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LA FORTEZZA DI GRADISCA D’ISONZO
L'Isonzo ed il Carso, da sempre, sono un confine naturale dove si conclude, ad est, la
pianura friulana. Sul territorio gradiscano la presenza di alcuni importanti affioramenti
rocciosi di origine carsica sui terrazzamenti formati nei millenni dall'Isonzo hanno offerto
nel tempo l'ideale insediamento di fortilizi, ed è ipotizzabile la presenza di un castelliere
andato perduto a seguito delle costruzioni che nel tempo vi si sono sovrapposte.
L'accesso da oriente avveniva, ed avviene, attraverso la cosiddetta “soglia di Gorizia”, una
striscia di terra tra i monti che da Aidussina conduce al capoluogo isontino e, superato
l'Isonzo, verso la pianura friulana e dunque verso la penisola italiana. Un luogo strategico
da sempre, e per questo, da sempre, conteso.
Nel 181 a.c. Roma iniziò la colonizzazione di queste terre attraverso l'invio di 3000 famiglie
per realizzare la centuriazione della pianura friulana e la costruzione di Aquileia. Dopo i
primi inevitabili scontri, alla fine i romani trovarono un accordo con le popolazioni indigene
occupando la pianura e lasciando ai Celti o Carni i territori montani.
Attraverso la centuriazione vennero così bonificate le terre, costruite le case per i coloni
attorno alle quali in alcuni casi si sarebbero formati i primi villaggi, regimentate le acque,
costruite le strade, ed una di queste, la via Gemina, partendo da Aquileia portava ad
Emona (Lubiana).
Lungo questa strada, come in tutte le strade romane, sorgevano delle stazioni di ristoro,
come nelle odierne autostrade, e all'undicesimo miglio si ipotizza sia stata costruita la
MUTATIO AD UNDECIMUM, per l'appunto una stazione di ristoro con cambio per i cavalli,
taverna e mercato, poche miglia prima del PONS SONTI, il ponte sull'Isonzo che sorgeva
presso la Mainizza. Negli anni '20 e nel 1936 vennero trovati nella campagna gradiscana
dei reperti, poca cosa in verità, ma sufficienti ad ipotizzare con attendibile certezza che sul
Mercaduzzo fosse collocata la MUTATIO.
Seguiranno la caduta dell'Impero Romano, le invasioni barbariche, l'arrivo dei Longobardi,
devastazioni, ricostruzioni e ripopolamenti.
Il più antico documento scritto della storia di Gradisca è il diploma del 29 aprile 967 con
cui l’imperatore Ottone I° assegnò alla chiesa di Aquileia l’intero territorio tra l’Isonzo e il
fiume Livenza. Altre menzioni del toponimo di Gradisca risalgono al 1031 nell’atto di
consacrazione della rinnovata basilica di Aquileia compiuta dal Patriarca Poppone e, poi,
con la conferma dei beni del capitolo aquileiense operata il 20 luglio 1176 dall’Imperatore
Federico Barbarossa.
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Attraverso un salto temporale arriviamo al XIII° secolo, quando i Conti di Gorizia avevano
ottenuto l'avvocazìa dei territori appartenenti al patriarcato d'Aquileia, e nello specifico
della pianura isontina.
Pur tra innumerevoli episodi conflittuali, la chiesa aquileiese tollerò la presenza sulle
proprie terre dei Conti di Gorizia, ma nel 1420 questo fragile equilibrio venne spezzato
dall'arrivo dei Veneziani in Friuli, i quali misero fine al secolare patriarcato e l'Isontino si
trovò nuovamente al centro di conflitti territoriali.
Dopo un'iniziale, difficile, convivenza tra il Conte di Gorizia e la Repubblica di Venezia,
quest'ultima rivendicò con decisione il possesso dei territori già appartenenti al Patriarcato
di Aquileia. Ne conseguirono inevitabilmente degli scontri, ma Venezia allora era davvero
una superpotenza ed il Conte di Gorizia rinunciò alle sue pretese.
A questo problema, si sommarono le prime scorrerie turche sui nostri territori, tra il 1470
ed il 1472. Nel 1473 Venezia decise di edificare una linea difensiva sulla sponda destra
dell'Isonzo, da Bovec al mare, e su progetto di tale Cittadino della Frattina, venne costruito
un terrapieno palificato ed intervallato dalla presenza di fortini o “bastìde” con le
guarnigioni pronte ad intervenire nelle località di Mainizza, Farra, Gradisca, Fogliano e
Villesse.
Per la realizzazione di queste opere di difesa venne tassata la popolazione del Friuli,
tuttavia il 29 ottobre 1477 i turchi, probabilmente favoriti dal Conte di Gorizia,
attraversarono il ponte sull'Isonzo a Piuma ed aggirarono le difese veneziane; attirarono
presso il vallone della Groina la guarnigione di Gradisca che, una volta giunta sul luogo,
cadde nell'agguato e venne sconfitta. Nello scontro perirono quasi tutti i cavalleggeri
compreso il comandante Girolamo Novello Allegri e suo figlio.
A questo punto il Senato veneziano decise di costruire una fortezza vera e propria
sull'Isonzo sfruttando l'esistente “bastìda” di Gradisca, edificata presso gli affioranti speroni
di roccia carsica.
Per consentirne l'edificazione in sicurezza, la Serenissima stipulò un accordo ventennale
di non belligeranza con i turchi nel gennaio del 1479 che venne solennemente proclamato
in Piazza San Marco il 25 aprile dello stesso anno, cedette la città albanese di Scutari
dopo aver subìto a poca distanza di anni due assedi, ed incaricò quattro provveditori,
Domenico Giorgio, Candiano Bollani, Zaccaria Barbaro e Giovanni Emo di dare l'avvio alla
costruzione della fortezza di Gradisca.
Questi individuarono dapprima gli ingegneri militari Enrico Laufer di Francia e Giovanni
Borrella che progettarono inizialmente un serraglio per 2400 cavalli tra Gradisca e
Fogliano, e nel 1483 fecero costruire una rocca sul Mercaduzzo a difesa delle maestranze
che lavoravano alla costruzione della fortezza il cui progetto, successivamente, venne
portato avanti da Enrico Gallo e da Giacomo Contrin, quest'ultimo progettista della rocca di
Orzinuovi presso Brescia (1477), uno dei più esperti ingegneri militari di cui disponesse la
Serenissima.
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L'edificazione di questo avamposto, con la funzione di baluardo verso est a difesa delle
incursioni turche, aveva probabilmente anche la duplice funzione di contrapposizione al
Conte di Gorizia e successivamente all'Impero.
La pietra conservata presso il lapidario cittadino riporta il seguente testo: GRADISCAM
VICULI APPELATIONE TURCORUM INCURSIONIBUS OPPOSITAM CONDIDERE
VENETI – Dal nome del villaggio i veneti fondarono Gradisca contro le invasioni turche.
La fortezza di Gradisca rappresenta un esempio di architettura militare che possiamo
collocare tra le cosiddette “rocche di transizione” sorte sul finire del XV° e l'inizio del XVI°
secolo, in un'epoca di trasformazione che vedeva il passaggio dalle fortificazioni tardo
medioevali, in cui le armi da fuoco avevano appena cominciato ad imporsi, alle
fortificazioni “alla moderna” introdotte da Giuliano da Sangallo e Francesco di Giorgio
Martini, che rispondevano ai requisiti richiesti dall'evolversi dell'artiglieria.
Infatti la cinta muraria esterna edificata dalla Repubblica di Venezia tra il 1479 ed il 1499 è
caratterizzata da torrioni circolari, raccordati da spesse mura, mentre le mura del castello,
realizzate più tardi, racchiudono in forma poligonale i bastioni a protezione delle strutture
edilizie interne.
Fino alla fine del '500, la difesa militare avveniva mediante le sole difese piombanti
costituite da alte e possenti mura e da fossati ed ostacoli in prossimità delle porte, i
bastioni medioevali comprendevano le torri e i camminamenti di ronda, dotati di feritoie per
il tiro incrociato che veniva effettuato utilizzando l'arco e le balestre. Questi tiri tuttavia
lasciavano degli angoli “morti”, cioè non protetti. Le mura erano adatte a difendersi dalle
frecce e dalle catapulte (che avevano una gittata massima di 200 ml), ma inefficaci a
contrastare le armi da fuoco, in modo particolare dalle artiglierie, realizzate a partire dal
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'500. Con la fortificazione bastionata moderna, dotata di scarpa, vennero studiate le forme
planimetricamente angolari che eliminarono gli angoli indifesi.
La fortezza di Gradisca aveva un perimetro di 1800 ml., la forma pentagonale ad
andamento irregolare, per assecondare gli affioramenti rocciosi, circondata da un fossato
largo 17 passi veneti circa 30 ml, alimentato in parte dall'Isonzo e dal canale della Roggia,
le mura, alte circa 22 ml e dallo spessore variabile tra i 3 ed i 4 ml, presentavano sette
torrioni (Torrione della Campana. Torrione di San Giorgio, Torrione del Portello, Torrione
della Spiritata, Torrione della Marcella, Torrione della Calcina e Torrione del Palazzo) e
due porte d'accesso.
Una terza, quella denominata “del soccorso”, venne costruita successivamente, durante il
periodo arciducale per essere utilizzata quale via di fuga direttamente sul fiume o per
l'approvvigionamento durante gli assedi attraverso l'utilizzo dello stesso.
Fortezza di Gradisca e San Salvatore – Disegno (Museo Correr, Venezia)
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La Porta Occidentale o Porta di Trieste, poi Porta d'Italia, era rivolta per l'appunto verso
occidente, mentre la Porta Vecchia, chiamata anche Porta di Farra o Porta di Germania,
orientata verso nord, venne in seguito eliminata ed inglobata nel torrione di San Giorgio;
questa nuova collocazione determinò la modifica dell'asse viario della via Lunga che
venne spostato verso la Porta Nuova.
Infatti tracciando a proseguimento la linea retta dell'odierna via Battisti dall'altezza della
Loggia dei Mercanti, questa termina nel torrione di San Giorgio al cui interno si trova
tutt'oggi la porta originale murata.
Oltre il ciglio del fossato venne realizzato, lungo tutto il perimetro, un riporto di terra a
rampa inclinata e rasa fino alla quota del marcapiano o cordone. Questo consentiva alle
artiglierie di battere l'area interessata.
L'importanza di queste fortificazioni è sottolineata dalla presenza in tutte le piante
dell'epoca, che sono l'unico riferimento per documentarne l'esistenza dopo il loro
livellamento per aprire nuovi spazi alla città. Provvisti di fossa secca e di murature di
controscarpa, i rivellini avevano una forma irregolare in relazione alla mancanza di
simmetria della cinta muraria. Quelli occidentali si avvicinavano al disegno caratteristico di
questo tipo di difesa, il rivellino del lato nord era invece composto da due parti e
attraversato dalla strada d'accesso che in tal modo veniva direttamente controllata. Gli altri
lati, verso il Salet, presentavano opere minori indicando la scarsa possibilità di attacco da
questi versanti.
Il disegno urbano dall'aspetto regolare è strutturato come un “castrum” romano ed era
formato da cinque strade principali che si intersecavano ad angolo retto, sufficientemente
larghe per favorire le manovre militari e da calli più strette che si raccordavano con le
stesse.
Tra queste c'erano 9 insule abitative con le case realizzate in forma standardizzata aventi
poco più di 95 mq di superficie in ossequio al passo veneto, un modulo di circa ml 1,73,
lunghe otto passi e larghe quattro, ampie tanto da contenere otto cavalli. E la cui altezza
non poteva superare quella delle mura.
In breve tempo, tra il 1479 ed il 1483 furono edificate 97 abitazioni; tantoché nel 1481
Gradisca ottenne il titolo di città; nel 1483 s'insediarono i Padri Serviti e nel 1486 venne
aperta la prima farmacia.
Puntualmente il 28 settembre 1499 le cavallerie bosniache guidate da Scanderberg
oltrepassarono nuovamente l’Isonzo. Si accamparono presso Villesse dove avevano
guadato il fiume grazie all’ “aiuto” di un barcaiolo, tale Ermagora. La guarnigione
veneziana, in numero notevolmente inferiore rispetto le forze turche, non uscì dalla
fortezza per contrastarle.
Men che meno i turchi si presentarono sotto le mura gradiscane e proseguirono
indisturbati fino alle porte di Treviso, devastando ed incendiando i villaggi, come viene ben
descritto da Pierpaolo Pasolini nell'opera “I Turcs tal Friul”, e dopo aver massacrato circa
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12.000 persone, ritornarono indietro con il bottino e numerosi prigionieri accampandosi
nuovamente presso Villesse.
I soldati della guarnigione presenti in Fortezza, molti dei quali originari di Scutari,
esortarono il provveditore ad intervenire, ma Andrea Zancani se ne uscì con la famosa
frase ”...non voglio fàrme mazàr...”.
I turchi ritornarono nelle terre di Bosnia con il bottino ed i prigionieri, il barcaiolo Ermagora
venne giudicato e giustiziato per tradimento ed lo Zancani venne condannato al bando
perpetuo dal Friuli e mandato al domicilio coatto a Padova per quattro anni.
La fortezza di Gradisca, costata tanta fatica e tasse alla popolazione, assistette inerte a
quella che fu l'ultima drammatica scorreria turca nella pianura friulana.
Nel 1500, sotto la minaccia di una nuova incursione turca, la Repubblica di Venezia per
rinforzare i propri confini, inviò a Gradisca Leonardo da Vinci, che diede utili indicazioni per
migliorare l'architettura della fortezza e progettò un sistema di dighe mobili atte ad allagare
la pianura isontina in caso d'invasione del territorio. Di questa visita c'è la documentazione
nel Codice Atlantico.
Sempre nel 1500 a Lienz, moriva Leonardo, ultimo conte di Gorizia e tutti i suoi domini
passarono alla casa d'Austria. Ora Venezia doveva vedersela direttamente con gli
Imperiali di Massimiliano I d'Asburgo che da lì a poco, nel 1508 firmarono l'accordo di
Cambrai a cui aderirono Luigi XII di Francia, Ferdinando II d'Aragona, Alfonso d'Este,
Carlo III Duca di Savoia e Francesco II Gonzaga Marchese di Mantova con i quali
formarono una Lega capeggiata da Papa Giulio II per arrestare l'espansione della
Serenissima in terra ferma.
A giudizio degli esperti la fortezza avrebbe potuto resistere all'assedio per anni, ma nel
1511, a margine della guerra della Lega di Cambrai, gli Imperiali, dopo aver espugnato
altre fortezze veneziane in territorio friulano, rivolsero le loro attenzioni su Gradisca.
La fortezza venne violentemente attaccata, e senza collegamenti con il resto dell'esercito,
nonostante una strenua resistenza, non resse all'urto degli incessanti bombardamenti e
anche per lo scoppio di una pestilenza all'interno, fu costretta ad arrendersi.
Oltre a ciò, vi è un episodio curioso e probabilmente decisivo; in fortezza era entrato il
nobile udinese Antonio Savorgnan, oscuro personaggio già coinvolto nei drammatici fatti
della “crudel zobia grassa”, ed in odore di esser in combutta con gli Imperiali. Ebbene il
Savorgnan riuscì a persuadere il comandante Alvise Mocenigo che le forze assedianti
erano talmente forti che la difesa sarebbe stata vana. L'assedio iniziò il 20 settembre 1511
e appena sei giorni dopo la fortezza si consegnò agli Imperiali.
Una volta perduta, Venezia non riuscì più a reimpossessarsi della Fortezza di Gradisca, e
vani furono i tentativi diplomatici, le offerte in denaro e le minacce per riottenerla.
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Stampa da Weisskönig di Massimiliano I° - 1513
Dopo dieci anni, nel 1521, la pace di Worms assegnò definitivamente Gradisca all’Austria:
per gli Imperiali quell'avamposto sulla destra Isonzo divenne strategicamente importante
tantoché diedero l'avvio ad opere di miglioria e rafforzamento e, di conseguenza, la città
oltre a funzioni militari ed amministrative, divenne sede di un capitanato con particolari
prerogative di autonomia che fecero scoppiare frequenti conflitti di competenza con
Gorizia. In particolare Gradisca poté mantenere di tenere in vigore, fino al 1754, le
Consuetudines Gradiscanae, una raccolta di diritti usuali elaborata nel 1575 dal giurista
Giacomo Garzonio.
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Nel periodo tra il 1512 ed il 1582, sotto i capitanati di Niccolò della Torre, Giovanni de
Hojos e Giacomo d'Attems, venne realizzato il castello sul colle più vicino al fiume: l'intero
complesso del castello venne edificato come nucleo difensivo autonomo secondo gli
schemi aggiornati delle fortezze moderne, al cui interno venne costruito il palazzo del
capitano, l'arsenale ed un pozzo scavato nella roccia.
L'efficiente sistema di fortificazioni esterne, edificate dai veneziani, nel XVII° secolo venne
notevolmente perfezionato e sarebbe rimasto immutato ancora a lungo; il fossato adesso
era protetto da una contro scarpa e inoltre erano stati costruiti tre “rivellini” sul lato nord-
occidentale, il più vulnerabile perchè rivolto alla campagna, e uno sul lato nord-orientale in
adiacenza del torrione di San Giorgio, leggibile ancor oggi nel disegno della campagna
verso il Salet.
L’indeterminatezza della linea di confine lungo il fiume Isonzo e la difficile definizione delle
giurisdizioni, laddove molti feudi del distretto gradiscano dipendevano dalla chiesa di
Aquileia e di conseguenza dalla repubblica veneta, non poté non alimentare tra i territori
austriaci e veneziani il permanere di uno stato di tensione che continuava ad essere
alimentato dalla minaccia delle invasioni turche.
Nel 1593 Venezia diede inizio alla costruzione della fortezza di Palmanova, ufficialmente
per contrastare le ancora attuali scorrerie turche (va precisato però che dopo il 1499 i
turchi non si erano più fatti vedere da queste parti concentrando le scorribande al nord
verso l'Austria), in realtà con funzione deterrente nei confronti degli Imperiali che videro
quale minaccia l'edificazione di Palmanova.
Il pretesto che provocò alla fine del 1615 lo scoppio del conflitto tra la Serenissima e gli
Arciducali fu la serie delle scorrerie e gli atti di pirateria che gli Uscocchi esercitarono a
danno dei commerci veneziani, sotto la sostanziale protezione dell’Austria. Nell’area lungo
il corso dell’Isonzo già gravida di tensioni si concentrarono allora gli eserciti veneziani ed
austriaci.
Dopo aver occupato tutta l’area posta a destra dell’Isonzo da Aquileia a Lucinico, Venezia
dichiarò guerra agli Asburgo. Gli eserciti arciducali condotti dal conte Adamo di
Trautmannsdort si dispiegarono sul Collio e sul Carso a difesa di Gorizia e della fortezza di
Gradisca, di cui venne nominato capitano Riccardo di Strassoldo. Questi riorganizzò la
difesa ordinando altri lavori di fortificazione e ammodernamento della cinta muraria e la
demolizione di ogni edificio antistante le mura e l’abbattimento della vegetazione.
Le truppe veneziane furono condotte dapprima da Pompeo Giustiniani e, dopo la sua
morte, da Giovanni de’ Medici. Nei primi mesi del 1616 il fuoco dei Veneziani si concentrò
contro Gradisca, che fu cinta d’assedio e poi il fronte si allargò lungo le rive dell’Isonzo, sul
Collio e sul Carso. Le alterne vicende della guerra videro dapprima i Veneziani occupare
quasi tutta la Contea di Gorizia e poi a più riprese gli eserciti arciducali dilagare in Friuli.
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Le Guerre Gradiscane: campi di battaglia presso il basso Isonzo – Keller 1617
Durante l'assedio la fortezza subì danni ingenti, in modo particolare il lato settentrionale,
ed alla fine della Guerra i torrioni di San Giorgio e della Campana unitamente al torrione
della Marcella si presentavano particolarmente rovinati. I Veneziani tentarono di riprendere
la fortezza gradiscana anche rendendo difficoltoso l’approvvigionamento di viveri.
Nell’autunno del 1617 a seguito dell’isolamento in cui i Veneziani avevano ridotto
Gradisca, mediante la costruzione di una palizzata, di un ponte di barche sull’Isonzo e di
un sistema di trincee che circondava la fortezza, quest’ultima appariva stremata priva di
acqua, viveri e legna.
L’attacco definitivo, già predisposto dai Veneziani per concludere vittoriosamente
l’assedio, fu bloccato il 6 novembre 1617 dall’ordine di sospendere i combattimenti. Il 24
giugno 1618 la pace di Madrid concluse il conflitto lasciando la fortezza all’Austria e
impegnando quest’ultima a controllare gli Uscocchi.
I Commentari della guerra moderna passata nel Friuli, e ne' confini dell'Istria, e di Dalmatia
di Biagio Rith di Colenberg, da parte arciducale, e l’ Historia della ultima guerra nel Friuli
1615-17 di Faustino Moisesso, da parte veneziana, testimoniano la centralità che il
possesso della fortezza rivestì all’interno del conflitto, noto con la definizione di “Guerre
Gradiscane”.
Dopo la Guerra dei Trent’anni le finanze austriache erano in condizioni molto precarie a
causa degli elevati costi del conflitto. Così il Capitanato di Gradisca fu elevato a sovrana
contea principesca ed immediata e ciò rese appetibile la vendita della contea stessa alla
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ricchissima famiglia degli Eggenberg, che aveva già dei possedimenti in Stiria ed in
Carniola, il ducato di Kramau/Českŷ Krumlov, la contea di Adelsberg/Postojna, la signoria
di Mahrenfels/Lupoglavo in Istria e altre quindici signorie in Boemia.
La casa d'Austria nel 1647 cedette per 315.000 fiorini Gradisca e tutte le sue pertinenze,
circa cinquanta località sparse a macchia di leopardo sul territorio regionale, al Principe
Giovanni Antonio di Eggenberg che avrebbe dovuto accollarsi le spese di manutenzione
della fortezza, oltre a riparare i danni della guerra passata e mantenere una guarnigione
militare.
Veduta di Gradisca (Castello di Českŷ Krumlov – Repubblica Ceca)
L’acquisto di Gradisca garantì alla famiglia Eggenberg il diritto, proprio in quanto il territorio
gradiscano fu elevato a signoria immediata, di sedere con diritto di voto alla Dieta
Imperiale di Ratisbona, in una posizione che ne sanciva la superiorità rispetto alla
maggioranza degli altri nobili austriaci.
Durante il cosiddetto periodo eggenbergico Gradisca divenne capitale di uno stato
autonomo, si dotò di proprie leggi, di un proprio Parlamento e di una propria moneta. Fu il
periodo più prospero della sua storia, caratterizzato da insediamenti produttivi ed
importanti modifiche all'architettura della città. Molti edifici vennero trasformati e
sopraelevati o sostituiti da grandi palazzi, anche attraverso accorpamenti, come nel caso
di Palazzo Torriani formatosi attraverso l'aggregazione di tre edifici preesistenti, i cui
riferimenti stilistici attingono all'ordine rustico, che mette in evidenza il carattere massiccio
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e severo dei palazzi gradiscani i cui punti di riferimento vanno individuati nell'architettura
civile tardomanierista e barocca veneziana.
Gli Eggenberg ressero la “Contea Principesca sovrana e immediata dell'Impero” per
settant’anni ed alla morte dell'ultimo discendente, avvenuta nel 1717, Gradisca ritornò
sotto il controllo della casa d'Austria.
Pianta della Fortezza e del Centro Storico – Fine sec. XVIII
Nel corso del XVII° secolo iniziò a scemare l'importanza strategica di Gradisca e il 13
luglio 1754 si ebbe l’unificazione con la Contea di Gorizia, con la formazione della
“Principesca Contea di Gorizia e Gradisca”. Gli Stati provinciali gradiscani furono assorbiti
dalla Convocazione goriziana e le Consuetudines Gradiscanae furono abrogate.
La fortezza ebbe un ultimo sussulto durante le guerre napoleoniche quando, per un breve
periodo, riassunse la sua funzione difensiva durante l'assedio dei francesi , condotto dal
Generale Bernadotte, e successiva capitolazione avvenuta il 19 marzo 1797.
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Napoleone Bonaparte, una volta conquistata la città vi alloggiò presso il palazzo dei nobili
de Fin, poi nel maggio dello stesso anno i francesi lasciarono Gradisca e nell'ottobre,
successivamente al Trattato di Campoformido, la città ritornò sotto il dominio austriaco fino
al 1805; poi dal 1807 al 1815 entrò a far parte del Regno italico. Il 1 dicembre 1807 fu
eletta a capoluogo di uno dei quattro distretti in cui si divideva il Dipartimento del Friuli:
Udine, Tolmezzo, Cividale e appunto Gradisca. Divenne sede di una vice.prefettura di
prima classe ed ebbe giurisdizione sui cantoni di Cormons, Cervignano e Palmanova.
Nel 1810 un decreto di S.A. Eugenio de Beauharnais, vicerè d'Italia, sancì la
cancellazione della fortezza dall'elenco delle piazzeforti e Gradisca, oramai considerata
vetusta, venne relegata tra le strutture difensive di quarta classe, caricando la municipalità
dell'onere di mantenere in efficienza le strutture in gran parte degradate e dismesse.
Durante il periodo francese il Palazzo Torriani, attuale sede comunale, ospitò il Viceré
d’Italia Eugenio di Beauharnais, figliastro di Napoleone, e da questa sede l’ 11 ottobre
1813, emise il famoso appello “Alle genti d’Italia”.
Dopo il Congresso di Vienna del 1815 Gradisca ritornò all’Austria e il castello divenne
carcere per i prigionieri che venivano inviati allo Spielberg: tra questi i più famosi furono
Maroncelli, Confalonieri e Pellico.
A partire dal 1830 i gradiscani avanzarono al governo austriaco una prima richiesta di
poter abbattere l'intero tratto delle fortificazioni occidentali al fine di aprire la città al
contado, ma la cautela imposta dalla presenza del carcere di massima sicurezza impedì
alle autorità asburgiche di concedere il consenso.
Infine nel 1855, in seguito ad ulteriori insistenti richieste l'attesa autorizzazione fu
concessa a firma del Feldmaresciallo Radetzky, e nel 1863 si iniziarono le opere di
demolizione di 370 ml di tratto murario, che interessarono la Porta d'Italia ed il Torrione del
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Palazzo fino al Torrione della Campana; furono spianati i rivellini ed altre costruzioni minori
che sorgevano all'esterno, riempito il fossato ed abbassato l'intero circuito murario lungo
tutto il perimetro ad eccezione dei due torrioni settentrionali.
L'area ricavata dallo spianamento, in base ai vincoli imposti dal governo austriaco, e
contrariamente a quanto auspicato dai governanti locali, venne adibita esclusivamente a
parco e giardino, e così venne fatto.
Tuttavia l'antico centro urbano non mutò le sue caratteristiche esteriori, continuando a
configurarsi come se fosse ancora racchiuso da quel perimetro la cui forma non ha precisi
significati se non quelli dettati da una logica relazionata a fatti preesistenti ed alla
necessità di chiudersi in un recinto protetto; la fortezza perse definitivamente la sua
funzione difensiva acquistando però l'ampio spazio verde che dal 1866 accoglie i visitatori
della città.
Durante la Prima Guerra Mondiale Gradisca si trovò in prima linea nelle 12 Battaglie
dell’Isonzo e subì molti bombardamenti. Molti furono i concittadini arruolati con l’esercito
austro-ungarico e combatterono in Galizia e sul fronte serbo. Altri si arruolarono volontari
nell’esercito italiano, tra cui Antonio Bergamas che combatté sul Carso e poi morì
sull’Altipiano di Asiago. Sua madre fu individuata per la scelta della bara del “Milite Ignoto”
che venne poi trasportata all’Altare della Patria di Roma. A fine della guerra Gradisca fu
annessa all’Italia.
Nella Seconda Guerra Mondiale, dopo l’Armistizio dell’ 8 settembre 1943, fece parte del
“Litorale Adriatico” fino alla Liberazione del 30 aprile 1945. Fu soggetta al Governo Militare
Alleato dal 12 giugno 1945 al 15 settembre 1947.
Piazza Unità d’Italia con il Leone di San Marco
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Il Leone di San Marco, simbolo della Serenissima, troneggia tuttora sulla colonna al centro
della piazza Unità e sul torrione della Campana a testimonianza del legame tra la cittadina
in riva all’Isonzo e la Repubblica di Venezia.
Attualmente per la sua storia e per la sua architettura, il comune di Gradisca d’Isonzo è
inserito nel “Club dei Borghi più belli d’Italia” e nel corso del 2014 ha ospitato il Congresso
Nazionale dell’Associazione.
Tramite il locale Lions Club, il comune è annoverato nell’ “Associazione Internazionale dei
Club Lions che hanno sede in Città Cinte da Antiche Mura” ed inoltre è associato al
“Consorzio per la salvaguardia dei Castelli Storici del Friuli Venezia Giulia”.