La dinamica della popolazione in Italia da Augusto al III secolo · 2019. 10. 9. · nella storia...

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Elio Lo Cascio La dinamica della popolazione in Italia da Augusto al III secolo In: L'Italie d'Auguste à Dioclétien. Actes du colloque international de Rome (25-28 mars 1992). Rome : École Française de Rome, 1994. pp. 91-125. (Publications de l'École française de Rome, 198) Riassunto La densità del numero dei siti rivelata dalle ricognizioni di superficie suggerisce che la popolazione della penisola agl'inizi dell'età imperiale debba essere stata assai più cospicua di quanto non voglia la corrente ortodossia, basata sulla peculiare interpretazione che il Beloch ha fornito delle cifre dei censimenti in età augustea, essa stessa fondata su un preteso argomento di plausibilità demografica, che si rivela assai fragile. Se i civium capita delle Res gestae (e di Tacito) sono i maschi adulti, come in età repubblicana, viene a cadere la tesi di un crollo della popolazione libera dell'Italia nel corso della tarda Repubblica e lo stesso accrescimento nel numero dei civium capita tra il 28 a.C. e il 47 d.C. può almeno in parte imputarsi all'incremento naturale della popolazione anche della penisola. Una forte pressione della popolazione sulle risorse tra la fine del I e la prima metà del II secolo sembrerebbe, peraltro, alla base dei problemi economici della penisola e della risposta ad essi da parte imperiale. Il discrimine nella storia della popolazione dell'Italia romana sembra venire con la pestilenza dell'età antonina. Citer ce document / Cite this document : Lo Cascio Elio. La dinamica della popolazione in Italia da Augusto al III secolo. In: L'Italie d'Auguste à Dioclétien. Actes du colloque international de Rome (25-28 mars 1992). Rome : École Française de Rome, 1994. pp. 91-125. (Publications de l'École française de Rome, 198) http://www.persee.fr/web/ouvrages/home/prescript/article/efr_0000-0000_1994_act_198_1_4396

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  • Elio Lo Cascio

    La dinamica della popolazione in Italia da Augusto al III secoloIn: L'Italie d'Auguste à Dioclétien. Actes du colloque international de Rome (25-28 mars 1992). Rome : ÉcoleFrançaise de Rome, 1994. pp. 91-125. (Publications de l'École française de Rome, 198)

    RiassuntoLa densità del numero dei siti rivelata dalle ricognizioni di superficie suggerisce che la popolazione della penisola agl'inizi dell'etàimperiale debba essere stata assai più cospicua di quanto non voglia la corrente ortodossia, basata sulla peculiareinterpretazione che il Beloch ha fornito delle cifre dei censimenti in età augustea, essa stessa fondata su un preteso argomento diplausibilità demografica, che si rivela assai fragile. Se i civium capita delle Res gestae (e di Tacito) sono i maschi adulti, come inetà repubblicana, viene a cadere la tesi di un crollo della popolazione libera dell'Italia nel corso della tarda Repubblica e lo stessoaccrescimento nel numero dei civium capita tra il 28 a.C. e il 47 d.C. può almeno in parte imputarsi all'incremento naturale dellapopolazione anche della penisola. Una forte pressione della popolazione sulle risorse tra la fine del I e la prima metà del II secolosembrerebbe, peraltro, alla base dei problemi economici della penisola e della risposta ad essi da parte imperiale. Il discriminenella storia della popolazione dell'Italia romana sembra venire con la pestilenza dell'età antonina.

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    Lo Cascio Elio. La dinamica della popolazione in Italia da Augusto al III secolo. In: L'Italie d'Auguste à Dioclétien. Actes ducolloque international de Rome (25-28 mars 1992). Rome : École Française de Rome, 1994. pp. 91-125. (Publications del'École française de Rome, 198)

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    LA DINAMICA DELLA POPOLAZIONE IN ITALIA DA AUGUSTO AL III SECOLO

    « Uno degli aspetti che è emerso con straordinaria costanza dalle ricognizioni effettuate in varie regioni d'Italia è l'altissima densità dell'insediamento rurale durante il periodo romano. Le valli fluviali della Puglia e dell'Abruzzo, le pianure costiere lungo il Mar Tirreno e la collinosa campagna etrusca hanno accolto una numerosissima popolazione rurale che portò a coltivazione ampie estensioni di terreni marginali» : così scriveva nel 1979 Tim Potter, nel suo The Changing Landscape of South Etruria, riassumendo i dati che potevano derivare dalle numerose ricognizioni sistematiche di superficie effettuate, soprattutto a partire dagli anni 70 (dopo la pionieristiche ricognizioni della British School nell'Etruria meridionale), nelle aree citate1. L'affermazione è importante, giacché sembrerebbe derivarne, qualora potessimo interpretare con certezza i risultati di un survey come indicativi dell'entità del popolamento di un'area2, una conclusione di un certo peso : che appunto quest'entità del popolamento, in molte delle aree interessate e come parrebbe potersi concludere per altri rilevanti ambiti territoriali del Mediterraneo - quelli che hanno con ritardo sperimentato la «transizione demografica»

    1 T. Potter, Storia del paesaggio agrario dell'Etruria meridionale, trad, it., Roma, 1985, p. 134; vd. pure Id., Roman Italy, Londra, 1987, passini, e le osservazioni di S. L. Dyson, The Roman Villas of Buccino (BAR Intern. S. 187), Oxford, 1983, p. 187. Un ottimo quadro di sintesi dei «regional surveys» nei vari territori dell'impero in K. Greene, The Archaeology of the Roman Economy, Londra, 1986, cap. 5; vd. pure G. Barker, The Italian Landscape in the First Millennium A.D. : Some Archaeological Approaches, in K. Landsborg (ed.), The Birth of Europe, Archaeology and Social Development in the First Millennium A.D. (Analecta Romana Inst. Danici, Suppl. XVI), Roma, 1989, p. 62-73. Per le attività più recenti della British School vedi S. Coccia e G. Barker, La ricognizione archeologica e la sua documentazione : recenti esperienze di ricerca della British School at Rome, in La cartografia archeologica. Problemi e prospettive, Atti del Convegno di Pisa, Pisa, 1989, p. 39-53; un quadro bibliografico aggiornato delle ricerche di superficie nel Lazio e nell'Etruria, ora in M. Rendeli, Sulla nascita delle comunità urbane in Etruria meridionale, in AION (archeol.), 13, 1991, 9-45, part. p. 10 sgg.

    2 Si vd. quanto osserva M. Millet, Pottery : Population or Supply Patterns? the Ager Tarraconensis Approach, in G. Barker e J. Lloyd (ed.), Roman Landscapes. Archaeological Sun'ev in the Mediterranean Region, Londra, 1991, p. 18-26-

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    -, non è stata in epoca romana inferiore a quella che si registrava ancora soltanto un secolo fa3.

    All'osservazione relativa agli àmbiti rurali va associata quella, più ovvia ma proprio perché più ovvia, anche meno problematica, circa il grado dell'urbanizzazione, certamente, per lo meno per alcune zone della penisola, senza paralleli nel mondo preindustriale e sino a tempi a noi assai vicini, sia in termini di numerosità dei centri, sia in termini di numeri assoluti di popolazione. A illustrare il fatto che la densità della popolazione raggiunta in alcune aree della penisola in età romana non molto si allontanava da quella rilevabile ancora solo qualche decennio fa, potrà citarsi un caso quale quello di Spoleto, che aveva, com'è possibile dedurre da ben note testimonianze epigrafiche, utilizzate già dal Beloch, dai 4.700 ai 9.400 abitanti maschi adulti nell'età del principato e dunque dai 16.500 ai 33.000 abitanti complessivamente, laddove, come si è osservato, gli abitanti del territorio comunale erano, ancora nel 1936, 32.0004.

    Ora, un'esposizione che si proponga di individuare, sia pure, com'è inevitabile, in maniera largamente congetturale e ovviamente per semplici ordini di grandezza, il trend della popolazione della penisola nei primi tre secoli dell'era volgare, le sue determinanti e i suoi presumibili rapporti di interdipendenza con l'evoluzione economica e sociale, non può che partire da qui, da un rinnovato tentativo

    3 Per la storia della popolazione dell'Italia negli ultimi quattro secoli, vd. in particolare C.M. Cipolla, Four Centuries of Italian Demographic Development, in D.V. Glass e D.E.C. Eversley (ed.), Population in History, Londra, 1965, p. 570-87, che, va osservato, si basa in larga misura sulla documentazione raccolta da K.J. Beloch, Bevölkerungsgeschichte Italiens, I, Berlino-Lipsia, 1937, hrsg. ν. G. De Sanctis; II, Berlino, 1939, hrsg. ν. G. De Sanctis; III, Berlino, 1961, hrsg. v. L. Pareti u. W. Hagemann; un quadro dell'evoluzione dell'entità del popolamento dell'Italia in A. Bellettini, La popolazione italiana dall'inizio dell'era volgare ai giorni nostri. Valutazioni e tendenze, in Storia d'Italia Einaudi, V 1, Torino, 1973, p. 489- 532. Che l'entità del popolamento, in una situazione preindustriale e «pretransi- zionale», potesse essere plausibilmente non inferiore a quella registrata ancora qualche decennio fa parrebbe dimostrarlo il caso del territorio volterrano e sangi- mignanese, nel XIV secolo, alla vigilia della «peste nera», il cui popolamento si colloca su livelli insuperati ancora all'inizio del nostro secolo : vd. C. M. Cipolla, Storia economica dell'Europa pre-industriale, Bologna, 19752, p. 209, con riferimento a E. Fiumi, La popolazione del territorio volterrano-sangimignanese e il problema demografico dell'età comunale, in Studi in onore di A. Fanfani, Milano, 1962, 1, p. 283. Considerazioni analoghe possono farsi per l'Africa settentrionale e per le regioni anatoliche (per le quali non mi sembrano accoglibili le stime «ribassiste» di J. C. Russell, Late Ancient and Medieval Population, in TAPhS, 48, 3, 1958, p. 81).

    4 P.A. Brun τ, Italian Manpower 225 B.C.-A.D. 14, Oxford, 1971, 19872, p. 126; R. P. Duncan Jones, The Economy of the Roman Empire. Quantitative Studies, Cambridge, 1974, 19852, p. 267 sg. e ivi fonti.

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    di stabilire, sia pure soltanto al livello di ordine di grandezza, un numero assoluto e una stima della densità di popolazione : e ciò sulla scia della lunga tradizione di studi che fa capo a Beloch5. Il fatto è che l'intera vicenda dell'Italia nell'età imperiale sarà da ricostruire in maniera ovviamente assai diversa, a seconda se ne riconosceremo in 6-7 milioni ο in 14-16 gli abitanti sotto Augusto.

    Ma c'è un altro motivo per il quale un tentativo di ricostruzione del trend demografico in età imperiale non può non partire da una stima dell'entità del popolamento nella prima età imperiale. Ed è che una stima della popolazione in età augustea, a confronto di quelle che si possono tentare per l'età repubblicana e tardorepubbli- cana, è quella che può chiarire se sia accoglibile la tesi oggi vulgata secondo la quale almeno le regioni centro-meridionali della penisola, quelle che hanno sperimentato la diffusione e la fioritura del cosiddetto «modo di produzione schiavistico», avrebbero assistito, proprio nel periodo di massima espansione dell'economia italica, a una seria contrazione della propria popolazione libera6 : seria contrazione che sembra, in verità, essere controintuitiva, quando si tenga conto degli stessi meccanismi di funzionamento del «modo di produzione schiavistico», che prevedeva come dato strutturale il ricorso sia pure temporaneo a una forza lavoro libera, esterna all'unità produttiva, e quando soprattutto si consideri come lo stesso « modo di produzione schiavistico» s'inquadrasse in un generale processo di efficientizzazione economica, di crescita in termini fisici del «prodotto lordo», legata all'espansione del settore del mercato a spese di quello dell'autoconsumo, espansione che è ciò che può spiegare lo stesso processo di accentuata urbanizzazione7.

    ■s Per una valutazione dell'opera belochiana si veda il recente volume, a e. di L. Polverini, Aspetti della storiografia di Giulio Beloch, Napoli, 1990; ivi, a proposito delle indagini sulla storia della popolazione, il saggio di L. Gallo, Beloch e la demografia antica, p. 115-58; vd. pure E. Lo Cascio, The size of the Roman population : Beloch and the meaning of the Augustan census figures, in stampa in JRS, 84, 1994.

    6 A questa tesi vulgata danno una dimensione quantitativa le stime proposte, a partire dalle cifre dei censimenti tradite per l'età repubblicana e augustea, da Brunt, Italian Manpower, passim, e da K. Hopkins, Conquerors and Slaves, Cambridge, 1978, specialm. p. 68 sg., table 1.2; una bene argomentata confutazione della tesi secondo la quale la seconda metà del II secolo a.C. avrebbe assistito a una diminuzione del «manpower» disponibile, quella diminuzione che sarebbe alla radice della stessa iniziativa graccana, in J. W. Rich, The Supposed Roman Manpower Shortage of the Later Second Century B.C., in Historia, 32, 1983, p. 287- 331.

    7 E. Lo Cascio, Forme dell'economia imperiale, in Storia di Roma Einaudi, II 2, Torino, 1991, p. 330 sgg. e gli autori ivi citati. Va oltretutto messo in rilievo come risulti francamente poco plausibile, in termini generali, che proprio la fase che vede il costruirsi e il rafforzarsi dell'impero mediterraneo di Roma, una Roma che è l'Italia, sia quello nel quale l'entità del popolamento della penisola risili-

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    Sembrerebbe che il dato archeologico che si è ricordato, sia pure nel suo carattere di dato parziale, di significato regionalmente limitato, possa portare ad escludere, con la tesi di un'accentuata contrazione demografica nel corso dell'età tardorepubblicana, anche la stima più bassa, la belochiana, dell'entità della popolazione libera nei primi decenni del principato che si è citata : non sarà inutile ricordare, infatti, che un periodo nel quale si assisterebbe a una forte e generalizzata crescita della popolazione rurale, secondo i surveys presi in considerazione da Potter, in alcuni distretti della penisola, sarebbe proprio la fine del II secolo a.C.8.

    Ma ci sono, mi sembra (e so bene di andare contro una radicata communis opinio), altri più solidi e più cogenti motivi per ritenere la stima belochiana sostanzialmente inattendibile, perché inaccettabile è l'interpretazione del dato della documentazione antica su cui essa si basa : un'interpretazione che è inaccettabile, prima di tutto, perché, come non c'è bisogno di ricordare, non ha alcun appiglio in questa stessa documentazione antica, e non può, dunque, che essere prospettata in puri termini di plausibilità. Naturalmente, in questa sede, non potrò che molto brevemente indicare alcuni dei motivi che fanno ritenere inaccettabile quella stima : e mettere in rilievo co- m'essi invitino, semmai, proprio su questo stesso piano della plausibilità, ad escludere la tesi di Beloch9.

    La valutazione belochiana della popolazione libera dell'Italia in età augustea si basa sulla peculiare interpretazione da lui proposta del significato delle cifre dei censimenti. È ben noto quale sia il pro-

    ta essere stazionario ο in discesa rispetto ai livelli ipotizzabili, in base al celebre luogo polibiano che registra il numero dei coscrivibili Romani ed alleati nel 225 a.C. (su cui vd. oltre), nel terzo secolo. Anche a non voler sottoscrivere pienamente un'impostazione alquanto meccanica del rapporto tra storia politica e storia della popolazione qual è quella di cui si fa propugnatore, per il mondo greco, ora, R. Sallares, The Ecology of the Ancient Greek World, Londra, 1991, p. 45 sg., quando sostiene che «the entire course of conventional political history depended on a cycle of massive population fluctuations» e che dunque «the periods of obscurity or political and military weakness - deficiencies often interpreted by ancient historians in purely moralising terms - such as the Hellenistic period and the 'Dark Ages' after the collapse of the Mycenaean world, were marked by population levels that were considerably lower», non c'è dubbio che, in meri termini di plausibilità, la tesi di un incremento accentuato della popolazione tra III e I secolo sembra essere più accettabile.

    s Potter, Storia del paesaggio agrario cit., p. 134 sgg.; si vd. anche, per la zona attorno a Roma, L. Qutlici, La Campagna Romana come suburbio di Roma antica, in PdP, 29, 1974, p. 410-38; per la zona dell'antica Crustumerium, L. Quilici e S. Quinci Gigli, Crustumerium, Roma, 1980, part. p. 295 sgg.

    9 Per un esame dettagliato del problema del significato dei censimenti au- gustei rimando a E. Lo Cascio, 'Civium capita '. Le cifre dei censimenti e l'evoluzione demografica dell'età repubblicana, cap. I, di prossima pubblicazione; vd. pure Id., The size of the Roman population, cit. (n. 5).

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    blema. Possediamo, trasmesse dalla tradizione annalistica confluita sostanzialmente in Livio e nelle periochae liviane, una serie numerosa di cifre indicanti i risultati dei censimenti dell'età repubblicana, di norma riferite con quella che appare essere formula ufficiale : «censa sunt civium capita tot»10. La veridicità e la significatività di queste cifre nel loro complesso, ο almeno di quelle che si riferiscono al periodo dal terzo secolo in avanti, non sembra che possa essere seriamente messa in discussione, quale che sia il valore che ciascuna, presa singolarmente, ha. Possediamo, peraltro, nelle Res gestae, com 'è ben noto, l'indicazione cifrata dei risultati dei tre censimenti effettuati nel 28 a.C, nell'8 a.C. e nel 14 d.C; il risultato di quest'ultimo è riferito anche da un frammento dei Fasti Ostienses e Claude Nicolet ha potuto mostrare recentemente come l'apparente diversità della cifra, rispetto a quella delle Res gestae, debba essere intesa come frutto di errore di trascrizione". Anche i risultati dei censimenti augustei sono introdotti con l'espressione «censa sunt civium capita tot». Il numero dei civium capita è, però, nel 28, pari a più di quattro volte quello risultante dall'ultimo censimento dell'età repubblicana, del 70-69 a.C. L'interpretazione di questo salto ha sempre costituito un problema. Beloch, come molti altri prima e dopo di lui, ha ritenuto impossibile giustificare l'enorme incremento del numero dei civium capita, se non si ammette che il criterio stesso del computo e dunque la nozione stessa di civium capita siano mutati. Convinto che fosse impossibile giustificare un simile incremento considerandolo come il portato dell'estensione della cittadinanza romana alle comunità della Transpadana, della politica di colonizzazione, nonché di un incremento naturale della popolazione, Beloch ha ritenuto, nella Bevölkerung (e mutando parere rispetto a quanto aveva sostenuto alcuni anni prima)12, che, laddove le cifre dei censimenti in

    10 Un elenco completo delle cifre e quasi completo delle fonti che le registrano, p. es., in A. Toynbee, Hannibal's Legacy, Oxford, 1965, I, p. 438 sgg.

    11 R.G. 8; F.O., in A. Degrassi, /. /., XIII, 1, p. 184 sg., 214; si vd. ora C. Nicolet, Les fastes d'Ostie et les recensements augustéens , in Epigrafia. Actes du colloque en mémoire de Attilio Degrassi, Roma, 1991, p. 119-31, che discute i precedenti tentativi di risolvere l'aporia rappresentata dall'apparente diversità delle due cifre; cfr. L. Vidman, Fasti Ostienses, Praga 19822, p. 40 e 59 (ma si vd. già la prima edizione, Praga, 1957, p. 31 sg.), che propone una soluzione analoga dell'apoda. Dimostratasi l'implausibilità della tesi secondo la quale a cifra dei F.O. rappresenterebbe il numero dei civium capita domiciliati in Italia e quello delle R.G. il numero complessivo, sembra rimanere come unica possibile spiegazione alternativa della diversità delle due cifre quella prospettata da S. Mazzarino, L'impero romano, Roma, 1956, p. 35 sg., n. 1, che viene oppugnata in modo francamente non convincente da Brunt, Italian Manpower, p. 119, η. 1, e che non è discussa da Nicolet; ma si vd. anche infra, p. 97 con n. 18.

    12 In Die römische Censusliste, in Rhein. Mus., N.F. XXXII, 1877, p. 227-48; e Der Italische Bund unter Roms Hegemonie, Lipsia, 1880, cap. IV, p. 77-101; e cfr.

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    epoca repubblicana indicano il numero dei maschi adulti, quelle dell'età augustea indicano l'intera popolazione cittadina13.

    Non è mia intenzione ovviamente seguire qui l'ulteriore storia degli studi su questo punto14. Mi basterà ricordare come, laddove l'analisi del Brunt ha teso a riconfermare questa posizione belochiana, altri studiosi, come Frank ο Jones, hanno prospettato soluzioni diverse : ipotizzando, per un verso, che, per un complesso di ragioni, tra cui la più rilevante sarebbe la mancanza, sino all'età cesariana, di una decentralizzazione delle operazioni del census nelle varie comunità di cives Romani in Italia, il numero degl'incensi, dei non cen- siti, sarebbe stato rilevantissimo negli ultimi census dell'età repubblicana (e in particolare nei due dell'86 e del 70 a.C), assai inferiore in quelli dell'età augustea; considerando, per un altro verso, assai cospicue le addizioni al corpo civico nei decenni tra il 70 e il 28, occasionate dall'estensione della cittadinanza ai Transpadani, dalla politica coloniaria e dalle manomissioni15.

    Ora, a me sembra che la prima e fondamentale obiezione contro la tesi di Beloch debba venire da una considerazione di ciò che sempre, nel corso della sua storia, il census ha significato : della sua natura stessa e delle sue tradizionali finalità, nonché della sua originaria, e mai intermessa, connessione col lustrum^6. È davvero molto poco plausibile che, nel far rivivere, dopo quarantun anni, una tradizione interrotta dopo il 70-69 a.C. il restauratore Augusto potesse modificare, sino a stravolgerlo, il senso dell'enumerazione dei ci- vium capita, quando si consideri che la frase che chiude il cap. 8 delle Res gestae, dov'è la menzione dei tre census da lui compiuti, è proprio quella che ricorda com'egli abbia ripristinato «multa exempla maiorum exolescentia iam ex nostro saeculo» : ancor meno plausibile, quando si pensi all'insistita connessione tra census e lustrum. Una tale connessione non avrebbe alcun senso, a mio avviso, nell'i-

    Mommsen, Das Verzeichniß der italischen Wehrfähigen aus dem Jahre 529 der Stadt, in Hermes, 11, 1876, p. 49-60 (rist. in Rom. Forschungen II, p. 382-406).

    13 Die Bevölkerung der griechisch- römischen Welt, Lipsia, 1886, p. 370 sgg. 14 Un'analisi dettagliata e una valutatone delle opinioni espresse dai moderni si ritroverà in Lo Cascio, 'Civium capita', già cit.; ma si vd. la rassegna critica delle tesi moderne in Brunt, Italian Manpower, p. 15-25.

    KIbid., particolarmente l'introduzione e il cap. IX, vd. pure O. Th. Schulz, Die Zensus des ersten Prinzeps (Augustus), in Mnemosyne, 3 s., 5, 1937, p. 161-92; T. Frank, Roman Census Statistics from 225 to 28 B.C., in CPh, 19, 1924, p. 329- 41; A.H.M. Jones, Ancient Economic, Londra, 1948, p. 4 sgg.; vedi pure T.P. Wiseman, The Census in the First Century B.C., in JRS, 59, 1969, p. 59-75, aile p. 71 sgg.

    16 Si vd. in particolare G. Pieri, L'histoire du cens jusqu'à la fin de la République romaine, Parigi, 1968, part. p. 82 sgg., e 185 sgg., 192 sg., per la connessione census-lustrum ancora nel 28 a.C. (anche se con opinioni non interamente accettabili); vd. pure T. P. Wiseman, The Census, p. 62 sgg.

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    potesi di un census di forma radicalmente diversa, che avesse comportato nel computo l'inclusione di donne e bambini. Si può ragionevolmente sostenere, mi sembra, che il fatto che, in due casi, la tradizione liviana ricordi che il numero dei civium capita esclude gli orbi et orbae17 non dimostri soltanto, com'è ovvio, che la res publica doveva tener conto di vedove ed orfani a fini fiscali18, ma che vedove e orfani, non erano, né potevano ovviamente essere considerati come facenti parte dei civium capita al momento del lustrum. Ora, se la conclusione del census è ancora in età augustea il lustrum, è al l

    ustrum, più propriamente, che si riferisce, che si deve riferire la cifra che viene tradita. Sappiamo che l'attività di ricognizione ed enumerazione dei cittadini svolta nel corso del principato augusteo non ha, peraltro, previsto i soli tre censimenti ricordati da Augusto nelle Res gestae : ha anche previsto enumerazioni parziali, ο con finalità determinate19. Che Augusto ricordi solo tre census, dipenderà, allora, dal fatto che questi tre sono gli unici che hanno comportato il lustrum : sono gli unici, cioè, nei quali le forme repubblicane sono state, per quanto attiene alla natura del computo e alla cifra che ne consegue, pienamente rispettate20. Certo è assai significativo che

    17 Liv. Ili 3, 9 (a. 465); Per. LIX (a. 131). 18 Che la ragione della possibile inclusione dei pupilli, pupillae et viduae (o

    degli orbi et orbae) fra i civiwn capita sia il fatto che a queste categorie era imposto il pagamento délires equestre e dell'aes hordearium (Liv. I 43, 9; Cic. de rep. II 36; ad es. Mommsen, Staatsrecht, III, p. 236, 256 con n. 4; C. Nicolet, Tributimi. Recherches sur la fiscalité directe sous la République romaine, Bonn, 1976, p. 33 sg.) è certo e non sembra essere stato mai messo in discussione (non sembra tenerne conto Y. Schochat, Recruitment and the Programme of Tiberius Gracchus, Bruxelles, 1980, p. 17) : si discute, invece, se la loro esclusione dalla cifra globale dei civium capita debba considerarsi la norma ο l'eccezione e se vi sia, nel caso del censimento del 131, una qualche connessione tra l'attestata esclusione e il forte incremento nel numero dei civium capita registrato nel censimento successivo, del 125 a.C. : si vd. ad es. Mommsen, Staatsrecht IP, p. 365 η. 3; Beloch, Bevölkerung, p. 312 sg.; E. Gabba, Esercito e società nella tarda Repubblica romana, Firenze, 1973, p. 18 sg., n. 50 e 52; F.C. Bourne, The Gracchan Land Law and the Census, in Cl. Weekly, 45, 1952, p. 180-2, a p. 181; Toynbee, Hannibal's Legacy, I, p. 463 sg.; Brunt, Italian Manpower, p. 22, cfr. p. 114; e vd. sopra, η. 11, a proposito dell'ipotesi del Mazzarino sulla discrepanza fra il dato delle Res gestae e quello dei Fasti Ostienses per il census del 14 d.C. Naturalmente l'argomentazione avanzata nel testo farebbe propendere per la tesi sostenuta dai più, e cioè che di norma il dato del census escludesse i contribuenti che non fossero anche, allo stesso tempo, potenzialmente reclutabili.

    19 Si vd. ora Nicolet, L'inventario del mondo. Geografia e politica alle origini dell'impero romano, trad, it., Roma-Bari, 1989, p. 132 sgg. e ivi fonti.

    20 È ovvio, peraltro, che l'introduzione, verosimilmente con l'età cesariana, di una registrazione decentrata, effettuata dai magistrati municipali in concomitanza con le operazioni a Roma (vd. E. Lo Cascio, Le professiones della Tabula Heracleensis e le procedure del census in età cesariana, in Athenaeum, 78, 1990, p. 287-318, a p. 308 sgg.), abbia determinato una modificazione nei criteri di for-

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    Dionigi di Alicarnasso, in età augustea, descrivendo la cerimonia che chiude le operazioni del primo census, possa fare riferimento al fatto che ancora al suo tempo il lustrum, «compiuto dalla più sacra fra le archai», vale a concludere il census21. In queste condizioni, sembra quindi altamente improbabile che i civium capita computati in occasione di questi census che si sono conclusi con i tre lustra, possano essere stati qualche cosa di diverso dei civium capita repubblicani. Né, mi sembra - e mi permetto di dissentire in questo dal Nicolet -, potremo trarre una conferma alla tesi belochiana, secondo la quale il computo complessivo dei civium capita avrebbe compreso anche i minori, dall'espressione adoperata da Augusto nel primo editto di Cirene : di avere « trovato » quale fosse il numero dei cittadini romani della provincia έκ πάσης ή(λ)ικίας che avevano il censo di 10.000 sesterzi e potevano essere giudici22 : έκ πάσης ή(λ) ικίας sembra essere, infatti, espressione corrispondente a quella di έν ταΐς ήλικίαις, adoperata da Polibio, con l'uso del plurale, a indicare le «varie» classi di età di coloro che possono essere soggetti al servizio militare23, con la quale espressione andrà confrontato, ad esempio, l'uso demostenico ο aristotelico di ήλικίαι, a proposito dei coscrivibili ad Atene : Γήλικία, cioè, come «classe di età», cioè la classe di leva, dei nati in un anno determinato24. Dunque «di ogni

    inazione della lista complessiva dei civium capita e dunque anche dell'individuazione del numero complessivo dei civium capita : un numero che risultava ormai non già dalla somma dei cives nelle varie tribù, ma nei vari municipia coloniae praefecturae; né è escluso che lo stesso criterio della contestualità delle operazioni del censimento a Roma e nei municipia coloniae praefecturae sia stato abbandonato già coi census dell'età augustea (Lo Cascio, in Continuità e trasformazioni fra Repubblica e Principato. Istituzioni, politica, società, Bari, 1991, p. 81 sg., con riferimento a Pieri, op. cit., p. 188 sgg., e a Nicolet, L'inventario del inondo, p. 133 sg., e a proposito di quanto osservato da E. Gabba, / municipi e l'Italia augustea, ibid., p. 69 sgg.).

    21 Dion. IV 22, 2. Il riferimento al fatto che il lustrum venga compiuto dalla più sacra delle archai, e non dal censore, va naturalmente spiegato tenendo presente la natura dei poteri di Ottaviano poi Augusto nell'effettuare il census : si vd. Lo Cascio, Le professiones della Tabula Heracleensis, p. 307, n. 62 e letteratura ivi.

    22 FIRA I2, 68, I, 11. 4 sgg. 23 II suo uso è assai frequente in Polibio, e più volte con riferimento a Roma :

    lo si riscontra a 173, 1; 87, 3; II 23, 9; 55, 2; III 86, 11; IV 7, 10; 9, 1; 22, 8; 35, 2; VI 19, 5; XVI 36, 3; XXXVIII 15, 7; a II 23, 9 l'espressione risulta, chiaramente, fungibile con quella, adoperata a II 24, 16, di οί δυνάμενοι όπλα βαστάζειν, letterale traduzione di «qui arma ferre possent» : tra parentesi, tale fungibilità dimostra come l'idoneità a portare le armi, in quanto definita dalla formula «qui arma ferre possent» è l'idoneità, fisica, che consegue dall'avere una certa età, e non l'

    idoneità, economica, che consegue dall'avere un determinato census. 24 Cfr. L. Gallo, L'uso demografico delle Uste efebiche e mm testimonianza di

    Demostene, in ASNP, s. Ili, X, 1980, p. 403-12, a proposito di Dem. Phil. I, 21, e di Arist. Ath. Poi 53, 4 e 7.

  • LA DINAMICA DELLA POPOLAZIONE IN ITALIA 99

    classe di età» vorrà dire di ogni classe di età dalla quale si può trarre chi debba fare il giudice (o semmai ivi compresi anche quelli, dai 17 ai 25 anni, che non lo possono essere), ma certamente senza considerare le donne e i minori che non possono essere investiti di questa funzione. Inteso in questo senso, il dato dell'editto di Cirene inviterebbe, semmai, ad escludere, proprio per il riferimento all'uso che della lista dei cittadini «di ogni classe» Augusto deve fare per rinvenire coloro che abbiano un censo di 2.500 denarii, che il numero dei civium capita comprendesse donne e bambini.

    Si potrebbe, peraltro, sostenere che un paio di testimonianze esplicite del fatto che a essere enumerati erano ancora in età augu- stea i soli maschi adulti in realtà vi siano : un paio di testimonianze che, abbastanza stranamente, sembrano essere sfuggite, se non sbaglio, all'attenzione degli studiosi. La versione greca del Chronicon di Eusebio che leggiamo in Giorgio Sincello, in effetti, espressamente considera la cifra relativa agli enumerati del 14 d.C. come quella che si riferisce al numero complessivo degli άνδρες25. E questo stesso termine di άνδρες è adoperato pure da Suid., s.v. Αύγουστος Καίσαρ. È ovvio che non si può attribuire soverchio valore alla testimonianza di Sincello, dati i ben noti problemi che pone la ricostruzione di quale possa essere stata la redazione originaria del Chronicon26 e l

    'identificazione delle sue possibili fonti per questo genere di informazioni. Ma è parimenti vero che non c'è alcun motivo per supporre che la nutazione che leggiamo in Sincello e nel Lessico di Suidas debba essere, per questo specifico particolare, errata : né la versione armena ο quella geronimiana sembrano darci una qualche utile indicazione al riguardo.

    Ancor più gravi aporie sembra presentare la tesi belochiana, quando si considerino le sue implicazioni, diciamo, «demografiche» : quando, cioè, si scenda sullo stesso terreno che è programmaticamente alla base della ricostruzione del Beloch, il terreno, vale a dire, della verosimiglianza, della plausibilità. Al di là di qualsiasi argomento filologico, mi sembra che si possa dire che la soluzione belochiana va respinta precisamente per la stessa ragione per la quale è sembrato sinora che dovesse essere necessariamente accolta come l'unica soluzione possibile : perché è quella che pare configurare la situazione demograficamente meno plausibile27. A giustificare que-

    JS Eus. Chron., p. 146 Schoene (= Sync. 602, 17). 26 Si vd. A. A. Mosshammer, The Chronicle of Eusebius and Greek Chronog

    raphie Tradition, Lewisburg, Pa., 1979, cap. 1. : È certo assai significativo che la sostanza dell'argomentazione che viene

    svolta nelle considerazioni che seguono risultasse in qualche misura anticipata in una nota àeW Italische Bund, p. 78, proprio volta a contestare, attraverso l'utili/-

  • 100 ELIO LO CASCIO

    sta conclusione mi sembra che valga il seguente ragionamento. I demografi hanno costruito in questi ultimi decenni, a partire da una larga base empirica e valendosi del raffinamento delle tecniche di analisi demografica e di elaborazione statistica, una serie di «tavole di mortalità» tipo - le «model life tables» - e di modelli di strutture per età delle popolazioni, differenziati per i vari ambiti geografici28, che ci possono dire non già quali siano state le «statistiche vitali» delle popolazioni antiche ο come siano mutate nel tempo, ma quali sicuramente non possono essere state. Lo scopo immediato di tali «model tables», relative a popolazioni «stabili» (vale a dire a popolazioni con un tasso d'incremento costante ο al limite stazionarie, e dunque con un tasso di mortalità e un tasso di natalità costanti e con una costante distribuzione per età della popolazione) è quello di stimare le variabili demografiche per quelle popolazioni per le quali le informazioni sulle «statistiche vitali» siano incomplete ο inaccurate29. In sostanza, la costruzione di «model tables» per gruppi di popolazioni stabili consente di inferire dalla conoscenza di alcuni parametri tratti da dati esistenti, una stima del livello dei parametri ignoti per tutte quelle popolazioni che si avvicinano alla condizione della stabilità. Così, ad esempio, conoscendo la struttura per età di una popolazione femminile e conoscendone la speranza di vita alla nascita è possibile stimare il tasso di natalità e di conseguenza individuare il tasso di incremento della popolazione nel suo complesso. Oppure conoscendo la distribuzione per età della popolazione e il suo tasso d'incremento, si possono dedurre il tasso di natalità e il tasso di mortalità. Si può dire che il risultato più rilevante al quale consentono di pervenire le «model tables» è la possibilità di passare da «dati di situazione» (per esempio le statistiche censuali), a dati relativi all'intensità dei flussi, nell'ipotesi, appunto, della stabilità : un'ipotesi che va assunta, se non altro, per interpretare i trend di lungo periodo della popolazione, quando si supponga che non inter-

    zazione di un argomento «statistico», la possibilità che i civium capita di età au- gustea non fossero i maschi adulti, ma l'intera popolazione civica.

    28 Age and Sex Patterns of Mortality : Model Life Tables for Underdeveloped Countries, United Nations, Department of Social and Economic Affairs, Population Studies, n. 22, 1955; Methods for Population Projections by Sex and Age, United Nations, Department of Social and Economic Affairs, Population Studies, n. 25, 1956; Model Life Tables for Developing Countries United Nations, Department of International Social and Economic Affairs, Population Studies n. 77, 1982; A.J. Coale e P. Demeny, Regional Model Life Tables and Stable Populations , Princeton, 1966, New York, 19832.

    29 Sulla teoria della popolazione stabile, elaborata da Lotka all'inizio del nostro secolo, si veda, p. es., M. Livt Bacci, Introduzione alla demografia, Torino, 1981, p. 372 sgg., e C. Newell, Methods and Models in Demography , Londra, 1988, p. 117 sgg.

  • LA DINAMICA DELLA POPOLAZIONE IN ITALIA 101

    vengano fattori che determinino variazioni importanti nei tassi di fecondità e di mortalità, ovvero importanti movimenti migratori30.

    Quando la documentazione quantitativa è di dubbio valore statistico, quando presenta degli elementi di distorsione, l'uso delle «model tables» può consentire di saggiare, di testare la qualità e dunque la validità dei dati che si possiedono, la rappresentatività e l'entità delle distorsioni del campione : operazione, ovviamente, preliminare a quella di estrapolare, dai dati noti, una stima dei dati ignoti. Quando la documentazione manca del tutto, l'uso delle «model tables», se non può ovviamente consentire di pervenire a conclusioni positive, può consentire di rifiutare un'ipotesi, col dimostrare la sua implausibilità demografica31. Entro questi limiti le «model tables» si dimostrano utili anche per lo storico dell'antichità : e in effetti sono state largamente adoperate dagli studiosi del mondo antico, dopo i pionieristici lavori di Keith Hopkins32, come strumento euristico da porsi, in qualche misura, metodologicamente sullo stesso piano della documentazione comparativa, proprio per saggiare il valore di uno specifico tipo di documentazione, per esempio i dati sulla mortalità che possono trarsi dalle iscrizioni funerarie ovvero dai resti scheletrici, ο per saggiare la plausibilità demografica di specifiche ipotesi sulla diffusione di pratiche quali l'esposizione degl'infanti ο l'infanticidio".

    50 Si veda la limpida presentazione dell'uso delle «model life tables» nelle indagini di demografia storica fatta da M. Livi Bacct, Fonti e metodi per lo studio della demografia, in Comitato italiano per lo studio della demografia storica. Le fonti della demografia storica in Italia, 1972, 1, 2, p. 955-98, alle p. 973 sgg. (= Nuovi metodi della ricerca storica, Milano, 1975, p. 311-339, alle p. 324 sgg.); e Id., Sull'applicazione delle tecniche di analisi basate sulla teorìa della popolazione stabile agli studi di demografia storica, in Atti della XXV riunione della Società italiana di statistica, 1960, p. 917-32; Id., Una disciplina in rapido sviluppo : la demografia storica, in Quaderni storici 17, 1971, p. 279-98; vd. pure Τ. Η. Hollingsworth, Historical Demography, Londra, 1969, p. 339-53; E. Van de Walle, De l'emploi des modèles en démographie historique, in Annales de démographie historique, 1972, p. 153-77. Va da sé che la nozione stessa di popolazione «stabile» è un'astrazione, perché nessuna popolazione del passato ο del presente è effettivamente caratterizzata da un'assoluta costanza dei tassi di mortalità e di natalità ο è del tutto «chiusa» ai movimenti migratori.

    M Un'implausibilità che intanto può essere affermata, in quanto la struttura e la dinamica di una popolazione dipendono in larga misura da fatti biologici, che rendono comparabili le varie popolazioni, storiche ο contemporanee, e sono, in quanto tali, misurabili.

    32 Si vd. in particolare On the probable age structure of the Roman population , in Population Studies, 20, 1966-67, p. 245-64.

    " Si veda ora il quadro di sintesi offerto da T. G. Parkin, Demography and Roman Society, Baltimora e Londra, 1992, cap. 1, per i riferimenti e un'analisi del valore comparativo dei differenti tipi di testimonianze, che sembra essere, tuttavia, forse troppo pessimistico. Il ruolo centrale che le «model tables» possono avere nello studio della struttura, e della dinamica, delle popolazioni antiche è ri-

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    Dal momento che lo storico dell'antichità può fare almeno un'assunzione indiscutibile a proposito di almeno una variabile, il livello di mortalità, che non può ovviamente essere più basso di un certo limite, date le caratteristiche di popolazioni «pretransizionali» che presentano le popolazioni antiche34, si potrebbe dire che la ragione per la quale le «model tables» possono essere proficuamente utilizzate è perché esse danno la possibilità di delimitare i valori della fecondità e dell'incremento di popolazione che sono congruenti con quel livello di mortalità, se si suppone che la popolazione in quanto tale si perpetui. Uno specifico livello di mortalità, in effetti, determina l'arco dei possibili livelli di fecondità, nella misura in cui determina il minimo livello di fecondità che è necessario perché la popolazione non vada incontro a una rapida estinzione (il massimo teorico essendo il massimo biologico). Uno specifico livello di mortalità determina pure l'arco possibile dei tassi di incremento della popolazione, nella misura in cui determina il massimo tasso di incremento che una popolazione può conseguire, se la fecondità è al suo livello biologico massimo (il tasso di incremento 0, e cioè una s

    ituazione stazionaria, essendo quello in cui la fecondità è al minimo richiesto perché la popolazione non vada incontro all'estinzione). L'arco dei possibili livelli di fecondità e dei possibili tassi di incremento definisce anche l'arco delle possibili strutture per età della popolazione.

    Detto altrimenti : le «model tables» possono essere utili, per lo storico dell'antichità, non solo in quanto possono rivelare l'impossibilità dell'associazione, per esempio, di due ο più ipotesi specifiche sui dati di flusso, che di per sé e prese singolarmente potrebbero essere demograficamente plausibili, ma più specificamente in quanto esse possono mostrare qual è l'arco di valori della fecondità e del tasso di incremento della popolazione compatibili coi livelli di speranza di vita che possono essere assunti per il mondo greco-romano : livelli che devono essere comparabili con quelli vigenti in altre popolazioni pretransizionali. E in tal modo esse consentono anche di individuare quale possa essere l'arco di valori della struttura per età della popolazione compatibili con quei determinati livelli di speranza di vita.

    Nel nostro caso, le «model tables» parrebbero, dunque, offrire uno strumento per verificare l'accettabilità dell'ipotesi belochiana : parrebbero darci la possibilità di stimare, in modo più rigoroso di

    velato dallo spazio che il Parkin ha riservato alla loro presentazione nel cap. 2 del suo libro. Sul problema dell'infanticidio e della sua diffusione si vedano ora le considerazioni di J. M. Riddle, Contraception and Abortion from the Ancient World to the Renaissance, Cambridge, Mass. e Londra 1992, part. p. 10 sgg.

    34 Vd. anche infra, p. 118 sg.

  • LA DINAMICA DELLA POPOLAZIONE IN ITALIA 103

    quanto non fosse in grado di fare Beloch, quale possa essere l'arco di valori percentuali della proporzione dei maschi adulti, al di sopra dei diciassette anni, sul totale della popolazione, nel 28 a.C, date le ipotesi più probabili che si possono fare in merito alla mortalità caratteristica di tale popolazione. Rimane, certo, un problema : qual era la sex-ratio, il rapporto dei sessi, alla fine dell'età repubblicana? Le «model tables» normalmente adottate presuppongono, per tutti i livelli di mortalità, una preponderanza, più ο meno accentuata, delle donne, che è il risultato di una più elevata speranza di vita (ovvero di un più basso tasso di mortalità)35. E' un fatto biologico che, in ogni popolazione, il rapporto dei sessi alla nascita sia leggermente a favore del sesso maschile : nascono 105-107 maschi per 100 femmine. Ma questo vantaggio iniziale nella maggioranza delle popolazioni contemporanee è rapidamente compensato e di norma più che controbilanciato dalla maggiore mortalità maschile. Tuttavia, nelle stesse popolazioni contemporanee, per ragioni che costituiscono materia di discussione, vi sono eccezioni a questa regola; e in ogni caso una sex-ratio superiore a 1 sembra essere effettivamente rivelata dalla documentazione relativa a molte popolazioni europee dell'età tar- domedioevale e moderna, anche se non si può dire che si tratti di un fenomeno generalizzato36. Possiamo perciò ragionevolmente supporre che parimenti per le popolazioni del mondo antico vi possa essere stato talvolta uno squilibrio numerico a favore del sesso maschile : uno squilibrio di cui si è voluta tradizionalmente trovare una conferma nella documentazione epigrafica e, più di recente, in una particolarissima classe di documenti, qual è quella delle dichiarazioni al censimento restituiteci dai papiri egiziani37. Si è voluto anche trarre la conferma dell'esistenza di un tale squilibrio, precisamente per l'Italia dell'età augustea, da una ben nota osservazione di Cassio Dione, a proposito delle ragioni che sarebbero state dietro la politica

    35 II rapporto dei sessi, ο sex-ratio, viene calcolato di norma come il rapporto tra il numero dei maschi e il numero delle femmine : valori superiori all'unità implicano che i maschi sono maggioritari, valori inferiori all'unità implicano che maggioritarie sono le femmine.

    ip Si vd. i riferimenti in The size of the Roman population. î7Vd. in particolare, per la documentazione epigrafica, A. R. Burn, Hic

    breve vivitur. Λ study of the expectation of life in the Roman Empire, in P&P, 4, 1953, p. 2-31, alle p. 10-13; R. S. Bagnall e Β. W. Frier, The Demography of Roman Egypt, Cambridge, 1994 (sono grato a Roger Bagnall e a Bruce Frier per avermi permesso di leggere il loro libro prima della pubblicazione). Per un'equilibrata trattazione del problema della sex-ratio nel mondo romano, si vd. ora Parkin, Demograpliw p. 98 sgg.

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    matrimoniale del princeps, ma una simile conclusione, nel suo valore di generalizzazione, parrebbe illegittima38.

    In verità noi non abbiamo sufficienti elementi per decidere se il rapporto dei sessi, nella popolazione cittadina di età augustea, dovesse essere pari alo inferiore a 1 (dunque con prevalenza delle femmine) ο superiore a 1 (dunque con prevalenza dei maschi). In queste condizioni, sembra procedura legittima, nel tentare di stimare l'arco delle possibili percentuali dei maschi adulti sul complesso della popolazione totale, considerare non soltanto un arco ampio di valori della fecondità e dunque del tasso di incremento, ma anche valori differenziati della sex-ratio, del rapporto dei sessi. Ho tentato, valendomi dei dati che è possibile trarre dalle Regional Model Life Tables and Stable Populations, di Coale e Demeny, quelle normalmente utilizzate dagli storici dell'antichità, di stimare l'arco dei possibili valori percentuali del numero dei maschi adulti, oltre i 17 anni, in una «model population», la cui speranza di vita alla nascita, per le femmine, sia di 22,5 anni, in base alle possibili combinazioni dei valori del tasso di incremento e della sex-ratio39. L'arco di tali possibili combinazioni è indicato nella tabella 1. Che cosa rivelano i valori percentuali, per la popolazione maschile adulta, individuati? Che i maschi adulti, nel 28 a.C, se accettiamo la tesi belochiana che la cifra di 4.063.000 si riferisce alla popolazione complessiva, devono essere stati tra 1.134.000 e 1.544.000 (tabella 2). Nel 70 erano 910.000, ma a questa cifra dobbiamo aggiungere, ad avviso del Brunt, 70.000 unità, il numero, vale a dire, dei soldati oltremare che non sarebbero stati registrati40. Se la popolazione era stazionaria, vuoi dire che i maschi adulti dell'originario stock sarebbero dovuti essere, nel 28, lo stesso numero che nel 70, e cioè 980.000; ma il numero complessivo dei maschi adulti nel 28, se la popolazione era stazionaria, sarebbe dovuto essere tra 1.200.000 e 1.400.000 : è possibile ritenere che i maschi adulti della Transpadana, i «nuovi» cittadini delle colonie, nonché i manomessi, assieme ai loro discendenti, fossero appena 220.000-420.000? Se poi si ipotizza che la popolazione era in crescita al tasso credibile dello 0.5%, i 980.000 del 70-69 sarebbero stati, nel 28, attorno al 1.200.000, mentre il numero complessivo dei maschi adulti sarebbe dovuto essere di 1.130.000-1.300.000, dunque un

    38 Cfr. Brunt, Italian Manpower, p. 151, 155, 558, 561, a proposito di Cass. Dio LIV 16, 2; Lo Cascio, The size of the Roman population.

    39 1 valori sono calcolati a partire dalle Princeton Model Life Tables, West, level 2, per le femmine (con una speranza di vita alla nascita pari a 22,5 anni), e levels 2, 3, 4, per i maschi (con una speranza di vita alla nascita, rispettivamente, di 20,444, di 22,852, e di 25,26).

    40 Brunt, Italian Manpower, p. 97, tav. Vili.

  • LA DINAMICA DELLA POPOLAZIONE IN ITALIA 105

    numero pari q addirittura più esiguo : ciò che risulta ovviamente impossibile.

    Tab. 1

    Percentuali dei maschi adulti (oltre i Π anni) sulla popolazione totale (se la speranza di vita alla nascita è 22,5 anni per le femmine e 20,44 ο 22,85 ο 25,26 anni per i

    maschi) ai differenti tassi di incremento naturale (r). r = 0,5

    rapporto dei sessi = 0,96 27,9% rapporto dei sessi = 1,07 30,2% rapporto dei sessi = 1,18 32,3%

    /· = 0 29,6 32 34,2

    r -- - 0,5 31,3 33,8 36,1

    r = - 1 32,9 35,5 38

    Tab. 2

    Numero ipotetico dei maschi adulti (sopra i 17 anni) nel 28 a.C. in base alle varie ipotesi, se 4.063.000 era la popolazione totale.

    r = 0,5 rapporto dei sessi = 0,96 1.134.000 rapporto dei sessi = 1,07 1.227.000 rapporto dei sessi =1,18 1.312.000

    r = 0 1.203.000 1.300.000 1.390.000

    r = - 0,5 1.273.000 1.372.000 1.467.000

    r - - 1 1.337.000 1.442.000 1.544.000

  • 106 ELIO LO CASCIO

    Ma anche se ammettiamo che la popolazione fosse in declino, non perveniamo a risultati più plausibili. Se la popolazione scendeva dell'1% l'anno (un decremento che l'avrebbe fatto dimezzare nel giro di poco meno di settantanni), vuoi dire che l'originario stock dei maschi adulti nel 70, 980.000, si sarebbe ridotto a circa 640.000, laddove il numero complessivo dei maschi adulti sarebbe stato, nel 28, di 1.340.000-1.540.000. Se la popolazione scendeva dello 0,5% l'anno, vuoi dire che l'originario stock di 980.000 si sarebbe ridotto a circa 800.000, laddove il numero complessivo dei maschi adulti sarebbe stato, nel 28, di 1.270.000-1.470.000. La differenza tra 1.340.000-1.540.000 e 640.000, ο quella tra 1.270.00.000-1.470.000 e 800.000 potrebbe bene, a prima vista, avere rappresentato il numero dei maschi adulti fatti cittadini e non nati cittadini tra il 70 e il 28, coi loro discendenti. E tuttavia, la drastica diminuzione dello stock originario dei cives Romani che queste cifre presuppongono avrebbe significato, in realtà, un vero e proprio tracollo della popolazione libera della penisola. Il Brunt ha infatti valutato, con stima assai conservativa, come ora si vedrà, in 300.000 il numero dei maschi adulti nella Transpadana nel 28 e in 375.000 il numero dei maschi adulti nelle province sempre nel 2841 : se ipotizziamo che la popolazione scendesse dell'1% l'anno, i maschi adulti sarebbero stati, come si è detto, 1.340.000-1.540.000, e quelli che vivevano nella penisola sarebbero perciò stati appena 665.000-865.000; della popolazione cittadina complessiva, cioè 4.063.000, i cives della penisola sarebbero stati dunque appena 2.015.000-2.270.000. Se ipotizziamo che la popolazione scendesse dello 0,5% l'anno, i maschi adulti sarebbero stati, nel 28, 1.270.000-1.465.000, e quelli che vivevano nella penisola sarebbero stati 595.000-790.000, mentre nel complesso della popolazione cittadina i cives della penisola sarebbero stati appena 1.900.000-2.190.000. Considerando che le città dell'Italia, con l'

    esclusione della Transpadana, erano pressoché 380 in età augustea, secondo i calcoli di Nissen e di Beloch, e che la popolazione di Roma, anche in base alle stime più conservative, doveva comunque contenere parecchie centinaia di migliaia di cives, se davvero il numero complessivo dei cives Romani nella penisola fosse stato attorno ai due milioni, ciò avrebbe significato, in pratica, che nei decenni tra il 70 e il 28 i liberi dalle campagne d'Italia erano letteralmente scomparsi. Ora, possiamo davvero ritenere che, nelle campagne di tutta la penisola, i liberi fossero, tra il 70 e il 28, scomparsi?

    È interessante osservare che il Brunt è costretto, per superare la difficoltà che pone l'esiguità del numero dei maschi adulti nel 28,

    Ibid., p. 117, 202, 233, 264.

  • LA DINAMICA DELLA POPOLAZIONE IN ITALIA 107

    non solo a ipotizzare che la percentuale dei maschi adulti nel complesso della popolazione sarebbe salita (per ragioni dal Brunt non esplicitate) dal 28-31% del terzo secolo, al 35% in età augustea, ma anche a fare due altre supposizioni che non paiono molto plausibili : la prima è che i bambini al di sotto dell'anno di età non sarebbero stati registrati; la seconda è che la percentuale degl'incensi, dei non registrati, sarebbe salita da un 18% del 70-69 a un 25% ο più dell'età augustea42. Come si è veduto, tuttavia, porre al 35% la percentuale dei maschi adulti nel 28 significa ipotizzare che la popolazione dei cives era non solo caratterizzata da un'elevatissima «mascolinità», ma era anche in forte declino (a meno di non voler attribuire alla popolazione romana le caratteristiche di una popolazione post-transi- zionale, con un'assai elevata speranza di vita alla nascita)43. Né vi sono indizi probanti che valgano a rendere plausibile la seconda supposizione44 : non si vede peraltro il motivo per il quale al sui iuris che dichiarava se stesso e la sua famiglia dovesse essere suggerito, ο peggio imposto, di non dichiarare il figlio ο la figlia che non avesse compiuto l'anno ο a chi accoglieva la professio di non registrare l'infante45. Quanto alla terza supposizione, che la percentuale degli in-

    42 Ibid., p. 59, 97, tav. Vili, 116 sg. e il Postscript alla ristampa del 1987, p. 717, 719.

    41 Va osservato che, a calcolare nel 35% la proporzione dei maschi adulti nel complesso della popolazione cittadina, era già il Beloch, Bevölkerung, p. 376, cfr. p. 42 sg., sulla base del confronto con la situazione della Francia contemporanea, che, affetta da una «crise de natalité», presentava una popolazione più «vecchia», nella sua struttura per età, di quella degli altri paesi europei considerati dal Beloch, la Germania, l'Inghilterra, l'Italia e la Grecia : e va osservato che la speranza di vita alla nascita, in una popolazione «pretransizionale» come quella romana, non poteva certo raggiungere il livello che avrebbe raggiunto nella Francia della fine del secolo scorso.

    44 II Brunt ritiene che possa considerarsi tale il ins anniculi : il Latino Iunia- no, che avesse titolo a divenire cittadino per il fatto di avere un figlio, avrebbe dovuto aspettare che il figlio avesse un anno per ottenere la cittadinanza : Gai. 1, 29; Ulp. 3, 3. Ma Y anniculi probatio (su cui cfr. da ult. P. R. C. Weaver, Where have alltheJunian Latins gone? , in Chiron, 20, 1990, 275-305, a p. 277, 280, 299 sg; Id., Children of Freedmen (and Freedwomen) , in B. Rawson (ed.), Marriage, Divorce, and Children in Ancient Rome, Oxford, 1991, 166-90, a p. 183, 186) valeva, per l'appunto, a consentire la registrazione come civis del padre Latino iuniano (e, se necessario, della madre) del bambino, non del bambino stesso : è certo sintomatico che quest'ultimo, se nato da una civis, non aveva bisogno di attendere il compimento dell'anno per essere considerato tale : «si uxor civis Romana sit», dice Ul- piano, «partus quoque civis Romanus est ex senatus consulto, quod auctore divo Hadriano factum est». Detto altrimenti : non mi sembra che Y anniculi probatio possa dirci qualcosa sui criteri di registrazione degli infanti al census o sulla loro inclusione ο esclusione dal novero dei civium capita.

    4' Certo, farebbe propendere per una registrazione anche degli infanti il fatto che proprio con l'età augustea venga introdotta una specifica procedura per la re

    gistrazione dei nuovi nati (cfr. Nicolet, L'inventario del mondo, p. 134 sg, con

  • 108 ELIO LO CASCIO

    cerisi, dei non censiti sia salita dal 70-69 al 28, essa sembra senz'al- tro contraddetta da quanto il Nicolet, in acuti lavori recenti, ha potuto mettere in rilievo, e che portano a postulare una maggiore efficienza, rispetto al passato, dei meccanismi di registrazione censi- taria proprio in età augustea46.

    Va, peraltro, rilevato come, anche facendo le implausibili supposizioni che si sono dette, Brunt si trovi a mal partito con le stime possibili della Transpadana : egli afferma che, attorno al 200 a.C, la Cisalpina ha potuto contare dai 300 ai 500.000 maschi adulti e che «peace, prosperity, and the reclamation of cultivable land could undeniably have raised the number to over 1 million by 49 B.C.» (che è la stima del Frank), anche se «we lack evidence that they did»47; ma, alla fine, egli non può attribuire, nei suoi calcoli, alla Transpadana più di 300.000 maschi adulti48. Ora, è proprio questa bassa valuta- zione della popolazione della Transpadana che consente al Brunt di accogliere la tesi belochiana : Brunt sostiene che, per potere decidere tra le stime alternative che sono state proposte della popolazione della Cisalpina, la stima ribassista e quella avanzata dal Frank (1.000.000 di maschi adulti nel 49 a.C), e dunque per stabilire se sia probabile ο meno che la Cisalpina fosse nel I secolo densamente popolata, il «survey» delle condizioni economiche della regione che lui stesso ha condotto nel XIII capitolo di Italian Manpower non risulta dirimente e che «we must end by accepting the estimate that agrees best with the hypothesis about Italian population as a whole which is most reasonable on other grounds»49. Il pericolo della circolarltà dell'argomentazione sembra evidente, come risulta dalla maniera nella quale questo medesimo ragionamento viene ora ripetuto da Jongman, nel suo libro recente su Pompei50. Ricordando le stime

    n. 39, p. 148, e ivi lett.), che prevede che la dichiarazione debba essere effettuata «intra tricensimum diem» {H.A. Vita Marci, 9, 7-9); mi sembra anche significativo il valore che assume la cerimonia del dies lustricus (su cui vd. da ult. ad es. Th. Wiedemann, Adults and Children in the Roman Empire, Londra, 1989, p. 17, 44 n. 23), l'ottavo ο il nono giorno dalla nascita, come quella che in qualche misura segna, con l'attribuzione del nome, l'ingresso del nuovo nato nella comunità : non è casuale che la cerimonia avvenga dopo la prima settimana di vita, quando il periodo più critico dopo la nascita è stato superato (cfr. Wiedemann, ibid.).

    46 C. Nicolet, L'inventario del mondo, cap. VI; vd. pure Id., Centralisation d'Etat et problème du recensement dans le monde gréco-romain, in Culture et idéologie dans la genèse de l'État moderne, Actes de la Table ronde, Rome 1984, Roma, 1985, p. 1-24.

    47 Italian Manpower, p. 198. "Ibid., p. 117, 202. AUbid., p. 166. 50 W. Jongman, The Economy and Society of Pompeii, Amsterdam, 1988,

    p. 66.

  • LA DINAMICA DELLA POPOLAZIONE IN ITALIA 109

    che lo stesso Beloch ha prospettato della popolazione dell'Italia nella prima età moderna, in base alle quali la popolazione dell'Italia settentrionale sarebbe stata il 46% della popolazione complessiva dell'Italia escluse le isole nel 1550 e il 43% un secolo dopo, Jongman rileva che, dunque, rispetto all'età romana, «the big increase has been in the north, an increase which is responsible for nearly all the differences with antiquity» e che «to the extent that early modern Italian population is larger than that of antiquity, this is not the result of further larger increases in high density areas, but of the spread of the high density pattern into northern Italy» : dove ciò che appunto bisognerebbe dimostrare è che una tale diffusione non si sia già per avventura potuta realizzare (sia pure solo in parte) alla vigilia dell'età augustea.

    Un altro forte argomento contro la ricostruzione di Beloch e di Brunt è, infine, che tale ricostruzione deve inevitabilmente presupporre un rapporto numerico tra popolazione urbana e popolazione rurale, impensabile in una situazione premoderna. Porre la popolazione libera dell'Italia attorno ai quattro milioni in età augustea, dal momento che una spinta decisa verso l'urbanizzazione nel corso degli ultimi due secoli dell'età repubblicana e segnatamente nel cinquantennio successivo alla Guerra sociale (come fenomeno indotto dalla municipalizzazione) non può seriamente essere messa in discussione51, significa, infatti, necessariamente dover supporre non solo, come si è visto, che la sostanziale stazionarietà ο persino diminuzione della popolazione libera dell'Italia implichi un drammatico decremento della popolazione libera delle campagne - quel drammatico decremento cui si associerebbe la crisi della piccola proprietà contadina, ma supporre anche che la popolazione urbana rappresenti una percentuale dell'intera popolazione, che appare essere ir- realisticamente elevata per un'economia preindustriale. Così, ad esempio, il modello che Keith Hopkins ha costruito delle interrelazioni fra i principali processi sociali ed economici che interessano l'Italia nel periodo in cui Roma acquisì un impero, si basa sostanzialmente sull'ipotesi di un crollo della popolazione libera delle campagne e di una concomitante crescita delle popolazioni urbane d'Italia (o, per dirla con Hopkins, della popolazione non impegnata nelle

    attività agricole) e in particolare di Roma52. Se prendiamo la 'cifre congetturali' prospettate da Hopkins, rileviamo, così, che da una st

    ima della popolazione libera dell'Italia nel 225 a.C. (ivi compresa la Gallia cisalpina) di 4.500.000 si passa a 4.000.000 nel 28 a.C; ma,

    M E. Gabba, Urbaìiizzazione e rinnovamenti urbanistici nell'Italia centro-meridionale del 1 sec. a.C, in SCO. 21. 1972, p. 73-112.

    -Conquerors and Slaves, cap. I.

  • 110 ELIO LO CASCIO

    nel contempo, da una stima della popolazione rurale libera di 4.100.000 nel 225 si passa a 2.900.000 nel 28, con una diminuzione, dunque, del 30%53. Il fatto è che Hopkins non può porre la popolazione totale dei centri urbani (ivi compreso l'elemento servile) al di sotto di un certo livello, se i centri urbani sono più di quattrocento in età augustea, e alcuni sicuramente di notevoli dimensioni, talché deve supporre che nel 28 a.C. essa sia pari nientemeno che al 32% della popolazione totale della penisola, una percentuale che egli stesso è costretto a riconoscere «very high for a pre-industrial state, though of course Rome was the capital of the empire, not just of Italy»54. Ora è proprio una simile conclusione che suscita perplessità. È vero che l'approvvigionamento alimentare di Roma grava, in misura preponderante già dall'acquisizione della Sicilia e della Sardegna e poi dell'Africa, sulle risorse delle province, ma potrà dirsi la stessa cosa per le quattrocentotrenta città55, grandi e piccole, della penisola? Il milione di abitanti, tra liberi e schiavi, delle altre città d'Italia, nella misura in cui non era costituito da agricoltori residenti nei centri urbani56, avrebbe dovuto essere sostentato da una popolazione rurale (sempre tra liberi e schiavi) di 4.100.000 : un rapporto difficilmente credibile, se è vero che, come mette in rilievo Ester Bose- rup, in una società preindustriale non si da urbanizzazione accentuata di un territorio, se ad essa non corrisponde una crescita consistente della popolazione rurale del territorio stesso57. A questa

    " Si veda la tabella 1.2, ibid., p. 68 sg. 54 Ibid. , p. 69 η. h. La stima, prospettata da Hopkins, della «urban popula

    tion» dell'Italia, esclusa Roma (cui sono attribuiti 600.000 abitanti liberi), è, peraltro, assai bassa : appena 500.000.

    55 Duncan-Jones, The Economy of the Roman Empire, p. 338 (in base a Nissen).

    56 Andrà peraltro messo in rilievo che le definizioni di popolazione urbana e popolazione rurale, nel quadro prospettato da Hopkins, «indicate the type of job- non-agricultural/agricultural rather than the place of residence. Thus a peasant living in a town but working in his fields counts as rural» : p. 69 n. e. Naturalmente ciò significa anche che coloro che non sono impegnati in attività primarie e che non vivono tuttavia in città sono pure calcolati come facenti parte della popolazione urbana. Ora è stato stimato da P. Bairoch, Urbanization and the findings of two decades of research, in The Journal of European Economic History, 18, 1989, p. 239-90, a p. 266, che, in generale nel mondo preindustriale, «the percentage of non-agricultural activities exceeded the proportional weighting of the urban population by 4 to 5 percentage points » : se ciò può considerarsi vero anche nel caso dell'Italia romana, ne dovremo dedurre che la popolazione effettivamente residente nelle quattrocentotrenta città d'Italia, in base alla stessa stima di Hopkins, dev'essere computata in una cifra sensibilmente inferiore a 1.000.000!

    57 A meno che non vi sia un incremento consistente nella produttività agricola, un'autentica crescita urbana e un alto grado di urbanizzazione possono conseguirsi solo a patto che la stessa popolazione rurale si incrementi : vd. E. Bose- rup, Population and Technology , Oxford, 1981, cap. 6; vd. pure, ad es., E. A. Wri-

  • LA DINAMICA DELLA POPOLAZIONE IN ITALIA 111

    stessa conclusione invita, peraltro, il materiale comparativo. Nell'Inghilterra del 1700, a fronte di una popolazione complessiva stimata in 5.800.000, la popolazione rurale (in centri con meno di 2.500 abitanti) era pari a 4.800.00058. Ancora nella Bulgaria degli anni '30 del nostro secolo, i due terzi della produzione agricola venivano consumati all'interno dell'azienda59 : sebbene l'economia italica del I sec. a.C. fosse relativamente più monetarizzata e l'ambito dei rapporti mercantili fosse relativamente più ampio che in altre situazioni del mondo antico, non possiamo evidentemente supporre che il settore dell'autoconsumo assorbisse, in tutta la penisola, una quota così ristretta della produzione, quale sarebbe quella che potrebbe essere coerente con le stime congetturali proposte da Hopkins.

    Vi sono, dunque, come sembra, solidi motivi per ritenere che l'ordine di grandezza della popolazione libera dell'Italia nell'età au- gustea non può essere stato di 4 milioni, bensì di una cifra decisamente superiore, non lontana presumibilmente dai 12, con una densità dell'ordine di 40 abitanti per kmq. Una tale stima della popolazione libera, a meno di non volere pensare a un livello di popolazione complessiva certamente irrealistico, deve naturalmente portare a considerare nettamente minoritario il peso dell'elemento servile nel complesso della popolazione. Si può altresì sostenere che, rispetto alla situazione del 225 a.C, com'è attestata dal celebre luogo del secondo libro di Polibio nel quale è contenuta la rassegna delle forze militari che Roma, con i suoi alleati, può opporre all'invasione celtica60, la popolazione della penisola risulterebbe in tal modo essersi accresciuta a un tasso d'incremento ben al di sotto dello 0,5%

    gley, Brake or Accelerator? Urban Growth and Population Growth before the Industrial Revolution , in A. D. Van Der Woude, A. Ayami e J. de Vries, Urbanization in History. A Process of Dynamic Interaction, Oxford, 1990, p. 101-12. Ora, è certo legittimo postulare un processo di forte efficientizzazione dell'economia agraria in Italia nella Tarda Repubblica ed è possibile che un simile processo, in una qualche misura, aiuti a spiegare l'incremento del numero e delle dimensioni dei centri urbani (laddove di effettivi centri urbani si trattava, e non di creazioni in qualche modo artificiali, legate al processo di municipalizzazione, e dunque caratterizzate da una presenza pressoché esclusiva di edifici pubblici, che servivano gl'insediamenti sparsi circostanti), e ciò in base a quello che De Vries ha definito lo «specialization model» della crescita urbana (J. de Vries, The Dutch Rural Economy in the Golden Age, 1500-1700, New Haven, 1974, p. 4 sgg.), ma sarebbe imprudente ipotizzare che un tale tipo di urbanizzazione fosse davvero diffuso, com'è certo un errore considerare le città greche e romane «normali» ο «tipiche» come semplici «agro-towns» : vd., per l'Italia romana, quanto mette in rilievo P.D. A. Garnsey, Where did the Italian Peasants live?, in PCPS n.s., 25, 1979, p. 1-25.

    x D. Grigg, La dinaniica del mutamento in agricoltura, Bologna, 1985, tab. 29 a p. 242.

    '"Ibid., p. 116. '" Poi . II 23 sg.; da Beloch, a Toynbee, a Brunt, a Hopkins il luogo polibiano

  • 112 ELIO LO CASCIO

    l'anno, dunque a un tasso perfettamente realistico in una popolazione pretransizionale, per un periodo di tempo così lungo e per un'area così vasta.

    Ora, qual è il trend della popolazione della penisola successivamente, nel corso della prima età imperiale? abbiamo elementi per ipotizzare un suo ulteriore incremento? e se sì, di che ordine di grandezza? Che la popolazione dell'impero nel suo complesso, in conseguenza dello stabilimento della pax Augusta, abbia sperimentato un regolare incremento è tesi generalmente condivisa e in tempi recenti sostenuta, ad esempio, da Vittinghoff, da Pieket, da Frier e, con riferimento specifico all'Italia, dal D'Arms61. Andrà osservato che questo era il parere dello stesso Beloch, che, in un saggio di alcuni anni successivo alla Bevölkerung, riteneva di dover porre l'acme del popolamento dell'impero nell'età di Caracalla62. Il Brunt ritiene, viceversa, che qualunque ipotesi sull'evoluzione della popolazione dopo Augusto non possa che essere mero guesswork63; ma è forse possibile ritenere una tale scettica valutazione troppo pessimistica.

    Qualche indicazione parrebbe, intanto, poterla fornire il dato archeologico. L'indagine di superficie parrebbe testimoniare una certa varietà di situazioni regionali, che potrebbe in parte essere il portato di diversità nell'evoluzione demografica delle singole aree, anche se il semplice dato quantitativo derivante dalla ricognizione di superficie, oltretutto non effettuata con i medesimi criteri e la medesima completezza nella raccolta della documentazione nelle varie aree, dai primi surveys postbellici a quelli odierni, non può automaticamente e semplicisticamente interpretarsi come una «proxy» dell'entità del popolamento. Nell'Etruria meridionale, il picco dell'intensità nell'occupazione si raggiunge precisamente nella prima età imperiale, tra il primo e il secondo d.C. E sarebbe rilevabile una differenza tra Yager Veientanus e il territorio di Capena e di Sutri : nel primo sarebbe attestata la sparizione di alcuni siti nel I-II sec. d.C,

    rappresenta, com'è comprensibile, il termine di paragone più significativo dei dati desumibili dalle cifre dei censimenti nonché quello che consente di integrarli.

    61 F. Vittinghoff, Demogmphische Rahmenbedingungen , in Handbuch der europäischen Wirtschafts- und Sozialgeschichte, I, hrsg. v. F. Vittinghoff, Stoccar- da, 1990, p. 21 sg.; H. W. Pleket, Wirtschaft, ibid., p. 47 sg., 56 sg.; B.W. Frier, Demography , di prossima pubblicazione in CAH2 (sono grato a Bruce Frier per avermi consentito di leggere il suo contributo in dattiloscritto), che ipotizza un modesto incremento nell'impero nel suo complesso, ma ritiene «stagnant» la popolazione dell'Italia; J. D'Arms, Italien, in Handbuch der europäischen Wirtschafts- und Sozialgeschichte, cit., I, p. 382.

    62 100 milioni è la sua stima : Die Bevölkerung ini Altertum, in Zeitschrift für Sozialwissenschaft , 2, 1899, p. 618 sgg. (trad, it, in Biblioteca dell'economista , V s., XIX [Scritti di statistica teorica e applicata], 1908, p. 464 ss.).

    63 Brunt, Italian Manpower, Postscript alla ristampa del 1987, p. 718.

  • LA DINAMICA DELLA POPOLAZIONE IN ITALIA 113

    ma la contemporanea comparsa di altri, con una continuità numerica, com'è stato osservato, anche se non fisica; viceversa nei territori più a nord si avrebbe un'espansione dell'insediamento a territori sinora rimasti liberi, dunque verosimilmente una spinta all'occupazione di terreni marginali64. Sempre in Etruria, Yager Cosanus parrebbe avere una storia diversa, con un incremento delle ville e un decremento dei siti più modesti. La bassa valle dell'Albegna presenterebbe una situazione analoga a quella del vicino ager Cosanus; tuttavia, più a monte, attorno a Magliano, la situazione sarebbe simile a quella che si rileva attorno a Capena, dunque con occupazione di terreni marginali nel corso della prima età imperiale65. Un'estensione e un'intensificazione dell'insediamento rurale sarebbe testimoniata, parimenti, per i primi due secoli dell'età imperiale in talune zone della bassa Pianura Padana. In queste aree, una grossa contrazione nel numero dei siti occupati si rileverebbe con il terzo secolo66. Altre zone dell'Italia appenninica presentano un quadro diverso : così, la valle del Biferno, nel Molise, sembra registrare un abbastanza consistente decremento del numero dei siti dall'età tardo- repubblicana al secondo secolo67. Tuttavia, né questi sviluppi che interessano queste aree appenniniche, né quello che interessa Yager Cosanus, sono stati intesi come quelli che testimoniano un declino della popolazione. Nella valle del Liri l'intensità dell'insediamento non varia con gl'inizi dell'età imperiale, ma solo con il terzo secolo, e drammaticamente68. A Buccino, nel Salernitano, la densità dell'occupazione non sembra conoscere soluzioni di continuità sino al quarto secolo, mentre nel Potentino si osserva uno iato nel terzo secolo e una ripresa nel quarto69. Nella zona del Massico e del bacino

    m Potter, Storia cit. (η. 1), p. 145 sg.; M. Celuzza e E. Regoli, La Valle dell'Oro nel territorio di Cosa : ager Cosanus e ager Veientanus a confronto, in DdA 4, 1, 1982, p. 31-62, alle p. 54 sgg.

    65 S.L. Dyson, Settlement Patterns in the Ager Cosanus : the Wesleyan University Survey 1974-1976, in Journal of Field Archaeology , 5, 1978, p. 251-68; Id., Settlement Reconstruction in the ager Cosanus and the Albegna Valley : Wesleyan University Research 1974-79, in G. Barker e R. Hodges, Archaeology and Italian Society (BAR, 102), Oxford, 1981, p. 269-74; M. Celuzza e E. Regoli, La Valle dell'Oro cit., part. p. 41 sgg.; F. Cambi e E. Fentress, Villas to Castles : First Millennium A.D. Demography in the Alhegna Valley, in Κ. Randsborg (ed.), The Birth of Europe, cit. (η. 1), ρ, 74-85.

    otl M. Calzolari, Territorio e insediamenti nella bassa pianura del Po in età romana, Verona, 1988, p. 50, 93 sg,

    bl G. Barker, G. Lloyd e D. Webley, A Classical Landscape in Molise, in PBSR 46, 1978, p. 42 sg.; Id., The Italian Landscape in the First Millennium A.D. cit. (η. 1).

    h8 E. M. Wightman, The Lower Liri Valley : Problems, Trends and Peculiarities, in G. Barker e R. Hodges, Archaeology and llalicui Society (BAR, Int. Sei . 102), Oxford, 1981, p. 275-87,

    niS.L. Dyson, The Roman Villas of Buccino, cit. (η. 1), ρ, 190; CM. Roberto

  • 114 ELIO LO CASCIO

    del Garigliano vi sarebbe una «unprecedented demographic explosion» nella tarda repubblica, ma un avvio al declino, dal picco raggiunto nell'occupazione degli stessi terreni marginali, già a partire dalla metà del I secolo a.C, mentre tra il secondo e il terzo secolo d.C. il 70% dei siti abitati nel corso della prima età imperiale viene gradualmente abbandonato70.

    La varietà delle situazioni regionali rende, come si vede, estremamente complesso individuare, nella specificità dei singoli casi, la ragione di queste variazioni nel tempo dell'intensità dell'occupazione e problematico vedervi sempre un riflesso, sia pure mediato, della densità demografica. E tuttavia un dato sembra indiscutibile : che alcune aree dell'Italia centrale abbiano sperimentato un'estensione dell'occupazione a terreni prima non utilizzati per la coltivazione proprio tra il I e il II sec. d.C, ciò che parrebbe potersi interpretare come segno di una consistente pressione demografica in quelle aree e in quel tempo.

    Al di là della controversa documentazione archeologica, a me sembra, comunque, che una qualche indicazione su quale sia il trend demografico della prima età imperiale la possano offrire per l'appunto i risultati dei tre censimenti augustei e quello, a noi noto da Tacito, del censimento effettuato da Claudio nel 47 d.C. (la cifra data da Tacito va senz'altro preferita ai diversi dati presenti, per questo stesso censimento, in Eusebio e in Girolamo)71. Queste quattro cifre attestano un incremento complessivo, in settantacinque anni, dell'ordine del 50%, ο cioè dell'ordine del 5 per mille annuo. Ma nel corso del periodo, l'incremento del numero dei civium capita non è uniforme. Così, si può calcolare che il tasso d'incremento dal 28 all'8 a.C. è dell'ordine del 2 per mille, sale al 7,3 per mille per il periodo 8 a.C. -14 d.C. ed è del 5,7 per mille per il periodo 14-48. Naturalmente in questo incremento del numero dei cittadini è compresa una quota, di dimensioni difficilmente valutabili, che non pertie- ne a un incremento naturale, ma all'estensione della cittadinanza attraverso le manomissioni ο a seguito della fondazione di colonie in provincia ο ancora a seguito della concessione della cittadinanza alle elites delle comunità di diritto latino. In più, bisogna, ovviamente, tenere presente che il dato relativo ai civium capita non si riferisce comunque esclusivamente all'Italia e oltretutto comprende e dunque

    e A. M. Small, Recherche topographique autour de S. Giovanni di Ruoti (province de Potenza) Italie di Sud, in D. R. Keller e D. W. Rupp (ed.), Archaeological Survey in the Mediterranean Area (BAR, Intern. Ser. 155), Oxford, 1983, p. 187.

    70 P. Arthur, Romans in Northern Campania, Londra, 1991, p. 84, 101, 103. 71 5.984.072 : Tac. Ann. XI 25; 6.941.691 : Eus. Chron. Arm., sub Ol. 206, 2;

    6.944.000 : 1er. Chron., sub Ol. 206, 1.

  • LA DINAMICA DELLA POPOLAZIONE IN ITALIA 115

    cela l'emigrazione dalla penisola. Il Brunt ha potuto fornire qualche stima del numero dei cittadini oltremare nei momenti dei census del 28 a.C, dell'8 a.C. e del 14 d.C. : i cives Romani domiciliati nelle province sarebbero, compresi donne e bambini, attorno a 1.210.000 nel 28 a.C, 1.855.000 nell'8 a.C. e 1.870.000 nel 14 (il Brunt qui ipotizza, peraltro, diversamente che per l'Italia, una percentuale dei maschi adulti sulla popolazione totale, del 31% e non del 35%)72. Conforme alla sua generale interpretazione dei censimenti augustei, il Brunt deduce, dall'incremento di 660.000 di cittadini oltremare tra il 28 e il 14 d.C, che l'incremento complessivo che si registra nel numero dei civium capita tra i due censimenti (di più ο meno 870.000) vada in larghissima misura spiegato come il portato di un incremento del numero dei cittadini domiciliati in provincia. Andrà peraltro, incidentalmente, osservato che, qualora dovessero ammettersi, congiuntamente, queste stime del numero dei cittadini fuori d'Italia e le stime del numero complessivo dei civium capita fornite dal Brunt, in base alla sua interpretazione dei censimenti augustei, ne risulterebbe che, tra il 28 e Γ8, la popolazione dell'Italia sarebbe scemata pressoché del 12%, mentre si sarebbe incrementata, dall'8 a.C. al 14 d.C. del 21% : con un decremento, nel primo periodo, pari allo 0,6% l'anno, e con un incremento, nel secondo periodo, pari ali' 1,1% l'anno - decremento e incremento che, nella loro consistenza, sarebbero entrambi difficilmente spiegabili (un'ulteriore prova dell'implausibilità della interpretazione di Beloch e Brunt dei censimenti augustei)73. Qualora si interpretino le cifre augustee come quelle che indicano i soli maschi adulti, l'incremento complessivo, tra il 28 a.C. e Γ8 a.C, sarà di 560.000 unità (se si calcolano nel 30% i maschi adulti sul complesso della popolazione), interamente imputabile all'incremento del numero dei cittadini nelle province, laddove quello, sempre complessivo, tra Γ8 a.C. e il 14 d.C, sarà di 2.350.000, di cui una percentuale trascurabile sarebbe da imputare all'incremento del numero dei cittadini domiciliati fuori d'Italia. Si potrebbe essere tentati di vedere nell'assai diverso tasso di crescita tra il 28 e Γ8 rispetto a quello tra Γ8 e il 14 d.C, un qualche riflesso delle difficoltà che avrebbero condotto alla legislazione matrimoniale augustea74, anche se una tale connessione rimane pur sempre problematica, dato che

    1 Italian Manpower, p. 264 sg. " II Brunt, Italian Manpower, p. 119 sg., è consapevole della difficoltà che

    pone il diverso tasso di accrescimento tra il 28 e Γ8 a.C. e tra Γ8 a.C. e il 14 d.C. attestato dalle cifre dei censimenti, ma tende a spiegarlo come il portato di una «more complete registration».

    74 Oltre che, ovviamente, per la diversità nel trend tra l'Italia e province, un riflesso dell'emigrazione : il Brunt, Italian Manpower, p. 264, calcola in circa due terzi i cittadini romani nelle province, nel 14 d.C, che non sono di estrazione pro- \ inciale.

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    l'obiettivo di tale legislazione erano di fatto le classi elevate75. In conclusione potremo calcolare (ipotizzando trascurabile la percentuale degl'incensi) che il numero complessivo dei cittadini sia attorno ai 13.500.000 nel 28 a.C, attorno ai 16.400.000 nel 14 d.C. : di questi 1.250.000 sarebbero fuori d'Italia nel 28 a.C, 1.930.000 fuori d'Italia nel 14 d.C; potremo allora calcolare la popolazione dell'Italia in 12.250.000 nel 28 a.C e in 14.470.000 nel 14 d.C., e il tasso del suo incremento nel 4,1 per mille : un tasso assolutamente plausibile, quando si consideri che un tale incremento include una percentuale difficilmente valutabile di manomessi. Nel 48 d.C. il numero complessivo dei cittadini romani dell'Italia e delle province, ivi compresi donne e fanciulli, sarebbe stato di 20.000.000, con un incremento complessivo, rispetto al 14 d.C, del 22% e un tasso di incremento annuo del 5,7 per mille : anche in questo caso un tasso plausibile, giacché in questa cifra è compresa la quota degl'incrementi del numero dei cittadini derivanti dall'estensione della cittadinanza e dalle manomissioni.

    Ora quali sarebbero gli effetti di tassi d'incremento dell'ordine del 4-5 per mille? in assenza di eventi disturbatori - se la popolazione è stabile ο si approssima alla condizione della stabilità -, tassi di questo genere significano un raddoppio in più ο meno un secolo e mezzo. Ma si può davvero considerare plausibile che la popolazione dell'Italia, nei primi decenni del II secolo, avesse raggiunto un livello pari al doppio di quello del 28 a.C? Per tentare di dare una risposta a questa domanda, dobbiamo porcene un'altra : quali possiamo supporre che siano le determinanti della dinamica demografica, nella specifica situazione «pretransizionale» dell'Italia romana? Il dibattito teorico, a proposito dell'evoluzione demografica delle popolazioni preindustriali, è assai vivace. Si potrebbe dire che esso si muova attorno al problema se debba accogliersi una prospettiva malthusiana, che vede nelle risorse la variabile indipendente e nella dinamica demografica la funzione, ovvero se debba accogliersi una prospettiva che rovescia questo rapporto, vedendo, come fa la Boserup, nella dinamica demografica la variabile indipendente e nelle risorse (e cioè l'estensione dell'area coltivata e l'intensità delle colture), al contra-

    75 Tanto più se si accoglie la tesi avanzata da A. Wallace-Hadrill, Family and Inheritance in the Augustan Marriage Laws, in PCPS, 27, 1981, p. 58-80, secondo la quale «Augustus aimed to encourage the family in order to stabilise the transmission of property, and consequently of status, for generation to generation»; cfr. anche Κ. Hopkins, Death and Renewal, Cambridge, 1983, p. 97 sg.; sulla legislazione matrimoniale augustea si vd. Brunt, Italian Manpower, p. 558 sgg., e, ad es., L. F. Raditsa, Augustus' Legislation concerning Marriage, Procreation, Love Affairs and Adultery, in ANRW II, 13, 1980, p. 178 sgg.; vd. da ult. S. Dixon, The Roman Family, Baltimora e Londra, 1992, passim.

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    rio, la funzione76. In più, va rilevato che anche tra coloro che aderiscono a una prospettiva malthusiana, v'è chi insiste piuttosto sul peso che avrebbero i malthusiani «freni repressivi» nel determinare la dinamica della popolazione, dinamica che dunque vedono condizionata dal variare nel tempo della mortalità, e coloro che viceversa, come fa recentemente in un libro importante, ma anche per molti versi discutibile, sull'ecologia del mondo greco il Sallares77, insistono sul peso che avrebbero, semmai, i «freni preventivi» e dunque interpretano la dinamica demografica come condizionata dal variare nel tempo della fecondità. Un ulteriore problema è quello della rispettiva incidenza, nel determinare la dinamica della mortalità, in società che non hanno conosciuto ancora i progressi igienico-sanita- ri delle popolazioni post-transizionali, della malnutrizione, da un lato, e delle malattie infettive, dall'altro. Così, si è di recente autorevolmente sostenuto che, sul lungo periodo, la storia demografica europea, dal XIV secolo al XVIII-XIX, quando si inizia la fase della forte crescita determinata dalla consistente e definitiva flessione della mortalità, non rivela una correlazione positiva tra popolazione e al

    imentazione, secondo il classico modello malthusiano. La dinamica della mortalità sarebbe molto più chiaramente correlata al ciclo epi- demiologico, indipendente, a sua volta, dal livello di nutrizione. Detto in altri termini, a far variare la popolazione sul lungo periodo sarebbe l'oscillazione della mortalità, e questa sarebbe a sua volta determinata in larga misura dai grandi scoppi epidemici78.

    Anche una prospettiva quale quest'ultima tende a riconoscere, dunque, come poco rilevante l'impatto delle variazioni della fecondità, soprattutto perché quest'ultima, non potendo scendere al di sotto di una certa soglia - a meno di una rapida estinzione della popolazione in questione -, non può che muoversi all'interno di un arco di valori ristretto, limitato verso l'alto dal massimo biologico. Ed è questa la ragione per la quale sarebbe assurdo ipotizzare, per popolazioni pretransizionali caratterizzate da un'elevata mortalità, tassi di incremento, sostenuti nel tempo, superiori al 3 per mille (come, tra parentesi, l'effettiva diffusione generalizzata di pratiche quali l'in-

    76 Oltre al già cit. Population and Technology , della Boserup si vd. The Conditions of Agricultural Growth, Londra, 1965; sulle contrastanti prospettive si vd. in particolare D. B. Grigg, Population Growth and Agrarian Change. An Historical Perspective , Cambridge, 1980; Id., La dinamica del mutamento in agricoltura, trad, it. cit.; si vd. pure i saggi raccolti in R. I. Rotberg e Th. Κ. Rabb (ed.), Hunger and History. The Impact of Changing Food Production and Consumption Patterns on Society, Cambridge, 1983 (= Journal of Interdisciplinary History, XIV 2, 1983). 7T S. Sallares, The Ecology of the Ancien Greek World, cit.

    s L. Livi-Bacci, The Nutrition- Mortality Link in Past Times : A Comment, in R.I. Rotberg e Th. Κ. Rabb, Hunger and History cit., p. 95-100; Id., Popolazione e alimentazione. Saggio sulla storia deifiografica europea. Bologna, 1987.

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    fanticidio). Detto in altri termini, lo stesso arco di valori attorno a cui oscilla il tasso di mortalità normale, prima della sua drastica e durevole caduta con la «transizione demografica», è tale da impedire di per sé una crescita consistente e sostenuta nel tempo della popolazione. I demografi hanno individuato lo «spazio» della crescita delle popolazioni del passato come quell'arco di combinazioni possibili tra fecondità e mortalità necessario perché sia possibile un determinato incremento della popolazione79 : e si può dimostrare - ciò che peraltro è di senso comune - che «combinations of very rapid growth and high mortality are clearly impossible, because of the impossible level of fertility implied»80.

    Dobbiamo tenere presenti queste osservazioni, perché è alla loro luce che è possibile tentare una ricostruzione del trend demografico dell'Italia tra primo e terzo secolo. Sembra indubitato, lo si è visto, che la prima età imperiale abbia assistito a una crescita di dimensioni tali da essere perfettamente compatibile con quella che possiamo presumere sia stata la speranza di vita alla nascita, e dunque, la struttura per età della popolazione nel suo complesso : si è osservato, in rapporto alla metà occidentale dell'impero, come l'età al matrimonio delle donne nella prima età imperiale, se pure non così bassa come la si era in precedenza stimata, fosse comunque sotto i ven- t'anni, e seguisse dunque un pattern diverso da quello che Hajnal ha potuto considerare caratteristico dei paesi dell'Europa nordoccidentale nella prima età moderna81. Potremo ritenere che quest'età comparativamente precoce influisse positivamente nel determinare un livello abbastanza elevato di fecondità, essendo l'età al matrimonio una delle determinanti più rilevanti della fecondità (anche se v'è chi ha supposto che il fatto che l'età al matrimonio degli uomini fosse in genere assai più elevata avrebbe avuto un effetto opposto82). Se una crescita della popolazione quale quella deducibile dall'analisi delle cifre dei censimenti era, come si è detto, perfettamente compatibile col regime demografico vigente, si approssimava tuttavia, presumibilmente, al massimo conseguibile in una popolazio