nuovi alle cose per chiamare il dolore del mondo. La prima, e forse unica, funzione-dono della parola chiamare le cose, e chiamandole risorgerle.

Se cos non fosse, se la Bibbia non avesse assunto la vita pi vera degli uomini e delle donne (e niente pi vero sulla terra del nostro dolore, soprattutto quello morale e spirituale), un giorno nessuno avrebbe potuto scrivere n pensare che la parola era diventata carne umana, e che lo era diventata veramente, per sempre, per tutti. Se sganciamo levento dellincarnazione della parola dallumanit che ha sofferto (soffre) e amato (ama) in attesa di parole per chiamare il proprio dolore-amore, perdiamo quasi tutto del significato storico e salvifico della rivelazione biblica.

Il Dio della Bibbia allora patisce con noi. Era l, tra le macerie, a scavare a mani nude, insieme ai pompieri, accanto ai padri e alle madri, a piangere nei funerali, a chiedere con e come noi perch come fece quel giorno sulla croce, e come continua a fare ogni giorno, per sempre. Le domande che nascono dal nostro dolore estremo costringono Dio ad essere allaltezza della parte pi alta della sua creazione, talmente alta e nobile da stupire anche il suo creatore. Il Dio biblico si sorprende di vedere un padre che non muore davanti alla bara della sua bambina; si deve sorprendere, perch quella forza morale della stessa natura di quella che ha creato il mare, il sole, la luna, le stelle. E poi ringraziarci quando abbracciamo, consoliamo, mescoliamo le nostre lacrime con quelle dei nostri amici feriti, abbracci che Lui, nella sua onnipotenza, non pu fare, se non tramite il nostro corpo. E se non si stupisse nellassistere a questi atti di amore-dolore infinito, allora il Dio delluniverso non sarebbe quello di cui ci parla la Bibbia, sarebbe meno umano di noi. Invece JHWH impara dalla storia, scopre che la lettura pi bella durante i funerali quella pagina sacra scritta dalle lacrime dei genitori, e da quelle lacrime apprende qualcosa che non sapeva gi, che non poteva sapere finch quella mamma non lha vissuto.

Per credere in un Dio onnipotente e perfettissimo non cera bisogno della rivelazione, bastava il naturale senso religioso o idolatrico. La Bibbia e poi lincarnazione ci hanno rivelato unaltra idea di

onnipotenza e di perfezione, ci ha svelato un altro Dio, che si sorprende e si commuove nel vedere un figlio tornare a casa, che si sdegna per la nostra cattiveria imprevista, che rimane stupito per la fedelt estrema di Abramo e per linfedelt estrema di Giuda.

Molti problemi della nostra teologia e del nostro ateismo dipendono dallaver costruito unidea di Dio astratta, perch troppo distante dalla Bibbia e dalle ferite dalla storia. Il Dio che conosciamo nella Bibbia ha sempre avuto bisogno della cooperazione libera degli uomini, degli alberi (fico), degli animali (asina di Balaam), rivelandoci una onnipotenza che ha bisogno del s di una giovane donna per poter diventare bambino. Il dio astrattamente onnipotente delle filosofie, di alcune teologie e di qualche catechismo, produce soltanto un vano senso di onnipotenza nei suoi credenti e lateismo di chi gli chiede conto della figlia di Iefte, di Ismaele, di Dina, di Esa, dei beniaminiti, delle due Tamar, di Uria littita, di Abele, di Rachele che piange e non vuole essere consolata perch i suoi figli non ci sono pi, della madre dei maccabei, di un crocifisso che non scende dalla croce e che muore veramente, quindi senza la certezza che sarebbe risorto anche se le varie forme di gnosi hanno sempre cercato (e cercano) di mostrarci un Cristo che faceva finta di morire, e che quindi faceva anche finta di risorgere. Quel dio astrattamente onnipotente non pu che implodere di fronte ai tanti Giairo e alle tante vedove di Naim che non vedono i loro bambini morti risorgere, di fronte alle Marta e Maria che non riottengono il fratello dalla tomba, davanti ai crocifissi che non giungono al primo giorno dopo il sabato. Il cristianesimo diventa pieno umanesimo, forse il pi grande di tutti, finch sa stare (stabat) dentro il sabato santo, senza saltare troppo velocemente dal Golgota al sepolcro vuoto. Se dimentichiamo che dopo il venerd c il sabato (non la domenica), non sappiamo chiamare per nome i nostri dolori, i dolori degli altri, costruiamo domeniche artificiali, e trasformiamo la passione in una fiction che non salva nessuno. E il sabato il giorno della storia umana: il tempo del figlio morto, il tempo delle donne che ungono il corpo di un crocifisso, il tempo degli abbracci. solo qui che possiamo veramente incontrare gli uomini e le donne del nostro tempo, ungere le nostre e loro ferite, piangere con i nostri compagni e compagne di viaggio, imparare la fraternit del sabato santo. E poi, insieme