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■ La dottoressa delle cure domiciliari Paola Budel
“L’essenza di Vitas”: le cure domiciliari
Ogni secondo giovedì del mese ore 16.30-17.30
Con la musica eseguita dalla dott.ssa Monica Raiteri
in Hospice Mons. Germano Zaccheo Strada Vecchia Pozzo S. Evasio 2/E
15033 Casale Monferrato (AL)
Pausa del the con i volontari
non gli
apparten-
gono, a rinunciare ad un pezzet-
to della propria individualità, ad
uniformarsi. Nell’ambito delle
cure domiciliari questo sforzo è
quasi totalmente a carico degli
operatori, che si trovano ad inte-
ragire con le realtà più disparate,
con dinamiche relazionali deri-
vanti da equilibri creatisi nel
corso di un’intera vita, dinami-
che che non si annullano ma,
anzi, si esasperano di fronte alla
malattia, nel bene e nel
male. Per noi operatori,
ogni volta che varchiamo
la soglia di un’abitazione,
inizia una nuova sfida;
spesso ci dobbiamo con-
frontare con sentimenti di
rabbia, frustrazione, impo-
tenza, paura che, a volte,
sfociano in un atteggia-
mento di aggressività che
ci travolge come un fiume in
piena. Come li affrontiamo? Con
umiltà, assenza totale di pregiu-
dizi, professionalità ma, soprat-
tutto, tanta, tanta FANTASIA.
Perché ogni volta dobbiamo
reinventarci, incanalando la
nostra esperienza in base alle
necessità del singolo nucleo
Il regalo
della vita
di Maria Merlo
2 Dalla prima: L’essenza
di Vitas: le cure domici-
liari di Paola Budel
3 Fisioterapiste…
in musica
di Antonella e Silvana
4 Volontari:
per sempre
di una volontaria
5 11 novembre
Ti racconto l’hospice
di Daniela e Paoletta
8 La tua voce: racconti,
Poesie - Lettere
10
11 Quattro passi
sopra le nuvole
di Bruno Marchisio
13 Interscambio con
Vidas
di Sandra e Margherita
16Donne e uomini
di fronte al dolore...
di Silvia
15 Recensioni film:
Infermieri per caso
di Vincenzo Moretti
14 “Sono persa…
rinascerò”
di Alda
“M io padre sta morendo e
vorrei fargli trascorre-
re il tempo che gli rimarrà a
casa, tra i suoi affetti, tra le sue
cose; mi piacerebbe che riuscis-
se a ultimare il modellino che
aveva iniziato quando il mondo
gli è crollato addosso”. Quante
volte ci siamo sentiti rivolgere
questa richiesta! Un tempo la
gestione domiciliare del malato
a fine vita era inconcepibile,
soprattutto da parte dei familiari:
troppo soli, troppo spaventati,
terrorizzati all’idea di non saper
rispondere in maniera adeguata e
pronta alle necessità del proprio
caro, al suo dolore, alla sua di-
sperazione. L’unica soluzione
era l’ospedale dove ci si sente
più tutelati, peccato che ”mentre
mio padre moriva, nel letto ac-
canto un giovane festeggiava
con gli amici il suo complean-
no”, “mio padre aveva voglia di
un gelato ma gli è stato negato
perché aveva la glicemia alta”,
“l’unica possibilità di avere un
po’ di privacy ci è stata data da
un paravento”. Sono le regole
dell’ospedale.
Con le cure domiciliari è possi-
bile offrire una valida alternati-
va, commisurando gli interventi
alle necessità del singolo pazien-
te che, inserito nel suo contesto
di vita, può ancora avere una
progettualità e, soprattutto, esse-
re rispettato nelle sue abitudini,
nei suoi ritmi, nelle sue peculia-
rità.
Certo, per noi ope-
ratori il mondo
delle cure domici-
liari è molto com-
plesso, una vera
sfida.
Quando un pazien-
te viene ricoverato
in ospedale, è men-
talmente predispo-
sto ad accettare delle regole che
(continua a pagina due)
foto Benny
Ringrazian-
do di cuore
Roberto, il
marito di
una nostra
paziente in
hospice, che
ha voluto
donarci que-
sto presepe
fatto con le
proprie mani
vi offriamo
Venite a vederlo con i vostri bambini in hospice!
UNITA’ DI CURE PALLIATIVE CASALE MONFERRATO — Notiziario di VITAS - Associazione per
l’assistenza domiciliare ai malati cronici in fase avanzata e HOSPICE MONS. GERMANO ZACCHEO
DICEMBRE 2013
MONS. G. ZACCHEOMONS. G. ZACCHEOMONS. G. ZACCHEOMONS. G. ZACCHEO
Vitas e Hospice
Str. Vecchia Pozzo S. Evasio 2/E - Tel. 0142/434081 - Casale M. (AL)
Pagina 2 Hospice di Casale - Dicembre 2013
Continua dalla prima pagina
“L’essenza di Vitas”: le cure domiciliari familiare, che è sempre unico e irripetibile.
Solo avendo ben chiaro questo punto di par-
tenza, possiamo sperare di essere efficaci nel
fornire un adeguato supporto al paziente ma
anche (e, forse, soprattutto), al contesto fami-
liare. Il paziente, per assurdo, è il meno fragi-
le: lui è impegnato nella sua battaglia, ma i
familiari? Devono convivere con il senso di
impotenza e di inutilità che li devasta.
Credo che una buona relazione assistenziale
consista anche nel mettere il contesto fami-
liare in condizione di poter intervenire diret-
tamente nel lenire le sofferenze del proprio
caro, di partecipare attivamente al suo benes-
sere. Questo è uno degli aspetti che, a mio
giudizio, favoriscono un’accettazione più
consapevole del limite umano ultimo, che è
la morte: quando non siamo spettatori passivi
e ci è possibile non affrontarlo in totale soli-
tudine.
Purtroppo, in molti casi, l’intervento di noi
palliativisti viene frainteso. In alcuni casi
viene addirittura rifiutato perché sinonimo di
sconfitta, di resa. Se solo si potesse immagi-
nare quante energie vengono profuse per
conservare il più possibile la dignità e
l’integrità della persona! Questo fraintendi-
mento nasce tuttavia dal fatto che, troppo
spesso, l’intervento delle cure palliative vie-
ne richiesto solo nelle ultime settimane di
vita del malato, ed in tal modo si travisano le
finalità reali del servizio, che consistono non
tanto nell’accompagnare alla morte, bensì nel
cercare di donare più vita possibile puntando
sulla qualità, in tutte le sue accezioni.
In questi ultimi tempi la comunità scientifica
sottolinea con sempre maggiore insistenza
l’importanza delle cosiddette “simultaneus
care” come risposta più adeguata nel percor-
so di cura del malato oncologico, secondo il
principio “le cure palliative iniziano quando
inizia la sofferenza (fisica e psicologica) del
malato e dei suoi familiari”. Alcuni studi
hanno dimostrato come un’adeguata integra-
zione tra percorso di cura oncologico e cure
palliative possa determinare un aumento di
sopravvivenza ma, soprattutto, un significati-
vo miglioramento della qualità di vita.
■ Riceviamo il parere di un medico di base sulle Cure Palliative
Per una dignità del dolore A lla fine in queste stanze c’è sempre
troppo di tutto… troppo dolore, tante
lacrime e tensioni, troppa frustrazione… in
questa partita non si vince mai si perde sem-
pre.Si perdono la vita, le speranze e i sogni,
gli affetti, la dignità… queste malattie ti
tolgono anche questa e per noi che, con tutto
questo ci dobbiamo confrontare e lavorare,
non essere soli è veramente di grande aiuto.
La concomitante ed assidua presenza degli
operatori delle Cure Palliative aiuta infatti,
noi medici di famiglia, a mantenere per i
nostri pazienti la dignità della vita fino
all’ultimo respiro.
Personalmente non credo sia così importante
voler giocare un ruolo di protagonista in
questa partita, credo sia più importante al
momento, mettere a disposizione quelle co-
noscenze pratiche ed emotive che rendono
peculiare la nostra presenza in condizioni
così complesse.
Penso che il ruolo principale spetti a chi si
prepara professionalmente e si confronta
giornalmente con queste tematiche.
Come si può leggere dai risultati di una re-
cente indagine effettuata dai medici di fami-
glia e dal dipartimento di Cure Primarie
dell’ASL 105 di Bologna, l’88% del campio-
ne ritiene infatti opportuna una formazione
più specifica ed una condivisione più omoge-
nea della filosofia e degli obiettivi delle Cure
Palliative.
Se non si investe su questi contenuti è diffici-
le per noi, essere veri protagonisti, allora
meglio essere a disposizione, condividere
esperienza e conoscenza e lasciare il passo a
queste ragazze che hanno una marcia in
più…
Cara Degio, ti ringrazio per l’opportunità che
mi hai dato nello scrivere poche parole; ov-
viamente sono e restano una mia considera-
zione personale. Quello che più sinceramente
voglio esternare è la stima nei confronti del
vostro lavoro che in tempi di sola forma, la
sostanza che invece esprime, è un esempio
per tutti.
Dott. Maurizio Fasano
MMG di Mirabello
■ Il Sindaco a nome di Casale
Grazie
I n questi anni molti casalesi hanno avuto
la possibilità di conoscere in prima per-
sona, in quanto familiari o amici di malati,
le meravigliose realtà dell’Associazione
Vitas e dell’hospice. Colpisce e conforta
vedere come al centro dell’attenzione degli
operatori ci sia la persona prima ancora
della malattia: così facendo si riesce a gene-
rare nel paziente, e in chi gli è vicino, una
sensazione di conforto e di speranza.
L’esperienza vissuta in un ambiente così
sereno ed accogliente, fa nascere
un’amicizia che va oltre il periodo di perma-
nenza e fa sorgere il desiderio di collabora-
re e di mettersi a disposizione di chi ha biso-
gno. Dal dolore e dalle amorevoli cure pre-
state si sviluppa una partecipata catena di
solidarietà e disponibilità.
Chi varca la soglia dell’hospice rimane
colpito da uno splendido giardino, curato
con passione, con graziose aiuole fiorite
intercalate dal verde rilassante del prato e
dei cespugli: ci si sente subito ben accolti.
Segue subito l’incontro con gli operatori,
che si dedicano con professionalità e squisi-
ta amorevolezza alla cura dei pazienti e al
sostegno dei loro famigliari. Si respira
un’atmosfera calda e serena, si percepisce
subito l’impegno di chi si impegna al massi-
mo per alleviare il dolore: anche quando
sembra che non si possa fare più nulla,
all’hospice si continua a fare molto!
Rivolgo a nome mio e di tutta
l’Amministrazione un sentito ringraziamento
a tutti gli operatori di Vitas e dell’hospice, e
in particolare alla dottoresssa Daniela De-
giovanni, motore instancabile di queste
realtà. Un grazie che, sono certo, ricom-
prende i sentimenti di riconoscenza
dell’intera città e di tutto il territorio casale-
se. Giorgio Demezzi Un particolare del presepe
Il nostro notiziario è sempre a tua di-sposizione per poter far conoscere, con del ‘chiasso buono’, una struttura che si è rivelata un valido strumento per ‘accompagnare’ le persone nelle fasi avanzate della malattia. Se ti è gra-dito manda la tua e-mail a
[email protected] www.vitas-onlus.it o invia il tuo scritto
(con calligrafia leggibile) a: Vitas - Piazza S. Stefano 3 15033 Casale Monferrato (AL)
Hospice di Casale - Dicembre 2013 Pagina 3
■ Un racconto in musica...
Fisioterapiste… in musica…!!!???
C i hanno chiesto di raccontare la nostra
esperienza ormai più che decennale di
fisioterapiste delle Cure Palliative. Abbiamo riflettuto un po' su come procedere:
ricordare i fatti, citare le persone, o descrive-
re gli incontri, le emozioni, cercando di non
dimenticare niente e nessuno, ma poi…
”l'idea”: facciamolo attraverso la musica che
ha fatto un po' da sottofondo a questa nostra
importante esperienza lavorativa ma soprat-
tutto di vita, creando quasi una “play list”,
come fanno i giovani, con le canzoni e/ o i
testi più significativi o più evocativi delle
nostre emozioni e dei nostri vissuti di questi
anni, e così eccoci qua: - ”Mi ritorni in mente” di Battisti: ecco im-
mediatamente richiamati alla memoria i volti
e i nomi di tanti nostri pazienti che non pos-
siamo e non vogliamo dimenticare. - ”La cura” di Battiato: come dare un senso
ai gesti che compiamo nel nostro lavoro quo-
tidiano. - ”Fix you” dei Coldplay: “ti rimetto in se-
sto”... mi prendero ' cura di te! - ”Mi fido di te” di Jovanotti: come può esse-
re efficace un rapporto basato sulla fiducia,
sull'affidarsi a... - ”Tears in Heaven” di Eric Clapton, che
evoca la speranza e il desiderio di incontrarsi
di nuovo dopo che si è stati capaci di lasciar
andare il nostro caro. - ”Angelo” di Francesco Renga, che ci sug-
gerisce di affidare la persona amata alla pro-
tanti, indimenticabili... incontri in musica.!!! Buon Ascolto.
La nostra play list:
SALIRO' di DANIELE
SILVESTRI,
LA CURA di FRANCO BATTIATO,
FANGO di LORENZO
JOVANOTTI, INTO MY ARMS di
NICK CAVE,
ALLELUJA di LEO-NARD COEN,
ALLELUJA versione
JEFF BUCKLEY, UN MALATO DI CUO-
RE di FABRIZIO DE
ANDRE', DEL SUO VELOCE VOLO di ANTONY AND
THE JOHNSONS & FRANCO BATTIATO,
ANGEL di ROBIN WILLIAMS, AS TEARS GO BY dei ROLLING STONES,
AS TEARS GO BY cantata da FRANCO BAT-
TIATO & ANTONY AND THE JOHNSONS, TEARS IN HEAVEN di ERIC CLAPTON,
FIX YOU di COLDPLAY, PANIC di GIOVANNI ALLEVI,
GRACIAS A LA VIDA di VIOLETA PARRA,
MI FIDO DI TE di LORENZO JOVANOTTI, AVRAI di CLAUDIO BAGLIONI,
IN MORTE di F.D. FRANCESCO GUCCINI,
EVERY BREATH YOU TAKE dei POLICE, DORMONO SULLA COLLINA di FABRIZIO
DE ANDRE',
ONE degli U2
Antonella e Silvana
tezione e alla cura di Qualcuno di più Grande - “Salirò” di Daniele Silvestri, che ci dà l'idea
del percorso che potranno fare i nostri cari
dopo che ci hanno lasciato. - ”Every breath
you take” di Sting,
che ci parla del
ricordo e del rim-
pianto della perso-
na amata. - ”The dead is not
the end” di Bob
Dylan, la morte
non è la fine. Altri testi ci sono
venuti in mente
ma ci piace concludere con “Dormono sulla
collina “di Fabrizio Deandrè che, ispirata
all'Antologia di Spoon River, di Edgar Lee
Master, ricorda tutte tutte le persone incon-
trate. Anche noi vogliamo ricordare così tutti i
nostri pazienti che in questi anni si sono
affidati, fidati, abbandonati quasi nelle nostre
mani... cercando sollievo al dolore, speranza,
qualità di vita, anche se breve, energia, forza,
…cura. E il nostro prenderci cura di loro ci ha arric-
chito tantissimo, ora dormono tutti sulla col-
lina e tanti piccoli pezzi delle loro vite, so-
prattutto dell'ultima parte delle loro vite,
sono diventati ricchezza per la nostra profes-
sionalità e per i nostri vissuti, incontri impor-
■ Pinuccia, infermiera domiciliare
Entrare in empatia con loro
L avoro in cure palliative ormai da oltre
due anni e svolgo il mio servizio per lo
più a domicilio.
Quando sono entrata a far parte di questo
gruppo, immaginavo ci
sarebbe voluta molta forza
d’animo, ma avrei scoperto
solo con il passare del tem-
po quanta davvero ne oc-
corresse. Ho imparato e
continuo ad imparare molte
cose.
Se pensavo che avrei dato
molto, ora so che ciò che
ricevo è molto di più.
Ho imparato che spesso è meglio ascoltare
che parlare, che il contatto fisico, una carez-
za, un abbraccio possono trasmettere forza e
che a volte basta uno sguardo per dire tante
cose.
Ho imparato che ciò che davo per scontato,
abitudini, modi di vivere, relazioni familiari,
reazioni emotive verso la malattia… sono
molto, molto diverse in ogni contesto fami-
liare e sono tutte giuste, basta guardarle da
un altro punto di vista: quello della persona
che hai di fronte.
Ho imparato a sdrammatizzare le situazioni
imbarazzanti o difficili con l’ironia. Ed anco-
ra, se strappo una
risata al mio paziente,
questa è un vero rega-
lo e non solo per quel
momento ma per mol-
to tempo, perché è di
quella risata che mi
ricorderò pensando a
lui quando non ci sarà
più. Quello sarà il
momento che riporterò
alla memoria dei suoi familiari rivedendoli
dopo una settimana, un mese, un anno. Sì
perché chi rimane, dopo tempo non di rado ci
viene a cercare anche per un saluto, e ci tro-
va.
Difficile scordare persone con cui hai condi-
viso tante emozioni anche se dalla parte
dell’operatore.
Conoscere tante persone di cultura, religione,
nazionalità diverse è un grande arricchimento
personale. Non viene mai meno la curiosità
di conoscere un nuovo paziente e la sua fa-
miglia, di trovare il modo di entrare in empa-
tia con loro per offrire il nostro aiuto nel
modo più immediato.
Il mio lavoro mi piace molto, mi sento grati-
ficata e realizzata. Mi sento al posto giusto e
questo produce l’energia per continuare a
svolgerlo. Energia che sembra non bastare
mai…
Lavorare a domicilio vuol dire partire ogni
mattina per una nuova avventura, dove sai
che incontrerai emergenze non solo di ordine
medico ma anche pratiche, psicologiche e
sociali ma con la certezza di poter contattare
telefonicamente le colleghe piuttosto che la
caposala oppure i medici, sempre pronti a
dare l’aiuto richiesto.
Tutti attenti a riconoscere la più piccola sfu-
matura nella comunicazione che per lo più
viene fatta in presenza del paziente e/o dei
familiari.
Questo mi permette di partire ogni mattina
serena, sicura e sorridente. A tutti i miei
collaboratori un grande grazie.
Pagina 4 Hospice di Casale - Dicembre 2013
■ Una volontaria sull’assistenza domiciliare
Amici per sempre
E’ proprio vero che i ricordi legati a
forti emozioni ci accompagnano per
sempre: sono passati parecchi anni ma, nono-
stante i vuoti di memoria sempre più fre-
quenti data l’età, rivedo con chiarezza ogni
attimo della mia prima assistenza domicilia-
re.
Vitas era nata da poco e si era appena con-
cluso il primo corso per volontari, quando è
arrivata la telefonata tanto attesa di Mariella:
“domani alle sedici potresti andare alla Si-
gnora Carla…?!”
Che mix di emozioni mentre salgo le scale:
ansia, paura, sensazione di inadeguatezza. Mi
accoglie una bella Signora sorridente:
“Benvenuta nella nostra casa, la mamma LA
STA ASPETTANDO”.
In quelle parole oggi come allora, credo sia
racchiusa l’essenza, la diversità e l’unicità
dell’assistenza domiciliare.
Il ruolo del volontario è certamente impor-
tante in qualsiasi contesto assistenziale, ma
un paziente in struttura, anche se solo, sa di
poter contare sulle figure professionali, a
domicilio invece quando è richiesto, il nostro
aiuto è fondamentale.
Unicità ma certo anche difficoltà:
l’inserimento in una cellula familiare che
attraversa una crisi profonda causata dalla
malattia che sconvolge gli equilibri esistenti,
non è cosa semplice. Spesso noi volontari
serviamo da elemento moderatore delle varie
tensioni, naturalmente senza alcun tentativo
da parte nostra di modificare i rapporti ed i
ruoli esistenti. Cerchiamo di far leva su tutto
ciò che fa ancora presa sul malato, sui suoi
hobbies, per coinvolgerlo e cercare di disto-
glierlo dal pensiero della malattia.
Siamo sempre disponibili ad ascoltarlo quan-
do ha voglia di “raccontarsi”, siamo sempre
pronti a “stare accanto” e condividere il suo
silenzio, accettando senza riserve il modo in
cui egli sceglie di vivere il tempo che rimane.
Il rapporto che si stabilisce tra paziente e
volontario è un po’ come quello tra due e-
stranei che si incontrano nello scompartimen-
to di un treno: tra persone che non si cono-
scono è più facile aprirsi, parlare, in un certo
senso, confessarsi. Ci raccontano di tutto,
anche tante cose che parenti non sanno, e se
riusciamo a farci riconoscere come compagni
di strada, si crea una meravigliosa e unica
alchimia che è PER SEMPRE.
■ Claudio Ghidini, presidente Vitas
Conoscere per comprendere
L' 11 Novembre, in occasione della gior-
nata di San Martino, presso
l'Auditorium S. Chiara si è tenuto un incon-
tro il cui scopo era quello di far conoscere le
molteplici finalità della struttura Hospice e
delle Cure Palliative alla cittadinanza casa-
lese. Far comprendere il valore aggiunto di que-
sta struttura inaugurata nel Marzo del 2009,
divenuta parte integrante dell'assistenza
territoriale, valore aggiunto di un percorso
assistenziale, che pone sempre al centro il
paziente e la propria famiglia, attraverso le
testimonianze dei suoi protagonisti: operato-
ri , volontari, psicologhe e di Padre Massimo
assistente spirituale di VITAS. Questo perchè a distanza di quasi 5 anni
dalla sua apertura l'Hospice è spesso visto
come il capolinea di un percorso clinico
terapeutico fallito. Di contro si viene poi a scoprire che chi
questa realtà l'ha vissuta, conosciuta “da
vicino” si rende conto del valore umano, del
livello elevato di competenze professionali,
emozionali, relazionali che vi regnano; ha
sperimentato l'Hospice come un percorso di
sostegno e accompagnamento che unisce
personale, pazienti, volontari e famigliari. Tutti coloro che lavorano in Hospice, volon-
tari compresi, sono persone motivate perchè
l'Hospice richiede una adesione autentica
perchè l'assistenza rappresenta un momento
di grande umanità e impegno personale. Ma non basta più essere motivati, oggi le
persone che lavorano in Hospice, volontari
compresi, sono dei professionisti altamente
qualificati che rispondono alle esigenze mo-
derne di cura attraverso l'acquisizione di
competenze: etiche, cliniche, relazionali,
psicosociali, di lavoro in equipe. Personale qualificato e competente anche
grazie ad uno dei pilastri fondanti la realtà
dell'Hospice: la formazione che avviene
implementando nuove forme di conoscenze
non solo clinico assistenziali, mediche ma
anche nel campo delle scienze umane, socia-
li, etiche che permettano una assistenza sem-
pre più efficace, consapevole e condivisa,
sempre più personalizzata e specialistica che
ci permetta di prepararci ad affrontare i
nuovi bisogni assistenziali che ci attenderan-
no. Le patologie croniche degenerative come il
M. di Alzheimer, la demenza sono in pro-
gressiva crescita, l'innalzamento della vita
media pone serie problematiche assistenziali
tutt'altro che irrilevanti. Per questi pazienti e per le loro famiglie è
sempre più scarsa una strategia terapeutico
assistenziale nonostante siano in gioco gran-
di numeri e il diritto alla tutela della salute
sancito dalla Costituzione. Come farà il Ssn ad occuparsi domani di
questi pazienti, il cui numero sarà tristemen-
te raddoppiato con famigliari invecchiati e
magari senza tutele assistenziali (spesso nel
lavoro di accudimento i famigliari perdono
salute , professione e conseguenti tutele pen-
sionistiche), visto che ad oggi spesso questi
ultimi sono quasi del tutto abbandonati a se
stessi o in balia di un sistema burocratico
irrazionale?. Il malato è innanzitutto una persona e la sua
dignità deve sempre essere anteposta ad ogni
considerazione terapeutica e tecnica specifi-
ca offrendo trattamenti più mirati al sollievo
dei sintomi e all'attenzione ai bisogni della
persona attraverso le Cure Palliative. Que-
sta è la cultura che porta avanti VITAS fin
dal 1996 e siamo orgogliosi di ciò che si è
progressivamente realizzato negli anni,
splendidamente esplicitato da Barbara Na-
vazzotti attraverso la sua commossa testimo-
nianza di quali siano i bisogni e le esigenze
della persona sofferente e di chi gli sta ac-
canto. C'è bisogno dell'aiuto di tutti, giovani
e meno giovani che capiscano ed aderiscano
decisi e motivati a questo tipo di sensibilità
per creare un sistema completo e moderno di
assistenza e per suscitare nelle istituzioni
politiche e sanitarie una continua attenzione
ai servizi che il cittadino ha diritto di chiede-
re. VITAS e l'Hospice sono determinati a prose-
guire ed ampliare le offerte assistenziali
necessarie, con l'aiuto delle istituzioni e lo
stimolo della comunità Casalese per essere
SEMPRE e COMUNQUE al fianco di chi
soffre e dei loro famigliari testimoni di una
cultura sanitaria diversa attenta in primo
luogo AL PRENDERSI CURA .
Hospice di Casale - Dicembre 2013 Pagina 5
■ 11 novembre 2013 Auditorium Santa Chiara
“Ti racconto l’Hospice” Nuovi sviluppi delle Cure Palliative
“A ncora troppo spesso accade che le
Cure Palliative siano identificate
con Il Fine Vita, quando invece è ormai di-
mostrato dagli studi clinici e dalla letteratura
più qualificati che esse sono cure APPRO-
PRIATE in ogni stadio della malattia e in
OGNI TIPO di malattia, non solo tumorale.
Migliorando la qualità di vita del paziente,
infatti, esse facilitano l'accesso ai trattamenti
chemioradioterapici e attenuano sensibilmen-
te la tossicità da questi determinata.”. Queste
sono le parole con cui T.J.Smith, Direttore
del Cancer Center di Baltimora, ha aperto la
sua relazione quest'anno a Chicago interve-
nendo all'ASCO, la più
prestigiosa Società Ame-
ricana di Oncologia Me-
dica.
In Italia, una specifica
Legge (N. 38 del
17/03/2010) definisce le
disposizioni per garantire
l'accesso alle Cure Pallia-
tive alla Terapia del Do-
lore da parte di tutti i
cittadini che ne abbiano
necessità. La stessa legge sottolinea che la
Medicina Palliativa deve essere estesa non
solo alle malattie tumorali, ma a tutte le pato-
logie croniche in fase evolutiva, come le
malattie cardiorespiratorie, nefrologiche,
neurologiche (SLA, Parkinson, Demenze
vascolari, Alzheimer)
La definizione PALLIATIVE deriva dal
sostantivo latino “pallium” che significa
MANTELLO, proprio come quello che il
cavaliere Martino, prima di essere Santo,
divise con i poveri che incontrava di ritorno
dal fronte, inducendo la Provvidenza a pro-
vocare calde giornate per dare loro sollievo.
L'Hospice è la struttura residenziale che con-
tiene le Cure Palliative. Ma sostanzialmente
è l'espressione di un MODO DI CURARE il
prossimo, con l'obiettivo di PRENDERSI
CURA del malato nella sua globalità, fisica e
psichica, avvolgendo chi ha bisogno di un
mantello protettivo. Un mantello di terapie,
azioni e metodi, che allevia il dolore inutile e
insopportabile, che solleva
da terapie faticose e ineffica-
ci, che accompagna nel per-
corso chi sta effettuando
cure oncologiche pesanti,
che mitiga le fatiche di fami-
gliari stanchi per l'assistenza
a parenti anziani e non più
consapevoli, che consente
una vita dignitosa fino a
quando saremo al sicuro,
dovunque sia.
La giornata di presentazione
dell'Hospice è stata scelta
nel giorno di San Martino per descrivere
questo modo di prendersi cura dei malati,
basato sulle più moderne evidenze scientifi-
che della medicina.
E' il racconto di come gli operatori del domi-
cilio e dell'Hospice lavorano, vivono e agi-
scono quotidianamente, attraverso la testimo-
nianza di un famigliare, i racconti dei volon-
tari, l'esperienza del conforto spirituale di
Padre Massimo e le riflessioni di chi vorrà
approfondire.
Due ore per conoscere meglio l'Hospice,
struttura al cui nome troppo spesso si asso-
ciano ancora diffidenze e paure ingiustifica-
te, correlandolo solo
all'evento morte. Chi
ci ha conosciuto da
vicino sa che questo è
invece il luogo dove si
cerca di conferire
leggerezza ad ogni
preziosissimo minuto
della vita, mantenere
accesa la totalità della
persona e della sua
unica e irripetibile
narrazione.
Secondo le proiezioni epidemiologiche, l'Ita-
lia sarà nel giro di pochi anni popolata da una
percentuale elevatissima di “grandi vecchi”,
cioè di ultraottantenni, molti dei quali saran-
no portatori di malattie irreversibili e com-
plesse, come la demenza. Dobbiamo essere
pronti ad affrontare i nuovi bisogni che ci
attendono con risorse umane e strumentali
appropriate. Le Cure Palliative, l'Hospice e
VITAS sono una delle risposte a questi biso-
gni. Abbiamo bisogno, come sempre, dell'a-
iuto di tutti perchè tutti abbiamo la nostra
insostituibile parte di responsabilità nella
società in cui viviamo.
“Può darsi che non siate voi i responsabili
della situazione che state vivendo, ma lo
diventerete, se non farete nulla per cambiar-
la”. Martin Luter King Dott.ssa Daniela Degiovanni
Responsabile Hospice Zaccheo-Cure Palliative
Presidente Scientifico VITAS
CPSE Paola Ballarino
Coordinatore
Infermieristico
Hospice_UOCP
La parte musicale della serata
Barbara Navazzotti,
famigliare
Padre Massimo,
Assistente
Spirituale Vitas
Patrizia Carpenedo, Volontaria e capo coordina-trice
Una parte del pubblico
Claudio Ghidini, presidente Vitas e Paola Balla-rino
Pagina 6 Hospice di Casale - Dicembre 2013
■ L’intervento di Padre Massimo (assistente spirituale)
“E’ permesso?”
R accontare la mia esperienza di padre
spirituale all’Hospice non è semplice
perché nuova e diversa ogni qualvolta ne
varco la soglia.
Posso dire che parafrasando una frase dei
baci Perugina, la permanenza qui è una pa-
rentesi tra “un prima” e “un poi”.
Senza sconfinare nel passato rimpiangendolo
o nel futuro immaginandolo, con queste ca-
ratteristiche può essere un momento di vita
che aiuta ad essere, qui e ora, protagonisti.
Mi sono preparato a questo nuovo ed inatteso
servizio andando a rivedere le caratteristiche
che S. Francesco chiede ai suoi frati nel mo-
mento in cui si fanno prossimi all’uomo che
soffre.
Vorrei citare a questo proposito l’episodio di
quel frate che nel periodo quaresimale una
notte si mette a urlare per i forti crampi allo
stomaco causati dalla fame.
Francesco accorre al suo capezzale e quando
scopre che la causa di quella sofferenza fisica
è la penitenza, sveglia i frati e fa preparare,
con le poche cose, nel cuore della notte un
banchetto per tutti, affinchè il poveretto che
stava male, non si sentisse a disagio.
L’uomo, per Francesco, è più importante
della penitenza che pure lui viveva intensa-
mente.
Nella regola poi, al Cap. IV dice “Comando
fermamente a tutti i frati che in nessun modo
ricevano denari o pecunia … tuttavia per le
necessità dei frati malati e per vestire gli
altri frati … i ministri si prendano sollecita
cura … secondo i luoghi i tempi e i freddi
paesi …” e nel cap. VI si legge a proposito
dei frati infermi: “E se uno di essi cadrà
malato, gli altri frati lo devono servire come
vorrebbero essere serviti essi stessi”.
Con queste caratteristiche mi sforzo di pre-
sentarmi alla porta di ogni ospite
dell’Hospice sempre chiedendo permesso
perché l’Amore non si impone ma si pro-
pone.
Ogni camera è un mondo a sé, ogni incontro
è un’esperienza di vita, non soltanto quando
mi intrattengo dialogando, pregando, pian-
gendo, raccontando … ma anche quando
apparentemente non c’è possibilità di relazio-
ne e nella penombra senti solo un respiro
tenue che aritmicamente interrompe il silen-
zio.
Attraverso il linguaggio dell’Amore che può
andare oltre il limite dell’umano è possibile
parlare al cuore ottenendo risposte che sor-
prendono.
A questa scuola di vita dovremmo spesso
fare riferimento proponendola soprattutto a
coloro che affetti da delirio di onnipotenza
pensano di poter sfilare per sempre sulle
passerelle coi tappeti rossi dove luci artificia-
li illuminano situazioni fittizie destinate a
sparire quando il sipario si chiude e le luci si
spengono.
La vita è dono e io voglio amarla sempre e
comunque sino a quando passerà
all’abbraccio di Dio che la introdurrà nella
Sua Casa dove sarà per sempre.
Per questo intendo rispettarne la dignità per-
ché: “La gloria di Dio è l’uomo vivente”.
all’allontanamento, dovute a preoccupazioni
e difficoltà comprensibili e comunque legitti-
me, non diventino comportamenti aggressivi
o colpevolizzanti nei confronti della persona
ammalata o di se stessi.
Dall’altro lato vi sono comportamenti di
“avvicinamento” alla persona ammalata.
In alcuni casi la relazione è molto profonda
e il trauma incrementa il legame che diventa
la risorsa principale per affrontare attraver-
so l’affetto e l’intimità il percorso della ma-
lattia. In altri casi questo avvicinamento
sembra determinato più da una posizione di
“sacrificio” del care-giver che sente il dove-
re affettivo di dedicarsi alla persona amma-
lata, ma con un sentimento di fatica che ten-
de ad aggravarsi se la situazione peggiora in
termini di salute e di relazione con
l’ammalato/a.
Quando l’avvicinamento al proprio caro
comporta una forte dose di annullamento dei
propri bisogni, si produce una situazione di
stress con conseguenti stati depressivi, ansia,
angosce.
Naturalmente tra i due estremi: condivisione/
“sacrificio”, c’è tutta una gamma di posizio-
ni intermedie con oscillazioni da una posi-
zione all’altra.
Altri care-giver idealizzano il proprio compi-
to di cura rendendolo quasi “sacro”.
Questa reazione, se da un lato è funzionale
alla necessità di compiere grandi sacrifici,
ha possibili effetti collaterali negativi come
la possibilità di “appropriarsi”del malato,
prendendo decisioni per lui o lei, sostituen-
dosi in ogni sua minima difficoltà e quindi
limitandone l’autonomia. L’effetto di questo
comportamento, ovviamente nato a fin di
bene, può essere devastante per entrambi.
Avvicinamenti e allontanamenti fanno dun-
que parte del percorso che la malattia grave
determina mettendo a dura prova entrambi i
partner: ammalato e care-giver.
L’uno impegnato ad affrontare la “sua”
malattia e a vivere questo momento della
vita con i rischi e i cambiamenti che questa
esperienza così trasformativi comporta.
L’altro, che gli sta accanto, impegnato con
tutte le proprie risorse nel curarlo e soste-
nerlo, in una posizione meno autorizzata ad
esprimere la propria sofferenza, il proprio
disagio e le proprie difficoltà.
Ma non è possibile sostenere efficacemente
l’ammalato se manca la possibilità di ricari-
carsi, di poter riflettere ed elaborare quanto
sta accadendo, senza nutrimento e pensiero
per alimentare la relazione d’aiuto.
Per questo, creare uno spazio di ascolto, un
contesto “protetto” per i care-giver ci sem-
bra una necessità primaria dal punto di vista
umano e clinico.
VITAS offre la possibilità ai famigliari di
avere un supporto psicologico attraverso
colloqui individuali o di gruppo.
Le persone interessate possono contattare
l’Hospice al numero telefonico:
0142 434081
o le psicologhe M.Clara Venier: 339
8168421 e Barbara Oneglia: 347 0704146
■ L’intervento di Maria Clara Venier (psicologa Vitas)
Aver cura del famigliare che cura
Q uando la malattia arriva è come un fiu-
me in piena che sconvolge non solo la
persona colpita, ma travolge tutta la fami-
glia; trascina via certezze e progetti, scon-
volge i ruoli, fa emergere emozioni e senti-
menti dimenticati; sconvolge l’equilibrio
raggiunto e costringe tutti ad attivare risorse
ed energie nuove per affrontarla,
nell’incertezza e nel disagio della situazione.
Il CARE-GIVER è la persona (partner, geni-
tore, figlio/a, fratello o sorella) che princi-
palmente nella famiglia si assume il compito
di curare e sostenere l’ammalato/a che lotta
per la sopravvivenza.
E’ un ruolo molto difficile, non soltanto per
l’impegno e la fatica fisica ed emotiva che
comporta, ma anche perché meno autorizza-
to a comportamenti egoistici e di salvaguar-
dia di sé.
Il CARE-GIVER non può esprimere la pro-
pria sofferenza, il proprio disagio o le pro-
prie difficoltà alla persona ammalata per
paura di rattristarla, di darle un peso ulte-
riore.
Naturalmente ogni famigliare/care-giver
agisce in base alle risorse personali, al pro-
prio carattere, in base alla relazione con la
persona ammalata ed alla storia personale e
familiare precedentemente vissuta.
Spesso in famiglia ci sono bambini, persone
disabili o anziane con bisogni particolari che
rendono più complessa l’assistenza.
In generale possiamo individuare due gran-
di possibili direzioni in cui si affronta la
malattia grave di un famigliare:
da un lato comportamenti di “ allontana-
mento”.
Queste reazioni possono derivare dal fatto
che la malattia fa emergere una situazione
già critica nella relazione e tende a incrinar-
la ulteriormente. Tanto da poter arrivare in
alcuni casi ad un vero e proprio abbandono;
ma possono anche derivare dalla paura di
affrontare la sofferenza.
Se adeguatamente sostenuto il care-giver ha
la possibilità di evitare che le spinte
Hospice di Casale - Dicembre 2013 Pagina 7
Ci siamo incontrate in un
c o r s o p e r d i v e n t a r e
“volontari” e nel momento in
cui ci siamo presentate abbia-
mo capito che c’era un qual-
cosa che ci univa e che ci
avrebbe unito malgrado i no-
stri diversi vissuti.
Cosa ci univa. L’essenza del
discorso era SENTIRSI PER-
SONE nella nostra diversità e
L’IMPORTANZA DI SEN-
TIRSI TALI anche nel vivere
IN SIMBIOSI con un figlio
CHE HA BISOGNO DI TE.
Incontrarsi, in mezzo a tante
persone e scoprire che una in
particolare, è uguale a te.
Raccontare, aver voglia di
farlo, senza sapere il perché,
ciascuno il proprio vissuto, la
propria esperienza, il modo proprio di affrontare la diversità, la sof-
ferenza, a volte con rabbia, altre con rassegnazione. E per ultimo
quello che stiamo vivendo, con la convivenza dell’accettazione di
quello che si è.
Capitolo Primo
Non sempre la data
di anagrafe coincide
con la nostra nasci-
ta… soprat tut to
quando un handicap
tuo o di qualcuno
molto vicino a te
influenza il vissuto.
Si nasce nel momen-
to in cui si prende
consapevolezza di
ESSERE PERSONA
nonostante tutto,
imparando a vivere
intensamente la nor-
malità nella diversità.
E’ una grande con-
quista che necessita
di un percorso non facile, attraversando amore e dolore quotidiana-
mente ma deve diventare un punto d’arrivo. Perché è nella normalità
della diversità, nella semplicità, che occorre trovare la propria bel-
lezza. Possono esserci genitori superprotettivi, con una “non cultura”
ed una “non educazione” alla diversità, che non ti lasciano andare e
non capiscono la voglia di voler essere come gli altri.
Questa non cultura è valida anche per affrontare le grandi problema-
tiche che un figlio diverso potrà avere nella vita. E questa accettazio-
ne deve partire soprattutto da noi stessi ed iniziare un percorso di
consapevolezza che la situazione “è questa” e i “i miracoli” non
esistono come gli altri vogliono farci intendere. E capita che gli altri
dicono: “si chiude una porta e si apre un portone” oppure “ma come
hai fatto!” e tu come mamma - nonostante tutta la tua rabbia - sai
come rispondere: “Ma come! E’ tuo figlio? Non hai il coraggio di
farlo per tuo figlio?” “E’ quello che devi fare. E’ amore. Non puoi
lasciar perdere. Devi prendere in mano la situazione e responsabiliz-
zarti, prenderne coscienza. Malgrado tu voglia mettere la testa sotto
la sabbia è necessario che ti rialzi e cammini dritta e consapevole di
fare la cosa giusta ed il massimo per te e per tuo figlio”.
(continua)
Quanto più a fondo scava il dolore nel vostro essere, tanta
più gioia potrete contenere.
Kahlil Gribran
Dedicato a Mariangela
Riceviamo: Volevo segnalarvi un bel libro da leggere.
"Prima di dirti addio
l’anno in cui ho imparato a vivere" di Susan Spencer Wendel
U n libro molto "forte" ...che quando ho iniziato a leggere ...ho
somatizzato tutti i terribili sintomi della protagonista malata di
Sla… è stato per me devastante ...per poi "apprezzare e sentire" la
bellezza del suo racconto di vita!
Inizia nell'estate del 2009, l'odissea di Susan, giornalista, moglie
"straordinaria" e madre di tre figli, un anno di accertamenti medici
fino alla diagnosi più crudele: SLA… ebbene Lei decide di trascor-
rere il tempo che le rimane dedicandosi agli affetti piu' cari, alla
"gioiosità'" della vita quotidiana… un anno alla scoperta dei momen-
ti di felicità e NON ...lasciando poi "un giardino di ricordi".
Ci sono delle FRASI che rimangono impresse… "Sii felice di quello
che possiedi; gioisci di come sono le cose. Quando capirai che non ti
manca nulla, il mondo intero ti apparterrà"
Questa è la forza di SAPER ACCETTARE… Sandra
1 Giugno 2013
Tredici lune sono ormai passate
danzando argentee nella volta celeste
e con l’arrivo della buona stagione
anche il giardino di Luisa torna a darci i
suoi doni
luce profumi fiori meditazione e silenzio
voglia di abbandonarsi al tepore e alle speranze
che svettano con profili slabbrati
lassù tra le fronde degli alberi
invitando al silenzio e alla quiete.
Entro una debole luce
da luoghi sconosciuti
potremo veder sfilare fossili e farfalle
mentre il giorno scolorirà
ai bordi della mente
e un generoso vento
coglierà tra i rami le tenere foglie
adagiandole sui prati
assieme ai nostri sogni.
foto Benny
Grazie! Grazie!
per quando il tuo letto ha solo l’impronta del tuo corpo stan-
co, ma tu sei all’aria aperta in mezzo ai fiori,
perché la sofferenza oggi non ha vinto.
Grazie!
per i tuoi sorrisi e le tue silenziose strette di mano,
perché la sofferenza non ti ha vinto.
Grazie!
perché sono con te, dietro ai tuoi occhi chiusi,
perché la sofferenza non mi ha vinto.
Grazie!
per quando lasci il tuo corpo sofferente, come un abito smes-
sso, e sei, se lo vuoi, nell’abbraccio di Dio.
La sofferenza non ha vinto! Maria Teresa
Pagina 8 Hospice di Casale - Dicembre 2013
Poesie
A mia moglie Giannina
Venezia C’iaveva un sogno dentro li pensieri:
Venezia coi suoi calli e coi suoi rii
ma, a forza de ritardi e de rinvii,
passarono e i giorni e l’anni interi.
A lungo andar, divenne un’utopia,
un desiderio mai realizzato,
un sogno irraggiungibile fugato
da un brutto mal che se la portò via.
Or da lassù la vede tutti i giorni
e il mare immenso tutto attorno vede
pure la terra e gli astri dei dintorni:
è una certezza; me la da la fede!
Roberto Tinelli
■ Con le lettere ricevute
Uno spicchio di vita dell’Hospice Zaccheo
Continua questa rubrica con una lettera di Laura: siamo a tua disposizione per far sentire la tua voce
Martedì 30 luglio ore 20,57
M i chiamo Laura, sono la mamma di
due figli stupendi.Cristian e Jessica,
da un mese ho conosciuto la struttura Hospi-
ce di Casale, dove ho ricoverato mio figlio
Cristian malato. Ringrazio Dio che esiste una
struttura così efficente con personale che ti fa
sentire una persona non un numero, non
pensavo che potesse esistere una cosa così,
un angolo del Paradiso con il personale che
sono angeli sulla terra… dal personale medi-
co, le infermiere, le volontarie… tutte perso-
ne affabili, tenere, sempre con un sorriso che
ti aiuta a superare i momenti tristi.
Hanno sempre parole dolci, tenere… grazie
che ci siete, grazie che mi aiutate a superare
questo momento, dopo la morte di mio mari-
to non sapevo più come fare a seguire Cri-
stian, ero disperata, invece grazie a voi riesco
a dare a Cristian dei giorni sereni. Grazie a
tutti voi.
Mamma Laura
Domenica
18 agosto
2013 ore
20,50
G razie…
ab b ia -
mo passato
un ferragosto
s e r e n o …
grazie alle
v o l o n t a r i e
Maria e Ma-
rina per le
buone lasa-
gne al pesto,
per la crosta-
ta, le pesche
ripiene al
forno… Grazie che con il vostro aiuto
abbiamo passato un giorno sereno, tutti
assieme sembravamo una grande fami-
glia, iniziando dalla dottoressa e dal
personale che hanno mangiato insieme
a noi famigliari rendendo più sereno
questo giorno di festa. Grazie, che Dio
benedica tutti voi, e spero un domani di
poter far parte della vostra associazione.
Grazie, per come curate e seguite mio figlio
Cristian, e tutti i pazienti, siete angeli sulla
terra. Grazie…
Mamma Laura
Sabato 21 settembre 2013, ore 22,25
A more, Comprensione, Serenità, Dignità,
Famiglia… tutte queste parole raggrup-
pate insieme rappresentano la struttura Ho-
spice di Casale dove è ricoverato mio figlio
Cristian. Angeli, le persone che lavorano lì,
si possono definire angeli, iniziando dalla
dott. Degiovanni che ti fa parlare con amore
della malattia che purtroppo sta invadendo il
corpo di tuo figlio, dalle infermiere e infer-
mieri che hanno sempre un sorriso per noi,
una carezza, piccoli ma grandi gesti che aiu-
tano a farti superare questi momenti special-
mente quando sei sola, dalla volontarie che
arrivano con il loro sorriso portando un rag-
gio di sole anche se dentro di te c’è il grigio.
Cristian grazie a tutto questo da quando è lì
nonostante che abbia una malattia si è ripre-
so, perché lì c’è amore, serenità e c’è un
giardino dove Cri ha potuto passare in sereni-
tà l’estate, stando tutti i pomeriggi fuori,
passando le serate con gli amici. Questo
giardino fantastico dove Cri continua a pas-
sare, fin che ce la farà, i pomeriggi è un po-
sto magico dove ogni angolo rivive una parte
di persone che sono state lì, ma che hanno
desiderato lasciare
una loro traccia
con un fiore, con
una pianta, o con
altre donazioni
che possono alle-
stire il giardino
del mistero della vita.
Un giorno, mentre eravamo lì seduti in giar-
dino, Cri mi disse che voleva regalare un
ciliegio, io gli chiesi perché proprio il cilie-
gio, lui mi rispose perché era una pianta con
una bella fioritura. E ha ragione perché sono
andata a vedere il significato di questa pian-
ta e ho trovato che ha una bella fioritura che
indica che tutto ciò può ricordare la vita.
Ecco io devo ringraziare tutti voi dalla dott.
Abbiamo ricevuto e pubblichiamo:
L'Hospice non è stata l'ultima "stazione"
della sua "Via Crucis" (passatemi il parago-
ne!!) ...ma sicuramente è stato un luogo in
cui mi sembrava quasi che la malattia rallen-
tasse la sua opera di distruzione interna a
quel corpo della mia mamma… Forse perchè
i tanti stimoli esterni disturbavano la sua
voracità da mostro affamato e impietoso…
Si, credo di si!! Le voci, i colori, la cortese
sincera e discreta attenzione, il "calore acco-
gliente" delle stanze… tutto cio' impediva
alla malattia di "fare presto"… All'Hospice
tutto dice agli ospiti: "c'e' tempo, c'e' tempo
per morire… ora guardati intorno e gioisci
delle piccole cose della vita di cui forse non
hai avuto tempo e modo di apprezzare…
accetta questa gioia… perchè questa è gioia
vera!!!".
Frediano
Degiovanni, dott. Alma, tutte le infermiere,
Paola, Sabrina, Valery, Pinuccia, Enrica,
chiedo scusa vorrei mettere i nomi di tutte
ma non li ricordo, le volontarie tramite la
mitica Maria, vi ringrazio di cuore per il
vostro aiuto, a Benny che è sempre disponi-
bile, grazie che ci siete, grazie per il vostro
sostegno. Grazie per il vostro lavoro fatto
con tanto amore, continuate così a dare amo-
re agli ammalati, a trasmettere serenità e
dando loro dignità.
Grazie che Dio vi benedica e che la Mamma
Celeste vi protegga sempre. Grazie a tutta la
grande Famiglia.
Mamma Laura
foto Monica
Hospice di Casale - Dicembre 2013 Pagina 9
■ Giorgia, insegnante Reiki in Hospice
Un abbraccio immenso con un’accoglienza unica
R eiki è una parola giapponese che signi-
fica Energia Universale. In Giappone è
anche il nome dato ad un trattamento che si
pratica per ottenere un riequilibrio del campo
energetico e riporta-
re armonia nella
persona che lo rice-
ve.
La prima volta che
accettai un tratta-
mento Reiki, non
sapevo bene cosa
fosse. Mi affidai
alle mani di una
persona a me scono-
sciuta, che mi disse:
non devi fare nulla,
sdraiati e rilassati
un po'.
Cos'è un trattamento Reiki, posso spiegarlo
solo dopo averlo provato. Di base l'operatore
appoggia le mani in varie zone del corpo,
delicatamente, e le sposta di tanto in tanto,
insistendo su alcuni punti. Questi gesti porta-
no al lasciarsi andare, al sentire che ci sono
mani che, semplicemente appoggiandosi, ci
coccolano.
La prima volta che ricevetti un trattamento
Reiki, mi sentii bene: ammetto che provavo
una certa immotivata commozione. Le mani
mi trasmettevano energia riuscivano a darmi
benessere. O forse ero io che, sententomi
toccata, con un semplice gesto di appoggio,
percepivo accettazione, accoglienza e amore.
Ricevere Reiki è lasciarsi andare alla propria
energia. Di fatto l'operatore convoglia ener-
gia nel corpo che sta trattando, senza nessuna
pretesa di guari-
gione, ma sempli-
cemente portando
la sua presenza
all'altro, ascoltan-
do l'altro.
Dietro ogni perso-
na c'è un cumulo
di esperienze che
segna inevitabil-
mente il carattere
e i modi: trasmet-
tere Reiki è tra-
scendere ogni
cosa che definisce
una persona, accettandola semplicemente per
quello che è, indipendentemente dalla condi-
zione di ognuno (sociale, fisica, emotiva,
ecc..).
Nella società moderna manca il tocco. Ci si
stringe a malapena la mano, e da quando ci
sono i social network, capita che sia più faci-
le mandarsi un sorriso virtuale che reale.
Reiki insegna il tocco: gentile, non invadente
e delicato.
Ritengo che oggi Reiki sia una tecnica fonda-
mentale: quante volte vorremmo essere a-
scoltati? Quante volte desidereremmo essere
accettati per quello che siamo? In un tratta-
mento Reiki nessuno fa domande, nessuno
chiede o fa diagnosi. Ci sono solo mani di-
sposte a dare. Dare energia. Anni orsono fu
per me importante conoscere Reiki e trasmet-
terlo ad un vicino parente ammalato, poco
prima che morisse. Fu un'esperienza molto
intima, che fece in modo che la sua dipartita
non restasse un addio: era toccarlo e sentirlo
energeticamente, non solo nel suo corpo, ma
attraverso di esso.
Sono stata felice di poter insegnare Reiki alle
volontarie Vitas dell'Hospice di Casale. Ho
voluto trasmettere tutto quanto ho imparato,
utilizzando Reiki prima su me stessa e poi
sugli altri. Il seminario che ha portato alcune
volontarie al primo livello di trattamenti
Reiki, è stato un abbraccio immenso. Il lavo-
ro dei volontari è altrettanto immenso e ho
trovato un'accoglienza unica. Le volontarie
hanno imparato a portare il trattamento su se
stesse e sugli altri, concedendosi un'apertura
alle energie che il luogo Hospice già trasmet-
te. Non a caso la struttura dispone di fontane
d'acqua, spazi dedicati alla natura e ai colori
che trasmettono energie armoniose come
Reiki.
Sono certa che ci saranno altre occasioni per
diffondere questa armoniosa energia, che
unisce le persone e rende unici i momenti,
proprio grazie all'ascolto e alla presenza che
ognuno porta.
Georgia Caprino / Insegnante
Komyo Reiki
Q ualcuno mi ha chiesto giorni fa se, po-
tendo rinascere, avrei vissuto la vita in
maniera diversa. Lì per lì ho risposto di no,
poi ci ho pensato un po’ su e…
Potendo rivivere la mia vita, avrei parlato
meno e ascoltato di più.
Non avrei rinunciato a invitare a cena gli
amici soltanto perché il mio tappeto aveva
qualche macchia e la fodera de divano era
stinta.
Avrei mangiato briciolosi panini nel salotto
nuovo e mi sarei preoccupata molto meno
dello sporco prodotto dal caminetto acceso.
Avrei trovato il tempo di ascoltare il nonno
quando rievocava gli anni della sua giovi-
nezza.
Non avrei mai preteso, in un giorno d’estate,
che i finestrini della macchina fossero alzati
perché avevo appena fatto la messa in piega.
Non avrei lasciato che la candela a forma di
rosa si sciogliesse, dimenticata, nello sga-
buzzino. L’avrei consumata io, a forza di
accenderla.
Avrei pianto e riso di meno guardando la
televisione e di più osservando la vita.
Avrei condiviso maggiormente le responsabi-
lità di mio marito.
Mi sarei messa a letto quando stavo male,
invece di andare febbricitante al lavoro qua-
si che, mancando io dall’ufficio, il mondo si
sarebbe fermato.
Invece di non veder l’ora che finissero i nove
mesi della gravidanza, ne avrei amato ogni
attimo, consapevole del fatto che la cosa
stupenda che mi viveva dentro era la mia
unica occasione di collaborare con Dio alla
realizzazione di un miracolo.
A mia figlia che mi baciava con trasporto
non avrei detto: “Su, su, basta. Và a lavarti
che la cena è pronta”.
Avrei detto più spesso: “Ti voglio bene” e
meno spesso: “Mi dispiace”… ma soprattut-
to, potendo ricominciare tutto daccapo, mi
impadronirei di ogni minuto…
lo guarderei fino a vederlo veramente…, lo
vivrei… e non lo restituirei mai più.
foto Simona
Dolcissima 9 agosto 2013
Dolcissima, le labbra schiuse in un
sorriso accennato, come il trucco
discreto che raffina la tua bellezza.
Nella penombra il mio sguardo si
inganna, tanto che sembri assopita…
Vorrei accarezzarti ma trattengo la
mano e il fiato. Non posso. Come sei
bella, dolce e composta come la prin-
cipessa di una favola, che però non
risveglierà il bacio di un principe…
Dopo tanto rumore, intorno a te silen-
zio, o poche parole pronunciate sotto-
voce: sei già oltre, mentre il tuo gio-
vane cuore riposa nella quiete che
non conoscevi più. Indugio a guar-
darti, tra lacrime che non si fermano
ancora…. “L’altra vita”, ostile da
sempre, solo oggi mi accarezza
l’anima. Si è compiuto il “nostro”
miracolo Mariana, sei tu!
Claudia
Riflessioni di Loredana
Pagina 10 Hospice di Casale - Dicembre 2013
■ Il volontario casalese visto da una componente politica
“Il regalo della vita”
R ifletto sull’argomento prendendo spunto
da alcuni dati recenti pubblicati da
Giancarlo Rovati, docente di sociologia
dell’Università Cattolica di Milano: “il 24 %
degli europei svolge attività di volontariato,
in Italia la percentuale sale al 26%. Nel no-
stro Paese le associazioni no profit coprono il
70% dei servizi di emergenza, dal pronto
soccorso sanitario al pronto intervento in
caso di disastri naturali”.
L’economista Stefano Zamagni in un suo
studio su questo tema afferma: la cultura
della solidarietà si sta facendo largo sempre
di più anche tra i giovani. Secondo l’Istat il
12% dei 18enni italiani lavora in associazioni
impegnate nell’assistenza sanitaria, nelle
attività sportive ricreative e nella tutela
dell’ambiente. Questa solidarietà nel nostro
Paese conta dal punto di vista economico
almeno un quarto del nostro Pil.
La nostra città ben riflette la situazione su
descritta, perché in essa è molto viva la cul-
tura della solidarietà, una solidarietà cresciu-
ta e maturata grazie all’operato in diversi
settori di moltissime associazioni di volonta-
riato presenti sul nostro territorio da decenni,
a cominciare dalle Parrocchie e dagli Oratori.
L’Albo Comunale delle Associazioni
(attivato dall’amministrazione comunale dal
2012) oggi conta quasi un centinaio di Asso-
ciazioni. E in questi giorni è diventato ope-
rativo l’“Albo comunale del Volontariato
Individuale”, un nuovo strumento che per-
mette ai singoli cittadini di svolgere facil-
mente attività di volontariato di carattere
sociale, civile e cultura-
le.
Nessuno può negare il
valore fondamentale del
volontariato casalese che
si esprime in molte atti-
vità e diversi settori,
perché esso svolge
un’opportuna e necessa-
ria supplenza al mancato
intervento da parte dell’Ente pubblico. I ri-
sultati sono visibili e molto apprezzati da
tutti.
Il problema è il rapporto tra la politica e la
pubblica amministrazione e il volontariato,
che deve essere sostenuto in tutte le sue for-
me rispettandone l’autonomia. Non basta il
semplice riconoscimento. Politica e pubblica
amministrazione devono andare oltre: i vo-
l o n t a r i s o n o d e i b a t t i s t r a d a
nell’individuazione dei problemi e delle esi-
genze della società ben prima che si aggravi-
no e diventino più difficili da risolvere o
sanare. Vigilare, osservare, sostenere, studia-
re sono le attività che competono alla pubbli-
ca amministrazione; sono un mezzo impor-
tante per conoscere meglio la società in cui
operano.
La conoscenza e l’ascolto dei vari settori del
volontariato diventa così un fattore impre-
scindibile per impostare il welfare cittadino e
territoriale per renderlo più aderente alla
realtà, più efficace nella risposta ai bisogni
delle categorie più deboli e che faccia siner-
gia con il lavoro svolto dai volontari. Ne
deriverebbe anche un migliore e più efficace
utilizzo delle risorse pubbliche. I volontari,
infatti, sono più vicini alle realtà concrete,
sono essi stessi parte della società ed hanno
una spiccata sensibilità per co-
glierne i problemi.
Il volontariato dal canto suo
deve essere preparato, consape-
vole e critico; deve saper porre
alla società questioni forti che
esigono una cultura politica di
forte innovazione e cambiamen-
to.
Sono convinta che la cultura
politica non può più pensare al
volontariato come una questione tra le tante,
ma come una modalità di rappresentare
l’urgenza di una politica che dà risposte, che
sa coniugare il concreto con le scelte genera-
li.
Il volontariato è un formidabile strumento
per l’attuazione e la crescita di una politica a
difesa degli interessi deboli e non solo per
ragioni economiche o auto rappresentative,
ma per forti ragioni ideali e di capacità di far
prevalere sempre l’interesse generale su
quello particolare o peggio di parte. Questa è
la politica ispirata alla solidarietà. E la politi-
ca deve supportare l’azione del volontariato
nelle forme con le modalità che si rendono
necessarie nei diversi contesti.
Mi sia consentito in conclusione di esprimere
un apprezzamento per l’attività svolta con
grande dedizione dai volontari di VITAS,
che operano in un settore delicatissimo con
coraggio, sensibilità e grande professionalità,
offrendo anche una preziosa testimonianza a
tutto il volontariato casalese.
Maria Merlo
■ Paola, volontaria Vitas
TAM = Team al meglio B uongiorno, il mio nome è Paola e sono
una volontaria Vitas.
La nostra collaborazione con il personale
dell’hospice cerca di essere sempre più inte-
grata e questo avviene grazie alle infermiere,
le oss e naturalmente alla
dottoressa Degiovanni, che
ci ha invitate a partecipare
ad un corso di aggiorna-
mento (tenuto presso la
nostra struttura) su come
lavorare al meglio in un
team multifunzionale.
Il corso aveva come focus la presentazione di
un modello operativo, da ritarare” nelle
singole e specifiche realtà, per lavorare bene
ed efficacemente. Il modello si chiama TAM
= Team Al Meglio.
Ci sono stati momenti espositivi integrati poi
da discussioni, confronti guidati e alternati
a momenti di coinvolgimento attivo dei par-
tecipanti attraverso anche esercitazioni,
simulazioni e giochi di ruolo.
Il programma si è articolato in due giornate
di lavoro. Coordinatore e docente: dott.
Marco Rotondi, Presidente dell’Istituto Eu-
ropeo Neurosistemica (IEN) e di Med I Care.
Già responsabile Nazionale AIF sanità. Co-
docente dott. Stefano Falletti,
Consulente formatore senior
presso IEN.
Si è parlato delle varie fasi di
vita di un team, le sue tipolo-
gie e una definizione di un
team vincente, delle dinami-
che di gruppo per arrivare ad
un modello di funzionamento capace di inte-
ragire in modo efficace.
La mia esperienza è stata estremamente
positiva. L’ottimizzazione della collaborazio-
ne tra le persone che hanno come obiettivo
l’accompagnare i nostri pazienti ed i loro
parenti in un percorso delicato e sicuramen-
te difficile è un tassello importante che ci
permette di mantenere e migliorare costante-
mente l’ambiente “hospice”.
L’albero è bello
In inverno in una notte stellata
le stelle sembrano appese ai rami,
il cielo grigio, la brina, la nebbia,
fiocchi di neve.
Al primo sole si scioglie tutto,
bagna il terreno che è stato il suo letto,
nascono viole myosotis,
margherite, piccoli fiorellini,
l’albero si sveglia,
i rami, turgidi gemme e fiori gentili,
poi frutti succosi che morsicati
danno alle labbra un delicato bacio
ed è come un’esplosione d’AMORE
****
L’universo è misterioso come chi non ha
mai amato,
non ha mai esplorato questo sentimento.
L’amore è un mistero, si dà al mondo intero
ed è bello,
vedi il firmamento da vicino.
Tu per il mondo sei una persona,
per me sei il mondo INTERO
Hospice di Casale - Dicembre 2013 Pagina 11
22 ago 2013, Colle del Nivolet
A vevamo già tentato nell’estate del
2012, Assunta ed io, di salire al ghiac-
ciaio del Basei; il meteo dava temporale
dalle 17 in poi e avevamo calcolato di rien-
trare prima di quell’ora. Invece l’incontro
con il pastore “bersagliere”, questo il so-
prannome, ci aveva da una parte regalato la
piacevolezza della conoscenza di una perso-
na veramente interessante, dei suoi racconti
e delle sue considerazioni circa la presenza
dei lupi sulle terre del Gran Paradiso, ma
dall’altra ci aveva accorciato i tempi utili per
salire al ghiacciaio e scendere entro l’ora
prevista del temporale. Ci eravamo fidati
molto delle nostre gambe ed eravamo saliti
ugualmente. Solo fino ad un certo punto, poi
all’improvviso, anticipando i tempi del me-
teo, ecco arrivare da ovest, da dietro la mon-
tagna, il temporale. Improvviso, violento,
fulmini e scoppi di tuono assordanti e noi
eravamo dovuti ritornare velocemente sui
nostri passi. Non è bello prendersi un tempo-
rale in montagna specie se si è a quote eleva-
te, e noi lo eravamo. Avevamo preso acqua e
grandine ben prima di raggiungere il rifugio
Savoia, una lavata che ci aveva consigliato
di essere più cauti la prossima volta.
Avevo tentato da solo nella prima metà di
agosto 2013, e giunto a metà salita si era
alzato un vento fortissimo che rendeva diffi-
cile proseguire su quei ripidi sentieri. Ero
tornato indietro ripromettendomi che al
prossimo tentativo avrei badato di più al
meteo.
Il 21 agosto mi alzo presto per tornare al
Basei: è nuvoloso, inutile partire con queste
condizioni. Poi durante la giornata il tempo
rischiara e parlando con qualcuno del posto
vengo a sapere che sul Nivolet c’è stato sole
tutto il giorno.
Il 22 agosto il tempo è sempre nuvoloso a
Ceresole, io mi sono alzato presto , mi sono
preparato a dovere lo zaino, i bastoncini, la
voglia di andare è tanta, quasi una sfida,
sono determinato ad arrivare in cima, Assun-
ta mi prepara un panino con la
toma, ho la borraccia, vado.
Sulla piazza del paese incon-
tro il “bersagliere”, è sceso in
paese per rifornirsi, gli chiedo
che tempo farà oggi sui monti
e lui con la sua ruvida voce mi
risponde: “vai che lassù trove-
rai sole per tutto il giorno”.
Mi guarda partire, sento il suo
sguardo che mi accompagna,
forse vorrebbe per un giorno
lasciare il gregge e scarpinare
in vetta.
Lascio dietro di me le nuvole
appena raggiungo le baite di
Chiappili alto, da lì in poi sarà
solo sole, limpido sole, aria
tersa e silenzio.
Al rifugio Savoia bevo un caffè lungo poi
parto. L’intenzione era di incontrare qualcu-
no che salisse da quelle parti per non essere
solo, invece non c’è proprio nessuno. Seguo
il sentiero per i primi tratti poi taglio decisa-
mente i prati, so dove dirigermi, so evitare i
laghi e i torrenti, davanti a me si staglia la
montagna, imponente, la forma strana di un
mezzo anfiteatro, i suoi ghiacciai che stanno
morendo. Noto i tanti nevai che ancora ci
sono fino a quote basse. E’ nevicato fino a
giugno, nevicata che aveva fatto dirottare la
gita di VITAS, in origine programmata per
arrivare al Nivolet, a Rhemes Notre Dames.
Il tempo è uno spettacolo, se guardo a valle
verso Ceresole vedo una tappeto di nuvole
che nascondono tutto, se guardo in alto vedo
le cime innevate, un cielo azzurro intenso,
limpido e senza vento, il sole abbagliante e ..
un’aquila reale. Volteggia alta per poi ab-
bassarsi fin quasi a nascondersi in una parete,
fotografo quel luogo, è possibile che lì ci sia
un suo nido ma non lo individuo. Prendo a
salire per un sentiero piuttosto impegnativo,
il tracciato è per escursionisti esperti, quindi
non difficile, ma gli smottamenti invernali
rendono difficoltosi alcuni passaggi superati i
quali mi attacco alle corde del tratto assistito
e sbuco di fronte al vallone che porta al Ba-
sei. E’ un enorme mezzo anfiteatro che pog-
gia su torrioni che sprofondano fino a valle e
una conca che si può attraversare in diagona-
le su di una lunga e ripida pietraia. Qui il
procedere diventa più facile, una marmotta
mi saluta con un fischio, io la rassicuro e la
saluto con un fischio, la avviso che c’è
un’aquila in giro, deve stare attenta se vuole
portare a casa la pelliccia. Attraverso la con-
ca e attacco la parte rocciosa finale. Avevo
già attraversato nevai sulla pietraia ma qui la
traccia sulla neve è flebile, vaga, appena
accennata, a volte inesistente. Arrivo
all’altezza del ghiacciaio, lo costeggio, sono
quasi in cima, l’aria è fresca, il silenzio asso-
luto. Respiro a pieni polmoni, con un po’
d’affanno, un ultimo
sforzo e ci sono. Fanta-
stico paesaggio, poso lo
zaino, i bastoncini, mi
sistemo sulla cresta,
volgo lo sguardo attorno
e, poco lontano, scopro
una coppia che si sta
preparando al ritorno.
Lui si chiama Walter e
lei Ines, ci aggiorniamo
sul percorso che abbia-
mo seguito, ci scattiamo
delle foto (Walter è un
fotografo professioni-
sta). Mi invitano a scen-
dere con loro, declino
l’invito, io sono appena
■ Bruno Marchisio, vice-presidente VITAS
Quattro passi sopra le nuvole
(continua a pagina dodici)
arrivato su, voglio godermi un po’ la monta-
gna, sentire la sua voce, ammirare con calma
tutti i quattromila della Val d’Aosta. Ci sono
proprio tutti, li vedo e li riconosco, il Bianco
sembra a due passi, il Gran paradiso a portata
di mano, vedo in là fino al Cervino, al Rosa,
vedo le montagne francesi e quelle svizzere,
è una bellezza. Il sole brucia e, anche se sono
arrivato accaldato, comincio a sentire qual-
che brivido di freddo. Mi stendo sulla roccia
della cresta, è abbastanza larga per poterci
stare comodi e in sicurezza. Lascio scorrere
il tempo, ascolto la natura, mi fondo in essa.
Vivo momenti di simbiosi assoluta, sento di
essere una parte di quel tutto, di esserne un
tutt’uno. Sono quei momenti in cui sento la
totale appartenenza a madre natura, sento la
mia piccolezza di fronte alla sua immensità.
La coppia ha preso a scendere, su quel monte
resto solo io, io e l’aquila. Guardo il ghiac-
ciaio che ormai è sotto di me, lo vedo in
agonia, tutti i ghiacciai stanno morendo, una
morte lenta e inesorabile. Il riscaldamento
globale li sta uccidendo. Se la gita di VITAS
fosse andata al Nivolet si sarebbe fatta una
tappa al museo glaciologico organizzato da
Mercalli nei pressi del lago Serrù, dove si
dimostra con mappe comparative come siano
velocemente arretrati i ghiacciai negli ultimi
decenni. Chissà se i governanti degli stati del
mondo si rendono conto di cosa significhi
una terra senza ghiacciai. Io non sono ottimi-
sta. Uccidere la natura significa uccidere
l’uomo, l’uomo si è sempre ucciso tra se per
vari motivi, territoriali, religiosi, per il domi-
nio fine a se stesso, per la ricchezza, per il
cibo, per il petrolio. Ma oggi l’unico motivo
sembra essere l’interesse di pochi contro la
vita di tutti. L’interesse a non voler cambiare
un tipo di sviluppo che ci sta portando velo-
cissimamente all’autodistruzione. Con questi
tristi pensieri comincio a scendere lentamen-
te; perdo la traccia un paio di volte, mi oriz-
zonto con gli ometti (piccoli cumuli di pietre
che qualcuno costruisce ad indicare una dire-
zione, un posto pericoloso, una posto panora-
mico), poi ritrovo il sentiero. Mi affretto,
quella immensa solitudine può essere grade-
vole ma anche schiacciante, i passi seguono i
passi, i raggi del sole sono obliqui, l’aria è
più fresca. Prima di arrivare alle corde trovo,
dietro una roccia riparata dalla brezza, la
coppia che avevo incontrato in cima. Stanno
mangiando e questo mi ricorda che anch’io
foto Bruno
foto Bruno
Pagina 12 Hospice di Casale - Dicembre 2013
Continua dalla pagina precedente
Quattro passi sopra le nuvole ho un panino quindi mi siedo con loro e lo
divoro. Si parla del ghiacciaio, dei ghiacciai
e di quel gruppo di francesi che qualche anno
prima, provenienti dal versante francese delle
alpi, avevano cercato di scendere il versante
italiano. Erano morti in cinque, non erano
attrezzati in modo adeguato, non erano pre-
parati nella conoscenza geografica del per-
corso che volevano seguire. Il versante fran-
cese che sale su quei monti è esposto a sud-
ovest, quello italiano a nord-est. Tutta qui la
differenza. Di là si sale per un facile sentiero
di alta montagna, di qua si scende per i
ghiacciai. E loro sono scesi troppo in fretta,
senza conoscere le piste, senza guide. I soc-
corritori che li hanno trovati stentavano a
credere che qualcuno avesse tentato
l’attraversata con la scarsa attrezzatura che
avevano. Il tempo scorre, la compagnia è
gradevole, Walter e Ines sono delle belle
persone, mente aperta, amore e rispetto per la
natura. Ci scambiamo informazioni recipro-
che, sono curiosi di sapere di Casale, della
vicenda Eternit; hanno seguito in tv e sui
giornali un po’ tutta la storia ma la testimo-
nianza diretta è altra cosa. Non ho molto da
aggiungere a ciò che già sapevano, chiarisco
che oggi Casale è la città più deamiantizzata
del mondo, anche se di amianto ce n’è ancora
tanto, e che ognuno di noi casalesi ha respira-
to quel polverino che uccide e che la nostra
città è sede di una strage continua che au-
menta di anno in anno e che questa strage
durerà ancora a lungo.
Non so come ma il discorso scivola sul dirit-
to alla morte, diritto negato agli italiani così
come è negata la libertà di votare il candidato
preferito alle elezioni politiche, così come è
negata la procreazione assistita, il diritto a
rifiutare l’accanimento terapeutico ecc. Vi-
viamo in uno stato occidentale dove certi
diritti e libertà vengono umiliati come in uno
stato etico da una casta che si sente al di
sopra della legge e del buonsenso. Ma è spe-
cialmente il diritto alla morte che tiene ban-
co. Nella vicina Svizzera è andato a morire
dolcemente Lucio Magri, nella nostra Italia
un vecchio di 92 anni, Mario Monicelli, ha
dovuto buttarsi dal quinto piano per afferma-
re il suo buon diritto a morire. Recentemente
anche Carlo Lizzani. Una legge di civiltà in
Italia potrà mai esistere? Una legge contro
l’accanimento terapeutico ad esempio? Una
legge contro l’omofobia? Per la procreazione
assistita e la libertà di ricerca sulle staminali?
Ius soli? Una legge che non ammetta interfe-
renze di nessuna etica religiosa o non nella
vita politica italiana? Sono sempre pessimista
a riguardo.
Volgo lo sguardo
verso il monte e scor-
go lì vicino un camo-
scio che ci osserva
incuriosito. Mi alzo e
lo fotografo, ci guar-
diamo negli occhi, gli
dico che sono suo
amico,che non ha
nulla da temere da
me. Scuote il capo,
vede degli umani e
non si fida e poi noi cosa facciamo sulle sue
terre? Si gira e agilmente si allontana.
Finalmente riprendiamo la discesa soffer-
mandoci di tanto in tanto ad osservare straor-
dinari scorci panoramici, le vette innevate, a
respirare a pieni polmoni quell’aria fresca e
pura, scambiandoci ancora il piacere di
quell’incontro.
Arrivati al rifugio Savoia ci prendiamo un
caffè, seduti su una panca all’aperto; il clima
è mite, non c’è vento, la valle del Nivolet è
davanti ai nostri occhi solitaria, affascinante
e deserta. Senza averlo richiesto arriva anche
una bottiglia di Genepy.
Ci facciamo un goccetto alla volta, poi ci
accorgiamo che sta diventando tardi. Pur-
troppo non riesco a telefonare ad Assunta
perché lì i telefonini proprio non funzionano,
sono le 19 passate, ed è tempo di tornare
anzi, è un po’ tardi. Stanco ma felice della
giornata prendo a scendere verso Ceresole e
a metà strada trovo Assunta che sale per
venirmi a cercare. Ma come mai, le chiedo, e
lei ancora con un po’ d’angoscia mi dice che
ha avvisato la squadra di soccorso alpino
aereo e che adesso deve
avvisare che mi ha trovato,
che non è successo nulla,
insomma che sono lì. Sono
stupito ma poi capisco la sua
ansia, mi aspettava a casa al
più tardi per le cinque, ades-
so sono le sette e mezzo e
sta per fare buio e ha temuto
che mi fosse successo un
incidente: basta una storta o
un malore e da solo lassù
che facevi?
Si ha ragione, ma i telefonini là non prendo-
no…
foto Bruno
■ Una scritta nell’entrata dell’hospice che deve farci rilfettere
Dono di una volontaria dell’AVO
vetrina. Mi informai per acquistarlo, purtrop-
po l’articolo non era in vendita. Presi quindi
nota delle belle parole che già sentivo appar-
tenermi “Le famiglie sono come i quilts, vite
cucite assieme, unite con sorrisi e
lacrime, colorate con ricordi e tenute
insieme con il filo dell’amore”.
Al mio rientro ne parlai con Isabella,
la mia cara amica, in quanto era alla
ricerca di uno spunto per realizzare un
grande quadro da appendere su una
parete della sua casa.
Così lei con tanta pazienza e bravura
è riuscita a concretizzare nel modo
migliore questo mio ricordo cucendo
l’arazzo.
Poi, in occasione della ricerca di og-
getti da donare per la raccolta fondi
per l’Hospice Zaccheo, Isabella ha
deciso di donarlo in quanto l’arazzo
può ricordare a chi legge la frase cucita sopra
che l’amore e l’affetto che unisce la famiglia
non muore mai, perché sono fili indissolubili
che neppure la morte può rompere.
Maria Teresa e Isabella
Durante una gita a Riomaggiore (Cinque
terre) alla ricerca dei miei ricordi ripercor-
rendo strade che un tempo mi avevano vista
felice accanto alla mia famiglia restai colpita
dalla frase scritta su un arazzo esposto in una
A ttraversavo un periodo molto triste della
mia vita, in poco tempo avevo perso
tutte le persone a me più care: mia madre
prima, dopo pochi mesi mio padre e infine
mio marito.
foto Benny
Hospice di Casale - Dicembre 2013 Pagina 13
“O gni uomo nella vita non è mai so-
lo…” e soprattutto nell’ultimo per-
corso di viaggio non lo dovrebbe mai essere.
Le Cure Palliative di cui si occupa Vitas ogni
giorno affrontano una esperienza nuova per
ciascun paziente e noi volontari nel “nostro
lavoro” quotidiano”, trovando delle difficol-
tà nel gestire
una situazione
di disagio di un
nostro paziente,
abbiamo pensa-
to di contattare
l’associazione
Vidas di Milano
che ha una
esperienza tren-
tennale nel
servizio di vo-
lontariato.
Vidas fondata
nel 1982, è nata con l’obiettivo di soddisfare
a domicilio tutti i bisogni del paziente che
necessita di Cure Palliative e del suo nucleo
familiare.
Dal 2006 offre ai pazienti la possibilità di
fruire di un percorso residenziale presso
l’hospice “Casa Vidas” per rispondere a
condizioni clinico-sociali specifiche. Presso
la struttura, dal 2007, sono disponibili anche
attività a ciclo diurni per i pazienti che con-
servano un discreto grado
di autonomia.
Vidas si muove sul terri-
torio di Milano e hinter-
land con le figure profes-
sionali esperte in Cure
Palliative: medici, infer-
m i e r i ,
assistenti sociali, psicologi,
operatori socio sanitari, fisio-
terapisti e volontari.
Il 5 luglio scorso dopo
“enormi fatiche gestionali”
siamo riusciti a concordare
un momento di incontro
sull’Asse Milano-Casale nel
giardino del nostro hospice.
La giornata di sole ha rispec-
chiato i nostri sentimenti
reciproci di accoglienza e di
calore… pur non conoscen-
doci personalmente.
Federica, Monica e Roberta (coordinatrici
hospice e assistenza domiciliare e formazio-
ne volontari) sono rimaste particolarmente
colpite dalla bellezza e dalla fioritura del
nostro giardino. Ad accoglierle un gruppo di
volontarie, la dott. Budel, la psicologa dott.
Venier e la caposala Paoletta che facendo
“gli onori di casa” hanno fatto visitare le
camere, il soggiorno e la cucina.
Il nostro incontro si è svolto sotto il gazebo
del giardino e con caffè e krumiri ci siamo
conosciuti vicendevolmente scambiandoci
informazioni dell’una e dell’altra associazio-
ne, condividendo soprattutto le problemati-
che che ogni giorno si affrontano.
L’importanza di poter collaborare ed inte-
grarsi con altre realtà come Vidas arricchisce
il nostro entusiasmo, il nostro voler entrare in
relazione empatica, essere “presenti” con il
Cuore, la Mente ed i l Corpo
nell’accompagnamento finale.
Federica, Monica e Roberta ci hanno poi
ringraziato inviando questa e-mail: “Grazie a
voi! Di averci accolti così calorosamente
facendoci capire come in un gruppo più pic-
colo e meno “strutturato” del nostro possa
fluire con più spontaneità e naturalezza ciò
che bolle nel cuore di chi fa il nostro lavo-
ro… E ciò che bolle nel cuore sono valori
comuni, anche di questo abbiamo avuto con-
ferma! Grazie a voi…”
Sandra e Margherita
Nessun uomo è un’isola, compiuta in se stessa;
ogni uomo è un frammento del continente, una parte
del tutto.
Se una zolla di terra è portata via dal mare, l’Europa
diviene piccola,
così come se fosse portato via un promontorio,
o un castello di proprietà dei tuoi amici, o tuo proprio;
allo stesso modo la morte di qualsiasi uomo mi diminuisce,
perché io sono coinvolto nell’umanità.
Perciò non mandare mai a domandare per chi suona la campana:
essa suona per te.
John Donne
■ Un’esperienza di interscambio con Federica, Monica, Roberta
Vitas chiama Vidas
■ Con Vidas ed altre associazioni il 22 novembre a Milano per un corso sulle terapie diversionali in Hospice
Vidas chiama Vitas Una giornata molto intensa e piena di nume-
rosi spunti da portare a casa nella nostra
realtà quotidiana.
Ma essendo il nostro primo invito in hospice
Casa Vidas abbiamo fatto un giro per poter
vedere da vicino la loro realtà e ve ne offria-
mo alcuni stralci di foto tratti dal loro bellis-
simo sito.
Arrivederci amiche di Milano e grazie!
occupazionale: malati di Alzheimer e malati
terminali.
Nel pomeriggio la presentazione del contri-
buto dei volontari nelle realtà di CP: espe-
rienze degli hospice Antea di Roma, Gigi
Ghirotti di Genova, Casa Vidas.
Successivamente spazio per lavori di gruppo
con alcune domande a cui rispondere:
Valore e limite del contributo del volontario
nelle attività diversionali.
Possibili nuove strade delle attività diversio-
nali nelle CP per il volontario?
I volontari e l’interazione con i
professionisti nelle attività diver-
sionali.
Il senso delle attività diversionali
nell’end of life?
Q uesta bella esperienza di interscambio
speriamo sia continuativa in modo da
creare una circolarità di esperienze, acco-
gliendo il nuovo e “sperimentandolo” senza
averne paura ed imparando a non chiudersi.
Una giornata di formazione e confronto con
nella mattinata a fare chiarezza su cosa è e su
cosa non è un’attività diversionale, e sugli
ambiti applicativi nelle Cure Palliative.
Il prof. Vincenzo Puxeddu, medico Direttore
Sanitario Servizio Cure Domiciliari e Pallia-
tive CTR Onlus, Cagliari, corresponsabile
master Danza terapia Universi-
tà Sorbonne Paris Cité, Parigi
ci ha proposto il dilemma:
terapie o attività diversionali?
Claudia Monti, presidente As-
sociazione Antea, Roma, ci ha
presentato le attività diversio-
nali nell’ambito delle Cure
palliative: spazi e persone
coinvolte.
Sono state poi raccontate le
esperienze di attività diversio-
nali in hospice Casa Vidas:
attività assistite con gli animali.
Ed infine esperienza di terapia
La cupola
che fa da
cielo
all’hospice
Casa Vidas
Una visuale del piano de-
genza La zona pranzo e la Biblioteca
foto Fede
Pagina 14 Hospice di Casale - Dicembre 2013
“Sono persa… rinascerò!” “Si, mi sono persa nei meandri del mio cuore dolente, vorrei ora ri-
prendere la via del rinnovato sorriso interiore, cercando di continuare
a donarlo a me stessa per donarlo all'altro.”
U n incontro sulla elaborazione degli
abbandoni, con Luigi Colusso, medico
psicoterapeuta e formatore di gruppi AMA
(auto mutuo aiuto) inizialmente mi ha creato
un notevole disagio psicofisico. Mi
hanno invitata alla presentazione
de :”Il colloquio con le persone in
lutto”. Una esperienza di vita. Un
racconto per tutti i “dolenti e non”.
Sentirmi inadeguata, un luogo perce-
pito come sbagliato e l'attimo del
“qui ed ora” interiormente imbaraz-
zante. Non avevo mai ipotizzato
l'esistere di gruppi di aiuto sulla ri-e-
laborazione della morte qualunque
sia: fisica, spirituale. Un “io” sfatto
nella solitudine interiore, faticosa-
mente condiviso per pudore, mancata
educazione culturale, credo atavica.
L'impotenza sentita nell'io a sopravvivere al
proprio caro: emozioni laceranti. Né quantifi-
cabili e qualificabili.
Solitamente riteniamo il lutto, un dolore
prioritario che uccide le emozioni.
Raramente si considera l'abbandono anche
come una radicale cambiamento delle abitu-
dini alla “vita”. Mutazione che genera in
base alla “nascita o epilogo” della situazione
uno stress emotivo dirompente, distruttivo.
Conoscere Luigi Colusso è stato ricevere un
“dono” interiore di aria rinnovata.
Paradossale; visto che durante l'incontro
l'argomento era il lutto, la
rielaborazione dello stesso, e
la definizione del “dolore”
dell'io nel momento di ab-
bandono che pervade il sin-
golo individuo quando una
persona cara si “libera” dalla
vita o della vita. Oso, io
indicare il termine “morte”
come Liberazione. Una per-
cepita e serena dolcezza e
umanità empatica: Colusso, è
riuscito basandosi su una
rielaborata e sofferta crescita
personale a “librarsi” fino a
riassumere, esprimere e portare alla luce
emozioni insite in ognuno dei presenti
“donando” non soluzioni, ma spiragli di ri-
presa di vita. Pensieri che solo chi si autori-
genera riesce a donare.
“...Non sappiamo trovare la via per sciogliere
questo nodo, non ora, ma siamo stati capaci
di sostare insieme e di sopportarlo... accettare
di fronteggiarlo...” . Colpita da questa frase,
mi sono convinta che si possa dare una rispo-
sta al “sintomo” del dolore riducendolo me-
diante il dono della com-passione condivi-
dendola serenamente con altri.
Colusso, con scioltezza smussa macigni
dolorosi invisibili. Mascherati spesso dal
nostro modo di essere verso l'altro e la vita.
Individui a se, rinchiusi, o palesemente plate-
ali senza però essere volutamente attori:
liberare lacrime nascoste o contenerle al fine
non divengano vera patologia depressiva,
morte spirituale.
Siamo entità con sfaccettature, motivate
fortemente, e con nascosta creatività di ri-
presa che forse non ricordiamo più di posse-
dere.
Lacrime che si possano includere nel para-
digma del dono. Donarsi all'altro nell'ascolto
anche dei silenzi, spesso esaustivi. La lettura
dei segni, senza la necessità di una restituzio-
ne del dono. Creare una aggregazione di
condivisione tacita, dove sia i dolenti che i
facilitatori restano adesi uno all'altro in un
contesto di legame storicamente adiuvante.
Senza limiti di critica, giudizio e creazione di
target.
“Il seme che muore generando una nuova
pianta”: forse dovremmo tenere presente
sempre questo concetto ed adottare i tre crite-
ri fondamentali del dono.
La spontaneità del dono senza l'obbligo nello
stesso tempo di restituirlo immediatamente o
senza doverlo restituire affatto, il non poterlo
rifiutare ma accettarlo perchè è luce della
vita. Da leggere!
Alda
Avere fede non basta
“C onducimi tu, Luce gentile… condu-
cimi nel buio che mi stringe… non
chiedo di vedere assai lontano, mi basta un
passo solo il primo passo…”. Queste parole
fanno parte di una preghiera che John Henry
Newman compose durante il suo viaggio in
Sicilia. Una poesia, una preghiera,
un’invocazione, che bene esprime il bisogno
di non essere lasciati soli nella consapevo-
lezza che il buio esiste anche per chi vive di
fede. Ci sono delle situazioni difficili (e non
importa quali, ciascuno ha le sue), in cui ci
sembra di soffocare, di non riuscire ad anda-
re avanti e non puoi cambiarle. Quando ti
prende questa angoscia per l’incapacità di
gestire la vita, quando ti rendi conto che le
cose non dipendono da te, sono più grandi di
te e ogni giorno incombono come grandi
acque pronte a riversarsi su di te, e tu preghi
che si fermino e invece… si riversano, e ti
travolgono… e tu ti devi rialzare… E provi
di tutto (dallo yoga alle novene per le cose
i m p o s s i b i l i , d a l l a f u g a
all’autocommiserazione…), ma la situazione
non cambia, la vita non cambia, l’angoscia ti
stringe il cuore. E preghiamo, sì, ma pensia-
mo di non essere ascoltati, esauditi… perché,
in fondo in fondo, è questo che chiediamo
quando ci mettiamo in ginocchio: essere
esauditi nelle nostre richieste! Insistiamo
affinchè le cose vadano come le vediamo noi.
Perché il nostro modo di vedere le cose ci
appare giusto, buono… ma non ci avevano
detto che solo Dio è buono e solo Lui sa cosa
è buono? Vuoi vedere che ci sentiamo noi
dio? La supplica si leva costante: “Signore
salvami, toglimi questo peso che mi oppri-
me”. Vorresti addormentarti e svegliarti
dicendo “era solo un sogno” e andare avan-
ti. Ma che dico avanti, vorremmo tornare
indietro! Vorremmo che la vita non fosse
andata avanti svelando la nostra inadegua-
tezza, vorremmo tornare ad un passato che
non c’è più, ma che nel nostro ricordo è
sempre migliore del tempo presente. Avere
fede non basta! Pregare il Signore non serve
se la richiesta è quella di non vivere il pre-
sente. Perché è proprio questo ciò che ci
viene svelato nel dolore: il presente, una
storia che va avanti, una vita che va affronta
tata con occhi nuovi capaci di vedere cose
che prima non sospettavamo neppure. Che
fare? Che pensare? Cosa chiedere? Chiedia-
mo Luce! Chiediamo di vivere riuscendo a
vedere le cose per quelle che sono senza
voltare le spalle ad un evento che è certa-
mente più grande di noi. La preghiera, allo-
ra, non è più rivolta a Dio, ma è IN DIO,
chiediamo di entrare nella Luce, di essere
condotti dalla Luce. Ecco cosa significa
“credere in Dio”: sapere di essere nella
Luce e di non cadere nell’inganno di ritener-
ci da soli. Perché è questo il più grande er-
rore: pensare di essere soli ad affrontare la
vita. La preghiera diventa un aprire
l’intelligenza e il cuore sulla nostra vita
sapendo che va vissuta nella certezza che
siamo condotti per mano. Chi è cieco sa bene
cosa significa fidarsi di chi ti prende per
mano e ti stringe al suo fianco. Il passo lo
facciamo noi, ma il suo cammino è già trac-
ciato dalla Luce gentile che ci guida passo
dopo passo.
(di Anna Pia Viola
dalla rivista Femminile plurale)
Paulo Coelho
Hospice di Casale - Dicembre 2013 Pagina 15
■ Recensioni di Vincenzo Moretti
Infermieri per caso
Profumo di donna è un film del 1974 diretto da
Dino Risi, tratto dal romanzo Il
buio e il miele di Giovanni Arpi-
no. Il capitano in pensione Fau-
sto Consolo (Vittorio Gassman),
rimasto cieco a causa di un'e-
splosione accidentale, decide di
recarsi a Napoli dall'amico ed ex
commilitone Vincenzo, anch'egli
non vedente. Si fa accompagnare
dal diciottenne Giovanni Bertaz-
zi (Alessandro Momo), recluta in
permesso premio. A Napoli la
giovane Sara (Agostina Belli),
figlia del suo ospite, lo corteggia
e vorrebbe occuparsi di lui, che
invece è infastidito dalle sue
attenzioni. Fausto e Vincenzo
tentano di suicidarsi con le proprie pistole d'ordinanza, ma la paura
impedisce loro di riuscire nell'intento. Solo a questo punto Fausto
comprende che non può rinunciare alla vicinanza di Sara. Il film,
dove convivono patetico e umor nero, sfiora temi molto impegnativi
senza appesantirli con prevedibile retorica. “Essere cieco non è tri-
ste; essere incapace di sopportare la cecità, questo è triste”. L'afori-
sma di John Milton si confà al protagonista, che nel buio disperante
della cecità indossa una maschera di orgoglio e decoro, finché non
deciderà di accettare l’amore di Sara e la solidarietà del soldato,
“infermiere per caso” capace di sopportare con pazienza e ironia le
ubbie del suo difficile compagno di viaggio.
Scent of a woman
(Profumo
di donna) è un remake dell'omonimo film
di Risi. Charles (Chris O'Don-
nell), giovane di umile fami-
glia, frequenta un prestigioso
college grazie a una borsa di
studio. Poco prima della fine
dell’anno scolastico fu scomo-
do testimone di un episodio
vandalico col quale tre stu-
denti “figli di papà” vollero
vendicarsi del preside. Charles si trova di fronte a una dolorosa
scelta: o accetta la subdola proposta del preside (se lui farà i nomi
dei colpevoli, lo segnalerà come meritevole all'università di Har-
vard), o si piega alla richiesta dei tre bulli di buona famiglia
(autoaccusarsi, con sicura espulsione dal college). Nella sua vita
irrompe però Frank Slade (Al Pacino), colonnello in congedo a
seguito di un incidente costatogli la vista. In occasione del week-end
del Ringraziamento, Charles è assunto come accompagnatore
dell’invalido colonnello che, stanco della sua menomazione, ha
deciso di lasciare la casa della nipote e di vivere fino all’eccesso, in
quei giorni di festa, le sue vecchie passioni per troppo tempo trascu-
rate: belle donne, alberghi di lusso e alcol, irriverenza e scialo. Per
poi suicidarsi. Ma l’ingenuo e inesperto ragazzo che l’accompagna,
con un atto di coraggio, gli impedisce il suicidio. Tra i due si svilup-
pa un rapporto padre-figlio, e il giovane racconta dei suoi problemi
a scuola. Terminato il week-end, il colonnello decide di difendere il
giovane amico all’assemblea di allievi e professori dove il preside,
in malafede, sta accusando Charles di vandalismo e ne propone
l’espulsione. Con un memorabile intervento, il colonnello, forte
della sua autorità di ex agente nello staff del presidente Johnson e di
veterano in Vietnam, accusa la scuola di preparare leader disonesti,
corrompendo i giovani indigenti come Charles, con la promessa di
un allettante futuro. La commissione di disciplina scagiona Charles,
e il colonnello torna a casa della nipote. Il film è un inno alla vita,
che può regalare emozioni anche quando tutto sembra perduto,
perché “c'è chi vive tutta la vita in un minuto”. Come quel minuto in
cui Slade-Pacino si cimenta in un intensissimo tango sulle note di
Por una cabeza. Il film regala un lieto fine con annessa morale non
del tutto conformista e perbenista, nella quale s’intrecciano omertà
e lealtà, reticenza e orgoglio.
Quasi amici (Intouchables, 2011) è ispirato
alla vera storia del tetraplegico
Philippe Pozzo di Borgo (autore
di Le second souffle, traduzione
italiana: Il diavolo custode). Un
tetraplegico milionario, Philippe,
sta cercando un badante. Si pre-
sentano figure professionali e
canoniche, ma lui decide di assu-
mere Driss, un giovane senegale-
se cresciuto in Francia, che vive
di espedienti, è appena uscito dal
carcere per rapina, non ha refe-
renze… Eppure è l’unico a pos-
sedere una caratteristica che
Philippe ritiene indispensabile,
date le sue condizioni: l’assenza
di pietà. Veramente Driss non ha alcuna intenzione di farsi assume-
re: vuole ottenere un formale rifiuto dal potenziale datore di lavoro
per mantenere il diritto al sussidio di disoccupazione. Il giorno dopo
torna alla villa di Philippe per ritirare i suoi documenti e, con grande
sorpresa, gli viene comunicato che è stato assunto per un periodo di
prova. Dato il grado di disabilità di Philippe, Driss è costretto ad
accompagnarlo in ogni momento della sua vita, scoprendone, con
stupore, aspetti completamente diversi da quello che si aspettava.
Nonostante alcune difficoltà iniziali, Driss si prende cura del suo
assistito, aiutandolo a non cadere nell'autocommiserazione e a non
essere oggetto di pietà. Il loro rapporto di dipendenza reciproca e lo
scontro ravvicinato e spericolato tra le culture di due mondi opposti
(il bianco e il nero, il ricco e il povero), si trasformano in un legame
solido seppur turbolento, punteggiato da episodi comici e commo-
venti.
Il film ci ricorda l’importanza della leggerezza. Regalando al badan-
te “infermiere per caso”, come pure al badato colto, abbiente e nobi-
le (e anche ai più sensibili tra gli spettatori) una dimensione nuova
della gioia, della speranza, dell'amicizia. Con queste armi si vincono
anche le sfide più ardue e si orienta in direzione positiva il proprio
futuro.
FILM DA VEDERE - FILM DA VEDERE
Pagina 16 Hospice di Casale - Dicembre 2013
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essere madri e proprio questa straordinaria
potenza di dare la vita potrebbe essere la
chiave di lettura che ci permette di capire
perchè le donne” sanno” affrontare il dolore,
“sanno”accogliere, perché sanno dedicare a
chi ha bisogno la cura, con i gesti antichi che
dedicano al loro neonato. Insomma le donne
sono” fabbriche” di vita e hanno il coraggio
di farlo, per questo hanno più risorse. Addi-
rittura il Papa, recentemente,ha esortato tutti
a guardare le donne con, cito testualmente,
“rispetto nuovo “, perché la donna è madre, e
se anche non ha mai partorito, è comunque
madre dentro, e come tale coraggiosa.
Gli uomini ”illuminati” sanno che noi siamo
speciali, a volte lo negano, forse perché sono
un po’ invidiosi… Meditiamo, meditiamo…
■ Riflessioni di Silvia (volontaria Vitas)
Donne e uomini di fronte alla sofferenza e al lutto
N egli anni di frequenza al gruppo AMA
e come volontaria VITAS ho spesso
notato come uomini e donne affrontino e
vivano in modo molto diverso la sofferenza,
la morte e il lutto. Queste diversità mi hanno
spesso condotta a riflettere. Non me ne vo-
gliano i confratelli in Adamo, ma ho visto
sovente come pazienza, determinazione,
dedizione e coraggio siano appannaggio più
del gentil sesso che di quello che viene defi-
nito forte. Non a caso il gruppo dei volontari
VITAS è decisamente più
rosa che azzurro.
Mi chiedo perché…
All’inizio non voglio fer-
marmi ai soliti luoghi
comuni, retaggi di cultura
tanto cara alle nonne che
vedevano le donne un
angelo (di acciaio) del
focolare, perno della fa-
miglia, abituata fin
dall’infanzia alla sofferen-
za fisica e morale, tempra-
ta, dunque, ad ogni avver-
sità. Ricordo benissimo che, da bambina,
ogni volta che mi lamentavo per qualcosa, la
mia nonna Erminia, la mia straordinaria non-
na materna, maestra di vita, mi sollecitava ad
andare avanti e a non diventare una “gnaga”
perché dovevo diventare una donna, e quel
“donna” aveva tutte le lettere maiuscole.
Come DONNA dovevo essere forte perché
avrei avuto dei bambini, il parto non sarebbe
stato una passeggiata, poi avrei dovuto cre-
scerli, educarli e curarli, avrei vissuto con
mio marito, e la nonna diceva che la vita in
due è buona ma si deve aver tante volte pa-
zienza, poi potevano arrivare dei giorni
scuri… insomma, se fossi stata una
“gnaga”come avrei fatto?
Questi ”luoghi comuni” sono specchio di
saggezza popolare. Devo però trovare un
sigillo, un parere dotto, una conferma, un
conforto, perché io a questa saggezza popola-
re ci credo. E una sera, navigando in rete,
incappo in uno scritto di una sociologa, la
dottoressa Giuditta LoRusso (“Sarà così
lasciare la vita” a cura di Livia Crozzoli,
capitolo “maschile e femminile di fronte alla
morte” a cura di Giuditta LoRusso), che non
solo conforta la mia convinzione, ma chiama
in causa addirittura Leone Tolstoj, si, proprio
l’autore di Anna Karenina. La dottoressa
LoRusso dà per scontato che uomini e donne
siano su piani diversi nei confronti del dolore
e registra che le donne sembrano essere
”impostate” ad accompagnare i sofferenti. E
qui si innesta Tolstoj. Parliamo di due perso-
naggi corollari in “Anna Karenina”, una
coppia di sposini: Kitti e Levine. I due giova-
ni si trovano al capezzale del fratello morente
di Levine, Nicola. Levine è terrorizzato, per
lui tutto è paura, mistero,
eccessivo, si rifiuta di toc-
care il fratello, se ne allon-
tana, lo evita.
Al contrario Kitti, giova-
nissima e che quasi non
conosce il cognato, lo ac-
compagna con dolcezza,
pazienza, serenità e corag-
gio. E coraggio deriva dal
latino “cor”, che vuol dire
cuore. Levine incarna la
paura della propria morte
che vive nella morte del
fratello, interpreta il deserto gelato senza
“cor”in cui sono lasciati i malati terminali,
gli ultimi, i deboli, i diversi. Morto Nicola,
Kitti comunica allo sposo di essere incinta e,
ancora una volta, Levine precipita nella pau-
ra. Un nuovo mistero deve essere affrontato:
quello della vita. Morte e vita non spaventa-
no invece Kitti, lei dà la vita, ma allo stesso
tempo proverà la terminalità della sua gravi-
danza e il distacco doloroso e fisico da suo
figlio, la fine di una vita in comune. Nascita
e morte si fondono insieme.
Tutte le donne, in potenza, sono o possono
VITAS offre la possibilità ai famigliari di
avere un supporto psicologico attraverso
colloqui individuali o di gruppo.
Le persone interessate possono contattare
l’Hospice al numero telefonico:
0142 434081 o le psicologhe
M.Clara Venier: 339 8168421 e
Barbara Oneglia: 347 0704146
Gli incontri si tengono presso la sala riunioni
dell’Hospice “Zaccheo”, Strada Vecchia
Pozzo S.Evasio 2/E (di fronte sede Croce
Rossa)
La maggior parte di noi non vincerà i grandi premi della vita. Non diventerà milionario, né andrà sulla Luna, non sarà eletto presidente, né vincerà il Nobel. Ma possiamo goderci i piccoli piaceri della vita. Una carezza sulla spalla. Un bacio sulla guancia. Un sorriso. Far parte di Vitas.
Vedere ogni lunedì mattina la Maria cucinare deliziosi pranzetti per ospiti, parenti, personale� dell’HOSPICE� e chiunque desideri unirsi al gruppo. Goditi le piccole delizie della vita. Ce ne sono in abbondanza per ognuno di noi.