La donna nella stampa popolare cattolica «Famiglia ... · Nata nella seconda metà dell’800...

24
«Italia contemporanea», giugno 1981, fase. 143 La donna nella stampa popolare cattolica «Famiglia cristiana» 1931-1945 Da alcuni anni si sottolinea l’attenzione che dovrebbe essere portata al fenomeno della stampa popolare cattolica, quale elemento utile, insieme ad altri ugualmente finora trascurati *, per la ricostruzione di quella trama culturale « altra » sia rispetto alla cultura d’élite che alla cosiddetta cultura popolare. La necessità di studiare gli strumenti della formazione di una cultura di massa in Italia è stata avvertita sia da chi s’interessa di storia della cultura 1 2, sia da chi, inserendo il tema in una prospettiva più politica, desidera che lo studio di questa produzione cultu- rale cattolica serva a « misurarsi fino in fondo col processo di formazione del blocco storico delle classi dominanti e delle sue basi di consenso di massa nel- l’Italia contemporanea » 3. Chi del fenomeno si è occupato direttamente ha sottolineato in primo luogo l’esi- genza di suffragare le ipotesi generali sull’argomento con apporti documentari4. Effettivamente essi scarseggiano5, e non solo per disinteresse degli studiosi, ma anche per le difficoltà che incontra chi a questi documenti voglia avvicinarsi. Uno dei caratteri di tale tipo di stampa è infatti quello di « costruire senso e memoria nella gente, ma di lasciare esigua e disorganica memoria di sé nelle istituzioni della memoria pubblica, le biblioteche » 6. Inoltre, al cattolico che agisce nel campo dell’editoria, specie di quella popolare, è mancata per molto tempo la coscienza dell’importanza del documento, della storia della sua azione. In altre parole, egli non pensava ad archiviare, conservare, schedare, poiché nella sua formazione il 1 Ci riferiamo a libri di testo e di saggistica, a spettacoli popolari e stampa a grande diffu- sione; cfr. Sergio romagnoli, La cultura dell'Italia unita, in Società e cultura dell'Italia unita, a cura di Paolo Macry e Antonio Palermo, Napoli, Guida, 1978, p. 159. 2 Vedi i contributi di a. Palermo, g. mazzacurati, s . romagnoli, in Società e cultura, cit. 3 Cfr. Mario G. rossi, Il movimento cattolico, in L ’Italia unita nella storiografia del secondo dopoguerra, Milano, Feltrinelli, 1980, p. 170. 1 Cfr. Stefano pivato, L'organizzazione cattolica della cultura di massa durante il fascismo, in « Italia contemporanea », 1978, n. 132, p. 3. 5 Per quanto riguarda la stampa cattolica popolare, per molti anni l’unico contributo è stato quello di Mario insenghi, La stampa di parrocchia nel Veneto, Padova, Marsilio, 1973. Recen- temente è uscito il volume di A rnaldo nesti , Una cultura del privato. Morfologia e significato della stampa devozionale in Italia, Torino, Claudiana, 1980 che analizza da un punto di vista storico-sociologico la stampa devozionale, cioè un particolare settore della « buona stampa », e utilizza un campione di pubblicazioni che risale ad anni recenti (1969-72). 6 Vedi la recensione di Mario Isnenghi al libro di a. nesti , Una cultura del privato, cit., in « L’espresso », 26 ottobre 1980, n. 43.

Transcript of La donna nella stampa popolare cattolica «Famiglia ... · Nata nella seconda metà dell’800...

«Italia contemporanea», giugno 1981, fase. 143

La donna nella stampa popolare cattolica «Famiglia cristiana» 1931-1945

Da alcuni anni si sottolinea l’attenzione che dovrebbe essere portata al fenomeno della stampa popolare cattolica, quale elemento utile, insieme ad altri ugualmente finora trascurati *, per la ricostruzione di quella trama culturale « altra » sia rispetto alla cultura d’élite che alla cosiddetta cultura popolare. La necessità di studiare gli strumenti della formazione di una cultura di massa in Italia è stata avvertita sia da chi s’interessa di storia della cultura 1 2, sia da chi, inserendo il tema in una prospettiva più politica, desidera che lo studio di questa produzione cultu­rale cattolica serva a « misurarsi fino in fondo col processo di formazione del blocco storico delle classi dominanti e delle sue basi di consenso di massa nel­l’Italia contemporanea » 3.

Chi del fenomeno si è occupato direttamente ha sottolineato in primo luogo l’esi­genza di suffragare le ipotesi generali sull’argomento con apporti documentari4. Effettivamente essi scarseggiano5, e non solo per disinteresse degli studiosi, ma anche per le difficoltà che incontra chi a questi documenti voglia avvicinarsi. Uno dei caratteri di tale tipo di stampa è infatti quello di « costruire senso e memoria nella gente, ma di lasciare esigua e disorganica memoria di sé nelle istituzioni della memoria pubblica, le biblioteche » 6. Inoltre, al cattolico che agisce nel campo dell’editoria, specie di quella popolare, è mancata per molto tempo la coscienza dell’importanza del documento, della storia della sua azione. In altre parole, egli non pensava ad archiviare, conservare, schedare, poiché nella sua formazione il

1 Ci riferiamo a libri di testo e di saggistica, a spettacoli popolari e stampa a grande diffu­sione; cfr. Sergio romagnoli, La cultura dell'Italia unita, in Società e cultura dell'Italia unita, a cura di Paolo Macry e Antonio Palermo, Napoli, Guida, 1978, p. 159.2 Vedi i c o n tr ib u ti di a. Palermo, g. mazzacurati, s . romagnoli, in Società e cultura, cit.3 Cfr. Mario G. rossi, Il movimento cattolico, in L ’Italia unita nella storiografia del secondo dopoguerra, Milano, Feltrinelli, 1980, p. 170.1 Cfr. Stefano pivato, L'organizzazione cattolica della cultura di massa durante il fascismo, in « Italia contemporanea », 1978, n. 132, p. 3.5 Per quanto riguarda la stampa cattolica popolare, per molti anni l’unico contributo è stato quello di Mario insenghi, La stampa di parrocchia nel Veneto, Padova, Marsilio, 1973. Recen­temente è uscito il volume di Arnaldo n esti, Una cultura del privato. Morfologia e significato della stampa devozionale in Italia, Torino, Claudiana, 1980 che analizza da un punto di vista storico-sociologico la stampa devozionale, cioè un particolare settore della « buona stampa », e utilizza un campione di pubblicazioni che risale ad anni recenti (1969-72).6 Vedi la recensione di Mario Isnenghi al libro di a. n esti, Una cultura del privato, cit., in « L’espresso », 26 ottobre 1980, n. 43.

46 Stefania Portaccio

valore della ricostruzione storica era ignorato7. Le difficoltà aumentano quindi ulteriormente quando si intende consultare materiale relativo ad anni non recenti, cioè ai decenni tra le due guerre, la cui importanza per lo studio della stampa confessionale è fondamentale, poiché in questo periodo il fenomeno, che era stato avviato tra l’inizio del secolo e la prima guerra mondiale, si consolida e si espande.Uno dei periodici più significativi in questa fase di espansione è senza dubbio « Famiglia cristiana », di cui ci proponiamo di analizzare il materiale riguardante la donna pubblicato dalla sua fondazione nel 1931, fino al 1945. Ad integrazione di questi testi saranno presi in considerazione anche articoli tratti da altri due periodici cattolici come « Palestra del clero », e « Rivista del clero italiano », ma mentre il primo di essi si può situare nell’area della stampa cattolica popolare, già il secondo se ne distacca, per avvicinarsi alla stampa cattolica colta 8.Prendere in considerazione quanto produce riguardo alla donna la stampa colta sarebbe certamente utile alla comprensione dell’ideologia cattolica, ma rivolgendosi essa ad un pubblico di intellettuali non sarebbe d’aiuto alla comprensione del modo in cui la chiesa cerca di inserire il proprio modello femminile nella mentalità popolare, o perlomeno di rafforzare alcuni elementi di esso tradizionalmente già presenti, e bloccare le possibili deviazioni da questo schema. La produzione di stampa popolare cattolica è negli anni trenta straordinariamente diffusa 9. Il feno­meno perde in questo periodo le caratteristiche artigianali di precarietà e disomo­geneità dei primi anni del secolo 10, e diventa un momento primario della strategia

7 Sulla formazione dell’intellettuale cattolico di quegli anni è utile la lettura dell’/ richiesta sulla cultura, pubblicata in « Gioventù italica », 1927, nn. 2-7. Vedi anche in aa.vv., Modernismo, fascismo, comuniSmo. Aspetti e figure della cultura e della politica dei cattolici nel ’900, Bologna, Il Mulino, 1972, i contributi di Maurilio guasco, Vorganizzazione delle scuole e dei seminari fra Leone XIII e Pio X, pp. 130-150 e di luisa mangoni, Aspetti della cultura cattolica sotto il fascismo: la rivista « Il frontespizio », p. 363. Sul valore della storia del pensiero della chiesa cfr. Giovanni miccoli, La tentazione di sottrarsi al vaglio della storia, in « Bozze 78 », n. 7-8. Per quanto riguarda il comportamento del clero nell’editoria, è da notare l’assenza nell’archivio di « Famiglia cristiana » di ogni documento relativo alla genesi della pubblicazione e al lavoro amministrativo e redazionale dei primi anni di attività. Le notizie cui il giornale stesso ha attinto per i suoi articoli retrospettivi in occasione del cinquantenario della sua fondazione sono tratte da fonti orali e da memorie personali dei protagonisti. Cfr. « Famiglia cristiana », speciale, gen­naio 1981, n. 1.8 Entrambe le riviste dedicano la loro attenzione a problemi liturgici e pastorali nelle sezioni dedicate ai sacerdoti, e a problemi morali nelle parti dedicate ai laici. Ma mentre « Palestra del clero » è redatta da religiosi che operano nella campagna veneta, la « Rivista del clero italiano » è espressione dell’ambiente ecclesiastico milanese che opera nell’Università del Sacro Cuore.9 In La stampa cattolica nel mondo. Risultati e insegnamenti dell’esposizione mondiale della stampa cattolica nella Città del Vaticano, Milano, 1939, le cifre fornite per l’Italia sono le se­guenti: 927 riviste religiose, 187 periodici di cultura, 117 settimanali o plurisettimanali, 67 perio­dici organi dell’associazionismo cattolico e circa 5000 bollettini parrocchiali. Né questi dati, né quelli contenuti nel lavoro più analitico di Antonio antoniazzi, La stampa cattolica italiana, Mi­lano, 1937, permettono di qualificare la stampa più propriamente popolare che veniva prodotta.10 Cfr. a. novelli, Maestri, Milano, 1945, pp. 156-7: « Confrontata con la stampa di opposto indirizzo, la nostra era in condizioni di grande inferiorità quanto ad esercitare una vera influenza sulle masse. Non che mancassero i giornali: ce n’eran fin troppi. Ogni città possedeva il suo quotidiano, ogni borgata il settimanale,-e oltre questi, facevano mucchio centinaia di stampe d’ogni genere. [...] Ma oltre a limitare le trattazioni quasi esclusivamente ad argomenti religiosi, spesso in forma polemica, generalmente non spaziavano lo sguardo oltre i confini locali, e se toccavano i problemi politici nazionali, non avevano un pensiero solo, un indirizzo comune. Uscivano poi in forme antiquate e con scarsissimo notiziario, vivevano delle poche risorse del luogo, con pochi sia pur fedeli lettori, per lo più ecclesiastici ». Nei 1899 la « Civiltà cattolica » lamenta che la stampa cattolica non avesse rilievo adeguato nella formazione della pubblica opinione. Cfr. La stampa cattolica nell'età liberale, a cura di Valerio Castronovo e Nicola Tranfaglia, Bari, Laterza, 1979, p. 193. Cfr. anche s. pivato, L ’organizzazione cattolica della cultura di massa, cit., p. 6.

La donna nella stampa popolare cattolica 47

cattolica per la conquista dell’Italia « reale » u, per l’egemonia sulla cultura po­polare n. Nata nella seconda metà dell’800 sulla scia dell’attivismo intransigente 11 12 13, la « buona stampa » si connota per alcuni decenni unicamente come stampa dioce­sana e devozionale, espressione cioè « di agenzie ecclesiastiche specializzate, come centri di pietà e di attività educativa e assistenziale: santuari, istituti, opere pie » 14; non si tratta in questo caso di veri e propri giornali, ma di opuscoli, « foglietti » a diffusione ridotta e locale, pubblicati saltuariamente e distribuiti gratuitamente.Il fenomeno che ha un rilevante sviluppo quantitativo e tipologico nei primi venti anni del ’900 si inquadra nella generale ripresa organizzativa della chiesa che, posta di fronte all’emergere di caratteristiche tipiche della società umana, quali 1’industrializzazione, l’urbanesimo, il socialismo, il mutamento rapido dei costumi, l’alfabetizzazione di ampi strati popolari, risponde con la ricerca e l’utilizzazione di nuovi strumenti di apostolato, come il cinema, il teatro, l’associazionismo, e la riorganizzazione della « buona stampa » secondo principi accentratori rigorosa­mente sottomessi al controllo della gerarchia ecclesiastica I5.Questa riorganizzazione e, in genere, la modernizzazione tecnologica e lo sviluppo qualitativo e quantitativo delle forme di apostolato non presupponevano un ade­guato aggiornamento dei contenuti. Negli anni trenta i contenuti della stampa per il « popolo » sono infatti, il più delle volte, rimaneggiamenti e volgarizzazioni dei temi deH’intransigentismo ottocentesco 16. Primo fra questi elementi, il populismo, una ideologia complessa di cui Silvio Lanaro ha analizzato le varie componenti17.Esso presuppone l’unità spirituale del ’’popolo cattolico”, e comprende l’ultra­montanesimo, inteso come esaltazione della società cristiana, piramidale e au­tosufficiente; il pessimismo antropologico, che contrappone ad una società ideale e perfetta, il mondo, che è il male; lo spirito guelfo, cioè l’identificazione del cat­tolicesimo, come fenomeno organicamente italiano, con l’Italia e il suo destino; il ruralismo, che vede nella civitas contadina, coincidente con le strutture terri­toriali della parrocchia, l’habitat ideale dei comportamenti religiosi. Un altro ele­

11 Sulla funzione della stampa quale strumento della penetrazione cattolica nella sfera privata, vedi A. n e st i, Una cultura del privato, "cit., p. 19. Sulla implicita contrapposizione tra paese « reale » e paese « legale » che è sottesa a questa funzione, vedi Giovanni Spadolini, Il papato socialista, Milano, Longanesi, 1950.12 Sul progetto della chiesa per l’egemonia nell’educazione popolare, cfr. Antonio gramsci, Gli Intellettuali, Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 56.13 Non esistono studi esaurienti sulla genesi e lo sviluppo della stampa popolare cattolica. Pur non rappresentando un valido strumento di lavoro, è comunque utile segnalare il libro di G. hour- din , La stampa cattolica, Catania, 1960. Più rigoroso e meno apologetico lo studio di glauco licata, Il giornalismo cattolico italiano (1861-1943), Roma, Studium, 1964. In entrambi i lavori non si dà rilievo particolare alla stampa popolare. Di questa ultima si occupa invece il volume a cura di dina bertoni jovine, I periodici popolari del Risorgimento, Milano, Feltrinelli, 1960, che presenta una bibliografia ragionata della stampa popolare per il periodo compreso tra il 1818 e il 1870. La rassegna non comprende la stampa popolare cattolica, poiché il fenomeno ha qual­che consistenza solo dopo il 1870. Il lavoro è comunque utile in quanto permette di ricostruire la situazione reale della stampa popolare laica, che è lo sfondo su cui si situa, in risposta e in contrapposizione, la nascita della stampa popolare cattolica.W a. n e st i, Un cultura del privato, cit., p. 18.15 Cfr. s. pivato, L ’organizzazione cattolica della cultura di massa, cit., pp. 6-7. Cfr. anche Rocco cerrato, Aspects de la culture catholique en Italie durante le fascisme, in Atti della con­ferenza sulla storia della Chiesa « The church in a changing society: reconciliation or conflict? », tenuto a Uppsala nel 1977, p. 119.16 Per l’esame di questa stampa dal punto di vista contenutistico cfr. m . isn e n g h i, La stampa di parrocchia nel Veneto, cit.12 Cfr. Silvio lanaro, Populismo cattolico e accumulazione capitalistica, in aa.vv., La politica dell’ideologia, Padova, Università degli studi, 1977, pp. 41-42.

48 Stefania Portaccio

mento significativo è la riduzione della storia a natura: la società si presenta di­visa tra comportamenti ’’umani”, sanciti dalla tradizione, e comportamenti de­viami, determinati « dall’irruzione della storia nello stagno tranquillo della ’’na­tura” ». Questi temi arrivano quasi immutati alla stampa popolare cattolica de­gli anni trenta attraverso i seminari, fucine di irreggimentazione dogmatica, e so­prattutto attraverso la reale nostalgia della chiesa e del clero minuto, o di fronte ai problemi posti dal mutamento sociale del ’900, per la realtà ottocentesca, idealizzata come luogo di una religiosità popolare controllabile e controllata. Su questo sfondo, nel quale la ricerca, insieme, di nuovo consenso e di nuove pos­sibilità di controllo sugli strati subalterni, s’intreccia con la riproposizione degli schemi della cultura cattolica tradizionale, si situa la nascita di « Famiglia cri­stiana », un giornale che in forma elementare diffonde il pensiero della chiesa riguardo sia all’istituto familiare, sia alle norme comportamentali a cui i vari membri della famiglia debbono attenersi, esprimendo un contenuto pedagogico- precettistico di carattere eminentemente religioso.I temi connessi alla famiglia e alla difesa del suo statuto tradizionale sono da sempre il cemento ideologico del movimento cattolico e dei suoi giornali ls, e la penetrazione che il religioso riesce ad avere nel quotidiano familiare è sempre stata un momento chiave per la chiesa ,9. Essa si è attuata attraverso la colpe- volizzazione delle coscienze e soprattutto attraverso la produzione di norme e valori per il controllo sulla famiglia. Si tratta di un tema organico al rapporto tra chiesa e fedeli, e quindi ricco di elementi di continuità e di permanenza. Nel periodo preso in esame questo interesse si precisa ulteriormente, soprattutto attra­verso l’attenzione agli aspetti pedagogici. Basta osservare gli elementi trattati dalle « Settimane Sociali », tra il 1926 e il 1934 — data della loro sospensione — per rendersi conto del peso attribuito alla famiglia e all’educazione nell’attività sociale cattolica 18 19 20.Anche il magistero papale spinge in questa direzione21. Le pubblicazioni catto­liche che si rivolgono alla famiglia sono in questi anni abbastanza numerose, e la Pia Società San Paolo, quando nel 1931 comincia a stampare «Famiglia cri­stiana », pubblica già altri tre periodici per la famiglia22. In questo contesto « Famiglia cristiana » s’inserisce con alcune peculiarità che meritano di essere esposte, in quanto è grazie a questi elementi che il giornale ebbe un successo e una diffusione per allora inconsueti23, e grazie a questo successo esso rappre­

18 Cfr. M. isnenghi, La stampa di parrocchia nel Veneto, cit., p. 146.19 Ciò fu chiaro ai cattolici che dopo il Concilio di Trento considerarono la famiglia uno deiluoghi privilegiati della vita cristiana, come testimonia la produzione di una messe di Esami di coscienza, Decaloghi, trattati di « Creanza cristiana », cioè quella precettistica familiare che con la Controriforma si affianca all’Economica classica cioè alla precettistica della famiglia. Cfr. elide casali, « Economia » e « Creanza Cristiana », in « Quaderni storici », 1979, n. 41.20 Cfr. Le settimane sociali. Lineamenti cronologici, Milano, Icas, 1949.21 Cfr. maria antonietta macciocchi, La donna nera. Consenso femminile e fascismo, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 47, e anche aa.vv., Chiesa femminista e anti, Torino, Marietti, 1977, p. 69, e Gaetana cazora russo , Status sociale della donna. Voi. II, Il ruolo della donna nella società e nella famiglia nei documenti pontifici da Leone XIII a Paolo VI, Roma, De Luca, 1978.22 Essi sono: « La domenica », « La domenica illustrata », « Una buona parola », cfr. Il rag­guaglio dell’attività letteraria, culturale, artistica dei cattolici italiani, 1931, pp. 514-515. Per la genesi e le attività della società paolina, cfr. Antonio u d enti, Don Giacomo Alberione, voce dei tempi nuovi, Roma, 1979; utile biografia del fondatore della congregazione paolina, con una cronologia molto particolareggiata della sua evoluzione.23 I dati che seguono provengono dal giornale stesso, che forniva casualmente ai lettori qual­che cifra circa la tiratura o il numero dei lettori, e da testimonianze orali raccolte in occasione del cinquantenario della sua fondazione. Nel 1931 si stampavano 18.000 copie; nel 1934 gli abbo-

senta oggi un terreno più significativo di altri per l’analisi che ci proponiamo di condurre.La peculiarità di « Famiglia cristiana » fu innanzi tutto la varietà delle inizia­tive presenti nella pubblicazione: le rubriche di cucina e di cucito, la pagina dedicata alle fotografie dei bambini inviate dai lettori, le barzellette, i romanzi a puntate, la pubblicazione di disegni e più tardi di foto a colori. Un altro ele­mento da segnalare: lo strutturarsi del giornale in più parti, dedicate ai vari componenti della famiglia, con rubriche specializzate secondo il sesso e l’età del destinatario.Questa caratterizzazione del giornale era il frutto delle intuizioni di don Gia­como Alberione24, fondatore della Pia Società San Paolo, la prima congrega­zione religiosa che si dedichi esclusivamente alla stampa, e creatore di « Fami­glia cristiana ». Pur appartenendo, per formazione, al clero nostalgico e tradi­zionalista, don Alberione possedeva una coscienza nuova della stampa popolare cattolica. Innanzi tutto non aveva voluto che le sue pubblicazioni avessero ca­rattere locale, ed esse venivano infatti diffuse attraverso le comunità paoline su tutto il territorio nazionale25. Vi è inoltre, in Alberione la consapevolezza che un periodico popolare, per essere tale, deve fondersi sul successo di pubblico, e che perciò deve essere caratterizzato dalla varietà dei contenuti26. Comunque, pur con le sue peculiarità dovute all’intelligenza da vero manager dell’editoria di Alberione, « Famiglia crisitana » rimane prima di tutto un esempio caratte­rizzante della stampa popolare cattolica degli anni trenta. Una stampa aggressiva, che non si pone il problema di convincere, quanto quello di agire sulla sfera irrazionale: l’apologo, l’invettiva, le vite esemplari di santi e beati, e i romanzi a puntate, vengono usati con l’intenzione esplicita di indurre il lettore a com­portarsi secondo uno schema prefissato 27.Per tutto l’arco di tempo considerato la redazione è composta esclusivamente da sacerdoti paolini; le suore dello stesso ordine collaborano ma non scrivono sul giornale, dove pure gli spazi dedicati alle donne sono i più numerosi ed ampi. Non esiste il contatto diretto con i lettori tramite la corrispondenza, ma un rapporto unidirezionale con il pubblico. Ciò è comune a tutta la stampa catto­lica, popolare e colta di questo periodo, che esprimeva un pensiero gerarchico e centralizzato. Nel caso di « Famiglia cristiana » il confronto tramite la cor­rispondenza con vicende personali e specifiche avrebbe reso necessariamente più articolata quella precettistica elementare di cui il giornale era diffusore e avrebbe derogato dalla linea direttrice delle edizioni paoline, che era quella di compiere opera edificante. In altre parole, la realtà della donna italiana degli

La donna nella stampa popolare cattolica 49

namenti erano 19.000, nel 1937 venivano tirate 42.000 copie e nel 1939 i lettori erano già 65.000. Cfr. « Famiglia cristiana » speciale, gennaio 1981, n. 1.24 G. Alberione nasce a S. Lorenzo di Fossano (Cuneo) nel 1884, e muore a Roma nel 1971. Sulla sua formazione e sulla sua esperienza vedi a. u g enti, Don Giacomo Alberione, cit.25 II periodico nasceva in un momento di espansione della congregazione paolina. Infatti solo nel 1931 erano sorte otto nuove comunità, che si aggiungevano alle venti già esistenti. Cfr. aa.vv., Mi protendo in avanti. Alba, 1954, p. 532.26 « È necessario che una pubblicazione popolare sia caratterizzata dalla varietà dei contenuti; si dovrà parlare di politica, appigliarsi all’evocazione di un fatto storico, di una personalità inqua­drata nel suo tempo, trattare a volte anche lo sport, la poesia, l’arte, la scienza ». Cfr. Giacomo alberione, L ’apostolato delle edizioni, Alba, 1944, II ed., p. 296.27 « Il lettore delle stampe periodiche ha generalmente una fede quasi cieca in ciò che legge, e ne farà il nerbo delle sue argomentazioni, dei suoi ragionamenti ». Cfr. g. alberione, op. cit., p. 293.

50 Stefania Portaccio

anni trenta non è nelle pagine di «Famiglia cristiana»; esse contengono però elementi interessanti per lo studio del rapporto tra ideologia cattolica e menta­lità collettiva riguardo alla donna, e delPautonomia/eteronomia di questa ideo­logia rispetto alla teoria antifemminile elaborata e divulgata dal fascismo.Un approccio d’obbligo al tema della stampa popolare cattolica tra le due guer­re è naturalmente rappresentato dalle correlazioni tra la diffusione di questa stampa e il suo apporto di consenso al fascismo. La tesi più comune tra gli studiosi del fenomeno è che la « buona stampa » fu durante il fascismo stru­mento di penetrazione e di consenso tra strati sociali che al regime era difficile raggiungere in maniera non sporadica2S. Essa è sottesa anche a questo studio, con la precisazione che se l’atteggiamento del regime aiutò la stampa cattolica a moltiplicarsi e diffondersi, esso non fu che uno dei motivi del suo sviluppo, poiché altri ve ne erano, più importanti, che provenivano dal magistero papale, come si è detto, e dalla necessità di approntare nuovi strumenti per conservare l’egemonia sui ceti popolari.In ogni caso, la tacita delega sottesa all’atteggiamento del regime 28 29, significò per la chiesa la possibilità di continuare a trasmettere « in proprio » elementi formativi e culturali che coincidevano solo in parte con quelli imposti dal fascismo. Con ciò non si vuol dire che l’alleanza tra chiesa e fascismo ebbe solo motivazioni con­tingenti, ma che l’una e l’altro avevano di fatto obiettivi comuni, e che opera­rono insieme per il raggiungimento di queste finalità30. Il modello familiare e la figura di donna che emergono dalle pagine della « buona stampa » durante il ventennio esemplificano e precisano i connotati reali di tale intesa. Alcune consi­derazioni sul rapporto tra la figura femminile presente nella stampa e più in gene­rale nell’ideologia fascista 31, e quella presente sulla stampa cattolica vengono svol­te nell’analisi del giornale; altre la seguiranno.11 nostro tentativo è comunque quello di salvaguardare il campo di indagine, cioè la precettistica femminile cattolica, sia dal rischio di una eccessiva autonomizza- zione, che si avrebbe se si prescindesse dal contesto politico, sia dalla mancanza di autonomia che si avrebbe nel caso non si considerasse il modello di donna analiz­zato soprattutto come il prodotto dei percorsi interni alla tradizione cattolica.Per la ricostruzione, sia pur parziale, di questo modello di donna cattolica, si è preferito prendere in considerazione un giornale «familiare», piuttosto che ri­volgersi alla stampa più propriamente femminile, in quanto questa ultima non era altrettanto diffusa, e si rivolgeva principalmente a settori organizzati del pubblico femminile 32.

28 Cfr. M . isnenghi, La stampa di parrocchia nel Veneto, cit., s . pivato, L ’organizzazione cattolica della cultura di massa, cit., e a. nestx, Questione cattolica e fascismo. Elementi per uno schema interpretativo, in aa.vv., Religione e politica, Roma, Coinés, 1976, pp. 97-106.29 Sulla politica fascista a vantaggio del clero cfr. Fascismo, religione e clero, nel fascicolo celebrativo del IX congresso eucaristico nazionale, tenuto a Bologna il 7 settembre 1927, riportato in « Idoc Internazionale », 1975, n. 5-6.30 Cfr. Giovanni Miccoli, Chiesa e società in Italia dal Concilio vaticano I al pontificato di Giovanni XXIII, in Storia d'Italia, voi. V, Torino, Einaudi, 1973, e ercoli [palmiro togliatti], Fine della « questione romana », in « Lo stato operaio », 1929, n. 2, p. 126.31 Sull’ideologia e la politica fascista verso la donna vedi Ferdinando loffredo, Politica della famiglia, Milano, 1936, e Giovanni gentile, La donna nella coscienza moderna, in La donna e il fanciullo, Firenze, 1934. Cfr. pierò meldini (a cura di), Sposa e madre esemplare, Milano, Guaraldi, 1975, maria a. macciocchi, La donna nera, cit., ilva vaccari, La donna nel ventennio fascista 1919-1943, in Donna e resistenza in Emilia Romagna, Milano, Vangelista, 1978.32 Cfr. Catalogo illustrato 1935 delle pubblicazioni e merci varie della Gioventù femminile di A.C. italiana, Milano, 1935.

La donna nella stampa popolare cattolica 51

D’altronde la donna era vista come perno della famiglia, e la sua problematica era considerata una sorta di appendice dei problemi della famiglia. NeH’imma- gine femminile proposta attraverso le pagine di « Famiglia cristiana » emerge come primo elemento l’identificazione tra donna e famiglia, entrambe messe in pericolo nella loro realtà e connessione profonda dalla società moderna. I nemici della famigila sono gli stessi della donna: « il libertinaggio, l’empietà, il disordine, l’immoralità della stampa, la depravazione dei costumi, le insazia­bilità dell’industria che attira la donna negli ingranaggi della fabbrica, la frivo- lità della moda, che attira la donna fuori casa con gli spassi e gli sport » 33. Al contrario, il modello di famiglia cristiana dovrà porre le sue basi « nel lavoro paterno, nella dignità materna, nella sottomissione dei figli », baluardi contro il decadimento dell’istituto familiare, le cui cause sono, ancora, « la mania di guadagni, la sbagliata emancipazione della donna, la ribellione dei figli ai ge­nitori ed ad ogni autorità » 34.Si noti come il concetto di « dignità della madre » sia limitato nelle successive affermazioni alla sola cura dei figli. Uscire di casa, qualunque ne sia la causa, comporta per la madre la perdità della dignità. AH’intemo della casa invece, questa dignità può assurgere a santità; se nei trattati di Creanza Cristiana del ’600 era il padre ad essere « ministro di Dio », negli anni trenta il processo di secolarizzazione avanzata faceva sì che la donna, rimasta più ricettiva alla pa­rola della chiesa, diventasse l’agente di Dio nella famiglia, il « sacerdote della casa » 35.Questa « dignità » materna, e in generale l’apologià della « nobiltà » femminile, erano nei fatti misconosciute; alla madre ci si rivolgeva tentando di codificare fin nei minimi particolari il suo ruolo di educatrice, riducendo la sua funzione a quella di esecutrice di norme inderogabili. Riguardo alla educazione dei figli il cristianesimo ha sempre auspicato la collaborazione tra i coniugi e ha dato molto rilievo alla figura paterna. « Nella specie umana —, afferma San Tom­maso —, in particolare il maschio è necessario all’educazione del figlio... ».Alla luce delle esigenze di intercambiabilità dei ruoli nella famiglia, imposte dalla società contemporanea, ciò potrebbe essere letto come sintomo di una visione paritaria dell’uomo e della donna. Mi sembra tuttavia più esatto scorgere in questo sforzo di coinvolgimento dell’uomo nel compito educativo, la sfiducia nella capacità femminile di incidere in profondità sulla formazione dei giovani. Infatti così conclude San Tommaso: « ... Che consiste non solo nel nutrire il corpo ma ancor più nel nutrire l’anima »36. Il fascismo al contrario, sembra delegare interamente alla donna l’educazione dei figli37, ma ciò rientra nei suoi artifici retorici, poiché in realtà il fascismo desiderava solo che le donne pro­creassero, avendo tra i suoi intenti quello di avocare a sé la formazione dei gio­vani. La vera analogia rinvenibile tra elaborazione fascista ed elaborazione cat­tolica è la condizione totalmente subalterna della donna, alla quale non si affi­dano pienamente neanche i compiti che le sono propri per tradizione.Dalla lettura dei primi numeri di « Famiglia cristiana » sembra che rientrino

33 « Famiglia cristiana », 8 gennaio 1939. E anche: « La famiglia è della donna, questo è il suo mondo », Ibid.34 Ibid., 1 gennaio 1934.35 Ibid., 30 aprile 1939, I titoli nobiliari della donna.36 s. tommaso d’aquino , Commento a S. Paolo, cit. da jean-lo uis flandrin, La famiglia. Parentela, casa, sessualità nella società preindustriale, Milano, Comunità, 1979, p. 223.37 Cfr. m .a. macciocchi, La donna nera, cit., e p . m eldini, Sposa e madre esemplare, cit.

52 Stefania Portaccio

nel compito educativo femminile la lotta alla maldicenza, la condanna del lusso e della superbia; di fatto, questi argomenti saranno quasi assenti in seguito, e le mansioni affidate alla madre possono essere riassunte in due temi, centrali e onnipresenti: la repressione sessuofobica e la preoccupazione che i figli ab­biano rispetto per l’autorità. A questo riguardo i consigli alle madri cristiane sono molto elementari. Nel gennaio 1933 compare un elenco di frasi da usare allo scopo di convincere i figli che disubbidire alla mamma è come disubbidire a Dio; la funzione educativa della madre è vista solo come controllo, vigilanza perenne e repressiva; severità, e « niente smancerie ». I « consigli » vertono so­prattutto intorno alla sessualità e al gioco, in quanto momento irrazionale e pericoloso. L’identificazione della sessualità con il male supremo, fonte di ogni altro male, è esplicita e costante, anche se è nei discorsi « storico-culturali » ri­volti ai giovani uomini che si cercherà di fondarla teoricamente. Alle donne si presenta questa identificazione come un dato incontrovertibile.La donna che, come si vedrà, in quanto fanciulla non deve neanche sospettare dell’esistenza del male, diventata madre si trasforma in una donna che a tutto sa far fronte e che niente può turbare; diventa un prodigio d’intuizione capace di intercettare anche i più lontani segnali di possibilità di peccato sessuale e di intervenire in tempo. Esemplificando, questi segnali possono essere: la figlia che vuole aiutare la madre a fasciare il fratellino, o il bambino che ha sempre le mani nelle tasche3S. Tutto ciò andrà represso incutendo timore per l’incom­bente punizione divina.A poco a poco questa pedagogia dirozzerà le sue indicazioni: nel 1934, in un ciclo di lezioni sull’educazione del bambino dai due ai sei anni, si parlerà di esempio da dare, di coerenza, di fermezza, più che di repressione esplicita. Ma in ogni caso, nelle mansioni educative della madre non saranno mai compresi l’informazione, il dialogo, la comprensione, che sono invece i capisaldi di una serie di lezioni che vengono impartite ai padri negli stessi anni. Come a dire che la donna non è in grado di cogliere la molteplicità delle situazioni e di dare ri­sposte educative di volta in volta adeguate, ed è quindi meglio che si attenga ad alcuni rigidi principi, lasciando il compito di guida reale al padre, che è « esper­to del mondo». La casa quindi, che viene costantemente contrapposta al «mon­do », da regno diventerebbe esplicitamente un limite per gli stessi compiti educativi femminili, se non fosse sottinteso che non è all’esperienza che si devono le maggiori capacità di guida che vengono riconosciute all’uomo, ma alle limitate capacità intel­lettuali della donna, che non le permettono di dare risposte corrette ai quesiti dell’in­telligenza 38 39. Si può trarre da questi elementi una prima considerazione. La madre di « Famiglia cristiana » più che una figura nobile e santa è una buona massaia.Sebbene per « Famiglia cristiana » la donna è prima di tutto madre, e poi spo­sa, viene dedicato spazio anche alla formazione della donna che non rientra in questi due ruoli. Il giornale propone alle nubili due modelli ideali. Uno di questi trova la sua esemplificazione più completa nel racconto della vita di Lina Noceti, una sartina genovese morta a vent’anni in odore di santità40. Le caratte­

38 Ibid., 19 febbraio 1933: « la tua figlia non deve prendersi la libertà di fasciare o di sfa­sciare, e neppure di governare i suoi fratellini, tanto meno per metterli nel bagno, o prestar loro qualsiasi servizio delicato ».3? Non vi è in realtà in « Famiglia cristiana » la teorizzazione esplicita dell’inferiorità intellet­tuale femminile, quanto la proposizione di personaggi e situazioni che la sottintendono, contrap­ponendo l’intelligenza « pratica » della donna all’ingegno « acuto » o « vivace » deH’uomo.40 II racconto si pubblica a puntate dal marzo al settembre 1932.

La donna nella stampa popolare cattolica 53

ristiche di questo personaggio sono il fervore mistico fino aH’allucinazione e al delirio, la povertà materiale, la totale ingenuità41. Le sue uniche attività la fede e il lavoro42. Completano il modello vari aneddoti, contemporanei alla pubbli­cazione del racconto, sulla necessità del « rossore » e dell’innocenza. È un modello di santità molto astratto e scarsamente operativo; perderà presto, dal 1934 in poi, la sua centralità, ma rimarrà presente, anche se saltuario e marginale, occu­pando lo spazio dedicato alle fanciulle e concretizzandosi nella figura di Sant’Agne­se o in quella delle suore missionarie 43.La caratteristica principale del modello « Lina » è l’accento posto sul fatto che nella donna domina il cuore, che niente può l’intelletto (e quindi è inutile colti­varlo), e che bisogna impegnarsi interamente nello sviluppo delle doti del cuore e nell’educazione del cuore alla purezza e alla bontà.Che il cuore sia l’organo principale del sesso femminile è convinzione dominante della cultura ecclesiastica di quegli anni44 — e non solo di essi —, ed è un tratto fondamentale del discorso di « Famiglia cristiana » sulla donna. Ma negli articoli dedicati alle ragazze questa convinzione si traduce pesantemente nei fatti, e cioè nell’assoluta povertà dei contenuti, e nell’uso di un linguaggio nel quale le frasi ad effetto si susseguono, spesso senza alcun nesso logico.Alla ragazza, non-sposa e non-madre, è negata una problematica propria, e quindi le parti del giornale a lei dedicate sono le meno complesse, le più monotone, inti- midatrici e melense insieme. A lei sono destinati i modelli più rigidi, il dover-essere meno gratificante.Questo si spiega con il fatto che la ragazza condensa il negativo di cui la donna è, secondo i cattolici, portatrice. Ancora libera dai ruoli tradizionali, è potenzialmente pericolosa. Quest’avversione per la donna nubile rimane più o meno costante per tutto l'arco di tempo preso in esame.Al modello « Lina », si affianca qui il modello « Erminia », donna forte e volitiva, all’antica per scelta oltre e più che per istintiva modestia; sa rispondere a tono e probabilmente non arrossisce.

Erminia, non verrai stasera al festino? che avrà luogo in casa della collega tale? Io mi sono già preparata la toilette da ballo..., sai? Erminia ride, poi risponde ironicamente:

41 « Ho fame di pensare a lui, di visitarlo, di pregarlo, d’unirmi a lui in tutti i modi possibili. Questo desiderio mi è abituale, tutto il resto mi annoia e mi pesa ». « Famiglia Cristiana », 8 aprile 1932.42 « Per tale maniera questa giovane operaia passò la vita palleggiata di continuo tra due pal­piti: il lavoro e il pensiero di DIO », Ibid.43 La vicenda di Sant’Agnese viene presentata con grande frequenza: per esempio il 10 gen­naio 1932, le viene dedicata la copertina e un articolo sulla sua eroica difesa della castità. Ciò si ripete nel numero del 21 aprile 1934, e nel numero del 23 gennaio 1938. Riguardo alle suore, cfr. il racconto Martire in Cina (sottotitolo: « Morrò martire tagliata a pezzi »), dove si narrano i deliri mistici di una suorina sgrammaticata (il racconto è in forma di diario) e gravemente ammalata (7 gennaio 1932).44 L’equivalenza di femminilità e sfera emotiva, nei duplice senso di zona dei buoni senti­menti e della disponibilità disinteressata, e zona della passionalità e dell’istinto, contrapposta in ogni caso alla capacità di discernimento, ha radici nelle civiltà che precedono il cristianesimo. Il percorso di questo e altri temi riguardanti la donna attraverso la storia del cristianesimo viene delineato da jean-marie aubert, La donna: antifemminismo e cristianesimo, Assisi, Cittadella, 1978. Vedi in particolare le pagine sull’idealizzazione della donna nel clero del XIX e XX secolo, dovuta secondo l’autore ad una maggiore necessità da parte della chiesa di sublimare l’antifem­minismo, assegnando alla « ragione debole » della donna, compiti alla sfera affettiva, di nessuna responsabilità sociale, ma pur sempre « nobili » e « santi », ibid., p. 73 e p. 125.

54 Stefania Portacelo

— Non ti avrei davvero creduta così bambina... Stupore dell’amica, semioffesa. — Sicuro: che i bambini vadano a vedere i burattini a saltare è tollerabile... m a che le giovani di vent’anni, le future speranze della Patria, quelle che tra poco dovranno educare al dovere e al sacrificio le novelle generazioni, si degnino di andare esse stesse a fare... Gianduia, Meneghino, Rosaura, saltando, sgambettando, per divertire gli stupidi spettatori o attori, mi par proprio troppo... E dire che siamo in pieno secolo ventesimo, ...il secolo del pro­gresso... La collega improvvisamente chiamata da un’altra, con permesso s’allontana, poi ritorna e parla d’altro : alla sera, al festino, la si attende invano 45.

Le caratteristiche di Erminia46 appartengono alla donna adulta. Anche in lei agisce il solo sentimento, ma il suo cuore è educato dall’esperienza e dal tempo. È difficile che fantastichi (non ne ha il tempo) mentre è proprio la fantasia ciò che si teme nelle fanciulle47, ciò che rende così uniformi e ripetitivi i messaggi ad esse dedicati.Erminia, con questo o sotto altri nomi, è la protagonista « eroicamente forte, santa­mente casta, rettamente fascista » 48 di raccontini edificanti, nei quali, in genere, essa si trova, poiché svolge un lavoro, a contatto con il « mondo ». Il lavoro femminile viene quindi ammesso; si oscilla, secondo una procedura che rispecchia un tratto tipico dei meccanismi culturali della predicazione ecclesiastica, tra l’apologià di forme di vita che si sanno in declino, e la ricerca di argini più concreti contro il danno prodotto dalla storia in cammino. Può dunque accadere che la donna lavori, ma anche lavorando si possono conservare i « sani ed onesti costumi ».Questi raccontini mostrano come anche l’impiegata può essere un’« Erminia », e guardare con superiorità le colleghe che la motteggiano perché la considerano anti­quata. Le figure di lavoratrici cui si fa cenno, sia direttamente, sia attraverso gli apologhi e i romanzi a puntate, sono solamente tre: l’impiegata, la « sartina » (o ricamatrice), la « maestrina ». La figura della domestica è anch’essa presente, anzi10 è in maniera preponderante; ma per « Famiglia cristiana » essa non svolge un lavoro, bensì esiste in quanto membro della famiglia presso la quale è occupata. Vengono presi in considerazione sia la situazione in cui vi è il problema di mandare o meno le figlie a servizio, sia i doveri della padrona di casa verso le domestiche,11 che può dare tra l’altro l’idea dell’arco socialmente ampio cui il giornale si rivolge 49.In tutti i casi il problema del lavoro non è preso in considerazione. Nel lavoro, come in ogni altra situazione, « Famiglia cristiana » vede la donna unicamente come portatrice di bene o di male. Alla domestica, sottoposta all’autorità della

45 « Famiglia cristiana », Un bel tipo!, 22 agosto 1937.46 Le caratteristiche di Erminia vengono riproposte spesso. Essa viene così descritta: « Un bel tipo... Di statura superiore alla media, portamento dignitoso, fronte alta, serena, occhi neri, capelli d’ebano, intelligentissima, colta, di animo buono e generoso, sembra fatta per attirarsi le simpatie di quanti ravvicinano, ed ella non se ne cura affatto, anzi nella sua schiettezza e sem­plicità quasi infantile, talvolta assume un aspetto prudente, atto più ad allontanare che ad avvici­nare gli animi. Lo sa, se ne accorge, ma non gliene importa », « Famiglia cristiana », 7 ago­sto 1931.47 Ibid., 29 gennaio 1933, C'è una pazza in casa: la fantasia.48 « Era chiamata "Antiquata", ed in realtà non conosceva del Novecento che le delicate sfu­mature: formazione della donna sinceramente religiosa, santamente casta, rettamente fascista, per la Chiesa e per la Patria », ibid., 19 febbraio 1939.49 Bisogna però tenere presente che allora anche la piccola e piccolissima borghesia poteva permettersi una cameriera. La domestica veniva ostentata così come poi gli stessi ceti ostentarono l’automobile. Dal 1921 al 1931 il numero dei domestici passa da 445 mila a 535 mila, e l’incre­mento è costituito esclusivamente da donne. Cfr. Corrado barberis, La società italiana dal 1911 al 1951, in « Annali dell’Istituto Alcide Cervi », 1979, n. 1.

La donna nella stampa popolare cattolica 55

padrona di casa sia per quanto riguarda la frequenza delle pratiche religiose, sia per tutto quello che può accaderle fuori casa, non appartengono problemi quali la solitudine, la nostalgia della propria casa, le difficoltà dei rapporti con i datori di lavoro, la giusta retribuzione, l’onestà e l’efficienza nella propria attività. Essa è considerata unicamente per l’influenza, benefica o nefasta dal punto di vista morale, che può avere sulla famiglia con la quale coabita.Ancor più che nella delineazione della figura materna, la « povertà » del giornale emerge in queste figure di nubili. Prive di sostanza e di tratti concreti, esse sono il frutto di un modo di guardare alla donna completamente ideologizzato. Vi è un rifiuto totale della donna reale, e alla proposizione di modelli astratti, cioè modelli di comportamento « ideali », si sovrappongono consigli per una pratica religiosa priva di spiritualità. In altre parole, la « santa » è un modello di riferimento, ma non di identificazione, poiché altro è la vita di una donna eccezionale, altro quella di una madre di famiglia 50. Ad esempio, alle fanciulle si suggerisce, probabilmente per ottemperare ad una richiesta del regime, di avere un ruolo accanto agli uomini nella loro missione per la patria, e si portano ad esempio donne sante e famose che collaborarono con uomini, santi anch’essi5I.Ma quest’espansione nel sociale, e anche questa promiscuità con l’altro sesso, non sono che riferimenti ideali; il loro modo di realizzarsi è la preghiera, che per il periodico cattolico è la sola forma di partecipazione delle donne non-madri, poiché purtroppo nella realtà non vi è purezza, e la donna è quello che è. Cos’è insomma la donna? La risposta che il clero si dà e che attraverso il giornale arriva nelle famiglie è che, al di fuori dei ruoli tradizionali, la donna è sessualità, cioè il male peggiore, la fonte di ogni altro male 52.Nei modelli esaminati finora non vi è tuttavia alcun accenno esplicito alla sessualità femminile, perché si è trattato di modelli positivi e propositivi. Poiché invece nella realtà la sessualità esiste, la sua presa d’atto provoca nei redattori di « Famiglia cristiana » un senso di disagio, e una reazione violentissima: se questa realtà esiste, essa non sarà però « naturale », come la sessualità maschile, bensì frutto di per­versione. Alle donne ci si rivolge per indurle ad « operare una scissione netta tra le regioni inferiori dove domina l’istinto, e quelle superiori dove domina lo spi­rito » 53. La ragione, come sempre, non è presente. E ancora: « Il corpo non è altro che un sacco di bianchissimo cuoio, ripieno però di letame e di putredine, che presto il marciume di dentro sarà per infracidire anche la coperta » 54. Nell’ultimo

50 « Rarissime fra le sante le madri di famiglia o le donne felicemente sposate », cfr. franca long, Rita pi erro, L ’altra metà della chiesa, CNT, 1979, p. 75. Utili gli accenni circa il ruolo della Madonna e delle sante nell’educazione delle fanciulle cattoliche (pp. 71-81). Sugli effetti negativi della separazione di « morale » e « fede » nella politica femminile e familiare della chiesa cfr. La legge non è tutto, «Bozze ’80», ottobre-novembre, n. 10/11, intervento al sinodo dei vescovi di Monsignor Godfried Danneels a nome della Conferenza episcopale belga (2 ottobre 1980). « Dei precetti morali staccati da una spiritualità e da una mistica coniugali, sboccano spesso nella colpevolizzazione eccessiva, nello scoraggiamento o nell’indifferenza. Invece di essere un appello al superamento e un’opportunità, la morale senza la spiritualità provoca una contra­zione della volontà », p. 115.5t « Famiglia cristiana », A voi jiglie, 7 gennaio 1936.52 « È superfluo citare Lutero. La Riforma non sarebbe venuta se la Chiesa tra i suoi coman­damenti non contenesse anche il sesto. Tutto si riduce lì », Conversazioni, 1939, p. 815. (Per motivi dovuti alle difficoltà incontrate nella consultazione del materiale, in alcuni casi non è possibile fornire in nota la data di pubblicazione del fascicolo cui ci si riferisce, ma solo l’indi­cazione delle pagine nella raccolta).53 Ibid., 28 giugno 1939.51 Ibid., 1938, p. 172.

55 Stefania Portacelo

periodo citato è da rilevare, oltre che la singolarità sintattica, come la tensione sessuofobica, nel messaggio rivolto dal clero alla donna incolta, non si contenga più, e debordi dagli argini assai ampi della stessa sessuofobia cattolica. Vi è tut­tavia nel giornale anche un modo « colto » di parlare della sessualità, che sarà però rivolto unicamente al pubblico maschile 55.Rivolgendosi alle donne, il problema sarà trattato esclusivamente in maniera colpe­volizzante, con un linguaggio che fa perno sui vocaboli « tarlo, morbo, sozzura, fango ».In sostanza l’atteggiamento del giornale consiste in questo. Anche se a malincuore, bisogna ammettere nella donna una qualche forma di concupiscenza; ma ragionarne con la donna stessa vorrebbe dire dare corpo a questa realtà sgradita, che va invece schiacciata sotto il peso di una condanna inappellabile, e in ogni caso sarebbe inutile. E questo perché ci si muove all’interno di uno schema che può essere così riassunto. Coltivare la ragione ha senso per chi trae da essa la forza per dominarsi, cioè per l’uomo. Il cervello della donna non arriva a questo; arriva alla furbizia (tratto che ha in sé qualcosa di animalesco, di inferiore), non alla ragione. Dando per scontato che il male sia la passione sensuale tout-court, emerge come la sessualità della donna, quindi il suo male, non abbia sede nella sua emo­tività, che ha segno positivo e materno, bensì nel suo cervello, che d’altronde si raccomanda coerentemente di non potenziare.Il cervello femminile, se coltivato, germina malizia, e la malizia rappresenta ap­punto per questa pubblicistica cattolica la forma femminile della sessualità. Vice­versa, nell’uomo la sede della sessualità è il cuore, che « cede », « viene perver­tito », quando la ragione non riesce a dominarlo. L’uomo che pecca di lussuria è quindi colpevole, ma con una responsabilità minore, poiché spesso la volontà pervertitrice della donna rende il rifiuto della passione da parte dell’uomo diffi­cilissimo, quasi impossibile56. Il giornale attinge alla storia sacra, all’eneddotica storica e alla cronaca, una teoria di figure femminili negative, per esemplificare il ruolo pervertitore della donna in una serie di articoli rivolti ai giovani di sesso maschile 57. Il comune denominatore di queste donne è l’influenza malefica eserci­tata sugli animi maschili, e nel caso di personaggi storici sull'intero corso delle vicende umane; ma, ad un esame più attento, ciò che veramente le unisce è l’aver in qualche modo esercitato il pensiero e la volontà. Erodiade voleva il potere, e attraverso Salomè chiese la testa di colui che poteva mettere in pericolo la sua ambizione, Giovanni Battista. Nel brano dedicato all’episodio, Erode è dipinto come un pavido, un animo incerto governato dalla furbizia femminile 58.

55 Ad es.: « ...l’incontinenza sessuale, infatti, come affermano i medici, provoca la disgrega­zione degli elementi organici delle ghiandole seminali, e porta come conseguenza alla prostrazione del sistema nervoso... così si indebolisce immediatamente il funzionamento di tutti gli organi, perché tutti sono dipendenti in modo vitale dai centri nervosi... seguono infallibilmente l’esauri­mento generale, la nevralgia, la paralisi, il dimagrimento, e altri mali che rendono infelice la vita e avvicinano irreparabilmente la morte », « Famiglia cristiana », Vincere o morire, 21 ago­sto 1938.54 Da Adamo ed Èva in poi « l’uomo è il pecorone della donna » (« Famiglia cristiana », 19 dicembre 1937). A questo proposito l’esempio che ricorre di frequente è quello di re Salomone, sapiente e saggio più di tutti, eppure vittima delle donne «che gli pervertirono il cuore» (Ibid., 1 maggio 1938). Vedi anche 14 novembre 1937, 19 dicembre 1937, 6 febbraio 1938.57 Sotto il titolo di Conversazioni viene pubblicato a puntate dall’agosto 1937 al settembre 1938 il libro di don Secondo Ciocca, intitolato La lazza del piacere, edito dalla Pia Società San Paolo, s.d.55 lbid., 13 febbraio 1938.

La donna nella stampa popolare caitollca 57

E ancora, in un articolo sulla pericolosità dell’amore e sui danni che esso causa, l’episodio che introduce all’argomento narra un fattaccio passionale, da cronaca nera, del quale è protagonista una scrittrice 59.Altrove la donna pervertitrice assurge a pura forza del male, a personificazione della lussuria e della conseguente perdizione dell’uomo: «Arrigo Vili, chi venne a mutarlo? La sua infanzia, la sua gioventù facevano presagire tutt’altro che un perse­cutore della Chiesa. Anna Bolena, ecco la causa. E Salomone, perché diventò idolatra? E Davide stesso, fatto secondo il cuore di Dio e autore delle sue lodi, cherubino dell’arpa, quando cadde nell’abbandono del suo Dio? Quando una donna rovinò il suo cuore. È questa la storia di tutti » 60.Accade anche che si parli della donna con una superficialità che arriva allo scherno, in un brano in cui l’autore, concentrato nello sforzo di mettere in guardia gli uomini, dimentica il rispetto dovuto dai cristiani alle creature di Dio, e soprattutto a chi, appartenendo al genere umano, c dotato di anima.

Dunque cos’è la donna? Domanda formidabile! Sesso debole che domina tutto il mondo. Un essere gentile, che all’occasione è capace della maggior ferocia. D 'una leggerezza senza pari quand’è ragazza, e di una sovranità senza confronto quand’essa è madre. Facile alle lacrime, come facile al sorriso. Sottomessa all'uomo e padrona dell'uomo.— Un insieme di contraddizioni dunque! — Né più né meno. In conclusione un essere pericoloso. Infatti tutta la sua cura consiste in questo: piacere all’uomo. Di qui l’insidia sottile e formidabile! Essa pertanto opera come il ragno che tende le reti. È nata per questo, è il suo istinto. Lo fa volendo, e lo fa senza volerlo, da piccola e da grande, in casa e fuori. Fa ridere vedere la donna al banco del negozio, sul mercato a vendere... il suo posto naturale è allo specchio, dalla modista, davanti alla vetrina di un gioielliere 61.

Eppure, anzi forse proprio per questo, il suo potere è grande: « La donna ha tra­volto troni, fatto cadere i fastigi più alti del potere, ha deciso della vita di interipopoli, dei destini delle nazioni stesse ».Per questi cattolici la storia è mossa da forze radicate da sempre nell'animo umano, esiste solo come storia del privato, è all’interno di questa che la donna gioca spesso il ruolo di forza del male. Ma l’autore del brano non poteva dimenticare la madre: « Siamo giusti, la medaglia per fortuna ha anche il suo dritto. La donna può essereanche l’anello tra la terra e il cielo... E del resto basterebbe per tutte la parolaMadre. È la prima parola che l’uomo pronunzia ed è l’ultima che affiora sulle sue labbra quando muore. Tutta la vita è racchiusa in lei ». In conclusione: « ... Alcuni hanno elevato inni e poemi alla donna. Avevano ragione. Altri hanno lanciato strali. Anch’essi avevano ragione. Una conclusione si può trarre: se è un’arma a doppio taglio, prenderò le dovute cautele prima di adoperarla».Nonostante i doverosi accenni sulle possibilità spirituali della donna, di fatto il potere sull’uomo e sulla storia che le si attribuisce è di tipo esclusivamente sessuale. L’ultima frase della citazione mette implicitamente in guardia i giovani uomini contro decisioni matrimoniali affrettate; tutta la trattazione è pervasa da un tono « giovanottesco », in sintonia con i destinatari. Scritti di uomini destinati agli uomini, arrivano attraverso il giornaletto alle famiglie, contribuendo alla rimozione

59 « Lei, una scrittrice e si chiama E.C., ma era più nota sotto lo pseudonimo di contessa L.La sua gioventù fu tutta una catena di peccati e illusioni, illusioni e peccati », « Famiglia cri­stiana », Conversazioni. 23 gennaio 1938.M 11 ciclo Conversazioni, ibid., 15 ottobre 1939.61 Ibid., 1 maggio 1938.

58 Stefania Portaccio

della coscienza di una reale e diversa condizione femminile, e questo sia negli uomini che nelle donne.Se agli uomini si raccomanda di scegliere oculatamente la sposa, alla donna si raccomanda solo di essere una buona moglie. Ma qual è una buona moglie per « Famiglia cristiana »? Secondo la stessa oscillazione procedurale di cui si è detto a proposito del lavoro femminile, mentre con la frequenza di un articolo ogni due/tre numeri si fa l’apologià della missione della donna nel matrimonio (dove essa svolge nientemeno che la funzione di « sacerdote » )62, ci si rende conto che davanti alla crisi dell’unione coniugale la preghiera non può tutto. Compaiono quindi fitti e minuziosi decaloghi « della sposa », o « dei coniugi felici » 63. Nel matrimonio, il corpo femminile acquista una valenza meno negativa, in un’evolu­zione che dall’elusione totale dell’oggetto, presente in un decalogo « della vera donna » 64 del 1936, passa alla considerazione della necessità per la donna di rendersi gradevole 6S. Ecco alcuni consigli alle spose:

... La giovane sposa deve anzi tutto studiare i desideri, le abitudini del marito e degli altri di casa, e far tutto per adattare se stessa all’andamento della famiglia nella quale è entrata; così ella non sarà un peso ma un aiuto. Quando il marito rientra in casa, la sposa deve dimenticare i suoi crucci, i suoi malumori, e col viso sereno e sorridente, essere pronta ad ascoltare il marito ed interessarsi delle preoccupazioni di lui, di ciò che gli è accaduto durante la giornata. Il marito deve trovare nella sposa la confidente, e se egli ha avuto qualche contrarietà fuori casa, ella cerchi di non eccitarlo mai alla collera e, senza dargli troppo torto nelle sue vedute, lo inviti alla calma e alla riflessione. Ogni difetto che voi scorgete nel vostro sposo deve rappresentare per voi un piccolo ostacolo da superare con la vostra pazienza e avvedutezza; ... Egli è collerico? Facilmente litiga coi suoi compagni? E voi mostratevi calma e serena... Il vostro sposo non sa fare economia nelle piccole spese inutili? Ebbene, fate voi piuttosto qualche sacrificio, e cercate di non meritare mai un rimprovero da lui per spese superflue... Con la mamma del vostro marito dovete mostrarvi figlia affettuosa. Pensate che le avete portato via in parte l’amore del figlio... Un altro dovere avete: quello di curare la vostra salute. Non abusare delle vostre forze: il vostro lavoro sia giustamente limitato, affinché possa essere continuo e non abbia a logorare le vostre energie, tanto utili per la famiglia 66.

In margine ad un altro decalogo, sempre del ’39 si riportano le parole di un certo Taylor: « Nella sua compagna l’uomo deve poter desiderare serena intelligenza e giocondità e alacrità di spirito, piuttosto che brio e gaiezza; indole gentile e tenera, piuttosto che ardente e appassionata. Un ingegno troppo vivace non si addice alla casa dell’uomo, che stanco vi cerca riposo; un’indole troppo ardente lo disturba » 67.Gli « accorgimenti » che « Famiglia cristiana » consiglia a salvaguardia del matri­monio, non sono diretti a garantirne l’essenza religiosa, sacrale, bensì riguardano la semplice permanenza dei due coniugi sotto lo stesso tetto. In questa assenza

62 Ibid., I titoli nobiliari della donna, cit.63 Solo nel 1939 questi decaloghi furono pubblicati nei numeri del 28 maggio, 7 giugno, 21 giugno, 20 agosto.64 « ...Cerco la vera donna. Eccola descritta magistralmente dal grande Tertulliano: O donne, comparite in pubblico abbellite e ornate con gli ornamenti dei profeti... ossia le virtù, prendendo il candore della semplicità, il rosso del pudore, cerchiando gli occhi di verecondia, le labbra del silenzio, o cingendo il collo del dolce giogo di Cristo. Occupate le mani nel filar la lana, fermate i piedi in casa, vestitevi con la seta dell’onestà, col raso della castità, con la porpora della pu­rità », ibid., 14 giugno 1936.65 « Avere la stessa cura della propria persona che avevi da fidanzata, ciò per piacere allo sposo, il quale appunto deve riconoscere questo riguardo che si ha per lui », ibid., 23 aprile 1939.66 Ibid., 28 maggio 1939.67 Ibid., 23 aprile 1939.

La donna nella stampa popolare cattolica 59

di spiritualità si arriva a riconoscere implicitamente che solo alla donna interessa davvero la durata e la riuscita del matrimonio, poiché, come si è già fatto rilevare, al di fuori di esso vi è per lei il puro negativo. Quindi solo alla donna ci si rivolge nei decaloghi di cui parliamo. Così, se il marito tradirà la moglie ciò non signifi­cherà che egli è un mascalzone, quanto che il compito di moglie è stato disatteso. Alle ragazze, perché non vengano meno all’arduo compito futuro, si propone come ideale di vita la sintetica formula tedesca « Kirche, Kaiser, Kinder, Kiiche » 68.All’inizio il giornale aveva ripartito i compiti familiari, sia pur in parti diseguali, tra moglie e marito. Si era parlato di collaborazione e di comprensione, valori cristiani che in qualche modo smussavano la gerarchia dei ruoli nella famiglia. Ora, il marito sembra non avere più doveri ma solo diritti. È la donna che deve tenere in piedi l’unione familiare, oltre che procreare abbondantemente.L’incitamento alla procreazione è costante. Dallo spoglio di « Famiglia cristiana » come di altre riviste cattoliche, emerge come la famiglia numerosa fosse per la chiesa in funzione della stabilità sociale e della staticità del ruolo femminile, un baluardo contro l’edonismo e contro il piacere fisico non finalizzato alla procrea­zione nei rapporti tra i coniugi69.Sono questi i motivi che portarono la chiesa a combattere la battaglia demografica fianco a fianco con il fascismo; quest’ultimo aveva come scopo eminente l’accre­scimento numerico della popolazione, e eli conseguenza, l’appiattimento e l’impo­verimento della donna negli unici ruoli di madre e casalinga. Dal punto di vista delle motivazioni si potrebbe credere che la battaglia demografica cattolica avesse una valenza più integralmente contraria all’emancipazione femminile di quella fascista. Possiamo comunque affermare che, riguardo al problema specifico della concezione della donna, nella seconda metà degli anni trenta si assottiglia la distanza tra cattolicesimo e fascismo. Una possibile differenziazione tra la donna di « Fami­glia cristiana » e quella della stampa fascista 70 sta nel fatto che i ruoli femminili fossero nel periodico cattolico fondati sulla spiritualità del cristianesimo. Ora, men­tre da un lato la donna viene esaltata come essere sublime, dall’altro le si consi­gliano gli espedienti, la tattica quotidiana per «tenersi» il marito. Anche in «Fa­miglia cristiana » quindi la donna, cattolica e fascista, proprio perché cattolica e fascista, ha dovuto rinunciare a quella pur minima dignità spirituale che il cristia­nesimo le accordava. Priva di interiorità, defraudata dell’autocoscienza, sembra veramente un fantoccio pronto a partecipare alla grande messinscena bellica.1 due livelli principali di spoliazione della donna sono quello estetico e quello intellettuale: bellezza e intelligenza, sia pur in modi diversi, rendono entrambe la donna autonoma dalla famiglia, o comunque complicano il suo rapporto con i ruoli tradizionali. « Famiglia cristiana », come abbiamo visto, si spinge sino a proporre la « gradevolezza », che equivale a ordine e pulizia, non certo a bellezza.

68 « ...E, dopo Kirche, Kaiser: l’autorità. Una giovanetta che riconosce l’autorità dei genitori, dei Superiori ecclesiastici e civili, sa rinunciare ai suoi gusti, piegare docilmente la sua volontà per abbracciare quella di chi cerca il suo bene », ibid., 8 giugno 1941.69 Cfr. « Palestra del clero », 1937, p. 357: « La continenza periodica — giusta e legittima in sé — diventerebbe colpevole se provenisse da sensualità, da eccesso di calcolo, e da poca fiducia nella Provvidenza ». Nel recente sinodo dei vescovi (ottobre 1980) il papa ha riaffermato l’illi­ceità del piacere non finalizzato, considerando adultero il desiderio tra i coniugi, in ciò riallac­ciandosi alla tradizione dei Padri della Chiesa. Vedi S. Girolamo, Contra Jovinem, I, 49, cit. da j.l. flandrin, La famiglia, cit., p. 207: « Niente è più infame che amare la moglie come un’amante ».70 Sulla donna nella stampa fascista, cfr. p . m eldini. Sposa e madre esemplare, cit.

60 Stefania Portaccio

Nelle sue illustrazioni le donne sono infatti « gradevoli », delicate e in carne al tempo stesso, linde, vestite semplicemente e all'antica, con i capelli lunghi acconciati in modo da lasciare libero il viso, gli occhi bassi; il volto, uno per tutte è quello pacato delle madonnine delle teche stradali.Sulla questione estetica il regime è più chiaro; la donna dev'essere « poco elegante, non troppo bella, di corporatura normale, non accurata » 71. D'altronde, dovendo diventare « tre, cinque, dieci volte mamma » 72 73, si può dire che il pericolo della troppa bellezza sia automaticamente scongiurato. « Non è tollerabile che i giornali pubblichino fotografie di donne magrissime »; « Non si devono pubblicare foto­grafie e disegni di donne raffigurate con la cosiddetta vita di vespa, perché i disegni e le fotografie devono rappresentare soltanto donne floride e sane » li. Con­fondendo l’effetto con la causa, si riteneva che la donna, non soltanto robusta, ma anche sgraziata e inelegante, fosse la più prolifica, e non che, viceversa, la donna carica di figli si riducesse forzatamente all’incuria di sé.11 fascismo dice quindi « no » alla bellezza, intesa come egoistico culto di sé, contrapposto ai doveri della procreazione. Anche « Famiglia cristiana » dice « no » a questo culto, sostituendo però ad esso la cura delle doti dell’anima. Ma nella seconda metà degli anni trenta, si parla sempre meno delle doti spirituali della donna, mentre si intensifica la campagna contro la sua emancipazione intellettuale. Si tratta di un aumento relativo al poco spazio che questo argomento ha sempre occupato sul periodico paolino. Da una serie di articoli del ’38, e da alcuni cenni del ’39 si può sunteggiare l’opinione del giornale sul rapporto tra la donna e la cultura.La figlia laureata, che torna a casa piena di presunzione e spregia i lavori dome­stici, scoprirà che l’amica scrittrice che lei considerava suo idolo, scrive in realtà solo nei ritagli di tempo tra un bucato e una poppata, e non considera lo scrivere un mestiere, ma solo un hobby 74.Alle ragazze che sentono il bisogno di applicarsi ad un campo più vasto di quello pur nobile della famiglia, si propone invariabilmente la professione di... suora 75. II padre che ha offerto libri dotti in lettura alla figlia dovrà amaramente pentirsi, perché la figlia si suiciderà76. Il giornale raccomanda quindi alle giovani donne di leggere il meno possibile, e di scrivere ancor meno, né sul diario né ad amiche, poiché ciò può essere « l'inizio di una mania deleteria e di un’inutile perdita di tempo » 77. Alle mamme tentate dalle teorie laiche ed emancipatrici della libertà d’opinione, e che quindi lasciano le proprie figlie arbitre delle proprie scelte cultu­rali, « Famiglia cristiana » spiega; « Noi cattoliche dobbiamo temere e combattere

V ••

71 Cfr. Mario pom pei, in « Critica Fascista », 1930, cit. da m .a. macciocchi. La donna nera, cit., p. 130.72 Idem.73 Cfr. F. flora, Stampa dell’era fascista, Roma, 1945, pp. 105-106.71 « Famiglia cristiana », li posto della donna, 24 marzo 1938.73 Non siamo monache noi, ibid., 24 aprile 1938.73 Ibid., 14 maggio 1939. Nel raccontino la figlia si allontana dalla religione, poi comincia a vivere una vita indipendente, poi si uccide accusando il padre. 11 rapporto tra cultura e deprava­zione femminile, sempre presente nel cristianesimo, proviene dalla tradizione ebraica. Nella società ebraica la donna non poteva studiare la Scrittura; insegnare la Torah alla figlia era come inse­gnarle costumi lascivi. Cfr. F. long, r. pierro. L ’altra metà della Chiesa, cit., p. il.77 Ibid., Gli abbandoni della penna, 21 gennaio 1940. In realtà, dietro queste giustificazioni dell’ostilità per lo scrivere femminile, si nasconde la causa fondamentale; la vera pericolosità di quest’attività per i cattolici sta nel fatto che essa impone una riflessione sul proprio io. una pur elementare presa di coscienza di se stesse come individui con problemi propri.

La donna nella stampa popolare cattolica 61

questa libertà d’opinione, che apre la via al disorientamento intellettuale e morale, al comunismo. Questa libertà è buona per chi non è nella religione cattolica, affin­ché con il lume della ragione naturale e con l’aiuto del Signore, possa giungere alla Verità. Per noi questa libertà è veleno. ... Solo la lettura della stampa cattolica può scongiurare il pericolo della libertà d’opinione » 78 La teorizzazione dell’estra­neità della donna alla cultura ha quindi una duplice motivazione, cioè all'apparte­nenza al sesso femminile si somma l’appartenenza ad un mondo cattolico che diffida della cultura, che viene vissuta come contrapposta alla religione.La ragione principale della lotta contro l’indipendenza intellettuale della donna rimane comunque per « Famiglia cristiana » come per il fascismo, quella di ostaco­lare l’allontanamento del pensiero femminile dai suoi obiettivi tradizionali: casa, figli, marito.Un aspetto che « Famiglia cristiana » sfiora senza approfondire è quello della peda­gogia femminile. Poco o niente vi si legge sull’educazione delle bambine e delle fanciulle, su cosa bisogna fare perché diventino delle donne oneste. In « Palestra del clero » si possono invece trovare delle indicazioni più precise al riguardo79. Partendo dalla considerazione che le donne hanno scarso raziocinio, sono sugge­stionabili, portate alla gelosia e al sospetto, « mutevoli di consiglio », si suggerisce di educare le giovani ponendo una cura tutta particolare alla formazione del cuore e del sentimento, evitando di allontanarle dall’occhio vigile dei genitori per portarle in ambienti dove regni la promiscuità tra i sessi, e preparandole giorno per giorno « alle mansioni loro da Dio destinate, di spose e di madri ». Per ciò che concerne l’educazione fisica, la migliore ginnastica per la gioventù femminile sarà quella « spontanea », che interessa « tutte le membra, senza sforzi violenti: giochi di cortile, passeggiate, salto alla corda, faccende di casa... ». È assolutamente da evi­tare invece il cosiddetto escursionismo, per via della inevitabile e pericolosissima promiscuità tra i sessi.La prima considerazione da fare è che, com’è noto, i lavori domestici, per la discontinuità dei movimenti, stancano senza costituire un esercizio salutare per il corpo. Consigliarli come sport, oltre che riportare ancora una volta le donne ai loro doveri casalinghi, tende anche ad accreditare una concezione precisa dell’at­tività fisica femminile: lo sport era infatti per i cattolici, più che un modo di aver cura della salute del proprio corpo, una maniera di sfogare le energie eccessive che altrimenti avrebbero potuto confluire nell’attività sessuale; ciononostante esso viene consigliato, come fattore purificante, ai maschi, ma non alle donne. Ciò perché, come si diceva, non si considera la sessualità femminile parte naturale e « fisica » della donna, bensì frutto di una malizia tutta psichica. Ma ancor di più perché i cattolici certamente condividevano quanto scriveva Ferdinando Loffredo, uno dei massimi teorici deH’antifemminismo: « Presso tutti i popoli gli sport fem­minili dimostrano di essere uno dei fattori più decisivi deH’allontanamento della donna dalla famiglia, quindi della decadenza demografica, e quindi della perdita del pudore. ... Lo sport femminile è un fattore potente di diffusione di quello che adesso è chiamato ideale della nudità, le cui conseguenze sulla moralità generale nella vita familiare e sull’andamento demografico non sono messe in dubbio da nessuno » 80. 73 * *

73 Ibid., Fede e libertà, 10 aprile 1938.79 Cfr. per le citazioni che seguono « Palestra del clero », 1937, p. 326.80 Cfr. f, loffredo, Politica della famiglia, cit., p. 349.

62 Stefania Portacelo

Per quanto riguarda la cultura, nello stesso articolo di « Palestra del clero » si afferma che basta alla donna un po’ di cultura generale, poiché una cultura pro­fonda risulterebbe nociva alla donna stessa: « Essa perderebbe il suo tempo così prezioso, inaridendo in sì tanto belle doti onde Iddio l’adornava, restandone o disa­morata o almeno ritardata nella propria missione di regina delia casa ». La missione della donna « non comporta grandi studi, né profonde speculazioni, ... e neanche n’ha poi tanta voglia, tanta pazienza, tanta energia fisica da durarvi a lungo: prov­videnzialmente! ».Affinché la donna si sappia ben orientare nella vita, converrà impartirle una buona istruzione religiosa; non dovrà mancare l’istruzione letteraria, purché sia confacente al grado sociale della famiglia, e non degeneri in « curiosità morbosa, vacuo senti­mentalismo sognatore, che fisiologicamente potrebbe dare nell’isterico, e moral­mente potrebbe dare esito fatale alla passionalità». La cultura scientifica invece non si confà alla donna, poiché quest’ultima non resiste ai lunghi ragionamenti, non è analitica81; d’altra parte ciò non farebbe che inaridire i suoi sentimenti, tanto preziosi per la cura della famiglia.Cos’è dunque la pedagogia femminile p’er la stampa cattolica? Mentre la pedagogia maschile, presente spesso in « Famiglia cristiana », tenta in qualche modo di for­mare l’animo giovanile, quella per la giovane, o è completamente assente, come nel caso di « Famiglia cristiana » o è costituita solo da una lunga serie di proibi­zioni; non esiste se non nel suo aspetto negativo. Nonostante si parli di « formare » la madre e la sposa, nella maggior parte dei casi non si va al di là del consiglio pratico, considerando in fondo questi ruoli come talmente naturali da non richie­dere una preparazione spirituale adeguata; al contrario la naturale propensione ad essi può essere turbata da qualsiasi distrazione, cioè, in realtà, dalla percezione che si aprano altri campi nei quali la donna possa affermare la propria personalità.In questo articolo di « Palestra del clero » ritroviamo in forma più compiuta che in « Famiglia cristiana », l’idiosincrasia cattolica verso la donna colta e la percezione esatta che la cultura non può che essere vissuta dalla donna come momento di allontanamento e revisione dei propri ruoli tradizionali. Si coglie anche, con maggior chiarezza che in « Famiglia cristiana » la convinzione della strutturale inferiorità delle capacità intellettuali femminili. L’elemento più interessante dell’articolo è però l’affermazione che un certo grado di cultura è necessario, purché sia confacente alla condizione sociale della donna.

Ciò dimostra quanto rozzamente il classismo passasse attraverso le riviste cattoliche; quanto, anche all’interno di una globale condanna dell’emancipazione femminile, la discriminante di classe provvedesse a dividere le ricche dalle povere.In « Famiglia cristiana » questo elemento emerge con lentezza ma, dopo i primi anni, è sicuramente presente. Agli esordi, il giornale è portatore di un intransigen- tismo di stampo ottocentesco, che implica la condanna del lusso, la riprovazione per i costumi rilassati delle classi agiate. Il rigore degli inizi si tempera negli anni, sia perché ciò è necessario alla diffusione della rivista anche nelle famiglie bor­ghesi, sia perché l’intransigenza cattolica cede il passo a valutazioni più realistiche. Essa aveva il valore politico di opposizione totale a costumi considerati frutto del liberalismo del nuovo stato, e ciò vale anche per quell’aspetto del populismo cat­

81 I fascisti erano convinti invece che la donna non avesse capacità di sintesi. La donna ha una « maggior capacità analitica e di giudizio, che non sintetica e di previsione ». Cfr. f . lof- frf.do, op. cit., p. 351. In ogni caso rimane ferma l’incompletezza intellettuale femminile.

La donna nella stampa popolare cattolica 63

tolico che è il pauperismo. Per accettare la società fascista, gerarchica, bisogna ac­cettare la società borghese con i suoi ricchi e i suoi poveri82.(.’abbandono del pauperismo, di ogni critica alla ricchezza in quanto tale, e la conseguente apertura nelle pagine del giornale a situazioni e a personaggi borghesi e agiati, lungi dal sottintendere l’idea di una sostanziale uguaglianza di ricchi e poveri, e la legittimazione dell’aspirazione a mutare la propria condizione sociale, esprime chiaramente, attraverso la proposizione di modelli puramente evasivi, l’esi­stenza di un divario incolmabile se non con il sogno 83 84.Riguardo alla moda, le distinzioni che vengono tracciate tra ricche e povere si colgono meglio in un articolo di « Rivista del clero italiano » M, dove si ritiene che il dilagare della moda « invereconda » sia da attribuire al fatto che le classi inferiori vogliono adottare i costumi dei ricchi. Ed è proprio nelle classi inferiori che la moda «arriva spesso ad essere ridicola». Queste povere donne mancano di finezza e, per imitare le ricche, finiscono per essere goffe. Queste affermazioni dicono implicitamente che la donna dell’alta società è depositaria del buon gusto e della finezza nel vestire, e comunque, se essa è stravagante o provocante, ciò non rappresenta un danno sociale all’interno del suo rango. Ma se la donna del popolo spende per comprare vestiti, per ostentarli esce di casa, ed essendo avve­nente suscita desideri immorali, tutto ciò rappresenta un danno considerevole per la stabilità sociale.La donna che avesse letto in maniera critica il giornale, e tenendo presente la plu­ralità dei messaggi, avrebbe forse compreso come il meccanismo consolatorio del pensarsi inelegante e incolta in quanto donna onesta, venisse vanificato dalla compresenza nel giornale di figure femminili più fortunate, alle quali era concesso di essere oneste, colte ed eleganti al tempo stesso, ed avrebbe forse avvertito la crudezza di un messaggio finale di diseguaglianza.Ma la presenza di questa lettrice critica è ipotesi alquanto inattendibile, e dobbiamo invece attenerci ai dati di fatto, che testimoniano dell’assunzione di questo e degli altri messaggi, e non certo del loro rigetto: nel periodo esaminato la diffusione di « Famiglia cristiana » aumenta costantemente a riprova della sua capacità di presa sul pubblico.Il tentativo di comprendere cause ed effetti del fenomeno solleva due questioni. La prima riguarda il rapporto del giornale con il pensiero tradizionale cattolico, che in Italia rappresenta anche la materia prima del senso comune popolare. La seconda riguarda il rapporto di questa tradizione con l’ideologia fascista della

82 Cfr. Èrcoli [ palmiro Togliatti] , Fine della questione romana, cit., p. 125: « Il papato del giorno d’oggi... è una potenza la quale ha percorso molto della distanza che la separava dalle altre forze che reggono il mondo capitalistico. Esso è andato alla scuola del regime parlamen­tare, della democrazia borghese e dei partiti politici del giornalismo, della banca, dell’espansione coloniale e dell’organizzazione operaia. Esso è una potenza che in questo mondo cerca di eserci­tare nel modo più adatto alle circostanze, la sua funzione di conservatore dell’ordine esistente ».83 è opportuno sottolineare alcuni esempi di questa evoluzione. Nel giornale ai suoi esordi era facile incontrare, nelle pagine riservate alle donne, rubrichette di consigli pratici, come quella del 7 febbraio 1932, intitolata Buon uso degli abiti e della biancheria. Due anni dopo, nei nu­mero del 24 dicembre 1933, nella rubrica A voi donne, si parla dei doveri verso le persone di servizio. All’inizio del 1932 l’indicazione riguardo alla moda è quella di ignorarla nel modo più assoluto, ma già nel ’33 si dice che si può essere eleganti, sia pur con molta prudenza e in maniera adeguata alla propria condizione sociale. Di più, i romanzi a puntate, che si pubblicano dal 1937 in poi, propongono situazioni di ricchezza e raffinatezza, di lusso addirittura sfarzoso, e gli apologhi e i raccontini non sono più popolati da contadine, ma da fanciulle ricche.84 Cfr. La nostra inchiesta sulla moda, « Rivista del clero italiano », 1924, fase. X, p. 577.

64 Stefania Portaccio

donna. Per quanto attiene al primo problema, è il caso di ricordare quanto dice sulla donna Cesare Cantù, autore raccomandato ai lettori 85:

Alle donne noi dobbiamo la vita, il primo nutrimento, la prima affettuosa assistenza: non useremo con esse ogni riguardo? Esse sono più delicate di noi per costituzione, per abitu­dine: soffrono maggiori malattie, hanno minori distrazioni. L’uomo è il naturale loro protettore. Quanto è vile chi invece le opprime, chi le rattrista, chi non prodiga con esse tutti i riguardi, tutte le sollecitudini! L’anima loro sensitiva le fa compassionevoli di tutte le miserie; voi le vedete assidue al letto degli ammalati, e dove è una donna il povero non patisce. Oh vile chi abusa per preparare ad esse il rimorso e il disonore!...E ancora:E tua madre? Quanti dolori ha sopportato per te! Mentre eri piccino, che non ti movevi, non parlavi, non capivi, quante cure sostenne! Quante notti vegliò su di te! Quanti diver­timenti lasciò!...86.

Prima di commentare le parole di Cantù, è il caso di ricordare un altro libro di autore cattolico, pubblicato sempre nel 1873, La reazione del pensiero di Anastasio Bocci in cui dopo la citazione da Salomone « come dal panno di lana procede la tignola, così dalla donna l’iniquità dell’uomo », spiega come la causa di ogni male, e specialmente delle rivoluzioni furono e sono le donne 87 88.Nel cattolicesimo ortodosso dell'Ottocento, luogo ideale di riferimento culturale per la stampa cattolica, vi è quindi la compresenza dell’esaltazione e della demo­nizzazione della donna, secondo il binomio classico angelo-diavolo entro cui la femminilità è costretta. Il binomio opera, come si è visto, anche all’interno di « Famiglia cristiana ». Tuttavia, con il passare degli anni concezioni analoghe a quelle di Cantù diventano via via minoritarie rispetto all’elaborazione di contenuti che si avvicinano all’ideologia di Bocci.Dal brano del Cantù si evince un sentimento di riconoscenza per la donna che si prodiga, privandosi del suo tempo, divertendosi e distraendosi poco, e implica l’idea che la dedizione della donna alla famiglia, se frutto di propensione naturale, sia in qualche modo facolattiva e proprio per questo degna di gratitudine. Abbiamo visto invece come per « Famiglia cristiana » la donna non sia destinataria di ricompense affettive per le mansioni svolte, e nei decaloghi di cui si è detto, ci si avvicina, per prudenza di tono e aridità di contenuti, al Decalogo della Madre, compilato dall’Omni, in cui il figlio, inteso sempre come figlio maschio, è quasi un altare davanti al quale prostrarsi, e non persona con la quale la madre ha un rapporto d’amore, e quindi reciproco 8S.

85 « Famiglia cristiana », La stampa, 8 maggio 1938.86 Cfr. cesare cantù, Il galantuomo, ovvero i diritti e i doveri. Corso di morale popolare, Milano, A. Bettoni, 1873, pp. 105-106.87 ANASTASIO BOCCI, La reazione del pensiero, ovvero la Chiesa e lo Stato, l’istitutore e la donna nella questione sociale, Livorno, 1873. La citazione da Salomone è a p. 397, in apertura del paragrafo dedicato al VA scendente della donna sul cuore dell’uomo: opera di lei nell’indirizzo della società. Sempre su questo argomento Bocci precisa anche che « gli errori di Lutero e di Cal­vino non si propagarono specialmente che per mezzo delle donne, alle quali ebbero cura di rivolgersi prima che ad ogni altro, come quelle che meglio si prestano ad essere sedotte e a sedurre. Senza dubbio Arrigo V ili fu [...] un mostro che abbatté nel suo regno la religione cattolica. Ma in sostanza chi più della disonesta Anna Bolena, sua druda, e della feroce Elisa- betta, sua degna figlia, contribuì a radicare gli errori dell’anglicanesimo...? Finalmente, gli errori del razionalismo, o della filosofia del passato secolo, si diffusero e si radicarono sia in Francia sia altrove, perché le donne, lasciati il loro fuso e l’ago, si posero ad effemminare la filosofia e la teologia sul sistema di Voltaire e di Rousseau, ed era di moda Tesser filosofessa [...] ibid. pp. 405-406.88 Decalogo della madre (delTOnmi): « 1) Nessuno ti sostituisca presso la culla. 2) Non di­menticare mai, come donna, che tu sei prima e soprattutto madre; 3) Preparati a tutte le

La donna nella stampa popolare cattolica 65

Non possiamo tuttavia affermare che l’ideologia fascista della donna e della fami­glia abbiano inciso sulla visione cattolica della donna. L’ideologia punitiva nei con­fronti della donna che circola nelle pagine di « Famiglia cristiana » attinge le sue radici nella tradizione paleocattolica della donna malvagia e corruttrice, viene cor­roborata dall’esistenza di opere come quella di Bocci, è in consonanza con la voce di un don Ardali89, di un padre Gemelli90. In altre parole, l’antifemminismo catto­lico non ha bisogno della teoria antifemminile fascista91, anche se a volte se ne serve. Esso è già ricco di elaborazioni e di modelli di riferimento da proporre, sa esaltare e punire, marginalizzare e responsabilizzare. Soprattutto, colpevolizza la donna, ma la guida anche, con una minuta precettistica, affinché non sbagli, secon­do una modalità repressiva-rassicurativa che incide sulla mentalità femminile in quanto corrisponde ad un meccanismo tipico del rapporto con la religione. I « po­veri contenuti » di « Famiglia cristiana » vanno quindi innestati nella ricca tradi­zione cattolica, se si vuole comprendere la valenza sociale.La seconda questione è strettamente connessa alla prima, cioè al problema della tradizione cattolica, considerata ora in rapporto con l’ideologia fascista della donna e della famiglia. A questo scopo analizzeremo in alcuni numeri usciti fra il 1939 e il 1942, i messaggi rivolti alla donna dal periodico « Famiglia fascista », organo ufficiale dell’Unione fascista famiglie numerose, un giornale popolare che si rivolgeva potenzialmente allo stesso pubblico di « Famiglia cristiana ». In esso vengono riportati i testi di Loffredo sull’assoluta « casalinghità » della donna, e sul dovere dello stato di non assistere la famiglia numerosa (poiché essa è « natu­rale » e « connaturata » al tessuto nazionale, e non fatto eccezionale, che necessiti di particolari cure). Il giornale ricorda però che nella prefazione all’opera di Loffredo, Bottai dissente da queste tesi, a suo giudizio irreali ed estremistiche 92.

rinunzie, anche la suprema, se ciò deve essere per il tuo bambino; 4) Non riprometterti dal tuo sacrificio gratitudine; opera per amore. 5) Non guastare con il tuo zelo, l’opera mirabile della natura. 6) Onora e rispetta, fin da principio, in tuo figlio, l’uomo. 7) Tuo figlio è un essere libero, nato non per la tua gioia, ma per la sua. 8) Aria, moto, luce per il fisico; lealtà, fermezza, serenità per il morale. 9) L’obbedienza è il fondamento dell’educazione, esigila, ma non spezzare la sua volontà. 10) Nessun bene sulla terra vale quanto l’anima di tuo figlio: difendila ». Cfr. dai. vaccari, La donna nel ventennio fascista 1919-1943, in Donna e resistenza in Emilia Romagna,cit., p. 99.89 « Ubbidendo quasi alla diabolica bacchetta magica delle potenze del male, essa [la donna]è divenuta la schiava della moda; il giuoco delle facili illusioni. Appena i centri di comandi emanano l’ordine di togliere ancora un velo al sacrario della sua pudicizia, la donna ubbidisce, senza discutere l’importanza che la moda esercita sul costume, che è incommensurabile. [...]. Non pensa la donna che allorquando essa porta per le pubbliche vie le arti della sua seduzione, si incontrano in lei uomini maturi che hanno diritto alla tranquillità del proprio spirito per dirigere con mano robusta gli affari da cui dipende forse la felicità di un popolo intero; gli uo­mini ormai vicini alla tomba, cui non si convengono turpi pensieri [...] e più spesso giovani, i quali dovendo impegnare tutte le più nobili energie per il conseguimento dei fini propri della loro età, hanno il diritto di non vedere la propria volontà esposta ai gravi pericoli della tenta­zione [...] un primo peccato può essere un principio di fallimenti di tutta la vita; i bambini che data l’odierna precocità, comprendono, osservano, e per i quali è scritto: guai a chi scandalizza uno di questi piccoli, meglio è che si appenda una pietra al collo e si getti nel profondo delle acque ». p . ardali, La politica demografica di Mussolini, Mantova, Mussoliniana, 1929, pp. 34-35.W A testimonianza deH’antifemminismo oltranzista di Agostino Gemelli, vedi i numerosi arti­coli sui problemi riguardanti la donna e la morale familiare, pubblicati su « Rivista del clero italiano » negli anni venti e trenta.91 « Sono i clerico-fascisti — da don Ardali, al De Libero, al Battara, allo stesso Loffredo — a portare avanti le posizioni più oltranziste [riguardo all’inferiorità della donna] ». P. m eldini, Sposa e madre esemplare, cit., p. 96.92 Vedi la presentazione di Bottai all’edizione del 1938 del volume di f . loffredo, Politica della famiglia, cit.

66 Stefania Portacelo

L’esaltazione della madre e l’appello alla limitazione di ogni altra attività che in qualche modo si opponga alla procreazione, non escludono la pubblicazione di figurini di moda estremamente procaci, da indossare nelle gite in montagna (che secondo « Famiglia cristiana », come abbiamo visto, la donna avrebbe fatto meglio a non compiere). L’articolo su Santa Caterina da Siena, e quello sulla madre di Napoleone non escludono raccontini pruriginosi, di atmosfera esotica — come era di moda —,. foto di attrici dei film recensiti, pubblicità di articoli di lusso, come stoffe costose e mobili firmati da designers. 11 messaggio complessivo è disomo­geneo; la pubblicazione è di certo meno incisiva di « Famiglia cristiana », essendo fonte di impulsi contraddittori, di inviti che si elidono a vicenda. Come si concilia la prole numerosa con l’ultima moda, il lusso con il contenimento dei consumi, l’abnegazione e il sacrificio raccomandati? Pur essendo dettagli, questi sono spie dell’assenza di modelli omogenei e complessi da proporre alla donna; poiché in fondo non si avverte come politicamente proponibile-credibile la figura della madre prosperosa e rurale, i tratti che la connoterebbero vengono elusi, e non sottolineati. Tutto ciò rimanda alla reale consistenza dell’ideologia fascista della donna. Preme sottolineare comunque che questa ideologia è un coacervo di elementi provenienti da posizioni culturali a volte molto distanti tra loro; che l’ideologia, così come noi la conosciamo (la radicale inconciliabilità tra i sessi, l’inferiorità spirituale ed intellettuale della donna, la sua completa estraneità alla dimensione sociale e poli­tica e la sua insopprimibile vocazione casalinga e materna) è il risultato di un discorso « vincente », che si afferma solo dopo il 1927 sull’altra linea esistente che faceva capo ai Fasci femminili, idealmente legata al programma diciannovista, e che tendeva a valorizzare l’azione politica della donna e aveva vaghi propositi emanci­patori 93. Si tratta di un antifemminismo posticcio che, come del resto il tradizio­nalismo, viene assunto nel bagaglio ideale del fascismo sotto la spinta di problemi economici, di controllo sociale, di consenso popolare. Non voglio dire che l’anti­femminismo non sia organico al fascismo, ma semplicemente che il bagaglio ideale del fascismo era un coacervo di elementi disorganici tra loro, e all’interno dei quali trovava posto, tra gli altri, l’antifemminismo tradizionalista. Anche quando l’ala « conservatrice » vince, e si ufficializza con i Patti lateranensi l’apporto clericale, rimane per i fascisti il problema della gestione del consenso femminile che com­prendeva i ceti medi ed alti, e cittadini. Attraverso questo elemento si è stimolati a vedere nella disorganicità dei messaggi alle donne un problema di consenso. Per chi si occupa di cultura collettiva è scontata la consapevolezza che i mezzi di massa non sono diffusori di comunicazioni indifferenziate; la cultura collettiva non potrebbe distribuirsi a livello della società globale se non adeguasse i suoi conte­nuti alle capacità di decodificazione, alle possibilità di realizzazione delle opportu­nità, alle concrete realtà di vita dei fruitori diversamente collocati nella gerarchia sociale.Volendo confrontare da questo punto di vista « Famiglia fascista » e « Famiglia cristiana », vedremo che mentre il primo giornale ondeggia impreciso da un punto all’altro dell’ipotetica serie di messaggi, il secondo risponde al problema in due maniere, a cui ricorre contemporaneamente. Da un lato istituzionalizza, nel suo interclassismo un classismo evidente, che rassicura la lettrice sui comportamenti da tenere a seconda della sua condizione sociale; dall’altro pur nell’estendersi della fascia sociale dei lettori, pur nella rinuncia all’iniziale apologia del pauperismo, il giornale rimane portatore di un modello utopico ruralista di famiglia, in cui

93 Sulle vicende e l’ideologia dei Fasci Femminili cfr. p. m eldini, Sposa e madre esemplare, cit., pp. 23-25 e sg.

La donna nella stampa popolare cattolica 67

rientra la segregazione domestica, l’incremento demografico, la lotta all’urbane­simo, la critica più o meno velata al processo di industrializzazione. Può fare questo poiché è voce di un movimento ideale, di una proposta omogenea, nella quale il ruralismo è congenito, non acquisito.Il fascismo, se sul piano ideale ingloba, da un certo momento in poi, i contenuti della visione cattolica della società, sul piano politico-pratico ha a che fare con strati sociali che ad esso aderiscono solo, appunto, sul piano politico; per rima­nere in campo femminile, le donne dei ceti medi e alti cittadini. Esso deve quindi rinunciare ad essere portatore di un messaggio totalizzante per le donne. Il fasci­smo assume tatticamente elementi dell’antifemminismo cattolico, del misoginismo paolino e dei Padri della chiesa, ma non avrà mai la loro forza di penetrazione.A differenza del fascismo, la chiesa esprimeva infatti una strategia nei confronti della donna, e poteva disporne in quanto aveva un obiettivo da perseguire, cioè costringere i costumi femminili e familiari entro schemi di comportamento precapi­talistici, e comunque rallentare e controllare il mutamento dei comportamenti gene­rato dal mutare delle condizioni economiche, politiche, sociali. Se l’obiettivo fosse fallito nel reale svolgersi dei fatti, la battaglia combattuta avrebbe avuto comunque un senso ideale, avendo contribuito alla creazione di un modello di « dover essere », il che è sempre lecito e proponibile in ambito religioso, anche se il modello entra in conflitto con la realtà storica.Nel 1945 « Famiglia cristiana » ricostruisce in due articoli una specie di storia della famiglia 94. In essa la donna che si erge a modello è ancora quella idealizzata del­l’Ottocento mitico, che diventa per l’occasione la donna di ogni tempo e paese. Non a caso le frasi usate riecheggiano le parole del Cantù, e non quelle del Bocci (per attenersi agli esempi usati): in un momento di sommovimento sociale la donna va blandita, e non terrorizzata. Nel secondo articolo in particolare si esalta la con­dizione della donna nel secolo scorso, quando la sua elevatezza spirituale era ben più nobile delle attuali pretese di emancipazione95. Nel 1947 il primo numero del giornale reca un altro articolo di storia della famiglia, propedeutico al primo dei tanti appelli per la partecipazione al Fronte della famiglia, rivolti principal­mente alla mobilitazione femminile. Si fa leva sul misoneismo femminile, storica­mente determinato ma di certo reale, ben sapendo che il richiamo alla tradizione e alla staticità avranno sicura presa sul pubblico delle donne. Così, se è chiaro l’apporto integrante della stampa cattolica ai progetti fascisti riguardo alle donne, è altrettanto evidente come negli anni del fascismo, il cattolicesimo abbia portato avanti una sua propria strategia, utilizzando la situazione politica e culturale, con una compattezza che permette di affermare che esso rappresenta il contributo più sostanziale alla formazione di una mentalità collettiva e femminile estranea e con­traria all’emancipazione della donna.

94 « Famiglia cristiana », Vicende della famiglia lungo i secoli, 1945, n. 1, e Ritorno al pas­sato, ibid., n. 2.95 « Certo quelle brave donne erano spesso timide e impacciate [...], ma nella loro pesante e impacciata timidezza racchiudevano quelle virtù che costituiscono la forza della famiglia. E la loro semplicità di sentimenti di vita non impediva che fossero anche capaci di nobilissime azioni. Gli atti di amore e di abnegazione di tante elette creature, dedicatesi a grandi opere di carità, non provano forse la elevatezza spirituale di molte di queste donne educate alla buona, senza pretese di alta cultura e di emancipazione? ». Le copertine del giornale nell’immediato dopoguerra continuano ad essere quelle di prima della guerra: quando non hanno soggetto sacro, ritornano le scenette di vita familiare, in interni o immediate adiacenze di case campagnole, con il pozzo, il camino, i bimbi scalzi, la mamma con le gonne ampie e lunghe, corsetti e scialli.

68 Stefania Portaccio

Questo è l’elemento che emerge dall’anilisi di ciò che in « Famiglia cristiana » veniva scritto intorno alla figura femminile. L’indagine è volutamente ristretta a questo campo e non si considera esaustiva; una lettura globale, anche puramente interna, del periodico, fornisce in realtà un numero grandemente maggiore di spunti per l’analisi dei contenuti e delle forme della comunicazione cattolica. Comunque, pur con una breve analisi settoriale, si vuole sottolineare l’opportunità di integrare la pubblicistica popolare nella storia della cultura italiana. In particolare, la pub­blicistica popolare cattolica ha alcune peculiarità che le derivano dall’essere por­tavoce della chiesa, depositaria di valori assoluti e quindi totalmente rassicuranti, e di conseguenza di poter contare sull’atteggiamento acritico del suo pubblico. Proprio per questa sua caratteristica costituisce un osservatorio non secondario per la comprensione dei modelli culturali che vengono trasmessi e assorbiti (e sulle motivazioni che muovono sia la trasmissione che l’assorbimento) da fasce cospicue della popolazione 96.Analisi settoriali della stampa cattolica, e non solo dei suoi giornali, una volta ricomposte in sintesi più ampie possono contribuire sia a colmare una lacuna individuata negli studi di storia della cultura, sia a fornire l’abbozzo di una « men­talità collettiva » degli italiani, che Jacques Le Goff indicava anni fa come campo ineludibile di ricerca 97.

STEFANIA PORTACCIO

96 Sulle peculiarità del giornalismo popolare cattolico, e sulla necessità di un suo studio per la comprensione del postfascismo vedi Mario isn e n g h i, Trenta-quaranta: l’ipotesi della continuità, in « Quaderni storici », 1977, n. 3, pp. 103-107.97 Vedi Jacques le Goff , Il peso del passato nella coscienza collettiva degli italiani, in aa.vv., Il caso italiano, Milano, Garzanti, 1974.