LA CULTURA DEI DIRITTI SUL FRONTE CRUCIALE DELLA … · priorità dell’Italia del dopoguerra....

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L A CULTURA DEI DIRITTI SUL FRONTE CRUCIALE DELLA SCUOLA Un’educazione antiliberale e razzista Il secondo dopoguerra italiano è stato, an- che per la scuola, un periodo di intensi cambiamenti, caratterizzati da un continuo intrecciarsi di volontà di rinnovamento in funzione di lasciarsi il passato alle spalle per costruire una nuova società democra- tica, moderna e laica, e per una continua tensione di resistenze culturali, di interes- si locali nonché di offuscamento delle re- sponsabilità politiche assunte durante il di Silvia Guetta 205 Per capire la scuola di oggi occorre ripensare a come essa si è trasformata nel tempo, passando dall’impronta ideologica antiliberale e razzista del periodo fascista, al dopoguerra, quando si è cominciato a guardare all’educazione con una prospettiva di cambiamento e rinnovamento sociale, per approdare alla scuola di tutti. Ma quella attuale è davvero la scuola di tutti, come vuole la Costituzione e come suggerisce la Dichiarazione universale del 1948, o in essa permangono, malgrado i progressi legislativi e gli ammodernamenti tecnologici, residui della passata concezione classista? Una scuola che voglia essere realmente inclusiva deve riflettere sul modo di educare e ripensare la formazione dei docenti, basandola sulla conoscenza profonda delle relazioni umane. s k

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LA CULTURA DEI DIRITTI SULFRONTE CRUCIALE DELLASCUOLA

Un’educazione antiliberale e razzista

Il secondo dopoguerra italiano è stato, an-che per la scuola, un periodo di intensicambiamenti, caratterizzati da un continuointrecciarsi di volontà di rinnovamento in

funzione di lasciarsi il passato alle spalleper costruire una nuova società democra-tica, moderna e laica, e per una continuatensione di resistenze culturali, di interes-si locali nonché di offuscamento delle re-sponsabilità politiche assunte durante il

di Silvia Guetta

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Per capire la scuola di oggi occorre ripensare a come essa si è

trasformata nel tempo, passando dall’impronta ideologica

antiliberale e razzista del periodo fascista, al dopoguerra,

quando si è cominciato a guardare all’educazione con una

prospettiva di cambiamento e rinnovamento sociale, per

approdare alla scuola di tutti. Ma quella attuale è davvero la

scuola di tutti, come vuole la Costituzione e come suggerisce la

Dichiarazione universale del 1948, o in essa permangono,

malgrado i progressi legislativi e gli ammodernamenti

tecnologici, residui della passata concezione classista? Una

scuola che voglia essere realmente inclusiva deve riflettere sul

modo di educare e ripensare la formazione dei docenti,

basandola sulla conoscenza profonda delle relazioni umane.

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fascismo e durante gli anni dell’occupa-zione nazista (1943-45). All’interno di que-sto quadro va inserito il tassello delle po-litiche fasciste finalizzate alla creazionedi un sistema educativo completamentefunzionale e sottomesso al regime. È a par-tire dalla riforma del 1923, attuata dal fi-losofo Giovanni Gentile, che il sistemascolastico inizia a perdere ogni improntaliberale e moderna trasformando le aulein ambienti selettivi, gerarchici, classistinei quali ogni questione di tipo pedago-gico metodologico o didattico risultavanoessere considerazioni inutili per un inse-gnante. La pedagogia era tornata ad esse-re l’ancella della filosofia e a questa do-veva chinare la testa e conformarsi. A par-tire da questo provvedimento, nel corsodegli anni, la scuola ma anche il tempo egli spazi fuori delle aule saranno, in varimodi, fascistizzati e le giovani generazio-ni assorbiranno l’influenza di un sistemadi controllo totalitario, finalizzato alla co-struzione di modelli stereotipati di uomi-ni-combattenti e servitori della Patria edonne-madri, prolifere e mogli devote. Ildramma di tale adeguamento venne, poi,raggiunto con l’emanazione delle Leggirazziali (chiamate oggi razziste) antie-braiche che vennero firmate dal re Vitto-rio Emanuele III e quindi promulgate dalRegno d’Italia a partire dal il 5 settembredel 1938. Un sistema di leggi sostenutodalle teorie discriminatorie di alcuni pseu-do scienziati assoldati dal regime che con-siderava i cittadini ebrei di razza inferio-re e pertanto indegni di far parte della so-cietà italiana. Le leggi furono applicatecon puntiglioso rispetto, cosa alquantostrana per una popolazione generalmen-te insofferente alle regole imposte politi-camente. Tutto questo provocò alle per-sone colpite dalla discriminazione e dal-la conseguente esclusione ripercussionidevastanti. Le Leggi razziali del 1938 fu-rono sicuramente il primo passaggio ver-

so la tentata ed in gran parte riuscita de-portazione della popolazione ebraica ita-liana e straniera verso l’annientamento neilager nazisti. È un vero peccato che la nostra storiogra-fia pedagogica si dimentichi di questaesperienza italiana di educazione allaesclusione e alla persecuzione. Ad ot-tant’anni dalla promulgazione delle Leg-gi razziali ci sembra doveroso porre in evi-denza quanto anche questo debba essereconsiderato un punto di partenza fonda-mentale dell’impegno che la scuola avreb-be dovuto assumere se avesse voluto por-si veramente come luogo di formazionedemocratica, laica e moderna.

Quando Anna Lorenzetto lottava control’analfabetismo

Al di là della difficoltà da parte della sto-riografia pedagogica di riflettere a fondosulle conseguenze di questa profonda la-cerazione, la fine della guerra pose subitoin evidenza il bisogno di ripensare all’e-ducazione con una prospettiva di cam-biamento e rinnovamento sociale. Sono glianni in cui si va definendo il paradigma lai-co della pedagogia ed il bisogno di riflet-tere concretamente sulle definizioni di cit-tadinanza, di partecipazione, di impegnopolitico e sociale. I temi urgenti e priori-tari che emergono a conclusione dellaguerra, furono quello di cercare di ricom-porre il tessuto sociale distrutto dal caoscausato dalla differente posizione assuntadurante gli anni del regime fascista e delconflitto, e la sconfitta dell’analfabetismoancora fortemente presente al Sud tra ledonne e nelle zone rurali. Queste ultime,in particolare, si traducono in priorità cheimpegnano il mondo formativo verso un’in-dagine dei bisogni della popolazione e inuna conseguente proposta di educazionedegli adulti. L’UNLA, l’Unione nazionale

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per la lotta contro l’analfabetismo, vienefondata a Roma nel dicembre 1947. Erachiaro che oltre alla volontà di colmare ilgap dell’analfabetismo l’UNLA avesse co-me finalità anche quello di emancipare lepopolazioni più povere ed emarginate edi diffondere i principi della società de-mocratica. L’obiettivo dell’Associazione eraquello di fornire, oltre agli strumenti con-creti per l’uso della scrittura, della letturae del contare, anche la formazione di cit-tadini consapevoli del proprio ruolo poli-tico e sociale e questo senza più accetta-zione passiva. Un impegno a non subireche la condizione di povertà e di lonta-nanza dai maggiori nuclei aggregativi epartecipativi determinasse una condizio-ne di esclusione dalla partecipazione so-ciale. Per questo motivo il lavoro educati-vo venne affidato ai Centri di cultura po-polare (Ccp) che sorsero in tutto il Paese.Un impegno sul territorio che si strutturò,in maniera essenzialmente apolitica, al-

meno fino ai primi anni Settanta, periodoin cui sorsero i comitati regionali dei Ccp. In questa sede non possiamo trattare inprofondità l’argomento, ma ci sembra do-veroso porre lo sguardo sull’impegno fem-minile che in questo settore della storiadell’educazione in Italia ha portato a fon-damentali cambiamenti. Attraversare leproblematicità del periodo, tracciando lafigura di Anna Lorenzetto, significa darepiccolo spazio alla conoscenza di un im-portante impegno sociale, culturale e po-litico che ha saputo generare profondi cam-biamenti. La Lorenzetto (1914-2001) è sta-ta infatti un’attiva combattente antifascistae, ancora giovanissima, membro della As-semblea Costituente. Il suo impegno poli-tico nei confronti delle questioni riguar-danti le donne è stato sempre costante, ol-tre che maturatosi nel tempo. Un impegnoche si è concretizzato attraverso la parte-cipazione, rivestendo incarichi importan-ti, ad associazioni internazionali, per la di-

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fesa dei diritti delle donne, ed al suo ruo-lo di vicepresidente dell’UNLA. Da qui an-che l’impegno profondo, esercitato a li-vello sociale e politico, per l’analisi di unanuova prospettiva della cultura e del sapereche comprendesse, finalmente anche ilcontributo dato dalle donne.

Le priorità del dopoguerra

Questi nuovi impegni assunti nei confron-ti del sistema educativo hanno portato spes-so a domandarsi se il riferimento al dibat-tito sulla formazione del nuovo cittadinodella Repubblica italiana fosse o meno unapriorità dell’Italia del dopoguerra. C’é chisostiene che la caduta del fascismo lasciavafinalmente spazio ad un nuovo tipo di si-stema scolastico, non più condizionato dal-le imposizioni del regime e quindi più ca-pace di comprendere i significati profon-di dell’educazione come motore per lo svi-luppo della democrazia, della partecipa-zione sociale, del benessere distribuito, diun dinamico e sano rapporto tra differen-ti opinioni politiche. Ma c’è anche chi so-stiene che fondamentalmente, molte cosestrutturali siano rimaste invariate, che ilcambiamento sia stato solo superficialeperché il pericolo della rivoluzione dove-va essere mantenuto sotto controllo.Sappiamo bene quanto il tema della scuo-la risentisse dell’imponente peso e po-tremmo dire anche presenza del pensierocattolico e delle volontà ecclesiastiche. Ilsistema scolastico è sempre stato un cam-po di confronto politico molto scottante e,soprattutto in Italia, fortemente ancorato aduna tradizione di pensiero e di trasmis-sione culturale che ha frenato intenzio-nalmente una completa riforma capace dieducare e promuovere quel rinnovamen-to democratico e civile auspicato anchedalla Costituzione repubblicana. I diffe-renti articoli presenti nella Costituzione

italiana (gli articoli 2, 3, 4, 5, 6 riguarda-no gli aspetti di orientamento pedagogicoin generale, mentre gli articoli 7, 33, 34,117, non solo riflettono il riferimento agestioni passate del sistema scolastico, maesprimono anche le contraddizioni di unmondo tradizionale. La scuola rimarrà perlunghi anni bloccata dentro un tradizio-nale modo classista di concepire sia la di-stribuzione della popolazione scolasticache le modalità didattiche da attuare. Lescelte fatte dalla già citata Riforma Genti-le del 1923, continueranno a garantire lastruttura del sistema ed ogni intervento fi-nalizzato a rendere la scuola un autenti-co luogo di esperienza democratica, ri-marrà spesso in superficie. Il sistema scolastico fascista con le sue for-me di epurazione, controllo e accentra-mento culturale, era entrato dentro i con-tenuti, la didattica e le modalità organiz-zative della scuola ma aveva anche inciso,pesantemente, sulla formazione dei do-centi. Una formazione che ha continuatoinfluenzare il modo di organizzare i sape-ri anche nei primi anni del secondo dopo-guerra benché la scuola dovesse fare rife-rimento ai principi di democrazia e di par-tecipazione sociale. Furono quindi pochele iniziative teoricamente fondate capacidi promuovere un autentico rinnovamen-to nella formazione docente, per la scuo-la e la cultura democratica e la garanzia deidiritti dei cittadini. Di grande importanzafurono sicuramente le varie esperienze fio-rentine come «Scuola Città Pestalozzi», laCasa editrice «La Nuova Italia», la fonda-zione di movimenti per l’educazione de-mocratica e le voci illustri di Lamberto Bor-ghi, Ernesto Codignola, Aldo Visalberghi,Raffaele Laporta, Aldo Capitini. Così, nonostante i tentativi fatti dall’allie-vo di Dewey, il colonnello pedagogistaCarleton Wolsey Whashburne, arrivato ap-positamente nell’Italia liberata per dirige-re la sottocommissione alleata nel compi-

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to di creare un nuovo sistema di istruzio-ne pubblica, capace di sostituire quello fa-scista ancora fortemente radicato, conti-nuava ad affermarsi in Italia un’idea di de-mocrazia basata essenzialmente su unaconcezione formale e procedurale. Un’i-dea che la scuola, come verrà sottolinea-to anche da don Lorenzo Milani negli an-ni Sessanta, sia una realtà democratica, ri-marrà quindi solo un’illusione. Il suo inte-resse per la democrazia è solo un fine chedeve incontrarsi con quello del regime po-litico, pensato e creduto come democrati-co ma profondamente ancora classista,escludente, selettivo e competitivo. Un si-stema di scuola che, nonostante quanto af-fermato dalla Costituzione non riesce aproporsi come la scuola di tutti e per tut-ti, perché il linguaggio, la cultura propo-sta, la comprensione dei bisogni educati-vi rimangono largamente ancorati a unidealtipo di studente pensato e costruitonon per il cambiamento e lo sviluppo, maper la crescita e la conferma del ruolo so-ciale, di solo una parte della cittadinanza.

Un contesto di inclusione sociale

Ma deve essere considerato che, superatigli anni della ricostruzione, la scuola, so-prattutto quella dell’obbligo è diventata unimportante contesto di inclusione sociale.Nel 1977 con la legge 517 gli studenti condisabilità e, più tardi, dalla seconda metàdegli anni Ottanta, con l’accoglienza deibambini stranieri che giungevano in Italiaper ricongiungimento familiare o a causadi un difficile e pericoloso percorso mi-gratorio, rendono la scuola un importanteambiente di sperimentazione e di cam-biamento capace di anticipare la consa-pevolezza dei bisogni sociali di un Paeseche stava cambiando fisionomia. Una scuola che ha visto fare passi impor-tanti, come la nascita della scuola media

unica (1962), della scuola materna (oggidell’infanzia, 1968) dell’attenzione per lafascia dei bambini più piccoli 0-3 anni,con la legge 1044 del 1971 per l’istitu-zione degli asili nido, la liberalizzazionedegli accessi universitari, tutte tappe im-portanti nelle quali la politica ha risposto,sia pure con un certo ritardo, alle richie-ste ed ai bisogni sociali. Oggi la scuola italiana viene pensata pertutti e aperta a tutti, ma questo nella realtànon si esprime nella sua completezza per-ché sono presenti ancora molte contrad-dizioni, discriminazioni e questioni da af-frontare. L’istituzione di una scuola pertutti, non garantisce un’equa applicazio-ne delle normative e delle procedure. Lemodalità selettive, che provocano la scel-ta da parte di un elevato numero di ra-gazzi stranieri di intraprendere percorsiscolastici considerati meno impegnativi ri-sente fortemente di un implicito condi-zionamento sociale non più definito perclassi sociali, ma dalla condizione di dif-ferente status di cittadinanza.Oggi ci sono questioni aperte, ferite graviche rischiano di paralizzare la scuola erenderla sempre più sterile sul piano del-la costruzione partecipata e creativa delsapere e su quello della promozione perla trasformazione culturale. Pienamenteassorbiti dalle questioni di disagio quoti-diano, di una sopravvivenza causata daun affollamento di questioni, problemi,impegni, informazioni da dipanare, lo spa-zio per l’investimento sulla qualità rela-zionale ed il benessere scolastico si re-stringono sempre di più. L’attenzione peri valori ed i sentimenti di benessere so-ciale, di convivenza umana, di attenzio-ne all’uso delle nostre parole e del nostroesserci, è sostituito da un bisogno conti-nuo di apparire. Potrebbero sembrare que-stioni lontane dalle problematiche delledidattiche disciplinari e dell’apprendi-mento dei contenuti del sapere. Ma sap-

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piamo bene che a scuola non si insegna-no e non si apprendono solo i contenuti.Il loro apprendimento si realizza in modocostruttivo se ciò che viene proposto, ol-tre a riferirsi a modelli teorici che spiega-no il lavoro della mente, è sostenuto daun clima relazionale che comprenda l’a-gire responsabile e cooperativo, la capa-cità di gestire pacificamente i conflitti e diaccogliere affettivamente e con reciprocointeresse la ricchezza delle nuove gene-razioni.

Un «grande fratello» con il registroelettronico?

A fronte di un grande impegno da partedei docenti e di una continua richiesta diinserimento di questioni o prassi all’in-terno della scuola, molti contesti di ap-prendimento sono sempre più colpiti daifenomeni di violenza, di abbandono sco-lastico, di disagio relazionale. La cura perla comunicazione non viene avvertita co-me una priorità della formazione. A darepiena conferma di questo approcciarsi al-la relazione, sono le motivazioni che so-stengono l’inserimento e l’uso del regi-stro elettronico (a partire dall’a.s. 2012-2013) che, nella gran parte dei casi, ini-bisce e depotenzia la circolarità della co-municazione tra studenti, docenti e geni-tori con il risultato di deresponsabilizza-re tutti su quanto avviene a scuola, purdando l’illusione, ai soli adulti, di averecostantemente la situazione sotto con-trollo. In linea generale la scarsa lettera-tura sull’argomento valuta il beneficio el’importanza di tale strumento. Esso, in-fatti, permette di incrociare i dati di cia-scuno studente, creando cartelle in for-mato elettronico personalizzate, da ag-giornare in tempo reale. Da qui la crea-zione di quadri sintetici quantitativi cherappresentano l’andamento del singolo

studente e/o dell’intera classe. Ma quelloche interessa e piace di più alla scuola edalle famiglie è la possibilità di controlla-re il comportamento dello studente sen-za dover entrare in relazione diretta conlui, senza ascoltare il suo parere ed i suoibisogni, senza porsi di fronte ad unoscambio di responsabilità, di diritti e didoveri.L’uso del registro elettronico, se pensatoin questa prospettiva, fa diventare la scuo-la un luogo di controllo più che di for-mazione responsabile alla cittadinanza.Informare le famiglie in tempo reale suciò che scolasticamente riguarda i proprifigli, rischia di essere una prassi altamen-te compromettente per le dinamiche re-lazionali e per la garanzia dei diritti del-l’infanzia e dell’adolescenza. Il registroelettronico, non è il supporto, ma lo stru-mento di contatto e di scambio di infor-mazioni. Un’implicita ammissione di in-capacità di comunicare in modo diretto,affrontando con maturità le dinamiche delconflitto e formando alle abilità e com-petenze di negoziazione ed assertività.L’accettazione passiva di tale prassi rischiadi legittimare, nei confronti degli studen-ti, una relazione di esclusione e di inca-pacità ad affrontare i problemi in una pro-spettiva di complessità. Invece di educa-re alle strategie del problem solving, in-vestigando sulle potenzialità creative in-dividuali e di gruppo, si antepone la for-ma di comunicazione a distanza, priva diqualsiasi sfumatura empatica e motiva-zionale. E tutto questo perché guidati dal-la falsa credenza che le tecnologie sianocapaci di prevenire o evitare l’insorgeredi difficili confronti. Questo sembra quin-di l’andamento di gran parte del sistemascolastico italiano quando, cercando distare ai passi con i tempi, propone l’usodegli strumenti tecnologici piuttosto chequalificare e migliorare la relazione edu-cativa.

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Porre al centro la riflessione sul senso esul modo di educare

Nel corso degli ultimi decenni, con l’at-tenzione spostata sui problemi dell’acco-glienza, sulle pratiche dell’integrazione edinclusione scolastica, sulle questioni rela-tive ai bisogni educativi speciali (che stra-namente sembrano interessare tutti gli stu-denti), sul far fronte ai comportamenti diviolenza palese, perché quella sotterranea,nascosta, strutturale appare meno, si sonosempre più indebolite le attenzioni versola formazione di principi e valori, che de-vono impegnare la scuola per la costru-zione di una società democratica, inclusi-va, pacifica, dinamica e di benessere pertutti. A nostro avviso rimangano ancora fon-damentali quei principi per i quali, a par-tire dal secondo dopoguerra, è stato pen-sato di cambiare la scuola. Se allora, per ilretaggio di una formazione impregnata didogmi fascisti e di condizionamenti reli-giosi, lo spazio per il cambiamento era dif-ficile da realizzare, oggi, a distanza di set-

tanta anni dall’entrata in vigore della Co-stituzione, abbiamo il dovere di continua-re a porre al centro del nostro impegno didocenti e di educatori la riflessione sul sen-so e sul modo attraverso i quali si possaeducare al pensiero libero, democratico,creativo, responsabile e pacifico. Oggi, an-cora più di prima, abbiamo bisogno di ri-pensare all’educazione come opportunitàdi crescita cognitiva, emotiva, affettiva espirituale, che prende forma nell’acquisi-zione di capacità relazionali e comunica-tive, finalizzate alla comprensione di séstessi, degli altri e del benessere sociale.Cercando di tecnologizzare il mondo checi circonda, con la convinzione di rag-giungere più velocemente i nostri obietti-vi, costruiti troppo spesso su effimeri inte-ressi quotidiani piuttosto che su motiva-zioni valoriali profonde, sottovalutiamo esminuiamo l’importanza che assume l’e-ducazione alla libertà ed alla democrazia.Già nei primi anni del secondo dopoguer-ra Maria Montessori affermava la necessitàdi considerare come l’adulto continui il suo

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processo formativo avendo davanti a sé duemotivazioni chiare e distinte, ma non perquesto destinare ad essere e rimanere se-parate. Da una parte, il proprio migliora-mento sul piano delle conoscenze che haun’incidenza sull’organizzazione della vi-ta, sulla qualificazione professionale, sul-la modificabilità dello stesso essere uma-no. Dall’altra, un’educazione che lo portaa relazionarsi alle nuove generazioni perfavorire il pieno possesso della propriacomplessa natura umana. In questo se-condo campo, l’impegno è quello di riu-scire a ritrovare come poter riportare l’es-sere umano sulla strada della liberazionedalle sovrastrutture depositate, nel corsodegli anni, che allontanano dalla possibi-lità di interpretare i bisogni e le necessitàspirituali dei bambini e dei giovani. Piut-tosto che pensare all’applicazione di unmetodo o del miglior metodo come spes-so la moda scolastica ci solleciterebbe a fa-re, la possibile educazione sta nella crea-zione di relazioni autentiche, necessarieanche per lo sviluppo progressivo dell’e-ducazione alla pace. Il primo passo pereducare alla pace e ai valori democraticista, quindi, nella semplicità della relazio-ne, nella interruzione della continua vo-lontà di dominio che l’adulto mette in at-to nei confronti dei bambini. Lotta che por-ta solo ad una dipendenza ed alla perditadelle innumerevoli qualità umane che spes-so non ricordiamo neppure di avere.

Formare alle human relations

Tutti noi abbiamo sperimentato che il no-stro rendimento lavorativo migliora e lapartecipazione è più piacevole se siamoapprezzati e trattati con rispetto e genti-lezza e se percepiamo, al di là di possibi-li conflitti e divergenze, che siamo stima-ti e coinvolti in un atteggiamento di cor-responsabilità. L’attitudine e l’uso di que-

ste pratiche relazionali sono importanti siaa scuola che fuori del contesto scolastico.Sono fondamentali per la vita sociale, masoprattutto per un rapporto di cura versosé stessi, il proprio essere, il proprio sen-tire, i propri bisogni, il proprio mondo spi-rituale. Per arrivare a decostruire formecomunicative patologiche, inquinate e di-struttive che vengono veicolate sia attra-verso i rapporti interpersonali diretti cheattraverso l’uso dei social che filtrano l’i-dentità della persona, è necessaria unaformazione in human relations. Da dove partire? E soprattutto come riusciread integrare l’impegno didattico per l’ap-prendimento dei contenuti scolastici conquello della formazione alle conoscenzee competenze comunicative? Oltre a ri-considerare gli obiettivi educativi che pon-gono come orizzonte progressivo la scel-ta di comportamenti democratici, respon-sabili, solidali, dobbiamo considerare qua-li metodologie educative ci permettono ditrovare le vie per learning to live together,come sostenne Delors nel 1996. Appren-dere a vivere insieme significa costruire si-tuazioni di pace positiva attraverso il co-stante e quotidiano impegno educativo. Inaccordo con le linee di educazione per lapace promosse dall’UNESCO, e natural-mente con la Dichiarazione universale deidiritti dell’uomo (che sostiene che l’edu-cazione «(…) deve favorire la compren-sione, la tolleranza e l’amicizia fra tutte lenazioni e tutti i gruppi razziali o religiosi»),cui questo volume è dedicato, viene rico-nosciuto come prioritario dotare tutti i cit-tadini, in particolare quelli in formazione,delle conoscenze, delle abilità e delle at-titudini necessarie a coltivare una culturadella convivenza e della comunicazione at-tenta a privilegiare l’ascolto di se stessi edegli altri, nella comprensione che chi piùdi ogni altra cosa collabora alla sicurezzaed alla sostenibilità della nostra vita è l’am-biente stesso che abitiamo.

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