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LA DISCIPLINA DEI RAPPORTI DI LAVORO NEL TRASFERIMENTO D’AZIENDA Elisabetta Cristallini Servizio Risorse Umane Relazioni Industriali

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LA DISCIPLINA DEI RAPPORTI DI LAVORO NEL TRASFERIMENTO D’AZIENDA

Elisabetta Cristallini Servizio Risorse Umane

Relazioni Industriali

Prefazione

Le operazioni di natura societaria rilevanti dal punto di vista giuslavoristico sono quelle che attuano un mutamento nella titolarità dell’impresa e dei rapporti di lavoro, così come avviene nel trasferimento d’azienda. Oggetto del presente studio sarà l’esame e l’approfondimento di tale istituto, tenendo conto dei numerosi interventi normativi che si sono succeduti nel tempo e che hanno modificato, anche in modo sostanziale, la sua disciplina. Mi riferisco, in particolare, al D.Lgs. n. 18/2001, in attuazione della Direttiva Comunitaria 98/50/CE del 29 giugno 1998, che ha introdotto rilevanti novità, riscrivendo interamente l'art. 2112 c.c. e modificando l'art. 47 della Legge n. 428/1990. Ulteriori correzioni all'art. 2112 c.c. sono state poi apportate dall'art. 32 del D.Lgs. n. 276/2003 che ha ridefinito la nozione di trasferimento d'azienda e di ramo d'azienda, così come l’art. 47 della Legge n. 428/1990, di nuovo modificato dall’art. 19 quater del D.L. n. 135/2009 e, ancora, dall’art. 46 bis, comma 2 del D.L. n. 83/2012 per ciò che concerne il trasferimento delle aziende in crisi. Questo lavoro è articolato in due parti: nella prima parte, dopo aver brevemente illustrato la nozione di trasferimento d’azienda/ramo d’azienda, verrà presa in esame la procedura di informazione e consultazione sindacale che deve essere seguita quando l’impresa, oggetto del trasferimento, occupa più di 15 dipendenti, nonché gli effetti e i riflessi dell’istituto in questione sul piano dei rapporti di lavoro. La seconda parte è, invece, dedicata alla speciale ipotesi di trasferimento delle aziende in crisi o sottoposte a procedure concorsuali, per le quali è prevista l’applicazione, nei confronti del personale dipendente, di una speciale disciplina che, attraverso appositi accordi stipulati in sede sindacale, consente di derogare, in tutto o in parte, alle disposizioni di legge.

Elisabetta Cristallini

Indice PARTE PRIMA

1.1. Nozione di trasferimento d’azienda ….………………………………………………………………… 7

1.2. Ipotesi di trasferimento d’azienda ……………………………………………………………………… 10

1.3. La procedura di informazione e consultazione sindacale ……………………………………. 11

1.3.1. Determinazione dell’organico aziendale …………………………………………………… 12

1.3.2. Obbligo di informazione alle RSU e alle Organizzazioni Sindacali …………….. 14

1.3.3. Esame congiunto …………………………………………………………………………….......... 17

1.4. Gli effetti del trasferimento d’azienda sui rapporti di lavoro …………………………….. 18

1.5. Trasferimento d’azienda e Fondo di Tesoreria INPS ………………………………………….. 30

1.6. Trasferimento d’azienda e accesso ai benefici contributivi della mobilità …………. 31

PARTE SECONDA

2.1. Il trasferimento delle aziende in crisi …………………………………………………………………. 34

2.2. Evoluzione normativa …………………………………………………………………………………………. 35

2.3. Accordo sindacale ………………………………………………………………………………………………. 37

2.4. Articolo 47, comma 4 bis, Legge n. 428/1990 ………………………………………………........ 38

2.4.1. Contenuto della deroga all’art. 2112 c.c. …………………………………………………… 40

2.5. Articolo 47, comma 5, Legge n. 428/1990 …………………………………………………………. 42

2.5.1. Contenuto della deroga all’art. 2112 c.c. ………………………………………………….. 42

2.6. Art. 104-bis Legge Fallimentare e Affitto d’Azienda ……………………………………………. 43

2.7. Art. 105 Legge Fallimentare e Cessione d’Azienda …………………………………………….. 46

2.8. Fondo di Garanzia INPS, TFR e Trasferimento d’Azienda ……………………………………. 47

2.9. Jobs Act: D.Lgs. n. 148/2015 - CIGS e Cessione d’azienda …………………………………… 50

7

PARTE PRIMA

1.1. Nozione di trasferimento d’azienda

La definizione giuslavoristica di trasferimento d’azienda è contenuta nel

comma 5 dell’art. 2112 c.c., come modificato dall’art. 32 del D.Lgs. 10

settembre 2003, n. 276 (Legge Biagi), il quale afferma che per

trasferimento d'azienda si intende “qualsiasi operazione che, in seguito a

cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di

un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro,

preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria

identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla

base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto

di azienda”.

Elementi costitutivi ed essenziali del trasferimento d’azienda sono

dunque:

trasferimento di un’attività economica organizzata in maniera

stabile (con o senza scopo di lucro), idonea alla produzione o allo

scambio di beni o di servizi;

preesistenza, rispetto al trasferimento, di tale attività;

perdurare, dopo il trasferimento, dell’identità dell’attività

economica organizzata, che deve quindi conservare il proprio

valore economico e produttivo;

8

mutamento nella titolarità dell’attività economica organizzata, a

prescindere dalla tipologia negoziale con cui tale mutamento

viene realizzato.

Le disposizioni dell’art. 2112 c.c. si applicano non solo quando oggetto del

trasferimento è l’intero complesso dei beni aziendali, ma anche quando il

trasferimento riguarda una parte dell’azienda (c.d. ramo d’azienda)

definita, sempre dal 5° comma dell’art. 2112 c.c., come “articolazione

funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata,

identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo

trasferimento”.

Ai fini della configurabilità di un legittimo trasferimento di un ramo

d’azienda sono, pertanto, necessari i seguenti requisiti:

cessione di un’entità dotata di una propria autonomia

organizzativa ed economica, caratterizzata da una stabile

organizzazione di mezzi e personale, destinata alla realizzazione

e allo svolgimento di un’attività economica;

identificazione dell’entità ceduta, da parte sia del cedente che

del cessionario, come articolazione dotata di autonomia

funzionale, cioè come parte di azienda separabile dal complesso

aziendale ed in grado di avere una “vita propria”;

identificazione di tale articolazione al momento del suo

trasferimento.

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Il momento identificativo del ramo d’azienda è senz’altro una delle

questioni più dibattute a livello giurisprudenziale.

Un orientamento (prevalente) ritiene che la nozione di ramo d’azienda

presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e

funzionalmente esistente. Per cui non costituisce, ad esempio, cessione di

ramo d’azienda la cessione di una struttura produttiva creata "ad hoc" in

occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti nel

negozio traslativo (Cass. 4 settembre 2014, n. 18675; Cass. 15 aprile

2014 n. 8756; Cass. 21 novembre 2012, n. 20422; Cass. 29 dicembre

2011 n. 29688; Cass. 8 aprile 2011 n. 8066).

Un altro orientamento (minoritario) ritiene, invece, che, a seguito delle

modifiche operate nel corpus dell’art. 2112 c.c. dall’art. 32 del D.Lgs. n.

276/2003, che ha eliminato dal dettato normativo qualsiasi riferimento al

requisito della preesistenza, l’autonomia non debba essere preesistente,

ma solo effettivamente sussistente al momento del trasferimento (Cass.

30 gennaio 2013, n. 2151; Trib. Milano, 17 aprile 2007; Trib. Milano, 7

marzo 2007, n. 1231; Trib. Padova, 5 febbraio 2007, n. 1079; Trib. Milano,

19 gennaio 2006; Trib. Torino, 17 dicembre 2005).

In caso di trasferimento di ramo d’azienda, la disciplina di cui all’art. 2112

c.c. si applica solo ai lavoratori addetti stabilmente al ramo trasferito

(Cassazione, 10 settembre 2010 n. 19364).

Tuttavia, nel caso in cui vi siano lavoratori che svolgano

contemporaneamente attività in favore di più rami della stessa azienda,

la giurisprudenza ritiene che la disciplina del codice civile vada applicata

10

non solo ai dipendenti che prestano la loro attività esclusivamente per la

produzione di beni e servizi del ramo trasferito, ma anche a quelli che

prestano un’attività lavorativa prevalente in favore di detto ramo (Cass. 6

dicembre 2005, n. 26668).

1.2. Ipotesi di trasferimento d’azienda

Il trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda può essere attuato

attraverso le più diverse fattispecie traslative, così come anche mediante

una pluralità di negozi di cessione.

Rientrano tra le ipotesi tipiche di trasferimento d’azienda:

la cessione;

la fusione (per incorporazione o con creazione di una nuova

società);

la scissione;

l’usufrutto;

l’affitto d’azienda;

la successione ereditaria che trovi fondamento in un testamento

e nelle norme sulle successioni legittime (Cass. 29 agosto 2005,

n. 17418);

in alcuni casi il franchising (Cass. 27 febbraio 1998, n. 2220).

Non costituisce, invece, trasferimento di azienda, l’ipotesi della cessione

del pacchetto (azionario o di quote) di maggioranza di controllo di una

società, in quanto tale operazione societaria, pur incidendo sugli assetti

azionari (o delle quote) interni ad una società sotto il profilo della loro

titolarità, non incidono sull’autonoma soggettività giuridica delle

11

società interessate ed i rapporti di lavoro continuano ad avere corso e ad

imputarsi alle singole aziende (Cass. 12 marzo 2013, n. 6131; Cass. 18

aprile 2007, n. 9251).

Parimenti, deve escludersi l’ipotesi di trasformazione di una società da

uno ad altro tipo (anche se si tratti di trasformazione di una società di

persone in società di capitali), poichè la modificazione dell’atto

costitutivo non determina il mutamento del soggetto imprenditore, ma

implica solamente una modifica della sua forma giuridica (Cass. 16 aprile

1986, n. 2697).

A maggior ragione non rientra nel campo di applicazione del

trasferimento di azienda la modifica della denominazione sociale, in

quanto, anche in questo caso, non avviene il mutamento del soggetto

titolare dell’impresa.

1.3. La procedura di informazione e consultazione sindacale

Se l’impresa interessata al trasferimento in qualità di cedente occupa

complessivamente più di 15 dipendenti, l’operazione societaria deve

essere effettuata nel rispetto di una preventiva procedura di

informazione e consultazione con le rappresentanze sindacali, i cui

passaggi sono dettagliatamente indicati nell’art. 47 della Legge 29

dicembre 1990, n. 428.

La procedura sindacale deve essere svolta anche nel caso in cui viene

trasferita una parte d’azienda (anche se i lavoratori trasferiti, nel

complesso di un’azienda con più di 15 dipendenti, sono in numero

12

inferiore a 15), così come nel caso in cui la decisione relativa al

trasferimento venga assunta da altra impresa controllante.

1.3.1. Determinazione dell’organico aziendale

Nella determinazione dell’organico aziendale, in presenza del quale sorge

l’obbligo di adottare la procedura sindacale, è opportuno approfondire

tre specifici aspetti.

1. E’ innanzitutto necessario verificare se il dato occupazionale

debba essere determinato con riferimento all’impresa cedente

nel suo complesso o alla singola unità produttiva.

Al riguardo, si ritiene che il dato occupazionale (più di 15

dipendenti) debba essere riferito all’impresa cedente nel suo

complesso e non alla singola unità produttiva: ciò è chiaramente

confermato dal tenore letterale del comma 1 dell’ art. 47 della

Legge n. 428/1990 che precisa che l’informazione sindacale deve

essere effettuata nelle imprese in cui sono “complessivamente

occupati” più di 15 dipendenti;

2. La seconda osservazione riguarda il momento in cui deve essere

verificato il dato occupazionale ai fini dell’applicazione o meno

della procedura sindacale.

In assenza di specifiche disposizioni normative, in mancanza di

significativi orientamenti giurisprudenziali e tenuto conto di

precisazioni normative analoghe, si ritiene opportuno e

13

prudente calcolare il dato occupazionale non al momento

preciso del trasferimento, ma piuttosto tenendo conto

dell’occupazione media dell’ultimo semestre che precede

l’inizio della procedura di trasferimento;

3. La terza ed ultima osservazione riguarda, infine, l’individuazione

dei lavoratori che devono essere computati nell’organico

aziendale.

Al riguardo, in attuazione dei principi generali, si ritiene che

debbano essere computati:

- gli operai, impiegati, quadri e dirigenti, anche con contratto

a termine;

- i lavoratori con contratto intermittente;

- i lavoratori con contratto ripartito;

- i lavoratori con rapporto di telelavoro;

- i lavoratori part-time in proporzione all’orario svolto.

Non vanno, invece, computati:

- i lavoratori a domicilio (salvo il caso in cui sia dimostrata la

sostanziale stabilità del rapporto con gli stessi);

- i lavoratori con contratto di inserimento e reinserimento;

- gli apprendisti;

- i lavoratori somministrati a termine o a tempo

indeterminato;

- i co.co.co. ed i co.co.pro.;

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- i soci lavoratori;

- gli associati in partecipazione;

- i lavoratori dell’impresa familiare;

- i tirocinanti e gli stagisti.

1.3.2. Obbligo di informazione alle RSU e alle Organizzazioni Sindacali

Prima di attuare un trasferimento d’azienda (o di ramo d’azienda), il

cedente ed il cessionario sono tenuti a darne comunicazione scritta,

almeno 25 giorni prima che sia perfezionato l’atto da cui deriva il

trasferimento o che sia raggiunta un’ intesa vincolante tra le parti, se

precedente, alle rispettive rappresentanze sindacali in azienda (RSU

ovvero RSA) costituite nelle unità produttive interessate, nonché ai

sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato

nelle imprese interessate al trasferimento.

In mancanza di RSU o RSA, resta, comunque, fermo l’obbligo di

comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente

più rappresentativi sul piano nazionale, obbligo che il cedente ed il

cessionario possono assolvere anche per il tramite dell’associazione

sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato.

In ordine al termine entro il quale devono essere adempiuti gli obblighi di

informativa sindacale da parte del cedente e del cessionario, il Ministero

del Lavoro, con nota prot. N. 5/26570/70 del 31 maggio 2001, in risposta

ad alcuni quesiti di Confindustria, ha precisato che:

15

per la prima fattispecie giuridica (“25 giorni prima che sia

perfezionato l’atto da cui derivi il trasferimento”), il dies a quo

(da cui a ritroso decorrono i 25 giorni) è da individuare nella data

in cui viene effettuata l’iscrizione del contratto traslativo nel

registro delle imprese, in quanto con tale iscrizione si dà

pubblicità ai terzi dell’avvenuto trasferimento d’azienda (ai sensi

e per gli effetti dell’art. 2556 e ss. c.c.);

per la seconda fattispecie giuridica (“intesa vincolante tra le

parti, se precedente”), il Ministero del Lavoro ritiene che il

termine "vincolante" sia stato voluto dal legislatore per

individuare l’atto conclusivo del processo circolatorio da cui, a

ritroso, decorrono i venticinque giorni per informare i soggetti

sindacali. Di conseguenza, secondo l’interpretazione

ministeriale, sono da ricondurre alla predetta formulazione

(“intesa vincolante”) “unicamente quegli atti "definitivi" o

"stabili" nel tempo per includere la manifestazione di volontà

ormai "immodificabile" o "irretrattabile" del cedente e del

cessionario e come tali idonei a produrre effetti reali traslativi. In

ultima analisi, nell’ambito della suddetta intesa, preliminare e

prodromica all’iscrizione nel registro delle imprese, rientra il solo

negozio giuridico con cui l’azienda - mediante atto pubblico -

viene alienata o concessa in affitto o in usufrutto.

Conseguentemente, si può ritenere che né l'eventuale “contratto

preliminare” di cessione d’azienda, né gli atti interni della società

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cedente o di quella cessionaria (come le delibere assembleari)

rientrino nelle fattispecie individuate dal legislatore, giacchè il

“contratto preliminare” potrebbe pur sempre essere sostituito da

un contratto successivo e le delibere delle assemblee potrebbero

essere successivamente modificate o impugnate, ad esempio, dai

soci di minoranza”.

Le informazioni che cedente e cessionario debbono fornire sono

quelle finalizzate alla tutela dei lavoratori e, quindi, strettamente

inerenti alla materia del lavoro.

Pertanto, la comunicazione deve contenere indicazioni circa:

la data prevista o la data proposta, del trasferimento. Al

riguardo, il Ministero del Lavoro, sempre con nota prot. N.

5/26570/70 del 31 maggio 2001, ha chiarito che “in ragione delle

complesse procedure societarie insite nella traslazione di

un’azienda non è da escludere la possibilità di modificazione

della data proposta del trasferimento se alla vincolatività

dell’intesa conseguita (tra il cedente ed il cessionario) non

seguano tempestivi effetti di pubblicità ai terzi e, pertanto, di

efficacia del trasferimento”;

i motivi del programmato trasferimento;

le conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori

(ad es. l’eventuale modificazione del settore merceologico di

attività o la sostituzione del CCNL applicato dal cedente con

quello applicato dal cesssionario, etc.);

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le eventuali misure previste nei confronti dei lavoratori (ad es.

licenziamenti individuali o collettivi, richieste di interventi di

cassa integrazione, etc.).

1.3.3. Esame congiunto

Su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali o dei sindacati di

categoria, da effettuarsi entro 7 giorni dal ricevimento della

comunicazione di trasferimento, il cedente ed il cessionario, nei

successivi 7 giorni dal ricevimento della predetta richiesta, sono

tenuti ad avviare un esame congiunto al quale devono partecipare

l’azienda cedente, l’azienda cessionaria (eventualmente assistite dalle

associazioni imprenditoriali cui aderiscono o conferiscono mandato) e,

naturalmente, i soggetti sindacali interessati.

Il comma 3 dell’art. 47 della Legge n. 428/90 stabilisce che il mancato

rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi di

informazione e consultazione, costituisce condotta antisindacale

sanzionabile ai sensi dell'art. 28 della Legge n. 300/70 (Statuto dei

Lavoratori), ma per la dottrina e la giurisprudenza prevalente, non

influisce sulla validità ed efficacia del trasferimento d’azienda in

quanto il rispetto della procedura non costituisce presupposto di

legittimità del negozio di trasferimento (Cass. 22 agosto 2005, n.

17072; Cass. 6 giugno 2003, n. 9130; Cass. 4 gennaio 2000, n. 23).

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La consultazione si intende esaurita anche qualora, decorsi dieci giorni

dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo.

L'incontro, difatti, ha carattere esclusivamente informativo e non implica

l'obbligo di raggiungere un'intesa.

In tal caso, le parti contraenti potranno dare corso al trasferimento

senza incorrere nella violazione dell’art. 28 della Legge n. 300/70

sopracitato.

1.4. Gli effetti del trasferimento d’azienda sui rapporti di lavoro

Ai sensi dell’art. 2112, 1° comma, cod.civ., “In caso di trasferimento

d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il

lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano”.

L’effetto principale del trasferimento d’azienda, per quanto attiene ai

rapporti di lavoro, è quello di garantire al lavoratore ceduto la continuità

del proprio rapporto di lavoro, mantenendo tutti i diritti e le condizioni

economiche già acquisite presso il cedente al momento della cessione

dell'azienda: riconoscimento del livello retributivo raggiunto, diritto al

mantenimento dell’anzianità di servizio maturata, diritti connessi alla

qualifica e alle mansioni svolte, etc.

In altri termini, nell’ipotesi disciplinata dall’art. 2112, 1° comma c.c., muta

il titolare dell’azienda senza però che la modificazione soggettiva del

datore di lavoro incida sulla tutela della stabilità del rapporto di lavoro e

comporti alterazioni al rapporto di lavoro stesso.

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Ciò sta a significare che il lavoratore conserva le prestazioni soggettive

che trovano fondamento nell’originario contratto di lavoro, i diritti

soggettivi acquisiti facenti parte del proprio patrimonio e il complessivo

regolamento negoziale del rapporto di lavoro, senza che i motivi che

hanno spinto l’impresa al trasferimento influiscano negativamente su di

esso.

Per dottrina e giurisprudenza prevalente, nel trasferimento d’azienda, in

deroga all’art. 1406 c.c. in virtù del quale la cessione del contratto

richiede il consenso del contraente ceduto, è irrilevante il consenso da

parte del lavoratore trasferito in quanto trattasi di una successione legale

di contratto, quale che sia lo strumento tecnico-giuridico attraverso il

quale viene realizzato il trasferimento (Cass. 30 luglio 2004, n. 14670;

Cass. 25 ottobre 2002, n. 15015).

Ai sensi dell’art. 2112, 2° comma, cod. civ., “Il cedente ed il cessionario

restano obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al

tempo del trasferimento. Con le procedure previste dagli articoli 410 e

411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la

liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di

lavoro”.

Rispetto ai crediti che il lavoratore aveva già maturato al momento del

trasferimento, in ragione del rapporto di lavoro con l’impresa cedente,

sussiste tra cedente e cessionario una responsabilità solidale.

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Ciò significa che al primo debitore (il cedente) si aggiunge un secondo

debitore (il cessionario) ed il lavoratore può agire indifferentemente, per i

suddetti crediti, tanto nei confronti dell’uno che dell’altro.

La solidarietà di cui al comma 2 dell’art. 2112, c.c. è, tuttavia, limitata ai

crediti del lavoratore il cui rapporto non sia cessato prima del

trasferimento.

Non rientrano, invece, nell’ambito del suddetto regime i crediti dei

lavoratori che, al momento del trasferimento d’azienda, erano già cessati

e, dunque, non più in forza.

In tal senso, significativa è la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione

Lavoro, n. 7517 del 29 marzo 2010 che afferma: “La disciplina posta dal

secondo comma dell'art. 2112, cod. civ., che prevede la solidarietà tra

cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del

trasferimento d'azienda, a prescindere dalla conoscenza o conoscibilità

degli stessi da parte del cessionario, presuppone - al pari di quella prevista

dal primo e terzo comma della medesima disposizione quanto alla

garanzia della continuazione del rapporto e dei trattamenti economici e

normativi applicabili - la vigenza del rapporto di lavoro al momento del

trasferimento d'azienda, con la conseguenza che non è applicabile ai

crediti relativi ai rapporti di lavoro esauritisi o non ancora costituitisi a

tale momento, salva in ogni caso l'applicabilità dell'art. 2560, cod. civ. che

contempla, in generale, la responsabilità dell'acquirente per i debiti

dell'azienda ceduta, ove risultino dai libri contabili obbligatori”.

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Pertanto, per la tutela dei crediti dei lavoratori maturati prima della

cessione dell’azienda e riguardanti rapporti risoltisi anteriormente alla

cessione stessa, è necessario far riferimento alla disposizione dell’art.

2560 c.c., secondo la quale il cessionario risponde solidalmente per i

debiti dell’azienda ceduta, solo se questi risultano da libri contabili

obbligatori.

In tale contesto, è d’obbligo precisare che il regime legale della

responsabilità solidale tra cedente e cessionario non è una norma

inderogabile, in quanto lo stesso comma 2 dell’art. 2112 c.c. ne prevede

la derogabilità attraverso le procedure di conciliazione di cui agli articoli

410 e 411 c.p.c., con le quali il lavoratore interessato può consentire la

liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.

A differenza dei diritti di credito del lavoratore di natura retributiva per i

quali si applica il regime della responsabilità solidale appena descritto, i

crediti contributivi nei confronti degli istituti previdenziali ed il

Trattamento di Fine Rapporto, in base ad un consolidato orientamento

giurisprudenziale, sono, invece, soggetti ad altra disciplina e

precisamente:

Contributi obbligatori previdenziali omessi. La giurisprudenza di

legittimità esclude dal regime di solidarietà previsto dall’art.

2112, comma 2, c.c. i crediti contributivi collegati ai crediti

retributivi del lavoratore ceduto.

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La ragione di tale interpretazione, tendenzialmente restrittiva,

sta nel fatto che il creditore del debito contributivo non è il

lavoratore, bensì l’ente previdenziale, il quale, dunque, si pone,

rispetto al trasferimento d’azienda, come terzo creditore, in

posizione diversa da quella tutelata dall’art. 2112 c.c., la cui

funzione è quella di garanzia dei crediti dei lavoratori ceduti e

non di quelli di altri soggetti.

Al riguardo, nella sentenza della Corte di Cassazione, Sezione

Lavoro, n. 8179 del 16 giugno 2001, si legge: “in caso di

trasferimento di azienda, i debiti contratti dall'alienante nei

confronti degli istituti previdenziali per l'omesso versamento dei

contributi obbligatori, esistenti al momento del trasferimento,

costituiscono debiti inerenti all'esercizio dell'azienda e restano

soggetti alla disciplina dettata dall'art. 2560 cod. civ., senza che

possa operare l'automatica estensione di responsabilità

all'acquirente ex art. 2112, 2° comma c.c., sia perché la

solidarietà è limitata ai soli crediti di lavoro del dipendente e non

è estesa ai crediti di terzi, quali devono ritenersi gli enti

previdenziali, sia perché il lavoratore non ha diritti di credito

verso il datore di lavoro per l'omesso versamento dei contributi

obbligatori (oltre al diritto al risarcimento dei danni nell'ipotesi

prevista dall'art. 2116, secondo comma, cod. civ.), restando

estraneo al c.d. rapporto contributivo, che intercorre fra l'ente

previdenziale e il datore di lavoro”.

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Discorso a parte per quanto riguarda i debiti riferiti ai premi

assicurativi nei confronti dell’INAIL. In questo caso esiste una

norma specifica, l’articolo 15 del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124,

la quale stabilisce che in caso di trasferimento di un’azienda

da un datore di lavoro all’altro, quest’ultimo è solidalmente

obbligato con il primo, salvo l’eventuale diritto di regresso del

nuovo datore di lavoro verso il precedente, per i premi Inail e i

relativi costi accessori relativi all’anno in corso e ai due

precedenti.

Trattamento di Fine Rapporto. Gli orientamenti giurisprudenziali

sono essenzialmente due, di cui il secondo divenuto oramai

prevalente:

1. Il primo afferma che il cessionario è da considerarsi unico

debitore del trattamento di fine rapporto, anche per il

periodo passato alle dipendenze del precedente datore di

lavoro, atteso che solo al momento della risoluzione del

rapporto matura il diritto del lavoratore al suddetto

trattamento, del quale la cessazione del rapporto è fatto

costitutivo del diritto stesso. Una cosa è, infatti, il diritto del

lavoratore ad ottenere le necessarie informazioni sulle

quote (e sulle componenti) del trattamento accantonate,

altra cosa è il diritto del medesimo lavoratore a conseguire

la liquidazione dell’emolumento (o parte dello stesso, nei

casi previsti dal comma 6° e ss. dell’art. 2120 c.c.), dal

24

momento che l’accantonamento delle quote

opportunamente rivalutate, è uno strumento solo contabile

che non vale a mettere a disposizione del dipendente la

somma relativa (Cass. 9 agosto 2004, n. 15371; Cass. 13

dicembre 2000, n. 15687; Cass. 14 dicembre 1998, n. 12548;

Cass. 27 agosto 1991, n. 9189);

2. Il secondo, sostenendo la natura di retribuzione differita del

TFR, il quale sorge con la costituzione del rapporto di lavoro,

matura in ragione dello svolgimento della prestazione

lavorativa (attraverso il meccanismo dell’accantonamento e

della rivalutazione) e diventa esigibile solo al momento della

risoluzione del rapporto di lavoro stesso, afferma che il

datore di lavoro cedente è obbligato, al momento della

risoluzione del rapporto di lavoro, successivo al

trasferimento stesso, al pagamento delle quote di t.f.r.

maturate fino alla data del trasferimento d’azienda.

Per tale credito del lavoratore sussiste, inoltre, il vincolo di

solidarietà tra cedente e cessionario previsto dall’art. 2112,

2° comma, c.c..

Quanto alla quota di t.f.r. maturata nel periodo del rapporto

successivo al trasferimento d’azienda, unico obbligato è,

invece, il datore di lavoro cessionario (App. Milano n.

618/2014; Cass. 11 settembre 2013, n. 20837; Cass. 14

maggio 2013, n. 11479; Cass. 22 settembre 2011, n. 19291).

25

Ai sensi dell’art. 2112, 3° comma, cod. civ., “Il cessionario è tenuto ad

applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti

collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del

trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri

contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario. L’effetto di

sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del

medesimo livello”.

Tale previsione, finalizzata a tutelare i lavoratori trasferiti garantendo

loro la conservazione del trattamento economico-normativo che regolava

il rapporto di lavoro presso l’azienda ceduta, impone al cessionario il

rispetto dei contratti collettivi (nazionali, territoriali ed aziendali)

applicati dal cedente e vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro

scadenza.

Naturalmente ciò avverrà nel caso in cui l’azienda cessionaria non

applichi alcun contratto collettivo.

Difatti, se il cessionario dispone ed applica, a sua volta, contratti collettivi

dello stesso livello, il suddetto obbligo viene meno.

Questo significa che il cessionario, fermo restando l’onere di conservare i

c.d. “diritti quesiti” del lavoratore trasferito, potrà sostituire,

immediatamente ed in toto, la contrattazione collettiva dell’impresa

cedente con quella applicata presso la propria impresa, anche se più

sfavorevole (Cass. 13 maggio 2011, n. 10614; Cass. 12 giugno 2007, n.

13726).

26

Il comma 3 dell’art. 2112 c.c. comporta, infatti, l’inserimento del

dipendente in una diversa realtà organizzativa e in un mutato contesto di

regole normative e retributive, con l’applicazione del trattamento in atto

presso il nuovo datore di lavoro (Cass. 13 settembre 2006, n. 19564).

Tuttavia è opportuno precisare che, nella prassi, la sostituzione della

disciplina collettiva del cedente con quella del cessionario è, di frequente,

oggetto di c.d. Accordi di armonizzazione da conseguire in sede di

procedura sindacale ex art. 47, Legge n. 428/1990.

Tali accordi hanno, difatti, la funzione di rendere “meno traumatico” il

passaggio dalle condizioni contrattuali applicate ai dipendenti ceduti a

quelle applicate ai dipendenti del cessionario, stabilendo, ad esempio,

particolari modalità oppure particolari tempistiche circa gli effetti della

sostituzione contrattuale.

Ai sensi dell’art. 2112, 4° comma, cod. civ., “Ferma restando la facoltà di

esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il

trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento.

Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica

nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le

proprie dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119, primo comma”.

Il trasferimento d’azienda, comportando un mutamento nella titolarità

dell’azienda e non nella struttura produttiva e organizzativa, non

costituisce, di per sé, legittimo motivo di licenziamento, né per il cedente,

né per il cessionario.

27

Pertanto, in caso di licenziamento (illegittimo) intimato dal cedente e

basato unicamente sul fatto del trasferimento, deve riconoscersi la nullità

del recesso per violazione della norma imperativa contenuta nell'art.

2112, 4° comma c.c..

Tale nullità comporta la prosecuzione, ope legis, del rapporto di lavoro

con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che aveva verso il

cedente (Cass. 28 febbraio 2012, n. 3041).

Se è vero, quindi, che il trasferimento d’azienda, di per sé, non può

costituire motivo legittimo di risoluzione del rapporto, non si esclude,

tuttavia, la possibilità, sia in capo al cedente che in capo al cessionario,

di attuare licenziamenti, in forma individuale o collettiva, qualora

sussista un giustificato motivo oggettivo e nel rispetto della disciplina e

delle procedure previste dalla normativa vigente in materia.

Significativa, al riguardo, è la sentenza della Corte di Cassazione 11

giugno 2008, n. 15495 nella quale si legge:” ……. Il potere di

licenziamento, che il datore conserva per l'art. 47 della L. 29 dicembre

1990, n. 428, ha fondamento non nel trasferimento d'azienda, bensì nella

generale (preesistente) normativa; e fondamento è anche il giustificato

motivo oggettivo.

A ragione del suo stesso fondamento, questa oggettività può tuttavia

avere giustificazione solo nello spazio della struttura aziendale,

autonomamente considerata; non nella connessione con il trasferimento

(come finalità di agevolare il trasferimento stesso)…….”.

28

La cessione di azienda può, ad esempio, concorrere a costituire

giustificato motivo di licenziamento del lavoratore da parte

dell’imprenditore cedente, qualora quest’ultimo possa dimostrare la

sussistenza della necessità di provvedere, al fine di attuare la cessione, ad

un ridimensionamento dell’aspetto organizzativo dell’azienda, afferente

al personale occupato, avendo il cessionario accettato l’operazione solo a

condizione di una preventiva e drastica riduzione dei dipendenti

dell’azienda medesima, non potendosi in tal caso sindacare la volontà del

cessionario di organizzare l’attività produttiva della propria impresa

secondo modelli ritenuti più opportuni (Cass. 9 settembre 1991, n. 9462).

Così come in caso di licenziamento del lavoratore da parte del

cedente ed immediata sua riassunzione da parte del cessionario, il datore

di lavoro deve dimostrare l’assenza di relazione tra licenziamento e

trasferimento, nonchè la mancanza di qualsiasi intento fraudolento,

oppure deve provare l’effettivo, esplicito ed anteriore consenso del

lavoratore alla risoluzione immediata, altrimenti il rapporto di lavoro si

considera come unico e continuo, nonostante la sostituzione di uno dei

contraenti e l'intervento di un recesso eventualmente anche formalizzato

(Cass. 16 maggio 1998, n. 4944).

Da ultimo, il comma 4 dell’art. 2112 c.c. stabilisce che il lavoratore

passato alle dipendenze del cessionario ha la facoltà di rassegnare le

proprie dimissioni per giusta causa (con gli effetti di cui al 1° comma

dell’art. 2119 c.c.) qualora, nei tre mesi successivi al trasferimento, le sue

condizioni di lavoro abbiano subito sostanziali modifiche.

29

Al riguardo, il Ministero del Lavoro, con nota prot. N. 5/26570/70 del 31

maggio 2001, condividendo l’orientamento di Confindustria, interpreta la

locuzione “sostanziale modifica” che legittima, in caso di trasferimento

d’azienda, le dimissioni del dipendente per giusta causa, la sola

circostanza che il trasferimento d'azienda abbia comportato un

complessivo peggioramento delle condizioni di lavoro del dipendente

stesso (come, del resto, previsto anche dalla Direttiva Comunitaria

98/50/CE).

L'art. 47, comma 6, della Legge n. 428/1990 prevede, infine, che i

lavoratori del cedente che non passano alle dipendenze dell’acquirente,

dell’affittuario o del subentrante hanno un diritto di precedenza nelle

assunzioni che quest’ultimo effettui entro un anno dalla data del

trasferimento, ovvero entro il maggior periodo stabilito dagli accordi

collettivi.

Nei confronti dei suddetti lavoratori, che vengono assunti dall’acquirente,

dall’affittuario o dal subentrante in un momento successivo al

trasferimento d’azienda, non trova applicazione la disciplina (garantistica)

di cui all’art. 2112 c.c., instaurandosi, a tutti gli effetti, un nuovo rapporto

di lavoro. A meno che non si sia, in tal modo, voluto eludere

l'applicazione dell’articolo in questione e, in questo caso, il rapporto è da

ritenersi proseguito senza soluzione di continuità presso l'acquirente o

subentrante.

30

1.5. Trasferimento d’azienda e Fondo di Tesoreria INPS

In caso di operazioni societarie che comportano, ai sensi dell’art. 2112

c.c., il passaggio dei dipendenti da un datore di lavoro all’altro, senza

interruzione del rapporto di lavoro, l’Inps, con circolare n. 70 del 3 aprile

2007 e con successivo messaggio n. 21062 del 23 settembre 2009, ha

fornito precise indicazioni per ciò che riguarda la gestione del TFR nel

Fondo di Tesoreria INPS.

In proposito, si ricorda che dal 1° gennaio 2007 confluiscono in detto

Fondo le quote di TFR dei lavoratori di imprese con almeno 50

addetti che hanno scelto di non aderire alla previdenza

complementare. L’Istituto, nel caso di specie, afferma che:

qualora, a seguito di operazione societaria (es. acquisizione di

ramo d'azienda, incorporazione, ecc.) o di cessione di

contratto, si realizzi il passaggio di personale da un datore

di lavoro non obbligato al versamento del TFR ad altro che è

soggetto all’obbligo, il nuovo datore di lavoro sarà tenuto al

versamento delle quote mensili di TFR anche per tale personale

a partire dal periodo di paga in corso alla data dell'acquisizione

del dipendente;

qualora, sempre a seguito di operazione societaria o cessione di

contratto, si realizzi il passaggio di personale da un datore di

lavoro tenuto al versamento del TFR ad altro non soggetto

31

all’obbligo, il nuovo datore di lavoro sarà tenuto ad effettuare il

versamento del contributo, anche in assenza del requisito

occupazionale previsto dalla norma (almeno 50 addetti), con

esclusivo riguardo al personale transitato.

In questa seconda ipotesi la rivalutazione delle quote di TFR dovrà essere

effettuata dal datore di lavoro subentrante e dovrà riguardare anche

quanto versato al Fondo di Tesoreria dall’azienda cedente.

La continuità nei versamenti al Fondo di Tesoreria fa sì che, alla

cessazione del rapporto, il datore di lavoro subentrante liquidi al

lavoratore, rivalutandolo, tutto il TFR e cioè:

- quello fisicamente trasferitogli dalla cedente;

- quello da quest'ultima versato al Fondo di Tesoreria;

- quello connesso ai versamenti dallo stesso effettuati al medesimo

Fondo.

All'atto della liquidazione, il datore di lavoro subentrante dovrà

provvedere a recuperare dalla Tesoreria le quote globalmente versate

per i lavoratori cessati, in sede di conguaglio con i contributi dovuti.

1.6. Trasferimento d’azienda e accesso ai benefici contributivi della mobilità

La questione dei benefici della mobilità nell’ambito di un’acquisizione di

azienda o di ramo d’azienda è stata, e lo è ancora, una delle

problematiche più dibattute, sia a livello giurisprudenziale che di prassi

32

amministrativa. In proposito, molteplici, nel corso degli anni, sono state

le sentenze della giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, così

come gli interventi dell’Inps e del Ministero del Lavoro.

L’argomento continua a sollevare diatribe giudiziarie e, con interpello n.

18 del 20 marzo 2009, il Ministero del Lavoro ha risposto ad un quesito

da parte del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti in merito alla

spettanza dei benefici contributivi ed economici previsti dalla Legge n.

223/1991, relativamente alle imprese cessionarie di aziende che abbiano

proceduto a riduzioni di personale.

In particolare, al Ministero è stato chiesto se la società cessionaria di

azienda che abbia collocato in mobilità il proprio personale, ai sensi degli

artt. 4 e 24 della Legge n. 223/1991, abbia titolo alle agevolazioni

contributive di cui all’art. 8, commi 2 e 4, della stessa legge, ove assuma

tale personale posto in mobilità, decorso il termine di sei mesi

dall’intimazione di licenziamento.

Il Ministero, preliminarmente, ricorda che i benefici previsti dal

sopracitato art. 8, spettano al datore di lavoro che riassuma lavoratori

posti in mobilità “senza esservi tenuto” e sottolinea come la

giurisprudenza prevalente si sia espressa affermando che le assunzioni

debbano essere dettate da effettive esigenze economiche e non a fini

elusivi esclusivamente per usufruire degli incentivi di legge mediante

fittizie interruzioni dei rapporti lavorativi (e successive riassunzioni).

In tal senso, il legislatore ha previsto un termine temporale di sei mesi

(durata del periodo in cui vige il diritto di precedenza nelle riassunzioni di

33

quegli stessi lavoratori posti in mobilità), considerato sufficientemente

ampio per contrastare possibili operazioni in frode alla legge che

potrebbero essere poste da azienda alienante ed azienda subentrante.

Anche la Suprema Corte ha precisato, più volte, che il riconoscimento di

eventuali agevolazioni contributive presuppone l’effettiva cessazione

dell’azienda originaria e la sussistenza, in caso di nuove assunzioni da

parte di altra impresa, di reali esigenze economiche.

Ne consegue che, ove l’azienda originaria, intesa nel suo complesso,

abbia continuato o riprenda ad operare, a prescindere se la titolarità

aziendale sia cambiata e a prescindere dal negozio giuridico utilizzato per

la cessione, “la prosecuzione del rapporto o la sua riattivazione presso la

nuova impresa costituiscono non la manifestazione di una libera opzione

del datore di lavoro, ma l’effetto di un preciso obbligo previsto dalla legge

(art. 2112 c.c., e succ. mod.), come tale non meritevole dei benefici della

decontribuzione (ex multis Cass. 9 marzo 2007 n. 5554; Cass. 20 gennaio

2005 n. 1113; Cass. 28 ottobre 2002 n. 15207)”.

Il Ministero del Lavoro conclude ribadendo che il diritto a godere delle

misure agevolative connesse alla riassunzione dei lavoratori collocati in

mobilità da parte della medesima azienda che ne aveva disposto il

licenziamento o, come nella fattispecie oggetto di interpello, da parte

della società cessionaria, può avvenire solo una volta trascorsi sei mesi

dal licenziamento (ossia una volta cessata l’operatività del limite

temporale previsto dall’art. 8, comma 4-bis della Legge n. 223/1991).

34

PARTE SECONDA

2.1. Il trasferimento delle aziende in crisi

Nell’ambito del trasferimento d’azienda, va rilevato come la disciplina

lavoristica nazionale, all’interno dell’art. 47 della Legge n. 428/1990, ha

introdotto una possibile deroga alle garanzie individuali dei lavoratori

di cui all’art. 2112 c.c., con lo specifico fine ribadito, come vedremo, ai

commi 4 bis e 5, di un mantenimento, almeno parziale, dei livelli

occupazionali in relazione a situazioni di crisi aziendali difficilmente

recuperabili.

Tali situazioni sono espressamente esplicitate dal Legislatore attraverso il

riferimento a fattispecie già “normate” e “certificate”, ossia fattispecie

per le quali, ad esempio, sia stato accertato lo stato di crisi aziendale o

per le quali intervenga una procedura concorsuale.

Al di fuori di tali specifiche ipotesi e condizioni, non vi sono altre

possibilità di non applicare o applicare parzialmente, in caso di

trasferimento d’azienda, l’art. 2112 c.c., a meno che non si ricorra a

definizioni e rinunce individuali con i lavoratori nelle forme di cui agli

accordi ex artt. 410 e 411 c.p.c.

35

2.2. Evoluzione normativa

Con sentenza C-561/2007 dell’11 giugno 2009, la Corte di Giustizia

Europea ha ritenuto in contrasto con la direttiva 2001/23/CE l’art. 47,

commi 5 e 6, della Legge n. 428/1990 che consentiva, in presenza di

trasferimenti riguardanti aziende o unità produttive in crisi ai sensi

dell’accertamento del CIPI, a norma dell’art. 2, comma 5, lettera c) della

Legge n. 675/1977, la deroga in toto delle tutele individuali previste

dall’art. 2112 c.c..

A seguito della sentenza di condanna sopra richiamata, il legislatore

italiano è intervenuto sul testo dell’art. 47 della Legge n. 428/1990 con il

D.L. n. 135/2009, convertito, con modificazioni, nella Legge n. 166/2009

recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per

l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee”.

In particolare, l’art. 19-quater ha disposto la soppressione, al comma 5,

del riferimento alle “aziende o unità produttive delle quali il CIPI abbia

accertato lo stato di crisi aziendale a norma dell’art. 2, quinto comma,

lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675”.

Pertanto, il nuovo testo dell’art. 47, comma 5, “depurato” dall’ipotesi di

crisi aziendale, così recita: ”Qualora il trasferimento riguardi imprese nei

confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione

di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione

del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di

36

sottoposizione all'amministrazione straordinaria, nel caso in cui la

continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso

della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un

accordo circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione, ai

lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l'acquirente non trova

applicazione l'articolo 2112 del codice civile, salvo che dall'accordo

risultino condizioni di miglior favore. Il predetto accordo può altresì

prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e

che quest'ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze

dell'alienante”.

Sempre l’art. 19-quater ha poi introdotto il comma 4-bis che stabilisce:

“Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento,

anche parziale, dell’occupazione, l’art. 2112 del codice civile trova

applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo

medesimo qualora il trasferimento riguardi aziende:

a) delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale a norma

dell’art. 2, quinto comma, lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675;

b) per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, ai sensi

del decreto legislativo 8 luglio, n. 270, in caso di continuazione o di

mancata cessazione dell’attività”.

Ulteriori modifiche all’art. 47 sono state, infine, apportate dall’art. 46-bis,

comma 2, del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 convertito, con modifiche, nella

Legge 7 agosto 2012, n. 134 recante “Misure urgenti per la crescita del

37

Paese” che ha aggiunto al sopracitato comma 4-bis le lettere b-bis) e b-

ter), ossia:

“b-bis) per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura della procedura

di concordato preventivo;

b-ter) per le quali vi sia stata l’omologazione dell’accordo di

ristrutturazione dei debiti”.

2.3. Accordo sindacale

Quale che sia la disciplina derogatoria applicata, ossia l’art. 47, comma 4

bis o comma 5 della Legge n. 428/1990, presupposto indispensabile per

poter ricorrere all’una o all’altra fattispecie normativa è rappresentato

dalla conclusione di un accordo collettivo tra cedente, cessionario e

organizzazioni sindacali. Il venir meno di tale requisito comporterà,

necessariamente, l’applicazione della disciplina generale ex art. 2112 c.c..

Per maggior completezza si riporta, di seguito, uno stralcio della sentenza

della Corte di Cassazione 4 novembre 2014, n. 23473 dal quale si evince

chiaramente che, per poter operare la deroga delle tutele individuali, è

necessario rispettare la procedura di consultazione sindacale: “…… la

derogabilità, laddove prevista, anche peggiorativa del trattamento dei

lavoratori, si giustifica con lo scopo di conservare i livelli occupazionali,

quando venga trasferita l'azienda di un'impresa insolvente e si legittima

con la garanzia della conclusione di un accordo collettivo idoneo a

costituire norma derogatoria della fattispecie (Cass. 22 settembre 2011,

n. 19282; Cass. 5 marzo 2008, n. 5929). Appare evidente come la priorità

38

di tutela dal piano del singolo lavoratore (cui risponde l'esclusiva

applicazione dell'art. 2112, cod. civ.) si sia spostata al piano dell'interesse

collettivo al perseguimento dell'agevolazione della circolazione

dell'azienda quale strumento di salvaguardia della massima

occupazione, in una condizione di obiettiva crisi imprenditoriale, anche al

prezzo del sacrificio di alcuni diritti garantiti dall'art. 2112, cod. civ., pur

sempre in un ambito tutelato di consultazione sindacale”.

2.4. Articolo 47, comma 4 bis, Legge n. 428/1990

Il primo percorso derogatorio in caso di trasferimento di aziende in crisi è

contenuto nell’art. 47, comma 4 bis della Legge n. 428/1990, il quale

prevede che, attraverso un accordo circa il mantenimento, anche

parziale, dell’occupazione, possano essere operate limitazioni alle

previsioni di cui all’art. 2112 c.c. rispetto alle tutele individuali dei

lavoratori.

In particolare, la norma in questione consente di azionare il meccanismo

della deroga parziale nei confronti di:

aziende dichiarate in stato di crisi aziendale, ai sensi dell’art. 2,

comma 5, lettera c) della Legge n. 675/1977;

aziende poste in amministrazione straordinaria in caso di

continuazione o di mancata cessazione dell’attività;

aziende per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura della

procedura di concordato preventivo;

aziende per le quali vi sia stata l’omologazione dell’accordo di

ristrutturazione dei debiti.

39

Tralasciando le prime due ipotesi, è interessante evidenziare che la

legittima applicazione della disciplina derogatoria in caso di trasferimento

d’azienda richiede, rispetto al concordato preventivo, che l’accordo

sindacale si realizzi anche prima dell’omologa, ma comunque dopo

l’avvenuta dichiarazione di apertura della procedura, mentre nel caso

dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, l’opzione derogatoria può

essere attivata solo dopo l’atto di omologazione da parte del Tribunale,

in quanto solo con il provvedimento di omologa viene soddisfatto il

requisito del controllo giudiziario.

Quanto al concordato preventivo è da sottolineare, altresì, che

l’applicazione dell’art. 47, comma 4 bis, interessa le imprese che

ricorrono alla suddetta procedura concorsuale non nella versione

meramente liquidatoria (a cui, come vedremo in seguito, si applicherà la

deroga totale delle garanzie individuali ai sensi dell’art. 47, comma 5,

bensì in quella, per così dire, conservativa, ossia volta al risanamento

e al salvataggio dell’impresa.

E’ proprio in questo contesto che si inserisce la nuova fattispecie

concordataria nella modalità “in continuità aziendale” introdotta nella

Legge Fallimentare (art. 186-bis) dal D.L. n. 83/2012 (c.d. “Decreto

Sviluppo”) alla quale è possibile applicare l’art. 47, comma 4 bis.

Si tratta di una tipologia di concordato preventivo finalizzata a definire

positivamente situazioni di crisi aziendale, in ragione della quale la

prosecuzione dell’attività d’impresa potrà avvenire sia attraverso la

40

fattispecie della continuità diretta dell’attività in capo allo stesso

imprenditore (cd. “concordato di ristrutturazione” o “di risanamento”),

sia attraverso quella della continuità indiretta (cd. “concordato con

cessione”), attuata mediante cessione o conferimento a terzi dell’azienda

in esercizio.

In tale prospettiva di continuità aziendale, il legislatore, in caso di

trasferimento d’azienda, ha messo a disposizione degli organi concorsuali

una disciplina legislativa derogatoria rispetto alle garanzie codicistiche

riconosciute ai dipendenti, quale possibile “strategia” finalizzata alla

salvaguardia, quantomeno parziale, dell’occupazione.

2.4.1. Contenuto della deroga all’art. 2112 c.c.

Circa il possibile contenuto della deroga all’art. 2112 c.c. consentito dal

comma 4 bis dell’art. 47, la legge demanda all’accordo sindacale i termini

e i limiti di applicazione delle garanzie legali, non individuando in alcun

modo gli spazi operativi entro cui le parti coinvolte possono (o non

possono) intervenire per “modulare” l’applicazione delle tutele previste

dall’art. 2112, c.c..

Al riguardo, c’è chi sostiene la possibilità di ammettere solo interventi

marginali, concernenti voci retributive particolari, ovvero interventi su

materia disponibile, come sembra essere, ad esempio, quella della

progressiva sostituzione dei trattamenti collettivi e non; altri sostengono

la fattibilità di disporre circa l’anzianità di servizio dei lavoratori trasferiti

o la modifica dell’inquadramento. Infine, c’è chi si spinge fino a

41

prevedere la possibilità di derogare al principio di continuità dei singoli

rapporti di lavoro e, quindi, ammettere il trasferimento presso il

cessionario di una sola parte dei lavoratori facenti capo all’impresa

cedente.

Operativamente, al fine di evitare possibili rivendicazioni da parte dei

dipendenti oggetto del trasferimento e non, e assicurare, altresì, stabilità

dell’accordo sindacale anche nei confronti di coloro che non sono iscritti

o non aderiscono alle organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo

stesso, è sempre consigliabile accompagnare l’accordo collettivo da

definizioni individuali di rinuncia del singolo lavoratore ex art. 2113 c.c. e

artt. 410-411 c.p.c. finalizzate a ratificare quanto convenuto in sede

sindacale.

A conferma di quanto sopra suggerito, è interessante riportare due

passaggi significativi della sentenza del Tribunale di Padova, 27 marzo

2014, la quale, nella fattispecie specifica del concordato preventivo con

continuità aziendale, afferma che : “… ritenuto che nel caso di concordato

con continuità aziendale …., il solo accordo con le Organizzazioni Sindacali

stipulato ai sensi dell’art. 47, comma 4 bis b-bis), legge 428/90,

diversamente dall’accordo sindacale raggiunto ai sensi del comma 5 del

medesimo art. 47, non possa affatto incidere né sulla continuazione del

rapporto di lavoro, né sulla solidarietà tra cedente e cessionario previsti

dall’art. 2112, commi 1 e 2, c.c.; ….”; “.. che la deroga all’art. 2112 c.c.

consentita dal comma 4 bis b-bis) .. possa riguardare ed incidere

esclusivamente sulle modalità del rapporto di lavoro (p.e. mansioni,

42

qualifica, orario lavoro, ecc...), essendo invece necessario l’accordo

stipulato con il singolo lavoratore interessato ex artt. 410-411 c.p.c. per

incidere sui diritti allo stesso assicurati dai commi 1 e 2 dell’art. 2112

c.c…..”.

2.5. Articolo 47, comma 5, Legge n. 428/1990 Il secondo percorso derogatorio è contenuto nell’art. 47, comma 5 della

Legge n. 428/1990 avente ad oggetto i trasferimenti di imprese

sottoposte a procedure concorsuali con dichiarata finalità liquidatoria,

ossia:

fallimento;

concordato preventivo (omologato) consistente nella cessione

dei beni;

liquidazione coatta amministrativa;

amministrazione straordinaria

per le quali la continuazione dell’attività non sia disposta oppure sia

cessata.

2.5.1. Contenuto della deroga all’art. 2112 c.c.

Nelle fattispecie sopra indicate, l’art. 47, comma 5 legittima, attraverso

un accordo collettivo raggiunto nel corso delle consultazioni sindacali di

cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo, la disapplicazione dell’intero

contenuto dell’art. 2112 c.c. nel caso in cui tale accordo sia finalizzato alla

salvaguardia, anche solo parziale, dell’occupazione.

43

Ciò significa che sarà possibile, ad esempio, evitare il principio legale di

continuità giuridica dei rapporti di lavoro (salvo eventuali condizioni di

miglior favore), o sarà possibile derogare l’applicazione del principio della

responsabilità solidale tra cedente e cessionario per i crediti dei lavoratori

esistenti all’atto del trasferimento, ovvero sarà possibile esentare il

cessionario dall’applicazione dei trattamenti economici e normativi

applicati dal cedente prima del trasferimento, qualora il cessionario non

applichi alcun contratto collettivo.

L’accordo sindacale può, altresì, prevedere che il trasferimento non

riguardi il personale eccedentario e che quest’ultimo continui a rimanere,

in tutto o in parte, alle dipendenze del cedente.

2.6. Art. 104-bis Legge Fallimentare e Affitto d’Azienda Una delle novità più rilevanti apportate dalla riforma della Legge

Fallimentare operata con il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, riguarda

l’introduzione di disposizioni finalizzate alla continuazione dell’attività

dell’impresa fallita, allo scopo di consentire la tutela del patrimonio

aziendale a favore dei creditori, nonché la salvaguardia dei posti di

lavoro.

In tale contesto, si inserisce il nuovo art. 104-bis, introdotto dall’art. 91

del suddetto decreto legislativo, dove l’istituto dell’affitto di azienda,

seppur già ampiamente utilizzato nella prassi giurisprudenziale, trova il

suo pieno riconoscimento normativo. Significativa è la Relazione

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Ministeriale di accompagnamento al D.Lgs. n. 5/2006, a commento

dell’articolo in questione, che afferma: “nel quadro delle nuove esigenze

conservative assume una particolare importanza l’istituto dell’affitto

dell’azienda, strumento ormai diffuso nella prassi e pienamente in linea

con un sistema concorsuale caratterizzato da un fine non esclusivamente

liquidatorio, ma indirizzato al recupero delle componenti attive

dell’impresa”.

Il curatore, ai sensi del comma 1, anche prima della presentazione del

programma di liquidazione previsto dall’art. 104-ter, può proporre al

giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori,

l’affitto dell’azienda del fallito a terzi, anche limitatamente a specifici

rami, quando appaia utile al fine della più proficua vendita dell’azienda o

di parti della stessa.

L’intento conservativo dei valore patrimoniale ed economico dell’azienda,

nonché dei rapporti di lavoro voluto dal legislatore emerge nel comma 2

laddove il curatore, nella scelta dell’affittuario, da effettuarsi a norma

dell’art. 107 della Legge Fallimentare, dovrà, altresì, tener conto, oltre

che dell’ammontare del canone offerto, anche delle garanzie prestate e

della “attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali,

avuto riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali”.

Ciò significa che l’affitto non viene deciso soltanto in funzione del prezzo

offerto e delle garanzie patrimoniali prestate dall’affittuario, vale a dire

dell’interesse dei creditori al massimo realizzo, ma anche in funzione

della affidabilità dell’affittuario stesso connessa alla conservazione

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dell’efficienza produttiva dell’azienda e alla salvaguardia

dell’occupazione, come interesse rilevante in sé, che si affianca a quello

dei creditori.

Quanto agli effetti derivanti dalla retrocessione dell’azienda al fallimento,

il comma 6 stabilisce che “la retrocessione al fallimento di aziende, o

rami di aziende, non comporta la responsabilità della procedura per i

debiti maturati sino alla retrocessione, in deroga a quanto previsto dagli

articoli 2112 e 2560 del codice civile”.

Pertanto, in espressa deroga alle previsioni del codice civile, ossia:

all’art. 2112 c.c., con riferimento ai debiti contratti

dall’affittuario verso i dipendenti;

all’art. 2560 c.c., con riferimento, in generale, a tutti i debiti

contratti dall’affittuario per l’esercizio dell’azienda affittata,

una volta retrocessa l’azienda, o il singolo ramo, alla procedura

fallimentare, i debiti (compresi quelli di lavoro) sorti in costanza

dell’affitto non sono imputabili alla curatela, bensì, ed unicamente,

all’affittuario che li ha maturati.

La Relazione Illustrativa al decreto motiva tale deroga alla luce del

“bisogno di assicurare che i creditori anteriori, in funzione della cui tutela

l’affitto è stato disposto, non vengano ad essere penalizzati dalla

condotta dissennata dell’affittuario”.

Sempre il comma 6 stabilisce, infine, che “ai rapporti pendenti al

momento della retrocessione si applicano le disposizioni di cui alla

sezione IV del Capo III del titolo II” (art. 72 e ss. Legge Fallimentare).

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Nello specifico ambito lavoristico, ciò significa che i rapporti di lavoro con

i lavoratori assunti dall’affittuario sono regolati come i rapporti di lavoro

preesistenti alla dichiarazione di fallimento, i quali entreranno in una fase

di quiescenza, in attesa che il curatore opti per la loro prosecuzione o per

il licenziamento.

2.7. Art. 105 Legge Fallimentare e Cessione d’Azienda

L’art. 105 della Legge Fallimentare, novellato integralmente dall’art. 92

del D.Lgs. n. 5/2006, disciplina la vendita dell’azienda, dei suoi rami ed

anche la vendita in blocco di beni o di rapporti giuridici.

Il 1° comma stabilisce, infatti, che la liquidazione dei singoli beni è

disposta quando “risulta prevedibile che la vendita dell’intero complesso

aziendale, di suoi rami, di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco

non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori”.

In questa ampia prospettiva di conservazione del complesso aziendale, il

3° comma di detto articolo, quanto ai rapporti di lavoro, al fine di

consentire all’acquirente dell’azienda di continuare l'attività con un

aggravio di costi inferiore, prevede che “nell'ambito delle consultazioni

sindacali relative al trasferimento d’azienda, il curatore, l’acquirente e i

rappresentanti dei lavoratori possono convenire il trasferimento solo

parziale dei lavoratori alle dipendenze dell'acquirente e le ulteriori

modifiche del rapporto di lavoro consentite dalle norme vigenti”.

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Si tratta di una nuova previsione di consultazione sindacale specifica in

caso di vendita in sede fallimentare introdotta dal sopracitato art. 92 del

D. Lgs. n. 5/2006.

In questo modo la legislazione in materia concorsuale si è adeguata

alla normativa lavoristica nazionale e, precisamente, all’art. 47, comma 5

della Legge n. 428/1990, che prevede la totale disapplicazione dell’art.

2112 c.c., quando oggetto della cessione sia un’impresa sottoposta a

procedura fallimentare (come nella fattispecie in analisi) o in

presenza di concordato preventivo con cessione dei beni o, ancora, in

caso di emanazione del provvedimento di liquidazione coatta

amministrativa o, infine, in caso di sottoposizione ad amministrazione

straordinaria.

La disposizione appena esaminata si collega a quella contenuta nel 4°

comma che prevede, salva diversa convenzione, l’esclusione della

responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio dell’azienda

ceduta, sorti prima del trasferimento.

Ne consegue che, anche i debiti concernenti il personale dipendente

(retribuzioni, TFR, …) rimangono a carico della procedura fallimentare.

2.8. Fondo di Garanzia INPS, TFR e Trasferimento d’Azienda

La Legge 29 maggio 1982, n. 297, ha istituito presso l’Inps il c.d. “Fondo di

Garanzia per il trattamento di fine rapporto”, avente lo scopo di

sostituirsi al datore di lavoro, in caso di insolvenza di quest’ultimo, nel

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pagamento del TFR spettante ai lavoratori o loro aventi diritto, di cui

all’art. 2120 del codice civile.

Con Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n. 80, l’intervento del Fondo è

stato esteso anche ad altri crediti di lavoro non corrisposti relativi agli

ultimi tre mesi del rapporto lavorativo (artt. 1 e 2).

Il Fondo di Garanzia è finanziato con un contributo a carico dei soli datori

di lavoro nella misura dello 0,20% della retribuzione imponibile del

lavoratore, elevato a 0,40% per i dirigenti di aziende industriali.

Per le imprese soggette alle procedure concorsuali, l’Inps, con circolare n.

74 del 15 luglio 2008, prevede, innanzitutto, che i requisiti necessari

affinchè operi la garanzia del Fondo sono:

a) la cessazione del rapporto di lavoro subordinato, indipendentemente

dalla sua causa (dimissioni, licenziamento, scadenza del termine in caso di

contratto a tempo determinato);

b) l’apertura di una procedura concorsuale;

c) l’esistenza del credito per TFR rimasto insoluto.

Circa il requisito della cessazione del rapporto di lavoro, nella fattispecie

specifica di trasferimento d’azienda, la circolare precisa che “………. deve

essere valutato con attenzione in tutti i casi di trasferimento d’azienda,

compresi l’affitto e l’usufrutto. Infatti l’art. 2112 c.c., in materia di

“Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di

azienda” prevede, di regola, la continuazione del rapporto di lavoro con il

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cessionario, che pertanto è l’unico obbligato a corrispondere il TFR, anche

per la parte maturata alle dipendenze dell’impresa cedente”.

Alla luce di quanto sopra, l’Inps, discostandosi dall’orientamento

giurisprudenziale prevalente, (vedi, in proposito, quanto specificato nel

paragrafo 1.4. – Gli effetti del trasferimento d’azienda sui rapporti di

lavoro), nei peculiari casi di trasferimento d’azienda, compresi l’affitto e

l’usufrutto, afferma che:

se il datore di lavoro insolvente è il cedente, il Fondo non

sarà tenuto ad intervenire, in quanto il TFR dovrà essere

corrisposto, per l’intero, dal cessionario;

se, invece, l’insolvente è il cessionario, il Fondo sarà tenuto

a corrispondere l’intero TFR maturato.

Per quanto riguarda il caso di vendita di aziende poste in fallimento,

amministrazione straordinaria, concordato preventivo con cessione dei

beni o liquidazione coatta amministrativa, l’art. 47, comma 5, della Legge

n. 428/1990 stabilisce che ai lavoratori, il cui rapporto continua con

l’acquirente, non si applica l’art. 2112 c.c..

Di conseguenza, il Fondo corrisponderà il TFR maturato alle dipendenze

del cedente sino alla data del trasferimento, salvo che l’accordo sindacale

preliminare al trasferimento non abbia previsto, quale condizione di

miglior favore, l’accollo del TFR da parte dell’acquirente stesso.

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2.9. Jobs Act: D.Lgs. n. 148/2015 - CIGS e Cessione d’azienda

Il Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 148 recante “Disposizioni per

il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza

di rapporto di lavoro, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”,

in vigore dal 24 settembre 2015, contiene una razionalizzazione degli

strumenti di gestione della crisi e di tutela durante il rapporto di lavoro.

In particolare, per quanto riguarda le integrazioni salariali straordinarie

(CIGS) e le relative causali di intervento previste nell’art. 21, comma 1, si

segnala l’abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2016, della causale per

crisi in caso di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo

di essa (art. 21, comma 1, lettera b)). Ciò, come afferma il Ministero del

Lavoro nella Relazione Illustrativa del decreto, “in ossequio a quanto

disposto dall’articolo 1, comma 2, lettera a) punto 1) della Legge n.

183/2014 che sancisce, quale principio e criterio direttivo, l’impossibilità

di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione definitiva di

attività aziendale o di un ramo di essa. In caso di cessazione dell’attività

produttiva non sussiste infatti la possibilità di ripresa e di salvaguardia

dell’occupazione”.

Tuttavia, con una disposizione innovativa, in deroga alle condizioni e ai

limiti di durata massima imposti dalla legge, il comma 4 dell’articolo 21

stabilisce che, qualora all’esito del programma di crisi aziendale l’impresa

cessi l’attività produttiva e sussistano concrete prospettive di rapida

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cessione dell’azienda e di un conseguente riassorbimento occupazionale,

può essere autorizzato un ulteriore periodo di CIGS.

Nello specifico, il Ministero del Lavoro, previo accordo stipulato in sede

governativa presso lo stesso Dicastero, anche in presenza del Ministero

dello Sviluppo Economico, potrà riconoscere un periodo aggiuntivo di

integrazione salariale nel limite, rispettivamente, di dodici, nove e sei

mesi ed entro risorse contingentate, pari a 50 milioni di euro per ciascuno

degli anni 2016, 2017 e 2018.

Sarà un decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di

concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, a definire i criteri

per l’applicazione della fattispecie in questione.

FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI OTTOBRE 2015

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