La FNP a CoNgresso sPiNge aL riNNovameNto De … 2008 è Presidente di Isiamed (Istituto Italiano...

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N°1 Aprile-Maggio 2013 LA FNP A CONGRESSO SPINGE AL RINNOVAMENTO DE RITA: ECCO L’ITALIA “LIQUIDA” E DALLA FRAGILE RAPPRESENTANZA SQUINZI: C’È VITALITÀ, L’ITALIA PUÒ TORNARE A CRESCERE Giuseppe De Rita

Transcript of La FNP a CoNgresso sPiNge aL riNNovameNto De … 2008 è Presidente di Isiamed (Istituto Italiano...

N°1 Aprile-Maggio 2013

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Sommariomemoria, attualità, futuro

Postatarget Magazine - tariffa pagata -DCB Centrale/PT Magazine ed/ aut.n.50/2004 - valida dal 07/04/2004 Contromano Magazine N° 1 Maggio 2013 - Aut. Trib. Roma n 40 del 18/02/2013 Prezzo di copertina € 1,80 Abbonamento annuale € 9,048 Direttore responsabile: Gian Guido Folloni Proprietà: Federpensionati S.r.l. sede legale:Via Giovanni Nicotera 2900195 Roma Editore delegato:Edizioni Della Casa S.r.l.Via Emilia Ovest 101441123 ModenaStampa: tipografia ARBE s.p.a Via Emilia Ovest 1014 Modena

Redazione Coordinamento grafico: Edizioni Della Casa ArtWork: M. Barbieri Postproduzione immagini:Paolo Pignatti Comitato di redazione:Matteo De Gennaro Dino Della Casa Questo numero è stato chiuso il: 15/05/2013

A norma dell’art.7 della legge n.196/2003 il destinatario può avere accesso ai suoi dati chiedendone la modifica o la cancellazione oppure opporsi al loro utilizzo scivendo a: Federpensionati S.r.l. sede amministrativa: Via Castelfidardo, 47 00185 Roma

L’editore delegato è pronto a riconoscere eventuali diritti sul materiale fotografico di cui non è stato possibile risalire all’autore

Gian Guido Folloni è un politico e giornalista italiano, già Ministro della Repubblica per i Rapporti con il Parlamento.E’ stato direttore del quotidiano cattolico Avvenire dal 1983 al 1990. Successivamente ha lavorato alla Rai.Dal 2008 è Presidente di Isiamed (Istituto Italiano per l’Asia e il Mediterraneo).

3 Editoriale (Attilio Rimoldi) 4 Hanno scritto per noi 5 Scrivete: è meglio di twitter (Gian Guido Folloni) 6 Le organizzazioni di massa nel turbine della crisi (Gigi Bonfanti) 9 Cosa mettere in agenda (a cura Cisl FNP)10 Nel monito ai partiti l’agenda delle riforme (Luigi Ciaurro)12 Il nuovo governo Letta (Marco Pederzoli)13 L’agenda per l’Italia (Arturo Celletti)18 I partiti al tempo della rete (Gianfranco Garancini)20 Mentre il Parlamento votava il Presidente (Dario Caselli)ATTUALITA’ E SOCIETA’21 Intervista esclusiva a Giuseppe De Rita (Mimmo Sacco)25 Delrio,il ministro che punta alla ”Città delle persone” (Marco Pederzoli)28 E alla fine la crisi partorirà l’Europa (Gianfranco Varvesi)29 La sanità va curata(Marco Pederzoli)30 Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria (Gian Guido Folloni)ECONOMIA E FINANZA36 Una banca per lo sviluppo e bond per la crescita (Paolo Raimondi)CULTURA38 Papa Bergoglio e gli anziani (Aldo Maria Valli)40 Anziani e nuove tecnologie (Stefano Della Casa)MAPPAMONDO42 Al cuor non si comanda (Ferdinando Origliani)44 Cresci Eurasia,cresci (Mikhail Baydakov e Yury Gromiko)47 Diversamente anziani (Giobbe)48 Libri e Web (Marco Pederzoli)51 Vagabolario (Dino Basili)

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EditorialeSommarioil Xvii congressoQuesto 1° numero di Contromano esce contemporane-amente alla celebrazione del XVII Congresso Nazionale della FNP ed è perciò naturale aprire questo numero con qualche accenno nel merito.Cosa cambierebbe, se il documento conclusivo del nostro congresso nazionale cominciasse con “Noi delegati…” Non cambierebbe la sostanza, ma certamente aumenterebbe la solennità. I congressi in effetti sono delle solennità, cele-brate ogni quattro anni, nelle quali, agli iscritti, agli asso-ciati singoli, è attribuito il ruolo fondamentale di base de-mocratica rappresentativa per l’elezione dei dirigenti che devono dar corso, negli anni successivi nelle circostanze e nei contesti dati, a ciò che è stato deliberato e stabilito. La solennità dei congressi assume necessariamente aspetti celebrativi e in un certo senso di festa. Sono infatti anche occasioni non consuete di incontri, di ricordi e di relazioni di cui non deve essere trascurata l’importanza. Si giustifica-no così anche gli aspetti estetici delle celebrazioni, come la presenza di un contorno di esperti, politici ed altre celebri-tà per rafforzare la rappresentatività dell’Organizzazione, necessaria per operare con successo nello spazio pubblico. Cosi come l’ospitalità data ai dirigenti di altri sindacati, per facilitare l’azione comune e ad altre forze sociali per fa-vorire alleanze e cooperazioni è un elemento significativo dell’assise congressuale. Ma quello che conta è l’implicito o l’esplicito “noi” che ribadisce la natura associativa del sin-dacato e il metodo democratico della rappresentanza che ci caratterizza. Il Congresso Nazionale si tiene a distanza di un mese dalla conclusione dei Congressi Regionali, un tempo utile per riassumere le idee e le proposte discusse e votate in migliaia di congressi a livello locale, territoriale e regionale e per proporre delle risoluzioni che possano esse-re concordemente sostenute da tutti i delegati. Il dibattito nei mesi passati è stato ampio le soluzioni e le deliberazio-ni non sono state fatte discendere dall’alto, ma i dirigen-ti non si sono limitati a fare da notai. Sono state, infatti, presentate delle “tracce” o delle “riflessioni” per contribu-

ire ad una feconda discussione dialogica e “comunicativa”. Comunicare, non è né “trasmettere”, né “ascoltare” ma si-gnifica mettere in comune la conoscenza: proprio ciò che ci proponiamo di fare al Congresso Nazionale. Dai congressi regionali sono state messe in evidenza alcune cose che non riguardano solo i pensionati e gli anziani. Sono quei pro-blemi e quelle preoccupazioni comuni a tutti i lavoratori, ai pensionati e alle loro famiglie, nelle quali sono accomunati giovani, adulti e anziani. Primi di tutti vengono i temi del lavoro: di quello che manca ai giovani, per cui si rischia di perdere una intera generazione e quello degli anziani dal quale sono “spinti” fuori, spesso cinicamente, perché co-stano di più dei lavoratori atipici, di quelli “parzialmente standard” e degli apprendisti più o meno autentici. Il tema della crescita è comune a tutti, ma c’è la consapevolezza che siano necessarie anche nuove regole da definire subi-to sia sul fronte delle pensioni che quello del mercato del lavoro, compresi i provvedimenti per una politica che pro-muova la capacità e la possibilità di una vita attiva per tutte le persone anziane di ogni età. L’altro insieme di problemi riguarda i servizi pubblici e i loro costi, in particolare quelli del welfare, con la salute al primo posto. La politica della salute per la quale i servizi sanitari sono oggi centrali, ri-chiede una grande attenzione, perché i costi sono arrivati ad un punto tale che non solo generano povertà delle fami-glie (come il CEIS denuncia da qualche anno), ma genera anche danno allo stato generale della salute, poiché ci sono famiglie che non si curano come dovrebbero non potendo pagare i Ticket. I Ticket ai livelli attuali fanno diventare la malattia una colpa, cosa assolutamente inaccettabile e da rimuovere. La riforma del welfare sarà pertanto fondamen-tale. Alcuni sostengono il ricorso ad un “secondo welfare” sostenuto dal privato, individuale, collettivo o contrattua-le, ma esso potrebbe avere l’effetto di creare situazioni di ingiustizia distributiva a carico dei più deboli e non risol-verebbe le cause di fondo della crisi del welfare che sono l’assenza di giustizia interpersonale, di reciprocità e di relazioni sociali. Le possibilità reali di crescita del welfare

stanno invece in un recupero di rapporti comunitari, nella partecipazione degli “utenti” alla determinazione e alla ge-stione dei servizi che li riguardano, nella conciliazione tra i cittadini e gli operatori dei servizi e la cooperazione tra fa-miglie, terzo settore, privato sociale e Istituzioni, quest’ulti-me nel ruolo centrale di regia, di promozione e di controllo. Ciò ovviamente non significa ignorare le urgenze del mo-mento ovvero la pulizia dalle cattive gestioni, dall’intreccio tra sanità e politica, da speculazioni e corruzioni, nonché la riduzione degli sprechi e dell’inefficienza, senza mortificare l’umanità. Inoltre attraverso l’adozione di un nuovo e me-glio calibrato ISEE, come, grazie all’azione e alle proposte coordinate tra Confederazione e FNP, era stato elaborato dal precedente Governo e poi congelato, è indispensabile realizzare una maggiore giustizia sociale nella distribuzione dei servizi garantendo il criterio indiscutibile di universa-lità dell’offerta, ma prevedendo una giusta partecipazione alla spesa sociale, in base ai reali bisogni e alle possibilità effettive di ognuno. Nel contesto del sistema di welfare la non autosufficienza deve trovare risposte adeguate il più rapidamente possibile. Questi sono gli argomenti principa-li, insieme a quelli della difesa dei redditi da lavoro e delle pensioni, di cui si è ampiamente discusso che fanno par-te della piattaforma unitaria e delle linee guida CISL sulla concertazione territoriale. In conclusione, c’è bisogno di proposte di alto livello politico e culturale. La complessità dei problemi, anche se appare troppo ardua, non può esse-re elusa. Non ce la caviamo neppure ricorrendo a esperti e specializzati di alto livello. C’è bisogno infatti di una sintesi, di una capacità “politica”, a partire dal Sindacato, che non solo riporti ad unità la realtà in continuo movimento, ma abbia la capacità di fare proposte precise, dare risposte ade-guate, cioè indichi in modo convincente la via per “portare a casa” il possibile e fornisca nuove ragioni di speranza, so-prattutto ai ceti popolari, tra i quali vanno annoverati i no-stri associati, che sono oggi al limite della coesione sociale. Insieme possiamo e dobbiamo farcela. Attilio Rimoldi

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HaNNo sCrittoPer Noi

Aldo Maria ValliGiornalista e

scrittore, dal 2007 è vaticanista per

il TG1

ATTILIO RIMOLDI Segretario nazionale

Fnp Cisl, Dipartimento politiche socio-sanitarie,

famiglia, economia sociale.

Mimmo SaccoGiornalista RAI TV.

Condirettore de Il Domani d’Italia, mensile di politica

e cultura.

Arturo Celletticapo servizio politico del quotidiano L’Av-

venire.Da 15 anni cro-nista parlamentare.

Luigi Ciaurro, Docente di diritto parlamentare alla LUMSA di Roma.

Dario CaselliOdontoiatra, gior-nalista, consulente

odontoiatrico Unisalute.

Marco PederzoliGiornalista e colla-boratore di diverse

testate. Scrive per La Gazzetta

di Modena, Il Sole 24 ore.

Stefano Della CasaGiornalistaFreelance e

Direttore della rivista Jag Generation

Paolo RaimondiEconomista

Gianfranco VarvesiDiplomatico, ha

ricoperto incarichi in Italia e all’estero. Ha prestato servizio nell’ufficio stampa

del Quirinale.

Dino BasiliGiornalista e

scrittore, Direttore di Rai 2 e Capo

ufficio Stampa del Senato

GIGI BONFANTI Segretario generale

Fnp Cisl.

Gianfranco Garanciniprofessore di storia del

diritto Italiano all’Univer-sità di Milano.Consiglie-

re dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani.

Yury Gromikodirettore Alti Studi “Shiffer” di Mosca

Mikhail Baydakovpresidente della

Millenium Bank di Mosca

LORENO COLI Segretario nazionale Fnp Cisl, Dipartimen-

to tesseramento e proselitismo,informatico

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Contromano vorrebbe con i propri lettori un dialo-go che va oltre la lettura. Lo fa invitandovi a essere i pro-tagonisti di una rubrica, quella delle Lettere al direttore. Niente di nuovo, si può osservare, perché le Lettere sono nella migliore tradizione della carta stampata. Lo so. Il nostro è il tempo di Twitter, di Facebook e dei più svariati social network: la rete è veloce e interattiva e genera una comunicazione dinamica. Ormai, tutti usia-mo le social community digitali e continueremo sem-pre di più a frequentarle. Ma Contromano va, appunto, ”contromano” anche in questo. Vogliamo cioè salvare uno spazio di relazione più meditata e profonda. Sap-piamo bene che ogni domanda è una risposta, talvolta implicita, e ogni risposta muove una nuova domanda. Del dialogo virtuoso che nasce in questa interazione, vo-gliamo fare tesoro con voi.I nostri giorni sono carichi d’interrogativi sul presente e sul futuro. Su di noi. Sui nostri figli e nipoti. Anche le certezze e le sicurezze che apparivano acquisite una volta per sempre tornano in discussione. Fin da subito ci siamo proposti di avere uno sguardo attento ai cam-biamenti in atto. Memoria, attualità, futuro: con queste tre parole abbiamo voluto descrivere lo spazio entro il quale muoverci. Ma siamo certi che proprio i nostri let-tori hanno molto da dire e molto da chiedere in questa dimensione che lega insieme storie e generazioni.E’ iniziato da pochi giorni il cammino del Governo Letta. Parte largo di sostegno parlamentare ma carico di insi-die. I problemi da affrontare sono molti. Anche solo fa-

cendo qualche cenno ai contenuti che trovate in questo numero, possiamo citare: la crisi dei partiti e di molte forme associative (Bonfanti, Garancini e l’intervista a De Rita), l’abolizione delle provincie decisa dalla Sici-lia, essere “diversamente anziani” (Giobbe), l’Italia da re industrializzare (l’intervista a Squinzi) e l’ipotesi di ritorno attivo dello Stato nell’economia (Raimondi), il rapporto della Bocconi sulla Sanità perduta (Pederzoli), l’incerto procedere dell’Europa (Varevesi).In sostanza: restiamo convinti che le Lettere sono la vera carta d’identità d’ogni pubblicazione. Pochi o tanti che siano i suoi affezionati frequentatori, esse sono un segmento vivo della società. Sono una comunità di cit-tadini che nelle Lettere si esprimono e si rispecchiano. Per questo Contromano vuole onorare questo spazio ri-servandogli tutta l’attenzione che merita. Ovviamente, sarebbe illusorio sostenere che pubbliche-remo tutte le lettere che ci invierete. Anche perché spe-riamo siano tante; sempre molte più di quelle che po-tranno trovare spazio nelle pagine a esse riservate. Ne aspettiamo a decine; anzi, a centinaia. Tutte riceveranno la massima considerazione. Per la pubblicazione avranno priorità quelle che affronteran-no argomenti d’interesse generale. Di ognuna sarà accu-sata ricevuta e – se richiesta – sarà sempre data risposta all’indirizzo che indicherete. Questo è un impegno severo. Tuttavia, sarà nostro pun-to d’onore rispettarlo.A questo scopo la redazione si avvarrà di esperti. Oltre

al direttore, i giornalisti e gli opinionisti che scrivono per noi saranno i curatori delle risposte, le più varie che vorrete porre: domande generali e particolari, problemi sociali, culturali e politici, quesiti economici, di salute, di convivenza, questioni pratiche del vivere di ogni giorno.Questo spazio è tanto vostro quanto nostro. Sarà, ne sia-mo sicuri, per voi e per noi un importante termometro con cui confrontarci.

Ecco pertanto quelle che potremmo chiamare le istru-zioni per l’uso della vostra rubrica. •Firmate le vostre lettere e aggiungete i recapiti di posta e di posta elettronica o fax.Le lettere senza firma saranno cestinate.•Inviatele, preferibilmente, con moderni sistemi di co-municazione elettronica.Via e-mail al seguente indirizzo:[email protected] fax al numero 059/8396082Per posta all’indirizzo:Contromano Edizioni Della Casa,rubrica lettere al direttore,Via Emilia Ovest 1014 41123 Modena

A presto.Gian Guido Folloni

Scrivete:è megliodi Twitter

Con questo numero, che esce alla vigilia del Congresso nazionale

della Fnp, Contromano vuole aprire le sue pagine.

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Democrazia, partiti eforme associative

Vocazioni oligarchiche e rappresentanza

Le Organizzazioni di massa nel turbine della crisi

di Gigi Bonfanti

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Le forze politiche e sindacali, cioè le organizzazioni di mas-sa finalizzate alla rappresentanza, che sono state vissute nel tempo, con variazioni di consenso e con stili diversificati, nell’ottica della narrazione della “crescita infinita” e del “be-nessere” assicurato, vengono oggi “colpite al cuore” dal fe-roce irrompere nella realtà del progressivo impoverimento, della decrescita economica, della disoccupazione crescente, della marginalità diffusa.

Questo “tsunami sociale” non ha prodotto tanto un travaso del consenso fra destra e sinistra, e viceversa, ma un vero e proprio “smottamento” che, per quanto concerne la politi-ca, ha portato ad una marginalizzazione dei partiti e ad una liquefazione del corpo elettorale, segnato dalla grandezza dell’astensione.

Il voto referendario, come ricorda Marco Revelli in Finale di partito, si era rivelato come segno premonitore e disvela-va sia una ri-appropriazione del volere della comunità sia un vero e proprio recupero della sovranità popolare che demoli-sce il controllo della classe politica sulla espressione di voto.

Gli analisti della materia pongono in relazione la deriva del-la rappresentanza alla “legge ferrea dell’oligarchia”, il cui dispositivo logico si collega al fatto che non c’e’ democrazia senza organizzazione, e che l’organizzazione tende all’oligar-chia, intesa come area chiusa della dirigenza, ristretta e di-screzionale.

L’applicazione di questa rappresentazione, in realtà, confi-gura non solo un processo degenerativo della democrazia, ma tende a risolvere ogni protagonismo storico e politico in

un’ulteriore torsione oligarchica che riassume il pluralismo nel pensiero unico e la partecipazione nella sudditanza acri-tica, fedele e passiva.

L’esperienza esistenziale delle grandi organizzazioni di mas-sa dimostra come la crescita dell’organizzazione, anche con le sue articolazioni di mestiere e di carriera, rafforza la sua vocazione oligarchica e rende virtuali le forme di partecipa-zione.

Basterà citare quali cause strutturali del fenomeno il nume-ro degli associati/aderenti che da fattore costitutivo diventa strumento di debolezza per l’inagibilità ad assumere decisio-

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ni, il carattere della militanza che richiede un’esigenza acuta di disciplina e, infine, il fattore psicologico che si esprime nel-lo spirito gregario delle masse e, in casi estremi, nel culto del-la personalità che implica l’esercizio continuato della delega.

La comune “ legge di inerzia” tende a rafforzare i tempi della gestione e a smorzare nei fatti le esigenze del rinnovamento secondo i ritmi e le logiche delle corporazioni aristocratiche.

Ne consegue che le classi dirigenti spesso non rappresenta-no più le “èlite” di coloro che eccellono ma, al contrario, rac-colgono spesso i “mediocri”, dando origine al “ governo dei peggiori” .Come si può facilmente constatare, spesso l’area dei funzio-nari e dei quadri, raccolti per cooptazione, viene considerata come esempio di pessima conoscenza dei problemi, ineffi-cienza e parassitismo, segnata dal vizio del diffuso servilismo.

Ma perché avviene questa selezione negativa nei meccanismi della democrazia rappresentativa?

Le ragioni del degrado della rappresentanza nei sistemi de-mocratici – secondo Marco Revelli – provengono dalla “per-sonalizzazione” del sistema relazionale che si estende sino ad abrogare l’idea stessa di “ collettivo”.

Le èlite, che dovrebbero essere tarate sullo “spazio pubbli-co”, degenerano, perdendo il contatto con le masse, con la “normalità ”, generando una spaccatura tra “ alto” e “ basso” (Zygmunt Baumen).

In definitiva la “rappresentanza” evapora. Le “èlite” diven-

tano estranee per autoreferenzialità e inutili per coloro che le eleggono, nel contesto di una organizzazione che diventa sempre di più burocratica ( come i partiti e i sindacati).

Ma ci chiediamo, come ha fatto Ilvo Diamanti: ci può essere democrazia senza i partiti ed i sindacati?

La prova dell’assunto è rappresentato dal cosiddetto “gover-no dei tecnici” che e’ stata una parentesi, ma ha rivelato l’e-mergere di un male incubato a lungo e destinato a caratteriz-zare la sospensione della rappresentanza.

Senza i partiti democratici non c’è democrazia e senza i sin-dacati rappresentativi il fondamento democratico di una so-cietà si distrugge.

La “forma” dei partiti e dei sindacati può mutare, anche nei suoi codici genetici, al fine di migliorare e di adattare ai tempi il processo di partecipazione e di rappresentanza.

Ma il momento della transizione sociale genera, di solito, la crisi della rappresentanza, aggravata dall’irrompere del sistema dei media nello spazio pubblico, che, secondo il co-mune sentire della platea dei votanti, si torna a rivolgere alla “persona”, che non è più frutto di una relazione diretta, ma è un’entità virtuale costruita dai mezzi di comunicazione.

Nella crescente distanza tra rappresentanti e rappresentati vanno colte le radici dell’ “antipolitica” e dei vari “populismi” che esprimono, con clamorose varianze elettorali, l’insoddi-sfazione, il risentimento ed il rancore nei confronti delle èlite culturali, politiche e sindacali convenzionali.

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cosa mettere in agenda

Nei prossimi due mesi la FNP CISL è attesa da nu-merosi e rilevanti impegni sia dal punto di vista politico sindacale, sia da quello organizzativo…8 maggio 2013: E’ previsto a Roma, presso l’au-ditorium di Via Rieti, un Convegno organizzato dalla Cisl, sul tema del Fisco. Nel corso del Con-vegno sarà presentata dal Dipartimento di Scienze per l’economia e l’impresa dell’Università di Fi-renze, l’analisi dei dati delle dichiarazioni dei red-diti dei lavoratori dipendenti e dei pensionati che si sono rivolti ai CAF della Cisl. La ricerca si soffer-ma su due aspetti importanti nell’attuale dibattito politico sulla attuazione della riforma fiscale ovve-ro l’impatto sui redditi dei sistemi di agevolazio-ni, deduzioni e detrazioni fiscali e l’incidenza del fenomeno dell’incapienza. Al Convegno è previsto l’intervento del Segretario Generale della FNP Gigi Bonfanti, che sicuramente ancora una volta riba-dirà quanto sia dirimente per i pensionati e, in ge-nerale, per i lavoratori, un sistema fiscale equo che possa redistribuire la ricchezza del Paese a favore delle classi più deboli.14 – 15 Maggio 2013: Si terrà a Bruxelles il gior-no 14 maggio la conferenza stampa di presentazio-ne della raccolta di firme a sostegno di una legge europea sulla Non autosufficienza. Il 15 maggio presso il Parlamento Europeo una delegazione

dei Sindacati Europei dei pensionati incontrerà i gruppi parlamentari continentali, al fine di sen-sibilizzare gli stessi sulla importanza dell’iniziati-va e soprattutto su come la stessa sia una vera o propria battaglia di civiltà a tutela delle persone anziane e giovani colpite dal grave problema del-la non autosufficienza. Nella raccolta delle firme saranno impegnati i Sindacati Europei dei pensio-nati di 7 Paesi dell’area Euro e, fra questi, un ruolo preminente avrà, ovviamente, la FNP CISL.27 – 29 Maggio 2013: Si terrà a Riccione il XVII Congresso Nazionale della FNP, che sarà il momento culminante e di sintesi dell’intero per-corso Congressuale della Federazione, che ha visto coinvolti nelle Assise di base, territoriali e regionali, migliaia di iscritti e quadri della FNP. Dal Congresso di Riccione, che sarà caratterizza-to da un serrato dibattito sui temi politici, sinda-cali ed organizzativi, scaturirà la linea strategica che impegnerà tutta l’organizzazione nei prossimi quattro anni, per un tutela individuale e colletti-va ancora più significativa dei pensionati e degli anziani. Il giorno 30 maggio sempre a Riccione, Il nuovo Consiglio Generale FNP eletto dal Congres-so provvederà alla elezione della nuova Segreteria Nazionale.12 – 15 Giugno 2013 : Si svolgerà a Roma, pres-

so il Palazzo dei Congressi dell’Eur, il XVII Con-gresso Nazionale della CISL. Il massimo organo deliberante della CISL stabilirà le future strate-gie della Confederazione, nell’interesse dei lavo-ratori dipendenti e dei pensionati nell’ottica di una riaffermata confederalità e solidarietà fra le diverse Categorie. In questa assise Congressuale, rilevante sarà il contributo di proposta politica ed organizzativa della FNP CISL, la quale parteciperà con ben 176 delegati in rappresentanza degli oltre 2.200.000 iscritti alla Federazione.20 – 21 Giugno 2013 : E’ prevista l’ Assemblea Organizzativa della Ferpa, la Federazione Europea dei Sindacati dei pensionati.L’ Assemblea costituirà una rinnovata occasione per meglio definire le politiche sindacali a livello Europeo, nell’ottica di una unione europea sem-pre più attenta ai problemi sociali ed economici che, vista la crisi in atto, vanno affrontati e risolti senza ulteriori indugi, in modo tale da garantire condizioni di benessere per tutti i paesi Europei. L’assemblea, inoltre, verificherà la possibilità di far aderire alla Ferpa anche altri Sindacati Euro-pei dei pensionati che ora non ne fanno parte, al fine di rendere l’ organizzazione sempre più forte e rappresentativa.

Loreno Coli

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Giorgio Napolitano è l’uomo dei record: il pri-mo esponente del PCI divenuto Presidente della Repubblica; il primo Capo dello Stato ad essere eletto una seconda volta dal Parlamento in sedu-ta comune; il Presidente della Repubblica più an-ziano di età (eletto a quasi 88 anni). Tre primizie che difficilmente saranno eguagliate. Invece non è il primo, ma solo il terzo Presidente partenopeo (prima di lui De Nicola e Leone); e proprio Napoli è la città ad aver dato il più alto numero di natali a Presidenti della Repubblica.I giuristi si sono appassionati alla questione rela-tiva al fatto se, con l’elezione del 20 aprile 2013 Giorgio Napolitano sia diventato il dodicesimo presidente o se sia ancora l’undicesimo, che è stato

confermato. E’ ovvio che se facciamo riferimento alle persone fisiche sono 11, ma gli atti formali ci indicano che è stato il dodicesimo, tant’è che il 22 aprile si è dimesso anticipatamente rispetto alla scadenza naturale del settennato (15 maggio 2013) per poi giurare in pari data sulla base di un nuovo titolo di investitura. A dire il vero il costituziona-lista Stefano Ceccanti aveva reputato sufficiente procedere solo al giuramento prima della scaden-za, ciò configurandosi come dimissioni anticipate implicite dal precedente mandato. Chissà cosa avrà provato il 22 aprile scorso Gior-gio Napolitano, tornando per giurare nuovamen-te come Presidente della Repubblica nell’aula di Montecitorio, in cui aveva messo piede per la pri-

ma volta - pensate - il 25 giugno 1953, circa ses-sant’anni prima, data della prima seduta della II legislatura, che lo vide giovane deputato.Ma volendo possiamo annoverare anche un’altra performance: il discorso del 22 aprile 2013 non solo resterà una pietra miliare del nostro spirito repubblicano, ma ha dato vita ad un paradosso non ripetibile: è stato applaudito dagli esponen-ti di quei partiti nella sostanza accusati di scarsa responsabilità istituzionale, mentre è stato segui-to in silenzio proprio dai rappresentanti del Mo-vimento 5 Stelle, che invece avrebbe dovuto più accesamente congratularsi per l’implacabile atto d’accusa verso il sistema dei partiti. Vediamone insieme i passi più significativi

Ecco il Napolitano II

Nel monito ai partiti

l’agenda delle riforme

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DAL DISCORSO DAVANTI AL PARLAMENTO INSEDUTA COMUNE

«Avevo già nello scorso dicembre pubblicamente dichiarato di condividere l’autorevole convinzio-ne che la non rielezione, al termine del settennato, è “l’alternativa che meglio si conforma al nostro modello costituzionale di Presidente della Repub-blica”... A queste ragioni e a quelle più strettamente per-sonali, legate all’ovvio dato dell’età, se ne sono infine sovrapposte altre, rappresentatemi - dopo l’esito nullo di cinque votazioni in quest’aula di Montecitorio, in un clima sempre più teso - dagli esponenti di un ampio arco di forze parlamentari e dalla quasi totalità dei Presidenti delle Regio-ni...

La rielezione, per un secondo mandato, del Presi-dente uscente, non si era mai verificata nella sto-ria della Repubblica, pur non essendo esclusa dal dettato costituzionale, che in questo senso aveva lasciato - come si è significativamente notato - “schiusa una finestra per tempi eccezionali”. Ci siamo dunque ritrovati insieme in una scelta pie-namente legittima, ma eccezionale...

E’ a questa prova che non mi sono sottratto. Ma sapendo che quanto è accaduto qui nei giorni scorsi ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità. Ne propongo una rapida sin-tesi, una sommaria rassegna. Negli ultimi anni, a esigenze fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti - che si sono intrecciate con un’acu-

ta crisi finanziaria, con una pesante recessione, con un crescente malessere sociale - non si sono date soluzioni soddisfacenti: hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenien-za, tatticismi e strumentalismi. Ecco che cosa ha condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici i confronti tra le forze politiche e i dibattiti in Par-lamento.Quel tanto di correttivo e innovativo che si riusci-va a fare nel senso della riduzione dei costi della politica, della trasparenza e della moralità nella vita pubblica è stato dunque facilmente ignorato o svalutato: e l’insoddisfazione e la protesta ver-so la politica, i partiti, il Parlamento, sono state con facilità (ma anche con molta leggerezza) ali-mentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie, da rappresentazioni unilaterali e indiscriminate in senso distruttivo del mondo dei politici, delle organizzazioni e delle istituzioni in cui essi si muovono. Attenzione: il vostro applau-so a quest’ultimo richiamo che ho sentito di dover esprimere non induca ad alcuna autoindulgen-za, non dico solo i corresponsabili del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere della politica e dell’amministrazione, ma nemmeno i responsa-bili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme.Imperdonabile resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005...

Non meno imperdonabile resta il nulla di fatto in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della Costituzione, faticosamente concordate e poi affossate, e peraltro mai giunte a infrangere il tabù del bicameralismo paritario.»

Luigi Ciaurro

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Dopo due mesi dal voto dello scorso febbraio, l’Italia ha un governo. A guidarlo è Enrico Letta, uno dei più giovani premier che l’Italia abbia mai avuto (il terzo, per la precisione, dopo Giovanni Goria nel 1987 e Amintore Fanfani nel 1954) nella sua storia repubblicana. Nato a Pisa il 20 agosto 1966, laureato in scienze politiche, Enrico Letta inizia la sua carriera politica all’inizio degli Anni Novanta, come presidente dei Giovani democri-stiani europei (1991-1995), quindi segretario ge-nerale del Comitato Euro del Ministero del Tesoro (1996-1997), vicesegretario nazionale del Partito Popolare Italiano (1997-1998), Ministro delle Po-litiche comunitarie (1998-1999) e Ministro dell’In-dustria (1999-2001). Dal 2001 al 2004 diventa poi responsabile nazionale per l’economia della Mar-gherita, mentre alle elezioni europee del 2004 è eletto parlamentare europeo per la lista di Uniti nell’Ulivo. Iscritto al gruppo parlamentare dell’Al-leanza dei Liberali e Democratici per l’Europa, è stato membro della Commissione per i problemi economici e monetari, della Commissione tempo-ranea sulle sfide e i mezzi finanziari dell’Unione al-largata nel periodo 2007-2013, della Delegazione per le relazioni con i Paesi del Maghreb e l’Unione del Maghreb arabo. Nel 2006 è inoltre nominato Segretario del Consiglio dei ministri del Governo

Prodi, succedendo allo zio Gianni Letta, e abban-dona l’incarico europeo per accettare quello di de-putato nazionale. Vicepresidente del Governo è Angelino Alfano, nato ad Agrigento il 31 ottobre 1970 e laureato in giurisprudenza. Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio è Filippo Patroni Grif-fi. Per quanto riguarda i ministri con portafoglio, la “squadra” di Enrico Letta è formata da Emma Bonino agli Affari Esteri. Viceministri sono Lapo Pistelli, Bruno Archi e Marta Dassù, sottosegreta-rio Mario Giro. Ministro dell’interno è Angelino Alfano, con viceministro Filippo Bubbico e sotto-segretari Domenico Manzione e Giampiero Bocci. Ministro della Giustizia è Annamaria Cancellieri, con sottosegretari Giuseppe Beretta e Cosimo Fer-ri. Alla Difesa siede Mario Mauro, con sottosegre-tari Roberta Pinotti e Gioacchino Alfano. Ministro dell’Economia e delle Finanze è Fabrizio Sacco-manni, con viceministri Stefano Fassina e Luigi Casero, sottosegretari Pierpaolo Baretta e Alberto Giorgetti. Allo Sviluppo Economico è stato nomi-nato Flavio Zanonato, con viceministri Carlo Ca-lenda e Antonio Catricalà, sottosegretari Simona Vicari e Claudio De Vincenti. Alle Infrastrutture e trasporti c’è Maurizio Lupi, con viceministro Vin-cenzo De Luca, sottosegretari Erasmo D’Angelis e

Il nuovoGOVERNO LETTA

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Rocco Girlanda. Alle Politiche Agricole, Alimenta-ri e Forestali è stata nominata Nunzia De Girola-mo, con sottosegretari Maurizio Martina e Giusep-pe Castiglione. All’Ambiente, tutela del territorio e del mare c’è Andrea Orlando, con sottosegretario Marco Flavio Cirillo. Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali è Enrico Giovannini, con vicemi-nistro Cecilia Guerra, sottosegretari Jole Santelli e Carlo Dell’Aringa. All’Istruzione, Università e ri-cerca c’è Maria Chiara Carrozza, con sottosegretari Gabriele Toccafondi, Marco Rossi Doria e Gianlu-ca Galletti. Ai Beni, attività culturali e turismo è stato nominato Massimo Bray, con sottosegretari Simonetta Giordani e Ilaria Borletti Buitoni. Infi-ne, Ministro alla Salute è Beatrice Lorenzin, con sottosegretario Paolo Fadda. Sono invece 8 i ministri senza portafoglio: agli Af-fari europei c’è Enzo Moavero Milanesi, agli Affari regionali e autonomie Graziano Delrio, alla Coe-sione territoriale Carlo Trigilia, ai Rapporti con il Parlamento e coordinamento attività di Governo Dario Franceschini, alle Riforme costituziona-li Gaetano Quagliariello, all’Integrazione Cécile Kyenge, alle Pari opportunità, sport e politiche giovanili Josefa Idem, alla Pubblica amministra-zione e semplificazione Giampiero D’Alia.

Marco Pederzoli

La FNP e il governo LettaPubblichiamo il testo del comunicato diffuso dalla FNP il giorno stesso dell’incarico affidato da Giorgio Napolitano ad Enrico Letta.

Il Segretario Generale E. Bonfanti e la dirigenza della Fnp - Cisl accol-gono con compiacimento e partecipazione la notizia del conferimento dell’incarico di formare il governo da parte del Presidente della Repub-blica Giorgio Napolitano al Vicesegretario del Pd Enrico Letta.

La crisi di sistema e di perdurante recessione, la criticità del fattore lavoro, l’espandersi dell’impoverimento e della stessa povertà relativa ed assoluta che colpiscono soprattutto i pensionati, la cui fragilità e marginalità appaiono in netta crescita, richiedono che le istituzioni e la politica costituiscano da subito un Esecutivo all’altezza della sfida in corso.

La scelta di Enrico Letta corrisponde ai necessari requisiti di compe-tenza, cultura e capacità progettuale per dare una guida al Paese e per consentire allo stesso PD di superare quel processo di frantumazione che nei giorni trascorsi ne ha travolto l’identità e la caratura politica.

I problemi del Paese, il mondo del lavoro, l’area dei pensionati e dell’an-zianità in genere non possono più attendere.

L’augurio più sincero ad Enrico Letta affinche’ riesca a colmare il vuoto della politica e ad imprimere al nuovo governo la spinta propulsiva che la società italiana richiede.

Il nuovoGOVERNO LETTA

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Già dai suoi primi viaggi nel Vecchio Continente, il premier Enrico Letta si è subito dimostrato un europeista convinto. Sia durante l’incontro a Ber-lino con Angela Merkel, sia a Parigi con il presi-dente francese François Hollande, il neo premier italiano ha lanciato chiari messaggi che puntano alla coesione di tutta la zona euro. Del resto, già alla vigilia della sua elezione, Letta era stato chia-

Oltre ad una fervida attività politica, il neo premier Enrico Letta vanta anche una notevole

attività editoriale, con pubblicazioni che coprono praticamente tutto l’arco del suo impegno pubblico. Di

seguito, si pubblica l’elenco dei suoi libri: - L’Europa di Maastricht. La Comunità diventa

Unione, Firenze, AREL, 1992.- Passaggio a Nord-Est. L’Unione europea tra

geometrie variabili, cerchi concentrici e velocità differenziate, Bologna, Il Mulino, 1994.

- Euro sì. Morire per Maastricht, Roma-Bari, Laterza, 1997.

- Le prospettive di integrazione tra Unione Europea e Unione Europea Occidentale. Effetti sulle strutture politico-istituzionali attualmente esistenti, a cura di,

Roma, Informazioni della Difesa, 1999.- La comunità competitiva. L’Italia, le libertà

economiche e il modello sociale europeo, Roma, Donzelli, 2001.

- Dialogo intorno all’Europa, con Lucio Caracciolo,

Roma, Laterza, 2002.- L’allargamento dell’Unione europea,

Bologna, Il Mulino, 2003.- Viaggio nell’economia italiana, con Pier Luigi

Bersani, Roma, Donzelli, 2004..- Sulla via dei distretti. Un viaggio per rilanciare

l’economia italiana, con Pier Luigi Bersani, Roma, l’Unità-Europa, 2004.

- L’Europa a venticinque, Bologna, Il Mulino, 2005.- In questo momento sta nascendo un bambino,

Milano, Rizzoli, 2007.- Adesso il lavoro. Le proposte del Partito Democratico contro la crisi. Occupazione, salari, pensioni, a cura di

e con Cesare Damiano e Tiziano Treu, Roma, Ediesse, 2008.

- Costruire una cattedrale. Perché l’Italia deve tornare a pensare in grande, Milano, Mondadori, 2009.

- L’Europa è finita?, con Lucio Caracciolo, Torino, ADD, 2010.

ro: “Se riceverò la fiducia – aveva detto - visiterò Bruxelles, Berlino e Parigi per dare il segno che il nostro governo è europeo e europeista”. A dimo-strare la visione europea di Enrico Letta sono inoltre diverse sue pubblicazioni, risalenti anche a tempi in cui questo orientamento non era affatto scontato.

Enrico Letta, un premier dalla penna facile

UN EUROPEISTA CONVINTO

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Il governo è già concentrato sull’unica vera prio-rità: il lavoro. Enrico Letta ha già messo in fila le misure più urgenti: il rifinanziamento delle casse integrazioni in deroga, il superamento del preca-riato, la grande questione degli esodati. Ma la que-stione occupazione è ben più complessa e i capitoli allo studio sono diversi. Si va dall’ampliamento degli incentivi fiscali a chi investe in innovazione al pagamento dei debiti alle imprese fino alla ri-mozione degli ostacoli burocratici che frenano lo spirito d’impresa. È una sfida infinita. E per vin-cerla occorrono idee. E soprattutto velocità. Il pre-sidente della Camera Laura Boldrini si è già mossa.

Proponendo una cabina di regia con tutti i presi-denti delle commissioni interessate alla questione di Camera e Senato. E annunciando la volontà di muoversi in tandem con il presidente del Senato Grasso per garantire una corsia preferenziale ai provvedimenti sul lavoro. C’è insomma voglia di fare. Il premier lavora a stretto contatto con il neo ministro del Welfare Giovannini e le idee si ac-cavallano. Si studia un sistema per valorizzare le partite Iva, per rilanciare l’occupazione femmini-le, per semplificare e rafforzare l’apprendistato. E intanto con il passare dei giorni sembra scontato il superamento della riforma Fornero.

«Ora risposte. Al dramma della disoccupazione giovanile. All’emergenza lavoro. Alle imprese». Mario Mauro, oggi ministro della Difesa e ieri uno dei “saggi” chiamati da Napolitano per mettere a punto proposte capaci di strappare l’Italia dalle sabbie mobili, lancia la sfida ripetendo una prima parola: flessibilità.Celletti: Per il lavoratore?Mauro: Per il lavoratore, ma anche per l’impren-ditore. Serve flessibilità per assicurare la continu-ità dell’occupazione riducendo al minimo i periodi di disoccupazione e per sostenere il passaggio ver-so nuovi posti di lavoro.Celletti: E gli ammortizzatori sociali?Mauro: Devono essere rifinanziati contestual-mente in modo significativo.Basta questo?Mauro: No, si deve mettere mano ad una vera ri-forma della giustizia che riduca l’eccessiva durata dei processi, dando un segnale incoraggiante an-che agli investitori stranieri che vedono in questa anomalia un freno a possibili progetti.Celletti: Le casse sono vuote, e allora come ricali-brerebbe le spese?Mauro: A tutela della famiglia. Bisogna mettere in atto politiche sussidiarie e solidali a favore delle

Mentre il governo muovei primi passiEcco le aspettative dei partiti

Mauro (SC):lavoro flessibile giustizia efamiglia

Luigi Zanda, (PD) Presidente del PD e Capogruppo PD al Senato

Gaetano Quagliariello, (PDL) Ministro Riforme Costituzionali

Mario Mauro, (Scelta Civica) Ministro della Difesa

Vito Crimi, (M5S) Capogruppo M5S al Senato

Mario Mauro

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fasce più deboli. Nel campo dell’educazione, poi, va invertita la tendenza a diminuire gli investi-menti (Scuola, Formazione, Università e Ricerca). Le risorse destinate devono gradualmente cresce-re ad un ritmo pari a quello della crescita del PIL. Poi restano i temi istituzionaliCelletti: Che c’entrano con il lavoro?Mauro: C’entrano con la rinascita del Paese. Dobbiamo condividere la riforma sulla seconda parte della Costituzione: superamento del bicame-ralismo perfetto e riduzione del numero dei par-lamentari, sfiducia costruttiva e una nuova legge elettorale. I tempi e le esigenze del Paese e dei cit-tadini non possono più rimanere vittime dei veti incrociati della politica. E allora dico: il governo di Enrico Letta non può e non deve essere consi-derato un governo fragile e di passaggio. Ma un governo forte, politico e serio. Deve durare. Per cambiare il Paese. Per ridare fiducia alle imprese. Per far tornare a sperare i lavoratori.

«La priorità? Lavoro, lavoro, lavoro». Luigi Zanda presidente dei senatori del Pd ripetendo tre volte la stessa parola dichiara guerra alla vera grande

emergenza del Paese. «Da gennaio a metà aprile sono fallite 4330 imprese; al Sud i giovane su due non lavora; negli ultimi 5 anni le famiglie senza reddito sono raddoppiate, oggi sono un milione. Non si può aspettare più nemmeno un giorno. E il primo passo da compiere è ridisegnare profonda-mente il sistema fiscale per alleggerire il peso sul lavoro e sull’impresa».Celletti: Il secondo può essere il contrasto alla precarietà…Zanda: Sono d’accordo. Il lavoro precario deve costare di più di quello stabile. Servono regole chiare, che garantiscano standard minimi di ci-viltà per tutte le tipologie contrattuali della nostra Repubblica “fondata sul lavoro”. Ma non basta: è necessario spezzare la spirale perversa tra bassa produttività e compressione dei salari e dei diritti aiutando, anche fiscalmente, le imprese a compe-tere sul lato della qualità e dell’innovazione.Celletti: L’occupazione femminile è un altro nodo decisivo.Zanda: Va sostenuta senza se e senza ma. In par-ticolare al Sud. Serve un grande piano - fatto an-che di politiche fiscali - per contrastare la disparità nei redditi e nelle carriere. E per sradicare i pre-giudizi sulla presenza delle donne nel mondo del lavoro e delle professioni. In questo grande piano rientrano la riforma del welfare e l’attuazione di politiche conciliazione tra tempi da dedicare al la-voro e quelli alla cura della famiglia e, quindi, un programma straordinario per la diffusione di asili nido.Celletti: Il Pd considera fondamentale l’approva-zione della legge sulla rappresentanza?Zanda: È così, serve una legge che consenta l’ef-fettivo esercizio della democrazia nei luoghi di la-voro. Non è possibile che si perseveri nella condot-

Zanda (Pd):Lavoro,lavoro, lavoro per sostenerefamiglie eimprese

Luigi Zanda

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ta di aziende che discriminano i lavoratori né che ci sia una rappresentanza sindacale che prescinda dal voto dei lavoratori sui contratti

«Giù le tasse per le famiglie e le imprese. Si può fare, si deve fare. Come? Razionalizzando la spe-sa pubblica». Gaetano Quagliariello, oggi ministro per le Riforme e ieri anche lui “saggio” di Napo-litano, mette in fila altri quattro punti e azzarda: «Così ridiamo slancio a un Paese seduto».Celletti: Quattro punti?Quagliarello: Esatto. Norme sul lavoro a misura di tutti e non di pochi, semplificazione burocrati-ca, riforma della giustizia, modernizzazione istitu-zionale. E le ultime misure non vanno sottovalu-tate, sono decisive per dare profondità e durata a tutte le altre. Celletti: Sta dicendo che c’è un legame tra l’esa-gerata pressione fiscale e il lavoro dei magistrati? Quagliarello: “Non corra, mi faccia spiegare. Le tasse vanno abbassate da subito altrimenti il Pae-se muore. E comincerei dall’Imu sulla prima casa: l’attacco al tradizionale bene rifugio delle famiglie italiane ha avuto un effetto depressivo che va ben

oltre al suo peso economico effettivo. L’Imu ha come paralizzato il Paese. Bisogna voltare subito pagina e ripartire da qui per una riconciliazione fra Stato e cittadini. Celletti: Non capisco però il legame Imu-giusti-zia?Quagliarello: “Arrivo, arrivo. Il nostro Paese ha bisogno di un fisco sostenibile; di una pubblica amministrazione trasparente che sostenga la li-bera iniziativa senza soffocarla; di leggi sul lavoro non solo per chi oggi un lavoro ce l’ha, ma anche (forse soprattutto) per disoccupati... Celletti: E dunque?Quagliarello: “Per fare tutto questo c’é bisogno di interventi urgenti ma anche di riforme struttu-rali. Per i primi bastano istituzioni che funzioni-no. Per riforme strutturali però serve una politica legittimata dalla sovranità del popolo che agisca in un contesto di equilibrio istituzionale. Ecco, la giustizia deve far parte di un quadro costituzionale e non configurarsi come un corpo separato perché questo ha ricadute su tutta la società e quindi an-che un costo economico. Lo vede che il cerchio si chiude?”

Quagliariello(Pdl):giù le tasse, lavoro emenoburocrazia

Gaetano Quagliariello

I dati di Beppe Grillo sono i dati di tutti. “Chiude un’azienda al minuto, la disoccupazione giovani-le ufficiale è al 38,4 per cento, l’Italia è diventata una nazione di cassintegrati, esodati, disoccupati, precari e emigranti...”. Tutto vero. Ma che fanno i Cinque Stelle per arginare l’emergenza? Quali ri-sposte ipotizzano per lavoro, economia e imprese? Per ora - almeno a livello parlamentare - nulla. Anzi, i parlamentari di M5S sembrano concentra-ti non su temi di stretta urgenza economica, ma assolutamente ideologici: matrimoni omosessua-li e norme contro l’omofobia e la transfobia, che il Movimento vuole introdurre con tre disegni di legge. Si aspettano proposte. Da Montecitorio, da Palazzo Madama o magari anche dalla rete. E per ora comincia a prendere forma la filosofia di Grillo: sussidio di disoccupazione e reddito di cit-tadinanza. Una sfida impossibile: i giovani sotto i 30 anni che non studiano e non lavorano sono 2,2 milioni nel 2012. Beh, Roma dovrebbe sborsare 80 miliardi in tre anni. E allargando i conti anche agli inattivi fino a 64 anni (sono oltre 6 milioni di cittadini) il conto salirebbe a 223 miliardi di euro. La domanda che avremmo fatto volentieri a Grillo è una: qual è la copertura? Il capo di M5S dice che basterebbe ridurre le super pensioni a quattromila euro al mese, abolire i finanziamenti ai partiti, le province, i contributi alla stampa e chiudere i ru-binetti alla Tav. In tutto sarebbero 24,2 miliardi di risparmi. Poco, troppo poco. La sfida di Grillo sem-bra davvero impossibile. E anche dall’altra idea di eliminare i contributi all’editoria e di privatizzare due canali Rai (mantenendone solo uno pubblico e senza pubblicità) arriveranno briciole rispetto alla montagna di milioni di euro necessari.

Arturo Celletti

Vuole i sussidi“M5Stelle”Ma i contivanno allestelle

Vito Crimi

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Fu un atto di democrazia, quando – con la legge elettorale del 1912 – venne prevista per la prima volta nell’ordinamen-to italiano l’indennità (sotto forma di rimborso spese) per i parlamentari: alla funzione di legislatore poterono accedere anche quei cittadini che, non disponendo di fortune proprie, non avrebbero potuto sopportare le spese delle sessioni ro-mane, e soprattutto, non avrebbero potuto lasciare il lavoro. Ora, con l’art. 69, Cost., l’indennità (una volta esplicitamente negata dall’art. 50 dello Statuto del 1848) è invece espressa-mente prevista. Ed è prevista, come è stato scritto (Ciaurro) come “una delle garanzie di effettività per i collegati principi della libertà di scelta dei propri rappresentanti da parte degli elettori (art. 48, Cost.), dell’accesso dei cittadini alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza (art. 51, Cost.) e del libe-ro esercizio delle funzioni di parlamentare senza vincolo di mandato (art. 67, Cost.)”.La stessa riflessione va fatta sulla questione del finanzia-mento pubblico dei partiti, cioè – nel sistema parlamentare e amministrativo italiano – del finanziamento della politica: da una parte – soprattutto dopo i primi scandali nel 1974 – si è venuta sempre più affermando l’idea del finanziamento pubblico, per evitare che la vita politico-partitica del Paese (e le conseguenti scelte democratiche dei cittadini e, comunque, a favore del bene comune) fosse influenzata dalla (ipotetica-mente ineguale) disponibilità economica; ma, dall’altra par-te, si è venuto facendo sempre più drammatico il problema di una corretta, legittima, trasparente gestione dei fondi del finanziamento pubblico: dopo che nel 1993 un referendum vide l’abrogazione della legge del 1974 con una schiacciante

percentuale (90.3% contro il 9.7%), prima (nel 1997) si provò a regolamentare i contributi “volontari”, e poi (con la legge n. 157/1999) si è reintrodotto il finanziamento pubblico attra-verso il rimborso delle spese elettorali. Ma, anche qui, le leg-gi sono solo una faccia della medaglia: l’altra faccia – quella oscura, o quanto meno (assai) opaca – è quella che riguarda l’uso dei (molti) quattrini messi a disposizione dei partiti, se destinati davvero alle reali esigenze della politica e al ruolo dei partiti, e non, invece, all’arricchimento di gruppi interni o ad-dirittura di singole persone, con una pratica indegna di storno dei fondi per spese personali e private che nulla hanno a che fare con le finalità costituzionali, pubbliche, istituzionali. I partiti hanno seguito di pari passo lo sviluppo della demo-crazia parlamentare in Italia: e ne sono diventati elemento davvero indispensabile a far tempo dal 1919, quando fu intro-dotto il sistema elettorale proporzionale. Pochi anni dopo il fascismo fece calare un pesante sipario: prima alla macchia, e poi consacrati nel periodo costituente e definitivamente con la Costituzione repubblicana, ormai da molti decenni essi fanno parte del corpo stesso della nostra democrazia. E se i partiti sono malati, la democrazia è malata. Nel disegno costituzionale il partito politico costituisce il trait d’union tra società civile e istituzioni (Pasquino), tra libertà associativa e principio democratico, tra diritti individuali e rappresentanza parlamentare (Crisafulli): più precisamente la stessa Corte costituzionale ha definito i partiti politici “or-ganizzazioni proprie della società civile, alle quali sono attri-buite dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche” (sen-tenza n. 79 del 2006). Storicamente i partiti hanno avuto (e

Costituzione e democrazia

LA POLITICA AL TEMPO DELLA RETE

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sono state loro riconosciute dall’opinione pubblica) funzioni di rappresentanza (mediazione) politica e sociale, di forma-zione del personale politico, di gestione delle istituzioni e del loro governo secondo il disegno costituzionale. Non è (più) così. Tutt’al contrario, l’opinione pubblica vede nei partiti la causa della crisi non solo della politica, ma del Paese. Ha dato drammatica voce a tutto ciò Giorgio Napoli-tano, nel discorso d’insediamento del nuovo settennato, il 22 aprile.Sembra di poter dire che – semmai vi abbiano fatto onore (ma crediamo di sì) – questa crisi di relazione e di consenso fra società civile e partiti è dovuta proprio al fatto che questi ultimi non sono (più) capaci di adempiere a quelle funzioni specifiche che abbiamo detto: e questa incapacità dei partiti ha messo in crisi non solo la politica di oggi, ma tutto l’im-pianto della democrazia parlamentare e partecipativa dise-gnato dalla Costituzione. Il senso del bene comune è stato scalzato dall’interesse privato o di gruppo (quando non di clan); ad un’idea di stato, di istituzioni, di politica come ser-vizio si è sostituita un’idea di politica come potere: e di que-sto si sono fatti spesso strumenti i partiti. Alcuni hanno tentato di recuperare con le c.d. primarie: ma questo strumento – ed è polemica ma altresì preoccupazione di questi ultimi giorni – è stato sprecato. Intanto da un per-sonale politico non più formato e piuttosto ignaro delle cose della politica e dei meccanismi delle istituzioni; e poi dallo stravolgimento del principio partecipativo operato attraver-so l’abuso di uno strumento nuovo, che tuttavia va anch’esso ben conosciuto e meglio utilizzato. Sentiamo ancora il discor-so di Giorgio Napolitano del 22 aprile: “La Rete fornisce ac-cessi preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione e di intervento politico e anche stimoli all’aggre-gazione e manifestazione di consensi e di dissensi. Ma non c’è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti poli-tici organizzati, tutti da vincolare all’imperativo costituzio-

nale del «metodo democratico»”.La Rete è uno strumento, utile, di comunicazione, e non il luo-go delle scelte politiche: se invece di luogo di colloquio, anche confronto di idee e proposte nel quadro di un bene comune condiviso i siti, i blog, i vari profili “diventano discariche di odio e frustrazione, in cui ogni intervento comincia con un insulto” (Cazzullo), salta il tessuto stesso della democrazia. La Rete non è la società, ma uno strumento della società: e la cultura della politica ben si può servire, come stimolo e come controllo, della Rete. Dopo, però, i partiti devono recuperare la funzione di raccor-do, di integrazione, di rielaborazione fra la piazza e le istitu-zioni: questa è la loro funzione costituzionale necessaria. Senza, della piazza resta solo l’indistinto vociare: e ciascuno potrà interpretarlo come gli pare.

Gianfranco Garancini

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Siamo finiti in una Repubblica Presidenziale, sen-za accorgercene e senza che fosse modificata la Costituzione? La domanda è legittima, dopo che il vuoto della politica ha esaltato il ruolo del Pre-sidente Napolitano, che dapprima ha “imposto” alle forze politiche il governo Monti, poi è stato costretto a ricandidarsi. Una sorta di richiamo in servizio, come fu per il generale De Gaulle, alla cri-si della IV Repubblica Francese, per poi favorire la nascita del governo Letta, “imposto” alle stesse forze politiche che avevano sostenuto il governo Monti. Certo Napolitano, per cultura ed età, non è né De Gaulle, né un presidenzialista, tuttavia ciò non toglie che sia stato di fatto eletto contemporane-amente Presidente della Repubblica, del Consiglio e del Pd. Questo è un fatto, così come è un fatto che l’ elezione del Capo dello Stato sia uscita dalle stanze ovattate del Parlamento, fino a coinvolgere le piazze virtuali e fisiche, in cui opposte tifoserie

invocavano l’elezione, non del miglior Presidente, ma del più vicino alla loro fazione. Insomma, per la prima volta nel Paese la gente si è mobilitata per “eleggere” il suo Presidente, in questo condizionando i grandi elettori: Marini “ucciso” perché votato anche da Berlusconi, Prodi osannato perché inviso al Cavaliere e Rodotà so-stenuto perché elemento di rottura della comunità politica tradizionale. Siamo passati dal Presidente di garanzia a quello della tifoseria, il passo succes-sivo dovrebbe essere l’elezione diretta. Siamo al punto in cui dobbiamo scegliere la nuova cornice istituzionale, presidenziale o parlamentare, la leg-ge elettorale è un corollario di questa scelta. Ora il presidenzialismo, tanto evocato dal centro-destra, esiste solo in Francia. Tra i grandi Paesi, nella maggior parte abbiamo premierati forti, come in Spagna, Inghilterra, Olanda, Svezia, Paesi dove peraltro vige la monarchia, o come in Germa-nia e Polonia. Gli Italiani amano gli uomini della

Provvidenza, ma il presidenzialismo non è sempre sinonimo di stabilità. Basti pensare che in Francia e negli Usa abbiamo spesso il fenomeno della coa-bitazione, cioè maggioranze parlamentari di orien-tamento diverso da quello del Presidente: accade ora ad Obama ed accadrà tra breve ad Hollande. Non si tratta di cercare scorciatoie verso la stabi-lità, come rischia di essere l’ elezioni diretta del Presidente, ma di aggiornare la nostra Carta, sce-gliendo l’abito giusto. Proviamo a pensare come sarebbe stata diversa la situazione appena vissuta, con il monocameralismo e con il potere di scio-glimento nella mani del Premier. Un presiden-zialismo senza una ridefinizione di tutto l’assetto istituzionale, rischia di aumentare l’instabilità e le contrapposizioni. Per chi ama le personalizzazio-ni, si può sempre tornare alla monarchia, almeno avremmo un aumento delle vendite dei settimana-li rosa.

Dario Caselli

mentre il Parlamentovotava il Presidentein piazza si cercava

la fallace scorciatoia

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GIUSEPPE DE RITA:NON SI ChIEDA TROPPO

ALLA POLITICAIntervista di Mimmo Sacco

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Sacco: Il nostro Paese sta attraversando una pro-fonda crisi politico-istituzionale (i segnali vengono da lontano). Questa complessa situazione ha spinto Napolitano, con un gesto di responsabilità, a ripren-dere in mano il timone della barca ottenendo un pri-mo risultato: un governo politico. Lei ritiene che la classe politica, finora miope e refrattaria alle esigen-ze di cambiamento sarà in grado di affiancare il Capo dello Stato per ritrovare la rotta?De Rita: La mia valutazione è forse un po’ strava-gante rispetto ai discorsi che sono stati fatti, agli arti-coli che sono stati scritti. Personalmente ritengo che il grande risultato di Napolitano è stato quello di ave-re un governo politico però il prezzo, a mio avviso, è stato un po’ troppo alto nel senso che ha costretto i politici a quello che io chiamo reinfetazione, cioè un ritorno indietro, un meccanismo regressivo e, in qualche modo, l’ammissione implicita di non saper fare politica. Sacco: Forse è opportuno chiarire ulteriormente questo concetto.De Rita: Intendo dire che invece di scontrarsi po-liticamente i politici italiani sono andati subito dal papà, dalla mamma a dire “pensaci tu”. L’unico che sappia fare politica è la mamma, il papà, cioè Napo-litano. Poiché lui ritiene che per fare politica bisogna avere un governo politico, lui quello lo ha ottenuto. Ciò che succederà nei prossimi mesi sarà tutto da ve-dere perché la classe politica, che finora è stata mio-pe, cosa farà nei prossimi mesi? Può darsi che avere un Governo politico aiuti a fare politica oppure si può ritornare ad agire senza assumere la responsabilità che gli sarebbe toccata se avessimo, in qualche modo,

affrontato il rischio del conflitto sul nome del nuovo Presidente.Sacco: I partiti tradizionali hanno scritto l’ultimo capitolo della loro profonda crisi nei giorni dell’ele-zione per il Quirinale. I nuovi protagonisti però, il M.5 S., si arroga il monopolio della voce autentica del popolo. Il loro slogan “Tutti a casa” non si può con-siderare una pericolosa scorciatoia per una possibile deriva populista, con tutta la valenza negativa che il termine racchiude?De Rita: È una deriva populista, la scorciatoia non funziona perché va a finire che tutti restano piutto-sto a discutere e a litigare senza costrutto. Io propen-derei a credere che il vero slogan oggi di una nuova politica è: nessuno a casa e tutti a lavorare, tutti a far politica, tutti ad impegnarci per l’elezione del nuo-vo Presidente della Repubblica, scontrandosi anche duramente sui problemi del momento. Tutti a casa non è populista, è addirittura prepopulista, è qualun-quista.Sacco: Va detto anche, come ho appena accennato, che da tempo si percepivano i segni della frattura fra classe politica e società civile. Quali segnali si pos-sono o si devono dare perché si riannodi il filo di un dialogo spezzato? E, contestualmente, non s’impone oggi, recuperando il tempo perduto, una rigenera-zione della democrazia rappresentativa, attraverso radicali innovazioni che comprenda anche, come au-spicato da più parti, una sorta di nuovo patto costi-tuzionale?De Rita: Io credo poco ai patti, specialmente se costituzionali. Oggi il problema è che la frattura fra classe politica e società civile deriva dal fatto che la società civile ha caricato di troppe attese la politi-ca. Se carichi di tutto la politica, la politica si sente onnipotente e al tempo stesso impotente e la gente, la società civile si sente al tempo stesso arrabbiata perché ha creduto a promesse poi non realizzate ed è impotente perché capisce che anche la sua pressione forte ed energica nei confronti della politica non ha avuto alcun effetto. Sacco: Professore, vale la pena notare che in

Tra sindacati ed imprese il patto non

dovrebbe fermarsi alla fabbrica

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quest’ultimo periodo nel dibattito politico sta riaffio-rando nuovamente il discorso sul Presidenzialismo (l’elezione diretta del Capo dello Stato). E’ una strada percorribile o può portare al rischio dell’Uomo forte, il Salvatore, paventato da Zagrebelsky recentemente?De Rita: Io non sono sempre d’accordo con il co-stituzionalista Zagrebelsky, ma questa volta sì. Sono un difensore ferreo della Repubblica parlamentare, perché nel Parlamento c’è una capacità di dialetti-ca, di conflitto e anche di convergenza che non può esserci in una sola persona. Noi siamo sempre stati un po’ propensi ad invocare il Salvatore della Patria, a ricorrere al Presidenzialismo, lo abbiamo visto, a più riprese, nel corso della nostra storia passata e recente. Gli ultimi sette anni abbiamo avuto un per-sonaggio, Napolitano, provvisto di un non comune carisma, in qualche modo eccezionale, per cui la sua figura è stata garante anche di una “piccola” forzatu-ra istituzionale. Sacco: Un altro fondamentale capitolo della crisi del Paese è la drammatica situazione economico-sociale. Il panorama è desolante. Tre milioni di disoccupati, il 20% degli italiani sono a rischio povertà, il potere d’acquisto mai così giù dal ’90. Il 2013 viene conside-rato l’anno più difficile della crisi. Dobbiamo rasse-gnarci al peggio? De Rita: Il 2013 è appena cominciato, sono passati solo quattro mesi, vediamo come va il resto dell’an-no. Sono convinto che non andrà così male, anche in questi giorni dalle cifre dell’Ocse che sono addirittu-ra peggiorative rispetto a quelle precedenti. Chi gira

l’Italia vede un movimento, una dinamica, un’atmo-sfera molto meno tetra di quella di due mesi fa; il che significa che qualche cosa si sta muovendo, sempre nel sottosuolo, perché in Italia tutto si muove nel sommerso, nell’indistinto della società. Ritrovarsi in autunno e fare un discorso su quest’anno sarebbe molto più interessante e anche molto più basato su realtà di fatto di quanto lo sia adesso. Ora ci trasci-niamo in una specie di deriva pessimistica e disa-strosa ma forse negli ultimi tre anni un’inversione di tendenza si è andata preparando. Sacco: Continuando il discorso molto importante sulla crisi economico-sociale viene spontanea una domanda: le grandi organizzazioni di massa che han-no come compito primario l’essere vicini ai bisogni della gente si comportano come tali oppure la crisi di rappresentanza e di fiducia ha colpito anche loro?De Rita: Ha colpito anche loro perché la rappresen-tanza è scivolata verso un discorso politico. Questa va riferita sempre alla tutela di interessi: io imprendi-tore sto qui a difendere il bilancio delle aziende ma-nifatturiere italiane; io sindacato sto qui a difendere l’orario di lavoro degli operai italiani. Se invece di comportarmi in questo modo, cioè invece di tutelare interessi, faccio discorsi politici (e alcuni Presiden-ti di Confindustria l’hanno fatto, come anche alcuni grandi sindacalisti) allora faccio politica, non più rappresentanza. E purtroppo, quando ti comporti in questo modo, anche la rappresentanza diventa fragi-le. Pensiamo alla Marcegaglia, alla stessa Camusso, per certi versi, le quali invece di dire: sto al tavolo per

difendere alcuni interessi, partecipo per pretendere il cambiamento del Paese, fanno un mestiere che non è il loro. Sacco: Stiamo assistendo, sempre nel campo econo-mico, ad un impoverimento progressivo del tessuto industriale del Paese: 250mila aziende sono desti-nate a chiudere nel 2013. La proposta della Confin-dustria di un “patto di fabbrica”, la grande alleanza tra imprenditori e lavoratori è stata, di fatto, accolta favorevolmente dai sindacati. Oltretutto il 1° maggio per la prima volta rappresentanti degli industriali e dei lavoratori hanno partecipato assieme a questa manifestazione. Può essere uno stimolo per la ripre-sa?De Rita: Il problema è individuare il campo dell’ac-cordo. Che ci sia oggi un accordo di collaborazione fra sindacati e industriali è evidente, è fuori discussione. Ma l’alleanza dove la si fa? La proposta di Confindu-stria sembra propensa ad andare fino alla fabbrica, cioè al nucleo più elementare dell’economia italiana, il che naturalmente è molto attraente anche perché in fondo abbiamo il contratto di azienda che permet-te quel tipo di logica. Io oggi sarei più attento anche alla contrattazione localistica, di comprensorio terri-toriale. La fabbrica mi sembra ancora troppo piccola per poter avere poi un impatto politico complessivo. Sacco: Lei avanza un’ipotesi suggestiva e l’attribui-sce al Movimento 5S. Questo Movimento, cioè - Lei sostiene - ha sperimentato un modello diverso: l’ag-gregazione su obiettivi (rappresentanza di scopo), piuttosto che identitaria, com’è nei sindacati tradi-zionali. Può chiarire meglio?De Rita: La rappresentanza nasce su scopi precisi e poi diventa identitaria. Pensiamo al sindacato. È nato per difendere il lavoro, l’orario di lavoro, i lavoratori, le ferie, il salario; poi è diventato identitario, in quan-to tutore delle identità della classe operaia e ha perso quella logica dello scopo da perseguire: e cioè lotto per l’aumento di stipendio, lotto per portare a casa un aumento delle ferie; se non raggiunge l’oggetto delle rivendicazioni resta una generica battaglia identita-ria. E oggi in nessuna parte della società, italiana o

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straniera, il meccanismo identitario è capace di mobi-litare gente, neppure la religione, figurarsi. La nuova strada è piuttosto quella di tornare ad una rappresen-tanza di scopo, appunto un aggregare su obiettivi. Sacco: Guardiamo, ora, un attimo al Sud. Pensionati e lavoratori dipendenti del meridione sono i più tar-tassati dall’Irpef (lo sostiene la Cgia di Mestre). L’im-posta è stata aumentata dalle Regioni in disavanzo sanitario per reperire nuove risorse. Ma una tale mi-sura non può portare a un ulteriore impoverimento di queste Regioni?De Rita: Questo lo stiamo dicendo noi del Censis da molto tempo. Il vero problema del Mezzogiorno è la potenziale riduzione del welfare state che può por-tare ulteriore frustrazione, ulteriore disperazione nel Mezzogiorno: la sanità, la scuola, l’assistenza, la pre-videnza, erano realtà che lo Stato garantiva. Se lo Sta-to non garantisce più un ospedale, una scuola pub-blica dignitosa, un’università, allora il Mezzogiorno resta solo con se stesso. Oggi il vero problema del Mezzogiorno, della Questione meridionale (avrebbe-ro detto i nostri Padri), non è l’industrializzazione del Mezzogiorno ma di ridare senso al welfare del Sud.Sacco: In passato era il lavoro a definire lo status di una persona: oggi che il posto fisso non esiste più quanto pesano il capitale culturale (cioè l’istruzione) e quello sociale?De Rita: Il capitale vero è quello relazionale; lo sta-re dentro a un “mondo” che consenta per esempio andare a studiare all’estero, avere una rivista ame-ricana da leggere, discutere la sera con un amico. Il merito non viene in base al numero di anni standard

di istruzione, ma dalla capacità di stare al mondo, di stare nel mondo. La mia carriera, del resto come la tua, è stata fatta da meccanismi relazionali; non certo perché avevo una laurea, ma perché sono entrato nel meccanismo relazionale del gruppo di Saraceno, che in pratica ci consentiva di conoscere tutta la storia italiana. Il mio vero capitale sociale - insisto - è sta-to quello relazionale. Chi me lo ha dato? Per fortuna non lo ho acquisito io, non sono mi messo in testa ‘mi faccio un capitale sociale’. Sono capitato con Giorgo Sebregondi, mi son trovato in una stanza accanto Napoleoni, con Saraceno, con Graziosi. Questo è sta-to il mio capitale vero, il capitale sociale.Sacco: Si tratta insomma di entrare in una rete: è questo il concetto di fondo? De Rita: Certo, ma non deve essere una rete con-cepita come cordata. Devi conoscere ed essere cono-sciuto. Sacco: E ancora sul lavoro, preoccupazione priorita-ria della nostra società. Il lavoro precario sta portan-do con sé la frantumazione della classe media?De Rita: La classe media in Italia non è mai esisti-ta. Noi abbiamo avuto negli anni Settanta un grande processo di ‘cetomedizzazione’: siamo diventati tutti ceto medio, tutti piccolo-borghesi, tutti con consu-mi piccolo- borghesi, tutti con la macchina, la tele-visione, il tinello da piccolo-borghesi. Questa non è cetomedizzazione, è imborghesimento. L’85% della popolazione italiana che si è data comportamenti borghesi. Oggi si torna indietro, si ritorna a quel-lo che facevano i nonni, sostanzialmente. Anche se tuo padre è diventato manager (sembrava raggiunta ormai l’alta borghesia imprenditoriale) si torna ora al nonno che faceva l’impiegato non precario, ma l’impiegato con le mezze maniche. Teniamo sempre conto che la storia non si ferma a determinati stadi, come per esempio la borghesia, o il ceto medio. No, la storia si modifica giorno per giorno. Sacco: Quindi bisogna avere un concetto dinamico della storia, questa è la filosofia di fondo?De Rita: Certo, la penso proprio così.Sacco: Credo utile soffermarci sul concetto di “so-

cietà liquida” di Bauman. Un tipo di società che con-vive con l’ instabilità. Questa provvisorietà dei fatti sociali fa sì che non si cerchino più soluzioni durevoli ai problemi che assillano la società: la devastazione ambientale, la precarietà del lavoro, l’ingiustizia so-ciale, la povertà. Si può condividere quest’analisi?De Rita: No. La storia è qualcosa che evolve conti-nuamente. L’idea di avere soluzioni durevoli (come è nella tua domanda), in una società che cambia to-talmente e rapidamente, non è possibile. Con la “li-quidità” dobbiamo convivere, anche nei suoi aspetti negativi. I nostri figli già lo fanno, mentre noi siamo ancora per le idee durevoli, costanti nel tempo. Que-sta è la società che abbiamo ed è difficile dire ‘mi pia-ce, non mi piace’.Sacco: Lei segue da vari decenni le vicende sociali del nostro Paese da un osservatorio privilegiato, il Cen-sis. Avremo la forza per un deciso scatto di reni?Che prospettive immagina per il futuro del Paese?De Rita: Se la società è liquida, come dice Bauman, abbiamo un problema di galleggiare non di crescere o declinare. Il declino è un concetto di una società più forte, solida, più strutturata. Si è sviluppata e ades-so declina, poi magari si risviluppa. Noi navighiamo sempre in sospensione; è una sorta di galleggiamento a pelo d’acqua. Qualche volta scendiamo di due gra-di, qualche volta risaliamo sopra. E’ difficile pensare che avremo ancora dei grandi processi di sviluppo tipo quelli degli anni Settanta in Italia. Avremo dei meccanismi di adattamento costante a difficoltà sem-pre maggiori, che poi non ci riguardano in esclusiva: sono mondiali anche sul piano ambientale, sul piano bellico, come su quello della finanza internazionale. Allora questa capacità di adattamento è il nostro eso-do, il nostro cammino nel deserto, è la nostra storia. La nostra storia non è il passaggio di Colonne d’Erco-le meravigliose, è un esodo continuo. In questo siamo giudaico-cristiani.

Mimmo Sacco

di Mimmo Sacco24

LA CONTRATTAZIONE VA SUL TERRITORIOColloquio conGRAZIANO DELRIO,Ministro agliAffari Regionalie Autonomie

Che margini ci sono oggi per avviare un’efficace contrattazione sul territorio? In altri termini, cosa dovrebbero offrire oggi le città italiane per essere effettivamente sostenibili e a misura d’uomo? Contromano ne ha parlato con il neo Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, Graziano Delrio, il quale per la sua storia politica personale (è già stato sindaco di Reggio Emilia per due legislature e presidente dell’Anci, Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) può essere senz’altro preso ad emblema del “primo cittadino” d’Italia.

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Pederzoli: Ministro Delrio, fin dalla definizione del Suo programma elettorale da primo cittadino di Reggio Emilia, Lei si è proposto di amministra-re la Sua città come “città delle persone”. Che po-sto occupano gli anziani in tale contesto? Delrio: Ovviamente la mia delega riguarda indi-rettamente welfare e servizi, attraverso il Tavolo Stato Regioni, ma posso risponderle per quanto fatto in questi 9 anni a Reggio Emilia. La “città delle persone”, che è un orizzonte a cui ci siamo ispirati, è la città in cui i cittadini sono considerati sia nella loro individualità e unicità, sia nella re-lazione con gli altri, dando vita ad una comunità che mette al centro il bene comune. Quello che ci preme è la pari dignità di ogni persona. Anche i bambini, ad esempio, sono da considerare come cittadini. Dei nostri anziani ho molto rispetto e molta stima, perché sono i primi tra tutti ad avere a cuore degli obiettivi comuni. Sono anche consa-pevole che oggi a loro viene chiesto moltissimo.

Pederzoli: Nella sua ormai lunga esperienza da primo cittadino, come ha visto modificarsi le esi-genze degli anziani e le richieste che gli anziani fanno alla città? Delrio: Come dicevo, oggi gli “anziani” sono una categoria molto ampia di persone, che va da perso-ne ancora in attività che sostengono sia le famiglie dei figli, sia i genitori fino a quei grandi anziani che rappresentano una nuova configurazione della no-stra società. Inoltre siamo un Paese che, oltre ad attraversare una crisi economica che si ripercuote sulla spesa sociale, sempre più vivrà un’emergenza demografica che vede ridursi la presenza delle gio-vani generazioni. Gli anziani rappresentano oggi

molti volti della nostra società: ne sono le colonne, ma sono anche soggetti deboli che pagano moltis-simo la crisi. Inoltre tutti noi, con la speranza di vita di oggi, avremo sempre più bisogno di rispo-ste sociali. Tutto ciò per dire che anche l’articola-zione delle risposte dovrà essere più complessa, non più semplificata.

Pederzoli: Dal momento che Lei è anche presi-dente dell’Anci, come giudica lo “stato di salute” delle città italiane? Cos’è migliorato e cos’è peg-giorato rispetto a qualche anno fa? Delrio: Le città italiane stanno portando avanti innovazioni e miglioramenti facendo in conti con una crisi pesantissima e con il taglio dei finanzia-menti statali, il blocco della capacità di investire, avendo contribuito moltissimo, per quanto nelle loro possibilità, a risanare il debito pubblico. Que-sta fatica si vede moltissimo. Le famose buche per le strade ne sono il segno visibile. Ma le buche si ripareranno. Le misure che abbiamo chiesto sul patto di stabilità servono anche a questo. Tutta-via solo la crescita economica potrà dare nuova energia e nuovo entusiasmo. La direzione giusta per le città è di combinare governo pubblico insie-me a intelligenze e risorse private per raggiungere obiettivi comuni, ad esempio per recuperare zone depresse delle città. Ma finché non ci sarà una ri-presa, sarà molto difficile. Da sindaco dico che è importante in questa fase che le comunità stiano unite, che si abbassino i toni e si creino alleanze per uno sforzo comune.

Pederzoli: Quali saranno le sue priorità in quali-tà di neo Ministro?

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Regione Siciliana,

PRovIncE AbolItEcalcolato un risparmio di circa

50 milioni di euroIn Sicilia le province non esistono più. Almeno dal punto di vista politico. Nel marzo scorso, l’Assemblea Regionale Siciliana ha infatti ap-provato un maxi-emendamento che prevede il commissariamento degli enti e la loro sostituzio-ne entro l’anno con liberi consorzi di comuni. In particolare, la proposta di abolizione delle pro-vince è stata avanzata da Pd, Udc e Lista Cro-cetta, ma accolto i favori anche del Movimento a 5 Stelle. Il presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, ha raccolto la votazione con un applauso e ha commentato: “L’abolizione delle Province è la vittoria del governo e della maggioranza; do atto anche ai 5 Stelle di avere votato la norma che abbiamo proposto. Si tratta della prima tappa della rivoluzione: oggi ha vinto il modello Sicilia”.Ora, per i consorzi dei comuni sono previste elezioni di secondo grado, dunque i componen-ti devono essere indicati dai sindaci e non sono più previste elezioni per presidenti di Provincia e consiglieri. Con l’abolizione degli enti provinciali, il governo Crocetta ha calcolato un risparmio di circa 50 milioni di euro.

Nel corso del 2011, con l’editore Saggine, è uscito il libro di Graziano Delrio dal titolo: “Città delle persone. L’Emilia, l’Italia e una nuova idea di buon governo”. Nel contesto di un’Italia completamente invasa dalla crisi economica, non resta che provare a ripartire da ciò che di positivo l’Italia ha costruito nella sua storia politico-amministrativa: le città e le competenze di buon governo locale. La necessità di valorizzare ciò che sui territori sembra emergere come un nuovo paradigma di crescita è infatti coerente con le strategie promosse dalla Commissione europea. Forte di questa convinzione, maturata sul campo in oltre un decennio di impegno come amministratore, Delrio prova ad allineare alcuni spunti per un nuovo progetto di governo della cosa pubblica, fondato sul riconoscimen-to della centralità delle persone nella progettazione delle politiche pubbliche. In un’economia della conoscenza, dunque, decisivo è il sostegno alla ricerca e all’innovazione, primo bacino di sviluppo e di occupazione. Altrettanto urgente appare la necessità di reinventare il modello di welfare, di fronte al crescere dell’anzianità, dell’immigra-zione e della frammentazione sociale. Nella gestione del territorio, ineludibile è una strategia di lungo periodo che sappia guardare ben oltre la semplice speculazione delle rendite fondiarie. Ne sortisce un concentrato di strategie di buon governo, imperniato soprattutto su una visione di futuro per la propria comunità, sulla partecipazione e il senso civico dei cittadini, che poggia su un progetto educativo e di cittadinanza, lontano da preconcetti ideologici e da semplicistiche ricette.

Delrio: Il mio ministero è il punto di cerniera e di condivisione di obiettivi sui servizi pubblici tra lo Stato e le autonomie locali, i soggetti che, in-sieme, costituiscono la nostra Repubblica. Ho par-lato spesso in questi giorni di un nuovo patto da riscrivere, perché troppo spesso i Comuni, le au-tonomie sono state le Cenerentole della Repubbli-ca, e di conseguenza le decisioni sulla vita comune dei cittadini sono state assunte troppo lontano. Occorre trovare il giusto equilibrio tra autonomia fiscale e di decisioni, tra risorse e responsabilità. A questa intesa tra Stato, Regioni e autonomie spero di poter dare un contributo, da quel Tavolo Sta-to Regioni che presiedo e in cui si condividono gli obiettivi da raggiungere. Speriamo insieme di fare un passo avanti in un federalismo di responsabi-lità, efficienza e rispetto delle autonomie, avendo sempre a mente le famiglie e le persone che, nelle città, attendono risposte.

Marco Pederzoli

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Stiamo assistendo in questi giorni ad un ulteriore allarga-mento dell’Unione Europea, con l’adesione della Croazia, e contemporaneamente ad un crescendo di forze politiche anti europee e anti euro in particolare. Da questa semplice costatazione molti sono gli interrogativi che mi pongo: vi è un rapporto fra allargamento e disaffezione? Dove sono gli ideali ed i sogni nutriti al momento della nascita della allora Comunità Economica Europea? E dove le prospettive di un mercato unico che ci avrebbe assicurato un migliore tenore di vita, la piena occupazione e la fine di quel circolo vizioso dell’inflazione-svalutazione, che erodeva i salari? Ricordo, ed i miei ricordi personali coincideranno con quelli di molti lettori, le domande che ponevo da bambino a mio padre al momento in cui furono firmati i Trattati istitutivi della CEE e dell’EURATOM per realizzare l’unione doganale, una politica comune nei settori più importanti dell’economia europea e l’utilizzazione pacifica dell’energia nucleare. Le

sue risposte erano piene di entusiasmo e di speranze. La ce-rimonia della firma svoltasi a Roma il 25 marzo del 1957 era stata sentita come la riabilitazione dell’Italia nel novero del-le grandi democrazie europee e come il riconoscimento del “miracolo italiano”, portato avanti dall’impegno di una classe lavoratrice determinata a ricostruire il Paese, e di una classe politica ispirata da grandi ideali.La politica agricola ci ha fatto conoscere molte speranze, ma anche forti delusioni. Sono indimenticabili quelle foto delle arance italiane distrutte da uno schiacciasassi per “mantene-re alto il prezzo”. Abbiamo raggiunto nuovi traguardi, ma a volte a caro prezzo. E non mi riferisco solo ai costi economici, ma anche e soprattutto a quelli umani e sociali.Di fronte alle odierne reazioni anti europee, però, ci dobbia-mo domandare cosa sarebbe successo senza l’ombrello co-munitario. In Italia, come conseguenza della crisi iniziata nel 2008-2009, il reddito disponibile delle famiglie, in termini

E alla finela crisi partorirà L’EUROPA

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assoluti (a prezzi costanti), è tornato indietro ai livelli del 2001 e in termini pro-capite è tornato sui livelli della prima metà degli anni ’90. Stando ai dati pubblicati dall’ISTAT l’11 aprile il numero dei disoccupati ha raggiunto i 5,8 milioni, cifra di per sé spaventosa, ma ancora peggiore se si conside-ra che vi sono 1,3 milioni di persone definite “scoraggiate”, che cioè hanno ormai rinunciato a cercare lavoro. Va rileva-to, però, che grazie all’euro non è stato possibile procedere, come in passato, alla svalutazione, salvando così, almeno parzialmente, i percettori di reddito fisso (stipendi e pensio-ni). Nel complesso il quadro è triste e scoraggiante.E’ questa l’Europa che sognavamo? No! Ma secondo me, sia-mo in una fase a metà fra il passato ed il futuro. Gli Stati non vogliono cedere sovranità, ma hanno difficoltà in un mondo globalizzato. Gli squilibri di oggi sono la conseguenza degli sprechi del passato e di una moneta unica gestita da 17 di-versi governi, con sistemi economici, fiscali e sociali diversi. Detto questo, però, dobbiamo riconoscere che le procedure imposte dalla comunità internazionale non hanno aiutato la ripresa. Non si è saputo bilanciare risanamento e sviluppo, obbligando i Paesi più deboli a sacrifici terribili. A parte con-siderazioni umanitarie e solidali (che pure sono e dovrebbero essere prioritarie), economicamente non conviene annienta-re il debitore. La forza della disperazione delle classi più col-pite in Grecia, Spagna, Portogallo e Italia ha imposto nuovi e più costruttivi equilibri. Rimessi parzialmente i conti in ordi-ne, si è sviluppato finalmente un forte impegno da parte della stessa Unione Europea, delle forze sociali e produttive per lo sviluppo ed il rilancio dell’economia. Avremo ancora un anno di sacrifici, ma l’Europa unita è destinata a prevalere, con il rilancio della nostra economia nell’interesse di ciascuno di noi e, collettivamente, di tutti noi e dei nostri figli.

Gianfranco Varvesi

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Un sistema sanitario in grande affanno, dove a fronte di pre-stazioni giudicate sempre più inadeguate le tasse continua-no ad aumentare e, chi può, ricorre con maggiore frequenza al privato per prestazioni specialistiche e diagnostiche. In estrema sintesi, è questa la fotografia del Sistema Sanitario Nazionale che emerge dall’ultimo Rapporto Oasi (Osservato-rio delle Aziende Sanitarie Italiane), elaborato e presentato nelle scorse settimane da Cergas, il Centro di Ricerche sul-la Gestione e l’Assistenza Sanitaria e Sociale dell’Università Bocconi di Milano.I numeri sono per molti versi impietosi: in un solo anno, i ticket sui farmaci sono aumentati del 40%. E il 55% degli as-sistiti paga oramai da sé visite specialistiche e accertamenti diagnostici, sia per aggirare le lunghe liste d’attesa, sia per-ché i ticket sono oramai così alti da spingere verso un pri-vato sempre più “low cost”. Ad aggravare ulteriormente tale situazione ci sono poi le tasse, che aumentano per non chiu-dere bilanci in rosso o non aggravare ulteriormente lo stato delle cose: maggiorazioni delle addizionali Irpef, incremento delle aliquote Irpef, rincari del bollo auto e cartolarizzazione dei debiti sono gli strumenti, singoli o associati, ai quali han-no fatto ricorso quasi tutte le regioni italiane, ad eccezione di Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Basilicata e Sardegna, mentre Marche, Abruzzo, Molise e Campania hanno messo mano a tutte le leve fiscali consenti-te dalla legge. Sempre secondo il rapporto Oasi, il disavanzo

maggiore sarebbe stato toccato dalla Regione Lazio, con 815 milioni di euro di debito, seguito dalla Sardegna con 283 mi-lioni e dal Piemonte con 260.Un altro riflesso diretto di questa situazione è l’esplosione del “welfare fai da te”, con il numero delle badanti che nel 2012 risulta avere largamente superato i dipendenti delle Asl e de-gli ospedali italiani messi assieme: 774 mila contro 646 mila. Le ripercussioni più gravi, ancora una volta, si registrano al Centro Sud, dove la maggioranza della popolazione giudica “inadeguati” i servizi offerti dal Sistema Sanitario Nazionale; in particolare, a considerarlo inefficiente è il 53,5% dei cit-tadini del Centro e il 62,2% dei cittadini del Sud, a fronte di una media nazionale del 43,9%. Manca per di più la fiducia che in futuro le cose possano volgere al meglio: il 31,7% degli interpellati dal rapporto Oasis pensa infatti che i servizi sa-nitari nella propria regione siano peggiorati nel 2012 rispetto

RAPPORTO OASIun “check-up” sulla sanità italiana

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al 2011. I più scontenti della situazione risultano i residenti delle 8 Regioni che, giocoforza, hanno dovuto applicare nell’ultimo anno ingenti tagli alla sanità: Campania, Lazio, Abruzzo, Molise, Pie-monte, Calabria, Puglia e Sicilia.Cosa si può fare dunque per uscire da questa em-passe? Difficile dettare la ricetta, anche se il mede-simo rapporto suggerisce alcune “vie d’uscita”. “Se l’efficientamento inteso in senso tradizionale ha esaurito almeno in molti contesti le proprie poten-zialità – recita lo studio - l’unico modo per conse-guire benefici apprezzabili in termini di efficienza, ma anche di qualità e appropriatezza dei servizi, diventa la ricerca di innovazioni di «prodotto» e di «processo», cioè di soluzioni che garantiscano una maggiore integrazione delle risorse, degli inter-venti, delle professionalità, delle unità organizzati-ve, delle stesse aziende. Tali innovazioni, peraltro, sono rese necessarie anche dalla modificazione dei bisogni (per esempio, il 38,6% dei residenti in Ita-lia soffre di almeno una malattia cronica) e sono favorite dallo sviluppo delle conoscenze e delle tec-nologie (per esempio, l’evoluzione delle tecnologie informatiche)....Ne rappresentano degli esempi: l’introduzione di modelli assistenziali basati sulla logica della «presa in carico» del paziente cronico; lo sviluppo di una funzione di operations mana-gement cui affidare la gestione delle piattaforme produttive e la riorganizzazione dei flussi dei beni e dei pazienti; la riorganizzazione degli ospedali per intensità di cura; l’introduzione di modelli or-ganizzativi che garantiscano l’integrazione tra ri-cerca e assistenza; lo sviluppo di reti interaziendali per patologia; la creazione di forme di associazio-nismo che coinvolgano medici di medicina gene-rale, infermieri e/o specialisti; l’implementazione

di soluzioni per garantire l’integrazione ospedale-territorio, di tipo strutturale (ad esempio strutture intermedie dotate di letti, come gli hospice o gli ospedali di comunità) o processuale/funzionale (ad esempio uso della dimissione protetta e di mo-

dalità di case management, creazione di percorsi riabilitativi o terapeutici individuali, assistenza domiciliare multi-disciplinare).Si tratta, evidentemente, di innovazioni che met-tono radicalmente in discussione gli assetti e i ruoli esistenti, molto più di quanto abbia fatto, per esempio, l’introduzione del modello dipartimenta-le. Infatti, non basta più ricercare l’efficienza nelle singole attività, né cercare sinergie tra le struttu-re esistenti, e nemmeno saper interagire con altre aziende pubbliche e private dai confini chiaramen-te perimetrati. E’ invece necessario identificare e avviare iniziative innovative che mettono in di-scussione poteri, responsabilità, comportamenti e rapporti consolidati e che spesso rendono fluidi e destrutturati i confini aziendali”.

Marco Pederzoli

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gian guido Folloni intervistaGiorgio Squinzi

presidente di Confindustria

Con meno burocrazial’industria ripartirà

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Bergamasco, di Cisano (nel forte dialetto di questa terra si dice Cisà), chimico prima che imprenditore insieme al padre, sportivo (un’importante squadra di ciclismo, la Mapei, e una di calcio, il Sassuolo, in dirittura d’arrivo per la serie A), Giorgio Squinzi è arrivato alla presidenza di Confindustria il 22 marzo 2012. Un anno fa, poco più.Eravamo già in piena emergenza economica. Da poco il tecnico Monti guidava l’esecutivo. La finanza aveva rotto gli argini e la crisi, come un morbo contagioso, iniziava la falcidia di posti di lavoro e d’intere aziende. Forse per questo con determinazione ha iniziato a parlare di ridare centralità al manifatturiero, contro la prepotenza finanziaria. Ne ha fatto l’obiettivo della sua presidenza. Così, un anno dopo, a Torino, riunito assieme ai sindacati, a governo Monti ormai scaduto con il neo eletto Parlamento che s’impantanava alla ricerca di una maggioranza, siglava il “Patto”: “santa alleanza”, per Bonanni; “ agire insieme” Angeletti; “chiudiamo la stagione degli strappi”, Camusso.A valle di quella giornata, mentre con Napolitano rieletto presidente Enrico Letta cerca di cucire un governo che, a prescindere dal nome, abbia le spalle larghe, gli poniamo le domande sul come lui pensa si possa far ripartire l’Italia.

Folloni: Il Governo, non senza difficoltà, inizia a paga-re i debiti della Pubblica amministrazione. È una bocca-ta di ossigeno. Basterà ad arrestare le tante chiusure di piccole e medie imprese? Squinzi: Il decreto sul pagamento dei debiti della Pa varato all’inizio di aprile è un primo importante pas-so verso la soluzione di un problema che è diventato drammatico e grava in modo sempre più pressante sulle imprese, soffocandone la liquidità e comprimendone le possibilità di investimento e di sviluppo. Stando alle stime contenute nel Def, il provvedimento genererà un incremento del Pil dello 0,2% nel 2013 e dello 0,7% nel 2014. Ma perché queste stime vengano confermate è essenziale che le misure del decreto, che nell’iter di conversione potranno certo essere migliora-te, siano attuate tempestivamente da tutte le ammini-strazioni pubbliche: per questo Confindustria intende svolgere, insieme alle associazioni territoriali e settoriali del sistema, un’azione di stimolo e di monitoraggio. Se saranno rese operative, le misure del decreto potranno rappresentare un concreto sostegno alle imprese. I fattori di crisi restano ovviamente molteplici e questo intervento da solo non basta a fermare la chiusura delle aziende: non può che essere un tassello di un più ampio quadro di misure che devono servire ad arrestare la con-giuntura negativa e favorire la ripresa e la crescita del nostro sistema produttivo e, con esso, del Paese. Folloni: Pochi soldi alla ricerca e crisi del manifattu-riero hanno fatto sì che qualcuno parli della necessità di una nuova industrializzazione dell’Italia. È un obiettivo da porsi e da parte di chi? Squinzi: Storicamente questo paese è stato sempre molto distratto dall’industria e dai valori di conoscen-za e ricerca che contiene e interpreta. Obiettivo di tutti

Crediamo al pattocon i sindacati.Anche Confindustriasaprà rinnovarsi

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deve essere definire, rapidamente, interventi di politica industriale che abbiano nella ricerca, nell’innovazione, nella conoscenza le leve fondamentali. Che sappiano mobilitare soggetti pubblici e privati. Che definiscano uno scenario di medio periodo chiaro, con strumenti ef-ficaci, processi trasparenti e impegni rispettati. Dobbiamo farlo per valorizzare e rafforzare le tante ec-cellenze presenti nel Paese – imprese che, proprio pun-tando su R&I, riescono ad essere competitive sui mer-cati globali, operando spesso in situazioni di svantaggio rispetto alle loro concorrenti straniere – dobbiamo farlo per farne nascere di nuove e sviluppare quelle più pro-mettenti. Siamo tuttora un paese creativo e di grandi valori scien-tifici e tecnologici. Con urgenza e responsabilità vanno però realizzati interventi efficaci per favorire investi-menti industriali innovativi. Dobbiamo lavorare tutti per aumentare la massa critica, rafforzare le filiere tec-nologiche e favorire una vera collaborazione tra imprese e sistema della ricerca pubblico.Folloni: A fronte della crisi di alcuni settori, messi fuori mercato dalla concorrenza delle nuove economie emergenti, quali sono a suo avviso i campi sui quali l’im-prenditoria italiana potrebbe trovare nuova vitalità?Squinzi: Il sistema produttivo italiano non è rimasto immobile e ha reagito alle sfide dei nuovi concorrenti, che rappresentano anche nuovi mercati. Lo ha fatto spo-standosi verso settori e segmenti di mercato a maggiore valore aggiunto, a più alta intensità di ricerca, a maggio-ri economie di scala. Lo si vede dalla composizione delle esportazioni, dove i settori del tessile-abbigliamento, delle calzature e dell’arredamento hanno perso circa 8 punti di peso dal 1991 al 2007, mentre sono saliti mec-canica, metallurgia, chimica e altri. È una strada su cui non si può che proseguire.Folloni: In Italia, ma anche in Europa, è viva l’atten-zione su quel che la politica è chiamata a fare per con-trastare la crisi, che ben oltre gli errori e le fragilità del-la finanza è, ormai, di lavoro e produttiva. Politica del credito, project bond, grandi opere: è utile che lo Stato torni direttamente come attore nel sistema produttivo? In che forme?Squinzi: Non serve uno Stato produttore, ma uno Stato più semplice che dia risposte in tempi certi e che age-

voli gli investimenti delle imprese. Per questo, come ho detto fin dal giorno del mio insediamento, penso che la madre di tutte le riforme sia quella della Pubblica am-ministrazione. Serve, semmai, una politica industriale, intesa in senso molto ampio, cioè di promozione delle migliori condizioni del fare impresa nel nostro Paese.Folloni: Nota dolente sono le reti infrastrutturali. Qua-li le carenze più gravi? Quali le priorità?Squinzi: Abbiamo due grandi gap infrastrutturali da colmare, che messi insieme penalizzano la competitivi-tà del sistema-paese: il primo, è fisico e riguarda l’esi-genza di integrare il nostro territorio con l’Europa e col mondo, a livello di grandi reti e grandi nodi di scambio (TEN, porti e aeroporti) e a livello locale (il cosiddetto “ultimo miglio”); il secondo, è dato dall’eccesso di re-gole, nonostante i tanti interventi di semplificazione e accelerazione, e dalla scarsa concorrenza nei servizi di trasporto e logistica, che rende inefficiente il sistema di mobilità, come rilevano le classifiche delle istituzioni internazionali. La spesa pubblica è decisamente in calo, perché le ma-novre di bilancio e la spending review non stanno ri-allocando quella corrente verso gli investimenti; sulla spesa privata sono stati fatti molti interventi positivi in materia di project financing e di partenariati pubblico-privati, ma la misura più interessante di tutte, quella sul credito d’imposta, è praticamente inesistente, visto che può agire solo su investimenti superiori a 500 milioni di euro. La rimozione di questa soglia e l’attivazione dell’Autori-tà dei Trasporti potrebbero dare un contributo sostan-ziale a investimenti ed efficienza, così come lo sblocco del Patto di stabilità interno per le opere locali che po-trebbe dare una notevole spinta alla ripresa.Folloni: L’imprenditoria italiana ha ancora la voglia e lo slancio necessario per rimontare il gap creatosi con la crisi? Squinzi: Gli imprenditori che incontro sono arrabbiati per la mancanza di risposte di politica economica e di riforme strutturali. La rabbia mi pare una grande testi-monianza di vitalità, dimostrata anche dal fatto che or-mai da qualche anno il valore delle esportazioni italiane viaggia al ritmo di quelle tedesche: ciò sarebbe impossi-bile senza la voglia di fare e di innovare e di buttarsi in

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Come lo Statopagherà i suoi debitiCome farà lo Stato italiano a pagare i debiti accumulati nel corso degli anni verso le imprese che hanno eseguito lavori per suo conto? Quegli oltre 80 miliardi che sono stati conteggiati a fine 2011 dovrebbero essere saldati in di-versi modi, e non tutti con liquidi. Come già ha avuto modo di precisare l’ex mi-nistro alla Sviluppo Economico Corrado Passera in sede di annuncio di questo saldo dei debiti pregressi, il pagamento potrà avvenire o con il ricorso alla Cas-sa Depositi e Prestiti, o con l’emissio-ne di titoli di Stato ad hoc o, ancora, dalla compensazione tra crediti e debiti. “Abbiamo allargato la tipologia di cre-diti che potranno essere compensati”, ha dichiarato infatti l’ex Ministro Passe-ra nella situazione citata. Tutta questa operazione, secondo i ragionieri dello Stato, non dovrebbe comunque com-portare un ulteriore aggravio del rap-porto deficit/Pil. 

nuovi mercati.Folloni: È utopia pensare che, pur mantenendo la pro-pria autonomia, il privato, il pubblico, gli imprenditori, lo Stato, la Pubblica amministrazione, le organizzazioni di massa possano avere come riferimento un piano di nuovo sviluppo nazionale nel quale operare concorde-mente? Qualcosa di simile caratterizzò nel secondo do-poguerra la fase della Ricostruzione. Squinzi: Non è un’utopia e io ci credo molto. Basta guardare al Progetto Confindustria per l’Italia, in cui si dimostra non solo che si deve tornare a crescere, ma che si può crescere. È chiaro che questo Progetto, che tiene conto anche delle difficoltà di molte famiglie, avrà suc-cesso se sarà condiviso. Riguardo alla Pubblica ammini-strazione, come ho detto prima, più che essere chiamata a condividere il piano deve essere oggetto di una serie di interventi che la rendano più semplice, così da allegge-rire la vita di cittadini e imprese.Folloni: Secondo Lei chi dovrebbe essere protagonista della stesura di un simile Piano? Quali i soggetti da coin-volgere?Squinzi: Come Le ho detto, Confindustria ha predi-sposto un Progetto, in modo scientifico sia nel calcolo dell’entità degli interventi, sia nelle ricadute, molto po-sitive, che questi possono avere sull’economia. Io penso che su questo piano dobbiamo cominciare a ragionare e che sia un buon Progetto è dimostrato dal fatto che il primo dei punti in esso contenuti è diventato decreto legge con l’approvazione di tutti i partiti e di tutte le par-ti sociali. Mi riferisco proprio al pagamento dei debiti commerciali della Pubblica amministrazione, che sono solo una parte, ma che è una misura importante.Folloni: I partiti più di tutti, ma in generale le orga-nizzazioni di massa sono di fronte a cambiamenti dei meccanismi associativi che porteranno a grandi cambia-menti di struttura. È un problema che si è posta anche Confindustria?Squinzi: Assolutamente sì. Fin dal discorso del mio in-sediamento, a maggio dello scorso anno, ho detto chiaro che diventando il confronto competitivo sempre più im-pegnativo, diventano centrali i fattori di contesto ester-ni in cui l’impresa si trova a operare. Su questi fattori l’impresa non può intervenire direttamente; per farlo, deve poter contare su un forte sistema di rappresentan-

za. Per questo, anche la struttura di Confindustria, il suo meccanismo di funzionamento e le sue articolazioni sul territorio devono essere riviste, rese maggiormente ef-ficienti e adeguate ai tempi. Certo, dobbiamo farlo con equilibrio, senza sconvolgere un sistema che è necessa-rio e ha dimostrato di funzionare bene. Ma dobbiamo farlo. E se ne sta occupando una Commissione ad hoc, presieduta da un imprenditore, Carlo Pesenti, che sta consultando e coinvolgendo la base imprenditoriale. Del resto, siamo imprenditori: siamo abituati a moder-nizzare e innovare le nostre aziende, non vedo perché non dovremmo modernizzare e innovare la nostra stes-sa associazione.Folloni: Abbiamo un nuovo Presidente della Repubbli-ca e un nuovo Governo. Volendo sottoporre loro un’a-genda per l’Italia, qual è quella da lei proposta?Squinzi: Intanto, mi permetta di rinnovare la nostra grande soddisfazione per la scelta responsabile eser-citata dal Parlamento con la rielezione del Presidente Giorgio Napolitano. Avevo detto ben prima del suo rin-novo, che ci auguravamo un Presidente di alto profilo costituzionale come Giorgio Napolitano, che è stato una guida sicura e un punto di riferimento fondamentale in un periodo molto difficile della gestione del nostro Paese. Quindi sono stato felicissimo di questa scelta, e ringrazio il Presidente Napolitano per il suo gesto di for-tissima responsabilità. Come diceva Lei - finalmente, aggiungo io - abbiamo an-che un nuovo Governo. Enrico Letta è una persona se-ria e affidabile. Ed è giovane, novità che non guasta. Ha scelto accanto a sé una squadra di alto profilo, di qualità politica elevata, in grado di percepire e interpretare il momento drammatico che vive il Paese. Spero siano an-che capaci di adottare, da subito, i provvedimenti che servono, con al primo posto il lavoro e le imprese. Pri-orità sulle quali non mi pare ci siano dubbi. Il rischio, altrimenti, è di condannare l’Italia al declino. Abbiamo detto a Torino, al Convegno della Piccola Industria, che il tempo è scaduto. E non abbiamo cambiato idea, così come non abbiamo cambiato idea sulla nostra Agenda che è quella contenuta nel nostro Progetto per l’Italia. Va solo messa in atto.

Gian Guido Folloni

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ECONOMIA E FINANZA

Le priorità dell’economia italiana sono chiare e

non eludibili:crescita e occupazione.

D’altra parte è anche empiricamente provato che la

semplice e più facile politica di rigore e di austerità provoca

un avvitamento del sistema economico ed industriale

abbattendo produzioni, posti di lavoro, livelli di vita, consumi

e disponibilità di bilancio. alla fine ci si ritrova con un debito

pubblico accresciuto e in un processo recessivo che porta alla depressione economica.

UNA bANCA PERLO SVILUPPO

E bOND PERLA CRESCITA

Paolo Raimondi

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La sfida vera è nella celerità delle scelte per un processo di sviluppo sostenuto nel tempo. Se per le banche si sono mobilitate risorse pub-bliche perché ritenute troppo grandi per essere lasciate fallire, oggi occorre capire che l’economia reale è troppo importante per la popolazione per essere abbandonata a sé stessa. Essa deve venire prima della finanza perché è la struttura vitale del-la società.Da decenni abbiamo perso l’idea giusta di svi-luppo, che non è semplicemente incremento di produzione di beni ma è anche e soprattutto in-novazione, modernizzazione, ricerca, cultura ed infrastrutture efficienti. Tutti settori che richiedo-no mano d’opera qualificata. Abbiamo liquidato le istituzioni atte a promuovere lo sviluppo, come lo erano stati, con tutte le loro manchevolezze, la Cassa per il Mezzogiorno e l’IRI.Per sostenere i nuovi progetti serve una “Banca di sviluppo” con capitali sufficienti per emettere le necessarie linee di credito di lungo periodo e a tassi di interesse contenuti. Per accelerare i tempi si potrebbe affidare questa mission alla Cassa De-positi e Prestiti. Sarebbe necessario prendere alcune significative proprietà dello Stato, il cui valore totale è varia-mente stimato in almeno 400 miliardi di euro, ed eventualmente una parte delle riserve auree, valu-tate circa 100 miliardi, non per venderle, ma per metterle a capitale di base al fine di emettere “ob-bligazioni per lo sviluppo”. Se tale decisione fosse adottata con la dovuta tra-sparenza, non sarebbe difficile coinvolgere il ca-pitale privato, delle assicurazioni o dei fondi pen-sione, e anche il risparmio dei cittadini. Sarebbe anche l’unico modo per superare gli ostacoli posti dai parametri di Maastricht e dal “fiscal compact” che non permettono sfori di bilancio o aumenti del debito pubblico.

La Kreditanstalt fuer Wiederaufbau, la banca per la ricostruzione tedesca, potrebbe essere un utile modello. La KfW è nei decenni diventata l’ente creditizio pubblico-privato più importante per la realizzazione delle infrastrutture interne, per la promozione dei settori R&S e delle nuove tecno-logie e per sostenere le industrie, in particolare le Pmi, sui mercati internazionali. Essa affianca sempre le imprese tedesche ovunque nel mondo con la sua capacità di rappresentare il “sistema paese”. Non a caso la Germania nel 2012 ha avuto una crescita del Pil del 2,4%, esportazio-ni, soprattutto di alta tecnologia, pari a quasi 1.100 miliardi di euro, con un surplus commerciale di circa 190 miliardi. Anche per noi questa è la strada da seguire. Infatti l’Italia nel 2012 ha sorprendentemente migliorato i suoi livelli di esportazione, perdendo però pesan-temente sul mercato interno e subendo una ridu-zione del 2,4% del Pil.Recentemente anche il presidente Obama ha dato un esempio di “good practice” nel rilancio dell’e-conomia creando una Banca Nazionale per le In-frastrutture con un piano finanziario di emergenza di 50 miliardi di dollari per ammodernare i settori dei trasporti. Sull’intero territorio statunitense ci sarebbero circa 70.000 ponti che richiedono ur-genti interventi di riparazione.Anche in Italia, la mancanza di un adeguato si-stema di protezione ambientale e di controllo del territorio ha più volte causato, a seguito di inonda-zioni, danni enormi nelle campagne e nelle città. Infrastrutture moderne, ricerca, nuove tecnolo-gie, partecipazione a grandi progetti continentali, come nell’Eurasia, presenza del “sistema paese” sui mercati emergenti, sono le risposte alla pres-sante domanda di lavoro e di stabilità.

Paolo Raimondi

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CULTURA

“L’età avanzata è una ricchezza e non una

disgrazia”.

E’ il 2 febbraio 2008,festa della presentazione

di Gesù al tempio,quando l’allora cardinale

Jorge Mario Bergoglio, a Buenos Aires,tiene una riflessione sulla terza età.

Papa Bergoglio e gli anziani

“LA SAGGIATERZA ETà”

Aldo Maria Valli

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“Oggi – dice il cardinale Bergoglio – l’immagine più diffusa è quella di una vecchiaia decrepita e misera. I mezzi di comu-nicazione non sprecano una pagina o un’immagine a favore di una vecchiaia vissuta in pienezza e carica di significato. Al contrario, ci si burla della vecchiaia, si disprezza il fatto di essere vecchi, si rende un culto all’eterna giovinezza”.La riflessione del futuro papa, la più approfondita che abbia mai dedicato all’argomento, ha come punto di riferimento le legislazioni in vigore in America Latina, ma il suo valore va al di là dei confini geografici.In generale, nota Bergoglio, le leggi che si occupano degli anziani sono, nella maggioranza dei casi, una buona dichia-razione di principi; nella pratica, però, “ciò che si può vede-re è l’esclusione sistematica degli anziani dall’insieme della vita civile”. E qui il cardinale formula un’accusa precisa: “Gli argomenti neoliberali di tale esclusione si basano sul carico economico che comporta una popolazione più numerosa con una speranza di vita più ampia e l’aumento delle spese e delle applicazioni di nuove terapie nella cura della salute dei no-stri anziani. Il sistema di erogazione delle pensioni, in molti nostri paesi, è veramente ingiusto, considerando i contributi ricevuti e le pensioni percepite dalla maggior parte dei nostri anziani”.Purtroppo, spiega il cardinale, la società non si fa carico se non in modo episodico di questa situazione di esclusione so-ciale. I ricoveri e gli enti geriatrici crescono di numerosi, ma a questo aumento non corrisponde un innalzamento della qualità: “L’ammucchiamento e l’abbandono, come pure la negligenza di cure per la salute, fanno di questi luoghi dei veri depositi di vecchi. Anche se in numerosi paesi l’eutana-sia non è autorizzata, con tali atteggiamenti di esclusione e di abbandono si realizza in modo non palese”.Di fronte a questa situazione, la Chiesa è chiamata a essere

“la voce dei senza voce”. Gli anziani sono esposti sempre di più al rischio della povertà e dell’emarginazione. Nel mon-do ispirato alla cultura di stampo liberista chi non produce è uno scarto. Oggi dunque gli anziani sono non solo esclusi: sono anche “di troppo”. La Chiesa mostri dunque che “i no-stri anziani sono degni di rispetto e non di pietà, che siamo in debito verso di loro, e che meritano la nostra venerazione e non solo la nostra considerazione”.Occorre un lavoro educativo nei confronti di tutti. Sebbene i nonni sempre più spesso siano utilizzati per svolgere fun-zioni alle quali i genitori, per diversi motivi, non possono ri-spondere adeguatamente, manca una vera e propria cultura del rispetto verso gli anziani. Essi vengono utilizzati ma non rispettati. Occorre allora mostrare che “la testimonianza e la saggezza dei nostri anziani diventano la più grande ricchezza dei nostri popoli: sono depositari della memoria collettiva e sanno trasmettere questa memoria alle giovani generazioni”. E’ vero, gli anziani sono spesso ripetitivi, eppure, se ci pen-siamo, quando dobbiamo fare riferimento a un sapere con-diviso, ci viene spontaneo usare espressioni del tipo “come diceva mia nonna…”. Se non ascoltiamo i nostri avi, se non lasciamo affiorare la saggezza di tutta una vita, noi “ipote-chiamo il futuro, perché una società sana non si può costru-ire che con tre pilastri: la memoria dei nostri primogeniti, la forza dei giovani e l’innocenza dei bambini”.E quanto papa Francesco sia debitore agli anziani lo ha fat-to capire lui stesso nella Domenica delle Palme, il 24 mar-zo, quando, a braccio, ha inserito questa riflessione nella sua omelia: “La mia nonna diceva sempre a noi bambini che il sudario non ha tasche”. E’ così che un’anziana piemontese vissuta tanti anni fa è entrata, con la sua saggezza, nel magi-stero del papa.

Aldo Maria Valli

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Questi celebri versi di Dante incarnano la volontà e la necessità dell’uomo di sapere, di imparare e di evolversi. Da anni si susseguono i dibattiti sulle nuove tecnologie ed il loro impatto nella quoti-dianità e, soprattutto, sulle modifiche che queste hanno portato al nostro stile di vita. Sicuramente il campo delle comunicazioni è stato uno di quelli che ha subito una maggiore evoluzio-ne negli ultimi anni. Basti pensare solo a quando i primi telefoni cellulari cominciavano ad affacciar-si sul mercato, per arrivare alla madre di tutte le invenzioni del secolo precedente: internet (la rete internet moderna, come la conosciamo noi nacque nel 1991, ma la connessione e trasmissione di dati fra computer è un’invenzione risalente ai primi anni ’60) che ha cambiato per sempre le nostre vite. Grazie ai computer e alla possibilità di dia-logare fra loro abbiamo abbattuto le distanze, le differenze culturali e il tempo; oggi siamo in grado di ricevere, inviare dati e comunicare con ogni an-golo del mondo nella frazione di un secondo. Na-turalmente, questa trasformazione ha comportato radicali cambiamenti in tutto, comprese le relazio-ni sociali.

Tali considerazioni introducono il tema in que-stione, cioè l’impatto di questa rivoluzione sulle persone che non hanno avuto accesso a internet durante la loro età scolare o lavorativa. Infatti, chi ha meno di sessant’anni ed è attualmente inserito in un ambito lavorativo è costretto, dall’evolversi di qualsivoglia attività, a conoscere ed interagire con il mondo dei computer e di internet, per non parlare delle nuove generazioni che sono cresciute con questo fenomeno e, difficilmente, potrebbero adeguarsi ad un mondo “antico”.Diciamo subito che in Italia gli sforzi finora ef-fettuati per coinvolgere e incentivare l’uso delle nuove tecnologie tra le persone della terza età fi-nora non hanno portato a risultati soddisfacenti. Il numero di utilizzatori di computer con età su-periore ai 65 anni è cresciuto nell’ultimo periodo, ma le ricerche effettuate da vari enti ci danno un quadro della situazione sconfortante: solo il 17% degli intervistati (con una leggera prevalenza degli uomini sulle donne) utilizza il computer, e il 7% è provvisto di abbonamento ad internet. Percentua-li che si riducono ulteriormente in caso di persone anziane che vivono da sole, per le quali l’accesso

Anziani e nuove tecnologie,OPPORTUNITà O EMARGINAZIONE?

“Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e

canoscenza”(Dante, Divina Commedia,

IF, XXVI canto).

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Nuove norme per il CUDDa quest’anno l’INPS non invierà più a casa delle persone il modello CUD, necessario per la compila-zione della dichiarazione dei redditi. Il CUD è consul-tabile on-line, sul sito dell’INPS previa registrazione e ricevimento di un codice pin. Chi non ha accesso ad un computer o una connessione internet, può ancora avere il proprio CUD in formato cartaceo con le seguenti modalità: si può andare in un’agenzia INPS e richiederlo di persona allo sportello dedicato al rilascio del CUD, oppure se c’è una postazione self-service si può fare tutto da sè ma bisogna avere il PIN dell’INPS. Ci si può rivolgere ad un CAF (Cen-tro di Assistenza Fiscale) e, ancora, si può andare in posta (è un servizio a pagamento). Inoltre, si può richiedere di ricevere gratuitamen-te a casa propria il CUD, telefonando al seguente numero verde: 800 434320. E’ un numero dedica-to esclusivamente a questo servizio. Risponde una voce preregistrata che richiede di indicare verbal-mente data di nascita, nome e cognome del pensio-nato interessato a farsi spedire a casa il CUD.

alle nuove tecnologie è praticamente precluso. Lo strumento con la maggiore diffusione rimane il televisore, dal quale gli over 65 reperiscono in-formazioni e notizie affiancato, negli ultimi anni, dal telefono cellulare, posseduto dal 58% della popolazione anziana, comunque molto al di sotto della media nazionale che raggiunge quasi l’89%. Questa situazione comporta un grande disagio de-gli anziani che non possono avere accesso a nuo-ve forme di aggregazione, quali i social network, oppure a banche dati relative a salute, servizi as-sistenziali e sociali. Un’indagine svolta negli Stati Uniti ha dimostrato che l’accesso alla rete internet contribuisce alla socializzazione, crea occasioni di condivisione, migliora l’umore e contribuisce sen-sibilmente alla riduzione di sintomatologie a ca-rattere depressivo. In molti paesi europei è attivo, già da tempo, il progetto “smart city”, letteralmen-te “città intelligente”, cioè città in grado di agire attivamente per migliorare la qualità della vita dei propri cittadini di ogni età. Le città intelligen-ti hanno l’obiettivo di soddisfare le esigenze degli abitanti, delle istituzioni e delle aziende garanten-do un migliore accesso ai servizi grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie, in particolare nei campi delle comunicazioni, della mobilità, dell’ambiente e dell’efficienza energetica. Una popolazione che non abbia accesso ai nuovi sistemi di comunica-zione sarebbe automaticamente esclusa da queste agevolazioni, con conseguente inefficacia degli sforzi e delle risorse impiegati dalla pubblica am-ministrazione.L’Italia paga, in questa fase, una peggiore scola-rizzazione rispetto agli altri paesi europei, con dati che evidenziano come, di fronte ad una media di laureati in Europa del 25%, il nostro paese si atte-sta intorno al 14%, percentuale che si riduce ulte-

riormente se analizziamo la differenza fra nord e sud. Le cause principali sono il ritardo della scola-rizzazione di massa, partita solo 60 anni fa, e i po-chi anni di scuola obbligatoria che hanno portato a fenomeni di analfabetismo diffuso con successi-va difficoltà ad interagire con le nuove tecnologie che richiedono un livello di istruzione superiore. Il quadro della situazione migliorerà sensibilmente nel prossimo periodo, quando la fascia della ter-za età sarà raggiunta dagli individui che hanno già fatto uso di computer ed internet, oltre agli sforzi dei programmatori che vedono, nella terza età, una risorsa del futuro tanto da aver svilup-pato la cosiddetta gerontotecnologia, vale a dire un sistema nel quale gerontologia e tecnologia si combinano, con l’obiettivo di fornire un ambiente di vita ottimale alle persone della terza età attra-verso nuovi software che offriranno alle vecchie generazioni opportunità di stimolo, condivisione e partecipazione, consentendo una sempre mag-giore autonomia nello svolgimento delle attività quotidiane.

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MAPPAMONDO

Nei paesi industrializzati le malattie cardiovasco-lari rappresentano la prima causa di morte. Que-ste malattie, che colpiscono cuore e vasi sanguigni, sono causate per lo più dalla deposizione progres-siva del colesterolo sulle pareti delle arterie, con la formazione delle cosiddette placche arterosclero-tiche. Le arterie perdono elasticità, si induriscono e si ostruiscono. Il sangue non riesce più ad arri-vare a cuore, reni e cervello. Le conseguenze? An-ginae pectoris, infarti ed ictus ischemici.Vediamo di conoscere meglio queste tre patologie.

L’ANGINA PECTORIS è un dolore che nasce nel torace, per questo viene comunemente chiamato“dolore retrosternale”. E’ provocato da una insuf-ficienza ossigenazione del muscolo cardiaco per una momentanea diminuzione degli afflussi del sangue nelle arterie coronarie. Può essere presen-tein casi di insufficienza cardiaca, aritmia con ele-vata frequenza cardiaca, stenosi aortica, embolia polmonare.La classificazione clinico-prognostica dell’angina è soprattutto di due tipi:L’ANGINA PECTORIS STABILE, quando insorge sotto sforzo e per affaticamento.L’ANGINA PECTORIS INSTABILE, quando si manifesta a riposo e, quindi, imprevedibile.Il dolore insorge per l’accumulo di metaboliti tos-sici nel muscolo cardiaco. E’ caratterizzato da un profondo senso di oppressione e dura sui 15 minu-

ti circa. Spesso si propaga al braccio sinistro con senso di soffocamento. E’ comunque sempre un campanello di allarme per un imminente attacco al cuore, ossia un infarto. Immediati esami di la-boratorio e strumentali come l’impiego dell’holter per 24 ore e un elettrocardiogramma (il cosiddetto ECG) sotto sforzo possono dare un quadro com-pleto, evidenziando le arterie epicardiache. La dia-gnosi serve anche per escludere cause che hanno dolori simili a quello dell’angina pectoris, come esofagiti, ulcere peptiche, coliche biliari, pleuriti o dolori reumatici. La scelta del trattamento è sta-bilita in relazione al tipo di angina diagnosticato. Importanza primaria, oltre che profilattica, è data dalla correzione di rischi cardiovascolari (come il fumo, mangiare smodatamente, poca attività mo-toria, etc.). Evitare anche l’esposizione al freddo, stress emotivi, bevande alcoliche, farmaci vasoco-strittori e assunzione di droghe. Affidarsi infine periodicamente ad un fidato medico cardiologo.

L’INFARTO è una sindrome acuta provocata da un’insufficiente irrorazione del sangue ad un orga-no, per un’occlusione improvvisa delle arterie. La causa è l’aterosclerosi. Quando incontranoulcerazioni le placche ateroclerotiche possono provocare un’occlusione arteriosa acuta (l’infarto cardiaco e l’infarto celebrale). L’infarto cerebrale è responsabile all’80% degli ictus.La regione colpita dall’infarto diventa necrotica. Se la persona colpita sopravvive alla fase acuta

AL CUORE NON SI COMANDA.Cosa succede quando il cuore va in affanno?

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dell’infarto l’organo interessato perde definitiva-mente una parte della sua funzionalità.La classificazione clinico-prognostica dell’infarto è soprattutto di quattro tipi:L’INFARTO CEREBRALEL’INFARTO DEL MIOCARDIO (il più frequente)L’INFARTO INTESTINALEL’EMBOLIA POLMONARE.

L’ICTUS è un evento vascolare cerebrale patolo-gico, con conseguente perturbazione acuta della funzionalità encefalica, focale o generalizzata. Vie-ne chiamato anche apoplessia o più appropriata-mente attacco apoplettico o colpo apoplettico. E’ un’emergenza medica da trattare in un’apposita struttura ospedaliera, dato il rischio elevato di di-sabilità o di morte.La classificazione clinico-prognostica dell’ictus è solitamente di tre tipi:L’ICTUS ISCHEMICO (occlusione di un vaso ossia l’ischemia, a causa di una trombosi, di un’embolia o di una grave riduzione della pressione per fusio-ne del circolo ematico);L’ICTUS EMORRAGICO (è dovuto dalla presenza di un’emorragia intercerebrale o intraventricolare non traumatica)L’ICTUS ISCHEMICO TRANSITORIO O TIA (è un’ischemia di durata molto breve, ossia pochi mi-nuti).Gli studi epidemiologici hanno individuato molte-plici fattori che aumentano il rischio di ictus. Alcu-ni, come l’età, non possono essere modificati, ma sono indicatori per definire classi di rischio. Altri fattori possono essere modificati senza l’interven-to della farmacologia. Il loro riconoscimento può essere considerato la base di una valida prevenzio-ne sia primaria che secondaria come:- ipertensione arteriosa- cardiopatie

- alcune forme di diabete come il mellito- iperomocisteinemia- ipertrofia ventricolare sinistra- stenosi carotidea- alcune cardiopatie- dislipidemie- placche dell’arco aortico- uso di contraccettivi orali- sindrome metabolica ed obesità- emicranie- fattori dell’emostasi

La prevenzione primaria per tutti, ma specialmen-te per le persone a rischio, si basa su un’opportuna informazione sull’ictus e su un’educazione a stili di vita adeguati. E’ certo che le modifiche di alcu-ni stili di vita possono produrre una diminuzione dell’incidenza e della mortalità dell’ictus.Sia per prevenire sia per ridurre l’insorgenza dell’angina pectoris, dell’infarto o dell’ictus, ab-biamo indicato per il lettore di Contromano, nella tabella a fianco, 14 semplici regole di vita. Facili da fare e da mantenere.Vale la pena ricordare che l’incidenza di queste tre patologie, caratteristiche dei paesi industrializzati, aumenta progressivamente con l’età raggiungendo il valore massimo negli ultraottantenni. Si calcola che l’evoluzione demografica, caratterizzata da un sensibile invecchiamento, porterà il nostro paese ad un aumento dei casi di angina, ictus e infarto nel prossimo futuro. E mai dimenticare due cose:-un autocontrollo almeno settimanale della pro-pria pressione (in una qualsiasi farmacia o anche in casa)- un controllo periodico fatto con un fidato medico cardiologo.

Prof. Ferdinando Origliani medico cardiologo

AL CUORE NON SI COMANDA.Cosa succede quando il cuore va in affanno? Proviamo ad imporci alcune norme, soprattutto

alimentari, per prevenire o almeno ridurre le malattie cardiovascolari.

Tenere sotto controllo la pressione arteriosa.

Fare delle camminate di 20 – 30 minuti al giorno a passo veloce.

Non fumare.

Variare i cibi preferendo i prodotti freschi.

Privilegiare alimenti di origine vegetale come pasta, riso, polenta e patate.

Consumare verdure e frutta fresca di stagione.

Mangiare pesce sia fresco sia surgelato, soprattutto di mare.

Moderare il consumo di carne rossa favorendo la carne bianca, come pollo e tacchino.

Ridurre al minimo l’impiego di grassi, sostituendoli con olio extravergine di oliva e olio

di semi di arachidi.

Scegliere latte scremato o parzialmente scremato.

Usare poco sale da cucina, sostituendolo il più possibile con erbe aromatiche.

Limitare i dolci.

Limitare il consumo di alcolici ad un bicchiere di buon vino o a una birra poco alcolica.

Eliminare durante il pasto i superalcolici, a causa dell’alto contenuto calorico.

Le 14 regole d’oro per un cuore sano

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Il D20 in contatto con il G20Nel novembre scorso, durante una specifica ses-sione all’Università Bocconi di Milano, un team di responsabili politici, esperti scientifici ed eco-nomici e amministratori di diversi Paesi (Russia, Italia, Germania, Kazakistan) hanno formulato l’i-dea del “D20” (Gruppo di Discussione a 20), una nuova piattaforma integrativa intellettuale con lo scopo di ampliare l’agenda del G20. Gli intenti principali di questa piattaforma sono quelli di in-tegrare i materiali preparati dai gruppi di esperti del G20 con alcune idee di nuova formulazione su come superare la crisi finanziaria mondiale.

Questo gruppo ha elaborato il progetto della “Cin-tura trans-eurasiatica del Razvitie” (Sviluppo) (CTER) come il modo per uscire dalle solite banali contromisure, quali l’austerità di bilancio e la tra-sparenza finanziaria, per creare il credito produt-tivo per lo sviluppo sulla base di nuovi strumenti finanziari. Nel contesto di crisi industriale ed eco-nomica dell’Unione Europea (anche in Germa-nia), nonché dell’aumento della disoccupazione, le linee guida principali di questo progetto sono estremamente significative.

CRESCI EURASIA, CRESCI

La visione del progettoL’idea principale del CTER è quella di gettare le basi per una nuova civiltà e produttività industria-le sotto forma di “cluster” tecnologici e di insedia-menti sui territori di Russia e Kazakistan, congiun-tamente con l’Unione Europea e i Paesi dell’Asia orientale. Questa nuova produttività industriale di “sfondamento” potrebbe essere molto interessan-te per l’Unione Europea e la Cina come un modo per elaborare progetti comuni di sviluppo delle infrastrutture multimodali, integrando ferrovie ad alta velocità, reti elettriche, corsi d’acqua na-vigabili e dighe, sistemi di trasporto del petrolio e del gas, impianti di telecomunicazione satellitari. Tutti questi progetti di infrastrutture all’avanguar-dia possono essere realizzati solo attraverso l’ap-plicazione di nuovi strumenti finanziari, come ad esempio investimenti a lungo termine sostenuti da project bond.Nel corso dell’elaborazione e dell’attuazione di questo progetto è molto importante superare il dominante paradigma neoliberale monetarista e introdurre un nuovo linguaggio per procedere alle sfide future. Noi pensiamo che questa nuova semiotica concettuale potrebbe essere la lingua di Razvitie (Sviluppo), ed è per questo che stiamo

verso il g 20 in russia,l’idea di un nuovo Polo

di sviluppo per generarericchezza sociale

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usando la parola russa “Razvitie” scritta con lette-re latine. Vorremmo impostare questo concetto di sviluppo in opposizione all’idea molto meccanici-stica di crescita lineare. Pertanto, stiamo sottoli-neando la transizione a una radicale nuova forma-zione tecno-industriale e sociale-umanitaria, per la creazione di nuove tecnologie (laser, energeti-che, informatiche, biotecnologiche, produzione di nuovi materiali). Considerando peraltro che il concetto di “crescita” è di solito collegato alla re-plica di tecnologie già esistenti.

Il CTER non semplice canale per il trasporto di merci

Naturalmente è molto importante che il CTER non sia concepito come una semplice conduttura, simi-le agli oleodotti e ai gasdotti, per beni di consumo a basso costo dalla Cina all’Europa. Questa infra-struttura multimodale deve essere costruita sulla base di nuove soluzioni tecnologiche avanzate e per favorire nuovi insediamenti in vaste regioni ancora sotto popolate. Nel progettare e modellare la Cintura trans-eurasiatica del Razvitie, il compito principale non deve limitarsi alla riduzione del de-ficit e delle carenze esistenti nei sistemi tecnologici di produzione russa con soluzioni di infrastruttu-re o linee di montaggio chiavi in mano. Abbiamo già esempi di grande successo per simili collabo-razioni tra la Germania e la Cina. Ma la Russia e

il Kazakistan sono interessati anche alla creazione congiunta veramente nuova di infrastrutture per l’uso comune e di soluzioni tecnologiche che si av-valgano del potenziale rivoluzionario di scoperte scientifiche e di ingegneria. Tali capacità potreb-bero essere raggiunte nel caso siano organizzate nei territori della Russia e del Kazakistan centri a tecnologie avanzate di formazione tecno-indu-striale e sociale-umanitario che potrebbero essere utilizzate come moduli e per sistemi infrastruttu-rali multimodali.Non sarebbe fuori luogo considerare il CTER come infrastruttura multimodale che preveda la creazione di un nuovo polo per generare ricchezza sociale su vasta scala e per costruire nuove città tecnologiche e insediamenti come ad esempio è stata costruita la nuova capitale del Kazakhstan, la bella Astana. Con questo progetto vorremmo presentare il nuovo ciclo di industrializzazione che crea una nuova fonte di risorse in Siberia orienta-le, organizzando nuovi insediamenti in Siberia e in territori dell’Estremo Oriente. La re-industrializ-zazione e la nuova industrializzazione sono colle-gate con la costruzione di nuovi rami di industrie: petrol-chimica, carbon-chimica, gas-chimica sulla base di nuovi catalizzatori, produzione di laser ad altissima potenza, industria aerospaziale, biotec-nologie, ecc. Nella progettazione, la “Cintura del-lo sviluppo” è considerata come una nuova sede e fucina utile a generare ricchezza nella società, offrendo prodotti e servizi e creando nuovi merca-ti. Il volume di questa ricchezza sociale potrebbe essere paragonabile con la più grande economia mondiale. Da questo punto di vista ci proponiamo di considerare il CTER come costituito da nuove industrie che vengono lanciate assieme ai colleghi italiani ed europei sulla base di infrastrutture di trasporto, reti energetiche, infrastrutture da risor-se idriche, ma anche di istituzioni educative e di medicina.Per formare il CTER è necessario fare riferimento

alle multi-infrastrutture come fattore principale per lo sviluppo del territorio: trasporti, energia, miglioramenti e telecomunicazioni. Al contrario, oggi in Russia lo standard delle attività azienda-li è di solito un’infrastruttura da mono-industria, mentre tutti i progetti di sviluppo sono basati sul-la interconnessione delle diverse infrastrutture. Mantenere l’“ideologia monetarista neoliberale” significa bloccare l’inserimento di alcuni territori negli spazi sociali russi. Le infrastrutture dovreb-bero diventare le principali arterie per il capita-le sociale attraverso lo sviluppo di insediamenti territoriali. Al contrario, secondo il paradigma monetarista, tutte le industrie complementari e gli insediamenti intorno all’infrastruttura di base sono considerati come delle attività e delle spese accessorie che dovrebbero essere ridotte.

Possibili geo-scenari per la Cintura trans-eurasiatica del Razvitie

Ci possono essere diverse aree per test pilota volti alla realizzazione di geo-scenari del CTER.• La bonifica congiunta di alcuni territori insieme ai rappresentanti dell’Unione Europea, della Rus-sia e del Kazakistan per testare i principi di forma-zione di multi-infrastrutture (per esempio, nella Yakutia del Sud);• L’identificazione di elementi simmetrici su terri-tori diversi (Russia e Kazakistan) che sono da col-legare, per esempio, con una nuova infrastruttura ad altissima velocità (treni a levitazione magneti-ca) – Astana - Almaty; Novosibirsk - Krasnoyarsk;• L’organizzazione della nuova “zona Razvitie” per l’industria, con lo sviluppo delle infrastrutture so-cio-culturali in forma di giovani cittadelle tecnolo-giche al confine tra Russia e Cina;• La creazione di nuove prospettive tecnologiche con insediamenti lungo la linea principale Baikal-Amur, a clima freddo, per testare i sistemi artifi-ciali di supporto vitale, necessari per la bonifica di

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L’Eurasia? In ferrovia.territori sul fondo del mare e nello spazio - come ulteriori fasi per lo sviluppo umano e per la nuova rivoluzione tecnologica;• La realizzazione di un trasporto e di un “circolo dell’energia” intorno al mare del Giappone, attra-verso multi-infrastrutture nei territori di Hokkai-do, Sakhalin, Estremo Oriente russo, Corea del Nord e del Sud per formare una zona di sviluppo congiunto.Una rete universitaria internazionale del Razvitie: preparazione di team ma-nageriali e imprenditoriali multidiscipli-nari per i nuovi progettiLo sviluppo territoriale e il complessivo proces-so di introduzione della nuova formazione socio-culturale possono essere realizzati solo sulla base di una nuova istituzione, cioè una nuova rete in-ternazionale universitaria per lo sviluppo. La sua missione principale sarà quella di preparare squa-dre e gruppi professionali per la costruzione del “mondo del Razvitie”.Al fine di formare un nuovo paradigma politico, manageriale e antropologico, è necessario elabo-rare non solo i nuovi strumenti per il lavoro in-tellettuale, ma anche preparare le squadre di diri-genti per flussi di progetto intensivi. Questi team multidisciplinari gestionali dovrebbero essere in grado di trovare i punti deboli degli attuali metodi di realizzazione dei progetti di infrastrutture e di elaborare la creazione di nuovi sistemi di gestione operativa. Il sistema operativo richiesto deve esse-re coerente con due criteri principali: 1) scala tem-porale (realizzazione di progetti a lungo termine, non con una visione a breve termine), 2) vasta or-ganizzazione territoriale (progetti infrastrutturali su vasta scala che dovrebbero essere realizzati su territori che abbracciano l’Europa, l’Asia e la Rus-sia).

Mikhail Baydakov e Yury Gromiko

L’Eurasia ferroviaria inizierà a Lisbona e arriverà nella lontana Vladivostok? Basta congiungere il Corridoio 5 dell’Unione europea con la rete delle Ferrovie russe e il gioco è fatto. Il Corridoio 5, arteria a rete multimodale, appartiene a uno dei grandi assi ferroviari che l’Unione Europea è impegnata a realizzare. Collegherà Lisbona a Kiev. All’Italia è assegnato un ruolo strategico rispetto al processo d’integrazione verso quei Paesi che dal 1° maggio 2004 sono entrati a far parte dell’Unione. E’ uno dei progetti prioritari, fino al 2020, indicato dall’ap-posito gruppo di esperti della Commissione europea. La tratta comprende la TAV della Val di Susa. L’alter-nativa? Saltare l’Italia e realizzare il collegamento a nord delle Alpi.A Kiev si è nel sistema ferroviario russo. Facile rag-giungere Mosca, da dove parte la Transiberiana, storica e mitica linea ferroviaria che in quasi 10 mila chilometri porta a Vladivostok, la grande base navale

orientale.C’è di più. Il presidente delle Ferrovie russe Vladimir Jakunin ha allo studio un collegamento con l’Alaska, grazie ad un tunnel sotto lo Stretto di Bering. “Il pro-getto è in fase di sviluppo: il tunnel si può fare in 10 – 15 anni “, ha dichiarato Jakunin. La decisione do-vrebbe essere presa entro il 2017.  Il tunnel sotto  lo Stretto di Bering collegherebbe la ferrovia russa con quella statunitense.Una simile infrastruttura si lega al progetto di creare una “comunità economica armoniosa da Lisbona a Vladivostok”. Putin lo va dicendo da qualche anno. L’idea piace anche ai suoi oppositori. In sostanza: le-gami più stretti tra Europa e Federazione Russa; una zona di libero scambio e, in prospettiva, un mercato continentale comune. In attesa di trasformare l’Unione Europea in Unione Eurasiatica.

ggf

LISBONA

MADRIDLIONE

TORINO

KIEV

MOSCAVLADIVOSTOK

Ferrovia Transiberiana

BARCELLONA

CORRIDOIO V Lisbona Kiev

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La vita si è prolungata, ed è un bene.Ora bisogna capire cosa significa invecchiare. Come dice Um-berto Veronesi non basta aggiungere altri anni alla vita, biso-gna fare in modo che siano interessanti.Da giovani si spera in un’epoca di slanci ideali e in una vi-sione positiva del futuro, da vecchi si ricorda. La speranza dipende dal temperamento, si alternano momenti di euforia e di angoscia, e progressivamente le attese si trasformano in ricordi, che, a loro volta, diventano memoria, che è la risorsa dei vecchi, un tesoro prezioso costruito con pazienza e sacri-fici.Il processo che definiamo longevità non è solo un problema di età, ma sicuramente di testa, di idee, di esperienza, di ma-turità che rappresentano anche una risorsa immateriale della società, utile per il suo sviluppo.Come sappiamo il progredire dell’età, nel diventare una testi-monianza integrale, comporta progressivamente l’espander-si delle fragilità, delle polipatologie, delle invalidità connesse all’invecchiamento del corpo e della mente.L’analisi dell’umanesimo insegna come le pluralità delle vi-sioni e delle relazioni comporti anche storicamente un ten-denziale scontro generazionale, come prosecuzione della contrapposizione fra padri e figli dentro le famiglie, luogo dove la solidarietà comprime e forse annulla la cultura indi-vidualista.L’età e l’esperienza degli anziani si traducono in un aiuto concreto, spesso anche materiale, per i giovani, che comporta dialogo e confronto, come si è sperimentato nel Festival delle

DIVERSAMENTEANZIANI

generazioni a Firenze nell’ottobre 2012.Ebbene la longevità come patrimonio fa emergere un nuovo profilo dell’anziano, non più come sequenza esistenziale di lavoro, famiglia, quiescenza, ma piuttosto come un soggetto che non può essere considerato solo come fruitore passivo di iniziative, né solo come consumatore alle prese con la deri-va del potere di acquisto, ma che si percepisce come valore, come risorsa, come opportunità.Se l’anziano viene emarginato e messo nelle condizioni di chiudersi in se stesso, di sentirsi inutile, vive in un altrove che spegne la capacità ed il sapere, riduce la memoria ad un fatto privato ed individuale, si astrae dalla mutazione socia-le, sterilizza la sua avventura nel tempo e si immerge in una desolata solitudine.Noi coltiviamo l’immagine di un diversamente anziano che esprime le sue esigenze, i suoi bisogni crescenti, le sue intu-izioni, le sue capacità declinanti, ma che si mette in gioco in rapporto alle sue opportunità, nel contesto di un invecchia-mento inteso come socialmente utile.Per la Fnp-Cisl la riflessione sulle nuove tendenze e sui cam-biamenti in atto nella genetica, nella demografia e nella sta-tistica sociale dovrà aprire nuovi ed ampi margini di azioni e dovrà condurre ad una concertazione con le istituzioni in grado di definire politiche di comunità che riconoscano l’an-ziano come risorsa, come opportunità da valorizzare per ot-tenere nuovi risultati, nella sensazione di non essere ancora arrivati alla meta.

Giobbe

CORRIDOIO V Lisbona Kiev

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Francesco Barbagallo,“La questione italiana.

Il Nord e il Suddal 1860 ad oggi”,

Editori Laterza, 2013.

Il Mezzogiorno e la questione italiana sono al cen-tro del lavoro di Francesco Barbagallo, docente di storia economica all’Università di Napoli Federico II. Tra i temi trattati, le origini e le ragioni del di-vario Nord-Sud, i diversi atteggiamenti del potere pubblico nei confronti della questione meridio-nale e gli effetti negativi di politiche clientelari ed assistenziali. Per Barbagallo, emerge la necessità dell’identificazione di un’idea di sviluppo nazio-nale che collochi il Sud in una posizione di pro-tagonista, all’interno di uno scenario evolutivo di carattere geopolitico che consideri la nuova realtà dei Paesi del Mediterraneo ed il ruolo che lo stesso Sud può ricoprire.

Andrea Ciarini,“Le politiche sociali

nelle regioni italiane.Costanti storiche

e trasformazioni recenti”,Il Mulino, 2012.

Negli ultimi anni il sistema del welfare italiano si è profondamente modificato a causa di un proces-

Continuano ad essere varie e numerose le novità

editoriali, delle quali si segnalano di seguito alcuni

titoli interessanti. Sempre molto dinamico anche

il mondo del web, dove quotidianamente nascono

nuovi siti.

so di regionalizzazione che ha portato ad un am-pliarsi delle differenze sia in termini di dotazioni di servizi sia nel modo di concepire e organizza-re la governance delle prestazioni sociali a livello territoriale. Ciarini riflette sulle costanti storiche e le trasformazioni recenti che hanno influito sulla natura dei rapporti centro-periferia all’interno del sistema del welfare italiano.

Sergio Zaninelli,Gustavo De Santis

(a cura di),“Sessant’anni del

“sindacato nuovo”.La Cisl fra storia ed

interpretazioni”,Edizioni Lavoro, 2012.

La Cisl nel 2010 ha compiuto sessant’anni di vita. La sua storia si è intrecciata in modo sostanziale con quella del nostro Paese, della sua evoluzione economica, sociale e politica, aprendo e svilup-pando un percorso nuovo nella vicenda del sinda-calismo italiano e nelle trasformazioni del lavoro e della sua rappresentanza. Sedici contributi di do-centi universitari ed esperti analizzano il contribu-to dato dalla Cisl all’evoluzione sociale, economica e politica dell’Italia.

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Ferruccio Pelos,“Il mercato senza lavoro”,

Edizioni Lavoro, 2013.

Analisi delle mutazioni profonde del mercato del lavoro italiano: le varie tipologie contrattuali e la gradazione delle tutele, con particolare attenzione al segmento della cooperazione sociale. Le conse-guenze della globalizzazione, delle crisi finanziarie e dell’evoluzione tecnologica e produttiva sugli at-tori sociali del lavoro ed in particolare del sindaca-to. Pelos ribadisce la necessità di un rinnovamento profondo per evitare lo “sfarinamento” del lavoro e della contrattazione e non arrivare quindi alla perdita di controllo dei processi.

Serafino Negrelli,“Le trasformazioni

del lavoro.Modelli e tendenze

nel capitalismo globale”,Editori Laterza, 2013.

Le trasformazioni che hanno interessato il lavoro negli ultimi trent’anni e le possibili evoluzioni. Le figure lavorative tradizionali e quelle più attuali e le loro condizioni socio-professionali. Il passaggio dal “saper fare cose” al “saper essere creativi”. La

qualità e la soddisfazione del lavoro nei diversi si-stemi socio economici.

Enrico Franceschini,“L’uomo dellacittà vecchia”

Feltrinelli Editore, 2013

Chi è “l’uomo della Città Vecchia”?...Tra odore di caffé al cardamomo e salmodianti processioni in latino, nel labirinto di vicoli che circondano il San-to Sepolcro, il Muro del Pianto e la Moschea della Roccia, Enrico Franceschini esce con un romanzo sulla fede, sull’amicizia, sull’amore e sulla città da cui si alza questa preghiera al cielo: “Dieci misure di bellezza furono donate al mondo, nove furono date a Gerusalemme e una al resto del mondo”.

Andrea Camilleri,“Un covo di vipere”,Sellerio Editore, 2013.

E’ l’alba a Marinella e il sonno di Montalbano vie-ne interrotto dal canto di un usignolo. O almeno così pare al commissario, salvo poi scoprire che si tratta del fischiettare di un vagabondo che ha tro-

vato rifugio nella verandina durante un temporale di fine estate. Un barbone sui generis però, perché parla un italiano perfetto e si vede che ha cono-sciuto tempi migliori. Confessa di abitare in una grotta poco distante ma non c’è tempo di appro-fondire la questione perché Montalbano deve cor-rere in commissariato dove Catarella gli annuncia l’assassinio del ragionier Cosimo Barletta. Nel vil-lino lungo la strada che costeggia il mare nessun segno di effrazione, nessuna traccia di lotta: l’uo-mo è stato colpito alla nuca da un colpo di pistola mentre seduto in cucina stava bevendo un caffé. Pian piano la verità sul delitto si farà strada, ma è una soluzione che Montalbano non vorrebbe am-mettere neanche a se stesso.

Papa Francesco.Il nuovo papa si racconta.

Conversazione conSergio Rubin e

Francesca Ambrogetti.Salani editore.

Il 13 di marzo 2013 il cardinale Jorge Mario Bergo-glio è stato eletto successore di Joseph Ratzinger al soglio di Pietro, con il nome di Francesco. Que-sto libro è la testimonianza diretta, unica e perso-nalissima del nuovo papa sugli avvenimenti che hanno segnato la sua vita. In queste pagine, con parole semplici e ispirate, Jorge Bergoglio raccon-ta ai giornalisti Sergio Rubin e Francesca Ambro-getti l’arrivo della sua famiglia al porto di Buenos Aires nel 1929, gli eventi che hanno accompagnato

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la sua nascita e la sua infanzia, la grave polmoni-te che minò il suo fisico ma che allo stesso tempo portò alla luce i primi segni della sua vocazione religiosa. In queste conversazioni, svolte nell’arco di tre anni, papa Francesco ricorda l’età del semi-nario, la sua esperienza di docente di psicologia e letteratura, il dramma della dittatura in Argenti-na, il suo lavoro tenace e appassionato che Giovan-ni Paolo II riconobbe e consacrò con la nomina a cardinale. Ma soprattutto da questo libro emerge la personalità più profonda e autentica del nuovo pontefice: sincero, mite e impavido.

Mauro Corona,“Confessioni ultime”

Chiarelettere editore.

Pensieri e racconti di vita. Le “Confessioni ultime” di Mauro Corona sono il diario intimo di “un so-gnatore”. Un autoritratto che richiama in alcuni passaggi l’indimenticabile tradizione degli scritti morali, da Seneca al filosofo e samurai Jocho Ya-mamoto, e si trasforma con impennate improvvise in un personalissimo sfogo sull’attualità e la politi-ca. Suoni e basta, le parole hanno perso consisten-za, volume, spessore, e con loro la vita. Le Con-fessioni prendono forma da queste parole ormai vuote. Libertà, silenzio, memoria, corpo, fatica, invidia, orgoglio, competizione, amore, amicizia, dolore, morte, Dio e la fede. Una rappresentazio-

ne laica profonda e illuminante: “Sono un gran-de peccatore, ma per tradizione e per educazione spero in Dio, e lo rispetto a modo mio. Spero in Dio, però non so più dov’è finito... Diceva Zvi Ko-litz: “Caro Dio, io credo in te nonostante te””.

www.youit.itè il primo local social media italiano, per promuo-vere la propria regione, città o paese, valorizzando il proprio territorio. Ogni utente ha la possibilità di creare un gruppo per: associazioni, comuni, gruppi politici, locali, etc

www.iocisonostato.itè un nuovo sito dedicato a chi vuol viaggiare, scritto da chi è stato già in viaggio nelle località descritte

www.arcadeilibri.it.In questo nuovo sito la Libreria Arca dei Libri, spe-cializzata nella vendita libri usati e fuori catalogo, lancia il nuovo e-commerce dedicato agli amanti della storia alla ricerca di libri rari, preziosi e da collezione.

www.tuttotech.comè un sito dedicato al mondo della tecnologia e

delle novità che emergono quotidianamente in questo settore.

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contropelo alle parole di “moda” di Dino Basili

Asimmetrie. Misurare le vicende inedite col

metro rigido di lontani “precedenti” assicura l’in-

successo.

ballottole. A volte, in certe redazioni le balle fi-

schiano come pallottole.

Clientele. Il potere genera i “nostri”.

Dossier. Pagine e pagine che producono, nor-

malmente, almeno un controdossier di pari vo-

lume.

Equidistanza. “Pur scegliendo un contegno

equidistante…”. O si è davvero equidistanti, o si

sceglie un contegno. In genere, comodo e vantag-

gioso. Come una torretta per centrare meglio le

prede in una riserva di caccia.

Fabula. Va in onda, all’inizio del Tg, il notiziario

politico. Pierino cambia subito canale: “Nonno,

sono troppo noiosi i cartoni animati dei grandi”.

Governissimo. Dovrebbe essere, alla lettera,

un governo superlativo.

Innovare. Sulle riforme grava un handicap. Ca-

pita che iniziative eccellenti si blocchino alla con-

clusione dell’inno.

Limiti. E’ lodevole ogni possibile sforzo per ri-

entrarci. Soprattutto nei “casi-limite”, ormai in

vertiginoso aumento.

Mobilitazioni. Quando avvengono dal basso,

evitare che siano proprio terra terra.

Notizie. La mole crescente, fuori misura, delle

non-notizie rende sensazionale il lieve stormire

delle fronde durante una passeggiata nel bosco.

Orologio. Premio Nobel assicurato all’inventore

della sveglia (o del cronometro) capace di segna-

lare il momento esatto in cui si comincia a perde-

re tempo.

Pochismo. Non sfugga l’avanzata di questo

tambureggiante movimento trasversale, specia-

lizzato in lievi richieste. “Un po’ di …” (a piacere:

soldi, giustizia, serietà).

Riprensore. Termine disseppellito da una pa-

gina di Leonardo da Vinci. Da utilizzare tutt’oggi.

Chi corregge con metodo e saggezza viene spesso

liquidato, addirittura annichilito, come rompi-

scatole. Numerosi guai nascono dalla mancanza

di onesti e assennati “riprensori”.

Sprizzare. Il verbo dovrebbe appartenere alla

corte gioiosa dell’ottimismo, invece circola ab-

bondante pure nei sottoscala più bui del pessimi-

smo.

Trattative. Interminabili discussioni intorno a

fantomatici “piani B”. Molte, moltissime bbbal-

buzie.

Vicepresidente. “Chi sa fare fa, chi non sa fare

parla, chi non sa parlare presiede”. Dal beffardo

adagio niente trapela in merito alle delicate in-

combenze dei vicepresidenti.

Zip generation. Anche a Montecitorio indos-

sa giubbini con la chiusura lampo. Però attacca

grossi bottoni.

E ogni problema va in pensione