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1 La didattica multimediale. Ipotesi, esperienze, suggerimenti Giampietro Gobo Università degli studi di Milano Da qualche tempo la cassetta degli attrezzi didattici della metodologa e del metodologo si sta arricchendo di nuovi strumenti di tipo multimediale. Alcuni editori nazionali (ad es. Civis di Napoli) e internazionali (ad es. Insight Media) stanno mettendo sul mercato un numero crescente di dvd sulle diverse tecnica di ricerca sociale e psicologica: il sondaggio, l’intervista, l’etnografia ecc. E’ quindi forse tempo di bilanci, per riflettere sull’utilità ed efficacia di questi nuovi strumenti e su come essi cambiano la didattica tradizionale. Questa breve riflessione si basa sull’esperienza di una decina d’anni d’insegnamento della metodologia della ricerca sociale alle matricole dei corsi di laurea della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli studi di Milano. Non ho esperienze d’insegnamento in altre città per cui le riflessioni che svolgerò devono intendersi circoscritte e limitate agli studenti della città di Milano i . 1. Nuove audience in classe Le nuove generazioni di studenti sono nate alla fine degli anni Ottanta, quando ormai la televisione era pervasiva. Esse sono quindi cresciute, come si suol dire, “a pane, nutella e televisione”, sin dai loro primi anni di vita. All’età di 1012 anni hanno cominciato a usare la play station; dai 15 anni in su a frequentare internet attraverso le chat. Il recente rapporto annuale della Società Italiana di Pediatria, basato su una indagine svolta su un campione nazionale di 1200 studenti delle scuole medie inferiori di età compresa tra gli 12 e i 14 anni, rileva che sempre più per gli adolescenti, e soprattutto per le ragazze, il web ha un’attrazione fatale: diminuiscono infatti i consumi «colti» a vantaggio di chat e messenger. L'utilizzo tra gli adolescenti del Pc, ed in particolare di Internet, è cresciuto, dal 2000 ad oggi, in modo costante e netto. A entrare ogni giorno in rete è, oggi, il 42% degli adolescenti, mentre solo il 12% non si collega mai in Internet. Oggi le ragioni prevalenti per le quali ci si collega in rete sono proprio: messenger (76%), chattare (70%), scaricare musica/video (76%) e, soprattutto, utilizzare Youtube (77%). Impennata anche nell'utilizzo della webcam, probabilmente favorita dal fatto che oggi è integrata nella maggior parte dei PC. Nel 2005 la possedeva solo il 30% ed era scarsamente utilizzata; oggi la possiede oltre il 60% e il 41% la utilizza abitualmente. Il computer è inoltre diventato sempre più «personal», nel senso che oltre il 50% l’ha nella propria camera. «Un aspetto sottolinea il Presidente della SIP Pasquale Di Pietro che evidenzia come i ragazzi siano sempre più autonomi, e probabilmente poco controllati, nella navigazione in Internet». Sebbene media molto differenti, tuttavia TV, play station e internet sono tutti mediate da uno schermo e l’attività cognitiva principale che essi richiedono è quella di guardare e osservare (Sartori 1997, Gobo 2009).

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La didattica multimediale.  Ipotesi, esperienze, suggerimenti 

 Giampietro Gobo 

 Università degli studi di Milano 

 Da qualche tempo la cassetta degli attrezzi didattici della metodologa e del metodologo si sta arricchendo di nuovi  strumenti di  tipo multimediale. Alcuni  editori nazionali  (ad  es. Civis  di Napoli)  e  internazionali  (ad  es.  Insight  Media)  stanno  mettendo  sul  mercato  un  numero crescente di dvd sulle diverse tecnica di ricerca sociale e psicologica:  il sondaggio,  l’intervista, l’etnografia ecc. E’ quindi forse tempo di bilanci, per riflettere sull’utilità ed efficacia di questi nuovi strumenti e su come essi cambiano la didattica tradizionale. Questa  breve  riflessione  si  basa  sull’esperienza  di  una  decina  d’anni  d’insegnamento  della metodologia  della  ricerca  sociale  alle matricole  dei  corsi  di  laurea  della  Facoltà  di  Scienze Politiche dell’Università degli studi di Milano. Non ho esperienze d’insegnamento in altre città per cui  le  riflessioni che  svolgerò devono  intendersi circoscritte e  limitate agli  studenti della città di Milanoi.   1. Nuove audience in classe  Le  nuove  generazioni  di  studenti  sono  nate  alla  fine  degli  anni  Ottanta,  quando  ormai  la televisione  era  pervasiva.  Esse  sono  quindi  cresciute,  come  si  suol  dire,  “a  pane,  nutella  e televisione”, sin dai  loro primi anni di vita. All’età di 10‐12 anni hanno cominciato a usare  la  play station; dai 15 anni in su a frequentare internet attraverso le chat.  Il recente rapporto annuale della Società Italiana di Pediatria, basato su una indagine svolta su un campione nazionale di 1200 studenti delle scuole medie inferiori di età compresa tra gli 12 e  i 14 anni, rileva che sempre più per gli adolescenti, e soprattutto per  le ragazze,  il web ha un’attrazione  fatale: diminuiscono  infatti  i consumi «colti» a vantaggio di chat e messenger. L'utilizzo tra gli adolescenti del Pc, ed in particolare di Internet, è cresciuto, dal 2000 ad oggi, in modo costante e netto. A entrare ogni giorno in rete è, oggi, il 42% degli adolescenti, mentre solo il 12% non si collega mai in Internet. Oggi le ragioni prevalenti per le quali ci si collega in rete  sono  proprio:  messenger  (76%),  chattare  (70%),  scaricare  musica/video  (76%)  e, soprattutto,  utilizzare  You‐tube  (77%).  Impennata  anche  nell'utilizzo  della  webcam, probabilmente  favorita dal  fatto che oggi è  integrata nella maggior parte dei PC. Nel 2005  la possedeva solo  il 30% ed era scarsamente utilizzata; oggi  la possiede oltre  il 60% e  il 41%  la utilizza abitualmente.  Il  computer è  inoltre diventato  sempre più «personal», nel  senso  che oltre il 50% l’ha nella propria camera. «Un aspetto ‐ sottolinea il Presidente della SIP Pasquale Di Pietro  ‐  che evidenzia  come  i  ragazzi  siano  sempre più  autonomi,  e probabilmente poco controllati, nella navigazione in Internet».   Sebbene media molto differenti, tuttavia TV,  play station e internet sono tutti mediate da uno schermo e  l’attività cognitiva principale che essi  richiedono è quella di guardare e osservare (Sartori 1997, Gobo 2009).  

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Uno  dei  principali  divari,  tra  gli  studenti  del  primo  anno  (matricole)  e  i  docenti,  è  il  ruolo centrale  della  televisione  (e  dei  media  basati  sulla  mediazione  di  uno  schermo)  nella formazione  cognitiva.  La  maggior  parte  dei  docenti  ha  incontrato  la  TV  quando  era adolescente. Ad esempio i bambini degli anni Sessanta la vedevano (per qualche ora) soltanto a tardo pomeriggio. Prima c’era soltanto un segnale sonoro (peraltro molto fastidioso) con un annuncio che diceva che i programmi sarebbero iniziati alle 16.30. Non è un particolare di poco conto,  dal momento  che  diversi  studi  (Mc  Luhan  1962; Dorr  1986,  Sartori  1997, Morcellini 1999,  2000  e  2001)  hanno  documentato  l’importanza  del  ruolo  della  TV,  come  pure  del computer (ad esempio la play station) nello sviluppo dei processi cognitivi.  Ci sono quindi fondati motivi per credere che studenti e docenti abbiano differenti prestazioni cognitive (ad esempio diversi  livelli di attenzione, di capacità di concentrazione, di qualità nei ragionamenti astratti e  complessi, ecc.). Gli  studenti del primo anno  che affollano  le nostre classi sono quindi molto più simili a un pubblico televisivo anziché a un pubblico teatrale che, invece, era abituato al modello didattico tradizionale in cui il docente era l’attore principale e non  si  dotava  di  particolari  strumenti  visuali  (a  eccezione  di  qualche  “lucido”  ogni  tanto). Anche se  le due audience si assomigliano per  la passività  loro richiesta (spettatori televisivi e teatrali non partecipano ma stanno soltanto ad ascoltare e guardare), come vedremo tra poco l’attività di performer del docente nei due contesti è profondamente diversa. Se gli studenti odierni sono simili a un pubblico televisivo, allora per seguire e comprendere  i contenuti didattici essi hanno costantemente bisogno (molto più che un tempo) di immagini e di testi visivi, e non solo di parole com’era nella didattica tradizional‐teatrale.   2. Rinnovare i metodi di insegnamento  A  causa  di  queste  differenze  cognitive  tra  studenti  e  docenti,  gli  attuali  modelli  didattici richiedono  di  essere  rinnovati  al  fine  di  catturare  l’attenzione  degli  studenti,  suscitare  loro interesse  verso  una  materia  (la  metodologia)  che  non  desta  facilmente  grandi  emozioni (rispetto ad altre materie più sostantive), appassionarli alla ricerca. Occorre quindi progettare una didattica centrata sullo studente, sulle sue capacità e limiti, sia di tipo cognitivo sia sociale (difficoltà di mobilità, impegni lavorativi e famigliari ecc.) Alcune  tecnologie  (come  il  programma  PowerPoint)  possono  aiutarci  in  questo  difficile compito.  2.1. Powerpoint e la didattica nel rinascimento: un’analogia  Il modello didattico tradizionale, basato sull’archetipo della recitazione teatrale, prevedeva un docente che “teneva in pugno la classe” attraverso le sue abilità retoriche. Le principali risorse comunicative, su cui basava  la sua prestazione, erano  (proprio come per  l’attore  teatrale)  le parole, il tono della voce, la gestualità e l’aspetto estetico.  Queste risorse rimangono oggi  importanti. Tuttavia da sole non riescono più a far mantenere un comune focus di attenzione alla classe. Gli studenti del primo anno perdono facilmente  la concentrazione;  riescono a seguire un contenuto  trasmesso  in modo puramente verbale per non  più  di  pochi  minuti;  comprendono  con  difficoltà  ragionamenti  astratti  condotti  con l’esclusivo uso delle parole. Il programma PowerPoint, ormai diffusamente usato dai docenti (almeno da quelli più giovani o aggiornati) aiuta a emanciparsi dal modello didattico di impronta teatrale dal momento che fa  uso  di  materiali  trasmessi  attraverso  il  canale  visivo.  Ora  è  lo  schermo  (e  non  più  il 

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professore)  a  essere  al  centro  dell’attenzione.  La  classe  guarda  costantemente  lo  schermo. Anche  il  docente  (specie  se  fa  lezione  in  piedi)  guarda  in modo  intermittente  lo  schermo mentre  presenta  i  contenuti  didattici,  diventando  (per  usare  ancora  una  volta  la metafora teatrale) la “spalla” del protagonista principale: lo schermo. Con  il programma PowerPoint  i contenuti didattici  (riprodotti  sullo  schermo) acquistano una maggior centralità e  il docente diviene ancillare a essi, proprio come accadeva nelle scuole di medicina del Rinascimento. Vediamo alcune immagini di quel tempo.  

 Figura 1: Rembrandt (1632), La lezione di anatomia del dottor Tulp. 

  In questa  lezione di anatomia  lo sguardo dei discenti è principalmente rivolto verso  il cadavere e solo secondariamente verso del professore. Il contenuto didattico (il corpo) è quindi al centro e il docente è ancillare rispetto a esso. Anche  la  struttura  fisica  (lo  spazio,  gli  arredi  ecc.)  dell’aula  viene  progettata  in  funzione  del contenuto didattico. Nelle immagini seguenti si può notare come ancora una volta il docente abbia un ruolo di supporto al contenuto didattico che rimane centrale.  

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 Figura 2: Teatro anatomico di Padova 1584 

 

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  Figura 3: il teatro anatomico di Leiden, costruito nel 1597, in una incisione di W. Swanenburg (1610). 

 

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 Figura 4: L'Archiginnasio‐teatro anatomico di Bologna (1637) 

  Come si può vedere, il tavolo di dissezione ha la stessa funzione dello schermo su cui oggi vengono proiettati  i  materiali  didattici,  richiamando  un’analogia  tra  la  didattica  rinascimentale  e  il programma Powerpoint.  2.2. Metodi ricerca in format televisivi  Al  fine  di  riprogettare  i  modelli  didattici  in  funzione  delle  capacità  cognitive  delle  nuove generazioni di studenti, può essere utile  ibridare  i diversi metodi di ricerca con  i format televisivi oggi più comuni.  In altre parole possiamo allargare e arricchire  la nostra cassetta degli attrezzi, trovando forme di trasmissione  delle  conoscenze  che  siano  più  appropriati  a  un’audience  simile  a  un  pubblico televisivo. Ad  esempio  nel  caso  dell’intervista discorsiva  (Rositi  1993)  può  essere  utile  insegnare  come  si fanno  le domande e si conduce un’intervista, presentando e analizzando uno dei tanti talk show che  imperversano  nelle  diverse  reti.  Solitamente  i  talk  show,  con  le  domande  viziate,  le provocazioni e le interruzioni dell’intervistatore, la sua incapacità di approfondire le risposte date dall’ospite ecc., sono un concentrato di distorsioni e di modelli da non seguire. Nel  caso  dell’etnografia  si  può  invitare  gli  studenti  ad  analizzare  i  rituali,  i  cerimoniali  e  i comportamenti presenti  in un reality show oppure  in programmi come Un giorno  in Pretura (Rai Tre), dove si trasmettono processi reali. Gli studenti, nel ruolo di etnografi che osservano la scena, 

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possono  imparare  in classe  i primi  rudimenti di questo metodo. Questa esperienza  integra — è  compatibile   con — un’eventuale osservazione sul campo  (un supermercato, un  treno, un parco ecc.) in cui  gli studenti possono osservare azioni quotidiane. Si può inoltre assegnare esercitazioni che possono essere svolte in una play station or in un format  simile ad essa.   3. Strumenti multimediali  La multimedialità è ormai presente e diffusa  in molte  situazioni  sociali e didattiche. Tuttavia  in Italia  l’insegnamento della metodologia appare ancora troppo ancorato a modelli mono‐mediali. Non  mancano  comunque  esperienze  interessanti  come  i  corsi  online  per  l’apprendimento  a distanza come  il LEDA  (Learning Environment  for Distance Apprenticeship) progettato già diversi anni  fa  da  Renato  Grimaldi  dell’Università  di  Torino  (http://hal9000.cisi.unito.it/wf/Servizi‐pe/Universit‐/Corsi‐‐Mat/LEDA/Corso‐di‐M/).   3.1. Un manuale multimediale  Cercando di metter  in pratica queste  idee, nel 2004 ho pubblicato un  testo didattico dal  titolo Guida  multimediale  alla  ricerca  sociale.  Teorie,  metodi,  esempi,  esercizi, (http://www.scriptaweb.it/labiblioteca/biblio.mv?Screen=PROD&Store_Code=Scripta&Product_Code=75) per l’editore Civis di Napoli, un editore multimediale che dal 2005 pubblica anche i libri dell’AIS in formato digitale. In  questa  guida,  che  è  un manuale  di metodologia,  sono  presenti  diversi materiali  audiovisivi (interviste, focus group, filmati, materiali audio) e indirizzi internet dove sono riposti altri materiali (come questionari ecc.). Una  volta  acquistata,  alla  guida  si  accede  tramite  internet.  E’  una  guida  interattiva  dove  lo studente  può  parzialmente  agire  sul  testo, modificandolo  a  suo  piacimento.  La  guida  è  stata apprezzata soprattutto dagli studenti  lavoratori, che spesso  la utilizzano negli ambienti di  lavoro (collegandosi e  stampando  i capitoli a…  spese dell’azienda).  Inoltre, visto che  in azienda o nelle amministrazioni molti di loro lavorano al computer, essi possono ritagliarsi dei momenti di studio standosene al lavoro: il capo li vede concentrati sul monitor, ma non sa cosa c’è nel monitor! Ma questa è un’altra storia.    3.2. ll podcast  Un'altra  esperienza  interessante  è  il  podcast.  ll  podcasting  è  la  distribuzione  di  contenuti multimediali (foto, video, audio, ecc) tramite  internet a cui accedere successivamente tramite un lettore portatile (ad esempio lettori mp3, cellulari, palmari) o un personal computer. La Facoltà di Scienze Politiche dove insegno, nel 2007 ha deciso di far partire il progetto PodStudy per  distribuire  alcuni  corsi  in  formato  podcast  cercando  di  rispondere  in  modo  nuovo  alla domanda  di  un  crescente  numero  di  studenti  che  chiedevano  maggiori  supporti  didattici. Ci  sono  lezioni  registrate  in  aula  e  lezioni  registrate  in  studio  con  le  diapositive  sincronizzate all’audio delle lezioni. E’ anche possibile scaricare separatamente diapositive e file audio. Ho partecipato a questa nuova esperienza con due corsi: uno di metodologia della ricerca sociale (http://podcast.spolitiche.unimi.it/Podcast_dei_Corsi/Entries/2008/10/28_Metodologia_della_Ricerca_Sociale_(A.A._08‐09).html) rivolto alle 

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matricole; uno sulla valutazione (http://podcast.spolitiche.unimi.it/Podcast_dei_Corsi/Entries/2007/9/28_Valutazione_e_Ricerca_Sociale.html) rivolto agli studenti della laurea specialistica. Anche in questo caso gli studenti hanno molto apprezzato l’iniziativa. Sia gli studenti lavoratori non frequentanti (che così potevano assistere alla lezione in modo virtuale), sia i frequentanti che a volte (per impegni, malattia ecc.) perdono delle lezioni.   4. Usare film per insegnare i metodi di ricerca 

 Un  altro  modo  (complementare)  di  insegnare  metodologia  è  presentare  alcuni  argomenti metodologici  (come  il  problema  dell’accesso  al  campo,  i  dilemmi  etici  nella  ricerca,  i  limiti dell’etnografia,  il mito dell’oggettività,  il problema dell’intrusività del ricercatore ecc.) attraverso l’uso  di  brevi  e  circoscritti  spezzoni  di  film.  Poi  discuterne  in  classe  e mettere  in  comune  le riflessioni. Ci sono moltissimi film, quasi per ogni argomento.   4.1. Sull’osservazione partecipante  Un film molto utile per far comprendere, a un pubblico di studenti del primo anno che non hanno alcuna  conoscenza metodologica,  i  problemi  tecnici  dell’etnografia  è  Kitchen  Stories  (2003)  del regista  norvegese  Bent  Hamer.  Il  film  può  essere  utilizzato  come  un  esempio  di  etnografia ergonomica (chiamata anche “contextual inquiry”), un tipo di ricerca applicata. Lo scopo di questa tecnica  è  raccogliere  informazioni,  intuizioni  e  suggestioni  che  possano  poi  tradursi  in suggerimenti  pratici  al  fine  di  costruire  artefatti  per  meglio  adattare  l’ambiente  ai  bisogni, ragionamenti e comportamenti umani. L’etnografia ergonomica nacque dopo la seconda guerra mondiale come un tentativo di superare i limiti della sperimentazione in laboratorio (Gobo 2008). A tale scopo alla fine degli anni Quaranta si  cominciò a entrare nelle case delle massaie, a osservarne  le pratiche  lavorative  in  cucina e a posizionare  gli  elettrodomestici  in modo  razionale  e  funzionale.  E’  la  filosofia  sociale  dell’IKEA, l’azienda multinazionale  di  origine  svedese  specializzata  nella  vendita  di  mobili,  complementi d'arredo e altra oggettistica per casa, che nacque proprio in quegli anni, precisamente nel 1943.  In questo  film  si narra  l’amicizia,  che  lentamente  cresce,  tra un  ricercatore  (l’osservatore) e un contadino norvegese  single  (l’osservato).  La  cornice di questa  storia è una  ricerca di etnografia ergonomica  condotta  agli  inizi  degli  anni  Cinquanta  dallo  Swedish  Home  Research  Institute.  Il ricercatore  si piazzava  in casa dell’osservato e dall’alto di un  seggiolone osserva  le  sue pratiche quotidiane in cucina (vedi figura 5).  

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 Figura 5: Il ricercatore osserva dall’alto le pratiche quotidiane dell’osservato 

  4.2. Etiche della ricerca 

 Prima  di  iniziare  la  ricerca  gli  osservatori  vengono  addestrati  al  comportamento  da  tenere  sul campo. Il coordinatore della ricerca, presentando lo studio alla comunità locale, elenca alcuni dei principi etici che lo guidano:  • “Ovviamente tutti i nostri osservatori sono vincolati dal segreto professionale… • l’osservatore vivrà nella sua roulotte accanto alla casa che sta osservando… • vorrei di nuovo  sottolineare che  la chiave del  successo di questo  studio è che gli osservatori 

potranno andare e venire a loro piacimento… • è proibito parlare con  loro e non devono mai essere coinvolti nelle faccende e nelle abitudini 

quotidiane, a prescindere da quanto possa risultare allettante” (spezzone da 09’30” a 10’00”).   4.3. I limiti dell’osservazione  Questo approccio positivista, oggettuale, mostra tutti i suoi limiti in un dialogo che emerge tra due ricercatori.  Il primo di questi ha  trasgredito due delle principali norme etiche della  ricerca  (non parlare  con  l’osservato  e  non  entrare  in  confidenza)  e  una  notte  va  a  bussare  alla  roulotte dell’altro osservatore alla  ricerca di un po’ di alcol per passare  la serata con  il suo osservato. Al rimprovero  di  questo  il  primo  osservatore  si  arrabbia.  Dalla  reazione  nasce  un  discorso metodologico  estremamente  interessante  sull’efficacia  e  adeguatezza  di  quelle  norme metodologiche:  RIC 1  eh già… non  sei autorizzato a bere, a parlare, non  sei autorizzato non  sei autorizzato 

non sei autorizzato… ah… accidenti Volker che diavolo stiamo facendo eh… ce ne stiamo seduti su un piedestallo, convinti di capire… tutto, ma come pensiamo di capire anche una sola cosa delle persone… semplicemente osservandole eh?  

RIC 2  Green, questa è la natura della nostra ricerca… 

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RIC 1  Dobbiamo parlare l’uno con l’altro… Le persone devono comunicare RIC 2  È tardi RIC 1  Non hai neanche una birra RIC 2  No! La nostra ricerca si basa su un approccio positivistico RIC 1  Positivistico (sorride)  RIC 2  Il nostro istituto nasce… RIC 1  Positivistico cosa! 

Per quanto mi riguarda ho deciso di mollare. E’ la cosa più positivistica che possa fare! (spezzone da 45’31” a 46’16”). 

 Di  questo  fondamentale  principio metodologico  dell’approccio  interpretativo  (cioè  ascoltare  il punto di vista dei partecipanti) il protagonista  parlerà successivamente (spezzone 47’04”‐47’14”) con in suo osservato.  In un altro episodio notiamo ancora la necessità delle parole, cioè dello scambio tra ricercatore e partecipante. Il telefono squilla nella casa del partecipante (spezzone da 27’00” a 27’15”). Lui, pur essendo  in  casa,  lo  lascia  squillare  senza  rispondere.  Solitamente  chiedo  agli  studenti  di interpretare questo episodio. Subito quattro‐cinque ipotesi vengono proposte: il partecipante non vuol  far  sapere  che  è  in  casa; oppure non  vuole  comunicare  con nessuno; o,  ancora, non  vuol parlare alla presenza del  ricercatore, e  così  via. Un  simile episodio  si  ripete più avanti nel  film, precisamente  al  47’15”.  Qui  ricercatore  e  partecipante  hanno  già  iniziato,  contrariamente  ai dettami metodologici positivisti, a comunicare. Proprio  in questo episodio  il partecipante svela  il mistero. Gli squilli del telefono sono un segnale: se suona solo tre volte significa che il suo amico verrà a trovarlo di lì a poco. Rispondere al telefono sarebbe un inutile spreco di denaro.   4.4. Intervistare su argomenti delicati (sensitive topics)  Affrontare in un’intervista (standardizzata o discorsiva) un argomento delicato è sempre una sfida metodologica  rilevante.  Anche  in  questo  caso  qualche  immagine,  tratta  da  film,  può  fornire un’indicazione vivida e pregnante. Il  film  Kinsey  (2004),  sul  biologo  e  sessuologo  statunitense  Alfred  Charles  Kinsey  (1894‐1956), diretto dall’americano Bill Condon, è certamente una fonte di ispirazione. Il protagonista divenne noto  negli  anni  del  primo  dopoguerra  per  la  prima  vasta  ricerca  condotta  sul  tema  del comportamento sessuale umano: ben 18.000  interviste, di cui 7985 condotte personalmente da Kinsey,  formano  il  materiale  del  famoso  rapporto  Kinsey,  ossia  due  volumi  intitolati  l'uno  Il comportamento sessuale dell'uomo (1948) e l'altro Il comportamento sessuale della donna (1953).  Al frammento 1.02’02”‐1.02’27” del film si assiste a un addestramento da parte di Kinsey dei suoi collaboratori. In particolare egli insegna come iniziare un’intervista standardizzata, come creare un clima  favorevole affinché gli  intervistati possano esprimersi  liberamente, anche  su un  tema così delicato come  i comportamenti sessuali. E’ un passaggio molto  istruttivo per studenti del primo anno, digiuni di informazioni metodologiche.  

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4.5. L’imparzialità dell’intervistatore: tra mito e realtà  L’ultimo episodio che voglio presentare descrive la situazione in cui Kinsey e il suo assistente si trovano a intervistare un pedofilo.  Durante l’intervista (1.24’25”) l’intervistato racconta anche di alcuni rapporti sessuali avuti con bambini. Nel descrivere questi episodi si sofferma, in modo compiaciuto, su alcuni dettagli.   

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  A  questo  punto  l’assistente  di  Kinsey  si  alza  e,  visibilmente  provato  e  indignato,  se  ne  va (1.24’50”).  L’intervistato  è  sorpreso  da  questo  comportamento  (a  suo  giudizio)  poco professionale e incalza Kinsey:  R.    Non li ha addestrati a essere imparziali? Kinsey  Certe volte… è difficile R.    Ah… suppongo che uno come me, metta a dura prova le sue convinzioni, eh?   Questo episodio viene quindi discusso in classe. 

  5. Conclusione  Le nuove generazioni di studenti sono cresciute con una grande contiguità al mezzo televisivo,  il cui uso  intensivo preforma processi cognitivi e e  l’attenzione. Non è esagerato sostenere che  in classe  ci  troviamo un pubblico  televisivo,  abbastanza diverso dal  tipo di pubblico  che  avevamo nelle classi venti o trent’anni fa. Questa  nuova  audience,  per  seguire  e  comprendere  i  contenuti  didattici,  ha  costantemente bisogno  (molto  più  che  un  tempo)  di  immagini  e  di  testi  visivi  dinamici,  che  solo  le  tecnologie didattiche multimediali sono in grado di offrire. Se questa descrizione è verosimile, allora anche l’insegnamento della metodologia deve rinnovarsi per  venire  incontro  a  queste mutate  esigenze  sociali.  Per  fare  ciò  sono  oggi  disponibili  diversi strumenti e in questo breve saggio ne ho elencati alcuni, fra cui i film. Esistono decine di film che possono essere utilizzati per descrivere, mostrare,  chiarire e discutere  i più disparati argomenti metodologici.  Anche  se  esempi  “reali”  (di  interviste,  focus  group,  etnografie  ecc.)  sarebbero preferibili a documenti artificiali come  i  film,  tuttavia  in questi ultimi possiamo  trovare stimoli e suggerimenti metodologici non sempre presenti nei nostri dati “reali”.    

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 Bibliografia 

  Dorr, Aimee 1986  Television and children: a special medium for a special audience , Beverly Hills: Sage, trad. 

it. Televisione e bambini: un mezzo  speciale per un pubblico  speciale, Torino, Nuova ERI, 1990. 

Gobo, Giampietro  2008  Doing Ethnography, London: Sage 2009  La  società  dell’osservazione. Nuove  opportunità  per  la  ricerca  etnografica,  in  «Rassegna 

Italiana di Sociologia», L, 1, (in pubblicazione). McLuhan, Marshall 1962  The Gutemberg Galaxy: The Making of Typografic Man, Toronto: University Toronto Press, 

trad. it. La galassia Gutemberg, Roma: Armando. Morcellini, Mario 1999  La tv fa bene ai bambini, Roma: Meltemi. 2000  Passaggio al futuro: formazione e socializzazione tra vecchi e nuovi media, Milano, Angeli. Morcellini, Mario (a cura di) 

2001 Il Mediaevo: TV e industria culturale nell'Italia del 20° secolo, Roma,, Carocci. Rositi, Franco 1993  Strutture di senso e strutture di dati, in «Rassegna Italiana di Sociologia», XXXIV, 2, pp. 177‐

200. Sartori, Giovanni 1997   Homo videns: televisione e post‐pensiero, Roma: Laterza. 

 i Purtroppo non ho nemmeno elementi empirici per valutare gli effetti della didattica multimediale e se questa sia realmente più efficace della didattica tradizionale.