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LA DINAMICA VITALE FRA DIFFERENZA E COESIONE: DALLA CONCEZIONE TRINITARIA ALLA PRATICA CLINICA Giorgio Cavallari

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LA DINAMICA VITALE FRA

DIFFERENZA E COESIONE: DALLA

CONCEZIONE TRINITARIA ALLA

PRATICA CLINICA

Giorgio Cavallari

Una prima articolazione della unità in una trinità e della

trinità in una unità si trova nelle parole di Jung: esse in

re, esse in intellectu solo, esse in Anima

• “..Io non contesto la relativa validità sia del

punto di vista realistico, dell’esse in re, che di

quello idealistico, esse in intellectu solo. Io

desidero solo unire questi estremi opposti

per mezzo di un esse in Anima, che è il punto

di vista psicologico. Noi viviamo

immediatamente solo nel mondo delle

immagini..” (Jung)

“Esse in Anima”, dal momento che siamo in primo luogo analisti e terapeuti che curano esseri umani, suggerisce un modo particolare di stare di fronte al paziente, di porsi al cospetto, come dice Levinas, dello “sguardo dell’Altro”, articolato a sua volta su tre piani:

1. L’attenzione perché l’esperienza dell’analisi (e della vita!) sia “tollerabile”

2. L’attenzione alla dimensione soggettiva

3. L’attenzione alla dimensione simbolica.

Tale modo di “stare di fronte” all’individuo che curiamo, di stare “in dialogo con lui”, si risolve in un atteggiamento che è ad un tempo tecnico ed etico, e che possiamo definire con il termine di “processo di umanizzazione”. La dissociazione patologica, invece, minaccia questi tre modi di stare “di fronte all’Altro”.

Raccogliendo la sfida di JungIniziamo il nostro percorso da due intellettuali che sono stati attratti da Jung e in particolare dalla sua sensibilità per l’esse in anima, e che ne hanno subito una profonda influenza: Italo Calvino e Etty Hyllesum. Entrambi hanno riflettuto, dialogato e scritto attorno ai temi della differenza e della molteplicità da un lato, e della “unità” e coesione dall’altro, dandoci spunti molto preziosi per la nostra riflessione teorica e clinica. Entrambi ci hanno suggerito delle strategie “terapeutiche” per difenderci dalla dissociazione patologica.

Scrisse Calvino in una delle sue “Lezioni Americane”, testo

dove fa riferimento al principium individuationis di Jung, in

particolare nella lezione dal tema “Molteplicità”:

“..Qualcuno potrà obiettare che più l’opera tende alla

moltiplicazione dei possibili più si allontana da quell’Unicum

che è il Self di chi scrive, la sincerità interiore, la scoperta della

propria verità. Al contrario, rispondo, chi siamo noi, chi è

ciascuno di noi se non una combinatoria di esperienze, di

informazioni, di letture, di immaginazioni? Ogni vita è una

enciclopedia, una biblioteca, un inventario di oggetti, un

campionario di stili, dove tutto può essere continuamente

rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili…..

…. Ma forse la risposta che mi sta più a cuore dare è un’altra:

magari fosse possibile un’opera concepita al di fuori del Self,

un’opera che ci permettesse d’uscire dalla prospettiva

limitata d’un Io individuale, non solo per entrare in altri Io

simili al nostro, ma per far parlare ciò che non ha parola,

l’uccello che si posa sulla grondaia, l’albero in primavera e

l’albero in autunno, la pietra, il cemento, la plastica….

Non era forse questo il punto di arrivo cui tendeva Ovidio nel

raccontare la continuità delle forme, il punto di arrivo cui

tendeva Lucrezio nell’identificarsi con la natura comune a

tutte le cose?..” (Calvino)

Ovidio e Lucrezio:

• “..In nova fert animus mutatas dicere formas

corpora..” (L’estro – in realtà una “psiche” che sta

fra la Psychè greca e la Mens latina - mi spinge a

narrare di forme mutate in corpi nuovi), Ovidio

• “..Nunc age, res quoniam docui non posse creari

de nilo neque item genitas ad nil revocari..”

(Avanti, perché ti ho mostrato che le cose non si

possono creare dal nulla né al nulla richiamare),

Lucrezio

Fenestra aeternitatis: lo sguardo sul

“molteplice” interiore ed esterno

• Scrive invece Etty Hyllesum: “..Una persona senza un centro è insicura, quando si trova a fronteggiare una nuova impressione perde il suo equilibrio e la sua insicurezza aumenta….E l’uomo

stesso è il piccolo centro nel quale mondo interiore e mondo esteriore si incontrano. I due mondi si nutrono l’uno dell’altro: non si deve trascurarne l’uno a spese dell’altro o considerare l’uno più importante dell’altro, altrimenti si rischia di impoverire la propria personalità….Nessuna singola parte dovrebbe avere il predominio nella tua vita. La questione principale è il tutto. Non enfatizzare nessuna cosa, altrimenti la tua armonia interiore ne verrà scossa..” (Hyllesum)

Jung stesso ci ricorda

l’importanza del centro, del “focus” di ogni

esistenza

Il Sè di Jung: unità, totalità e

“complexio” come FOCUS psicologico

• “..Denomino il Sè come il volume complessivo di tutti i fenomeni psichici dell’uomo. Esso rappresenta la unitàe la totalità della personalità considerata nel suo insieme…..

• ……rappresentando una complexio oppositorum, una sintesi degli opposti, esso può apparire anche come diade unificata, quale è ad esempio il Tao, fusione della forza Yang e della forza Yin, come coppia di fratelli oppure come sotto l’aspetto dell’eroe e del suo antagonista……Ciò vuole dire che sul terreno empirico il Sè appare come giuoco di luce e ombra, quantunque concettualmente esso venga inteso come un tutto organico..”

Il simbolo del Tao: simbolo di unità e articolazione, di

integrazione e differenza,

e anche simbolo del conflitto inevitabile

La parola latina “focus” significa centro, cuore,

focolare, pira, altare, e in senso figurato “casa

propria”. In ottica, però, il “focus” è il punto

dove convergono la pluralità dei raggi!

Uno sguardo dalle neuroscienze: unità e varietà sono presenti

già nel substrsato biologico della nostra esistenza: non abbiamo

il cervello destro e il cervello sinistro, ma i due più la

connessione fra i due

Continua unità, infinita varietà

• Edelman, neuroscienziato, intitola un capitolo

del suo testo più famoso, “Universo di

coscienza”, nel seguente modo: Il teatro

privato di ogni essere umano:

continua unità, infinita varietà. In

tali pagine parla di “..Irreprensibile interezza

dell’essere: privatezza, unità e coerenza della

esperienza della coscienza..” .

• Da neuroscienziato, ci dice che la coscienza ha tre fondamenti funzionali:

1. L’esperienza cosciente è associata con una attività neurale che èdistribuita fra diversi gruppi neurali situati in diverse aree del cervello: la coscienza, in altre parole, nasce da una attività“unitaria” del sistema nervoso centrale, non esiste “l’area” della coscienza.

2. Per rendere possibile l’esperienza cosciente, un vasto gruppo di neuroni deve interagire rapidamente e reciprocamente attraverso un processo definito “reentry”.

3. I modi di attivazione dei sistemi neurali che sostengono i processi coscienti devono cambiare continuamente ed essere sufficientemente differenziati uno dall’altro. Quando un vasto numero di neuroni nel SNC cominciano a scaricare nello stesso modo, riducendo la diversità che costituisce i repertori neurali, come nel caso del sonno profondo e dell’epilessia, la coscienza scompare.

Sander, dalla osservazioni dei principi che regolano l’esistenza

delle forme viventi allo studio dello sviluppo della mente

umana nell’infant research: flusso interminabile e

mantenimento della coerenza

• Sander, riferendosi al funzionamento dei sistemi viventi e dellamente umana, la più complessa espressione di ciò che vive, parla di “..un flusso di cambiamento..” che a suo dire, in modo quasi paradossale, deve “..mantenere la organizzata interezza dell’organismo, mentre i componenti dello stesso passano attraverso processi di disorganizzazione, rimozione, sostituzione, il tutto mentre viene mantenuta la coerenza vitale del sistema vivente e della vita psichica, essenziale affinché l’organismo e la mente si mantengano in vita. Come può tutto questo accadere? Come possono continuità, discontinuità, e interezza convivere?..”.

• Per provare a rispondere a questa domanda, Sander ci invita a riflettere sui nodi costitutivi e fondanti delle nozioni di vita, di vita psichica, di relazioni fra viventi e relazioni fra “menti”, usando le seguenti parole:

La “vita” per Sander

“..un insieme di oggetti uniti da alcune forme di

interazione regolare o interdipendenza,

altrimenti concepibile come ‘un gruppo di

diverse unità combinate fra loro in modo di

formare un tutto unitario’..”.

Su cosa si basa il mantenimento di tale “tutto

unitario”?

Su due colonne portanti: la

organizzazione e l’attività primaria • Il termine organizzazione rimanda al concetto di “unità integrale”,

quindi ad un tenere insieme, creando fra loro coerenza, parti molto diverse che grazie a tale coerenza riescono a comporre un organismo in grado di vivere. In questa prospettiva, la dimensione psichica non è solo la sottile Psychè dei greci, ma anche la organizzata Mens dei latini, che come noto rimanda alla nozione di meus ens, ciò che è radicalmente mio, di mensura, cioè misura, proporzione, costruzione ordinata.

• Il termine “attività primaria” si riferisce invece al fatto che èall’interno di tale organismo che si attivano e si realizzano quelleazioni utili per creare e mantenere quella coerenza di cui abbiamo parlato sopra. La coerenza, anche se è mantenuta grazie a scambi continui con l’ambiente esterno, “nasce dall’interno”, e non èimposta dall’esterno.

Pluralità e unità: dove si incontrano?

La riflessione di Agostino sulla Trinità

Sant’Agostino, come è noto, si confrontò con il tema della unicità e della molteplicitàaffrontando, in una prospettiva teologica ma anche filosofica, l’argomento della Trinità e Unitàdel Dio dei cristiani. Di lui conosciamo l’estremo vigore nella difesa della “unica” fede cristiana contro gli eretici, ma sappiamo anche che psicologicamente fu uomo fin dal’inizio della sua vita profondamente coinvolto (ed anche attratto) da infinite contraddizioni logiche, comportamentali, relazionali.

La Trinità: certezza e mistero

insondabile

La prima Trinità: l’esperienza del

tempo

“..Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro népassato esistono. E’ inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell’animo e non vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa..” (Confessioni)

Nel testo originale ciò che i traduttori definiscono con il termine visione è il latino contuitus, mentre attesa traduce expectatio.

Il primo, contuitus, esprime il concetto di osservare, guardare, e in particolare di considerare, stare attento a qualcosa: è la tensione vitale alla conoscenza, il dantesco “fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”.

Il secondo, expectatio, esprime l’idea di attendere, ma anche di desiderare, bramare, sperare, e talvolta temere. E’ l’essere esposto a ciò che accadrà, ma anche l’essere il vitale soggetto di un movimento desiderante. Essere gettato nel mondo, ma anche costruttore del mondo.

La seconda trinità: mens, notitia,

amore

1) Mens: è ciò che “in anima excellit”, l’anima

superiore: posta sopra (ma in relazione con!)

l’anima vegetativa e sopra l’anima sensibile,

altrimenti detta anche Spiritus o Animus, la

Mens è la parte dell’anima che conosce,

articolandosi in Ratio (che conosce le cose

sensibili) e Intelligentia, che è veduta

interiore, intuizione intellettiva, lux mentis.

• Nella tradizione psicoanalitica ciò che fin qui abbiamo chiamato Mens, Animus e Spiritus rimanda ad una definizione di psiche data da Winnicott e ad oggi ancora insuperata: “Imaginal elaboration of physical aliveness”, cioè elaborazione, attraverso l’attivitàimmaginativa, dell’esperienza primaria di essere vivi fisicamente. Nella tradizione junghiana tale elaborazione immaginale diviene la vita simbolica.

2) Notitia: è la conoscenza di sé, o

autocoscienza: pur rimanendo radicata nel

suo esistere vegetativo e sensoriale, pur

aprendosi al mondo, la Mens si rivolge a se

stessa, alla sua interiorità: “..noli foras ire, in

teipsum redi; in interiore homine habitat

veritas..”. Non volgerti fuori, dirigiti verso te

stesso: dentro all’uomo abita la verità

(Agostino).

3) Diliges: La mens, che si conosce, si ama.

Scrisse Jung nel suo saggio sulla Trinità: “..La

triade è dunque uno sviluppo dell’uno nella

conoscibilità..”. L’uomo “c’è”, prende

coscienza di se stesso, e nel momento in cui è

presente guardando dentro di sé si ama.

L’”amore” di cui parliamo è imparentato con

due concetti di grande rilievo nella pratica

analitica: la volontà e in particolare la

intenzionalità.

La terza trinità

Tre persone, un’unica sostanza, Trinità

nell’Unità, Unità nella Trinità:

Deus, una trinitas et trina unitas

Tre persone distinte, una unica “sostanza”:

Non audemus dicere unam essentiam, tres

substantias, sed unam essentiam, vel

substantiam, tres autem personas;

1) L’eternità è nel Padre, 2) la forma è nell’Immagine

(Figlio), 3) la fruizione è nel Dono (Spirito)

1) La prima Persona, il Padre, è definita la “eternità nel Padre” (Aeternitas in Patre). E’psicologicamente il senso profondo dell’origine, l’esperienza a un tempo di qualcosa di antico, di lontano e di profondo, che è originariamente remoto e che al tempo stesso “contiene”. Nella psicologia del profondo le sue rappresentazioni piùadeguate sono l’archetipo di Jung e ciò che Bion definì con il termine “O”.

Dal punto di vista psicologico possiede tutta la potenza, il fascino dell’esse in intellectu solo, dell’eidos che definisce il mondo platonico delle Idee, e si continua nelle “Idee” di Kant, nel “Geist” di Hegel nel “Sein” di Heidegger, e secondo alcune letture anche nel Self di Jung. una dimensione di grandezza, di perfezione, di assoluto, ma anche di pericoloso isolamento narcisistico e di disumanizzazione: il Padre, senza il Figlio e lo Spirito, è tragicamente solo e sempre sull’orlo dello scompenso narcisistico! La Trinità è la sua salvezza, e la sua cura.

2) La seconda persona, il Figlio, si definisce nel seguente modo: La forma è nell’Immagine (species in Imagine). Mantenendosi prossimo al Padre nell’Unità, il figlio consente però che l’Aeternitas si faccia species in Imagine, che il Verbo si faccia carne, che l’eidos platonico si umanizzi, che l’essere diventi vivere: per noi

analisti a null’altro serve l’analisi se non ad aiutare i pazienti a vivere incarnati nella loro

quotidianità, con la loro mente, con il loro corpo, con la loro rete di relazioni. “non est aliud vivere et aliud esse, sed idem et esse et vivere”.

Possedendo il corpo, il Figlio è “esse in re”, ma

essendo ancora in rapporto con il Padre

(incarnandosi, infatti, non perde il Padre

perché l’Unità sussiste) può al tempo stesso

accedere all’ “esse in Anima” di cui ci ha

parlato Jung. A differenza di alcune concezioni

gnostiche per le quali la incarnazione era

caduta, perdita, degenerazione da cui

riscattarsi, nella Trinità agostiniana Figlio e

Padre si arricchiscono a vicenda.

3) La terza Persona, lo Spirito, si definisce invece

come fruizione nel Dono (usus in Munere). Se il

Padre porta nella Trinità la ricchezza dell’origine,

la Aeternitas, ed il Figlio la potenza del Verbo che

si fa carne, dell’eidos che si fa species, lo Spirito

permette che i due si usino, si amino, e gioiscano

insieme. Il traduttore italiano del De Trinitate

scrive che grazie alla presenza dello Spirito

“..quell’ineffabile amplesso del Padre e

dell’Immagine (Figlio) non è senza fruizione,

senza carità, senza gioia..”

In realtà il testo originale dice: “..Ille igitur ineffabilis quidam complexus Patris et Imaginis non est sine perfruitione, sine caritate, sine gaudio..”.

Nell’amore “perfetto” che pervade la Santa Trinità vi ècertamente della gioia (gaudio) che porta verso la pace universale, non manca però qualcosa di molto umano (e inquietante) che è la perfruitio, cioè il volere disporre di qualcosa o qualcuno per poterne godere pienamente. Tema che rimanda all’”uso” ed alla concretezza dei bisogni, tema assai meno “pacifico” e non raramente conflittuale, con tutto il carico di potenziale invidia, spinta all’incorporazione, al possesso narcisistico, all’oralità avida.

Vi è infine la Caritas, termine adottato dagli scrittori cristiani che usano il latino per tradurre l’amore Agape dei greci, ben distinto dal più pagano e inquietante Eros.

In realtà Caritas è un vocabolo che contiene, accanto alla nozione di tensione amorosa generosa e costruttiva, una a sua volta inquietante parentela filologica con qualcosa che c’entra assai poco con l’onnipotenza divina: la carenza. La “Caritas Annonaria” nell’antica Roma era il dramma di un anno con il raccolto dei campi scarso.

Lo Spirito lega dunque se stesso e le altre due

Personae in una realtà sostanziale, in una

Substantia dove la beatitudine non può essere

disgiunta dall’esperienza dell’uso reciproco e

di un reciproco amore, di una reciproca

Caritas dove tutte e tre le persone dicono:

nella mia Substantia esiste un limite che mi fa

avere bisogno di te, bisogno di prendere e

bisogno di dare, io devo usarti e tu devi

usarmi, io devo amarti e tu devi amarmi.

Il Dio Padre del Vecchio Testamento non arde

più da solo, narcisisticamente, nel roveto

ardente, dissociato dalla sua creazione:

sarebbe una condizione anche per lui

intollerabile.

Non gli basta più nemmeno da solo creare,

giudicare, guidare, punire, perdonare, salvare,

dare leggi a un creato rimanendo da questo

dissociato: sarebbe una condizione anche per

lui intollerabile.

La concezione trinitaria salva il Dio creatore della religione monoteistica dal pericolo di dissociarsi dalle sue stesse parti e dalle sue creature. Rende la sua esistenza tollerabile, in primo luogo perchéle permette di essere “soggettiva” (da e riceve, crea, dona, ma sa accogliere i doni che vengono dalle sue diverse parti e da ciò a cui ha dato vita). Rende in secondo luogo la sua esistenza tollerabile perché “simbolica”, perché si rivela in un dialogo: annuncia, ma aspetta una risposta, risposta di cui non nega di avere “bisogno”. In questo modo, insegna come “esse in Anima”.

Le tre persone che esistono condividono la stessa Substantia, ma non di meno restano distinte. Tale unità nella diversità e tale articolazione coerente delle irriducibili differenze definiscono le tre “Personae”, Padre, Figlio, Spirito. C’è un solo modo perchépermanga l’unità nella Substantia e insieme sia rispettata l’articolazione nelle Personae: si tratta del modo indicato da Gadamer, che così sintetizza ogni ontologia: NOI CHE SIAMO UNA CONVERSAZIONE

Jung cita, nel saggio sulla messa, le

parole tratte da questo testo apocrifo:

Voglio essere salvato, e voglio salvare. Amen

Voglio essere liberato, e voglio liberare. Amen

Voglio essere ferito, e voglio ferire. Amen

Voglio essere generato, e voglio generare. Amen

…………………………..

Voglio essere pensato, io che sono interamente pensiero. Amen

Voglio essere lavato, e voglio lavare. Amen