La depressione, tesina maturità.

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Il saggio “Lutto e melanconia” che Freud scrisse nel 1915, ma che apparve nel 1917 a causa della guerra, espresse un certo interesse per la depressione forse stimolato dal lavoro di Abraham. Freud confrontò la melanconia con il fenomeno del lutto: entrambi gli stati hanno in comune un senso di doloroso abbattimento per una perdita, una mancanza di interesse nei confronti del mondo esterno, la perdita della capacità di amare e un’inibizione dell’attività. Tuttavia solo la melanconia mostra una diminuzione della stima di sè al punto che vi sono delle espressioni di autorimprovero ed una aspettativa irrazionale di punizione; inoltre il melanconico non sa bene di che natura sia la sua perdita e non è consapevole di ciò che ha dato luogo alla sua prostrazione. Freud si convinse sempre più che la perdita fosse interiore ed inconscia e la perdita della stima di sè indicherebbe un impoverimento interiore; egli disse: “Nel lutto è il mondo che è diventato povero e vuoto; nella melanconia si impoverisce l´Io stesso”. Sigmund FREUD (1856-1939). Per Freud, gli autorimproveri inappropriati che il melanconico rivolge a se stesso, sono il risultato della scissione dell’Io del soggetto, in cui una parte si differenzia e si contrappone all’altra, la giudica criticamente e la osserva come se fosse un oggetto esterno (la parte giudicante dell’Io venne chiamata la coscienza ma diventerà più tardi il Super-Io). Da qui Freud ipotizzò che gli autorimproveri sono in realtà diretti a qualche persona che il paziente ama, ha amato o avrebbe dovuto amare: i rimproveri rivolti inizialmente ad un oggetto amato sono stati spostati sull’Io stesso del paziente. Il processo intrapsichico di spostamento di un oggetto nell’Io, per Freud ha origine nell’infanzia, dove il futuro melanconico avrebbe avuto un intenso rapporto oggettuale compromesso a causa di una delusione vissuta con la persona amata. Dopo la rottura del rapporto la libido liberata non è stata trasferita ad un altro oggetto ma è stata trasferita nell’Io. L’immagine interiorizzata dell’oggetto perduto diventa soggetta ai sentimenti della persona e al disprezzo e all’odio che sarebbero stati diretti all’oggetto perduto. Le perdite successive riattivano la perdita primaria e fanno si che la furia del paziente si diriga verso l’oggetto deludente originale, che si è fuso con una parte dell’Io del paziente. In casi estremi il sadismo è così violento che l’individuo desidera distruggere completamente l’immagine interna dell’oggetto e talvolta progetta e attua il suicidio.

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Appunti per la maturità

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Il saggio “Lutto e melanconia” che Freud scrisse nel 1915, ma che apparve nel 1917 a causa della guerra, espresse un certo interesse per la depressione forse stimolato dal lavoro di Abraham. Freud confrontò la melanconia con il fenomeno del lutto: entrambi gli stati hanno in comune un senso di doloroso abbattimento per una perdita, una mancanza di interesse nei confronti del mondo esterno, la perdita della capacità di amare e un’inibizione dell’attività. Tuttavia solo la melanconia mostra una diminuzione della stima di sè al punto che vi sono delle espressioni di autorimprovero ed una aspettativa irrazionale di punizione; inoltre il melanconico non sa bene di che natura sia la sua perdita e non è consapevole di ciò che ha dato luogo alla sua prostrazione. Freud si convinse sempre più che la perdita fosse interiore ed inconscia e la perdita della stima di sè indicherebbe un impoverimento interiore; egli disse: “Nel lutto è il mondo che è diventato povero e vuoto; nella melanconia si impoverisce l´Io stesso”.

Sigmund FREUD (1856-1939).

Per Freud, gli autorimproveri inappropriati che il melanconico rivolge a se stesso, sono il risultato della scissione dell’Io del soggetto, in cui una parte si differenzia e si contrappone all’altra, la giudica criticamente e la osserva come se fosse un oggetto esterno (la parte giudicante dell’Io venne chiamata la coscienza ma diventerà più tardi il Super-Io).Da qui Freud ipotizzò che gli autorimproveri sono in realtà diretti a qualche persona che il paziente ama, ha amato o avrebbe dovuto amare: i rimproveri rivolti inizialmente ad un oggetto amato sono stati spostati sull’Io stesso del paziente. Il processo intrapsichico di spostamento di un oggetto nell’Io, per Freud ha origine nell’infanzia, dove il futuro melanconico avrebbe avuto un intenso rapporto oggettuale compromesso a causa di una delusione vissuta con la persona amata. Dopo la rottura del rapporto la libido liberata non è stata trasferita ad un altro oggetto ma è stata trasferita nell’Io. L’immagine interiorizzata dell’oggetto perduto diventa soggetta ai sentimenti della persona e al disprezzo e all’odio che sarebbero stati diretti all’oggetto perduto. Le perdite successive riattivano la perdita primaria e fanno si che la furia del paziente si diriga verso l’oggetto deludente originale, che si è fuso con una parte dell’Io del paziente. In casi estremi il sadismo è così violento che l’individuo desidera distruggere completamente l’immagine interna dell’oggetto e talvolta progetta e attua il suicidio.Per la maggior parte dei melanconici si ottiene una sufficiente gratificazione denigrando l’immagine, cosa che si manifesta sotto forma di autorimprovero. Quando questa furia si è spenta, oppure l’immagine dell’oggetto è stata abbandonata, la malattia passa, finchè un’altra perdita riattiva l’intero processo.L’effetto di questo lavoro fu notevole in quanto propose un modello del tutto nuovo di malattia: l’espressione di un “affetto” verso un oggetto introiettato. Nonostante la formulazione di Freud abbia avuto i suoi problemi sia dal punto di vista clinico, sia teorico, “Lutto e melanconia” resta un classico nella letteratura psicoanalitica.Freud riuscì a vedere che nella depressione una persona influisce sullo stato mentale di un’altra, e che la perdita di questa persona da luogo ad una perdita interna per il depresso. Egli quindi riconobbe la natura interpersonale del disturbo e cercò anche di dimostrare che i depressi sono predisposti al loro disturbo da avvenimenti infantili, in genere delusioni da parte di persone significative che li hanno portati ad una ambivalenza in tutti i loro rapporti.

In cerca di una definizione

Nei secoli si è parlato di melanconia poi di depressione endogena o maggiore, di depressione reattiva o disturbo distimico o nevrosi depressiva, di depressione cronica, di depressione mascherata, di depressione senile, di depressione organica ed infine di depressione atipica, di valenze ciclotimiche o bipolari.

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La malinconia o depressione endogena o maggiore (Freud): Profondo e doloroso scoramento, un venir meno all'interesse per il mondo esterno, perdita delle capacità di amare, inibizione di fronte a qualsiasi attività, avvilimento del sentimento di sé che si esprime in autorimprovero o autoingiurie e culmina in un grandioso senso di colpa con l'attesa delirante di una punizione.

Depressione nella letteratura e nell'arte La malattia è conosciuta fin dall'antichità e fin dall'antichità è descritta come un'anomalia rispetto alla normalità: un insieme di comportamenti o modulazioni affettive che ora definiremmo depressione.

Forse la prima descrizione di depressione è quella che Omero fa di Bellerofonte nell'Iliade: ...ma quando viene in odio agli Dei, Bellerofonte solo e consunto di tristezza errava pel campo acheio l'infelice e l'orme dei viventi fuggìa con l'abbandono degli Dei si spegne il coraggio e la forza di vivere ed è il vuoto assoluto, la tristezza divorante in cui l'eroe si dibatte e si logora.

Gli artisti prima e meglio degli altri sono riusciti a cogliere ed a rappresentare le sofferenze e le inquietudini dell'uomo e le loro descrizioni sono state esemplificative della depressione.

Plutarco, descrivendo il Re Antioco, innamorato della giovane matrigna: ...ogni minimo malessere è ingrandito dagli spettri pensosi della sua ansietà, guarda se stesso come un uomo che gli Dei odiano, il medico o l'amico consolatore vengono allontanati, siede fuori dalla porta avvolto in stracci. Di tanto in tanto si trascina nello sporco e confessa questo o quel peccato. Vegli o dorma è inseguito dagli spettri della sua angoscia, sveglio non fa uso della ragione, addormentato non ha tregua delle sue paure. In nessun luogo trova scampo dai terrori immaginari.

Seneca, nel De Tranquillitate Animi rispondendo a Quinto Sereno:Il male che ci tormenta non è nel luogo in cui ci troviamo, ma è in noi stessi. Noi siamo senza forze per sopportare una qualsiasi contrarietà, incapaci di tollerare il dolore, impotenti a gioire delle cose piacevoli, sempre scontenti di noi stessi.

Petrarca, nel Secretum: ...tutto è aspro, cupo, orrendo: la disperazione trasforma il giorno in notte d'inferno e costringe a nutrirci di lacrime e di dolore con un non so che di una voluttà tanto che a malincuore se ne distoglie.

Si citano anche l'opera di Durer, la Melanconìa che esemplifica il dolore paralizzante del depresso e Il Grido di Munch che comunica la squassante angoscia del depresso.