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15 Arrivo a Jiabiangou Ai primi di agosto del 1949, Qi Yaoquan, segretario della Lega della gioventù comunista della contea di Jinta, ricevette un breve comunicato dal Comitato di partito della contea con cui lo si pregava di rientrare immediatamente in sede per un convegno. La richiesta lo colse del tutto alla sprovvista: dai primi di luglio, infatti, Qi era in visita con una squadra di tre uomini presso una cooperativa agricola in mezzo al deserto di Badan Jilin. Quello era il suo secondo viaggio nella regione: l’anno precedente il governo aveva inaugurato il programma di collet- tivizzazione, e la contea, in previsione del raccolto estivo, aveva inviato nei villaggi un gran numero di unità operative, con il compito di sollecitare i contadini a rispettare le quote di grano imposte dalle autorità. Poiché i quantitativi stabiliti erano ele- vati e difficili da raggiungere, le squadre di lavoro erano state spronate a restare più a lungo; il ritorno di quella di Qi non era previsto prima della fine di settembre o dell’inizio di ottobre, dopo che i contadini avessero essiccato e macinato il grano. Al suo rientro, Qi scoprì che la contea intendeva mobilitare le masse per avviare un’iniziativa che il presidente Mao chia- mava “Campagna di rettificazione”: i cittadini erano esortati a criticare il Partito, e aiutare così i funzionari a migliorare la qualità del loro lavoro. Qi si tenne informato, seguendo le cronache con attenzione. Sapeva che la nuova campagna di Mao, riassunta nello slogan “Che cento fiori sboccino, che cento scuole gareggino”, aveva già preso il via in grandi città come Pechino e Shanghai, però aveva sentito due opinioni divergenti al riguardo: il Quotidiano del Popolo, l’organo ufficiale del Partito comunista, aveva pub- blicato diversi articoli in cui si esortavano i lettori a esprimere le proprie opinioni; ma Qi aveva anche letto un editoriale in cui

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Libro della casa editrice Amatea.

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Arrivo a Jiabiangou

Ai primi di agosto del 1949, Qi Yaoquan, segretario della Lega della gioventù comunista della contea di Jinta, ricevette un breve comunicato dal Comitato di partito della contea con cui lo si pregava di rientrare immediatamente in sede per un convegno.

La richiesta lo colse del tutto alla sprovvista: dai primi di luglio, infatti, Qi era in visita con una squadra di tre uomini presso una cooperativa agricola in mezzo al deserto di Badan Jilin. Quello era il suo secondo viaggio nella regione: l’anno precedente il governo aveva inaugurato il programma di collet-tivizzazione, e la contea, in previsione del raccolto estivo, aveva inviato nei villaggi un gran numero di unità operative, con il compito di sollecitare i contadini a rispettare le quote di grano imposte dalle autorità. Poiché i quantitativi stabiliti erano ele-vati e difficili da raggiungere, le squadre di lavoro erano state spronate a restare più a lungo; il ritorno di quella di Qi non era previsto prima della fine di settembre o dell’inizio di ottobre, dopo che i contadini avessero essiccato e macinato il grano.

Al suo rientro, Qi scoprì che la contea intendeva mobilitare le masse per avviare un’iniziativa che il presidente Mao chia-mava “Campagna di rettificazione”: i cittadini erano esortati a criticare il Partito, e aiutare così i funzionari a migliorare la qualità del loro lavoro.

Qi si tenne informato, seguendo le cronache con attenzione. Sapeva che la nuova campagna di Mao, riassunta nello slogan “Che cento fiori sboccino, che cento scuole gareggino”, aveva già preso il via in grandi città come Pechino e Shanghai, però aveva sentito due opinioni divergenti al riguardo: il Quotidiano del Popolo, l’organo ufficiale del Partito comunista, aveva pub-blicato diversi articoli in cui si esortavano i lettori a esprimere le proprie opinioni; ma Qi aveva anche letto un editoriale in cui

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si sosteneva che alcune persone avevano sfruttato la Campagna di rettificazione per attaccare e sabotare il Partito, e che questi, a sua volta, aveva risposto ai detrattori con notevole veemenza.

Qi si considerava un figlio del comunismo e un autentico rivoluzionario, tanto che l’idea di criticare il Partito non l’aveva mai neppure sfiorato.

Era nato nella contea di Dunhuang, nella provincia del Gansu; nell’autunno del 1949, quando le truppe comuniste occuparono la vicina città di Jiuquan, Qi, allora sedicenne, vi frequentava l’ultimo anno di scuola superiore. Ispirato dai progetti comunisti per la costruzione di una nuova Cina, inter-ruppe gli studi con l’intenzione di arruolarsi volontario, ma il Comitato di controllo militare non volle reclutarlo.

In quel periodo, infatti, al governo appena insediato occorre-vano funzionari istruiti, perciò il ragazzo fu mandato a studiare per tre mesi presso una scuola di formazione per dirigenti, e successivamente gli venne affidato l’incarico di coordinatore dei giovani per la contea di Linze.

All’inizio del 1952, Qi divenne segretario generale della Lega della gioventù comunista del villaggio di Shahe, e nello stesso anno fu ammesso nel Partito. Era un giovanotto alto e bello, avido lettore, amante della letteratura e ottimo conosci-tore delle teorie marxiste. Negli anni successivi ottenne altre numerose promozioni, finché nel 1957 fu nominato segretario della Lega della gioventù comunista della contea di Jinta.

A Jinta, la riunione per il lancio della campagna si svolse nell’auditorium Baoshui di nuova costruzione; vi presenziaro-no tutti i funzionari, gli insegnanti, gli artisti e gli scrittori della zona. Lu Weigong, il segretario di Partito della contea, tenne il discorso inaugurale, quindi i partecipanti si divisero in gruppi per dare voce alla propria opinione ed esporre le eventuali cri-tiche al Partito.

Sulle prime, la reazione generale fu di silenzio e indifferenza: per due giorni, nel gruppo di Qi nessuno prese la parola.

Il terzo giorno, il segretario Lu si unì al gruppo e sottolineò una volta di più l’importanza della campagna, incoraggiando i presenti a parlare senza remore. Sostenne persino che, se si fossero rifiutati di farsi avanti e criticare il Partito, avrebbero

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dimostrato una carenza di solidi principi. Il silenzio, insomma, indicava mancanza di patriottismo.

Qi aveva sempre nutrito per Lu grande rispetto e ammira-zione. Questi era originario della prefettura di Qingyang, un baluardo del comunismo all’alba della rivoluzione. Cresciuto in un’illustre famiglia di letterati, aveva lasciato la casa paterna in giovane età per unirsi al movimento, e durante la guerra ci-vile fra comunisti e nazionalisti era stato nominato segretario di Partito per la sua contea. Dopo la vittoria comunista, era stato promosso a responsabile di gabinetto nell’ufficio del governa-tore del Gansu, e nel settembre del 1956 era stato assegnato alla contea di Jinta come parte della sua formazione. Durante la sua permanenza lì condivideva la carica di segretario con Qin Gaoyang, un altro veterano della rivoluzione, originario della provincia settentrionale dello Shaanxi.

Qi ammirava Lu: lo considerava un uomo assai istruito e in gamba, modesto e affidabile, capace di parlare e scrivere con grande efficacia. Al suo arrivo nella contea di Jinta era anda-to in visita alla gente comune, pronto ad ascoltare problemi e lamentele. Sulla base delle informazioni raccolte, aveva con-tribuito a revocare diverse leggi impopolari, migliorando così l’immagine pubblica dei dirigenti della contea, considerati da molti rozzi e arroganti, e guadagnandosi il sostegno dei conta-dini e dei funzionari locali.

Lu, a sua volta, apprezzava i talenti e le qualità di Qi. All’i-nizio dell’anno, il Comitato di Partito della contea aveva asse-gnato a quest’ultimo il compito di redigere la prima stesura di un rapporto sul progresso della collettivizzazione agricola nel paese. Qi era rimasto in piedi tutta la notte per completare una bozza di trentadue pagine, e la mattina seguente l’aveva pre-sentata ai membri del Comitato durante una riunione allargata ai vertici; Lu aveva colmato Qi di elogi, approvando il rapporto senza apportarvi alcun cambiamento.

In un’altra circostanza, Lu aveva presenziato a un corso se-rale sulle teorie comuniste che Qi teneva part-time per i funzio-nari di governo della contea, e successivamente aveva riferito ad alcuni di loro quanto ne fosse rimasto colpito:

«Non soltanto è un’ottima penna, ma è anche un grande

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esperto di marxismo. Secondo me, in quanto a preparazione teorica, non c’è nessun altro funzionario della contea che gli sia superiore.»

In seguito, Lu aveva proposto di promuovere Qi alla carica di vicegovernatore della contea. Un funzionario informò segre-tamente Qi che la richiesta era stata accordata dal Comitato provinciale del Partito, e che Lu avrebbe annunciato la deci-sione al termine della Campagna di rettificazione.

Il rispetto che Qi provava per Lu, unito alla notizia della sua promozione, lo spinse ad agire. Il secondo giorno dopo la visita del segretario al suo gruppo, si alzò e prese la parola:

«Desidero proporre qualche suggerimento al nostro segreta-rio di Partito Qin. Innanzitutto, essendo uno dei dirigenti più anziani della contea di Jinta, Qin dovrebbe badare al proprio comportamento pubblico, e condurre una vita privata corretta e discreta. Attualmente, dalle nostre parti circola un detto mol-to popolare fra la gente comune: “Quando il segretario Qin viene in città, tutte le pollastrelle sono chiamate a raccolta. E non basta mandargli una donna sposata, lui pretende anche una giovane vergine”. Non si inventano storielle del genere senza una valida ragione.»

Sebbene Qi avesse parlato in tono grave, le sue osservazioni suscitarono nel gruppo un certo mormorio; qualcuno si coprì addirittura la bocca per trattenere le risate.

«Compagni, vi prego di prendere sul serio l’argomento» proseguì Qi. «Sto sollevando il problema perché ritengo che non si tratti semplicemente di una questione di stile di vita personale. Il segretario Qin è un funzionario comunista: per il popolo di Jinta, egli rappresenta il nostro Partito. Mi dicono che ha aderito alla rivoluzione in tenera età; qual era la sua motivazione di allora? Rovesciare il vecchio regime? Ora che il vecchio regime non c’è più, al potere ci siamo noi comunisti. Qin è un funzionario di questo nuovo governo che intrattiene relazioni amorose con diverse donne, a volte perfino due allo stesso tempo. Dunque che differenza c’è tra lui e i furfanti del vecchio regime? A dire la verità, durante il periodo nazionali-sta si sentiva parlare raramente di scandali del genere a propo-sito di un dirigente di contea.

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«La mia seconda critica riguarda l’eccesso di zelo da parte della contea nell’applicazione della politica di acquisizione ob-bligatoria di cereali da parte dello Stato. Durante la prima metà di quest’anno sono stato in visita al villaggio di Shuangcheng, e molti dei contadini che ho incontrato erano pallidi e debo-li. Quando ho chiesto loro se soffrissero di qualche malattia, hanno attribuito le cattive condizioni di salute alla fame. A quanto sembra, l’anno passato il governo ha imposto quote ec-cessive, lasciandoli senza cibo per se stessi. Dal momento che i sussidi governativi non sono arrivati in tempo, molte famiglie sono state costrette a sopravvivere cibandosi di erbe selvatiche. Confido che la dirigenza della contea sappia tener conto degli interessi della gente comune, e sia in grado di stabilire quote più ragionevoli per alleviare la situazione.»

Una volta iniziato a parlare, Qi ebbe difficoltà a fermarsi: pri-ma della fine, aveva elencato sette reclami contro i vertici della contea. Dopo la riunione prese un pennello e vergò le sue ri-mostranze su alcuni manifesti, che affisse alle pareti degli uffici della contea. Fu allora che gli sovvenne un’altra faccenda: un funzionario incaricato ai Servizi sociali prelevava del denaro da un fondo di assistenza destinato ai bisognosi, e tutti i mesi lo passava al segretario Qin sotto forma di sussidio. In cambio, aveva ricevuto una promozione. Qi scrisse quell’ulteriore recla-mo su un altro manifesto, intitolandolo: “Il vicedirettore dirotta i fondi di sostegno per fare carriera”; quindi vi aggiunse una critica agli incauti tentativi della contea di piantare alberi nel deserto.

Ma non si fermò qui. Scrisse una lettera aperta al Comitato di Partito della contea e la consegnò a Lu Weigong. Nella let-tera, avanzava dieci proposte, tra cui: il miglioramento del si-stema di acquisizione obbligatoria di cereali da parte dello Sta-to, per far sì che ai contadini rimanessero mezzi di sussistenza sufficienti; la rimozione dal Dipartimento legale dei funzionari incompetenti; una maggiore attenzione alla gestione collettiva del potere e al rifiuto della dittatura.

Una volta che Qi ebbe preso l’iniziativa, altri seguirono il suo esempio, esprimendo le proprie considerazioni e scrivendo i propri reclami sui manifesti, e finalmente la campagna decol-lò; ma già due settimane dopo, l’entusiasmo suo e degli altri

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attivisti andò scemando. Un po’ alla volta, si resero conto che stava accadendo qualcosa di insolito: dopo ogni riunione, la contea incaricava un funzionario di sigillare il verbale, e se un oratore chiedeva di controllare che le sue parole fossero state riportate correttamente, il permesso gli veniva negato. Inoltre, ogni giorno Qi vedeva circolare negli uffici parecchi sconosciu-ti che, a quanto pareva, copiavano i reclami affissi alle pareti.

La gente iniziò a spaventarsi, e le critiche cessarono. Qual-cuno arrivò addirittura a strappare i propri manifesti. Qi venne a sapere che gli sconosciuti erano stati mandati dal segretario Qin; così, un pomeriggio, rimosse tutti i suoi pannelli e li bru-ciò, ma nonostante tutto continuò a sentirsi a disagio. Aveva la sensazione che stesse per capitargli qualcosa di sinistro, perciò si presentò all’ufficio di Lu.

«Segretario Lu, per favore, restituiscimi la mia lettera aper-ta» gli chiese.

Lu gli spiegò di averla già trasmessa al segretario Qin.Sorpreso per quella risposta, Qi alzò la voce: «E perché mai

hai consegnato la mia lettera al segretario Qin?» «Ho fatto qualcosa di sbagliato? Non era forse una lettera

aperta al Comitato di Partito della contea?» fu la replica di Lu.Resosi conto di non dover perdere le staffe davanti a lui, Qi

si ricompose subito. «Se gliel’hai già data, d’accordo. È solo che ultimamente sono un po’ preoccupato. Mi sembra che ci sia qualcosa che non va, ho la sensazione che stia per succedere qualcosa di brutto.»

Con quelle parole sperava di ricavare da Lu qualche infor-mazione, ma l’altro mantenne un atteggiamento calmo e pro-fessionale.

Qi lasciò l’ufficio del segretario con il cuore che gli batteva all’impazzata per la paura. Era come se un vento freddo gli soffiasse sulla schiena. Non riusciva a capire perché Lu, solita-mente così cordiale e amichevole con lui, quel giorno si fosse comportato in maniera tanto diversa.

Due giorni dopo, Qi si recò nell’ufficio del segretario Qin e presentò domanda di trasferimento alla contea di Dunhuang.

«I miei genitori stanno invecchiando. Devo prendermi cura di loro» spiegò.

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La risposta di Qin fu glaciale:«Siamo nel mezzo di una campagna e non ti è permesso di

andare da nessuna parte. Se vuoi essere trasferito, ne potremo riparlare quando la campagna si sarà conclusa.»

«Ma perché non posso? Non hai appena concesso un trasfe-rimento a Wen Keshuan?»

«Il tuo caso e quello di Wen Keshuan sono diversi.» «In che modo il mio caso è diverso dal suo?» chiese Qi, per-

plesso. «Penso che tu lo sappia» fu la replica di Qin.Qi capì che la situazione gli stava sfuggendo di mano, per-

ciò ribatté con una certa audacia: «No, non capisco. Ti prego di spiegarmi perché il mio caso è diverso da quello di Wen Keshuan.»

«Vuoi davvero che te lo dica? Molto bene, ascoltami.» Avvicinatosi, Qin gli chiese: «Qi Yaoquan, quanti anni devi

compiere?» «Ventiquattro.» «Tu non ti comporti come un ventiquattrenne. Per essere un

ragazzo così giovane, ti sei già bruciato tutti i ponti alle spalle.»Qi si sentì gelare. Il segretario Qin proseguì: «Hai fatto di tutto per rovinare

la vita degli altri. Ti manca solo di prenderli a coltellate. Non ti rendi conto di quello che stai facendo?»

Una settimana dopo quella conversazione, a Jinta ebbe ini-zio la Campagna antidestrista.

Durante la notte, nuovi manifesti di critica comparvero sulle pareti degli uffici governativi, ma questa volta le accuse erano rivolte a Qi: le sue precedenti osservazioni erano adesso con-dannate come malevoli attacchi al Partito, e i dieci punti da lui proposti nella lettera aperta venivano definiti “dieci frecce av-velenate scagliate contro il Partito”. Ogni due o tre giorni, so-pra i precedenti manifesti ne venivano affissi di nuovi. Inoltre, dal momento che Qi si rifiutava di riconoscere i propri crimini, la contea organizzava continui “dibattiti pubblici”, che erano di fatto assemblee di condanna. Qi rimaneva fedele alle pro-prie convinzioni e respingeva tutte le accuse e le imputazioni a suo carico.

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Una volta, venne trascinato a un incontro organizzato con-giuntamente dal Comitato di Partito della contea e dal Comita-to legislativo del Popolo, a cui casualmente partecipava anche il segretario Qin. I funzionari si misero in mostra e lo sommer-sero di critiche, ma Qi, come di consueto, le respinse con foga:

«Le mie osservazioni nei confronti del segretario Qin mira-vano ad aiutarlo a migliorare. In nessun modo devono essere intese come attacchi contro il Partito.»

Quindi passò a elencare le sue dieci proposte, sostenendole una per una tramite i pensieri del presidente Mao e di Karl Marx; conosceva le citazioni originali dei leader comunisti pa-rola per parola. Capendo di non potergli tenere testa nella di-scussione, molti funzionari si limitarono a imporgli il silenzio:

«Puoi anche parlare la lingua del Partito, ma in fondo al tuo cuore, tu sei contrario al Partito.»

Alcuni dei presenti si stizzirono apertamente; mentre Qi di-scuteva con loro, quelli andarono da lui, lo strattonarono, gli infilarono le dita nelle costole, lo accusarono di essere un de-strista e un controrivoluzionario.

Le assemblee di condanna si trascinarono per settimane, in molteplici forme: riunioni di dipartimento, conferenze con i dirigenti di contea e gruppi di discussione. Le sedute duravano fino a dodici ore al giorno, e Qi doveva presenziare a ognuna di esse. In più di un’occasione fu costretto a parteciparvi sia di giorno che di notte. Diversi dipartimenti si erano schierati per condannarlo.

Le cose andarono avanti così per quattro mesi. Qi si sentiva ferito, fisicamente e psicologicamente, era sull’orlo di un esau-rimento nervoso e non aveva più le forze per ribattere. Alla fine, decise di rimanersene semplicemente in silenzio a ogni riunione, pensando: “Se vogliono etichettarmi come destrista, che facciano pure. E se anche lo fossi? Mao ha detto che le persone con problemi ideologici non devono essere trattate come criminali o nemici del popolo, ed io non credo che loro contravverranno alle parole del presidente Mao”.

Pur consolandosi con questi pensieri, Qi si rese conto da solo che, a partire dal gennaio 1958, la situazione andò peggio-

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rando. Le critiche contro di lui si inasprirono, e furono indet-te nella contea due assemblee pubbliche di condanna contro i destristi.

Una sera, di ritorno a casa dalla seconda di queste assem-blee, Qi prese da parte sua moglie:

«Le cose non stanno andando troppo bene» le disse. «Tutte le accuse, da molti giorni a questa parte, sono mirate a dipin-germi come un destrista e un controrivoluzionario. Senza l’in-coraggiamento dei dirigenti più anziani, la gente comune non oserebbe sostenere simili accuse. Ho la sensazione che si stiano preparando ad agire contro di me. Devo essere pronto.»

«E come si fa a prepararsi a una cosa del genere?» gli do-mandò lei.

La moglie di Qi lavorava per l’amministrazione della contea; erano sposati da tre anni e avevano un figlio da uno.

«Con ogni probabilità, mi accuseranno di destrismo. Adesso è un reato che comporta pene molto severe: non solo potrei perdere la mia posizione all’interno della contea, ma potrebbe-ro anche mandarmi via. Credo che faremmo bene a chiedere il divorzio, in modo che nostro figlio non venga coinvolto.»

Prevedibilmente, lei non reagì bene a quelle parole.«Come puoi pensare una cosa del genere? Che cosa potreb-

bero farti? Al massimo possono mandarti a lavorare in campa-gna o in un campo di rieducazione. E allora? Se dovesse succe-dere, io verrò con te.»

Purtroppo, le supposizioni di Qi divennero realtà: l’indoma-ni, verso mezzogiorno, gli fu ordinato di presentarsi all’audito-rium governativo della contea.

Sulle prime, Qi pensò di dover presenziare a un’altra as-semblea pubblica di condanna. La sala era gremita, e l’incon-tro ebbe inizio sulle parole di Zhao Zhengfang, vicedirettore dell’Ufficio di pubblica sicurezza della contea.

Zhao salì sul podio con un elenco di coloro che di recen-te erano stati accusati di destrismo, e incominciò a leggerne i nomi, ordinando a ciascuno di loro di alzarsi e raggiungerlo sul palco. Man mano che questi si presentavano uno alla volta, Zhao annunciava severamente al microfono: “Sei in arresto”.

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Quindi faceva un cenno a due poliziotti in attesa di lato perché li legassero con delle corde.

Di lì a breve fu chiamato il nome di Qi Yaoquan. Qi sapeva che Zhao gli avrebbe riservato il medesimo trattamento; quindi si diresse verso il palco, ma si fermò a due o tre passi dal po-dio. Quando fu dato l’annuncio ufficiale del suo arresto e i due poliziotti si avvicinarono con le corde, lui arretrò e ordinò loro di fermarsi.

Sorpresi, gli agenti si arrestarono di colpo. Allora Qi escla-mò ad alta voce, perché tutti potessero sentire: «Compagno Zhao, conosci sicuramente il detto cinese: “La ghigliottina è affilata, ma non taglia la testa all’innocente”. Prima che mi ar-restiate, voglio chiederti: quali crimini ho commesso?»

«Insisti nel dichiararti innocente?» balbettò Zhao in tutta risposta.

«Il Partito ci ha invitato a esporre le nostre critiche, e questo è quanto ho fatto. È stata una violazione della legge, la mia? Se lo è stata, allora direi che anche il Comitato di Partito della contea ha violato la legge, visto che tutti i suoi membri erano coinvolti nella campagna. Sono stati loro a incoraggiare la gen-te come me a esprimere le proprie opinioni. Dovrebbero essere arrestati anche loro?»

Nell’auditorium calò il silenzio. Zhao era senza parole. D’un tratto, alcuni attivisti si alzarono in piedi tra il pubblico, urlan-do a gran voce:

«Legatelo! Legatelo e basta! È troppo arrogante!»Gli agenti parvero risvegliarsi dal torpore, lo afferrarono per

le braccia e gliele bloccarono dietro la schiena. Qi non oppose resistenza: lottare era inutile. Se lo avesse fatto, gli sarebbero piombati addosso altri sette o otto poliziotti. Ciò nonostante, mentre lo trascinavano giù dal palco, gridò un’ultima volta: «È dunque un crimine criticare i dirigenti del Partito?»

Dopo che Qi fu portato via, Zhao proseguì con gli annunci. Complessivamente, fece arrestare e rinchiudere ventisei destristi. L’intera operazione, da quando furono legati a quando raggiun-sero in camion il centro di detenzione, richiese più di un’ora.

Dopo che la polizia lo ebbe slegato, Qi si ritrovò le braccia e le mani rigide e gonfie. Sentiva forti fitte che gli si irradiavano

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dalle scapole, ma non si lamentò né gridò. Un compagno di prigione, vedendogli le mani in quelle condizioni, ebbe com-passione di lui, e gli suggerì di immergerle nel grosso pitale della cella: l’urina allevia il gonfiore, gli spiegò. Qi seguì il con-siglio, trattenendo il fiato per non aspirare l’odore pungente.

Quella sera, un cuoco si presentò fuori dalla cella per annun-ciare il pasto serale, ma Qi non si alzò: non aveva intenzione di mangiare. Aveva deciso di mettere in atto uno sciopero della fame. Quando il cuoco se ne fu andato, arrivò un fabbro che gli serrò i piedi con un paio di catene.

La mattina dopo, Qi rifiutò nuovamente il cibo, e continuò a digiunare per tre giorni di seguito. Ma la quarta mattina cam-biò idea: stava morendo di fame, e sentiva che il suo corpo si stava indebolendo. Si rese conto che, per quanto non mangias-se da tre giorni, nessuno sembrava curarsene. Probabilmente se si fosse lasciato morire di inedia avrebbe fatto il loro gioco: l’Ufficio di pubblica sicurezza si sarebbe limitato a stilare un rapporto in cui si diceva che il detenuto si era rifiutato di ri-conoscere i propri crimini, e aveva preferito estromettersi dal Partito commettendo suicidio. Qi disse a se stesso che non do-veva morire, altrimenti non avrebbe potuto riabilitare il suo nome e ottenere giustizia.

Dopo la colazione, una guardia venne a prenderlo e lo scortò in una stanza per gli interrogatori. Wan Shengxiang, a capo della sezione omonima, si incaricò del suo caso: l’indagine, che si concentrava sulle varie osservazioni controrivoluzionarie di Qi, proseguì per otto giorni. Alla fine, Wan gli chiese se avesse qualcosa da aggiungere.

«Ora che hai finito con le tue domande, vorrei fartene qual-cuna io» gli disse Qi. «La prima è questa: tu ritieni che gli edi-toriali pubblicati sul Quotidiano del Popolo rappresentino la voce del Comitato centrale del Partito?»

«Il Quotidiano del Popolo è l’organo di stampa del Partito comunista, e in quanto tale rappresenta le opinioni del Comi-tato centrale del Partito» rispose Wan.

«Ne convengo anch’io. Il Quotidiano del Popolo ha afferma-to in modo chiaro che il Partito non avrebbe adottato misure estreme contro i destristi, e più in generale contro chi avesse

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espresso opinioni contrarie al governo. Dunque perché l’Uffi-cio di pubblica sicurezza mi ha arrestato? Tu non credi che la vostra condotta contravvenga alla politica del Partito?»

Wan non rispose, e Qi proseguì: «Il Quotidiano del Popolo ha anche sostenuto che è necessa-

rio tenere conto della storia personale e famigliare del singolo prima di etichettarlo come destrista. Io ho aderito alla Rivo-luzione comunista all’età di sedici anni, sono cresciuto in una famiglia di cinque generazioni di poveri contadini e i miei tra-scorsi sono inappuntabili. Perché continuate ad accusarmi di destrismo?»

Di nuovo, Wan non rispose, limitandosi a brontolare stizzi-to; ma prima che Qi avesse il tempo di formulare un’altra do-manda, ordinò con impazienza a un poliziotto di portarlo via.

La mattina dopo, due agenti si presentarono nella cella di Qi, lo afferrarono per le braccia e gliele ammanettarono dietro la schiena.

La settimana precedente, quando aveva soltanto i piedi inca-tenati, riusciva perlomeno a mangiare e a dormire; ma adesso, con le mani bloccate in quel modo, non era più in grado di nutrirsi né di fare i propri bisogni senza l’aiuto dei compagni di cella. Dovevano provvedere a slacciargli i pantaloni quan-do aveva bisogno di usare il vaso da notte, e aiutarlo a bere e a mangiare. Dormire divenne quasi impossibile: con le mani costrette dietro la schiena non riusciva a stare supino, e anche distendersi sul fianco gli risultava difficile. Poteva solo rimane-re seduto contro il muro, ventiquattr’ore su ventiquattro.

Quattro giorni dopo, i compagni di cella comunicarono alla guardia che le condizioni fisiche di Qi erano rapidamente peggiorate; questi riferì il problema alle autorità del carcere, e diverse ore più tardi si presentò un funzionario che ordinò di togliere le manette al prigioniero.

Si era nel cuore dell’inverno, e le temperature precipitarono sotto lo zero. Durante la stagione fredda, gli abitanti della zona erano soliti indossare pesanti stivali foderati in feltro; Qi, che non li portava al momento dell’arresto, incominciò a soffrire di geloni ai piedi. Fortunatamente, un secondino che in passato

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aveva frequentato i suoi corsi lo riconobbe, e lui lo pregò di trasmettere un messaggio alla moglie perché gli procurasse un paio di scarpe imbottite di cotone, e che avessero il collo basso per via delle catene.

Temendo di poter essere accusato di simpatizzare con il ne-mico, l’uomo non osava cercarla a casa o in ufficio, perciò deci-se di aspettarla fuori dalla sede amministrativa in cui lavorava. Quando la donna uscì dall’edificio, la raggiunse e le sussurrò all’orecchio: «Tuo marito ha bisogno di un paio di scarpe im-bottite di cotone.»

Il giorno dopo, la moglie di Qi andò a trovarlo con le cal-zature da lui richieste; ma non andavano bene, perché aveva i piedi troppo gonfi. Allora lei gli promise che glie ne avrebbe portato un altro paio l’indomani.

«Questa volta non venire di persona, manda la bambinaia al posto tuo» la implorò Qi. «Non voglio che tu sia coinvolta nel mio caso.»

Ma lei non gli prestò attenzione, e due giorni dopo si pre-sentò con un paio di scarpe fatte a mano che gli calzavano alla perfezione.

Finalmente, l’Ufficio di pubblica accusa della contea avviò un’inchiesta ufficiale sulle sue attività sovversive, e Qi fu mes-so sotto processo. La prima udienza in tribunale era aperta al pubblico, ma l’aula non era molto grande, e la galleria poteva ospitare fra le venti e le trenta persone: i posti erano tutti occu-pati da attivisti scelti personalmente dal segretario Qin.

Quando il prigioniero fu portato in aula, il giudice non era ancora arrivato. Al centro della stanza, non lontano dal ban-co dell’imputato, campeggiava un cilindro metallico a guisa di stufa. Qi riusciva a sentire il calore delle fiamme, così spostò la seggiola per avvicinarsi alla fonte; qualcuno dalla galleria gli urlò di tornare al suo posto, ma lui lo ignorò e rimase dov’era. In quel momento, il giudice e i sei membri del collegio giudi-cante entrarono in aula e andarono a occupare il loro seggio. Il giudice ordinò a Qi di riportare la sedia al banco dell’imputato, ma di nuovo lui non si mosse; allora si fece avanti un poliziotto, che lo costrinse ad alzarsi e lo spinse al suo posto con la forza.

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Una volta risolto quel piccolo intoppo, il giudice si schiarì la gola e domandò a Qi come si chiamasse.

«Com’è possibile che non sappiate il mio nome?» sbottò lui. In tribuna si udirono delle risate; perfino i membri della giu-

ria, che lo conoscevano bene, scoppiarono a ridere, e il giudice fu costretto a picchiare il martelletto sul tavolo.

Quella scena rimase impressa nella memoria di Qi per molti anni: era rimasto scioccato nel vedere un giudice comunista brandire un martelletto. Fino ad allora, Qi li aveva visti soltan-to nei film sui tribunali corrotti dell’epoca nazionalista o dei paesi occidentali, ed era convinto che quelli comunisti fossero completamente diversi.

Il giudice picchiò il martelletto una seconda volta, quindi interrogò l’imputato sulla sua occupazione e il suo luogo di nascita. Qi si raddrizzò sulla sedia e rispose debitamente a en-trambe le domande. A quel punto, i sei membri del collegio gli sottoposero a turno i capi d’imputazione, che Qi ammise o respinse con sincerità a uno a uno.

L’interrogatorio proseguì per quasi due ore; alla fine, il giu-dice gli chiese: «Stai cercando di dirci che sei innocente?»

«Sì» rispose Qi. «Sono innocente. Che cosa c’è di sbagliato nel dire quello che penso a proposito della dirigenza? Il pre-sidente Mao ha detto: “Non biasimate chi parla, ma siate am-moniti dalle sue parole”. Come potete ignorare i dettami del presidente Mao?»

Il giudice ammutolì, rimase in silenzio per qualche secondo, quindi aggiornò la seduta.

Qi non ebbe mai un secondo processo. Un pomeriggio di aprile, la polizia portò lui e altri cinque

presunti destristi nell’aula in cui si era tenuto il processo. Il giu-dice si alzò e lesse il verdetto per ognuno di loro. Qi fu il primo.

«Qi Yaoquan, controrivoluzionario, ha coltivato idee rea-zionarie, si è impegnato in attività antisocialiste e contrarie al Partito. Inoltre si è rifiutato di collaborare con le autorità e di confessare i propri crimini. Sulla base di quanto esposto, que-sta corte lo condanna a sei anni di reclusione.»

Qi non protestò. Quel giorno non erano presenti membri

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del pubblico, l’aula era vuota. Dopo la lettura di tutti e sei i verdetti, Qi fu ricondotto al centro di detenzione, dove venne a trovarlo un funzionario del tribunale e gli chiese se avesse intenzione di presentare un appello.

«Perché no?» rispose lui. «Mi occorrono solo una penna e qualche foglio di carta.»

Quella notte, curvo sul cuscino, con un compagno di cella che gli reggeva accanto una lampada a cherosene, Qi redasse un appello di tre pagine:

“Il giorno del mio arresto sono stato accusato di destrismo. Poi, per qualche ragione a me ignota, le imputazioni contro di me si sono aggravate, e oggi sono stato condannato a sei anni di prigione come controrivoluzionario. In che modo la corte è giunta a tale verdetto? Non ho urlato slogan antirivoluzionari, né tantomeno ho commesso reati gravi. Le accuse contro di me sono infondate...”

La mattina dopo, mentre Qi faceva colazione, un camion fece il suo ingresso nel centro di detenzione. A lui e agli al-tri cinque destristi condannati fu ordinato di lasciar perdere il cibo e di salire subito a bordo. Qi consegnò la sua lettera di appello al funzionario del tribunale; poi, mentre il camion si apprestava a ripartire, vide avvicinarsi sua moglie con il figlio sulla schiena. Ottenne il permesso di scendere dal camion, e lei gli bisbigliò di aver ricevuto un avviso dal suo supervisore con cui veniva informata che doveva lasciare il suo lavoro presso l’amministrazione locale. Sarebbe stata trasferita in una scuola nel comune di Shuangcheng.

Quella notizia gli fece venire le lacrime agli occhi. La ac-carezzò sulle spalle e si scusò per averla messa nei guai, ma la moglie lo invitò ad asciugarsi le guance.

«Gli uomini forti non piangono mai» gli disse.Senza smettere di parlare, si tolse di tasca un rotolino di con-

tanti e lo porse al marito. «Sono duecentottanta yuan.5 Sono tutti i nostri risparmi. Prendili con te.»

Qi contò ottanta yuan per sé e restituì i restanti alla moglie.

5 31 euro circa.

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«Ti occorreranno per crescere nostro figlio» le disse. Il camion si mise in marcia, e all’ora di pranzo raggiunse la

città di Yumen. L’autista si fermò presso un ristorante dove ognuno dei passeggeri poté mangiare una ciotola di spaghetti saltati. Il viaggio proseguì per altre due ore lungo una strada accidentata e desertica, quindi il camion si arrestò alla Fattoria di Yinma n.3.

La Fattoria, di recente costruzione, era adibita a campo di lavoro. Tutti i prigionieri vivevano in tende circondate da filo spinato, ciascuna delle quali poteva alloggiare fino a ventiquat-tro persone, mentre all’esterno delle recinzioni sorgeva una schiera di case di fango usate come uffici.

Al suo arrivo, Qi fu informato che la più grande priorità della Fattoria era la costruzione di un canale di irrigazione attorno ai campi coltivati. La mattina dopo, alcuni poliziotti scortarono lui e gli altri detenuti fuori dal cancello - una semplice apertura nel filo spinato - e li condussero a piedi per tre chilometri fino al luogo del progetto. Per Qi la fatica fisica non rappresentava un problema, perché era di buon umore, convinto com’era che la sua condanna a sei anni fosse il frutto di un errore, e che presto il suo appello sarebbe stato accolto.

Il secondo giorno, un gruppo di prigionieri cercò di attaccare briga con lui. Lo insultarono senza ragione, lo spintonarono e colpirono soltanto per vedere la sua reazione, e lui rispose per le rime. Un’altra mattina, mentre spalava del fango, un compagno che lavorava poco più in là prese a urlargli contro: «Bastardo! Come ti permetti di buttare la terra nella mia direzione? Mi hai sporcato tutti i vestiti!»

«Il bastardo sei tu» ribatté Qi, furioso. «Con un vento del genere, come puoi pensare di spalare senza sollevare polvere?»

Quello andò verso di lui e gli puntò un dito in faccia, ma Qi gli scostò la mano; dal momento che lo superava di una testa buona, l’altro si limitò a borbottare qualcosa e si allontanò.

Notte dopo notte, Qi era preda di incubi in cui veniva con-dannato a morte dal giudice della contea di Jinta, caricato su un camion e portato sul luogo dell’esecuzione, dove un poliziotto

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sollevava il fucile e gli sparava alla testa. Si svegliava di colpo, madido di sudore e con il cuore che gli batteva all’impazzata.

Un giorno, durante la pausa pranzo, stava seduto dietro una piccola duna di sabbia a fumare una sigaretta, quando si appi-solò; il mozzicone gli cadde sul petto e la giacca prese fuoco. Un suo compagno sentì l’odore del fumo, lo svegliò e gli rovesciò addosso dell’acqua fredda per spegnere le fiamme. Quel giorno, gli incubi e il brutto incidente lo misero di cattivo umore. La sera, tuttavia, quando smontarono dal lavoro, un funzionario del campo convocò una breve riunione in cui elogiò Qi per l’ottimo lavoro e l’atteggiamento positivo, e gli annunciò infine la nomi-na a capogruppo: sarebbe stato alla guida di ventitré persone.

Qi si era appena seduto nella tenda per assaporare la buona notizia, che qualcuno dall’esterno chiamò il suo nome.

«Dove sta Qi Yaoquan?»Qi si precipitò fuori: l’uomo, che dall’aspetto sembrava una

guardia carceraria, gli ordinò di fare i bagagli. Perplesso, Qi rientrò nella tenda, piegò i vestiti e arrotolò le coperte; quindi si issò ogni cosa sulla schiena e seguì lo sconosciuto nell’ufficio del campo. Quando ad attenderlo riconobbe Dong Youcai, un funzionario del Tribunale intermedio della contea di Jinta, i suoi occhi si illuminarono: si precipitò verso di lui, gli prese le mani e gliele strinse con foga.

«Non posso crederci, sei proprio tu!» esclamò, stupito.«Sono tre giorni che ti cerco dappertutto» gli rispose Dong

senza farlo accomodare. «Mi avevano detto che eri in una Fat-toria di Yinma, ma non sapevo in quale. Venendo al dunque, ho il risultato dell’appello. Aspetta, te lo leggo:

“Dopo aver riesaminato le prove contro Qi, questa corte ha sta-bilito di revocare il precedente verdetto. Rimane un fatto che Qi abbia effettivamente pronunciato osservazioni destriste, del tipo: ‘I comunisti non valgono quanto i nazionalisti’; tuttavia, facendo fede il principio di combinare la rieducazione con l’indulgenza, la corte concede la sua immediata scarcerazione”.»

Qi era sorpreso per la notizia del proprio rilascio, ma anche dispiaciuto per quanto aveva appena sentito.

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«Io non ho mai detto che i comunisti non valgono quanto i nazionalisti» precisò. «Se lo sono inventato.»

Dong lo interruppe subito: «Non c’è alcun bisogno di discu-tere. Quel che è stato è stato.»

Ormai era estate. Anche a quell’ora tarda, fuori c’era ancora abbastanza luce, e il funzionario decise di partire la sera stessa. Le autorità del laogai misero a disposizione un’auto per portar-li alla città di Yumen, là salirono su un treno e raggiunsero la contea di Jinta alle dodici del giorno successivo. Qi era ansioso di correre a casa, ma Dong lo condusse invece all’Ufficio di pubblica sicurezza, dove lo affidò a un agente del centro di detenzione.

Qi non capiva: «Ma non avevi detto che il tribunale mi aveva dichiarato innocente e aveva deciso di lasciarmi andare?»

«Abbiamo rettificato le accuse controrivoluzionarie contro di te, ma resti comunque un destrista. Per il momento rimani qui. Presto verrà presa una decisione.»

Passarono un paio di giorni, e non venne nessuno. Alla fine, Qi rimase al centro di detenzione per un mese intero.

Ogni giorno arava il terreno e falciava l’erba in una piccola fattoria gestita dall’Ufficio di pubblica sicurezza. La tempera-tura si faceva sempre più calda, e finalmente, in un pomeriggio soffocante, l’amministrazione della contea lo mandò a chiama-re. Un incaricato gli chiese di fare i bagagli e lo condusse presso gli uffici del governo locale.

Sull’ingresso, il vicedirettore del Comitato di contea per la Campagna di rettificazione uscì per venirgli incontro e salutar-lo, e gli lesse il seguente comunicato:

«Qi Yaoquan è stato condannato come destrista. Riformerà il proprio pensiero presso il campo di rieducazione attraverso il lavoro di Jiabiangou. Una volta completata la sua rieducazione, gli verrà concesso di riottenere un incarico presso il governo della contea.»

Quindi l’incaricato lo condusse direttamente al capolinea degli autobus extraurbani della contea, dove gli fu ordinato di salire su un grosso camion. Una volta a bordo del mezzo, Qi

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vi trovò Wei Derong, l’ex direttore dell’Ufficio imposte del-la contea, e con sua grande sorpresa anche Zhao Zhengfang, il vicedirettore dell’Ufficio di pubblica sicurezza che lo aveva condannato.

Qi rimase in silenzio per tutto il viaggio. Un paio d’ore più tardi, il camion entrò rombando nella contea di Jiuquan; l’au-tista si fermò presso un paesino lungo la strada, quindi vi si addentrò a piedi per noleggiare un carro trainato da buoi da alcuni contadini del posto. Mentre i tre passeggeri aspettavano sotto un pioppo, Qi ne approfittò per chiedere a Zhao perché si trovasse lì.

«È una lunga storia» rispose Zhao con aria alquanto depressa. Qi era sempre più curioso: «Ricordi quando mi hai fatto

arrestare all’assemblea pubblica di condanna? Sembravi così arrogante e autoritario… Un giorno hai ordinato ai tuoi uomini di incatenarmi i piedi, e quello dopo mi hai fatto ammanettare le braccia dietro la schiena. Com’è possibile che tu sia sullo stesso camion con me?»

Zhao sembrava a disagio, e rispose a fatica: «Buon vecchio Qi, ti prego, non biasimare me per il tuo arresto. Il tuo caso è stato gestito esclusivamente dal segretario Qin. È stato lui in persona a ordinare che venissi incatenato, e io ho solo preso la decisione di metterti le manette. È andata così: un paio di giorni dopo il tuo arresto, il segretario Qin mi cercò a casa, chiedendomi testualmente “se ti avessimo trattato come si deve”. Gli risposi che non era ancora stato fatto, e lui mi or-dinò di commissionare un secondo paio di catene a un fabbro del posto e di fartele applicare. Io ero titubante, e gli spiegai che usare due paia di catene su un detenuto era una violazione della legge, che non era mai stato fatto prima, ma il segretario Qin mi interruppe: “Fa’ come ti dico. Che genere di legge sta-remmo infrangendo?”.

«Non avevo altra scelta che obbedire ai suoi ordini, così l’in-domani convocai una riunione con tutti i miei colleghi della polizia per decidere come assecondare il volere del segretario Qin. Alla fine, eravamo tutti contrari all’idea di legarti i piedi con delle altre catene, e trovammo la soluzione alternativa di sostituirle con un paio di manette. Perciò ti prego, non biasi-

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marmi. Non sono io il responsabile del tuo arresto, è stata tutta opera del segretario Qin.

«Perfino l’annuncio che lessi all’auditorium quel giorno era stato redatto dal suo assistente. Lo sai perché sei finito al centro di detenzione, dopo che il tribunale ti aveva rilasciato dalla Fat-toria di Yinma? Il segretario Qin ha impartito in segreto l’ordine di tenerti recluso. Mi ha detto: “Se non possiamo farlo persegui-re dalla corte, per lo meno richiediamo la pena amministrativa più severa possibile”. Quindi ha imposto al Comitato di contea per la Campagna di rettificazione di stilare un rapporto dopo l’altro sulle tue attività contrarie al Partito. Alla fine, il governo provinciale ha accettato di mandarti in un campo di rieducazio-ne, ma non ha potuto toglierti l’impiego.»

Qi non parlava. Fissò a lungo il terriccio sotto i suoi piedi, quindi chiese a Zhao quali crimini avesse commesso lui.

L’altro sospirò: «Mi hanno accusato di avere organizza-to una fazione regionale anticomunista… È una lunga storia. Come sai, il segretario Qin è un donnaiolo. Negli ultimi anni, abbiamo ricevuto più di venti denunce contro di lui da parte di contadini che lamentano stupri a danno delle mogli o delle figlie. Per me si trattava di una questione spinosa, così l’ho in-vitato nel mio ufficio e gli ho detto, in modo un po’ sibillino: “Segretario Qin, ci sono giunte dai villaggi della zona diverse lagnanze, relative a comportamenti disdicevoli tenuti da alcu-ni funzionari, che hanno macchiato la reputazione del nostro Partito. Alla prossima riunione, è importante che inviti i nostri colleghi ad astenersi dal commettere qualunque indelicatezza di tipo sessuale”.

«Mi ha chiesto a che cosa alludessi, ed io di nuovo non gli ho risposto direttamente; volevo soltanto accennarglielo in manie-ra sottile, perciò mi sono limitato a replicare: “Non importa chi sia il colpevole, quel che conta è chiedere a tutti di comportarsi con discrezione in avvenire”. Allora lui ha perso la pazienza e ha detto: “Non ho fatto nient’altro che svagarmi con un paio di donne, ma quelli come te non sono contenti se non possono seccarmi e darmi contro”.

«Da allora, ha iniziato a considerarmi un fastidio. Natural-mente, quella non è stata l’unica faccenda che mi ha procurato

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dei guai con lui. Ha preso a perseguitarmi anche per un’altra ragione: mi ha accusato di essere troppo vicino a Zhang, il go-vernatore della contea; era convinto che avessimo stretto un’al-leanza occulta per contrastarlo.

«Come sai, non sempre Zhang concordava pienamente con Qin. L’inverno scorso, l’amministrazione di Jiuquan ci ha ri-chiesto delle previsioni relative alla produzione di grano della contea; in seguito, durante una riunione, il segretario Qin ha insistito per fissarle a trecento chili per mu.6 Zhang si è mostra-to subito contrario a tale proiezione, ribattendo che i contadini della zona avevano lamentato una netta sovrastima da parte nostra negli ultimi due anni, e che di conseguenza il governo provinciale aveva fissato una quota di raccolta troppo elevata; per riuscire a rispettarla, ai contadini era rimasto a malapena di che sfamare le loro famiglie. “Suggerirei dunque di fissare un massimo di centottanta chili per mu” ha proposto Zhang, quin-di ha chiesto il parere degli altri membri del comitato: “Dal momento che non sono cresciuto qui, la mia stima può essere inesatta; pertanto voglio sapere con precisione qual è il vostro pensiero, visto che siete per la maggior parte nativi di Jinta”.

«Nessuno dei funzionari presenti alla riunione rispondeva, anche se tutti noi sapevamo bene che la cifra di trecento chili era completamente insensata: in passato, la produzione media di grano era all’incirca di cento chili per mu. Il segretario Qin aveva deliberatamente gonfiato la stima per migliorare la sua reputazione all’interno della provincia.

«Constatando che rimanevamo tutti in silenzio, Qin si è ri-volto a me, e io mi sono sentito in obbligo di esprimere il mio onesto parere. Ho detto a tutti che il dato di Zhang era più re-alistico, al che Qin mi ha guardato storto e ha chiesto il parere degli altri membri. A quel punto hanno concordato tutti con me, e lui ha lasciato la stanza infuriato.

«Poco tempo dopo quella riunione, Qin ha complottato contro il capo contea Zhang, accusandolo di destrismo. Io ho mantenuto la mia posizione per altri due mesi, prima che Qin riuscisse a liberarsi di me. Anche Wu Peizhou, direttore del

6 667 metri quadrati circa.

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Dipartimento della propaganda, è stato sollevato dall’incarico. Siamo stati tutti accusati di formare una cricca regionale con-traria al Partito.»

Qi era scioccato. «E cos’è successo al capo contea?» «Due settimane fa è stato mandato a Jiabiangou per essere

rieducato» rispose Zhao. Qi scosse la testa: Zhang era un veterano comunista della

prefettura di Qingyang, un uomo misurato e di buon cuore. Ogni volta che andava in visita presso un villaggio, chiedeva sempre di essere alloggiato nelle stalle della comune, in modo da avere la possibilità di chiacchierare con i contadini. Orgo-glioso delle sue umili origini, a differenza del segretario Qin era fedele alla moglie contadina, che aveva i piedi fasciati.7 Qi lo teneva in grande stima.

«E dov’è il segretario di Partito Lu?» volle sapere. «Ha perso il posto a gennaio. Durante il congresso provin-

ciale del Partito, i capi anziani provenienti dalla provincia set-tentrionale dello Shaanxi hanno accusato quattro funzionari della prefettura di Qingyang di aver formato una fazione con-trorivoluzionaria all’interno del governo provinciale. Hanno perso l’incarico tutti e quattro, e dal momento che Lu, origina-rio della regione, era in rapporti di amicizia con loro, è rimasto coinvolto nel caso. In una delle riunioni plenarie, il segretario Qin ha tenuto un discorso in cui lo accusava apertamente di sostenere in segreto un gran numero di destristi della contea di Jinta, che a suo dire lo consideravano il loro mentore. Qin ha fatto specificamente il tuo nome, dichiarando che era stato Lu a incentivarti nel lanciare attacchi maligni contro il Partito.»

Qi avrebbe voluto fare altre domande, ma proprio in quel momento l’autista tornò dal villaggio; lo seguiva un contadino del posto alla guida di un grosso carro, con ruote alte quanto Qi. L’autista indicò il carro e ordinò: «Avanti, su. Caricate i vostri bagagli.»

I destristi si sistemarono a bordo; dopo aver ballonzolato su

7 La pratica di fasciare i piedi, chiamata Loto d’oro, era inizialmente diffusa solo tra le donne facoltose, ma in un secondo tempo prese piede anche tra le classi più povere. [N.d.T.]

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e giù per una strada accidentata per circa due chilometri, supe-rarono un fiume, e infine videro in lontananza una fila di basse dune di sabbia. Avvicinandosi, scorsero un grande cartello di legno, e sul cartello una scritta a grandi caratteri neri, che dice-va: “Fattoria di Stato di Jiabiangou”.

Qi sentì il cuore che iniziava a battergli violentemente in pet-to: che cosa sarebbe stato di lui?

Qi Yaoquan sopravvisse alla Fattoria di Stato di Jiabiangou, nota nel paese come “Campo di rieducazione attraverso il lavoro di Jiabiangou”, e in seguito sopportò anni di privazioni presso svariati laogai e fattorie della provincia del Gansu. Nel 1978, il Comitato del Partito comunista della contea di Jinta riabilitò il suo nome e lo prosciolse da ogni accusa.