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1 LA FORTEZZA DI GRADISCA DISONZO L'Isonzo ed il Carso, da sempre, sono un confine naturale dove si conclude, ad est, la pianura friulana. Sul territorio gradiscano la presenza di alcuni importanti affioramenti rocciosi di origine carsica sui terrazzamenti formati nei millenni dall'Isonzo hanno offerto nel tempo l'ideale insediamento di fortilizi, ed è ipotizzabile la presenza di un castelliere andato perduto a seguito delle costruzioni che nel tempo vi si sono sovrapposte. L'accesso da oriente avveniva, ed avviene, attraverso la cosiddetta “soglia di Gorizia”, una striscia di terra tra i monti che da Aidussina conduce al capoluogo isontino e, superato l'Isonzo, verso la pianura friulana e dunque verso la penisola italiana. Un luogo strategico da sempre, e per questo, da sempre, conteso. Nel 181 a.c. Roma iniziò la colonizzazione di queste terre attraverso l'invio di 3000 famiglie per realizzare la centuriazione della pianura friulana e la costruzione di Aquileia. Dopo i primi inevitabili scontri, alla fine i romani trovarono un accordo con le popolazioni indigene occupando la pianura e lasciando ai Celti o Carni i territori montani. Attraverso la centuriazione vennero così bonificate le terre, costruite le case per i coloni attorno alle quali in alcuni casi si sarebbero formati i primi villaggi, regimentate le acque, costruite le strade, ed una di queste, la via Gemina, partendo da Aquileia portava ad Emona (Lubiana). Lungo questa strada, come in tutte le strade romane, sorgevano delle stazioni di ristoro, come nelle odierne autostrade, e all'undicesimo miglio si ipotizza sia stata costruita la MUTATIO AD UNDECIMUM, per l'appunto una stazione di ristoro con cambio per i cavalli, taverna e mercato, poche miglia prima del PONS SONTI, il ponte sull'Isonzo che sorgeva presso la Mainizza. Negli anni '20 e nel 1936 vennero trovati nella campagna gradiscana dei reperti, poca cosa in verità, ma sufficienti ad ipotizzare con attendibile certezza che sul Mercaduzzo fosse collocata la MUTATIO. Seguiranno la caduta dell'Impero Romano, le invasioni barbariche, l'arrivo dei Longobardi, devastazioni, ricostruzioni e ripopolamenti. Il più antico documento scritto della storia di Gradisca è il diploma del 29 aprile 967 con cui l’imperatore Ottone I° assegnò alla chiesa di Aquileia l’intero territorio tra l’Isonzo e il fiume Livenza. Altre menzioni del toponimo di Gradisca risalgono al 1031 nell’atto di consacrazione della rinnovata basilica di Aquileia compiuta dal Patriarca Poppone e, poi, con la conferma dei beni del capitolo aquileiense operata il 20 luglio 1176 dall’Imperatore Federico Barbarossa.

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LA FORTEZZA DI GRADISCA D’ISONZO

L'Isonzo ed il Carso, da sempre, sono un confine naturale dove si conclude, ad est, la

pianura friulana. Sul territorio gradiscano la presenza di alcuni importanti affioramenti

rocciosi di origine carsica sui terrazzamenti formati nei millenni dall'Isonzo hanno offerto

nel tempo l'ideale insediamento di fortilizi, ed è ipotizzabile la presenza di un castelliere

andato perduto a seguito delle costruzioni che nel tempo vi si sono sovrapposte.

L'accesso da oriente avveniva, ed avviene, attraverso la cosiddetta “soglia di Gorizia”, una

striscia di terra tra i monti che da Aidussina conduce al capoluogo isontino e, superato

l'Isonzo, verso la pianura friulana e dunque verso la penisola italiana. Un luogo strategico

da sempre, e per questo, da sempre, conteso.

Nel 181 a.c. Roma iniziò la colonizzazione di queste terre attraverso l'invio di 3000 famiglie

per realizzare la centuriazione della pianura friulana e la costruzione di Aquileia. Dopo i

primi inevitabili scontri, alla fine i romani trovarono un accordo con le popolazioni indigene

occupando la pianura e lasciando ai Celti o Carni i territori montani.

Attraverso la centuriazione vennero così bonificate le terre, costruite le case per i coloni

attorno alle quali in alcuni casi si sarebbero formati i primi villaggi, regimentate le acque,

costruite le strade, ed una di queste, la via Gemina, partendo da Aquileia portava ad

Emona (Lubiana).

Lungo questa strada, come in tutte le strade romane, sorgevano delle stazioni di ristoro,

come nelle odierne autostrade, e all'undicesimo miglio si ipotizza sia stata costruita la

MUTATIO AD UNDECIMUM, per l'appunto una stazione di ristoro con cambio per i cavalli,

taverna e mercato, poche miglia prima del PONS SONTI, il ponte sull'Isonzo che sorgeva

presso la Mainizza. Negli anni '20 e nel 1936 vennero trovati nella campagna gradiscana

dei reperti, poca cosa in verità, ma sufficienti ad ipotizzare con attendibile certezza che sul

Mercaduzzo fosse collocata la MUTATIO.

Seguiranno la caduta dell'Impero Romano, le invasioni barbariche, l'arrivo dei Longobardi,

devastazioni, ricostruzioni e ripopolamenti.

Il più antico documento scritto della storia di Gradisca è il diploma del 29 aprile 967 con

cui l’imperatore Ottone I° assegnò alla chiesa di Aquileia l’intero territorio tra l’Isonzo e il

fiume Livenza. Altre menzioni del toponimo di Gradisca risalgono al 1031 nell’atto di

consacrazione della rinnovata basilica di Aquileia compiuta dal Patriarca Poppone e, poi,

con la conferma dei beni del capitolo aquileiense operata il 20 luglio 1176 dall’Imperatore

Federico Barbarossa.

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Attraverso un salto temporale arriviamo al XIII° secolo, quando i Conti di Gorizia avevano

ottenuto l'avvocazìa dei territori appartenenti al patriarcato d'Aquileia, e nello specifico

della pianura isontina.

Pur tra innumerevoli episodi conflittuali, la chiesa aquileiese tollerò la presenza sulle

proprie terre dei Conti di Gorizia, ma nel 1420 questo fragile equilibrio venne spezzato

dall'arrivo dei Veneziani in Friuli, i quali misero fine al secolare patriarcato e l'Isontino si

trovò nuovamente al centro di conflitti territoriali.

Dopo un'iniziale, difficile, convivenza tra il Conte di Gorizia e la Repubblica di Venezia,

quest'ultima rivendicò con decisione il possesso dei territori già appartenenti al Patriarcato

di Aquileia. Ne conseguirono inevitabilmente degli scontri, ma Venezia allora era davvero

una superpotenza ed il Conte di Gorizia rinunciò alle sue pretese.

A questo problema, si sommarono le prime scorrerie turche sui nostri territori, tra il 1470

ed il 1472. Nel 1473 Venezia decise di edificare una linea difensiva sulla sponda destra

dell'Isonzo, da Bovec al mare, e su progetto di tale Cittadino della Frattina, venne costruito

un terrapieno palificato ed intervallato dalla presenza di fortini o “bastìde” con le

guarnigioni pronte ad intervenire nelle località di Mainizza, Farra, Gradisca, Fogliano e

Villesse.

Per la realizzazione di queste opere di difesa venne tassata la popolazione del Friuli,

tuttavia il 29 ottobre 1477 i turchi, probabilmente favoriti dal Conte di Gorizia,

attraversarono il ponte sull'Isonzo a Piuma ed aggirarono le difese veneziane; attirarono

presso il vallone della Groina la guarnigione di Gradisca che, una volta giunta sul luogo,

cadde nell'agguato e venne sconfitta. Nello scontro perirono quasi tutti i cavalleggeri

compreso il comandante Girolamo Novello Allegri e suo figlio.

A questo punto il Senato veneziano decise di costruire una fortezza vera e propria

sull'Isonzo sfruttando l'esistente “bastìda” di Gradisca, edificata presso gli affioranti speroni

di roccia carsica.

Per consentirne l'edificazione in sicurezza, la Serenissima stipulò un accordo ventennale

di non belligeranza con i turchi nel gennaio del 1479 che venne solennemente proclamato

in Piazza San Marco il 25 aprile dello stesso anno, cedette la città albanese di Scutari

dopo aver subìto a poca distanza di anni due assedi, ed incaricò quattro provveditori,

Domenico Giorgio, Candiano Bollani, Zaccaria Barbaro e Giovanni Emo di dare l'avvio alla

costruzione della fortezza di Gradisca.

Questi individuarono dapprima gli ingegneri militari Enrico Laufer di Francia e Giovanni

Borrella che progettarono inizialmente un serraglio per 2400 cavalli tra Gradisca e

Fogliano, e nel 1483 fecero costruire una rocca sul Mercaduzzo a difesa delle maestranze

che lavoravano alla costruzione della fortezza il cui progetto, successivamente, venne

portato avanti da Enrico Gallo e da Giacomo Contrin, quest'ultimo progettista della rocca di

Orzinuovi presso Brescia (1477), uno dei più esperti ingegneri militari di cui disponesse la

Serenissima.

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L'edificazione di questo avamposto, con la funzione di baluardo verso est a difesa delle

incursioni turche, aveva probabilmente anche la duplice funzione di contrapposizione al

Conte di Gorizia e successivamente all'Impero.

La pietra conservata presso il lapidario cittadino riporta il seguente testo: GRADISCAM

VICULI APPELATIONE TURCORUM INCURSIONIBUS OPPOSITAM CONDIDERE

VENETI – Dal nome del villaggio i veneti fondarono Gradisca contro le invasioni turche.

La fortezza di Gradisca rappresenta un esempio di architettura militare che possiamo

collocare tra le cosiddette “rocche di transizione” sorte sul finire del XV° e l'inizio del XVI°

secolo, in un'epoca di trasformazione che vedeva il passaggio dalle fortificazioni tardo

medioevali, in cui le armi da fuoco avevano appena cominciato ad imporsi, alle

fortificazioni “alla moderna” introdotte da Giuliano da Sangallo e Francesco di Giorgio

Martini, che rispondevano ai requisiti richiesti dall'evolversi dell'artiglieria.

Infatti la cinta muraria esterna edificata dalla Repubblica di Venezia tra il 1479 ed il 1499 è

caratterizzata da torrioni circolari, raccordati da spesse mura, mentre le mura del castello,

realizzate più tardi, racchiudono in forma poligonale i bastioni a protezione delle strutture

edilizie interne.

Fino alla fine del '500, la difesa militare avveniva mediante le sole difese piombanti

costituite da alte e possenti mura e da fossati ed ostacoli in prossimità delle porte, i

bastioni medioevali comprendevano le torri e i camminamenti di ronda, dotati di feritoie per

il tiro incrociato che veniva effettuato utilizzando l'arco e le balestre. Questi tiri tuttavia

lasciavano degli angoli “morti”, cioè non protetti. Le mura erano adatte a difendersi dalle

frecce e dalle catapulte (che avevano una gittata massima di 200 ml), ma inefficaci a

contrastare le armi da fuoco, in modo particolare dalle artiglierie, realizzate a partire dal

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'500. Con la fortificazione bastionata moderna, dotata di scarpa, vennero studiate le forme

planimetricamente angolari che eliminarono gli angoli indifesi.

La fortezza di Gradisca aveva un perimetro di 1800 ml., la forma pentagonale ad

andamento irregolare, per assecondare gli affioramenti rocciosi, circondata da un fossato

largo 17 passi veneti circa 30 ml, alimentato in parte dall'Isonzo e dal canale della Roggia,

le mura, alte circa 22 ml e dallo spessore variabile tra i 3 ed i 4 ml, presentavano sette

torrioni (Torrione della Campana. Torrione di San Giorgio, Torrione del Portello, Torrione

della Spiritata, Torrione della Marcella, Torrione della Calcina e Torrione del Palazzo) e

due porte d'accesso.

Una terza, quella denominata “del soccorso”, venne costruita successivamente, durante il

periodo arciducale per essere utilizzata quale via di fuga direttamente sul fiume o per

l'approvvigionamento durante gli assedi attraverso l'utilizzo dello stesso.

Fortezza di Gradisca e San Salvatore – Disegno (Museo Correr, Venezia)

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La Porta Occidentale o Porta di Trieste, poi Porta d'Italia, era rivolta per l'appunto verso

occidente, mentre la Porta Vecchia, chiamata anche Porta di Farra o Porta di Germania,

orientata verso nord, venne in seguito eliminata ed inglobata nel torrione di San Giorgio;

questa nuova collocazione determinò la modifica dell'asse viario della via Lunga che

venne spostato verso la Porta Nuova.

Infatti tracciando a proseguimento la linea retta dell'odierna via Battisti dall'altezza della

Loggia dei Mercanti, questa termina nel torrione di San Giorgio al cui interno si trova

tutt'oggi la porta originale murata.

Oltre il ciglio del fossato venne realizzato, lungo tutto il perimetro, un riporto di terra a

rampa inclinata e rasa fino alla quota del marcapiano o cordone. Questo consentiva alle

artiglierie di battere l'area interessata.

L'importanza di queste fortificazioni è sottolineata dalla presenza in tutte le piante

dell'epoca, che sono l'unico riferimento per documentarne l'esistenza dopo il loro

livellamento per aprire nuovi spazi alla città. Provvisti di fossa secca e di murature di

controscarpa, i rivellini avevano una forma irregolare in relazione alla mancanza di

simmetria della cinta muraria. Quelli occidentali si avvicinavano al disegno caratteristico di

questo tipo di difesa, il rivellino del lato nord era invece composto da due parti e

attraversato dalla strada d'accesso che in tal modo veniva direttamente controllata. Gli altri

lati, verso il Salet, presentavano opere minori indicando la scarsa possibilità di attacco da

questi versanti.

Il disegno urbano dall'aspetto regolare è strutturato come un “castrum” romano ed era

formato da cinque strade principali che si intersecavano ad angolo retto, sufficientemente

larghe per favorire le manovre militari e da calli più strette che si raccordavano con le

stesse.

Tra queste c'erano 9 insule abitative con le case realizzate in forma standardizzata aventi

poco più di 95 mq di superficie in ossequio al passo veneto, un modulo di circa ml 1,73,

lunghe otto passi e larghe quattro, ampie tanto da contenere otto cavalli. E la cui altezza

non poteva superare quella delle mura.

In breve tempo, tra il 1479 ed il 1483 furono edificate 97 abitazioni; tantoché nel 1481

Gradisca ottenne il titolo di città; nel 1483 s'insediarono i Padri Serviti e nel 1486 venne

aperta la prima farmacia.

Puntualmente il 28 settembre 1499 le cavallerie bosniache guidate da Scanderberg

oltrepassarono nuovamente l’Isonzo. Si accamparono presso Villesse dove avevano

guadato il fiume grazie all’ “aiuto” di un barcaiolo, tale Ermagora. La guarnigione

veneziana, in numero notevolmente inferiore rispetto le forze turche, non uscì dalla

fortezza per contrastarle.

Men che meno i turchi si presentarono sotto le mura gradiscane e proseguirono

indisturbati fino alle porte di Treviso, devastando ed incendiando i villaggi, come viene ben

descritto da Pierpaolo Pasolini nell'opera “I Turcs tal Friul”, e dopo aver massacrato circa

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12.000 persone, ritornarono indietro con il bottino e numerosi prigionieri accampandosi

nuovamente presso Villesse.

I soldati della guarnigione presenti in Fortezza, molti dei quali originari di Scutari,

esortarono il provveditore ad intervenire, ma Andrea Zancani se ne uscì con la famosa

frase ”...non voglio fàrme mazàr...”.

I turchi ritornarono nelle terre di Bosnia con il bottino ed i prigionieri, il barcaiolo Ermagora

venne giudicato e giustiziato per tradimento ed lo Zancani venne condannato al bando

perpetuo dal Friuli e mandato al domicilio coatto a Padova per quattro anni.

La fortezza di Gradisca, costata tanta fatica e tasse alla popolazione, assistette inerte a

quella che fu l'ultima drammatica scorreria turca nella pianura friulana.

Nel 1500, sotto la minaccia di una nuova incursione turca, la Repubblica di Venezia per

rinforzare i propri confini, inviò a Gradisca Leonardo da Vinci, che diede utili indicazioni per

migliorare l'architettura della fortezza e progettò un sistema di dighe mobili atte ad allagare

la pianura isontina in caso d'invasione del territorio. Di questa visita c'è la documentazione

nel Codice Atlantico.

Sempre nel 1500 a Lienz, moriva Leonardo, ultimo conte di Gorizia e tutti i suoi domini

passarono alla casa d'Austria. Ora Venezia doveva vedersela direttamente con gli

Imperiali di Massimiliano I d'Asburgo che da lì a poco, nel 1508 firmarono l'accordo di

Cambrai a cui aderirono Luigi XII di Francia, Ferdinando II d'Aragona, Alfonso d'Este,

Carlo III Duca di Savoia e Francesco II Gonzaga Marchese di Mantova con i quali

formarono una Lega capeggiata da Papa Giulio II per arrestare l'espansione della

Serenissima in terra ferma.

A giudizio degli esperti la fortezza avrebbe potuto resistere all'assedio per anni, ma nel

1511, a margine della guerra della Lega di Cambrai, gli Imperiali, dopo aver espugnato

altre fortezze veneziane in territorio friulano, rivolsero le loro attenzioni su Gradisca.

La fortezza venne violentemente attaccata, e senza collegamenti con il resto dell'esercito,

nonostante una strenua resistenza, non resse all'urto degli incessanti bombardamenti e

anche per lo scoppio di una pestilenza all'interno, fu costretta ad arrendersi.

Oltre a ciò, vi è un episodio curioso e probabilmente decisivo; in fortezza era entrato il

nobile udinese Antonio Savorgnan, oscuro personaggio già coinvolto nei drammatici fatti

della “crudel zobia grassa”, ed in odore di esser in combutta con gli Imperiali. Ebbene il

Savorgnan riuscì a persuadere il comandante Alvise Mocenigo che le forze assedianti

erano talmente forti che la difesa sarebbe stata vana. L'assedio iniziò il 20 settembre 1511

e appena sei giorni dopo la fortezza si consegnò agli Imperiali.

Una volta perduta, Venezia non riuscì più a reimpossessarsi della Fortezza di Gradisca, e

vani furono i tentativi diplomatici, le offerte in denaro e le minacce per riottenerla.

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Stampa da Weisskönig di Massimiliano I° - 1513

Dopo dieci anni, nel 1521, la pace di Worms assegnò definitivamente Gradisca all’Austria:

per gli Imperiali quell'avamposto sulla destra Isonzo divenne strategicamente importante

tantoché diedero l'avvio ad opere di miglioria e rafforzamento e, di conseguenza, la città

oltre a funzioni militari ed amministrative, divenne sede di un capitanato con particolari

prerogative di autonomia che fecero scoppiare frequenti conflitti di competenza con

Gorizia. In particolare Gradisca poté mantenere di tenere in vigore, fino al 1754, le

Consuetudines Gradiscanae, una raccolta di diritti usuali elaborata nel 1575 dal giurista

Giacomo Garzonio.

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Nel periodo tra il 1512 ed il 1582, sotto i capitanati di Niccolò della Torre, Giovanni de

Hojos e Giacomo d'Attems, venne realizzato il castello sul colle più vicino al fiume: l'intero

complesso del castello venne edificato come nucleo difensivo autonomo secondo gli

schemi aggiornati delle fortezze moderne, al cui interno venne costruito il palazzo del

capitano, l'arsenale ed un pozzo scavato nella roccia.

L'efficiente sistema di fortificazioni esterne, edificate dai veneziani, nel XVII° secolo venne

notevolmente perfezionato e sarebbe rimasto immutato ancora a lungo; il fossato adesso

era protetto da una contro scarpa e inoltre erano stati costruiti tre “rivellini” sul lato nord-

occidentale, il più vulnerabile perchè rivolto alla campagna, e uno sul lato nord-orientale in

adiacenza del torrione di San Giorgio, leggibile ancor oggi nel disegno della campagna

verso il Salet.

L’indeterminatezza della linea di confine lungo il fiume Isonzo e la difficile definizione delle

giurisdizioni, laddove molti feudi del distretto gradiscano dipendevano dalla chiesa di

Aquileia e di conseguenza dalla repubblica veneta, non poté non alimentare tra i territori

austriaci e veneziani il permanere di uno stato di tensione che continuava ad essere

alimentato dalla minaccia delle invasioni turche.

Nel 1593 Venezia diede inizio alla costruzione della fortezza di Palmanova, ufficialmente

per contrastare le ancora attuali scorrerie turche (va precisato però che dopo il 1499 i

turchi non si erano più fatti vedere da queste parti concentrando le scorribande al nord

verso l'Austria), in realtà con funzione deterrente nei confronti degli Imperiali che videro

quale minaccia l'edificazione di Palmanova.

Il pretesto che provocò alla fine del 1615 lo scoppio del conflitto tra la Serenissima e gli

Arciducali fu la serie delle scorrerie e gli atti di pirateria che gli Uscocchi esercitarono a

danno dei commerci veneziani, sotto la sostanziale protezione dell’Austria. Nell’area lungo

il corso dell’Isonzo già gravida di tensioni si concentrarono allora gli eserciti veneziani ed

austriaci.

Dopo aver occupato tutta l’area posta a destra dell’Isonzo da Aquileia a Lucinico, Venezia

dichiarò guerra agli Asburgo. Gli eserciti arciducali condotti dal conte Adamo di

Trautmannsdort si dispiegarono sul Collio e sul Carso a difesa di Gorizia e della fortezza di

Gradisca, di cui venne nominato capitano Riccardo di Strassoldo. Questi riorganizzò la

difesa ordinando altri lavori di fortificazione e ammodernamento della cinta muraria e la

demolizione di ogni edificio antistante le mura e l’abbattimento della vegetazione.

Le truppe veneziane furono condotte dapprima da Pompeo Giustiniani e, dopo la sua

morte, da Giovanni de’ Medici. Nei primi mesi del 1616 il fuoco dei Veneziani si concentrò

contro Gradisca, che fu cinta d’assedio e poi il fronte si allargò lungo le rive dell’Isonzo, sul

Collio e sul Carso. Le alterne vicende della guerra videro dapprima i Veneziani occupare

quasi tutta la Contea di Gorizia e poi a più riprese gli eserciti arciducali dilagare in Friuli.

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Le Guerre Gradiscane: campi di battaglia presso il basso Isonzo – Keller 1617

Durante l'assedio la fortezza subì danni ingenti, in modo particolare il lato settentrionale,

ed alla fine della Guerra i torrioni di San Giorgio e della Campana unitamente al torrione

della Marcella si presentavano particolarmente rovinati. I Veneziani tentarono di riprendere

la fortezza gradiscana anche rendendo difficoltoso l’approvvigionamento di viveri.

Nell’autunno del 1617 a seguito dell’isolamento in cui i Veneziani avevano ridotto

Gradisca, mediante la costruzione di una palizzata, di un ponte di barche sull’Isonzo e di

un sistema di trincee che circondava la fortezza, quest’ultima appariva stremata priva di

acqua, viveri e legna.

L’attacco definitivo, già predisposto dai Veneziani per concludere vittoriosamente

l’assedio, fu bloccato il 6 novembre 1617 dall’ordine di sospendere i combattimenti. Il 24

giugno 1618 la pace di Madrid concluse il conflitto lasciando la fortezza all’Austria e

impegnando quest’ultima a controllare gli Uscocchi.

I Commentari della guerra moderna passata nel Friuli, e ne' confini dell'Istria, e di Dalmatia

di Biagio Rith di Colenberg, da parte arciducale, e l’ Historia della ultima guerra nel Friuli

1615-17 di Faustino Moisesso, da parte veneziana, testimoniano la centralità che il

possesso della fortezza rivestì all’interno del conflitto, noto con la definizione di “Guerre

Gradiscane”.

Dopo la Guerra dei Trent’anni le finanze austriache erano in condizioni molto precarie a

causa degli elevati costi del conflitto. Così il Capitanato di Gradisca fu elevato a sovrana

contea principesca ed immediata e ciò rese appetibile la vendita della contea stessa alla

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ricchissima famiglia degli Eggenberg, che aveva già dei possedimenti in Stiria ed in

Carniola, il ducato di Kramau/Českŷ Krumlov, la contea di Adelsberg/Postojna, la signoria

di Mahrenfels/Lupoglavo in Istria e altre quindici signorie in Boemia.

La casa d'Austria nel 1647 cedette per 315.000 fiorini Gradisca e tutte le sue pertinenze,

circa cinquanta località sparse a macchia di leopardo sul territorio regionale, al Principe

Giovanni Antonio di Eggenberg che avrebbe dovuto accollarsi le spese di manutenzione

della fortezza, oltre a riparare i danni della guerra passata e mantenere una guarnigione

militare.

Veduta di Gradisca (Castello di Českŷ Krumlov – Repubblica Ceca)

L’acquisto di Gradisca garantì alla famiglia Eggenberg il diritto, proprio in quanto il territorio

gradiscano fu elevato a signoria immediata, di sedere con diritto di voto alla Dieta

Imperiale di Ratisbona, in una posizione che ne sanciva la superiorità rispetto alla

maggioranza degli altri nobili austriaci.

Durante il cosiddetto periodo eggenbergico Gradisca divenne capitale di uno stato

autonomo, si dotò di proprie leggi, di un proprio Parlamento e di una propria moneta. Fu il

periodo più prospero della sua storia, caratterizzato da insediamenti produttivi ed

importanti modifiche all'architettura della città. Molti edifici vennero trasformati e

sopraelevati o sostituiti da grandi palazzi, anche attraverso accorpamenti, come nel caso

di Palazzo Torriani formatosi attraverso l'aggregazione di tre edifici preesistenti, i cui

riferimenti stilistici attingono all'ordine rustico, che mette in evidenza il carattere massiccio

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e severo dei palazzi gradiscani i cui punti di riferimento vanno individuati nell'architettura

civile tardomanierista e barocca veneziana.

Gli Eggenberg ressero la “Contea Principesca sovrana e immediata dell'Impero” per

settant’anni ed alla morte dell'ultimo discendente, avvenuta nel 1717, Gradisca ritornò

sotto il controllo della casa d'Austria.

Pianta della Fortezza e del Centro Storico – Fine sec. XVIII

Nel corso del XVII° secolo iniziò a scemare l'importanza strategica di Gradisca e il 13

luglio 1754 si ebbe l’unificazione con la Contea di Gorizia, con la formazione della

“Principesca Contea di Gorizia e Gradisca”. Gli Stati provinciali gradiscani furono assorbiti

dalla Convocazione goriziana e le Consuetudines Gradiscanae furono abrogate.

La fortezza ebbe un ultimo sussulto durante le guerre napoleoniche quando, per un breve

periodo, riassunse la sua funzione difensiva durante l'assedio dei francesi , condotto dal

Generale Bernadotte, e successiva capitolazione avvenuta il 19 marzo 1797.

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Napoleone Bonaparte, una volta conquistata la città vi alloggiò presso il palazzo dei nobili

de Fin, poi nel maggio dello stesso anno i francesi lasciarono Gradisca e nell'ottobre,

successivamente al Trattato di Campoformido, la città ritornò sotto il dominio austriaco fino

al 1805; poi dal 1807 al 1815 entrò a far parte del Regno italico. Il 1 dicembre 1807 fu

eletta a capoluogo di uno dei quattro distretti in cui si divideva il Dipartimento del Friuli:

Udine, Tolmezzo, Cividale e appunto Gradisca. Divenne sede di una vice.prefettura di

prima classe ed ebbe giurisdizione sui cantoni di Cormons, Cervignano e Palmanova.

Nel 1810 un decreto di S.A. Eugenio de Beauharnais, vicerè d'Italia, sancì la

cancellazione della fortezza dall'elenco delle piazzeforti e Gradisca, oramai considerata

vetusta, venne relegata tra le strutture difensive di quarta classe, caricando la municipalità

dell'onere di mantenere in efficienza le strutture in gran parte degradate e dismesse.

Durante il periodo francese il Palazzo Torriani, attuale sede comunale, ospitò il Viceré

d’Italia Eugenio di Beauharnais, figliastro di Napoleone, e da questa sede l’ 11 ottobre

1813, emise il famoso appello “Alle genti d’Italia”.

Dopo il Congresso di Vienna del 1815 Gradisca ritornò all’Austria e il castello divenne

carcere per i prigionieri che venivano inviati allo Spielberg: tra questi i più famosi furono

Maroncelli, Confalonieri e Pellico.

A partire dal 1830 i gradiscani avanzarono al governo austriaco una prima richiesta di

poter abbattere l'intero tratto delle fortificazioni occidentali al fine di aprire la città al

contado, ma la cautela imposta dalla presenza del carcere di massima sicurezza impedì

alle autorità asburgiche di concedere il consenso.

Infine nel 1855, in seguito ad ulteriori insistenti richieste l'attesa autorizzazione fu

concessa a firma del Feldmaresciallo Radetzky, e nel 1863 si iniziarono le opere di

demolizione di 370 ml di tratto murario, che interessarono la Porta d'Italia ed il Torrione del

Page 13: LA FORTEZZA DI GRADISCA D ISONZO · La fortezza di Gradisca aveva un perimetro di 1800 ml., la forma pentagonale ad andamento irregolare, per assecondare gli affioramenti rocciosi,

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Palazzo fino al Torrione della Campana; furono spianati i rivellini ed altre costruzioni minori

che sorgevano all'esterno, riempito il fossato ed abbassato l'intero circuito murario lungo

tutto il perimetro ad eccezione dei due torrioni settentrionali.

L'area ricavata dallo spianamento, in base ai vincoli imposti dal governo austriaco, e

contrariamente a quanto auspicato dai governanti locali, venne adibita esclusivamente a

parco e giardino, e così venne fatto.

Tuttavia l'antico centro urbano non mutò le sue caratteristiche esteriori, continuando a

configurarsi come se fosse ancora racchiuso da quel perimetro la cui forma non ha precisi

significati se non quelli dettati da una logica relazionata a fatti preesistenti ed alla

necessità di chiudersi in un recinto protetto; la fortezza perse definitivamente la sua

funzione difensiva acquistando però l'ampio spazio verde che dal 1866 accoglie i visitatori

della città.

Durante la Prima Guerra Mondiale Gradisca si trovò in prima linea nelle 12 Battaglie

dell’Isonzo e subì molti bombardamenti. Molti furono i concittadini arruolati con l’esercito

austro-ungarico e combatterono in Galizia e sul fronte serbo. Altri si arruolarono volontari

nell’esercito italiano, tra cui Antonio Bergamas che combatté sul Carso e poi morì

sull’Altipiano di Asiago. Sua madre fu individuata per la scelta della bara del “Milite Ignoto”

che venne poi trasportata all’Altare della Patria di Roma. A fine della guerra Gradisca fu

annessa all’Italia.

Nella Seconda Guerra Mondiale, dopo l’Armistizio dell’ 8 settembre 1943, fece parte del

“Litorale Adriatico” fino alla Liberazione del 30 aprile 1945. Fu soggetta al Governo Militare

Alleato dal 12 giugno 1945 al 15 settembre 1947.

Piazza Unità d’Italia con il Leone di San Marco

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Il Leone di San Marco, simbolo della Serenissima, troneggia tuttora sulla colonna al centro

della piazza Unità e sul torrione della Campana a testimonianza del legame tra la cittadina

in riva all’Isonzo e la Repubblica di Venezia.

Attualmente per la sua storia e per la sua architettura, il comune di Gradisca d’Isonzo è

inserito nel “Club dei Borghi più belli d’Italia” e nel corso del 2014 ha ospitato il Congresso

Nazionale dell’Associazione.

Tramite il locale Lions Club, il comune è annoverato nell’ “Associazione Internazionale dei

Club Lions che hanno sede in Città Cinte da Antiche Mura” ed inoltre è associato al

“Consorzio per la salvaguardia dei Castelli Storici del Friuli Venezia Giulia”.