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La dottoressa delle cure domiciliari Paola Budel “L’essenza di Vitas”: le cure domiciliari Ogni secondo giovedì del mese ore 16.30-17.30 Con la musica eseguita dalla dott.ssa Monica Raiteri in Hospice Mons. Germano Zaccheo Strada Vecchia Pozzo S. Evasio 2/E 15033 Casale Monferrato (AL) Pausa del the con i volontari non gli apparten- gono, a rinunciare ad un pezzet- to della propria individualità, ad uniformarsi. Nell’ambito delle cure domiciliari questo sforzo è quasi totalmente a carico degli operatori, che si trovano ad inte- ragire con le realtà più disparate, con dinamiche relazionali deri- vanti da equilibri creatisi nel corso di un’intera vita, dinami- che che non si annullano ma, anzi, si esasperano di fronte alla malattia, nel bene e nel male. Per noi operatori, ogni volta che varchiamo la soglia di un’abitazione, inizia una nuova sfida; spesso ci dobbiamo con- frontare con sentimenti di rabbia, frustrazione, impo- tenza, paura che, a volte, sfociano in un atteggia- mento di aggressività che ci travolge come un fiume in piena. Come li affrontiamo? Con umiltà, assenza totale di pregiu- dizi, professionalità ma, soprat- tutto, tanta, tanta FANTASIA. Perché ogni volta dobbiamo reinventarci, incanalando la nostra esperienza in base alle necessità del singolo nucleo Il regalo della vita di Maria Merlo 2 Dalla prima: L’essenza di Vitas: le cure domici- liari di Paola Budel 3 Fisioterapiste… in musica di Antonella e Silvana 4 Volontari: per sempre di una volontaria 5 11 novembre Ti racconto l’hospice di Daniela e Paoletta 8 La tua voce: racconti, Poesie - Lettere 10 11 Quattro passi sopra le nuvole di Bruno Marchisio 13 Interscambio con Vidas di Sandra e Margherita 16 Donne e uomini di fronte al dolore... di Silvia 15 Recensioni film: Infermieri per caso di Vincenzo Moretti 14 “Sono persa… rinascerò” di Alda “M io padre sta morendo e vorrei fargli trascorre- re il tempo che gli rimarrà a casa, tra i suoi affetti, tra le sue cose; mi piacerebbe che riuscis- se a ultimare il modellino che aveva iniziato quando il mondo gli è crollato addosso”. Quante volte ci siamo sentiti rivolgere questa richiesta! Un tempo la gestione domiciliare del malato a fine vita era inconcepibile, soprattutto da parte dei familiari: troppo soli, troppo spaventati, terrorizzati all’idea di non saper rispondere in maniera adeguata e pronta alle necessità del proprio caro, al suo dolore, alla sua di- sperazione. L’unica soluzione era l’ospedale dove ci si sente più tutelati, peccato che ”mentre mio padre moriva, nel letto ac- canto un giovane festeggiava con gli amici il suo complean- no”, “mio padre aveva voglia di un gelato ma gli è stato negato perché aveva la glicemia alta”, “l’unica possibilità di avere un po’ di privacy ci è stata data da un paravento”. Sono le regole dell’ospedale. Con le cure domiciliari è possi- bile offrire una valida alternati- va, commisurando gli interventi alle necessità del singolo pazien- te che, inserito nel suo contesto di vita, può ancora avere una progettualità e, soprattutto, esse- re rispettato nelle sue abitudini, nei suoi ritmi, nelle sue peculia- rità. Certo, per noi ope- ratori il mondo delle cure domici- liari è molto com- plesso, una vera sfida. Quando un pazien- te viene ricoverato in ospedale, è men- talmente predispo- sto ad accettare delle regole che (continua a pagina due) foto Benny Ringrazian- do di cuore Roberto, il marito di una nostra paziente in hospice, che ha voluto donarci que- sto presepe fatto con le proprie mani vi offriamo Venite a vederlo con i vostri bambini in hospice! UNITA’ DI CURE PALLIATIVE CASALE MONFERRATO — Notiziario di VITAS - Associazione per l’assistenza domiciliare ai malati cronici in fase avanzata e HOSPICE MONS. GERMANO ZACCHEO DICEMBRE 2013 MONS. G. ZACCHEO MONS. G. ZACCHEO MONS. G. ZACCHEO MONS. G. ZACCHEO Vitas e Hospice Str. Vecchia Pozzo S. Evasio 2/E - Tel. 0142/434081 - Casale M. (AL)

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■ La dottoressa delle cure domiciliari Paola Budel

“L’essenza di Vitas”: le cure domiciliari

Ogni secondo giovedì del mese ore 16.30-17.30

Con la musica eseguita dalla dott.ssa Monica Raiteri

in Hospice Mons. Germano Zaccheo Strada Vecchia Pozzo S. Evasio 2/E

15033 Casale Monferrato (AL)

Pausa del the con i volontari

non gli

apparten-

gono, a rinunciare ad un pezzet-

to della propria individualità, ad

uniformarsi. Nell’ambito delle

cure domiciliari questo sforzo è

quasi totalmente a carico degli

operatori, che si trovano ad inte-

ragire con le realtà più disparate,

con dinamiche relazionali deri-

vanti da equilibri creatisi nel

corso di un’intera vita, dinami-

che che non si annullano ma,

anzi, si esasperano di fronte alla

malattia, nel bene e nel

male. Per noi operatori,

ogni volta che varchiamo

la soglia di un’abitazione,

inizia una nuova sfida;

spesso ci dobbiamo con-

frontare con sentimenti di

rabbia, frustrazione, impo-

tenza, paura che, a volte,

sfociano in un atteggia-

mento di aggressività che

ci travolge come un fiume in

piena. Come li affrontiamo? Con

umiltà, assenza totale di pregiu-

dizi, professionalità ma, soprat-

tutto, tanta, tanta FANTASIA.

Perché ogni volta dobbiamo

reinventarci, incanalando la

nostra esperienza in base alle

necessità del singolo nucleo

Il regalo

della vita

di Maria Merlo

2 Dalla prima: L’essenza

di Vitas: le cure domici-

liari di Paola Budel

3 Fisioterapiste…

in musica

di Antonella e Silvana

4 Volontari:

per sempre

di una volontaria

5 11 novembre

Ti racconto l’hospice

di Daniela e Paoletta

8 La tua voce: racconti,

Poesie - Lettere

10

11 Quattro passi

sopra le nuvole

di Bruno Marchisio

13 Interscambio con

Vidas

di Sandra e Margherita

16Donne e uomini

di fronte al dolore...

di Silvia

15 Recensioni film:

Infermieri per caso

di Vincenzo Moretti

14 “Sono persa…

rinascerò”

di Alda

“M io padre sta morendo e

vorrei fargli trascorre-

re il tempo che gli rimarrà a

casa, tra i suoi affetti, tra le sue

cose; mi piacerebbe che riuscis-

se a ultimare il modellino che

aveva iniziato quando il mondo

gli è crollato addosso”. Quante

volte ci siamo sentiti rivolgere

questa richiesta! Un tempo la

gestione domiciliare del malato

a fine vita era inconcepibile,

soprattutto da parte dei familiari:

troppo soli, troppo spaventati,

terrorizzati all’idea di non saper

rispondere in maniera adeguata e

pronta alle necessità del proprio

caro, al suo dolore, alla sua di-

sperazione. L’unica soluzione

era l’ospedale dove ci si sente

più tutelati, peccato che ”mentre

mio padre moriva, nel letto ac-

canto un giovane festeggiava

con gli amici il suo complean-

no”, “mio padre aveva voglia di

un gelato ma gli è stato negato

perché aveva la glicemia alta”,

“l’unica possibilità di avere un

po’ di privacy ci è stata data da

un paravento”. Sono le regole

dell’ospedale.

Con le cure domiciliari è possi-

bile offrire una valida alternati-

va, commisurando gli interventi

alle necessità del singolo pazien-

te che, inserito nel suo contesto

di vita, può ancora avere una

progettualità e, soprattutto, esse-

re rispettato nelle sue abitudini,

nei suoi ritmi, nelle sue peculia-

rità.

Certo, per noi ope-

ratori il mondo

delle cure domici-

liari è molto com-

plesso, una vera

sfida.

Quando un pazien-

te viene ricoverato

in ospedale, è men-

talmente predispo-

sto ad accettare delle regole che

(continua a pagina due)

foto Benny

Ringrazian-

do di cuore

Roberto, il

marito di

una nostra

paziente in

hospice, che

ha voluto

donarci que-

sto presepe

fatto con le

proprie mani

vi offriamo

Venite a vederlo con i vostri bambini in hospice!

UNITA’ DI CURE PALLIATIVE CASALE MONFERRATO — Notiziario di VITAS - Associazione per

l’assistenza domiciliare ai malati cronici in fase avanzata e HOSPICE MONS. GERMANO ZACCHEO

DICEMBRE 2013

MONS. G. ZACCHEOMONS. G. ZACCHEOMONS. G. ZACCHEOMONS. G. ZACCHEO

Vitas e Hospice

Str. Vecchia Pozzo S. Evasio 2/E - Tel. 0142/434081 - Casale M. (AL)

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Pagina 2 Hospice di Casale - Dicembre 2013

Continua dalla prima pagina

“L’essenza di Vitas”: le cure domiciliari familiare, che è sempre unico e irripetibile.

Solo avendo ben chiaro questo punto di par-

tenza, possiamo sperare di essere efficaci nel

fornire un adeguato supporto al paziente ma

anche (e, forse, soprattutto), al contesto fami-

liare. Il paziente, per assurdo, è il meno fragi-

le: lui è impegnato nella sua battaglia, ma i

familiari? Devono convivere con il senso di

impotenza e di inutilità che li devasta.

Credo che una buona relazione assistenziale

consista anche nel mettere il contesto fami-

liare in condizione di poter intervenire diret-

tamente nel lenire le sofferenze del proprio

caro, di partecipare attivamente al suo benes-

sere. Questo è uno degli aspetti che, a mio

giudizio, favoriscono un’accettazione più

consapevole del limite umano ultimo, che è

la morte: quando non siamo spettatori passivi

e ci è possibile non affrontarlo in totale soli-

tudine.

Purtroppo, in molti casi, l’intervento di noi

palliativisti viene frainteso. In alcuni casi

viene addirittura rifiutato perché sinonimo di

sconfitta, di resa. Se solo si potesse immagi-

nare quante energie vengono profuse per

conservare il più possibile la dignità e

l’integrità della persona! Questo fraintendi-

mento nasce tuttavia dal fatto che, troppo

spesso, l’intervento delle cure palliative vie-

ne richiesto solo nelle ultime settimane di

vita del malato, ed in tal modo si travisano le

finalità reali del servizio, che consistono non

tanto nell’accompagnare alla morte, bensì nel

cercare di donare più vita possibile puntando

sulla qualità, in tutte le sue accezioni.

In questi ultimi tempi la comunità scientifica

sottolinea con sempre maggiore insistenza

l’importanza delle cosiddette “simultaneus

care” come risposta più adeguata nel percor-

so di cura del malato oncologico, secondo il

principio “le cure palliative iniziano quando

inizia la sofferenza (fisica e psicologica) del

malato e dei suoi familiari”. Alcuni studi

hanno dimostrato come un’adeguata integra-

zione tra percorso di cura oncologico e cure

palliative possa determinare un aumento di

sopravvivenza ma, soprattutto, un significati-

vo miglioramento della qualità di vita.

■ Riceviamo il parere di un medico di base sulle Cure Palliative

Per una dignità del dolore A lla fine in queste stanze c’è sempre

troppo di tutto… troppo dolore, tante

lacrime e tensioni, troppa frustrazione… in

questa partita non si vince mai si perde sem-

pre.Si perdono la vita, le speranze e i sogni,

gli affetti, la dignità… queste malattie ti

tolgono anche questa e per noi che, con tutto

questo ci dobbiamo confrontare e lavorare,

non essere soli è veramente di grande aiuto.

La concomitante ed assidua presenza degli

operatori delle Cure Palliative aiuta infatti,

noi medici di famiglia, a mantenere per i

nostri pazienti la dignità della vita fino

all’ultimo respiro.

Personalmente non credo sia così importante

voler giocare un ruolo di protagonista in

questa partita, credo sia più importante al

momento, mettere a disposizione quelle co-

noscenze pratiche ed emotive che rendono

peculiare la nostra presenza in condizioni

così complesse.

Penso che il ruolo principale spetti a chi si

prepara professionalmente e si confronta

giornalmente con queste tematiche.

Come si può leggere dai risultati di una re-

cente indagine effettuata dai medici di fami-

glia e dal dipartimento di Cure Primarie

dell’ASL 105 di Bologna, l’88% del campio-

ne ritiene infatti opportuna una formazione

più specifica ed una condivisione più omoge-

nea della filosofia e degli obiettivi delle Cure

Palliative.

Se non si investe su questi contenuti è diffici-

le per noi, essere veri protagonisti, allora

meglio essere a disposizione, condividere

esperienza e conoscenza e lasciare il passo a

queste ragazze che hanno una marcia in

più…

Cara Degio, ti ringrazio per l’opportunità che

mi hai dato nello scrivere poche parole; ov-

viamente sono e restano una mia considera-

zione personale. Quello che più sinceramente

voglio esternare è la stima nei confronti del

vostro lavoro che in tempi di sola forma, la

sostanza che invece esprime, è un esempio

per tutti.

Dott. Maurizio Fasano

MMG di Mirabello

■ Il Sindaco a nome di Casale

Grazie

I n questi anni molti casalesi hanno avuto

la possibilità di conoscere in prima per-

sona, in quanto familiari o amici di malati,

le meravigliose realtà dell’Associazione

Vitas e dell’hospice. Colpisce e conforta

vedere come al centro dell’attenzione degli

operatori ci sia la persona prima ancora

della malattia: così facendo si riesce a gene-

rare nel paziente, e in chi gli è vicino, una

sensazione di conforto e di speranza.

L’esperienza vissuta in un ambiente così

sereno ed accogliente, fa nascere

un’amicizia che va oltre il periodo di perma-

nenza e fa sorgere il desiderio di collabora-

re e di mettersi a disposizione di chi ha biso-

gno. Dal dolore e dalle amorevoli cure pre-

state si sviluppa una partecipata catena di

solidarietà e disponibilità.

Chi varca la soglia dell’hospice rimane

colpito da uno splendido giardino, curato

con passione, con graziose aiuole fiorite

intercalate dal verde rilassante del prato e

dei cespugli: ci si sente subito ben accolti.

Segue subito l’incontro con gli operatori,

che si dedicano con professionalità e squisi-

ta amorevolezza alla cura dei pazienti e al

sostegno dei loro famigliari. Si respira

un’atmosfera calda e serena, si percepisce

subito l’impegno di chi si impegna al massi-

mo per alleviare il dolore: anche quando

sembra che non si possa fare più nulla,

all’hospice si continua a fare molto!

Rivolgo a nome mio e di tutta

l’Amministrazione un sentito ringraziamento

a tutti gli operatori di Vitas e dell’hospice, e

in particolare alla dottoresssa Daniela De-

giovanni, motore instancabile di queste

realtà. Un grazie che, sono certo, ricom-

prende i sentimenti di riconoscenza

dell’intera città e di tutto il territorio casale-

se. Giorgio Demezzi Un particolare del presepe

Il nostro notiziario è sempre a tua di-sposizione per poter far conoscere, con del ‘chiasso buono’, una struttura che si è rivelata un valido strumento per ‘accompagnare’ le persone nelle fasi avanzate della malattia. Se ti è gra-dito manda la tua e-mail a

[email protected] www.vitas-onlus.it o invia il tuo scritto

(con calligrafia leggibile) a: Vitas - Piazza S. Stefano 3 15033 Casale Monferrato (AL)

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Hospice di Casale - Dicembre 2013 Pagina 3

■ Un racconto in musica...

Fisioterapiste… in musica…!!!???

C i hanno chiesto di raccontare la nostra

esperienza ormai più che decennale di

fisioterapiste delle Cure Palliative. Abbiamo riflettuto un po' su come procedere:

ricordare i fatti, citare le persone, o descrive-

re gli incontri, le emozioni, cercando di non

dimenticare niente e nessuno, ma poi…

”l'idea”: facciamolo attraverso la musica che

ha fatto un po' da sottofondo a questa nostra

importante esperienza lavorativa ma soprat-

tutto di vita, creando quasi una “play list”,

come fanno i giovani, con le canzoni e/ o i

testi più significativi o più evocativi delle

nostre emozioni e dei nostri vissuti di questi

anni, e così eccoci qua: - ”Mi ritorni in mente” di Battisti: ecco im-

mediatamente richiamati alla memoria i volti

e i nomi di tanti nostri pazienti che non pos-

siamo e non vogliamo dimenticare. - ”La cura” di Battiato: come dare un senso

ai gesti che compiamo nel nostro lavoro quo-

tidiano. - ”Fix you” dei Coldplay: “ti rimetto in se-

sto”... mi prendero ' cura di te! - ”Mi fido di te” di Jovanotti: come può esse-

re efficace un rapporto basato sulla fiducia,

sull'affidarsi a... - ”Tears in Heaven” di Eric Clapton, che

evoca la speranza e il desiderio di incontrarsi

di nuovo dopo che si è stati capaci di lasciar

andare il nostro caro. - ”Angelo” di Francesco Renga, che ci sug-

gerisce di affidare la persona amata alla pro-

tanti, indimenticabili... incontri in musica.!!! Buon Ascolto.

La nostra play list:

SALIRO' di DANIELE

SILVESTRI,

LA CURA di FRANCO BATTIATO,

FANGO di LORENZO

JOVANOTTI, INTO MY ARMS di

NICK CAVE,

ALLELUJA di LEO-NARD COEN,

ALLELUJA versione

JEFF BUCKLEY, UN MALATO DI CUO-

RE di FABRIZIO DE

ANDRE', DEL SUO VELOCE VOLO di ANTONY AND

THE JOHNSONS & FRANCO BATTIATO,

ANGEL di ROBIN WILLIAMS, AS TEARS GO BY dei ROLLING STONES,

AS TEARS GO BY cantata da FRANCO BAT-

TIATO & ANTONY AND THE JOHNSONS, TEARS IN HEAVEN di ERIC CLAPTON,

FIX YOU di COLDPLAY, PANIC di GIOVANNI ALLEVI,

GRACIAS A LA VIDA di VIOLETA PARRA,

MI FIDO DI TE di LORENZO JOVANOTTI, AVRAI di CLAUDIO BAGLIONI,

IN MORTE di F.D. FRANCESCO GUCCINI,

EVERY BREATH YOU TAKE dei POLICE, DORMONO SULLA COLLINA di FABRIZIO

DE ANDRE',

ONE degli U2

Antonella e Silvana

tezione e alla cura di Qualcuno di più Grande - “Salirò” di Daniele Silvestri, che ci dà l'idea

del percorso che potranno fare i nostri cari

dopo che ci hanno lasciato. - ”Every breath

you take” di Sting,

che ci parla del

ricordo e del rim-

pianto della perso-

na amata. - ”The dead is not

the end” di Bob

Dylan, la morte

non è la fine. Altri testi ci sono

venuti in mente

ma ci piace concludere con “Dormono sulla

collina “di Fabrizio Deandrè che, ispirata

all'Antologia di Spoon River, di Edgar Lee

Master, ricorda tutte tutte le persone incon-

trate. Anche noi vogliamo ricordare così tutti i

nostri pazienti che in questi anni si sono

affidati, fidati, abbandonati quasi nelle nostre

mani... cercando sollievo al dolore, speranza,

qualità di vita, anche se breve, energia, forza,

…cura. E il nostro prenderci cura di loro ci ha arric-

chito tantissimo, ora dormono tutti sulla col-

lina e tanti piccoli pezzi delle loro vite, so-

prattutto dell'ultima parte delle loro vite,

sono diventati ricchezza per la nostra profes-

sionalità e per i nostri vissuti, incontri impor-

■ Pinuccia, infermiera domiciliare

Entrare in empatia con loro

L avoro in cure palliative ormai da oltre

due anni e svolgo il mio servizio per lo

più a domicilio.

Quando sono entrata a far parte di questo

gruppo, immaginavo ci

sarebbe voluta molta forza

d’animo, ma avrei scoperto

solo con il passare del tem-

po quanta davvero ne oc-

corresse. Ho imparato e

continuo ad imparare molte

cose.

Se pensavo che avrei dato

molto, ora so che ciò che

ricevo è molto di più.

Ho imparato che spesso è meglio ascoltare

che parlare, che il contatto fisico, una carez-

za, un abbraccio possono trasmettere forza e

che a volte basta uno sguardo per dire tante

cose.

Ho imparato che ciò che davo per scontato,

abitudini, modi di vivere, relazioni familiari,

reazioni emotive verso la malattia… sono

molto, molto diverse in ogni contesto fami-

liare e sono tutte giuste, basta guardarle da

un altro punto di vista: quello della persona

che hai di fronte.

Ho imparato a sdrammatizzare le situazioni

imbarazzanti o difficili con l’ironia. Ed anco-

ra, se strappo una

risata al mio paziente,

questa è un vero rega-

lo e non solo per quel

momento ma per mol-

to tempo, perché è di

quella risata che mi

ricorderò pensando a

lui quando non ci sarà

più. Quello sarà il

momento che riporterò

alla memoria dei suoi familiari rivedendoli

dopo una settimana, un mese, un anno. Sì

perché chi rimane, dopo tempo non di rado ci

viene a cercare anche per un saluto, e ci tro-

va.

Difficile scordare persone con cui hai condi-

viso tante emozioni anche se dalla parte

dell’operatore.

Conoscere tante persone di cultura, religione,

nazionalità diverse è un grande arricchimento

personale. Non viene mai meno la curiosità

di conoscere un nuovo paziente e la sua fa-

miglia, di trovare il modo di entrare in empa-

tia con loro per offrire il nostro aiuto nel

modo più immediato.

Il mio lavoro mi piace molto, mi sento grati-

ficata e realizzata. Mi sento al posto giusto e

questo produce l’energia per continuare a

svolgerlo. Energia che sembra non bastare

mai…

Lavorare a domicilio vuol dire partire ogni

mattina per una nuova avventura, dove sai

che incontrerai emergenze non solo di ordine

medico ma anche pratiche, psicologiche e

sociali ma con la certezza di poter contattare

telefonicamente le colleghe piuttosto che la

caposala oppure i medici, sempre pronti a

dare l’aiuto richiesto.

Tutti attenti a riconoscere la più piccola sfu-

matura nella comunicazione che per lo più

viene fatta in presenza del paziente e/o dei

familiari.

Questo mi permette di partire ogni mattina

serena, sicura e sorridente. A tutti i miei

collaboratori un grande grazie.

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Pagina 4 Hospice di Casale - Dicembre 2013

■ Una volontaria sull’assistenza domiciliare

Amici per sempre

E’ proprio vero che i ricordi legati a

forti emozioni ci accompagnano per

sempre: sono passati parecchi anni ma, nono-

stante i vuoti di memoria sempre più fre-

quenti data l’età, rivedo con chiarezza ogni

attimo della mia prima assistenza domicilia-

re.

Vitas era nata da poco e si era appena con-

cluso il primo corso per volontari, quando è

arrivata la telefonata tanto attesa di Mariella:

“domani alle sedici potresti andare alla Si-

gnora Carla…?!”

Che mix di emozioni mentre salgo le scale:

ansia, paura, sensazione di inadeguatezza. Mi

accoglie una bella Signora sorridente:

“Benvenuta nella nostra casa, la mamma LA

STA ASPETTANDO”.

In quelle parole oggi come allora, credo sia

racchiusa l’essenza, la diversità e l’unicità

dell’assistenza domiciliare.

Il ruolo del volontario è certamente impor-

tante in qualsiasi contesto assistenziale, ma

un paziente in struttura, anche se solo, sa di

poter contare sulle figure professionali, a

domicilio invece quando è richiesto, il nostro

aiuto è fondamentale.

Unicità ma certo anche difficoltà:

l’inserimento in una cellula familiare che

attraversa una crisi profonda causata dalla

malattia che sconvolge gli equilibri esistenti,

non è cosa semplice. Spesso noi volontari

serviamo da elemento moderatore delle varie

tensioni, naturalmente senza alcun tentativo

da parte nostra di modificare i rapporti ed i

ruoli esistenti. Cerchiamo di far leva su tutto

ciò che fa ancora presa sul malato, sui suoi

hobbies, per coinvolgerlo e cercare di disto-

glierlo dal pensiero della malattia.

Siamo sempre disponibili ad ascoltarlo quan-

do ha voglia di “raccontarsi”, siamo sempre

pronti a “stare accanto” e condividere il suo

silenzio, accettando senza riserve il modo in

cui egli sceglie di vivere il tempo che rimane.

Il rapporto che si stabilisce tra paziente e

volontario è un po’ come quello tra due e-

stranei che si incontrano nello scompartimen-

to di un treno: tra persone che non si cono-

scono è più facile aprirsi, parlare, in un certo

senso, confessarsi. Ci raccontano di tutto,

anche tante cose che parenti non sanno, e se

riusciamo a farci riconoscere come compagni

di strada, si crea una meravigliosa e unica

alchimia che è PER SEMPRE.

■ Claudio Ghidini, presidente Vitas

Conoscere per comprendere

L' 11 Novembre, in occasione della gior-

nata di San Martino, presso

l'Auditorium S. Chiara si è tenuto un incon-

tro il cui scopo era quello di far conoscere le

molteplici finalità della struttura Hospice e

delle Cure Palliative alla cittadinanza casa-

lese. Far comprendere il valore aggiunto di que-

sta struttura inaugurata nel Marzo del 2009,

divenuta parte integrante dell'assistenza

territoriale, valore aggiunto di un percorso

assistenziale, che pone sempre al centro il

paziente e la propria famiglia, attraverso le

testimonianze dei suoi protagonisti: operato-

ri , volontari, psicologhe e di Padre Massimo

assistente spirituale di VITAS. Questo perchè a distanza di quasi 5 anni

dalla sua apertura l'Hospice è spesso visto

come il capolinea di un percorso clinico

terapeutico fallito. Di contro si viene poi a scoprire che chi

questa realtà l'ha vissuta, conosciuta “da

vicino” si rende conto del valore umano, del

livello elevato di competenze professionali,

emozionali, relazionali che vi regnano; ha

sperimentato l'Hospice come un percorso di

sostegno e accompagnamento che unisce

personale, pazienti, volontari e famigliari. Tutti coloro che lavorano in Hospice, volon-

tari compresi, sono persone motivate perchè

l'Hospice richiede una adesione autentica

perchè l'assistenza rappresenta un momento

di grande umanità e impegno personale. Ma non basta più essere motivati, oggi le

persone che lavorano in Hospice, volontari

compresi, sono dei professionisti altamente

qualificati che rispondono alle esigenze mo-

derne di cura attraverso l'acquisizione di

competenze: etiche, cliniche, relazionali,

psicosociali, di lavoro in equipe. Personale qualificato e competente anche

grazie ad uno dei pilastri fondanti la realtà

dell'Hospice: la formazione che avviene

implementando nuove forme di conoscenze

non solo clinico assistenziali, mediche ma

anche nel campo delle scienze umane, socia-

li, etiche che permettano una assistenza sem-

pre più efficace, consapevole e condivisa,

sempre più personalizzata e specialistica che

ci permetta di prepararci ad affrontare i

nuovi bisogni assistenziali che ci attenderan-

no. Le patologie croniche degenerative come il

M. di Alzheimer, la demenza sono in pro-

gressiva crescita, l'innalzamento della vita

media pone serie problematiche assistenziali

tutt'altro che irrilevanti. Per questi pazienti e per le loro famiglie è

sempre più scarsa una strategia terapeutico

assistenziale nonostante siano in gioco gran-

di numeri e il diritto alla tutela della salute

sancito dalla Costituzione. Come farà il Ssn ad occuparsi domani di

questi pazienti, il cui numero sarà tristemen-

te raddoppiato con famigliari invecchiati e

magari senza tutele assistenziali (spesso nel

lavoro di accudimento i famigliari perdono

salute , professione e conseguenti tutele pen-

sionistiche), visto che ad oggi spesso questi

ultimi sono quasi del tutto abbandonati a se

stessi o in balia di un sistema burocratico

irrazionale?. Il malato è innanzitutto una persona e la sua

dignità deve sempre essere anteposta ad ogni

considerazione terapeutica e tecnica specifi-

ca offrendo trattamenti più mirati al sollievo

dei sintomi e all'attenzione ai bisogni della

persona attraverso le Cure Palliative. Que-

sta è la cultura che porta avanti VITAS fin

dal 1996 e siamo orgogliosi di ciò che si è

progressivamente realizzato negli anni,

splendidamente esplicitato da Barbara Na-

vazzotti attraverso la sua commossa testimo-

nianza di quali siano i bisogni e le esigenze

della persona sofferente e di chi gli sta ac-

canto. C'è bisogno dell'aiuto di tutti, giovani

e meno giovani che capiscano ed aderiscano

decisi e motivati a questo tipo di sensibilità

per creare un sistema completo e moderno di

assistenza e per suscitare nelle istituzioni

politiche e sanitarie una continua attenzione

ai servizi che il cittadino ha diritto di chiede-

re. VITAS e l'Hospice sono determinati a prose-

guire ed ampliare le offerte assistenziali

necessarie, con l'aiuto delle istituzioni e lo

stimolo della comunità Casalese per essere

SEMPRE e COMUNQUE al fianco di chi

soffre e dei loro famigliari testimoni di una

cultura sanitaria diversa attenta in primo

luogo AL PRENDERSI CURA .

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Hospice di Casale - Dicembre 2013 Pagina 5

■ 11 novembre 2013 Auditorium Santa Chiara

“Ti racconto l’Hospice” Nuovi sviluppi delle Cure Palliative

“A ncora troppo spesso accade che le

Cure Palliative siano identificate

con Il Fine Vita, quando invece è ormai di-

mostrato dagli studi clinici e dalla letteratura

più qualificati che esse sono cure APPRO-

PRIATE in ogni stadio della malattia e in

OGNI TIPO di malattia, non solo tumorale.

Migliorando la qualità di vita del paziente,

infatti, esse facilitano l'accesso ai trattamenti

chemioradioterapici e attenuano sensibilmen-

te la tossicità da questi determinata.”. Queste

sono le parole con cui T.J.Smith, Direttore

del Cancer Center di Baltimora, ha aperto la

sua relazione quest'anno a Chicago interve-

nendo all'ASCO, la più

prestigiosa Società Ame-

ricana di Oncologia Me-

dica.

In Italia, una specifica

Legge (N. 38 del

17/03/2010) definisce le

disposizioni per garantire

l'accesso alle Cure Pallia-

tive alla Terapia del Do-

lore da parte di tutti i

cittadini che ne abbiano

necessità. La stessa legge sottolinea che la

Medicina Palliativa deve essere estesa non

solo alle malattie tumorali, ma a tutte le pato-

logie croniche in fase evolutiva, come le

malattie cardiorespiratorie, nefrologiche,

neurologiche (SLA, Parkinson, Demenze

vascolari, Alzheimer)

La definizione PALLIATIVE deriva dal

sostantivo latino “pallium” che significa

MANTELLO, proprio come quello che il

cavaliere Martino, prima di essere Santo,

divise con i poveri che incontrava di ritorno

dal fronte, inducendo la Provvidenza a pro-

vocare calde giornate per dare loro sollievo.

L'Hospice è la struttura residenziale che con-

tiene le Cure Palliative. Ma sostanzialmente

è l'espressione di un MODO DI CURARE il

prossimo, con l'obiettivo di PRENDERSI

CURA del malato nella sua globalità, fisica e

psichica, avvolgendo chi ha bisogno di un

mantello protettivo. Un mantello di terapie,

azioni e metodi, che allevia il dolore inutile e

insopportabile, che solleva

da terapie faticose e ineffica-

ci, che accompagna nel per-

corso chi sta effettuando

cure oncologiche pesanti,

che mitiga le fatiche di fami-

gliari stanchi per l'assistenza

a parenti anziani e non più

consapevoli, che consente

una vita dignitosa fino a

quando saremo al sicuro,

dovunque sia.

La giornata di presentazione

dell'Hospice è stata scelta

nel giorno di San Martino per descrivere

questo modo di prendersi cura dei malati,

basato sulle più moderne evidenze scientifi-

che della medicina.

E' il racconto di come gli operatori del domi-

cilio e dell'Hospice lavorano, vivono e agi-

scono quotidianamente, attraverso la testimo-

nianza di un famigliare, i racconti dei volon-

tari, l'esperienza del conforto spirituale di

Padre Massimo e le riflessioni di chi vorrà

approfondire.

Due ore per conoscere meglio l'Hospice,

struttura al cui nome troppo spesso si asso-

ciano ancora diffidenze e paure ingiustifica-

te, correlandolo solo

all'evento morte. Chi

ci ha conosciuto da

vicino sa che questo è

invece il luogo dove si

cerca di conferire

leggerezza ad ogni

preziosissimo minuto

della vita, mantenere

accesa la totalità della

persona e della sua

unica e irripetibile

narrazione.

Secondo le proiezioni epidemiologiche, l'Ita-

lia sarà nel giro di pochi anni popolata da una

percentuale elevatissima di “grandi vecchi”,

cioè di ultraottantenni, molti dei quali saran-

no portatori di malattie irreversibili e com-

plesse, come la demenza. Dobbiamo essere

pronti ad affrontare i nuovi bisogni che ci

attendono con risorse umane e strumentali

appropriate. Le Cure Palliative, l'Hospice e

VITAS sono una delle risposte a questi biso-

gni. Abbiamo bisogno, come sempre, dell'a-

iuto di tutti perchè tutti abbiamo la nostra

insostituibile parte di responsabilità nella

società in cui viviamo.

“Può darsi che non siate voi i responsabili

della situazione che state vivendo, ma lo

diventerete, se non farete nulla per cambiar-

la”. Martin Luter King Dott.ssa Daniela Degiovanni

Responsabile Hospice Zaccheo-Cure Palliative

Presidente Scientifico VITAS

CPSE Paola Ballarino

Coordinatore

Infermieristico

Hospice_UOCP

La parte musicale della serata

Barbara Navazzotti,

famigliare

Padre Massimo,

Assistente

Spirituale Vitas

Patrizia Carpenedo, Volontaria e capo coordina-trice

Una parte del pubblico

Claudio Ghidini, presidente Vitas e Paola Balla-rino

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Pagina 6 Hospice di Casale - Dicembre 2013

■ L’intervento di Padre Massimo (assistente spirituale)

“E’ permesso?”

R accontare la mia esperienza di padre

spirituale all’Hospice non è semplice

perché nuova e diversa ogni qualvolta ne

varco la soglia.

Posso dire che parafrasando una frase dei

baci Perugina, la permanenza qui è una pa-

rentesi tra “un prima” e “un poi”.

Senza sconfinare nel passato rimpiangendolo

o nel futuro immaginandolo, con queste ca-

ratteristiche può essere un momento di vita

che aiuta ad essere, qui e ora, protagonisti.

Mi sono preparato a questo nuovo ed inatteso

servizio andando a rivedere le caratteristiche

che S. Francesco chiede ai suoi frati nel mo-

mento in cui si fanno prossimi all’uomo che

soffre.

Vorrei citare a questo proposito l’episodio di

quel frate che nel periodo quaresimale una

notte si mette a urlare per i forti crampi allo

stomaco causati dalla fame.

Francesco accorre al suo capezzale e quando

scopre che la causa di quella sofferenza fisica

è la penitenza, sveglia i frati e fa preparare,

con le poche cose, nel cuore della notte un

banchetto per tutti, affinchè il poveretto che

stava male, non si sentisse a disagio.

L’uomo, per Francesco, è più importante

della penitenza che pure lui viveva intensa-

mente.

Nella regola poi, al Cap. IV dice “Comando

fermamente a tutti i frati che in nessun modo

ricevano denari o pecunia … tuttavia per le

necessità dei frati malati e per vestire gli

altri frati … i ministri si prendano sollecita

cura … secondo i luoghi i tempi e i freddi

paesi …” e nel cap. VI si legge a proposito

dei frati infermi: “E se uno di essi cadrà

malato, gli altri frati lo devono servire come

vorrebbero essere serviti essi stessi”.

Con queste caratteristiche mi sforzo di pre-

sentarmi alla porta di ogni ospite

dell’Hospice sempre chiedendo permesso

perché l’Amore non si impone ma si pro-

pone.

Ogni camera è un mondo a sé, ogni incontro

è un’esperienza di vita, non soltanto quando

mi intrattengo dialogando, pregando, pian-

gendo, raccontando … ma anche quando

apparentemente non c’è possibilità di relazio-

ne e nella penombra senti solo un respiro

tenue che aritmicamente interrompe il silen-

zio.

Attraverso il linguaggio dell’Amore che può

andare oltre il limite dell’umano è possibile

parlare al cuore ottenendo risposte che sor-

prendono.

A questa scuola di vita dovremmo spesso

fare riferimento proponendola soprattutto a

coloro che affetti da delirio di onnipotenza

pensano di poter sfilare per sempre sulle

passerelle coi tappeti rossi dove luci artificia-

li illuminano situazioni fittizie destinate a

sparire quando il sipario si chiude e le luci si

spengono.

La vita è dono e io voglio amarla sempre e

comunque sino a quando passerà

all’abbraccio di Dio che la introdurrà nella

Sua Casa dove sarà per sempre.

Per questo intendo rispettarne la dignità per-

ché: “La gloria di Dio è l’uomo vivente”.

all’allontanamento, dovute a preoccupazioni

e difficoltà comprensibili e comunque legitti-

me, non diventino comportamenti aggressivi

o colpevolizzanti nei confronti della persona

ammalata o di se stessi.

Dall’altro lato vi sono comportamenti di

“avvicinamento” alla persona ammalata.

In alcuni casi la relazione è molto profonda

e il trauma incrementa il legame che diventa

la risorsa principale per affrontare attraver-

so l’affetto e l’intimità il percorso della ma-

lattia. In altri casi questo avvicinamento

sembra determinato più da una posizione di

“sacrificio” del care-giver che sente il dove-

re affettivo di dedicarsi alla persona amma-

lata, ma con un sentimento di fatica che ten-

de ad aggravarsi se la situazione peggiora in

termini di salute e di relazione con

l’ammalato/a.

Quando l’avvicinamento al proprio caro

comporta una forte dose di annullamento dei

propri bisogni, si produce una situazione di

stress con conseguenti stati depressivi, ansia,

angosce.

Naturalmente tra i due estremi: condivisione/

“sacrificio”, c’è tutta una gamma di posizio-

ni intermedie con oscillazioni da una posi-

zione all’altra.

Altri care-giver idealizzano il proprio compi-

to di cura rendendolo quasi “sacro”.

Questa reazione, se da un lato è funzionale

alla necessità di compiere grandi sacrifici,

ha possibili effetti collaterali negativi come

la possibilità di “appropriarsi”del malato,

prendendo decisioni per lui o lei, sostituen-

dosi in ogni sua minima difficoltà e quindi

limitandone l’autonomia. L’effetto di questo

comportamento, ovviamente nato a fin di

bene, può essere devastante per entrambi.

Avvicinamenti e allontanamenti fanno dun-

que parte del percorso che la malattia grave

determina mettendo a dura prova entrambi i

partner: ammalato e care-giver.

L’uno impegnato ad affrontare la “sua”

malattia e a vivere questo momento della

vita con i rischi e i cambiamenti che questa

esperienza così trasformativi comporta.

L’altro, che gli sta accanto, impegnato con

tutte le proprie risorse nel curarlo e soste-

nerlo, in una posizione meno autorizzata ad

esprimere la propria sofferenza, il proprio

disagio e le proprie difficoltà.

Ma non è possibile sostenere efficacemente

l’ammalato se manca la possibilità di ricari-

carsi, di poter riflettere ed elaborare quanto

sta accadendo, senza nutrimento e pensiero

per alimentare la relazione d’aiuto.

Per questo, creare uno spazio di ascolto, un

contesto “protetto” per i care-giver ci sem-

bra una necessità primaria dal punto di vista

umano e clinico.

VITAS offre la possibilità ai famigliari di

avere un supporto psicologico attraverso

colloqui individuali o di gruppo.

Le persone interessate possono contattare

l’Hospice al numero telefonico:

0142 434081

o le psicologhe M.Clara Venier: 339

8168421 e Barbara Oneglia: 347 0704146

■ L’intervento di Maria Clara Venier (psicologa Vitas)

Aver cura del famigliare che cura

Q uando la malattia arriva è come un fiu-

me in piena che sconvolge non solo la

persona colpita, ma travolge tutta la fami-

glia; trascina via certezze e progetti, scon-

volge i ruoli, fa emergere emozioni e senti-

menti dimenticati; sconvolge l’equilibrio

raggiunto e costringe tutti ad attivare risorse

ed energie nuove per affrontarla,

nell’incertezza e nel disagio della situazione.

Il CARE-GIVER è la persona (partner, geni-

tore, figlio/a, fratello o sorella) che princi-

palmente nella famiglia si assume il compito

di curare e sostenere l’ammalato/a che lotta

per la sopravvivenza.

E’ un ruolo molto difficile, non soltanto per

l’impegno e la fatica fisica ed emotiva che

comporta, ma anche perché meno autorizza-

to a comportamenti egoistici e di salvaguar-

dia di sé.

Il CARE-GIVER non può esprimere la pro-

pria sofferenza, il proprio disagio o le pro-

prie difficoltà alla persona ammalata per

paura di rattristarla, di darle un peso ulte-

riore.

Naturalmente ogni famigliare/care-giver

agisce in base alle risorse personali, al pro-

prio carattere, in base alla relazione con la

persona ammalata ed alla storia personale e

familiare precedentemente vissuta.

Spesso in famiglia ci sono bambini, persone

disabili o anziane con bisogni particolari che

rendono più complessa l’assistenza.

In generale possiamo individuare due gran-

di possibili direzioni in cui si affronta la

malattia grave di un famigliare:

da un lato comportamenti di “ allontana-

mento”.

Queste reazioni possono derivare dal fatto

che la malattia fa emergere una situazione

già critica nella relazione e tende a incrinar-

la ulteriormente. Tanto da poter arrivare in

alcuni casi ad un vero e proprio abbandono;

ma possono anche derivare dalla paura di

affrontare la sofferenza.

Se adeguatamente sostenuto il care-giver ha

la possibilità di evitare che le spinte

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Hospice di Casale - Dicembre 2013 Pagina 7

Ci siamo incontrate in un

c o r s o p e r d i v e n t a r e

“volontari” e nel momento in

cui ci siamo presentate abbia-

mo capito che c’era un qual-

cosa che ci univa e che ci

avrebbe unito malgrado i no-

stri diversi vissuti.

Cosa ci univa. L’essenza del

discorso era SENTIRSI PER-

SONE nella nostra diversità e

L’IMPORTANZA DI SEN-

TIRSI TALI anche nel vivere

IN SIMBIOSI con un figlio

CHE HA BISOGNO DI TE.

Incontrarsi, in mezzo a tante

persone e scoprire che una in

particolare, è uguale a te.

Raccontare, aver voglia di

farlo, senza sapere il perché,

ciascuno il proprio vissuto, la

propria esperienza, il modo proprio di affrontare la diversità, la sof-

ferenza, a volte con rabbia, altre con rassegnazione. E per ultimo

quello che stiamo vivendo, con la convivenza dell’accettazione di

quello che si è.

Capitolo Primo

Non sempre la data

di anagrafe coincide

con la nostra nasci-

ta… soprat tut to

quando un handicap

tuo o di qualcuno

molto vicino a te

influenza il vissuto.

Si nasce nel momen-

to in cui si prende

consapevolezza di

ESSERE PERSONA

nonostante tutto,

imparando a vivere

intensamente la nor-

malità nella diversità.

E’ una grande con-

quista che necessita

di un percorso non facile, attraversando amore e dolore quotidiana-

mente ma deve diventare un punto d’arrivo. Perché è nella normalità

della diversità, nella semplicità, che occorre trovare la propria bel-

lezza. Possono esserci genitori superprotettivi, con una “non cultura”

ed una “non educazione” alla diversità, che non ti lasciano andare e

non capiscono la voglia di voler essere come gli altri.

Questa non cultura è valida anche per affrontare le grandi problema-

tiche che un figlio diverso potrà avere nella vita. E questa accettazio-

ne deve partire soprattutto da noi stessi ed iniziare un percorso di

consapevolezza che la situazione “è questa” e i “i miracoli” non

esistono come gli altri vogliono farci intendere. E capita che gli altri

dicono: “si chiude una porta e si apre un portone” oppure “ma come

hai fatto!” e tu come mamma - nonostante tutta la tua rabbia - sai

come rispondere: “Ma come! E’ tuo figlio? Non hai il coraggio di

farlo per tuo figlio?” “E’ quello che devi fare. E’ amore. Non puoi

lasciar perdere. Devi prendere in mano la situazione e responsabiliz-

zarti, prenderne coscienza. Malgrado tu voglia mettere la testa sotto

la sabbia è necessario che ti rialzi e cammini dritta e consapevole di

fare la cosa giusta ed il massimo per te e per tuo figlio”.

(continua)

Quanto più a fondo scava il dolore nel vostro essere, tanta

più gioia potrete contenere.

Kahlil Gribran

Dedicato a Mariangela

Riceviamo: Volevo segnalarvi un bel libro da leggere.

"Prima di dirti addio

l’anno in cui ho imparato a vivere" di Susan Spencer Wendel

U n libro molto "forte" ...che quando ho iniziato a leggere ...ho

somatizzato tutti i terribili sintomi della protagonista malata di

Sla… è stato per me devastante ...per poi "apprezzare e sentire" la

bellezza del suo racconto di vita!

Inizia nell'estate del 2009, l'odissea di Susan, giornalista, moglie

"straordinaria" e madre di tre figli, un anno di accertamenti medici

fino alla diagnosi più crudele: SLA… ebbene Lei decide di trascor-

rere il tempo che le rimane dedicandosi agli affetti piu' cari, alla

"gioiosità'" della vita quotidiana… un anno alla scoperta dei momen-

ti di felicità e NON ...lasciando poi "un giardino di ricordi".

Ci sono delle FRASI che rimangono impresse… "Sii felice di quello

che possiedi; gioisci di come sono le cose. Quando capirai che non ti

manca nulla, il mondo intero ti apparterrà"

Questa è la forza di SAPER ACCETTARE… Sandra

1 Giugno 2013

Tredici lune sono ormai passate

danzando argentee nella volta celeste

e con l’arrivo della buona stagione

anche il giardino di Luisa torna a darci i

suoi doni

luce profumi fiori meditazione e silenzio

voglia di abbandonarsi al tepore e alle speranze

che svettano con profili slabbrati

lassù tra le fronde degli alberi

invitando al silenzio e alla quiete.

Entro una debole luce

da luoghi sconosciuti

potremo veder sfilare fossili e farfalle

mentre il giorno scolorirà

ai bordi della mente

e un generoso vento

coglierà tra i rami le tenere foglie

adagiandole sui prati

assieme ai nostri sogni.

foto Benny

Grazie! Grazie!

per quando il tuo letto ha solo l’impronta del tuo corpo stan-

co, ma tu sei all’aria aperta in mezzo ai fiori,

perché la sofferenza oggi non ha vinto.

Grazie!

per i tuoi sorrisi e le tue silenziose strette di mano,

perché la sofferenza non ti ha vinto.

Grazie!

perché sono con te, dietro ai tuoi occhi chiusi,

perché la sofferenza non mi ha vinto.

Grazie!

per quando lasci il tuo corpo sofferente, come un abito smes-

sso, e sei, se lo vuoi, nell’abbraccio di Dio.

La sofferenza non ha vinto! Maria Teresa

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Pagina 8 Hospice di Casale - Dicembre 2013

Poesie

A mia moglie Giannina

Venezia C’iaveva un sogno dentro li pensieri:

Venezia coi suoi calli e coi suoi rii

ma, a forza de ritardi e de rinvii,

passarono e i giorni e l’anni interi.

A lungo andar, divenne un’utopia,

un desiderio mai realizzato,

un sogno irraggiungibile fugato

da un brutto mal che se la portò via.

Or da lassù la vede tutti i giorni

e il mare immenso tutto attorno vede

pure la terra e gli astri dei dintorni:

è una certezza; me la da la fede!

Roberto Tinelli

■ Con le lettere ricevute

Uno spicchio di vita dell’Hospice Zaccheo

Continua questa rubrica con una lettera di Laura: siamo a tua disposizione per far sentire la tua voce

Martedì 30 luglio ore 20,57

M i chiamo Laura, sono la mamma di

due figli stupendi.Cristian e Jessica,

da un mese ho conosciuto la struttura Hospi-

ce di Casale, dove ho ricoverato mio figlio

Cristian malato. Ringrazio Dio che esiste una

struttura così efficente con personale che ti fa

sentire una persona non un numero, non

pensavo che potesse esistere una cosa così,

un angolo del Paradiso con il personale che

sono angeli sulla terra… dal personale medi-

co, le infermiere, le volontarie… tutte perso-

ne affabili, tenere, sempre con un sorriso che

ti aiuta a superare i momenti tristi.

Hanno sempre parole dolci, tenere… grazie

che ci siete, grazie che mi aiutate a superare

questo momento, dopo la morte di mio mari-

to non sapevo più come fare a seguire Cri-

stian, ero disperata, invece grazie a voi riesco

a dare a Cristian dei giorni sereni. Grazie a

tutti voi.

Mamma Laura

Domenica

18 agosto

2013 ore

20,50

G razie…

ab b ia -

mo passato

un ferragosto

s e r e n o …

grazie alle

v o l o n t a r i e

Maria e Ma-

rina per le

buone lasa-

gne al pesto,

per la crosta-

ta, le pesche

ripiene al

forno… Grazie che con il vostro aiuto

abbiamo passato un giorno sereno, tutti

assieme sembravamo una grande fami-

glia, iniziando dalla dottoressa e dal

personale che hanno mangiato insieme

a noi famigliari rendendo più sereno

questo giorno di festa. Grazie, che Dio

benedica tutti voi, e spero un domani di

poter far parte della vostra associazione.

Grazie, per come curate e seguite mio figlio

Cristian, e tutti i pazienti, siete angeli sulla

terra. Grazie…

Mamma Laura

Sabato 21 settembre 2013, ore 22,25

A more, Comprensione, Serenità, Dignità,

Famiglia… tutte queste parole raggrup-

pate insieme rappresentano la struttura Ho-

spice di Casale dove è ricoverato mio figlio

Cristian. Angeli, le persone che lavorano lì,

si possono definire angeli, iniziando dalla

dott. Degiovanni che ti fa parlare con amore

della malattia che purtroppo sta invadendo il

corpo di tuo figlio, dalle infermiere e infer-

mieri che hanno sempre un sorriso per noi,

una carezza, piccoli ma grandi gesti che aiu-

tano a farti superare questi momenti special-

mente quando sei sola, dalla volontarie che

arrivano con il loro sorriso portando un rag-

gio di sole anche se dentro di te c’è il grigio.

Cristian grazie a tutto questo da quando è lì

nonostante che abbia una malattia si è ripre-

so, perché lì c’è amore, serenità e c’è un

giardino dove Cri ha potuto passare in sereni-

tà l’estate, stando tutti i pomeriggi fuori,

passando le serate con gli amici. Questo

giardino fantastico dove Cri continua a pas-

sare, fin che ce la farà, i pomeriggi è un po-

sto magico dove ogni angolo rivive una parte

di persone che sono state lì, ma che hanno

desiderato lasciare

una loro traccia

con un fiore, con

una pianta, o con

altre donazioni

che possono alle-

stire il giardino

del mistero della vita.

Un giorno, mentre eravamo lì seduti in giar-

dino, Cri mi disse che voleva regalare un

ciliegio, io gli chiesi perché proprio il cilie-

gio, lui mi rispose perché era una pianta con

una bella fioritura. E ha ragione perché sono

andata a vedere il significato di questa pian-

ta e ho trovato che ha una bella fioritura che

indica che tutto ciò può ricordare la vita.

Ecco io devo ringraziare tutti voi dalla dott.

Abbiamo ricevuto e pubblichiamo:

L'Hospice non è stata l'ultima "stazione"

della sua "Via Crucis" (passatemi il parago-

ne!!) ...ma sicuramente è stato un luogo in

cui mi sembrava quasi che la malattia rallen-

tasse la sua opera di distruzione interna a

quel corpo della mia mamma… Forse perchè

i tanti stimoli esterni disturbavano la sua

voracità da mostro affamato e impietoso…

Si, credo di si!! Le voci, i colori, la cortese

sincera e discreta attenzione, il "calore acco-

gliente" delle stanze… tutto cio' impediva

alla malattia di "fare presto"… All'Hospice

tutto dice agli ospiti: "c'e' tempo, c'e' tempo

per morire… ora guardati intorno e gioisci

delle piccole cose della vita di cui forse non

hai avuto tempo e modo di apprezzare…

accetta questa gioia… perchè questa è gioia

vera!!!".

Frediano

Degiovanni, dott. Alma, tutte le infermiere,

Paola, Sabrina, Valery, Pinuccia, Enrica,

chiedo scusa vorrei mettere i nomi di tutte

ma non li ricordo, le volontarie tramite la

mitica Maria, vi ringrazio di cuore per il

vostro aiuto, a Benny che è sempre disponi-

bile, grazie che ci siete, grazie per il vostro

sostegno. Grazie per il vostro lavoro fatto

con tanto amore, continuate così a dare amo-

re agli ammalati, a trasmettere serenità e

dando loro dignità.

Grazie che Dio vi benedica e che la Mamma

Celeste vi protegga sempre. Grazie a tutta la

grande Famiglia.

Mamma Laura

foto Monica

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Hospice di Casale - Dicembre 2013 Pagina 9

■ Giorgia, insegnante Reiki in Hospice

Un abbraccio immenso con un’accoglienza unica

R eiki è una parola giapponese che signi-

fica Energia Universale. In Giappone è

anche il nome dato ad un trattamento che si

pratica per ottenere un riequilibrio del campo

energetico e riporta-

re armonia nella

persona che lo rice-

ve.

La prima volta che

accettai un tratta-

mento Reiki, non

sapevo bene cosa

fosse. Mi affidai

alle mani di una

persona a me scono-

sciuta, che mi disse:

non devi fare nulla,

sdraiati e rilassati

un po'.

Cos'è un trattamento Reiki, posso spiegarlo

solo dopo averlo provato. Di base l'operatore

appoggia le mani in varie zone del corpo,

delicatamente, e le sposta di tanto in tanto,

insistendo su alcuni punti. Questi gesti porta-

no al lasciarsi andare, al sentire che ci sono

mani che, semplicemente appoggiandosi, ci

coccolano.

La prima volta che ricevetti un trattamento

Reiki, mi sentii bene: ammetto che provavo

una certa immotivata commozione. Le mani

mi trasmettevano energia riuscivano a darmi

benessere. O forse ero io che, sententomi

toccata, con un semplice gesto di appoggio,

percepivo accettazione, accoglienza e amore.

Ricevere Reiki è lasciarsi andare alla propria

energia. Di fatto l'operatore convoglia ener-

gia nel corpo che sta trattando, senza nessuna

pretesa di guari-

gione, ma sempli-

cemente portando

la sua presenza

all'altro, ascoltan-

do l'altro.

Dietro ogni perso-

na c'è un cumulo

di esperienze che

segna inevitabil-

mente il carattere

e i modi: trasmet-

tere Reiki è tra-

scendere ogni

cosa che definisce

una persona, accettandola semplicemente per

quello che è, indipendentemente dalla condi-

zione di ognuno (sociale, fisica, emotiva,

ecc..).

Nella società moderna manca il tocco. Ci si

stringe a malapena la mano, e da quando ci

sono i social network, capita che sia più faci-

le mandarsi un sorriso virtuale che reale.

Reiki insegna il tocco: gentile, non invadente

e delicato.

Ritengo che oggi Reiki sia una tecnica fonda-

mentale: quante volte vorremmo essere a-

scoltati? Quante volte desidereremmo essere

accettati per quello che siamo? In un tratta-

mento Reiki nessuno fa domande, nessuno

chiede o fa diagnosi. Ci sono solo mani di-

sposte a dare. Dare energia. Anni orsono fu

per me importante conoscere Reiki e trasmet-

terlo ad un vicino parente ammalato, poco

prima che morisse. Fu un'esperienza molto

intima, che fece in modo che la sua dipartita

non restasse un addio: era toccarlo e sentirlo

energeticamente, non solo nel suo corpo, ma

attraverso di esso.

Sono stata felice di poter insegnare Reiki alle

volontarie Vitas dell'Hospice di Casale. Ho

voluto trasmettere tutto quanto ho imparato,

utilizzando Reiki prima su me stessa e poi

sugli altri. Il seminario che ha portato alcune

volontarie al primo livello di trattamenti

Reiki, è stato un abbraccio immenso. Il lavo-

ro dei volontari è altrettanto immenso e ho

trovato un'accoglienza unica. Le volontarie

hanno imparato a portare il trattamento su se

stesse e sugli altri, concedendosi un'apertura

alle energie che il luogo Hospice già trasmet-

te. Non a caso la struttura dispone di fontane

d'acqua, spazi dedicati alla natura e ai colori

che trasmettono energie armoniose come

Reiki.

Sono certa che ci saranno altre occasioni per

diffondere questa armoniosa energia, che

unisce le persone e rende unici i momenti,

proprio grazie all'ascolto e alla presenza che

ognuno porta.

Georgia Caprino / Insegnante

Komyo Reiki

Q ualcuno mi ha chiesto giorni fa se, po-

tendo rinascere, avrei vissuto la vita in

maniera diversa. Lì per lì ho risposto di no,

poi ci ho pensato un po’ su e…

Potendo rivivere la mia vita, avrei parlato

meno e ascoltato di più.

Non avrei rinunciato a invitare a cena gli

amici soltanto perché il mio tappeto aveva

qualche macchia e la fodera de divano era

stinta.

Avrei mangiato briciolosi panini nel salotto

nuovo e mi sarei preoccupata molto meno

dello sporco prodotto dal caminetto acceso.

Avrei trovato il tempo di ascoltare il nonno

quando rievocava gli anni della sua giovi-

nezza.

Non avrei mai preteso, in un giorno d’estate,

che i finestrini della macchina fossero alzati

perché avevo appena fatto la messa in piega.

Non avrei lasciato che la candela a forma di

rosa si sciogliesse, dimenticata, nello sga-

buzzino. L’avrei consumata io, a forza di

accenderla.

Avrei pianto e riso di meno guardando la

televisione e di più osservando la vita.

Avrei condiviso maggiormente le responsabi-

lità di mio marito.

Mi sarei messa a letto quando stavo male,

invece di andare febbricitante al lavoro qua-

si che, mancando io dall’ufficio, il mondo si

sarebbe fermato.

Invece di non veder l’ora che finissero i nove

mesi della gravidanza, ne avrei amato ogni

attimo, consapevole del fatto che la cosa

stupenda che mi viveva dentro era la mia

unica occasione di collaborare con Dio alla

realizzazione di un miracolo.

A mia figlia che mi baciava con trasporto

non avrei detto: “Su, su, basta. Và a lavarti

che la cena è pronta”.

Avrei detto più spesso: “Ti voglio bene” e

meno spesso: “Mi dispiace”… ma soprattut-

to, potendo ricominciare tutto daccapo, mi

impadronirei di ogni minuto…

lo guarderei fino a vederlo veramente…, lo

vivrei… e non lo restituirei mai più.

foto Simona

Dolcissima 9 agosto 2013

Dolcissima, le labbra schiuse in un

sorriso accennato, come il trucco

discreto che raffina la tua bellezza.

Nella penombra il mio sguardo si

inganna, tanto che sembri assopita…

Vorrei accarezzarti ma trattengo la

mano e il fiato. Non posso. Come sei

bella, dolce e composta come la prin-

cipessa di una favola, che però non

risveglierà il bacio di un principe…

Dopo tanto rumore, intorno a te silen-

zio, o poche parole pronunciate sotto-

voce: sei già oltre, mentre il tuo gio-

vane cuore riposa nella quiete che

non conoscevi più. Indugio a guar-

darti, tra lacrime che non si fermano

ancora…. “L’altra vita”, ostile da

sempre, solo oggi mi accarezza

l’anima. Si è compiuto il “nostro”

miracolo Mariana, sei tu!

Claudia

Riflessioni di Loredana

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Pagina 10 Hospice di Casale - Dicembre 2013

■ Il volontario casalese visto da una componente politica

“Il regalo della vita”

R ifletto sull’argomento prendendo spunto

da alcuni dati recenti pubblicati da

Giancarlo Rovati, docente di sociologia

dell’Università Cattolica di Milano: “il 24 %

degli europei svolge attività di volontariato,

in Italia la percentuale sale al 26%. Nel no-

stro Paese le associazioni no profit coprono il

70% dei servizi di emergenza, dal pronto

soccorso sanitario al pronto intervento in

caso di disastri naturali”.

L’economista Stefano Zamagni in un suo

studio su questo tema afferma: la cultura

della solidarietà si sta facendo largo sempre

di più anche tra i giovani. Secondo l’Istat il

12% dei 18enni italiani lavora in associazioni

impegnate nell’assistenza sanitaria, nelle

attività sportive ricreative e nella tutela

dell’ambiente. Questa solidarietà nel nostro

Paese conta dal punto di vista economico

almeno un quarto del nostro Pil.

La nostra città ben riflette la situazione su

descritta, perché in essa è molto viva la cul-

tura della solidarietà, una solidarietà cresciu-

ta e maturata grazie all’operato in diversi

settori di moltissime associazioni di volonta-

riato presenti sul nostro territorio da decenni,

a cominciare dalle Parrocchie e dagli Oratori.

L’Albo Comunale delle Associazioni

(attivato dall’amministrazione comunale dal

2012) oggi conta quasi un centinaio di Asso-

ciazioni. E in questi giorni è diventato ope-

rativo l’“Albo comunale del Volontariato

Individuale”, un nuovo strumento che per-

mette ai singoli cittadini di svolgere facil-

mente attività di volontariato di carattere

sociale, civile e cultura-

le.

Nessuno può negare il

valore fondamentale del

volontariato casalese che

si esprime in molte atti-

vità e diversi settori,

perché esso svolge

un’opportuna e necessa-

ria supplenza al mancato

intervento da parte dell’Ente pubblico. I ri-

sultati sono visibili e molto apprezzati da

tutti.

Il problema è il rapporto tra la politica e la

pubblica amministrazione e il volontariato,

che deve essere sostenuto in tutte le sue for-

me rispettandone l’autonomia. Non basta il

semplice riconoscimento. Politica e pubblica

amministrazione devono andare oltre: i vo-

l o n t a r i s o n o d e i b a t t i s t r a d a

nell’individuazione dei problemi e delle esi-

genze della società ben prima che si aggravi-

no e diventino più difficili da risolvere o

sanare. Vigilare, osservare, sostenere, studia-

re sono le attività che competono alla pubbli-

ca amministrazione; sono un mezzo impor-

tante per conoscere meglio la società in cui

operano.

La conoscenza e l’ascolto dei vari settori del

volontariato diventa così un fattore impre-

scindibile per impostare il welfare cittadino e

territoriale per renderlo più aderente alla

realtà, più efficace nella risposta ai bisogni

delle categorie più deboli e che faccia siner-

gia con il lavoro svolto dai volontari. Ne

deriverebbe anche un migliore e più efficace

utilizzo delle risorse pubbliche. I volontari,

infatti, sono più vicini alle realtà concrete,

sono essi stessi parte della società ed hanno

una spiccata sensibilità per co-

glierne i problemi.

Il volontariato dal canto suo

deve essere preparato, consape-

vole e critico; deve saper porre

alla società questioni forti che

esigono una cultura politica di

forte innovazione e cambiamen-

to.

Sono convinta che la cultura

politica non può più pensare al

volontariato come una questione tra le tante,

ma come una modalità di rappresentare

l’urgenza di una politica che dà risposte, che

sa coniugare il concreto con le scelte genera-

li.

Il volontariato è un formidabile strumento

per l’attuazione e la crescita di una politica a

difesa degli interessi deboli e non solo per

ragioni economiche o auto rappresentative,

ma per forti ragioni ideali e di capacità di far

prevalere sempre l’interesse generale su

quello particolare o peggio di parte. Questa è

la politica ispirata alla solidarietà. E la politi-

ca deve supportare l’azione del volontariato

nelle forme con le modalità che si rendono

necessarie nei diversi contesti.

Mi sia consentito in conclusione di esprimere

un apprezzamento per l’attività svolta con

grande dedizione dai volontari di VITAS,

che operano in un settore delicatissimo con

coraggio, sensibilità e grande professionalità,

offrendo anche una preziosa testimonianza a

tutto il volontariato casalese.

Maria Merlo

■ Paola, volontaria Vitas

TAM = Team al meglio B uongiorno, il mio nome è Paola e sono

una volontaria Vitas.

La nostra collaborazione con il personale

dell’hospice cerca di essere sempre più inte-

grata e questo avviene grazie alle infermiere,

le oss e naturalmente alla

dottoressa Degiovanni, che

ci ha invitate a partecipare

ad un corso di aggiorna-

mento (tenuto presso la

nostra struttura) su come

lavorare al meglio in un

team multifunzionale.

Il corso aveva come focus la presentazione di

un modello operativo, da ritarare” nelle

singole e specifiche realtà, per lavorare bene

ed efficacemente. Il modello si chiama TAM

= Team Al Meglio.

Ci sono stati momenti espositivi integrati poi

da discussioni, confronti guidati e alternati

a momenti di coinvolgimento attivo dei par-

tecipanti attraverso anche esercitazioni,

simulazioni e giochi di ruolo.

Il programma si è articolato in due giornate

di lavoro. Coordinatore e docente: dott.

Marco Rotondi, Presidente dell’Istituto Eu-

ropeo Neurosistemica (IEN) e di Med I Care.

Già responsabile Nazionale AIF sanità. Co-

docente dott. Stefano Falletti,

Consulente formatore senior

presso IEN.

Si è parlato delle varie fasi di

vita di un team, le sue tipolo-

gie e una definizione di un

team vincente, delle dinami-

che di gruppo per arrivare ad

un modello di funzionamento capace di inte-

ragire in modo efficace.

La mia esperienza è stata estremamente

positiva. L’ottimizzazione della collaborazio-

ne tra le persone che hanno come obiettivo

l’accompagnare i nostri pazienti ed i loro

parenti in un percorso delicato e sicuramen-

te difficile è un tassello importante che ci

permette di mantenere e migliorare costante-

mente l’ambiente “hospice”.

L’albero è bello

In inverno in una notte stellata

le stelle sembrano appese ai rami,

il cielo grigio, la brina, la nebbia,

fiocchi di neve.

Al primo sole si scioglie tutto,

bagna il terreno che è stato il suo letto,

nascono viole myosotis,

margherite, piccoli fiorellini,

l’albero si sveglia,

i rami, turgidi gemme e fiori gentili,

poi frutti succosi che morsicati

danno alle labbra un delicato bacio

ed è come un’esplosione d’AMORE

****

L’universo è misterioso come chi non ha

mai amato,

non ha mai esplorato questo sentimento.

L’amore è un mistero, si dà al mondo intero

ed è bello,

vedi il firmamento da vicino.

Tu per il mondo sei una persona,

per me sei il mondo INTERO

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Hospice di Casale - Dicembre 2013 Pagina 11

22 ago 2013, Colle del Nivolet

A vevamo già tentato nell’estate del

2012, Assunta ed io, di salire al ghiac-

ciaio del Basei; il meteo dava temporale

dalle 17 in poi e avevamo calcolato di rien-

trare prima di quell’ora. Invece l’incontro

con il pastore “bersagliere”, questo il so-

prannome, ci aveva da una parte regalato la

piacevolezza della conoscenza di una perso-

na veramente interessante, dei suoi racconti

e delle sue considerazioni circa la presenza

dei lupi sulle terre del Gran Paradiso, ma

dall’altra ci aveva accorciato i tempi utili per

salire al ghiacciaio e scendere entro l’ora

prevista del temporale. Ci eravamo fidati

molto delle nostre gambe ed eravamo saliti

ugualmente. Solo fino ad un certo punto, poi

all’improvviso, anticipando i tempi del me-

teo, ecco arrivare da ovest, da dietro la mon-

tagna, il temporale. Improvviso, violento,

fulmini e scoppi di tuono assordanti e noi

eravamo dovuti ritornare velocemente sui

nostri passi. Non è bello prendersi un tempo-

rale in montagna specie se si è a quote eleva-

te, e noi lo eravamo. Avevamo preso acqua e

grandine ben prima di raggiungere il rifugio

Savoia, una lavata che ci aveva consigliato

di essere più cauti la prossima volta.

Avevo tentato da solo nella prima metà di

agosto 2013, e giunto a metà salita si era

alzato un vento fortissimo che rendeva diffi-

cile proseguire su quei ripidi sentieri. Ero

tornato indietro ripromettendomi che al

prossimo tentativo avrei badato di più al

meteo.

Il 21 agosto mi alzo presto per tornare al

Basei: è nuvoloso, inutile partire con queste

condizioni. Poi durante la giornata il tempo

rischiara e parlando con qualcuno del posto

vengo a sapere che sul Nivolet c’è stato sole

tutto il giorno.

Il 22 agosto il tempo è sempre nuvoloso a

Ceresole, io mi sono alzato presto , mi sono

preparato a dovere lo zaino, i bastoncini, la

voglia di andare è tanta, quasi una sfida,

sono determinato ad arrivare in cima, Assun-

ta mi prepara un panino con la

toma, ho la borraccia, vado.

Sulla piazza del paese incon-

tro il “bersagliere”, è sceso in

paese per rifornirsi, gli chiedo

che tempo farà oggi sui monti

e lui con la sua ruvida voce mi

risponde: “vai che lassù trove-

rai sole per tutto il giorno”.

Mi guarda partire, sento il suo

sguardo che mi accompagna,

forse vorrebbe per un giorno

lasciare il gregge e scarpinare

in vetta.

Lascio dietro di me le nuvole

appena raggiungo le baite di

Chiappili alto, da lì in poi sarà

solo sole, limpido sole, aria

tersa e silenzio.

Al rifugio Savoia bevo un caffè lungo poi

parto. L’intenzione era di incontrare qualcu-

no che salisse da quelle parti per non essere

solo, invece non c’è proprio nessuno. Seguo

il sentiero per i primi tratti poi taglio decisa-

mente i prati, so dove dirigermi, so evitare i

laghi e i torrenti, davanti a me si staglia la

montagna, imponente, la forma strana di un

mezzo anfiteatro, i suoi ghiacciai che stanno

morendo. Noto i tanti nevai che ancora ci

sono fino a quote basse. E’ nevicato fino a

giugno, nevicata che aveva fatto dirottare la

gita di VITAS, in origine programmata per

arrivare al Nivolet, a Rhemes Notre Dames.

Il tempo è uno spettacolo, se guardo a valle

verso Ceresole vedo una tappeto di nuvole

che nascondono tutto, se guardo in alto vedo

le cime innevate, un cielo azzurro intenso,

limpido e senza vento, il sole abbagliante e ..

un’aquila reale. Volteggia alta per poi ab-

bassarsi fin quasi a nascondersi in una parete,

fotografo quel luogo, è possibile che lì ci sia

un suo nido ma non lo individuo. Prendo a

salire per un sentiero piuttosto impegnativo,

il tracciato è per escursionisti esperti, quindi

non difficile, ma gli smottamenti invernali

rendono difficoltosi alcuni passaggi superati i

quali mi attacco alle corde del tratto assistito

e sbuco di fronte al vallone che porta al Ba-

sei. E’ un enorme mezzo anfiteatro che pog-

gia su torrioni che sprofondano fino a valle e

una conca che si può attraversare in diagona-

le su di una lunga e ripida pietraia. Qui il

procedere diventa più facile, una marmotta

mi saluta con un fischio, io la rassicuro e la

saluto con un fischio, la avviso che c’è

un’aquila in giro, deve stare attenta se vuole

portare a casa la pelliccia. Attraverso la con-

ca e attacco la parte rocciosa finale. Avevo

già attraversato nevai sulla pietraia ma qui la

traccia sulla neve è flebile, vaga, appena

accennata, a volte inesistente. Arrivo

all’altezza del ghiacciaio, lo costeggio, sono

quasi in cima, l’aria è fresca, il silenzio asso-

luto. Respiro a pieni polmoni, con un po’

d’affanno, un ultimo

sforzo e ci sono. Fanta-

stico paesaggio, poso lo

zaino, i bastoncini, mi

sistemo sulla cresta,

volgo lo sguardo attorno

e, poco lontano, scopro

una coppia che si sta

preparando al ritorno.

Lui si chiama Walter e

lei Ines, ci aggiorniamo

sul percorso che abbia-

mo seguito, ci scattiamo

delle foto (Walter è un

fotografo professioni-

sta). Mi invitano a scen-

dere con loro, declino

l’invito, io sono appena

■ Bruno Marchisio, vice-presidente VITAS

Quattro passi sopra le nuvole

(continua a pagina dodici)

arrivato su, voglio godermi un po’ la monta-

gna, sentire la sua voce, ammirare con calma

tutti i quattromila della Val d’Aosta. Ci sono

proprio tutti, li vedo e li riconosco, il Bianco

sembra a due passi, il Gran paradiso a portata

di mano, vedo in là fino al Cervino, al Rosa,

vedo le montagne francesi e quelle svizzere,

è una bellezza. Il sole brucia e, anche se sono

arrivato accaldato, comincio a sentire qual-

che brivido di freddo. Mi stendo sulla roccia

della cresta, è abbastanza larga per poterci

stare comodi e in sicurezza. Lascio scorrere

il tempo, ascolto la natura, mi fondo in essa.

Vivo momenti di simbiosi assoluta, sento di

essere una parte di quel tutto, di esserne un

tutt’uno. Sono quei momenti in cui sento la

totale appartenenza a madre natura, sento la

mia piccolezza di fronte alla sua immensità.

La coppia ha preso a scendere, su quel monte

resto solo io, io e l’aquila. Guardo il ghiac-

ciaio che ormai è sotto di me, lo vedo in

agonia, tutti i ghiacciai stanno morendo, una

morte lenta e inesorabile. Il riscaldamento

globale li sta uccidendo. Se la gita di VITAS

fosse andata al Nivolet si sarebbe fatta una

tappa al museo glaciologico organizzato da

Mercalli nei pressi del lago Serrù, dove si

dimostra con mappe comparative come siano

velocemente arretrati i ghiacciai negli ultimi

decenni. Chissà se i governanti degli stati del

mondo si rendono conto di cosa significhi

una terra senza ghiacciai. Io non sono ottimi-

sta. Uccidere la natura significa uccidere

l’uomo, l’uomo si è sempre ucciso tra se per

vari motivi, territoriali, religiosi, per il domi-

nio fine a se stesso, per la ricchezza, per il

cibo, per il petrolio. Ma oggi l’unico motivo

sembra essere l’interesse di pochi contro la

vita di tutti. L’interesse a non voler cambiare

un tipo di sviluppo che ci sta portando velo-

cissimamente all’autodistruzione. Con questi

tristi pensieri comincio a scendere lentamen-

te; perdo la traccia un paio di volte, mi oriz-

zonto con gli ometti (piccoli cumuli di pietre

che qualcuno costruisce ad indicare una dire-

zione, un posto pericoloso, una posto panora-

mico), poi ritrovo il sentiero. Mi affretto,

quella immensa solitudine può essere grade-

vole ma anche schiacciante, i passi seguono i

passi, i raggi del sole sono obliqui, l’aria è

più fresca. Prima di arrivare alle corde trovo,

dietro una roccia riparata dalla brezza, la

coppia che avevo incontrato in cima. Stanno

mangiando e questo mi ricorda che anch’io

foto Bruno

foto Bruno

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Pagina 12 Hospice di Casale - Dicembre 2013

Continua dalla pagina precedente

Quattro passi sopra le nuvole ho un panino quindi mi siedo con loro e lo

divoro. Si parla del ghiacciaio, dei ghiacciai

e di quel gruppo di francesi che qualche anno

prima, provenienti dal versante francese delle

alpi, avevano cercato di scendere il versante

italiano. Erano morti in cinque, non erano

attrezzati in modo adeguato, non erano pre-

parati nella conoscenza geografica del per-

corso che volevano seguire. Il versante fran-

cese che sale su quei monti è esposto a sud-

ovest, quello italiano a nord-est. Tutta qui la

differenza. Di là si sale per un facile sentiero

di alta montagna, di qua si scende per i

ghiacciai. E loro sono scesi troppo in fretta,

senza conoscere le piste, senza guide. I soc-

corritori che li hanno trovati stentavano a

credere che qualcuno avesse tentato

l’attraversata con la scarsa attrezzatura che

avevano. Il tempo scorre, la compagnia è

gradevole, Walter e Ines sono delle belle

persone, mente aperta, amore e rispetto per la

natura. Ci scambiamo informazioni recipro-

che, sono curiosi di sapere di Casale, della

vicenda Eternit; hanno seguito in tv e sui

giornali un po’ tutta la storia ma la testimo-

nianza diretta è altra cosa. Non ho molto da

aggiungere a ciò che già sapevano, chiarisco

che oggi Casale è la città più deamiantizzata

del mondo, anche se di amianto ce n’è ancora

tanto, e che ognuno di noi casalesi ha respira-

to quel polverino che uccide e che la nostra

città è sede di una strage continua che au-

menta di anno in anno e che questa strage

durerà ancora a lungo.

Non so come ma il discorso scivola sul dirit-

to alla morte, diritto negato agli italiani così

come è negata la libertà di votare il candidato

preferito alle elezioni politiche, così come è

negata la procreazione assistita, il diritto a

rifiutare l’accanimento terapeutico ecc. Vi-

viamo in uno stato occidentale dove certi

diritti e libertà vengono umiliati come in uno

stato etico da una casta che si sente al di

sopra della legge e del buonsenso. Ma è spe-

cialmente il diritto alla morte che tiene ban-

co. Nella vicina Svizzera è andato a morire

dolcemente Lucio Magri, nella nostra Italia

un vecchio di 92 anni, Mario Monicelli, ha

dovuto buttarsi dal quinto piano per afferma-

re il suo buon diritto a morire. Recentemente

anche Carlo Lizzani. Una legge di civiltà in

Italia potrà mai esistere? Una legge contro

l’accanimento terapeutico ad esempio? Una

legge contro l’omofobia? Per la procreazione

assistita e la libertà di ricerca sulle staminali?

Ius soli? Una legge che non ammetta interfe-

renze di nessuna etica religiosa o non nella

vita politica italiana? Sono sempre pessimista

a riguardo.

Volgo lo sguardo

verso il monte e scor-

go lì vicino un camo-

scio che ci osserva

incuriosito. Mi alzo e

lo fotografo, ci guar-

diamo negli occhi, gli

dico che sono suo

amico,che non ha

nulla da temere da

me. Scuote il capo,

vede degli umani e

non si fida e poi noi cosa facciamo sulle sue

terre? Si gira e agilmente si allontana.

Finalmente riprendiamo la discesa soffer-

mandoci di tanto in tanto ad osservare straor-

dinari scorci panoramici, le vette innevate, a

respirare a pieni polmoni quell’aria fresca e

pura, scambiandoci ancora il piacere di

quell’incontro.

Arrivati al rifugio Savoia ci prendiamo un

caffè, seduti su una panca all’aperto; il clima

è mite, non c’è vento, la valle del Nivolet è

davanti ai nostri occhi solitaria, affascinante

e deserta. Senza averlo richiesto arriva anche

una bottiglia di Genepy.

Ci facciamo un goccetto alla volta, poi ci

accorgiamo che sta diventando tardi. Pur-

troppo non riesco a telefonare ad Assunta

perché lì i telefonini proprio non funzionano,

sono le 19 passate, ed è tempo di tornare

anzi, è un po’ tardi. Stanco ma felice della

giornata prendo a scendere verso Ceresole e

a metà strada trovo Assunta che sale per

venirmi a cercare. Ma come mai, le chiedo, e

lei ancora con un po’ d’angoscia mi dice che

ha avvisato la squadra di soccorso alpino

aereo e che adesso deve

avvisare che mi ha trovato,

che non è successo nulla,

insomma che sono lì. Sono

stupito ma poi capisco la sua

ansia, mi aspettava a casa al

più tardi per le cinque, ades-

so sono le sette e mezzo e

sta per fare buio e ha temuto

che mi fosse successo un

incidente: basta una storta o

un malore e da solo lassù

che facevi?

Si ha ragione, ma i telefonini là non prendo-

no…

foto Bruno

■ Una scritta nell’entrata dell’hospice che deve farci rilfettere

Dono di una volontaria dell’AVO

vetrina. Mi informai per acquistarlo, purtrop-

po l’articolo non era in vendita. Presi quindi

nota delle belle parole che già sentivo appar-

tenermi “Le famiglie sono come i quilts, vite

cucite assieme, unite con sorrisi e

lacrime, colorate con ricordi e tenute

insieme con il filo dell’amore”.

Al mio rientro ne parlai con Isabella,

la mia cara amica, in quanto era alla

ricerca di uno spunto per realizzare un

grande quadro da appendere su una

parete della sua casa.

Così lei con tanta pazienza e bravura

è riuscita a concretizzare nel modo

migliore questo mio ricordo cucendo

l’arazzo.

Poi, in occasione della ricerca di og-

getti da donare per la raccolta fondi

per l’Hospice Zaccheo, Isabella ha

deciso di donarlo in quanto l’arazzo

può ricordare a chi legge la frase cucita sopra

che l’amore e l’affetto che unisce la famiglia

non muore mai, perché sono fili indissolubili

che neppure la morte può rompere.

Maria Teresa e Isabella

Durante una gita a Riomaggiore (Cinque

terre) alla ricerca dei miei ricordi ripercor-

rendo strade che un tempo mi avevano vista

felice accanto alla mia famiglia restai colpita

dalla frase scritta su un arazzo esposto in una

A ttraversavo un periodo molto triste della

mia vita, in poco tempo avevo perso

tutte le persone a me più care: mia madre

prima, dopo pochi mesi mio padre e infine

mio marito.

foto Benny

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Hospice di Casale - Dicembre 2013 Pagina 13

“O gni uomo nella vita non è mai so-

lo…” e soprattutto nell’ultimo per-

corso di viaggio non lo dovrebbe mai essere.

Le Cure Palliative di cui si occupa Vitas ogni

giorno affrontano una esperienza nuova per

ciascun paziente e noi volontari nel “nostro

lavoro” quotidiano”, trovando delle difficol-

tà nel gestire

una situazione

di disagio di un

nostro paziente,

abbiamo pensa-

to di contattare

l’associazione

Vidas di Milano

che ha una

esperienza tren-

tennale nel

servizio di vo-

lontariato.

Vidas fondata

nel 1982, è nata con l’obiettivo di soddisfare

a domicilio tutti i bisogni del paziente che

necessita di Cure Palliative e del suo nucleo

familiare.

Dal 2006 offre ai pazienti la possibilità di

fruire di un percorso residenziale presso

l’hospice “Casa Vidas” per rispondere a

condizioni clinico-sociali specifiche. Presso

la struttura, dal 2007, sono disponibili anche

attività a ciclo diurni per i pazienti che con-

servano un discreto grado

di autonomia.

Vidas si muove sul terri-

torio di Milano e hinter-

land con le figure profes-

sionali esperte in Cure

Palliative: medici, infer-

m i e r i ,

assistenti sociali, psicologi,

operatori socio sanitari, fisio-

terapisti e volontari.

Il 5 luglio scorso dopo

“enormi fatiche gestionali”

siamo riusciti a concordare

un momento di incontro

sull’Asse Milano-Casale nel

giardino del nostro hospice.

La giornata di sole ha rispec-

chiato i nostri sentimenti

reciproci di accoglienza e di

calore… pur non conoscen-

doci personalmente.

Federica, Monica e Roberta (coordinatrici

hospice e assistenza domiciliare e formazio-

ne volontari) sono rimaste particolarmente

colpite dalla bellezza e dalla fioritura del

nostro giardino. Ad accoglierle un gruppo di

volontarie, la dott. Budel, la psicologa dott.

Venier e la caposala Paoletta che facendo

“gli onori di casa” hanno fatto visitare le

camere, il soggiorno e la cucina.

Il nostro incontro si è svolto sotto il gazebo

del giardino e con caffè e krumiri ci siamo

conosciuti vicendevolmente scambiandoci

informazioni dell’una e dell’altra associazio-

ne, condividendo soprattutto le problemati-

che che ogni giorno si affrontano.

L’importanza di poter collaborare ed inte-

grarsi con altre realtà come Vidas arricchisce

il nostro entusiasmo, il nostro voler entrare in

relazione empatica, essere “presenti” con il

Cuore, la Mente ed i l Corpo

nell’accompagnamento finale.

Federica, Monica e Roberta ci hanno poi

ringraziato inviando questa e-mail: “Grazie a

voi! Di averci accolti così calorosamente

facendoci capire come in un gruppo più pic-

colo e meno “strutturato” del nostro possa

fluire con più spontaneità e naturalezza ciò

che bolle nel cuore di chi fa il nostro lavo-

ro… E ciò che bolle nel cuore sono valori

comuni, anche di questo abbiamo avuto con-

ferma! Grazie a voi…”

Sandra e Margherita

Nessun uomo è un’isola, compiuta in se stessa;

ogni uomo è un frammento del continente, una parte

del tutto.

Se una zolla di terra è portata via dal mare, l’Europa

diviene piccola,

così come se fosse portato via un promontorio,

o un castello di proprietà dei tuoi amici, o tuo proprio;

allo stesso modo la morte di qualsiasi uomo mi diminuisce,

perché io sono coinvolto nell’umanità.

Perciò non mandare mai a domandare per chi suona la campana:

essa suona per te.

John Donne

■ Un’esperienza di interscambio con Federica, Monica, Roberta

Vitas chiama Vidas

■ Con Vidas ed altre associazioni il 22 novembre a Milano per un corso sulle terapie diversionali in Hospice

Vidas chiama Vitas Una giornata molto intensa e piena di nume-

rosi spunti da portare a casa nella nostra

realtà quotidiana.

Ma essendo il nostro primo invito in hospice

Casa Vidas abbiamo fatto un giro per poter

vedere da vicino la loro realtà e ve ne offria-

mo alcuni stralci di foto tratti dal loro bellis-

simo sito.

Arrivederci amiche di Milano e grazie!

occupazionale: malati di Alzheimer e malati

terminali.

Nel pomeriggio la presentazione del contri-

buto dei volontari nelle realtà di CP: espe-

rienze degli hospice Antea di Roma, Gigi

Ghirotti di Genova, Casa Vidas.

Successivamente spazio per lavori di gruppo

con alcune domande a cui rispondere:

Valore e limite del contributo del volontario

nelle attività diversionali.

Possibili nuove strade delle attività diversio-

nali nelle CP per il volontario?

I volontari e l’interazione con i

professionisti nelle attività diver-

sionali.

Il senso delle attività diversionali

nell’end of life?

Q uesta bella esperienza di interscambio

speriamo sia continuativa in modo da

creare una circolarità di esperienze, acco-

gliendo il nuovo e “sperimentandolo” senza

averne paura ed imparando a non chiudersi.

Una giornata di formazione e confronto con

nella mattinata a fare chiarezza su cosa è e su

cosa non è un’attività diversionale, e sugli

ambiti applicativi nelle Cure Palliative.

Il prof. Vincenzo Puxeddu, medico Direttore

Sanitario Servizio Cure Domiciliari e Pallia-

tive CTR Onlus, Cagliari, corresponsabile

master Danza terapia Universi-

tà Sorbonne Paris Cité, Parigi

ci ha proposto il dilemma:

terapie o attività diversionali?

Claudia Monti, presidente As-

sociazione Antea, Roma, ci ha

presentato le attività diversio-

nali nell’ambito delle Cure

palliative: spazi e persone

coinvolte.

Sono state poi raccontate le

esperienze di attività diversio-

nali in hospice Casa Vidas:

attività assistite con gli animali.

Ed infine esperienza di terapia

La cupola

che fa da

cielo

all’hospice

Casa Vidas

Una visuale del piano de-

genza La zona pranzo e la Biblioteca

foto Fede

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Pagina 14 Hospice di Casale - Dicembre 2013

“Sono persa… rinascerò!” “Si, mi sono persa nei meandri del mio cuore dolente, vorrei ora ri-

prendere la via del rinnovato sorriso interiore, cercando di continuare

a donarlo a me stessa per donarlo all'altro.”

U n incontro sulla elaborazione degli

abbandoni, con Luigi Colusso, medico

psicoterapeuta e formatore di gruppi AMA

(auto mutuo aiuto) inizialmente mi ha creato

un notevole disagio psicofisico. Mi

hanno invitata alla presentazione

de :”Il colloquio con le persone in

lutto”. Una esperienza di vita. Un

racconto per tutti i “dolenti e non”.

Sentirmi inadeguata, un luogo perce-

pito come sbagliato e l'attimo del

“qui ed ora” interiormente imbaraz-

zante. Non avevo mai ipotizzato

l'esistere di gruppi di aiuto sulla ri-e-

laborazione della morte qualunque

sia: fisica, spirituale. Un “io” sfatto

nella solitudine interiore, faticosa-

mente condiviso per pudore, mancata

educazione culturale, credo atavica.

L'impotenza sentita nell'io a sopravvivere al

proprio caro: emozioni laceranti. Né quantifi-

cabili e qualificabili.

Solitamente riteniamo il lutto, un dolore

prioritario che uccide le emozioni.

Raramente si considera l'abbandono anche

come una radicale cambiamento delle abitu-

dini alla “vita”. Mutazione che genera in

base alla “nascita o epilogo” della situazione

uno stress emotivo dirompente, distruttivo.

Conoscere Luigi Colusso è stato ricevere un

“dono” interiore di aria rinnovata.

Paradossale; visto che durante l'incontro

l'argomento era il lutto, la

rielaborazione dello stesso, e

la definizione del “dolore”

dell'io nel momento di ab-

bandono che pervade il sin-

golo individuo quando una

persona cara si “libera” dalla

vita o della vita. Oso, io

indicare il termine “morte”

come Liberazione. Una per-

cepita e serena dolcezza e

umanità empatica: Colusso, è

riuscito basandosi su una

rielaborata e sofferta crescita

personale a “librarsi” fino a

riassumere, esprimere e portare alla luce

emozioni insite in ognuno dei presenti

“donando” non soluzioni, ma spiragli di ri-

presa di vita. Pensieri che solo chi si autori-

genera riesce a donare.

“...Non sappiamo trovare la via per sciogliere

questo nodo, non ora, ma siamo stati capaci

di sostare insieme e di sopportarlo... accettare

di fronteggiarlo...” . Colpita da questa frase,

mi sono convinta che si possa dare una rispo-

sta al “sintomo” del dolore riducendolo me-

diante il dono della com-passione condivi-

dendola serenamente con altri.

Colusso, con scioltezza smussa macigni

dolorosi invisibili. Mascherati spesso dal

nostro modo di essere verso l'altro e la vita.

Individui a se, rinchiusi, o palesemente plate-

ali senza però essere volutamente attori:

liberare lacrime nascoste o contenerle al fine

non divengano vera patologia depressiva,

morte spirituale.

Siamo entità con sfaccettature, motivate

fortemente, e con nascosta creatività di ri-

presa che forse non ricordiamo più di posse-

dere.

Lacrime che si possano includere nel para-

digma del dono. Donarsi all'altro nell'ascolto

anche dei silenzi, spesso esaustivi. La lettura

dei segni, senza la necessità di una restituzio-

ne del dono. Creare una aggregazione di

condivisione tacita, dove sia i dolenti che i

facilitatori restano adesi uno all'altro in un

contesto di legame storicamente adiuvante.

Senza limiti di critica, giudizio e creazione di

target.

“Il seme che muore generando una nuova

pianta”: forse dovremmo tenere presente

sempre questo concetto ed adottare i tre crite-

ri fondamentali del dono.

La spontaneità del dono senza l'obbligo nello

stesso tempo di restituirlo immediatamente o

senza doverlo restituire affatto, il non poterlo

rifiutare ma accettarlo perchè è luce della

vita. Da leggere!

Alda

Avere fede non basta

“C onducimi tu, Luce gentile… condu-

cimi nel buio che mi stringe… non

chiedo di vedere assai lontano, mi basta un

passo solo il primo passo…”. Queste parole

fanno parte di una preghiera che John Henry

Newman compose durante il suo viaggio in

Sicilia. Una poesia, una preghiera,

un’invocazione, che bene esprime il bisogno

di non essere lasciati soli nella consapevo-

lezza che il buio esiste anche per chi vive di

fede. Ci sono delle situazioni difficili (e non

importa quali, ciascuno ha le sue), in cui ci

sembra di soffocare, di non riuscire ad anda-

re avanti e non puoi cambiarle. Quando ti

prende questa angoscia per l’incapacità di

gestire la vita, quando ti rendi conto che le

cose non dipendono da te, sono più grandi di

te e ogni giorno incombono come grandi

acque pronte a riversarsi su di te, e tu preghi

che si fermino e invece… si riversano, e ti

travolgono… e tu ti devi rialzare… E provi

di tutto (dallo yoga alle novene per le cose

i m p o s s i b i l i , d a l l a f u g a

all’autocommiserazione…), ma la situazione

non cambia, la vita non cambia, l’angoscia ti

stringe il cuore. E preghiamo, sì, ma pensia-

mo di non essere ascoltati, esauditi… perché,

in fondo in fondo, è questo che chiediamo

quando ci mettiamo in ginocchio: essere

esauditi nelle nostre richieste! Insistiamo

affinchè le cose vadano come le vediamo noi.

Perché il nostro modo di vedere le cose ci

appare giusto, buono… ma non ci avevano

detto che solo Dio è buono e solo Lui sa cosa

è buono? Vuoi vedere che ci sentiamo noi

dio? La supplica si leva costante: “Signore

salvami, toglimi questo peso che mi oppri-

me”. Vorresti addormentarti e svegliarti

dicendo “era solo un sogno” e andare avan-

ti. Ma che dico avanti, vorremmo tornare

indietro! Vorremmo che la vita non fosse

andata avanti svelando la nostra inadegua-

tezza, vorremmo tornare ad un passato che

non c’è più, ma che nel nostro ricordo è

sempre migliore del tempo presente. Avere

fede non basta! Pregare il Signore non serve

se la richiesta è quella di non vivere il pre-

sente. Perché è proprio questo ciò che ci

viene svelato nel dolore: il presente, una

storia che va avanti, una vita che va affronta

tata con occhi nuovi capaci di vedere cose

che prima non sospettavamo neppure. Che

fare? Che pensare? Cosa chiedere? Chiedia-

mo Luce! Chiediamo di vivere riuscendo a

vedere le cose per quelle che sono senza

voltare le spalle ad un evento che è certa-

mente più grande di noi. La preghiera, allo-

ra, non è più rivolta a Dio, ma è IN DIO,

chiediamo di entrare nella Luce, di essere

condotti dalla Luce. Ecco cosa significa

“credere in Dio”: sapere di essere nella

Luce e di non cadere nell’inganno di ritener-

ci da soli. Perché è questo il più grande er-

rore: pensare di essere soli ad affrontare la

vita. La preghiera diventa un aprire

l’intelligenza e il cuore sulla nostra vita

sapendo che va vissuta nella certezza che

siamo condotti per mano. Chi è cieco sa bene

cosa significa fidarsi di chi ti prende per

mano e ti stringe al suo fianco. Il passo lo

facciamo noi, ma il suo cammino è già trac-

ciato dalla Luce gentile che ci guida passo

dopo passo.

(di Anna Pia Viola

dalla rivista Femminile plurale)

Paulo Coelho

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Hospice di Casale - Dicembre 2013 Pagina 15

■ Recensioni di Vincenzo Moretti

Infermieri per caso

Profumo di donna è un film del 1974 diretto da

Dino Risi, tratto dal romanzo Il

buio e il miele di Giovanni Arpi-

no. Il capitano in pensione Fau-

sto Consolo (Vittorio Gassman),

rimasto cieco a causa di un'e-

splosione accidentale, decide di

recarsi a Napoli dall'amico ed ex

commilitone Vincenzo, anch'egli

non vedente. Si fa accompagnare

dal diciottenne Giovanni Bertaz-

zi (Alessandro Momo), recluta in

permesso premio. A Napoli la

giovane Sara (Agostina Belli),

figlia del suo ospite, lo corteggia

e vorrebbe occuparsi di lui, che

invece è infastidito dalle sue

attenzioni. Fausto e Vincenzo

tentano di suicidarsi con le proprie pistole d'ordinanza, ma la paura

impedisce loro di riuscire nell'intento. Solo a questo punto Fausto

comprende che non può rinunciare alla vicinanza di Sara. Il film,

dove convivono patetico e umor nero, sfiora temi molto impegnativi

senza appesantirli con prevedibile retorica. “Essere cieco non è tri-

ste; essere incapace di sopportare la cecità, questo è triste”. L'afori-

sma di John Milton si confà al protagonista, che nel buio disperante

della cecità indossa una maschera di orgoglio e decoro, finché non

deciderà di accettare l’amore di Sara e la solidarietà del soldato,

“infermiere per caso” capace di sopportare con pazienza e ironia le

ubbie del suo difficile compagno di viaggio.

Scent of a woman

(Profumo

di donna) è un remake dell'omonimo film

di Risi. Charles (Chris O'Don-

nell), giovane di umile fami-

glia, frequenta un prestigioso

college grazie a una borsa di

studio. Poco prima della fine

dell’anno scolastico fu scomo-

do testimone di un episodio

vandalico col quale tre stu-

denti “figli di papà” vollero

vendicarsi del preside. Charles si trova di fronte a una dolorosa

scelta: o accetta la subdola proposta del preside (se lui farà i nomi

dei colpevoli, lo segnalerà come meritevole all'università di Har-

vard), o si piega alla richiesta dei tre bulli di buona famiglia

(autoaccusarsi, con sicura espulsione dal college). Nella sua vita

irrompe però Frank Slade (Al Pacino), colonnello in congedo a

seguito di un incidente costatogli la vista. In occasione del week-end

del Ringraziamento, Charles è assunto come accompagnatore

dell’invalido colonnello che, stanco della sua menomazione, ha

deciso di lasciare la casa della nipote e di vivere fino all’eccesso, in

quei giorni di festa, le sue vecchie passioni per troppo tempo trascu-

rate: belle donne, alberghi di lusso e alcol, irriverenza e scialo. Per

poi suicidarsi. Ma l’ingenuo e inesperto ragazzo che l’accompagna,

con un atto di coraggio, gli impedisce il suicidio. Tra i due si svilup-

pa un rapporto padre-figlio, e il giovane racconta dei suoi problemi

a scuola. Terminato il week-end, il colonnello decide di difendere il

giovane amico all’assemblea di allievi e professori dove il preside,

in malafede, sta accusando Charles di vandalismo e ne propone

l’espulsione. Con un memorabile intervento, il colonnello, forte

della sua autorità di ex agente nello staff del presidente Johnson e di

veterano in Vietnam, accusa la scuola di preparare leader disonesti,

corrompendo i giovani indigenti come Charles, con la promessa di

un allettante futuro. La commissione di disciplina scagiona Charles,

e il colonnello torna a casa della nipote. Il film è un inno alla vita,

che può regalare emozioni anche quando tutto sembra perduto,

perché “c'è chi vive tutta la vita in un minuto”. Come quel minuto in

cui Slade-Pacino si cimenta in un intensissimo tango sulle note di

Por una cabeza. Il film regala un lieto fine con annessa morale non

del tutto conformista e perbenista, nella quale s’intrecciano omertà

e lealtà, reticenza e orgoglio.

Quasi amici (Intouchables, 2011) è ispirato

alla vera storia del tetraplegico

Philippe Pozzo di Borgo (autore

di Le second souffle, traduzione

italiana: Il diavolo custode). Un

tetraplegico milionario, Philippe,

sta cercando un badante. Si pre-

sentano figure professionali e

canoniche, ma lui decide di assu-

mere Driss, un giovane senegale-

se cresciuto in Francia, che vive

di espedienti, è appena uscito dal

carcere per rapina, non ha refe-

renze… Eppure è l’unico a pos-

sedere una caratteristica che

Philippe ritiene indispensabile,

date le sue condizioni: l’assenza

di pietà. Veramente Driss non ha alcuna intenzione di farsi assume-

re: vuole ottenere un formale rifiuto dal potenziale datore di lavoro

per mantenere il diritto al sussidio di disoccupazione. Il giorno dopo

torna alla villa di Philippe per ritirare i suoi documenti e, con grande

sorpresa, gli viene comunicato che è stato assunto per un periodo di

prova. Dato il grado di disabilità di Philippe, Driss è costretto ad

accompagnarlo in ogni momento della sua vita, scoprendone, con

stupore, aspetti completamente diversi da quello che si aspettava.

Nonostante alcune difficoltà iniziali, Driss si prende cura del suo

assistito, aiutandolo a non cadere nell'autocommiserazione e a non

essere oggetto di pietà. Il loro rapporto di dipendenza reciproca e lo

scontro ravvicinato e spericolato tra le culture di due mondi opposti

(il bianco e il nero, il ricco e il povero), si trasformano in un legame

solido seppur turbolento, punteggiato da episodi comici e commo-

venti.

Il film ci ricorda l’importanza della leggerezza. Regalando al badan-

te “infermiere per caso”, come pure al badato colto, abbiente e nobi-

le (e anche ai più sensibili tra gli spettatori) una dimensione nuova

della gioia, della speranza, dell'amicizia. Con queste armi si vincono

anche le sfide più ardue e si orienta in direzione positiva il proprio

futuro.

FILM DA VEDERE - FILM DA VEDERE

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Pagina 16 Hospice di Casale - Dicembre 2013

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essere madri e proprio questa straordinaria

potenza di dare la vita potrebbe essere la

chiave di lettura che ci permette di capire

perchè le donne” sanno” affrontare il dolore,

“sanno”accogliere, perché sanno dedicare a

chi ha bisogno la cura, con i gesti antichi che

dedicano al loro neonato. Insomma le donne

sono” fabbriche” di vita e hanno il coraggio

di farlo, per questo hanno più risorse. Addi-

rittura il Papa, recentemente,ha esortato tutti

a guardare le donne con, cito testualmente,

“rispetto nuovo “, perché la donna è madre, e

se anche non ha mai partorito, è comunque

madre dentro, e come tale coraggiosa.

Gli uomini ”illuminati” sanno che noi siamo

speciali, a volte lo negano, forse perché sono

un po’ invidiosi… Meditiamo, meditiamo…

■ Riflessioni di Silvia (volontaria Vitas)

Donne e uomini di fronte alla sofferenza e al lutto

N egli anni di frequenza al gruppo AMA

e come volontaria VITAS ho spesso

notato come uomini e donne affrontino e

vivano in modo molto diverso la sofferenza,

la morte e il lutto. Queste diversità mi hanno

spesso condotta a riflettere. Non me ne vo-

gliano i confratelli in Adamo, ma ho visto

sovente come pazienza, determinazione,

dedizione e coraggio siano appannaggio più

del gentil sesso che di quello che viene defi-

nito forte. Non a caso il gruppo dei volontari

VITAS è decisamente più

rosa che azzurro.

Mi chiedo perché…

All’inizio non voglio fer-

marmi ai soliti luoghi

comuni, retaggi di cultura

tanto cara alle nonne che

vedevano le donne un

angelo (di acciaio) del

focolare, perno della fa-

miglia, abituata fin

dall’infanzia alla sofferen-

za fisica e morale, tempra-

ta, dunque, ad ogni avver-

sità. Ricordo benissimo che, da bambina,

ogni volta che mi lamentavo per qualcosa, la

mia nonna Erminia, la mia straordinaria non-

na materna, maestra di vita, mi sollecitava ad

andare avanti e a non diventare una “gnaga”

perché dovevo diventare una donna, e quel

“donna” aveva tutte le lettere maiuscole.

Come DONNA dovevo essere forte perché

avrei avuto dei bambini, il parto non sarebbe

stato una passeggiata, poi avrei dovuto cre-

scerli, educarli e curarli, avrei vissuto con

mio marito, e la nonna diceva che la vita in

due è buona ma si deve aver tante volte pa-

zienza, poi potevano arrivare dei giorni

scuri… insomma, se fossi stata una

“gnaga”come avrei fatto?

Questi ”luoghi comuni” sono specchio di

saggezza popolare. Devo però trovare un

sigillo, un parere dotto, una conferma, un

conforto, perché io a questa saggezza popola-

re ci credo. E una sera, navigando in rete,

incappo in uno scritto di una sociologa, la

dottoressa Giuditta LoRusso (“Sarà così

lasciare la vita” a cura di Livia Crozzoli,

capitolo “maschile e femminile di fronte alla

morte” a cura di Giuditta LoRusso), che non

solo conforta la mia convinzione, ma chiama

in causa addirittura Leone Tolstoj, si, proprio

l’autore di Anna Karenina. La dottoressa

LoRusso dà per scontato che uomini e donne

siano su piani diversi nei confronti del dolore

e registra che le donne sembrano essere

”impostate” ad accompagnare i sofferenti. E

qui si innesta Tolstoj. Parliamo di due perso-

naggi corollari in “Anna Karenina”, una

coppia di sposini: Kitti e Levine. I due giova-

ni si trovano al capezzale del fratello morente

di Levine, Nicola. Levine è terrorizzato, per

lui tutto è paura, mistero,

eccessivo, si rifiuta di toc-

care il fratello, se ne allon-

tana, lo evita.

Al contrario Kitti, giova-

nissima e che quasi non

conosce il cognato, lo ac-

compagna con dolcezza,

pazienza, serenità e corag-

gio. E coraggio deriva dal

latino “cor”, che vuol dire

cuore. Levine incarna la

paura della propria morte

che vive nella morte del

fratello, interpreta il deserto gelato senza

“cor”in cui sono lasciati i malati terminali,

gli ultimi, i deboli, i diversi. Morto Nicola,

Kitti comunica allo sposo di essere incinta e,

ancora una volta, Levine precipita nella pau-

ra. Un nuovo mistero deve essere affrontato:

quello della vita. Morte e vita non spaventa-

no invece Kitti, lei dà la vita, ma allo stesso

tempo proverà la terminalità della sua gravi-

danza e il distacco doloroso e fisico da suo

figlio, la fine di una vita in comune. Nascita

e morte si fondono insieme.

Tutte le donne, in potenza, sono o possono

VITAS offre la possibilità ai famigliari di

avere un supporto psicologico attraverso

colloqui individuali o di gruppo.

Le persone interessate possono contattare

l’Hospice al numero telefonico:

0142 434081 o le psicologhe

M.Clara Venier: 339 8168421 e

Barbara Oneglia: 347 0704146

Gli incontri si tengono presso la sala riunioni

dell’Hospice “Zaccheo”, Strada Vecchia

Pozzo S.Evasio 2/E (di fronte sede Croce

Rossa)

La maggior parte di noi non vincerà i grandi premi della vita. Non diventerà milionario, né andrà sulla Luna, non sarà eletto presidente, né vincerà il Nobel. Ma possiamo goderci i piccoli piaceri della vita. Una carezza sulla spalla. Un bacio sulla guancia. Un sorriso. Far parte di Vitas.

Vedere ogni lunedì mattina la Maria cucinare deliziosi pranzetti per ospiti, parenti, personale� dell’HOSPICE� e chiunque desideri unirsi al gruppo. Goditi le piccole delizie della vita. Ce ne sono in abbondanza per ognuno di noi.