La Cucina Italiana 2012

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CUCINA IL GLOBO/ Un viaggio attraverso i profumi e i sapori della Penisola I ristoranti “storici” di Melbourne e Sydney Giovedì 26 luglio 2012

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CUCINAIL GLOBO/

Un viaggio attraverso i profumi e i sapori

della PenisolaI ristoranti “storici”

di Melbourne e Sydney

Giovedì 26 luglio 2012

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ricetta dopo ricetta, discendendo tutta la Penisola facendo tappa anche, ovviamente, nelle isole. Un lungo viaggio suddiviso tra le tradizionali portate di un lauto pasto, dagli antipasti ai dolci, dal nord al sud. Talora la nostra scelta è caduta su ricette abbastanza tradizionali, altre volte, invece, si è volutamente privilegiato quelle meno note proprio per evitare di cadere nello stereotipo regionale. Alcune ricette presentate per una regione possono essere valide anche per la regione vicina, perché certe tradizioni si fondono e non hanno confi ni ben delineati. Alla fi ne del viaggio abbiamo pensato di inserire un’appendice locale in omaggio dei ristoranti “storici” di Melbourne e Sydney. Per concludere un’avvertenza e un consiglio a quanti intendano cimentarsi con le ricette che appaiono in questo Speciale: quelle che trovate riportate non sono dogmi giacché non ne esistono in cucina, attenetevi a loro con liberalità, mai disdegnando di manipolarle con discrezione; aggiungerete così una pennellata di fantasia, un piccolo segreto personalizzato che ve le renderà più care e forse anche più buone.

Presentare in pieno clima di invasioni gastronomiche una selezione di piatti rappresentativi delle cucine regionali italiane, signifi ca omaggiare una delle più ricche e raffi nate culture culinarie mondiali cui dobbiamo rivolgerci con cuore grato e gagliardo appetito. Il “prelibato” viaggio che vi proponiamo in questo supplemento, con alcune note che riguardano i prodotti tipici di ogni regione italiana, non è in ordine alfabetico, ma geografi co. Partendo dalla piccola Val d’Aosta proseguiremo,

I prodotti tipici da Nord a Sud 4Trentino e Lombardia 6Gli antipasti 7Veneto, FVG, Liguria, Emilia Romagna 10Primi piatti 14Lazio, Marche, Toscana, Abruzzo 18I secondi 21Molise, Umbria, Campania, Puglia 25I contorni 29Basilicata, Campania, Sicilia, Sardegna 32I dolci 35Il piatto del giorno 38Una consolidata ‘Italian Connection’ 48

Un patrimonio senza confini

Indice

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Valle d’AostaI prodotti tipici della Valle d’Aosta (DOP, denominazione di origine protetta, e IGP, Indicazione geografi ca protetta), si caratterizzano per l’agricoltura di montagna. Negli alpeggi, infatti, ricchi pascoli dispongono il bestiame alla produzione di ottimo latte e di altrettanto ottimi formaggi, componenti essenziali dei prodotti di questa regione. Tutto il territorio regionale coincide con l’area di produzione di due formaggi tipici: la ormai notissima Fontina e il Fromadzo.La prima si ottiene dalla mungitura delle locali bovine pezzate rosse o nere valdostane. E’ un formaggio grasso a pasta morbida preparato con latte crudo intero, la cui origine risale quantomeno al medioevo, come dimostra un documento relativo al feudo di Chatel-Argent di Villenueve che ne parla in modo esplicito. E’ un ottimo formaggio da tavola, ma costituisce soprattutto l’ingredíente fondamentale per la preparazione della ‘fonduta’, vera e propria bandiera della

cucina tradizionale valdostana. Tipico e DOP anche il Jambon de Bosses, un prosciutto che si produce nel solo territorio comunale di Saint-Rhémy dove, la tradizionale lavorazione delle cosce salate del suino è sicuramente presente dalla fi ne del 1300. Un altro prodotto tipico molto gustoso è il Lard d’Arnad DOP. Siamo di fronte a un lardo di lontana tradizione, che lo vede già citato dai buongustai nel 1763; le caratteristiche organolettiche sono assolutamente particolari. Insaporito secondo una ricetta che prevede un largo uso di erbe aromatiche e una accurata stagionatura, il Lard di Arnad si gusta tagliato a fette sottilissime da accompagnare con pane di segale e un buon bicchiere di vino rosso.

PiemonteIl Piemonte è meta privilegiata per chi sa apprezzare le diverse agricolture che vi coesistono, con tutta la varietà di paesaggi, prodotti tipici e cultura rurale che ciò porta con sé. In pianura, l’agricoltura è caratterizzata da fi orenti allevamenti zootecnici molti dei quali conferiscono il proprio latte per la produzione di due prodotti tipici del Piemonte, formaggi a Denominazione d’Origine Protetta caratteristici di diverse zone della Pianura Padana: il Gorgonzola e il Grana Padano DOP; altri, nelle zone pedemontane della provincia di Novara, alimentano la produzione del Taleggio al margine occidentale della sua zona di origine che arriva fi no al Veneto. C’è poi l’agricoltura collinare (Langhe,

Monferrato, Roero), vocata soprattutto alla produzione vitivinicola di pregio, dove tuttavia troviamo anche alcuni prodotti tipici piemontesi legati alla frutticoltura: mele, pere e soprattutto nocciole. Utilizzato soprattutto per la preparazione di dolci (chi non conosce il cioccolato gianduia?) un altro prodotto tipico del Piemonte: la Nocciola del Piemonte IGP che ha ottenuto l’Indicazione Geografi ca Protetta nel 1996, a tutela delle sue peculiari caratteristiche qualitative. Sulle colline nascono anche altri straordinari prodotti tipici. In provincia di Alessandria, si trova la Robiola di Roccaverano di sapore dolce, o leggermente piccante nelle forme più stagionate. Un tempo questo prodotto tipico del Piemonte veniva ottenuto solo da latte di capra; oggi conserva questa componente unita però all’apporto di latte ovino e vaccino (quest’ultimo, predominante). E naturalmente ci sono i vini: dal Barbera al Grignolino, dal Barbaresco al Nebbiolo, dal Barolo al Dolcetto tutti rossi DOC. Altra specialità del Piemonte è il famosissimo tartufo d’Alba.

DA NORD A SUD una serie infi nita di prodotti di origine controllata e “protetta” e un grande pranzo (o cena) a carattere regionale di quattro portate (più contorno) con la scelta di quattro piatti per ciascuna portata. Gli antipasti provengono da Val d’Aosta, Piemonte, Trentino e Lombardia. Per i primi la scelta passa attraverso Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Liguria. Per i secondi ci siamo affi dati a Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio. Accompagnati dai contorni “made in” Umbria, Molise, Campania e Puglia. I dolci provengono dal ricettario regionale di Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna

Prodotti tipiciProdotti tipicicucina tradizionale valdostana.

Prodotti tipicicucina tradizionale valdostana. Monferrato, Roero), vocata soprattutto

Prodotti tipiciMonferrato, Roero), vocata soprattutto

Prodotti tipiciProdotti tipiciProdotti tipiciLa notissima

Fontina

Il tartufo d’Alba

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TrentinoSpecialità uniche anche per il Trentino, nonostante il territorio impervio che costringe le produzioni agricole a con-tendere alla natura terreni non facili da coltivare, ma proprio per questo capaci di regalarci ottime specialità, grazie alle particolari condizioni ambientali. Fra i prodotti tipici ricordiamo la Spressa delle Giudicarie DOP unico formaggio a denominazione d’origine che si produce esclusivamente in Tren-tino. Nel campo dei salumi la bandiera regionale è portata indiscutibilmente dallo Speck dell’Alto Adige IGP, che si produce in provincia di Bolzano. Di questo salume la storia ha molto da raccontare. E’ certo, infatti, secondo un documento del 1381 riguardante le proprietà in Tirolo del convento di Weihenstephan, che lo Speck sia stato prodotto in zona fi n dal XIV secolo. Ma alcuni studiosi sono orientati a fi ssare la data di nascita di questo salume ancora prima, nel periodo delle invasioni longobarde, considerato che la lavorazione attuale dello Speck coincide sostanzialmente con i metodi di conservazione della carne suina che erano in uso presso queste popolazioni di origine nordica. Dal punto di vista organolettico è un salume assolutamente inconfondibile, sia per sapore, sia per aroma, dove l’affumicatura e l’impiego di un gran

numero di spezie (pepe nero, pimento, aglio, bacche di ginepro) giocano un ruolo di primo piano. Fra i prodotti tipici riconosciuti dall’Unione Europea, la Mela della Val di Non e la Mela Alto Adige.

LombardiaLa Lombardia (insieme con l’Emilia Ro-magna) è attualmente la Regione italiana che ha ottenuto il maggior nu-mero di riconoscimenti per prodotti tipici a denominazione di origine o indicazione geografi ca protetta. Sono infatti 21 i prodotti tipici della Lombardia DOP e IGP: nove formaggi, nove salumi, due oli extravergini d’oliva e un ortofrutticolo. In una escursione ideale attraverso questo grande patrimonio gastronomico, si impone una prima distinzione tra i prodotti tipici lombardi della montagna e quelli della cosiddetta ‘bassa’. Comin-ciamo dai primi, e da nord: incontriamo innanzitutto il Bitto, formaggio tipico della provincia di Sondrio e di alcuni comuni dell’Alta Val Brembana. Da gustare assieme agli ottimi vini rossi della valle. Un altro prodotto tipico lombardo è la Bresaola della Valtellina, salume assolutamente caratteristico di questo territorio ottenuto dalla lavorazione di tagli pregiati di carne bovina o equina. Tradizionale in zona fi n dal 1400, dalla fi ne degli anni sessanta è ormai molto

conosciuta e apprezzata anche fuori dell’area di produzione. In zona dicono che il modo migliore per gustarla è al naturale accompagnata da fette di pane di segale imburrate; si serve anche condi-ta con olio, pepe, limone e sca-glie di formaggio stagionato.Popolare è il Taleggio, se non altro per-ché recentemente, oltre che in provincia di Bergamo, la sua produzione si è este-sa ad altre zone delle Prealpi Lombarde e a parte della pianura sottostante. In origine proveniva dalla omonima Val Taleggio, e raggiungeva la città di Milano col nome generico di Stracchino. Sarà per molti una sorpresa ap-prendere che fra i prodotti tipici della Lombardia ci sono addirittura due ottimi olii extravergini di oliva. Succede lungo le spon-de dei Laghi di Como e d’Iseo. Dai grandi allevamenti di bovini da latte in pianura prendono origine soprattutto due prodotti tipici lombardi straordinari, formaggi apprezzati in tutto il mondo: il Grana Padano DOP, la cui produzione interessa tutta la fascia pianeggiante e collinare della regione; e il Parmigiano Reggiano, prodotto in Lombardia esclu-sivamente nel territorio della provincia di Mantova. Altri formaggi, anche questi a base di latte vaccino, caratteristici della pianura sono il Provolone Valpadana, il Quarti-rolo Lombardo e il Gorgonzola che, stando ad alcune ricostruzioni storiche, potrebbe considerarsi un po’ parente del Quartirolo. Anch’esso, anticamente, veniva infatti lavorato utilizzando il latte delle mungiture autunnali, subito dopo il ritorno in pianura della mandrie dagli alpeggi. Da non dimenticare tra i prodotti DOP il Salame di Varzi che prende il nome dalla località più rappresentativa della zona di produzione, il Salame Brianza, il Salame d’Oca di Mortara. Infi ne, fra i prodotti tipici anche un frutto: si tratta della Pera Mantovana IGP.

Prodotti tipiciProdotti tipiciTrentino

Prodotti tipiciTrentino numero di spezie (pepe nero, pimento,

Prodotti tipicinumero di spezie (pepe nero, pimento,

Lo Speck, bandiera del Trentino

Bresaola della Valtellina

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Valle d’Aosta Cappelle di funghi ripieneINGREDIENTI PER 4 PERSONE12 porcini di piccole dimensioni80 g di pancetta tesa, in una sola fetta1 spicchio di aglio1 ciuffo di prezzemolo2 rametti di timo200 g di patate, già lessate1 uovo50 g di Fontina grattugiataburroolio extravergine di olivasale, pepePREPARAZIONEPulite i funghi strofi nandoli delicatamente con un panno umido per eliminare eventuali residui di terra e recidete l’estremità del gambo; sciacquateli velocemente sotto l’acqua corrente e tamponateli con carta assorbente da cucina. Staccate i gambi dalle cappelle, tritateli grossolanamente e rosolateli in 3 cucchiai di olio insieme con la pancetta ridotta a dadini e l’aglio, sbucciato e tritato. Cuoceteli per circa 10 minuti a fuoco vivace, lasciando che perdano l’acqua di vegetazione; salate, pepate, quindi cospargete di abbondante prezzemolo e timo tritati.Frullate nel mixer le patate con l’uovo e la fontina, incorporate i funghi trifolati e distribuite sulle cappelle crude il composto preparato. Disponetele in una teglia rivestita di carta da forno, distribuite sopra fi occhetti di burro e cuocete in forno a 190 °C per circa 25 minuti. Sfornate, lasciate riposare per 5 minuti e servite.IL VINO GIUSTOI sapori intensi di pancetta e Fontina arricchiscono la sapidità del piatto; servite un vino bianco di buona intensità come un buon Chardonnay.

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Valle d’Aosta Cappelle di funghi ripieneINGREDIENTI PER 4 PERSONE12 porcini di piccole dimensioni80 g di pancetta tesa, in una sola fetta1 spicchio di aglio1 ciuffo di prezzemolo2 rametti di timo200 g di patate, già lessate1 uovo50 g di Fontina grattugiataburroolio extravergine di olivasale, pepe

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PREPARAZIONEPulite i funghi strofi nandoli delicatamente con un panno umido per eliminare eventuali residui di terra e recidete l’estremità del gambo; sciacquateli velocemente sotto l’acqua corrente e tamponateli con carta assorbente da cucina. Staccate i gambi dalle cappelle, tritateli grossolanamente e rosolateli in 3 cucchiai di olio insieme con la pancetta ridotta a dadini e l’aglio, sbucciato e tritato. Cuoceteli per circa 10 minuti a fuoco vivace, lasciando che perdano l’acqua di vegetazione; salate, pepate, quindi cospargete di abbondante prezzemolo e timo tritati.Frullate nel mixer le patate con l’uovo e la fontina, incorporate i funghi trifolati e distribuite sulle cappelle crude il composto preparato. Disponetele in una teglia rivestita di carta da forno, distribuite sopra fi occhetti di burro e cuocete in forno a 190 °C per circa 25 minuti. Sfornate, lasciate riposare per 5 minuti e servite.IL VINO GIUSTOI sapori intensi di pancetta e Fontina arricchiscono la sapidità del piatto; servite un vino bianco di buona intensità come un buon Chardonnay.

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PiemonteAgliata verdeINGREDIENTI PER 4 PERSONE4 spicchi di aglio1 mazzetto di prezzemolo200 g di ricotta piemonteseolio extravergine di olivapane rusticosalePREPARAZIONEMondate il prezzemolo eliminando le foglie sciupate e i gambi, lavatelo, tritatelo fi nemente e tenetelo da parte. Setacciate la ricotta raccogliendola in una terrina.Private gli spicchi di aglio della buccia, quindi metteteli in un mortaio insieme con un pizzico di sale; schiacciateli con il pestello, poi incorporate a fi lo l’olio fi no a ottenere una crema densa e omogenea, mescolando bene con un cucchiaio di legno. Versate la crema di aglio nella terrina con la ricotta, unite il prezzemolo e mescolate bene il tutto ottenendo un composto leggero e omogeneo.Tagliate il pane a fette, distribuitevi un poco di agliata, quindi decorate a piacere con spicchi di aglio sbucciati e ciuffetti di prezzemolo.CONSIGLIOL’agliata è una preparazione caduta in disuso perché le attuali tendenze di consumo non apprezzano l’aroma forte e persistente dell’aglio. Volendo ammorbidirne il sapore, si può far cuocere l’aglio in un poco di latte e, quando è diventato morbido, privarlo della buccia e proseguire poi come indicato dalla ricetta.

TrentinoSfogliatine di verza e speckINGREDIENTI PER 4 PERSONE1 rotolo di pasta sfoglia, già pronta200 g di cavolo verza80 g di Speck 1 spicchio di aglio1/2 cipolla10 g di burro2 uova0,3 dl di panna fresca40 g di Nostrano del Casel stagionatoolio extravergine di olivasale, pepeburro per gli stampifarina per gli stampiPREPARAZIONESfogliate la verza, eliminate le foglie esterne danneggiate, il torsolo centrale e le costole più grosse delle foglie interne, quindi tagliatela a striscioline sottili, lavatele e sbollentatele per 1 minuto in abbondante acqua salata; scolatele e lasciatele asciugare bene.Sbucciate e affettate al velo l’aglio e la cipolla e rosolateli insieme allo speck tagliato a striscioline sottili in 2 cucchiai di olio e il burro. Aggiungete la verza e lasciate insaporire il tutto a fuoco vivace per 5 minuti; regolate di sale e pepe.Foderate con la sfoglia quattro stampini da crostata di circa 14 cm di diametro, imburrati e infarinati; ripiegate i bordi di pasta eccedenti a formare un cordoncino, punzecchiate il fondo con i rebbi di una forchetta e riempiteli con il composto di verza e speck.Sbattete le uova con la panna e il formaggio grattugiato, versate il tutto sulla base preparata distribuendolo uniformemente, poi cuocete in forno a 210 °C per circa 20 minuti. Spegnete e lasciate riposare le sfogliatine nel forno aperto per 5 minuti, quindi servite.

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LombardiaDischi di taleggio frittiINGREDIENTI PER 4 PERSONE600 g di Taleggio200 g di farinaolio per friggeresalePREPARAZIONEPrivate il taleggio della crosta e tagliatelo a dischetti di uguali dimensioni, usando un ta-gliapasta rotondo o un bicchierino capovolto.Preparate la pastella: versate in una ciotola la farina setacciata, quindi versate acqua a suf-fi cienza per ottenere la densità di una crema omogenea. Passatevi i dischetti di taleg-gio avvolgendoli bene nella pastella. In una padella scaldate abbondante olio per friggere e quando sarà ben caldo immergetevi i dischetti di taleggio, pochi per volta in modo da non abbassare la temperatura dell’olio. Friggeteli da entrambi i lati.A mano a mano che sono pronti scolate i dischetti dal condimento con il mestolo forato e poneteli su carta assorbente da cucina affi nché perdano l’unto in eccesso. Salateli leggermente e serviteli subito ben caldi.

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VenetoLa rassegna dei prodotti tipici del Veneto parte sicuramente dai formaggi: oltre al Montasio, “condiviso” con il Friuli Venezia Giulia, c’è l’Asiago DOP che lega il proprio nome all’omonimo altopiano, rinomato fi n dall’anno mille per i suoi pascoli ricchi di ottimo foraggio. L’area di produzione è comunque molto più ampia e comprende tutta la provincia di Vicenza e parte delle province di Padova e di Treviso. Con Lombardia e Trentino, il Veneto partecipa alla produzione dell’olio extravergine di oliva Garda DOP, proveniente dalla riva orientale del più grande lago d’Italia. Anche l’allevamento suino è molto diffuso, soprattutto in aziende di grandi dimensioni, nelle provincie di Treviso e di Padova e da esso derivano alcuni importanti prodotti tipici. Innanzitutto il raro e pregiato Prosciutto Veneto Berico Euganeo, limitata ad un’area di 24 comuni in provincia di Padova, dove la conservazione delle cosce suine gode di un’antica tradizione che si fa risalire alle tecniche di salatura delle carni in uso presso i Celti. Il Veneto ha il merito di avere promosso ed ottenuto anche il riconoscimento di molti prodotti tipici

ortofrutticoli. Dai comuni attorno all’altopiano lamonese, in provincia di Belluno, viene il Fagiolo di Lamon. Padova, Treviso e Venezia sono invece le provincie in cui è il radicchio ad essere l’ortaggio che gode della maggiore tradizione. Il più conosciuto è il Radicchio Rosso di Treviso IGP. Fra i prodotti tipici va senz’altro citato un particolare tipo di riso coltivato nei terreni irrigui della pianura veronese: il Riso Nano Vialone Veronese. Poi ancora l’Asparago Bianco di Cimadolmo la Ciliegia di Marostica, il Marrone di San Zeno, la Sopressa Vicentina e i Salamini Italiani alla Cacciatora.

FVGDopo gli sconvolgimenti deter-minati dall’ultimo confl itto mondiale, del territorio dell’antica Venezia Giulia all’Italia sono rimaste poche centinaia di chilometri quadrati: appena più di un lembo di terra, che ha tuttavia conservato intatto il fascino e l’attrattiva di una volta. E’ invece molto più esteso il Friuli “patria” di uno dei prodotti tipici più famosi della regione: il prosciutto di San Daniele DOP. La sua bontà è senz’altro legata alle qualità della carne e alle tecniche di lavorazione; ma è soprattutto la stagionatura (di almeno un anno) a fare la differenza, grazie al particolare microclima di questa località (276 metri sul livello del mare), che conferisce a questi prosciutti quel profumo intenso e quel gusto dolce e delicato che li hanno resi famosi sin dal Medioevo. Su come gustarlo, a San Daniele sono drastici: ‘meglio solo che male accompagnato’; tanto che persino il tradizionale accoppiamento col melone e i fi chi freschi viene visto con qualche perplessità. Ma l’indicazione non riguarda ovviamente i vini, da scegliere tra quelli locali, come il Tocai (ora semplicemente Friulano) o il Sauvignon, prodotti anche nella zona del Collio assieme al Pinot Grigio. Fra i

prodotti tipici del Friuli vanno ricordati i Salamini Italiani alla Cacciatora DOP.Per il formaggio Montasio DOP il nome ha una precisa origine geografi ca. Deriva infatti dall’omonimo altopiano delle Alpi Giulie, caratterizzato da fl oridi pascoli sfruttati da sempre per l’alpeggio. Da qui, nel tempo, la produzione di questo pregiato prodotto caseario si è estesa a tutto il Friuli e a parte del Veneto. Per concludere con i prodotti tipici del Friuli Venezia Giulia che hanno ottenuto il riconoscimento DOP, ricordiamo l’olio extravergine di oliva Tergeste DOP, ottenuto nella provincia di Trieste e il vino tradizionale della zona carsica: il Terrano.

Prodotti tipici

Il prosciutto di San Daniele

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Radicchio Rosso

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LiguriaI prodotti tipici in Liguria, tro-vano un polo di attrazione di eccellenza nel Parco Nazionale delle Cinque Terre, che si estende per buona parte della fascia costiera della provincia di La Spezia, sconfi nando anche, per un breve tratto,

nella provincia di Genova. Caratteristico della zona è il vino Bianco Cinque Terre DOC, A farla da protagonista, nelle aziende agricole prevalentemente di limitata dimensione e a conduzione familiare, ancor più dei vigneti che pure sono

molto diffusi lungo tutta la costa e il suo entroterra, è l’olivo. Fra i prodotti tipici della Liguria, l’olio extravergine di oliva merita dunque un posto di tutta evidenza. Piante centenarie (ma anche moderni impianti realizzati secondo i più razionali sistemi di allevamento), si trovano lungo le coste, sui terreni terrazzati delle colline prospicienti il mare; persino in montagna, ad altitudini inaspettate, dove l’olivo sopravvive solo sulle pendici meglio esposte al sole e riparate dai venti. Non c’è da sorprendersi: l’olivo è prodotto tipico della Liguria fi n dal 3000 a.C.. Il grande sviluppo della coltura dell’olivo si deve, secondo alcuni, ai benedettini, soprattutto nel III e IV secolo, che la diffusero anche nelle zone interne, dove soppiantò in molte aree la vite e il castagno, promuovendo i primi estesi lavori di terrazzamento.Il primo, fra i prodotti tipici liguri ad aver ottenuto il riconoscimento della Denominazione d’Origine Protetta dall’Unione Europea, è proprio l’olio extra-vergine di oliva Riviera Ligure. Da segnalare anche il riconoscimento per il Basilico Genovese DOP, protagonista indiscusso della specialità forse più tipica della cucina ligure: il pesto alla genovese.

Il basilico pianta-simbolo della

Liguria

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Emilia RomagnaNon c’è che l’imbarazzo della scelta, nel parlare di prodotti tipici dell’Emilia Romagna: le specialità riconosciute a Denominazione d’Origine Protetta oppure ad Indicazione Geografi ca Protetta sono infatti numerose, tutte molto note e

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apprezzate. Iniziamo con quelle a base di carne suina e con la provincia di Piacenza che ci regala il Salame Piacentino, la Coppa Piacentina e la Pancetta Piacentina. Tutti e tre vengono stagionati al di sotto dei 900 metri di altitudine, in zone che garantiscono le condizioni climatiche ideali per l’asciugatura e la maturazione. Sempre alla scoperta dei salumi tipici emiliani come non parlare del Culatello di Zibello DOP; una vera e propria ‘chicca’ gastronomica ottenuta dalla lavorazione dei tagli migliori della coscia dei suino. L’altro è il Prosciutto di Parma DOP. La sua notorietà rende superfl ua qualsiasi presentazione. Ma sulla strada dei salumi che porta a Modena si “incontra” il Cotechino e lo Zampone IGP: due salumi decisamente peculiari. Nella loro composizione entra infatti a far parte la cotenna, sapientemente miscelata con aromi ed altri tagli di carne suina. Ambedue vengono consumati cotti e si sposano perfettamente col più rinomato tra i vini locali: il dolce e piacevolmente frizzante Lambrusco DOC. E siamo arrivati alla conosciutissima Mortadella Bologna IGP, la cui area di produzione si estende a tutta l’Emilia Romagna. La sua notorietà è tale da non richiedere particolari spiegazioni; va però sottolineato che si tratta di un salume nella cui lavorazione gioca un ruolo di primo piano la tecnica di cottura (la cui origine risale al periodo rinascimentale) e l’utilizzo di una vasta gamma di aromi naturali, cui si devono gran parte delle qualità organolettiche dei prodotto fi nito. Salumi e formaggi, una lista di qualità: dal Provolone Valpadana al Grana Padano e uno spazio riservato al Parmigiano Reggiano DOP, tipico delle provincie di Bologna, Modena, Parma e Reggio, sicuramente tra i formaggi più conosciuti ed apprezzati al mondo. Tra le peculiarità e attenzioni che ne caratterizzano la tecnica produttiva, ricordiamo soprattutto la cura nella scelta della materia prima: i locali mastri casari sono, su questo punto, molto esigenti e utilizzano soltanto latte proveniente da bovine alimentate con foraggi di prato o di erba medica. Prodotto IGP anche la Pesca dell’Emilia Romagna e la Nettarina considerate, non a torto, tra le migliori d’Italia. Fra gli ortaggi di pianura, da ricordare l’Asparago Verde di Altedo, in provincia di Bologna. Prodotti tipici anche il fungo di Borgotaro, il Marrone di Castel del Rio e lo Scalogno di Romagna.

L’area di produzione della

Mortadella si estende a tutta

l’Emilia Romagna

Il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano tra i formaggi più

famosi del mondo

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Giovedì 26 luglio 2012

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ITALIANALA BUONA14 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

VenetoRavioli di pesceINGREDIENTI PER 4 PERSONE400 g di farina4 uovasalePER IL RIPIENO:500 g di fi letti di branzino1 spicchio di aglio1 bicchierino di Cognac1 grosso ciuffo di dragoncello1 uovo100 g di burro50 g di panna fresca1/2 bicchierino di whisky1 cucchiaio di oliosale, pepePREPARAZIONESetacciate sulla spianatoia la farina a fontana, sgusciate al centro 4 uova e cominciate a impastare con la punta delle dita. Aggiungete un pizzico di sale e lavorate la pasta a piene mani fi no a quando risulterà elastica e omogenea.Tagliate a pezzettini i fi letti di branzino, metteteli in una padella con l’olio e l’aglio, sbucciato e schiacciato; lasciateli insaporire per qualche minuto, quindi eliminate l’aglio. Regolate di sale e pepe, bagnate con un bicchierino di cognac, fatelo evaporare, quindi spegnete il fuoco e passate il composto al mixer, aggiungendo il dragoncello. Trasferite tutto in una terrina e legate il composto con l’uovo rimasto, leggermente sbattuto.Stendete la pasta con il matterello sulla spianatoia leggermente infarinata in una sfoglia sottile e tagliatela con la rotella dentata in quadrati di 10 cm. Mettete al centro di ogni quadrato un cucchiaio di farcia e chiudete i tortelloni a metà, ottenendo dei grossi triangoli; premete lungo gli orli per sigillarli bene. Lessate i ravioli in abbondante acqua bollente salata. Nel frattempo fate sciogliere in un pentolino il burro con la panna e profumate con il whisky. Scolate i ravioli con il mestolo forato, disponeteli nei piatti individuali, conditeli con la salsa e servite subito.IL VINO GIUSTOServite un vino bianco di medio corpo, come un Sauvignon Blanc, un Soave o un Pinot bianco.

Primi piattiPrimi piatti

Friuli Venezia GiuliaBrodo di pesce alla dalmataINGREDIENTI PER 4 PERSONE1 branzino da 1 kg circa1 foglia di alloro1 cipolla piccola2 spicchi di aglio1/2 costola di sedano1/2 carota1/2 peperone giallo4 pomodori pelati1 cucchiaio di origano tritato1 dl di vino bianco seccopeperoncino in polvere4 fette di pane, private della crosta olio extravergine di olivasale, pepe1 cucchiaio di prezzemolo tritatiPREPARAZIONEPulite accuratamente il branzino: squamatelo, evisceratelo, eliminate le pinne, le branchie e la coda. Lavate bene il pesce sotto l’acqua fredda corrente e mettetelo in una pentola con 1 l di acqua bollente leggermente salata insieme con l’alloro. Fate cuocere per circa 20 minuti.Sbucciate la cipolla e l’aglio; lavate e mondate il sedano, la carota e il peperone, eliminando anche i semi e le nervature interne. Tritate fi nemente tutte le verdure e fatele rosolare per qualche minuto in una casseruola con 2 cucchiai di olio.Unite i pomodori tritati, le erbe aromatiche e il vino; salate, pepate e insaporite con una presa di peperoncino. Aggiungete il pesce, privato delle spine e della pelle, e la sua acqua di cottura, quindi fate bollire per altri 10 minuti. Nel frattempo tagliate le fette di pane a cubetti e fateli tostare sotto il grill.Servite il brodo nelle scodelle individuali con i pezzi di pesce e i crostini di pane.IL VINO GIUSTOLa preparazione è delicata ma al tempo stesso dotata di un buono spessore aromatico; servite pertanto vini bianchi profumati come Sauvignon, Chardonnay o Pinot Grigio.

RAVIOLI DI PESCE

BRODO DI PESCE ALLA DALMATA

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EmiliaSgrafi gnoniINGREDIENTI PER 4 PERSONE220 g di Parmigiano Reggiano grattugiato280 g di pangrattato60 g di farina50 g di funghi secchi4 uova500 g di polpa di pomodoro1 spicchio di aglio1 cucchiaio di prezzemolo tritato3 cucchiai di olio di olivasalepepe1 tuorloPREPARAZIONEMettete i funghi in ammollo per circa 15 minuti in una tazza di acqua tiepida. Raccogliete in una capace terrina 200 g di formaggio grattugiato, il pangrattato, la farina setacciata e formate un piccolo cratere nel centro. Versate le uova sgusciate e il tuorlo nell’incavo, aggiungete un cucchiaio d’olio (o una piccola noce di burro ammorbidito), impastate gli ingredienti, quindi lasciate riposare il composto per almeno 30 minuti.Sbucciate l’aglio, schiacciatelo e fatelo appassire per circa 4 minuti in una casseruola, meglio se di terracotta, con l’olio rimasto, poi eliminatelo, quindi unite i funghi strizzati e spezzettati. Aggiungete la polpa di pomodoro tagliata a dadini, salate, pepate e lasciate cuocere a fi amma moderata per 30 minuti.Ricavate dal composto di pangrattato tanti gnocchetti (sgrafi gnoni) aiutandovi con un cucchiaio bagnato. Cuocete gli sgrafi gnoni in abbondante acqua bollente salata, sgocciolateli con un mestolo forato a mano a mano che saranno pronti (occorreranno circa 8-10 minuti); conditeli con il sugo di funghi, cospargeteli di grana e prezzemolo, quindi servite.

SGRAFIGNONI

15ITALIANALA BUONA CUCINA

ESPERIENZA E TRADIZIONE... “Nel lontano 1968, mio nonno Giovanni Lucifora, iniziò

quasi per “sbaglio” quell´attività che da lì a poco sarebbe divenuta una realtà imprenditoriale affermata

e conosciuta in tutta la Sicilia...A seguito di due anni consecutivi di “càrrica” delle olive, il Nonno decise di provare a conservare per la prima volta delle olive in salamoia, essendo le “giare” già piene di olio

acquistarne delle nuove non avrebbe avuto senso, come non lo avrebbe avuto dover buttare quell´enorme quantità di olive

che la natura aveva deciso di donarci...Fu così che da produttore di olio, mio Nonno iniziò l´attività

conserviera, cominciò a distribuire sul tutto il territorio siciliano, dapprima le olive e poi anche le melanzane,

i pomodori secchi, i carciofi ni, le cipollette... tutti prodotti dell´agricoltura locale.

Negli anni, aiutato dai suoi fi gli, il Suo lavoro si concretizzò in un’affermata azienda leader in Sicilia nel settore

Conserviero e dei Semilavorati.Oggi, nello stesso stabilimento di un tempo, ristrutturato

ed adeguato alle vigenti normative sanitarie, mi ritrovo seduto sulla scrivania del Nonno, a raccontarvi la nostra storia, orgoglioso di essere riusciti a far risorgere questo posto

splendido, dal quale nascono meravigliosi prodotti, ricchi di storia e di esperienza...”

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ITALIANALA BUONA 15Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

EMILIASgrafi gnoniINGREDIENTI PER 4 PERSONE220 g di Parmigiano Reggiano grattugiato280 g di pangrattato60 g di farina50 g di funghi secchi4 uova500 g di polpa di pomodoro1 spicchio di aglio1 cucchiaio di prezzemolo tritato3 cucchiai di olio di olivasalepepe1 tuorloPREPARAZIONEMettete i funghi in ammollo per circa 15 minuti in una tazza di acqua tiepida. Raccogliete in una capace terrina 200 g di formaggio grattugiato, il pangrattato, la farina setacciata e formate un piccolo cratere nel centro. Versate le uova sgusciate e il tuorlo nell’incavo,

SGRAFIGNONIaggiungete un cucchiaio d’olio (o una piccola noce di burro ammorbidito), impastate gli ingredienti, quindi lasciate riposare il composto per almeno 30 minuti.Sbucciate l’aglio, schiacciatelo e fatelo appassire per circa 4 minuti in una casseruola, meglio se di terracotta, con l’olio rimasto, poi eliminatelo, quindi unite i funghi strizzati e spezzettati. Aggiungete la polpa di pomodoro tagliata a dadini, salate, pepate e lasciate cuocere a fi amma moderata per 30 minuti.Ricavate dal composto di pangrattato tanti gnocchetti (sgrafi gnoni) aiutandovi con un cucchiaio bagnato. Cuocete gli sgrafi gnoni in abbondante acqua bollente salata, sgocciolateli con un mestolo forato a mano a mano che saranno pronti (occorreranno circa 8-10 minuti); conditeli con il sugo di funghi, cospargeteli di grana e prezzemolo, quindi servite.

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ITALIANALA BUONA16 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

LiguriaCestini di grana con pasta al pesto di crescione e oliveINGREDIENTI PER 6 PERSONE250 g di spaghettiolive nerepomodori sott?olio100 g di granaolio extravergine di olivasalePER IL PESTO:40 foglie di crescione1 dl di olio extravergine di oliva2 spicchi di aglio40 g di pecorino grattugiato sale grossoPREPARAZIONEPreparate il pesto: in un mortaio schiacciate con il pestello le foglie di crescione pulite, un pizzico di sale grosso e l’aglio sbucciato. Quando il composto apparirà fi nemente sminuzzato, unitevi anche il formaggio e lavorate il tutto con una spatola, poi versate l’olio a fi lo, sbattendo fi no a ottenere una crema omogenea.Preparate i cestini di grana: grattugiate grossolanamente il formaggio, quindi raccoglietene una sesta parte e ponetela su una placca coperta di carta da forno. Formate con il formaggio un disco, premendolo con il dorso di un cucchiaio, poi ripetete l’operazione con il grana restante, realizzando in tutto 6 dischi. Passateli in forno a 200 °C per 5 minuti, senza lasciare che il formaggio assuma troppo colore (lo renderebbe amaro).Togliete i dischi dal forno, sollevate e piegate i bordi di ognuno intorno a un bicchiere; ripetete l’operazione formando così gli altri 5 cestini.Portate a ebollizione abbondante acqua in una pentola, salatela e fatevi cuocere gli spaghetti, scolandoli al dente; conditeli con poco olio, il pesto di crescione, qualche pomodoro e qualche oliva nera, quindi distribuiteli nei cestini di grana e servite.IL VINO GIUSTOServite un vino bianco di medio corpo come un Riesling o un Pinot Grigio

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Giovedì 26 luglio 2012

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ITALIANALA BUONA18 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

MarcheE’ soprattutto a ridosso della Dorsale Appenninica, che troviamo quasi tutti i prodotti tipici delle Marche. Procedendo da Nord verso Sud, abbiamo la zona di produzione della Casciotta di Urbino DOP, formaggio misto di latte ovino e vaccino, la cui origine risale almeno dai XVI secolo. Si presenta in forme di piccola dimensione (pesa circa un chilogrammo), dolce e profumata, caratterizzata da stagionatura molto breve (circa un mese). Viene prodotta nell’intera provincia di Pesaro-Urbino, ma il latte proviene soprattutto dalle zone collinari e montane. Si dice che di questo formaggio andasse particolarmente ghiotto Michelangelo Buonarroti, tanto da farselo spedire regolarmente a Roma. Nella stessa zona, ma più vicino alla costa, intorno al comune di Cartoceto, la produzione olivicola (diffusa peraltro in tutta la regione) si propone con una eccellenza: l’olio extravergine di oliva Cartoceto DOP. Più a monte, proprio nel centro geografi co del Montefeltro, troviamo il Prosciutto di Carpegna DOP. Fra i prodotti tipici delle Marche, troviamo le Lenticchie di Castelluccio di Norcia IGP, la cui zona di produzione interessa anche l’Umbria. Nella parte meridionale delle Marche, in provincia di Ascoli Piceno, si produce l’Oliva Ascolana del Piceno DOP protagonista di uno dei piatti più tradizionali della regione, le olive fritte impanate.

LazioI prodotti tipici del Lazio “cominciano” sui Colli Albani, noti anche come Castelli Romani. E cominciano da un prodotto IGP fondamentale nell’alimentazione italiana: il Pane, in questo caso quello Casereccio di Genzano. II segreto che da sempre ne ha fatto un prodotto particolarmente apprezzato e ricercato sta in un insieme di fattori: qualità della farina, la tecnica di impasto, processo di lievitazione, cottura. In pagnotte di questo tipo di pane peso oscillante tra gli 0,5 e i 2,5 chilogrammi, si riconosce per il profumo fragrante e la particolare consistenza della mollica, che si conserva inalterata fi no a una settimana dopo la cottura.Altri prodotti DOP tipici del Lazio sono tre oli extravergini di oliva: il Canino, il Sabina e il Tuscia. Assieme all’olivicoltura, l’attività agricola da sempre caratteristica del Lazio è l’allevamento ovino da cui provengono due prodotti tipici: la Ricotta e il Pecorino Romano.Nelle fertili zone di pianura della regione hanno ottenuto riconoscimenti

Prodotti tipiciProdotti tipicieuropei il Kiwi di Latina, e il Carciofo Romanesco (quest’ultimo tipico anche di alcune zone costiere delle province di Roma e di Viterbo).

Il pane di Genzano

L’oliva del Piceno

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ITALIANALA BUONA 19Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

ToscanaI prodotti tipici della Toscana alimentano una tradizione culinaria di grande livello che, soprattutto nei vini, ha reso famosa questa regione in tutto il mondo. I prodotti tipici toscani, uffi cialmente

riconosciuti, sono numerosi e di gran pregio. Alcuni, come il Farro della Garfagnana sono particolarmente legati alla tradizione: la minestra di Farro (utilizzato da solo o miscelato con altri cereali e legumi) è infatti uno dei piatti

regionali più caratteristici, ma l’uso di questo cereale (risalente all’epoca romana) entra anche in numerose altre specialità, tra cui ottime torte. La coltivazione interessa 15 comuni, tutti in provincia di Lucca. Riconoscimento IGP anche per un’altro prodotto tipico della montagna Toscana, il Marrone del Mugello. La pianta simbolo delle campagne toscane è l’olivo. La coltivazione interessa gran parte del territorio collinare e gode di una tradizione millenaria che si rifà nientemeno che al periodo etrusco. L’olio che se ne ricava è un extravergine denominato Toscano IGP, con le produzioni territoriali Lucca DOP, Chianti Classico DOP e Terre di Siena DOP. A caratterizzarlo è soprattutto il sapore, marcatamente fruttato; cambia invece, a seconda delle zone di produzione, il colore, che assume toni diversi, dal verde al giallo oro. Altri prodotti tipici della Toscana che meritano particolare sottolineatura, sono: il Lardo di Colonnata DOP, la Castagna del Monte Amiata IGP, il Fagiolo di Sorana IGP, la Farina di Neccio della Garfagnana DOP il Miele della Lunigiana DOP e lo Zafferano di San Gimignano DOP.

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ITALIANALA BUONA20 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

AbruzzoL’Abruzzo oltre ad essere la Regione dei Parchi è anche terra dalla forte tradizione agricola e quindi dei molti prodotti tipici. Tradizione di allevamenti, anzi-tutto, e in particolare di quelle pecore abruzzesi che ispirarono a D’Annunzio i celebri versi che ricordano la partenza per la transumanza: “Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare”. All’allevamento ovino fa riferimento anche la produzione di agnello, o abbacchio, uno dei prodotti tipici della regione. Ma l’Abruzzo è anche terra di allevamenti bovini, prevalentemente di razze rustiche che trascorrono buona parte dell’anno all’aperto, allo stato brado. La carne che se ne ricava è un altro fra i prodotti tipici d’Abruzzo. Presenta eccellenti caratteristiche organolettiche cui fa riferimento la denominazione Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP. Regione montana, ma anche marina (con bellissime spiagge), l’Abruzzo agricolo si sviluppa soprattutto nella fascia collinare che digrada dai grandi massicci montuosi verso la costa. E’ questo il regno delle estese coltivazioni di cereali (frumento duro, soprattutto), della vite e, naturalmente dell’olivo, da cui provengono altri importanti prodotti tipici abruzzesi. Coltura, quella dell’olivo, di antichissima tradizione e realizzata con alcune particolarità. Fra queste, soprattutto evidente, la diffusa presenza di impianti realizzati mantenendo inusuali distanze tra una pianta e l’altra (anche 12 metri). Ma i prodotti tipici di questa regione non si limitano all’olio d’oliva e alle carni; nella zona interna, infatti, abbiamo lo Zafferano dell’Aquila DOP, il più famoso al mondo e da molti considerato anche il migliore. Meritano poi menzione per la loro “unicità” l’aglio rosso di Sulmona e la carota del Fucino.

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ITALIANALA BUONA 21Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

I secondiLazioGranchio e carciofi al coriandolo e dragoncelloINGREDIENTI PER 4 PERSONE4 granciporri (granchi)8 carciofi 1 costola di sedano1 porro1 spicchio di aglio1 carota5 dl di vino bianco secco1 limone1 rametto di prezzemolocoriandolo, aneto e dragoncello freschiolio extravergine di olivasalepepe in graniPREPARAZIONEPulite i carciofi eliminando le parti esterne più dure e appuntite e l’eventuale fi eno interno. Divideteli in spicchi e lessateli

in abbondante acqua bollente salata, aromatizzata con il vino e qualche grano di pepe, per circa 5 minuti. Scolateli, spruzzateli con succo di limone e teneteli in caldo, conservando l’acqua di cottura.Mondate le verdure e dividetele a metà, poi aggiungetele all’acqua dei carciofi insieme con il prezzemolo e lasciate sobbollire per 15 minuti.Pulite i granchi spazzolandoli bene sotto l’acqua fredda corrente e immergeteli nel court bouillon preparato. Fateli cuocere per 20 minuti, spegnete il fuoco, coprite e lasciateli intiepidire per altri 15 minuti.Aprite quindi i granchi facendo leva con un coltellino dal di sotto, vicino agli occhi, quindi svuotate il guscio, separando la carne dai coralli e dalle eventuali uova. Staccate pinze e zampe, poi spaccatele ed estraetene tutta la polpa, unendola alla carne. Conditela con 4 cucchiai d’olio, 2 di succo di limone e abbondanti foglioline di coriandolo, aneto e dragoncello. Pepate leggermente e servitela disponendola sui carciofi lessati.IL VINO GIUSTOIl sapore amaro del carciofo, attutito dalla bollitura, è compensato dal gusto “dolce” del granciporro: stappate un vino bianco vellutato come un buon Pinot o un Orvieto

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ITALIANALA BUONA22 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

AbruzzoFaraona alla casalingaINGREDIENTIper 4 persone1 faraona200g di pomodori freschi1 ciuffo di prezzemolo1 bicchiere di vino bianco10 olive verdi1 cipolla 1 mazzetto erba cipollina1 spicchio di aglio2 cucchiai di olio di olivePREPARAZIONESi comincia preparando il car-toccio-teglia da forno ungendolo con un poco di olio di oliva. Scaldate poi il forno a 180 gradi. Tagliare a pezzi la faraona sistemandola nel cartoccio. Potete comprarla già sporzionata, oppure tagliarla con un trinciapollo. Unite l’erba cipollina tagliata con la forbice. Intanto togliete i noccioli alle olive e tagliatele a fettine prima di unirle al cartoccio di faraona. Tritate il prezze-molo e l’aglio e irorate il tutto con del vino bianco. Chiudete il cartoccio e infornate la faraona, che in questo modo si manterrà morbida e profumata. Quando manca circa un quarto d’ora al momento di servire fate rosolare la cipolla in poco olio, al pepe-roncino se volete un gusto pic-cante, unite un cucchiaio di trito di prezzemolo e i pomodori spezzettati. Cuocete i pomodori pochissimo, giusto per insaporirli, e regolate di sale. Recuperate il cartoccio di faraona, controllate che sia ben cotta, bucando la carne vicino all’osso (se è tenera e non esce liquido va bene). Spostate il sugo di pomodori e la faraona in un recipiente di terracotta e rimettete in forno per 10 minuti a 200 gradi. Servite la faraona con il suo sugo, calda o fredda: avrete un secondo saporito, leggero e allegro da portare in tavola.Baccalà con aglio e prezzemoloIL VINO GIUSTOVini rossi di grande pregio, invecchiati per un matrimonio perfetto.

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ITALIANALA BUONA24 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

MarcheArista al cavolo nero e melagranaINGREDIENTI PER 4 PERSONE800 g di arista di maiale, disossata2 grosse foglie di cavolo nero o cavolo verza1 melagrana matura50 g di pancetta affumicata40 g di burro1 piccolo porro1 bicchiere di vino bianco seccoolio extravergine di olivasalepepePREPARAZIONECon un lungo coltellino affi lato praticate delle profonde incisioni longitudinali nello spessore della carne e riempitele con la pancetta tritata. Legate l’arista tutt’intorno con refe da cucina e rosolatela in 1 cucchiaio di olio e il burro in una capace casseruola. Aggiungete il porro, mondato e affettato al velo, e lasciate insaporire ancora per 3-4 minuti a fuoco vivace.Sgranate la melagrana, unite i grani alla carne insieme con il vino, salate, pepate e coprite il tutto con le foglie di cavolo, precedentemente lavate e sbollentate in acqua salata per circa 2 minuti. Chiudete ermeticamente la casseruola, abbassate al minimo la fi amma e cuocete per circa 1 ora e 30 minuti, controllando di tanto in tanto il livello di liquidi e aggiungendo altro vino se necessario.Spegnete il fuoco, lasciate riposare l’arista per 10 minuti, eliminate il refe da cucina e servite.IL VINO GIUSTOAccompagnate all’arista, preparazione di maiale saporita, un vino rosso di buon corpo come uno Shiraz o Cabernet Savignon.

FEGATINI CON CARCIOFI

ToscanaFegatini con carciofi INGREDIENTI PER 4 PERSONE300 g di fegatini di pollo5 carciofi 20 g di prezzemolo1 spicchio di aglio1 foglia di salviasucco di 1/2 limone4 cucchiai di aceto2 cucchiai di olio di olivasalepepePREPARAZIONEMondate i carciofi dalle foglie esterne più dure, privateli dell’eventuale fi eno, accorciate il gambo e tagliateli a spicchi, raccogliendoli man mano in una ciotola d’acqua acidulata con l’aceto. Scaldate l’olio, unite lo spicchio di aglio intero e quando questo comincia a rosolare aggiungete i carciofi ; salateli e fateli cuocere per 10 minuti bagnandoli con poca acqua se fosse necessario.Mondate il prezzemolo staccando le foglie dai gambi, lavatelo, asciugatelo e tritatelo grossolanamente con un coltello. Tagliate i fegatini a grossi pezzi e uniteli ai carciofi con la foglia di salvia. Salate, pepate e continuate la cottura per circa 5 minuti, non oltre, per evitare che i fegatini si induriscano.Due minuti prima di togliere dal fuoco aggiungete il prezzemolo e bagnate con il succo di limone. Eliminate la foglia di salvia e lo spicchio di aglio e servite la preparazione calda, disponendola se volete su un letto di riso bollito.IL VINO GIUSTOLa preparazione è defi nita dal sapore amarognolo dei carciofi cui si somma il fi nale amarognolo lasciato dai fegatini; da provare un vino bianco leggermente abboccato come un Chenin Blanc o morbido come lo Chardonnay.

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ITALIANALA BUONA 25Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

MoliseProtagonista da sempre dell’economia locale, l’agricoltura del Molise è molto ricca di tradizioni e di prodotti tipici, ma la maggior parte è custodita gelosamente dalla tradizione familiare e non si è organizzata ancora per la tutela di alcuna denominazione. Solo due prodotti tipici del Molise, con zona di produzione interregionale, hanno sinora ottenuto riconoscimento uffi ciale: iI Caciocavallo Silano DOP nasce, come la stessa denominazione evidenzia, in Calabria ed è dunque nel capitolo di questa regione che se ne parla diffusamente. Ciò non vuol dire che in Molise non si produca dell’ottimo Caciocavallo che si può acquistare presso i numerosi caseifi ci artigianali. L’altro prodotto è il Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP frutto dell’allevamento delle razze bianche da carne (Romagnola, Chianina, ma soprattutto Marchigiana) che in Molise gode di una lunga tradizione. Erano gli animali da lavoro con cui, aggiogati due a due, si lavorava il terreno; oggi sono allevati per la produzione di carne. La macellazione avviene tra i 12 e i 24 mesi. Il prodotto che se ne ricava è di notevole qualità e risente positivamente del fatto che si tratta di animali allevati per gran parte dell’anno allo stato libero, con largo impiego di pascolo e foraggi freschi che conferiscono alla carne aromi caratteristici a seconda della composizione fl oristica dell’alimento.In Molise vi è anche una eccellente produzione di olio extra-vergine di oliva che si fregia del riconoscimento Molise DOP e i fi chi di scorza nera.. Nella regione si producono anche i Salamini ventricina tipici della zona di Campobasso.

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ITALIANALA BUONA26 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

UmbriaI prodotti tipici in Umbria alimentano una solida tradizione enogastronomica e sottolineano che questa regione è “cuore verde d’Italia” non solo perché un quarto della sua superfi cie è occupata da boschi (in prevalenza di quercia, con presenze impor-tanti di faggio e castagno) ma anche perché c’è tanta agricoltura, tanto “verde” coltivato che permette di produrre l’olio ex-travergine di oliva Umbria DOP. La tradizionale perizia nella lavorazione delle carni di maiale è fonte di molti prodotti tipici dell’Umbria, come il Prosciutto di Norcia IGP, che ha origine nel territorio della Comunità montana della Valnerina che ha, nel comune di Norcia, il centro principale di riferimento. E’ un prosciutto di montagna dal sapore forte e deciso, ottenuto in quantità limitata dai famosi artigiani della zona, così abili in questa particolare arte da far entrare nell’italiano corrente il termine di ‘norcino’ come sinonimo del più usato, ma decisamente meno elegante, termine di salumiere. Sempre nella zona un altro prodotto “privilegiato: le Lenticchie di Castelluccio. Si tratta di una varietà particolare di lenticchia, di piccole dimensioni e molto saporita, che viene coltivata solo da poche decine di produttori. Conosciuto e apprezzato sin dall’antichità, questo legume è diventato quasi un simbolo del successo che un prodotto tipico assolutamente ‘di nicchia’ può avere se viene adeguatamente promosso e fatto conoscere. Meritano infi ne citazione altri prodotti tipici dell’Umbria, con-divisi con altre regioni: il tartufo, il farro di Monteleone e il vino Sagrantino di Montefalco.

Prodotti tipiciProdotti tipici

Il Sagrantino DOP CampaniaLa ricerca di prodotti tipici in Campania, regione che ha dato i natali agli spaghetti, al sugo di pomodoro e alla pizza napoletana, non può che riservare molte soddisfazioni all’appassionato di gastronomia. Al primo posto probabilmente, in una classifi ca fi ttissima di prodotti, la Mozzarella di Bufala Campana DOP. Unico e storicamente importante il pomodoro San Marzano, conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo per le sue caratteristiche, che vengono esaltate dalla trasformazione in “pelato”. Pomodoro DOP e naturalmente limone DOP: quello di Sorrento per intenderci, riferito ai frutti della cultivar di limone “Massese”, conosciuta in letteratura anche come “Limone di Massa” e “Ovale di Sorrento”, prodotti esclusivamente nell’area della penisola sorrentina. E’ un limone di dimensioni medio-grosse (peso di ogni frutto non inferiore a 85 grammi), il cui succo è caratterizzato da elevata acidità e ricco di vitamina C e sali minerali. La buccia è di medio spessore ed è molto profumata per la ricca presenza in oli essenziali. Queste peculiari caratteristiche qualitative fanno del “Limone di Sorrento” un prodotto di eccellenza per la sua categoria, sia per il mercato dei limoni freschi che per la produzione del famoso “limoncello”, infuso di bucce di limone immerse in alcool purissimo, che proprio in quest’area di origine ha trovato la sua consacrazione internazionale. In Campania un posto di rilievo lo occupa anche la Castagna di Montella. Oltre che come caldarroste, le castagne di Montella sono particolarmente richieste dall’industria di trasformazione per uso marron glacés, marmellate, al naturale, purea.

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ITALIANALA BUONA28 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

PugliaI prodotti tipici della Puglia spaziano in tutti i settori dell’attività agricola alimentando una tradizione enogastronomica fra le più ricche in Italia. La coltura più diffusa, assieme alla vite, è senz’altro l’olivo e dall’olivo de-rivano alcuni dei principali prodotti tipici pugliesi, vantando

Clementine del Golfo

Prodotti tipiciProdotti tipici

la regione la più elevata produzione di olio extravergine di oliva. Le varietà di olivi da cui viene ricavato sono in gran parte indigene: Peranzana, Ogliarola, Garganica e Coratina. Il ricco patrimonio di prodotti tipici non si ferma però agli oli d’oliva. Ne è testimonianza una tradizione gastronomica che vede soprattutto nella grande varietà l’elemento caratterizzante: dai molti tipi di pasta (orecchiette, strascenate, chiacarelle, troccoli) all’assortimento di ortaggi; dalla variegata mappa dei vini, alle diverse tradizioni salumiere e casearie. La pregiata produzione di agrumi trova la sua eccellenza nelle Clementine del Golfo di Taranto IGP. Tra i formaggi, troviamo altri tre prodotti tipici pugliesi riconosciuti dall’Unione Europea: anzitutto il Canestrato Pugliese DOP, un formaggio a pasta dura, stagionato da due a dieci mesi e prodotto esclusivamente con latte di pecora. La sua origine è legata alle antiche pratiche della transumanza, durante la quale i pastori si dedicavano a confezionare le ‘fi scelle’, cioè i canestri di giunco utilizzati per la pressatura del formaggio. E’ invece vaccino, cioè esclusivamente ottenuto da latte di mucca, un altro grande rappresentante dei prodotti tipici di Puglia, un vero e proprio capolavoro caseario regionale. Si tratta del Caciocavallo Silano DOP condiviso con altre quattro regioni del Sud. C’è poi la famosa burrata, una preparazione casearia tipica della provincia di Bari: si presenta come un piccolo “sacco” di pasta fi lata morbida che racchiude al suo interno una generosa dose di “Stracciatella” (delicato miscuglio di panna fresca e mozzarella sfi lacciata a mano in fi li sottili).

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ITALIANALA BUONA 29Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

I contorni UmbriaCarciofi ripienialla umbraINGREDIENTI8 carciofi 4 acciughe salate 50 g di pangrattato 2 spicchi d’aglio 1 ciuffo di prezzemolo 1 bicchiere di olio d’oliva 1 manciata di capperi salati 1 limone Sale e peperoncino PREPARAZIONE Dissalate e spinate le acciughe e risciacquate i capperi sotto acqua fredda corrente. Pulite i carciofi eliminando le foglie più coriacee, tagliandone poi la punta ed il gambo in modo che rimangano in piedi. Tritate i gambi con l’aglio e il prezzemolo. Fate soffriggere con un poco d’olio il pangrattato, unite un trito di acciughe e capperi e togliete dal fuoco dopo pochi minuti. Unite a questo soffritto il trito di gambi, prezzemolo e aglio, e condite con sale e peperoncino a piacere. Allargate il centro dei carciofi e farciteli con il trito. Disponete verticalmente i carciofi in una pirofi la a bordi alti; irrorate d’olio ed acqua fi no a raggiungere le foglie. Cuocete a fuoco lento per almeno mezz’ora.

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ITALIANALA BUONA30 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

MoliseInsalata di lenticchie e peperoniINGREDIENTI PER 4 PERSONE250 g di Lenticchie di Santo Stefano di Sessanio, secche1 grosso peperone giallo1 grosso peperone rosso1 costola di sedano1 cipollotto1 spicchio di aglio1 Carota dell?Altopiano del Fucino1 rametto di santoreggia250 g di polpa di pomodoro maturo6 acciughe sott’olioolio extravergine di olivasalepepePREPARAZIONESciacquate bene le lenticchie, mettetele in una ciotola, copritele con abbondante acqua fredda e lasciatele in ammollo per 12 ore. Mondate e lavate il sedano e la carota, sbucciate il cipollotto e l’aglio, tritate tutto e soffriggete in 5 cucchiai di olio insieme con le foglioline di santoreggia. Unite le lenticchie scolate, coprite con abbondante acqua fredda e cuocete a fuoco basso per circa 1 ora e 30 minuti, mescolando di tanto in tanto.Trascorso questo tempo, unite i peperoni, mondati, lavati e tagliati a listarelle, e il pomodoro, mondato, lavato e ridotto a dadini, aggiungendo un mestolino di acqua calda se il tutto si fosse asciugato troppo.Proseguite la cottura a fi amma bassa e a casseruola semicoperta per altri 30 minuti circa, poi unite le acciughe, ben sgocciolate dall’olio, mescolate bene, regolate di sale e pepe. Servite l’insalata tiepida o fredda.

CampaniaSfogliata ai pomodoriINGREDIENTI PER 4 PERSONE280 g di farina220 g di burro150 g di mozzarella di bufala400 g di Pomodori San Marzano1 ciuffetto di basilicoolio extravergine di olivasalePREPARAZIONEIntridete 250 g di farina con mezzo litro di acqua fredda e una noce di burro. Riponete la sfoglia in frigorifero per 30 minuti, quindi tiratela con il matterello creando un quadrato; all’interno disponete un panetto formato con il resto del burro e 30 g di farina. Ripiegate il rettangolo facendo convergere gli angoli al centro e tirate la pasta in modo da ottenere un rettangolo da piegare su se stesso. Lasciate riposare nuovamente la pasta per 30 minuti in frigorifero, poi toglietela, stendetela con il matterello, avvolgetela su se stessa, stendetela ancora, ripiegate come prima e riponete in frigorifero. L’operazione si ripete ogni volta ruotando la pasta di un quarto di giro, in maniera che la lavorazione possa considerarsi terminata quando il rettangolo di pasta ha ruotato su se stesso compiendo un giro completo.Stendete la sfoglia in una tortiera di 24 cm di diametro foderata di carta da forno, distribuitevi la mozzarella di bufala privata del siero e tagliata a fettine, quindi i pomodori mondati e affettati fi nemente. Salate e condite con poco olio extravergine di oliva.Fate cuocere la sfogliata per 25 minuti nel forno già caldo a 200 °C. A 5 minuti dal termine della cottura sfornatela, cospargete di basilico tritato, poi passate di nuovo in forno. A fi ne cottura fate riposare la sfogliata per 10 minuti, quindi servitela guarnendo con altre foglie di basilico.

SFOGLIATA AI POMODORI

INSALATA DI LENTICCHIE E PEPERONI

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ITALIANALA BUONA 31Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

PugliaCicoria selvatica e pomodoriINGREDIENTI PER 4 PERSONE1 kg di cicoria selvatica100 g di pomodorini ciliegia1 spicchio di aglio1 peperoncinoPecorino grattugiato1 ciuffetto di prezzemoloolio extravergine di olivasalePREPARAZIONEMondate e lavate in più acque la cicoria, quindi lessatela per circa 5 minuti in abbondante acqua bollente salata. Scolatela al dente tenendo da parte l’acqua di cottura.In una casseruola fate rosolare l’aglio sbucciato in mezzo bicchiere di olio; eliminatelo e aggiungete la metà dei pomodorini, lavati e tagliati in quattro, regolate di sale, unite il peperoncino spezzettato e lasciate insaporire.Aggiungete la cicoria strizzata e i rimanenti pomodorini ridotti in quarti, versate 2 mestoli dell’acqua di cottura fi ltrata attraverso un colino e fate insaporire la preparazione a fi amma vivace. Cospargete generosamente di pecorino grattugiato e prezzemolo fi nemente tritato e servite subito.

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ITALIANALA BUONA32 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

Prodotti tipiciBasilicataI prodotti tipici della Basilicata nascono da un contesto agricolo ancora molto legato alle lavorazioni tradizionali, ricco di mete per itinerari enogastronomici. Anche l’ambiente naturale, nelle zone interne, si presenta spesso selvaggio e incontaminato. A ciò contribuisce la presenza di due Parchi Nazionali: il Parco Nazionale del Pollino, che la Basilicata condivide con la Calabria; e il Parco Nazionale della Val d’Agri e Lagonegrese. Proprio all’interno del Parco del Pollino si trova il paese che ha dato il nome a uno dei prodotti tipici della Basilicata che si fregiano del riconoscimento europeo: il Peperone di Senise. Di piccola dimensione, ma molto saporito, questo ortaggio proviene esclusivamente da tre coltivazioni locali caratterizzate da una particolare consistenza del picciolo che, restando unito al frutto anche a maturità, consente di riunire i peperoni tra loro fi no a formare le caratteristiche ‘collane’. Consumato soprattutto allo stato fresco, questo peperone si presta molto bene anche all’essiccazione e all’uso come condimento di sughi, secondi piatti e verdure.Più a nord, verso Potenza, si trova un altro fra i più importanti prodotti tipici della Basilicata: il Fagiolo di Sarconi IGP. Anch’esso deve il nome al paese che ne è centro principale di produzione. Commercializzato sia allo stato fresco (come bac-celli da sgranare), sia dopo l’essiccatura, viene prodotto in un-dici comuni della provincia di Potenza da alcuni ecotipi locali di fagioli Cannellino e Borlotto. Prodotti tipici della Basilicata, con riconoscimento uffi ciale dell’Unione Europea vengono anche dai fi orenti allevamenti bovini e ovini: il Caciocavallo Silano DOP e il Pecorino di Filiano DOP. Altra specialità che merita “una visita” è il Pane di Matera IGP. La sua forma tipica è il cornetto e ha la caratteristica di avere molta mollica e di essere molto poroso. E’ apprezzato per la sua fragranza, il sapore e la possibilità di essere conservato a lungo.

CalabriaI prodotti tipici di Calabria provengono per la maggior parte dalle zone interne della regione attraverso le quali si snodano stimolanti itinerari enogastronomici. Fanno eccezione gli agrumi (arance, clementine, limoni, cedri, bergamotti e, recentemente, anche pompelmi) che sono da sempre coltivati lungo le coste. Oltre gli agrumi, l’altro albero simbolo dei prodotti tipici di Calabria è l’olivo, la cui coltivazione fu anticamente introdotta da coloni provenienti dalla Grecia. Altro esponente di spicco dei prodotti tipici è il Caciocavallo Silano. Altri prodotti tipici legati alla tradizione zootecnica locale sono i salumi. Di questi ben quattro hanno ottenuto la Denominazione di Origine Protetta: un vero record, almeno tra le regioni del centro-sud Italia. La cosa non sorprenda. In Calabria la lavorazione del maiale, spesso realizzata a livello ancora artigianale, gode di una tradizione e di una fama che va ben oltre i confi ni regionali. Tra i prodotti tipici calabresi a base di carne suina, il più noto è la Soppressata, un salume di particolare pregio ottenuto utilizzando i tagli migliori (spalla e prosciutto). Di maggiori dimensioni, e dalla forma tipicamente cilindrica, è il Capocollo di Calabria DOP. Altri due prodotti tipici, grazie alle spezie usate, sono la Salsiccia e la Pancetta di Calabria DOP. La gastronomia calabrese annovera tanti altri prodotti locali non facilmente classifi cabili, alcuni dei quali noti ed apprezzati ben fuori dai confi ni regionali. Tra i più caratteristici e noti c’è senza dubbio il peperoncino piccante, che nella città di Diamante trova il suo propagandato festival. Tra gli altri prodotti tipici si annovera il cedro, che dà il nome alla zona costiera dell’alto Tirreno cosentino, le clementine di Corigliano Calabro, la liquirizia di Rossano, e le famosissime cipolle rosse di Tropea.

L’olio d’oliva tra i prodotti rinomati

della Calabria

Peperoni di Senise

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Giovedì 26 luglio 2012

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ITALIANALA BUONA34 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

SiciliaProdotti tipici della Sicilia, DOP e IGP, sono presenti in tutte le zone dell’isola. Nella zona della provincia di Siracusa ed Enna, si produce l’Arancia Rossa, quasi il simbolo dei prodotti siciliani. Si tratta di alcune varietà di arance (tarocco, sanguinello e moro) facilmente riconoscibili per l’intensa pigmentazione rossa della polpa. Tale caratteristica appare legata alla presenza di particolari sostanze (antociani) che infl uiscono anche sul gusto e il profumo del frutto maturo. Un altro prodotto tipico della frutticoltura siciliana che ha ottenuto l’Indicazione Geografi ca Protetta è l’Uva da tavola di Canicattì. La rassegna dei prodotti tipici prosegue con il Cappero di Pantelleria IGP, isola di appena 83 chilometri quadrati di superfi cie, pochissima acqua, ma molto, moltissimo sole e un terreno noto dall’antichità per essere particolarmente fertile. E’ questo l’ambiente ideale per la crescita di questa pianta singolare i cui boccioli (i capperi) sono utilizzati da tempi antichissimi in cucina. Tipici e squisitamente mediterranei gli altri prodotti ortofrutticoli che hanno ottenuto il riconoscimento comunitario: il Fico d’India dell’Etna, il Pomodoro di Pachino e l’Uva da tavola di Mazzarrone. Merita poi attenzione un’oliva da tavola: la Nocellara del Belice che dà anche dell’olio particolarmente pregiato. La Sicilia è la regione italiana che ha il maggior numero di denominazioni riconosciute dell’olio extravergine d’oliva. Chiudiamo con due formaggi. Il primo, ottenuto esclusivamente da latte bovino, è il Ragusano DOP, proveniente da una quindicina di comuni nelle provincie di Ragusa e Siracusa. A renderlo particolarmente pregiato è il latte proveniente in gran parte da bovine modicane (una antica razza locale) tenute al pascolo sui Monti Iblei. E’ invece di origine esclusivamente ovina un altro capolavoro fra i prodotti tipici: il Pecorino Siciliano.

SardegnaI prodotti tipici della Sardegna si possono apprezzare soprattutto visitando le zone interne dell’Isola. A parte la famosa pianura del Campidano, che unisce il Golfo di Oristano con quello di Cagliari, ovunque a dominare è la montagna, aspra, rocciosa e ricca di una vegetazione spontanea in cui i pascoli si alternano ad arbusti (mirto, ginepro, alloro, rosmarino e ginestra) e boschi. In un ambiente del genere non meraviglia che fra i prodotti tipici sardi riconosciuti dall’Unione Europea ci siano formaggi prodotti con latte di pecora. La realtà è che le pecore in Sardegna sono da sempre le vere protagoniste di tutta l’agricoltura locale. E’ appunto dal latte di questa razza che nascono tre formaggi a Denominazione di Origine Protetta, veri e propri fi ori all’occhiello nel panorama dei prodotti tipici della Sardegna. Per primo il Fiore Sardo, forma di media o piccola dimensione, con profi lo facilmente riconoscibile (due tronchi di cono uniti per la base maggiore). Peculiare è anche la forma dello scalzo (la parte laterale della forma) caratterizzata da una pronunciata bombatura defi nita ‘a schiena di asino’. Le quantità prodotte sono limitate e scarsamente disponibili fuori dell’Isola. Molto più conosciuto, e lavorato anche in caseifi ci di medie e grandi dimensioni, è il Pecorino Sardo, una bandiera dei prodotti tipici sardi. L’ultimo formaggio a Denominazione di Origine Protetta è il Pecorino Romano DOP. Il territorio d’origine comprende anche il Lazio e una piccola area della Toscana; ma è soprattutto in Sardegna che viene prodotto. Cilindrico, di grandi dimensioni (pesa tra i 20 e i 35 chilogrammi), con un sapore aromatico che diventa man mano più piccante col procedere della stagionatura, è attualmente uno dei formaggi italiani più conosciuti all’estero. Tanto che attualmente circa il 70% della produzione prende la via dell’esportazione.

Tipici della Sardegnai formaggi

prodotti con il latte di pecora

L’Arancia Rossaquasi il simbolo

dei prodotti siciliani

Prodotti tipiciSicilia

Prodotti tipiciSicilia

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I dolciCalabriaSorbetto al bergamotto INGREDIENTI PER 4 PERSONE3 cucchiai di olio essenziale di Bergamotto o limone300 g di zucchero semolato1 albumePREPARAZIONERiunite in una ciotola 0,5 l di acqua fredda, lo zucchero e l’olio essenziale di bergamotto. Mescolate accuratamente il tutto così da far sciogliere completamente lo zucchero, quindi coprite con pellicola trasparente e fate riposare in luogo fresco per circa un’ora.Trascorso questo tempo, montate l’albume a neve ben ferma e incorporatelo alla preparazione di bergamotto, mescolando delicatamente sempre nella stessa direzione dal basso verso l’alto, per evitare che l’albume si smonti.Trasferite il tutto in un contenitore di acciaio e passate in freezer per almeno 4 ore, mescolando ogni 30 minuti con una spatola perché il sorbetto non risulti troppo ghiacciato.Distribuite il sorbetto nelle coppette individuali e servite immediatamente, decorando a piacere con fette o scorza di bergamotto.

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ITALIANALA BUONA36 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

SiciliaCornucopiaINGREDIENTI PER 6 PERSONE500 g di farina 0050 g di strutto50 g di zucchero semolatocannellabuccia d’aranciacacao200 g di aceto di casa1 uovo intero1 tuorloolio per friggerePER IL RIPIENO E PER DECORARE:1 kg di ricotta300 g di zucchero semolatozucchero a velocanditiPREPARAZIONEPreparate l’impasto per i cannoli lavorando insieme tutti gli ingredienti, tranne il tuorlo e l’olio, fi no a ottenere una pasta liscia e perfettamente omogenea.Stendete la pasta formando uno strato piuttosto sottile e ritagliatela ottenendo tanti ovali. Avvolgeteli uno alla volta sugli appositi cannoli di metallo, quindi saldate il bordo di pasta con il tuorlo e fate friggere in abbondante olio a 180°C. A mano a mano che i cannoli sono pronti stendeteli su carta assorbente da cucina così che perdano l’unto in eccesso. Lavorate la ricotta con lo zucchero, quindi farcite i cannoli con la crema preparata, cospargeteli di zucchero a velo e serviteli decorandoli con i canditi.

BIANCOMANGIARE ALLE MANDORLE

BasilicataBiancomangiare alle mandorleINGREDIENTI PER 4 PERSONE80 g di mandorle pelate60 g di Pistacchi sgusciati e pelati100 g di zucchero semolato1 bustina di vanillina1 pizzico di cannella in polvereessenza di mandorle amare4 fogli di gelatinaPREPARAZIONETritate nel mixer i pistacchi e le mandorle. Unite anche un cucchiaio di zucchero e

uno di acqua, lavorate ancora per pochi istanti e tenete da parte. Fate ammollare i fogli di gelatina in acqua fredda.In una casseruola portate a ebollizione il latte con lo zucchero restante. Toglietelo dal fuoco e unite il composto di mandorle e pistacchi, la vanillina, la cannella e qualche goccia di essenza di mandorle. Mescolate bene, coprite il recipiente e lasciate in infusione per circa 1 ora. Trascorso questo tempo fi ltrate il tutto attraverso un colino a maglie fi tte. Raccogliete le mandorle e i pistacchi tritati in un telo, quindi premete bene per ricavare tutto il liquido profumato, che unirete a quello fi ltrato raccolto in un pentolino. Scaldate il tutto senza portare a ebollizione e incorporate la gelatina ammollata e strizzata. Mescolate bene per scioglierla completamente e spegnete il fuoco. Quando il composto di latte sarà quasi freddo e inizierà ad addensarsi unite anche la panna montata, incorporandola delicatamente. Versate la crema così ottenuta in uno stampo per budino e passatela in frigorifero per almeno 4 ore.Sformate il dolce su un piatto da portata e servitelo, decorando a piacere con foglioline di menta fresca e un trito di mandorle e pistacchi.

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SardegnaTiliccasINGREDIENTI PER 4 PERSONE250 g di farina 0080 g di zucchero80 g di burrosalePER IL RIPIENO:1/2 l di sapa (mosto di uva bianca)150 g di semola di grano duro100 g di mandorle1 arancia40 g di cacao amaroconfettini coloratiburro per la placcafarina per la placcaPREPARAZIONEMettete le mandorle in acqua bollente e lasciatele per circa 2 minuti, poi scolatele e distribuitele sulla placca. Passatele in forno a 150 °C e fatele asciugare, senza farle tostare, quindi pelatele e tritatele fi nemente.Pelate l’arancia ricavando solo la parte colorata della buccia; tritatela e unitela alle mandorle. Versate la sapa in una casseruola e portatela a ebollizione, quindi unite la semola lasciandola cadere a pioggia, il cacao, il trito di mandorle e arancia e

TILICCAS proseguite la cottura a fuoco dolce per 30 minuti, fi no a quando il composto si sarà addensato. Togliete dal fuoco e fate raffreddare. Preparate la pasta: setacciate la farina sulla spianatoia insieme con un pizzico di sale, fate al centro la fontana e unite lo zucchero e il burro, ammorbidito e tagliato a pezzetti. Lavorate bene il tutto incorporando l’acqua necessaria a ottenere un impasto omogeneo. Formate con l’impasto una palla,

avvolgetela in un canovaccio e fatela riposare per circa 30 minuti. Tirate la pasta ottenendo una sfoglia molto sottile e ricavatene dei dischi di circa 10 cm di diametro usando la rotella dentata. Distribuite al centro dei dischi un cucchiaio di composto di sapa, quindi rialzate i bordi ottenendo un orlo festonato. Disponete i dolci su una placca imburrata e infarinata, poi passate in forno caldo a 170°C per 30 minuti. Sfornate, guarnite con i confettini colorati, fate raffreddare e servite.

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ABBIAMO DEDICATO un capitolo a parte ad alcune ricette senza assegnare loro “un posto fi sso a tavola”. Lo abbiamo intitolato “il piatto del giorno” perchè, nella maggior parte dei casi, le ricette proposte possono diventare facilmente un “piatto unico” per pranzi e cene di “ogni giorno”, in quanto hanno la caratteristica di riunire tutti gli apporti nutrizionali in una sola portata. Naturalmente è anche una questione di quantità, e di gusti: molti di questi piatti, infatti, possono sicuramente essere usati e considerati semplicemente come dei primi o dei secondi.

Il piatto del giornoIl piatto del giornodei secondi.

Il piatto del giornodei secondi.

ITALIANALA BUONA38 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

Cartocci di tacchino alle verdureINGREDIENTI per 4 persone600 g di fesa di tacchino in 4 fette300 g di punte di asparagi100 g di fagiolini8 pannocchiette di mais in agrodolce2 scalogni1 arancia non trattata4 cucchiai di salsa di soia1 cucchiaio di sherryolio extravergine di olivasalePREPARAZIONEEmulsionate in una terrina la salsa di soia con lo sherry e ponetevi a marinare, per almeno 30 minuti, la fesa di tacchino ridotta a listarelle. Mondate e lavate i fagiolini e le punte di asparagi, quindi cuocete al dente le due verdure, separatamente, in acqua bollente salata.Sbucciate e tritate gli scalogni e riducete a zeste la buccia dell’arancia. Spennellate con olio extravergine quattro fogli di carta da forno e disponete su ognuno le listarelle di tacchino prelevate con un cucchiaio forato dalla marinata. Mescolate il trito di scalogni con alcuni cucchiai di olio e regolate di sale. Distribuite questo condimento sulla carne, quindi aggiungete le verdure, le pannocchiette e le zeste di arancia; mescolate delicatamente, chiudete i cartocci e cuocete in forno già caldo a 200 °C per 30 minuti. Servite i cartocci, aperti e ben caldi, nei piatti individuali.

CARTOCCIODI TACCHINO ALLE VERDURE

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ITALIANALA BUONA 39Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

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Melanzane e pomodori ripieniINGREDIENTI per 4 persone150 g di riso integrale50 g di riso selvatico2 melanzane tonde2 pomodori tondi ben sodi1/2 peperone giallo1/2 peperone rosso1 zucchina1 carota1 cipolla bianca1 mazzetto di basilico4 rametti di maggiorana5 cucchiai di olio extravergine di olivasale, pepePREPARAZIONESciacquate separatamente i due tipi di riso sotto l’acqua corrente. In una pentola portate a ebollizione abbondante acqua leggermente salata e immergetevi il riso selvatico; dopo 10 minuti aggiungete il riso integrale e proseguite la cottura per altri 30 minuti. Nel frattempo mondate e lavate tutte le verdure. Tagliate a metà i pomodori e le melanzane, scavate la maggior parte della loro polpa e riducetela a

dadini. Salate leggermente l’interno delle barchette di verdura ottenute e capovolgetele su uno scolapasta affi nché perdano la loro acqua di vegetazione. Tagliate a dadini anche la carota, la zucchina, la cipolla e i peperoni. Scaldate l’olio in una padella e versatevi la dadolata di verdure; regolate di sale e pepe e fate saltare il tutto su fuoco medio per 8-10 minuti, mescolando spesso.Lavate e asciugate il basilico e la maggiorana; lasciando da parte metà delle erbe per la decorazione, tritate fi nemente le rimanenti. Scolate il riso conservando l’acqua di cottura e versatelo nella padella con le verdure, mescolando un paio di minuti per insaporire. Riportate a bollore l’acqua di cottura del riso e scottatevi i pomodori e le melanzane per circa 5 minuti. Prelevateli con un mestolo forato, sgocciolateli con cura e lasciateli intiepidire. Farcite quindi le barchette con il riso alle verdure e sistematele in una pirofi la leggermente unta di olio. Passate in forno a 190 °C per 10 minuti. Distribuite le verdure ripiene nei piatti individuali e decorate con le erbe aromatiche conservate.

MELANZANE E POMODORI

RIPIENI

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ITALIANALA BUONA40 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

Torta salata di fi ori di zucchineINGREDIENTI per 4 persone4 fi ori di zucchina freschissimi400 grammi di zucchine250 g di ricotta di bufala (o mozzarella)50 g di parmigiano grattugiato1 foglio di pasta sfoglia1 uovo2 cucchiai di olio di oliva1 spichio d’aglioPrezzemolo q.bpangrattatoPREPARAZIONEAprite i fi ori di zucca, eliminate il gambo e il pistillo centrale, tagliate a fette sottili le zucchine. Schiacciate l’aglio e mettetelo in una padella assieme all’olio, quindi, dopo un paio di minuti , aggiungete le zucchine e

Gnocchi con rucola e cozzeINGREDIENTIper 4 persone 600 gr. di gnocchi preferibilmente di patate un misurino d’olio150 gr. di cozze sgusciate crude peperoncino due mazzetti di rucola tagliata a pezzetti uno spicchio di aglio PREPARAZIONEFar soffriggere aglio ed olio in un ampia padella, aggiungere il peperoncino e lasciare imbiondire l’aglio per poi eliminarlo. Se piace, tagliare l’aglio a pezzetti molto piccoli e farli imbiondire senza toglierli. Aggiungere le cozze e nel frattempo cuocere gli gnocchi. Appena si è tutto insaporito bene, aggingere con la schiumarola gli gnocchi nel composto e contemporaneamente aggiungere a manciate la rugola. Far amalgamare ben bene il tutto e servire caldissimo. Ovviamente come dice la nonna, più cozze aggiungi più ne trovi, non eccedere però nell’aggiunta di rucola, in questo caso troppa guasterebbe il sapore del piatto.

lasciate cuocere per 10 minuti a fuoco dolce, girando di tanto in tanto. Nel frattempo tritate fi nemente a coltello il prezzemolo e disponete la sfoglia in uno stampo imburrato e infarinato da 28 cm bucherellando con i rebbi di una forchetta, non appena le zucchine saranno tenere ma non disfatte, aggiungete il sale, il pepe e il prezzemolo, mescolate, aggiungete i fi ori di zucca puliti, amalgamate per qualche secondo e spegnete il fuoco.Spolverizzate con 50 gr di parmigiano la sfoglia nello stampo, quindi versate sopra le zucchine e i fi ori (che potete disporre a raggiera). Sparpagliate la ricotta (o mozzarella) sulla superfi cie della tortiera, quindi spolverizzate con il resto del parmigiano, con il pangrattato e terminate irrorando con un fi lo di olio e qualche fi occhetto di burro. Infornate in forno già caldo a 180° per circa 15-20 minuti o fi no a che vedrete la superfi cie della torta salata ben dorata.

GNOCCHI E COZZE

TORTA SALATA DI FIORI DI ZUCCHINE

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ITALIANALA BUONA 41Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

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Risotto agli asparagiINGREDIENTIper 4 persone500 g di asparagi1 litro di brodo vegetale2 cucchiaio di olio extravergine di oliva1 scalogno, sale fi no320 g di riso40 g di Parmigiano Reggiano grattugiato (4 cucchiai)PREPARAZIONELavare accuratamente gli asparagi sotto acqua corrente, rimuovere la parte bianca del gambo, raschiarli con un coltello non troppo affi lato facendo molta attenzione a non toccare le punte, fragili e delicate. Tagliare le punte ed affettare la restante parte tenera del gambo nello spessore di 3-4 millimetri. Scaldare il brodo. Mettere in una pentola da minestra l'olio, lo scalogno tritato molto fi nemente e portarla sul fuoco. Farlo dorare dolcemente con un paio di cucchiai di brodo e un pizzico di sale, quindi unire gli asparagi e lasciar insaporire per un paio di minuti a fi amma vivace mescolando. Unire un mestolino di brodo, un pizzico di sale e cuocere a fi amma dolce, coperto, per 5 minuti. Trascorso il tempo indicato scoperchiare, alzare la fi amma e far asciugare il liquido in eccesso. Ritirare le punte degli asparagi da tenere da parte. Aggiungere il riso e farlo tostare un minuto. Unire 4-5 mestoli di brodo bollente e impostare il timer secondo i minuti di cottura del tipo di riso che si sta usando (solitamente 15-18 minuti). Continuare unendo il brodo man mano che viene assorbito, mescolando di tanto in tanto, senza lasciare che il composto si asciughi troppo, altrimenti cuocerebbe male ed in modo discontinuo. Due minuti prima della fi ne del tempo di cottura del riso, unire il Parmigiano e le punte di asparagi. Mescolare continuamente e portare a fi ne cottura. Spegnere il fuoco, lasciare riposare un minuto e servire.

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ITALIANALA BUONA42 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

Zuppa di montagnaINGREDIENTI per 6 persone200 g di spinaci2 rape3 porri2 gambi di sedano300 g di fontinaBurroPane casereccio2,1 l di brodoSale e pepePREPARAZIONEPulite le verdure e tagliatele a pezzetti. Fate rosolare in 50 g di burro i porri, il sedano e le rape, aggiungete un po’ di brodo caldo e fate cuocere per un quarto d’ora. Aggiungete gli spinaci, il resto del brodo, sale, pepe e terminate la cottura. Disponete nei piatti il pane affettato coperto da fettine fi nissime di fontina. Quando la zuppa sarà pronta versatela sopra ben calda.

Tagliatelle in brodo con fegatiniINGREDIENTIPer 4 persone400g di farina4 uova50 g di burro300 g di fegatini di polloBrodo di carneSale e parmigiano grattugiatoPREPARAZIONEDopo aver impastato le uova con la farina tirate una sfoglia che lascerete asciugare su una tovaglia. Aiutandovi con una spolverata di farina, per evitare che la pasta si attacchi, ripiegate su se stessa la sfoglia e tagliatela con un coltello bene affi lato in strisce sottili, in tagliatelle appunto. Intanto, in un tegamino farete rosolare con il burro e un po’ di sale i fegatini di pollo a pezzetti, mentre a parte avrete già preparato il brodo di carne nel quale al primo bollore verserete le tagliatelle. Prima di servire aggiungete i fegatini soffritti e, a piacere, il parmigiano grattugiato.

Gnocchi di paneINGREDIENTI1 terrina grande di pane raffermo tagliato a fettine sottiliPane grattugiato,acqualatte1 uovofarina 00formaggio grattugiatospeck macinatosale, noce moscata,prezzemoloa piacere uno spicchio di aglio tritato,salsa di pomodoro

PREPARAZIONEFare ammorbidire il pane nel latte e acqua e poi aggiungere tutti gli altri ingredienti e mescolare. Fare poi delle palline con le mani della grandezza desiderata e passarle nella farina per non farli appiccicare. Metterle a lessare nell’acqua bollente e dal momento che salgono farle cuocere ancora per 5 minuti. Condire infi ne con il sugo di pomodoro e abbondante formaggio grattugiato. ”I gnochi de pan” tradizionalmente si possono anche servire con il goulash o in bianco con burro e salvia. Buon appetito.

ZUPPA DI MONTAGNA

TAGLIATELLE IN BRODO CON

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ITALIANALA BUONA 43Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

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Trippa di vitello alla milaneseINGREDIENTI Per 6 persone2 kg di trippa di vitello1 cipollaBurro100 g di lardo3 l di brodoSedano2 spicchi d’aglioSalvia3 chiodi di garofano pestati1 pomodoro1 carotaParmigiano grattugiatoSale e pepeFette di panePREPARAZIONEPulite la trippa raschiandola in acqua molto calda e facendola poi lessare per mezz’ora. Scolatela e tagliatela a striscioline. Frattanto in 50 g di burro fate rosolare un battuto di cipolla, aglio e lardo, una volta preso colore aggiungete le trippe, insaporite per qualche minuto e mette i vari profumi: salvia, chiodi di garofano pestati, sedano e carota a pezzette, un po’ di pomodoro, sale e pepe. Servite con fette di pane tostate e abbondante parmigiano grattugiato.

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ITALIANALA BUONA44 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

CONIGLIO PORCHETTATO ALL’ARICCINA

Coniglio porchettato all’ariccina INGREDIENTI Per 6 persone1,2 kg. coniglio 600 gr. broccolo 400 gr. salsiccia di maiale a pezzi 300 gr. pane raffermo200 gr. patate a pasta bianca lesse 100 gr. sedano e carote 2 uova 80 gr. pecorino romano grattugiato 3 dl. brodo di carne bianca 1 dl. vino bianco secco (Frascati) 1 dl. olio extra Vergine 30 gr. aglio rosso 5 gr. menta timo, rosmarino, alloro q.b. sale e pepe nero macinato q.b. PREPARAZIONEMondare, lavare, lessare in acqua bollente con l’alloro il broccolo. Disossare il coniglio, preparare la farcia con: la salsiccia sbriciolata, il pane sbricilato, due tuorli, il pecorino, la menta tritata con uno spicchietto d’aglio, sale e pepe necessari. Farcire il coniglio, legarlo a dovere, salarlo peparlo ed infarinarlo in superfi cie, tostarlo in poco olio nella padella capiente ed antiaderente. Mettere il rotolo in pirofi la, aggiungere il sedano e la carota in pezzi, il rametto di timo e rosmarino, far tostare in forno preriscaldato, sfumare con il vino, aggiungere gradatamente il brodo fi no a cottura. Slegare il coniglio a freddo, passare e legare la salsa di cottura, tagliare il coniglio in fette di circa un cm di spessore, rimetterle in pirofi la con la salsa alla giusta consistenza, aggiustata a dovere. Saltare con aglio e olio le cimette di broccolo ben al dente, salare e pepare, aggiungere la purea di patate, il timo, la mentuccia ed il pecorino, preparare sui piatti preriscaldati dei rondeaux di broccolo con i coppapasta. Disporre le fette di roulade di coniglio sul piatto di portata con la salsa in accompagnamento dopo averle scaldate ovviamente, coperte ed in forno preriscaldato. Si può decorare con una serie di erbe a raggiera, oppure con patate castello alla romana, le varianti sono anche altre, ma credo possa bastare.

Ragù di mortadellaINGREDIENTIPer 4 persone1 porro piccolo3 cucchiai di olio extra vergine di oliva400 gr. di mortadella tagliata in due grosse fette, oppure in un trancio500 gr. di passata di pomodoroSale1 cucchiaino di zucchero350 gr. di pasta di semola corta, vivamente consigliati i gobbetti.

PREPARAZIONEAffettare fi nemente il porro e appassirlo con l’olio di oliva in una padella. Aggiungere la mortadella tagliata a dadini e fare rosolare bene il tutto; aggiungere la passata di pomodori lo zucchero ed il sale q.b., e infi ne qualche cucchiaio di acqua calda. Fare cuocere a fuoco vivo fi ntanto che il ragù avrà raggiunto la giusta densità. Cuocere la pasta al dente, scolarla e farla saltare in padella assieme al sugo di mortadella per qualche minuto. Servire calda. A piacere spolverare con parmiggiano reggiano.

RAGÙ DI MORTADELLA

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Orecchiette alla rucolaINGREDIENTIper 4 persone250 gr. di rucola (possibilmente quella selvatica)100 gr. di olio d’oliva extravergine (4 cucchiai circa) una decina di olive nereuna decina di pomodorini rossi due spicchi di aglio una metà di peperoncino (oppure un cucchiaino di olio santo) sale quanto basta 400 gr. di orecchiette PREPARAZIONEPulite e lavate accuratamente la rucola utilizzando solo le foglie e i germogli più teneri. Lessatela in abbondante acqua salata per 5 minuti, scolatela bene e riutilizzate l’acqua per lessare le orecchiette. - Mettete in una grande padella l’olio, i pomodorini tagliati a metà, il peperoncino, l’aglio e le olive tritate e insaporire con il sale. Dopo 5 minuti di cottura a fuoco lento, aggiungete la rucola e dopo altri 5 minuti le orecchiette scolate. Fate saltare in padella per qualche minuto per insaporire le orecchiette. - Servite bollente aggiungendo olio crudo a secondo dei gusti.

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ITALIANALA BUONA48 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

DEI NOMI ECCELLENTI DELLA

RISTORAZIONE DI MELBOURNE

Una consolidata

‘Italian connection’

La storia dei ristoranti di Melbourne risale almeno al 1850, data in cui fu depositata la prima richiesta di un permesso di costruzione, registrato al comune, per una cucina commerciale.Con la scoperta dell’oro nel Victoria nel 1851, la popolazione di Melbourne era in continua crescita e con essa aumentavano i ristoranti a prezzo fi sso – si parla di 4 o 6 penny - di proprietà di un immigrato inglese, David T. Way. Secondo una cronaca del 1877-’78 del giornalista J.S. James, che scriveva sotto lo pseudonimo di “the Vagabond”, erano ristoranti che servivano cibi ‘onesti’ ma non di grande qualità: pane, burro e caffè o tè per colazione e per cena una scelta di piatti di carne, roast beef, carne di manzo conservata (corned beef) o pecora bollita.Il ristorante come lo intendiamo oggi, un luogo dove uomini e donne cenano

A CURA DI RICCARDO SCHIRRU

Come ricorda Allan Wynn la café society faceva perno su cinque locali la cui storia si intreccia

indissolubilmente con quella delle

famiglie italiane che li hanno gestiti

assieme in pubblico, in Australia, come in Inghilterra, è arrivato relativamente tardi. Per tutto il diciannovesimo secolo le famiglie della borghesia australiana pasteggiavano negli alberghi, mentre i “gentleman” cenavano nei loro club.I primi ristoranti degni di nota a Melbourne erano europei e in particolare francesi, la cucina dominante all’epoca. Il Café de Paris

annesso al Theatre Royal Hotel aprì i battenti nel 1859, il Vienna Café nella Block Arcade era decisamente in stile parigino, e nel 1890 i ristoranti di moda a Melbourne erano la “Maison Dorée”, “La Mascotte”, “Parer’s Crystal Café” e il “Café Anglais”.Lo stile dei ristoranti di Melbourne è sempre stato determinato dall’importantissimo fattore dell’immigrazione. Nei primi decenni del ventesimo secolo i due ristoranti più importanti della città erano di proprietà di due immigrati svizzeri, il sofi sticato e bohemien “Fasoli’s” di King Street, frequentato dal famoso soprano Nellie Melba e dal tenore Walter Kirby, e “Café Denat” che aveva aperto i battenti nel 1893 sulla Flinders Lane e che era stato trasferito prima a Little Collins Street e susseguentemente sulla Exhibition Street, diventando un “Grand Restaurant” con un menu francese, che recava il motto: “Honi Soit Qui Mal Y Mange” (vergogna a chi mangia male) .Il “Café Denat” è stato fondamentale a Melbourne e determinante nella storia delle famose famiglie dell’industria della ristorazione, che fi n dai primi tempi erano tutte collegate fra di loro e

Il “pioniere” della ristorazione italiana Be-nedetto Panelli

La storiaLa storia

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ITALIANALA BUONA 49Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

Una delle istituzioni culinarie della capitale del Victoria,

il Café Florentino di Bourke Street

che, anche in quelle che oggi consideriamo come la quintessenza dell’australianità (Ferguson Plarre Bakehouses, Jimmy Watson’s Wine Bar), rivelano un’insospettata “italian connection”. Lo chef franco-svizzero Calexte Denat, il proprietario dell’omonimo ristorante, era sposato con Mary Watson. Il fratello di quest’ultima, Jim, aveva preso in moglie Giselda Panelli, figlia di Benedetto Panelli, un immigrato pisano che aveva lavorato come giardiniere nella residenza invernale del Re d’Italia, arrivato in Australia con la seconda moglie Teresa Pieroni e le due figlie, Giselda e Velia. Artemisia (Misa), nata a Mornington poco dopo l’arrivo dei genitori in Australia, nel 1912 si unì in matrimonio con John Percy Ferguson, patriarca del gruppo di pasticcerie e panetterie Ferguson & Plarre, e un convertito alle tradizioni e alla cultura italiana - tanto da essere l’unico nome non italiano tra i fondatori, nel 1917, del Cavour Club. Per molti anni Percy e la sua famiglia parteciparono al picnic annuale del Cavour a Sassafras.La famiglia Panelli si era dapprima insediata a Hastings, nella Mornington Peninsula, dove Benedetto iniziò l’attività di pescatore, e dopo cinque anni si trasferì a Sandringham, sul litorale di Melbourne. Avvicinandosi alla città, Benedetto tornò al primo amore, il giardinaggio, con un grosso orto nella zona di Brunswick, dove oltre alle verdure più comuni coltivava anche ortaggi di “lusso” come asparagi e carciofi - che forniva ai ristoranti come appunto il Café Denat - e soprattutto varietà italiane come radicchio e finocchi. Si pensa sia stato il primo coltivatore di zucchine in Australia. Nel 1901 Benedetto e Teresa Panelli vendettero l’orto e acquistarono un bar situato sulla Gertrude Street, dando inizio a quella destinata a diventare la lunga tradizione della famiglia nel settore della ristorazione.

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ITALIANALA BUONA50 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

I principali esponenti di quella che è stata scherzosamente definita la

‘spaghetti mafia’. In piedi, da sin.: Ferdi Viganò, Lou Molina, Leon Massoni,

Rino Codognotto e Joe Molina. Seduti, da sin.: Mario Virgona e David Triaca

affiancati da un giornalista italiano

Fra gli ospiti regolari di Mario’s anche

i membri dell’ItalianOpera Company, chesi esibivano nel vicino Her Majesty’s Theatre

Giselda e Velia, le figlie di Benedetto e della sua prima moglie, morta in un incidente in Italia, sposarono la prima Jim Watson, con il quale gestì un bar a Fitzroy, e la seconda Tony Virgona, un giovane cameriere con voce tenorile, che aveva cantato alla Scala di Milano e al Covent Garden a Londra, con la compagnia lirica Melba-Williamson. I due, che si erano incontrati durante un tour della compagnia lirica - Velia era la parrucchiera del famoso soprano Dame Nellie Melba -, una volta sposati avevano aperto un bar al numero 231 di Brunswick Street, che sarebbe diventato il leggendario Casa Virgona. Anche i figli di Giselda e Jim continueranno la tradizione: Jimmy aprirà quell’istituzione dell’apprezzamento enologico che è diventato il J.C. Watson Wine Merchants sulla Lygon Street a Carlton, mentre la sorella Grace sposerà Rinaldo Massoni che gestirà l’altra ‘istituzione’ nel campo culinario di Melbourne, il Café Florentino di Bourke Street.La depressione del 1890 ebbe un effetto deleterio sui primi ristoranti di Melbourne, così come la legge sulla mescita di alcolici, varata nel 1916 e continuata fino agli anni Sessanta, in base alla quale i locali con licenza dovevano cessare la vendita di alcolici alle 18.00, una norma che i ristoratori italiani hanno aggirato per anni servendo vino nelle tazze da tè. Negli anni Venti e Trenta i ristoranti di Melbourne erano dominati dagli italiani. Allan Wynn, figlio di Samuel Wynn della famosa casa vinicola di Coonawarra, che aveva rilevato il Café Denat (destinato poi a diventare Café Florentino) trasferendolo sulla Bourke Street, scrive nella biografia del padre - “The Fortunes of Samuel Wynn” - che all’epoca la ‘cafè society’ di Melbourne faceva perno su cinque locali: Molinas’, Café d’Italia (in futuro The Latin), the Society, Florentino’s e Mario’s. Raccontare la storia di questi locali, due dei quali ancora in attività, vuol dire raccontare la storia delle famiglie italiane che li hanno aperti e gestiti

per molti anni, i vari Virgona, Viganò, Molina, Codognotto, Triaca, Gobbo e Massoni che, con altri pionieri dell’immigrazione, hanno trasformato

per sempre non solo la maniera in cui gli australiani mangiano ma anche quella in cui vivono, socializzano e apprezzano le altre culture.

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VIGANO’Il patriarca di quella che viene considerata, e a ragione, la più influente delle famiglie italiane che si sono affermate nel campo della ristorazione a Melbourne è Mario Antonio Francesco Battista Virginio Viganò, nato a Olgiate Comasco, il 27 agosto del 1888, in una famiglia aristocratica, dell’alta borghesia lombarda. Mario studiò a Milano e frequentò la facoltà di giurisprudenza all’università di Pavia, senza però laurearsi. Nel 1912, dopo aver partecipato alla guerra italo-turca per il possesso delle regioni nordafricane, Viganò lasciò l’Italia trasferendosi in Canada dove incontrò e sposò a Winnipeg la milanese Maria Teresa Ferrari, una pittrice post impressionista, nata in un castello a Villa Nuova, che si era perfezionata in ritrattistica all’Accademia di Belle Arti di Brera.Mario lavorò in un albergo a Vancouver e come dipendente della Canadian Pacific Railway, prima di arruolarsi, nel 1917, nel 29esimo battaglione Vancouver delle Canadian Expeditionary Forces, e partire per la campagna in Francia dove venne pluridecorato per il coraggio dimostrato nelle operazioni militari. Alla fine della prima guerra mondiale, dopo il rientro in Italia con la moglie, dalla quale ebbe tre figli - Maria e Antonio (Tony), nati in Canada, e Ferdinando (Ferdi) in Italia -, Mario fu costretto, per le sue idee antifasciste per le quali era stato minacciato di morte, ad emigrare nuovamente. Su suggerimento della madre, approdò in Australia con solo pochi soldi in tasca e alcuni pezzi d’antiquariato, parte del patrimonio di famiglia, da vendere. La famiglia Viganò, sofisticata e cosmopolita, sbarcò a Melbourne nel gennaio del 1928, trovando una città e una popolazione monoculturale, insulare, diffidente nei confronti delle altre culture e delle nuove idee.Come molti connazionali prima e dopo di lui, Mario iniziò a lavorare facendo i mestieri più umili, come lavapiatti e cameriere allo Scott’s Hotel di Collins Street, prima di riuscire a risparmiare abbastanza per poter prendere in affitto e poi acquistare il Melbourne Club Hotel al 198 di Exhibition Street,

La sofisticata e cosmopolita

famiglia Viganòsbarcò a Melbournenel 1928, trovando

una città e una popolazione

monoculturale, insulare e diffidente

Maria Teresa Viganò

all’angolo con Lt. Bourke Street, davanti all’His (oggi Her) Majesty Theatre, in quello che all’epoca era il distretto artistico e culturale più vibrante di Melbourne. In quei primi anni d’Australia i Viganò frequentavano il Matteotti Club, situato presso l’“Horticulutral Hall” sulla Victoria Street, proprio davanti alla Camera del lavoro (Trades Hall) dove incontravano altri esiliati politici italiani.Il Mario’s venne aperto nel 1932 e per oltre trent’anni fu non solo il più prominente dei ristoranti italiani di Melbourne, ma un vero e proprio centro culturale, dove scrittori, attori, musicisti e politici, ma anche studenti e bohemien si incontravano, discutevano, e dove probabilmente assaggiarono il loro primo piatto di

spaghetti e il loro primo bicchiere di vino.Mario e Maria Teresa Viganò, grazie alla loro passione per le arti e la cultura e il loro bilinguismo, avevano stretto solide amicizie con la comunità teatrale e musicale, soprattutto con la famiglia Tait (legata alla compagnia di produzione J.C. Williamson che gestiva l’Her Majesty’s Theatre), il pianista e direttore d’orchestra Richard Bonynge, che sposerà Dame Joan Sutherland, e il ballerino e coreografo Edourad Borovansky.Naturalizzato nel 1933 Mario Viganò, un uomo solare, sempre vestito in maniera formale, era l’animatore del ristorante, sempre pronto ad accogliere nuovi clienti e alla battuta con gli habitué. La sala macchine di Mario’s era però la cucina, con chef italiani che preparavano menu stagionali e camerieri italiani, o almeno europei - anche se Viganò era rimasto piacevolmente impressionato dai camerieri che avevano lavorato nei vagoni ristorante delle ferrovie australiane). Camerieri con belle voci, che spesso e volentieri usavano, come Albert Argenti divenuto poi un tenore di successo, intonare un improvvisato “Torna a Sorrento” o “Santa Lucia lontana”, magari accompagnati alla fisarmonica da una collega, o dal trio di mandolinisti formato dai fratelli Giovanni ‘Jack’ e Reno Cera e Frank Zaetta, un immigrato antifascista che negli Anni ‘40 fonderà l’orchestra sinfonica di Mildura, che accompagnerà degli emergenti d’eccezione quali Joan Sutherland e Geoffrey Tozer. Per molti anni Jack Cera suonò da Mario’s, accompagnando anche grandi artisti di passaggio, sempre ospiti del ristorante più alla moda di Melbourne, quali Frank Sinatra e Liberace.Il Mario’s, che ha continuato a riscuotere grande successo ed è stato ampliato con Viganò che acquistò anche i locali attigui, è stato immortalato in alcune memorabili pagine di “My Brother Jack” il romanzo semiautobiografico dello scrittore e giornalista George Johnson (corrispondente di guerra per ‘Argus’) con il quale ha vinto il premio letterario Miles Franklin nel 1964.

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ITALIANALA BUONA52 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

Verso la metà degli anni Trenta i Viganò, spinti da una voglia di ricreare un mondo più genuinamente ‘italiano’ rispetto all’atmosfera rarefatta del ristorante, acquistarono Fairview Manor, un cottage su un vasto terreno di trenta ettari a South Morang, che si affacciava sul Plenty River. Entro una ventina d’anni la casa venne ristrutturata in tre fasi, diventando una vera e propria villa di proporzioni principesche con vari saloni e terrazze, dove i Viganò intrattenevano i loro numerosissimi ospiti, oltre a sale da biliardo, cantine, stalle per mucche e cavalli, giardini e orti dove si coltivavano frutta e verdura anche per il ristorante.Il pranzo domenicale alla “Farm Viganò” era diventato leggendario, servito da un cameriere del ristorante ma cucinato da Maria Teresa e il figlio Ferdi, il miglior cuoco della famiglia, per gli ospiti tra i quali figurava quasi sempre Percy Jones, docente al

Mietta e Tony O’Donnell in un’immagine degli anni Ottanta,

circondati dallo staff nella salada pranzo al primo piano

dello storico ristorante della City

Conservatorio dell’università di Melbourne, direttore di musica all’Arcidiocesi e sacerdote presso la chiesa di St George a Carlton, che ha battezzato, sposato e celebrato i funerali dei Viganò.Maria Teresa Viganò, che nella villa di South Morang aveva vari studi di pittura, era una grande organizzatrice di raccolte di fondi per organizzazioni di beneficenza e soprattutto per il Royal Children Hospital, per il quale proponeva spettacolari barbecue sulle terrazze della “Farm Viganò”, con una lista di ospiti che includeva il governatore generale Sir Dallas Brooks, Dame Elizabeth Murdoch e, in occasione della tourné australiana del maestro Franco Ghione, quest’ultimo e i componenti della Compagnia lirica italiana da lui diretta.La famiglia Viganò che, lasciata Milano trent’anni prima, era riuscita a creare una magica esistenza a Melbourne tra l’ammirazione e l’amicizia di buona parte della comunità artistica e politica dello stato, fu tragicamente scossa dalla scomparsa, nel 1958, del

figlio maggiore Tony, in un incidente aereo. Maria Teresa non si riprese mai completamente e trascorse ore nello studio dipingendo ritratti del figlio, mentre la salute di Mario deteriorò fino alla morte, sopraggiunta all’età di 77 anni nel 1966. Mario’s Restaurant, che per gli ultimi anni era stato gestito da Ferdi Viganò, fu venduto di lì a poco alla famiglia Triaca. Maria Teresa spirò nel 1969. Una retrospettiva dei suoi quadri è stata allestita nel 1981 presso il Victorian College of the Arts.L’impronta lasciata dalla famiglia Viganò nella vita culturale e sociale di Melbourne è di grande importanza. Ferdi Viganò ha continuato l’attività dei genitori con Mario’s al Brighton Beach Hotel dal 1968 fino al 1989, mentre le nipoti Robyn, Patricia e Mietta O’Donnell, assieme al partner

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ITALIANALA BUONA 53Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

Foto di gruppo nella ‘Farm Viganò’ a South Morang: i Viganò e gli O’Donnell dopo un evento di

beneficenza organizzato da Lady Tait. Le bimbe indossano costumi

tradizionali italiani

di quest’ultima Tony Knox, nel 1974 hanno aperto Mietta’s a Brunswick Street, North Fitzroy, che è presto diventato il ristorante più gettonato da gastronomi ed epicurei di Melbourne, impiegando alcuni degli chef che di lì a pochi anni sarebbero diventati celebri quali Stephanie Alexander, Greg Malouf e Jacques Reymond.Mietta e la sorella Patricia quattro anni più tardi hanno rilevato un vecchio dilapidato pub, il Queenscliff Hotel, ristrutturandolo con particolare attenzione per i dettagli e aggiungendo una grande sala da pranzo, stanze da letto in stile vittoriano e rendendo l’albergo un luogo ideale per un distensivo week-end lontano dalla città. Patricia O’Donnell continua tuttora a gestire il celebre North Fitzroy Star Bar & Restaurant.Nel 1984 Mietta O’Donnell e Tony Knox hanno coronato il loro sogno più ambizioso, acquistando un edificio vittoriano ad Alfred Place e creando un locale che è diventato il fulcro del mangiare e bere bene di Melbourne ma, come Mario’s Restaurant tanti anni prima, anche un centro artistico e culturale dove cantanti, attori e musicisti potevano esibirsi, poeti potevano leggere i loro versi, e politici, come l’ex primo ministro Bob Hawke, celebrare le loro vittorie elettorali.Mietta O’Donnell è tragicamente scomparsa in un incidente automobilistico in Tasmania nel gennaio del 2001.La “Farm Viganò”, che dopo essere stata venduta privatamente era stata rilevata da Parks Victoria, era destinata alla demolizione, ma grazie all’opposizione dei residenti locali ed all’interessamento del gruppo “Friends of Farm Viganò” guidato da Giuliana Mecoli e Franco Vaccari e appoggiato dalla parlamentare laburista del Victoria Lily D’Ambrosio, è stata ora posta sotto tutela.Nel 2005 il governo statale ha deliberato uno stanziamento di 5 milioni di dollari per ristrutturare la “Farm Viganò” che oggi rivive lo splendore di quando i padroni di casa intrattenevano i loro illustri ospiti, e che include un’area per

concerti all’aperto, un ristorante, un giardino, un centro conferenze e studi di pittura. La straordinaria eredità, culturale e storica, lasciata dalla famiglia Viganò alla città di Melbourne e allo Stato del Victoria, è ora salvaguardata per le generazioni a venire.

VIRGONALa famiglia Virgona, arrivata nel Victoria dalla Toscana attorno al 1888, è collegata alle quattro sorelle Panelli e, attraverso i matrimoni di queste ultime, ai Fergusson, agli Watson e ai Massoni.Velia Panelli, parrucchiera presso Government House e acconciatrice personale di Dame Nellie Melba, conobbe il giovane tenore di bell’aspetto, e futuro marito, Tony Virgona, mentre erano entrambi in tournée con la compagnia lirica Melba-Williamson, in Italia e Regno Unito. Rientrati a Melbourne e sposatisi, Mario e Velia acquistarono un bar con licenza per la mescita del vino, destinato a diventare il famoso “Casa Virgona”, al 231 di Brunswick Street, North Fitzroy. Il bel tenore però aveva talento e, incoraggiato dalla moglie e da Dame Nellie Melba,

dopo pochi mesi torna in Italia per dedicarsi allo studio del bel canto. L’avventura, per una serie di sfortunati imprevisti, dura poco e Mario si ritrova di nuovo a Melbourne, a dare lezioni di canto e ad esibirsi all’auditorium di Collins Street per i “Saturday Night Pops”, prima di un’altra tournée con la Melba-Williamson Opera Company. Mario come insegnante di canto era un po’ troppo popolare, soprattutto con le ragazze e Velia, vedendolo rientrare da una lezione con una macchia di rossetto sul colletto, decise di relegarlo alla cantina di Casa Virgona, che nel frattempo era stata ampliata ed ora poteva incamerare fino a 90 mila litri di vino in botti di varie capienze. Si trattava soprattutto di vino liquoroso che proveniva da Rutherglen, nel Victoria, e dal South Australia.

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ITALIANALA BUONA 55Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

al 206 di Exhibition Street - da un altro immigrato, Philip Navaretti, ex dipendente del consolato italiano di Melbourne e fi glio di una Medici e dell’allora direttore del Corriere della Sera. Il Café Bella era situato davanti a quello che allora era l’His Majesty Theatre, ed era il locale preferito degli artisti ai quali piaceva quel menu “continentale” pieno di spaghetti, tagliatelle e risotti.Qualche anno dopo Rinaldo, ormai sposato con Grace Watson (fi glia di Jimmy Watson senior e zia di Mario Virgona), sciolta la società con Camillo Triaca, aprì una rivendita di vino ad Elgin Street, Carlton, prima che Samuel Wynn gli offrisse di gestire il suo Café Denat. Rinaldo riuscì a persuadere Wynn a cambiare sia il nome del locale che la cucina, e il nuovo ‘Café Florentino’ divenne quindi un ristorante italiano. Nel 1929 Wynn, trovandosi nella necessità di trasferirsi nel South Australia per salvare la Coonawarra Estate Winery, propose la cessione del Café Florentino a Rinaldo Massoni che per l’operazione fi nanziaria dovette ricorrere ad un prestito di 500 sterline dalla zia della moglie, Velia Virgona.Pochi anni dopo, verso la metà degli anni Trenta, il Cafe Florentino era già diventato il ristorante dell’establishment, con leader politici ed economici che vi pasteggiavano regolarmente. Nel 1935 fu acquistato l’edifi cio adiacente e la sala da pranzo al primo piano fu estesa e rimodernata in tempo per le celebrazioni per il 150esimo compleanno della nazione, e nella ristrutturazione furono realizzati i murales in stile rinascimentale, dipinti - in quella che da allora viene chiamata “the mural room” - da quattro allievi del grande artista Mervyn Napier Waller, che sono oggi parte del patrimonio artistico del paese e che la famiglia Grossi ha voluto riportare allo splendore originale con un attento lavoro di restaurazione a cura dell’Università di Melbourne e del Museo Ian Potter. Nell’elegantissima sala da pranzo con i soffi tti realizzati da Picton Hopkins e le splendide lampade in ferro battuto da Emilio Gavotto, ogni tavolo aveva un proprio telefono. Fine e lussuoso, il Café Florentino è rimasto comunque invischiato in alcune controversie, come quando uno chef servì la prima cassata mai realizzata in Australia, preparata

però con alcuni additivi illegali quali il maraschino, l’alchemes e la crème de menthe.Nel 1941, quando aveva 15 anni, Leon Massoni rimase orfano. In sei settimane morirono prima la madre Grace e poi il padre Rinaldo. Dopo essere andato a vivere dagli zii Watson, il giovane Leon poté prendere in mano il ristorante solo dopo il compimento dei 21 anni, assieme al socio in affari George Tsindos, diventando, fra l’altro, il più giovane titolare di una licenza per gli alcolici d’Australia.All’epoca il Florentino aveva una strana licenza per la mescita degli alcolici (la legge fu cambiata nel 1954) che vietava la vendita di superalcolici, birra e vini importati, ma ai clienti habitué venivano serviti champagne e cognac francesi. Leon Massoni racconta che un giorno, dalla fi nestra della cucina, il lavapiatti aveva notato l’arrivo di agenti di polizia per un controllo: i cuochi svuotarono allora tutte le bevande illecite nel pentolone del minestrone, creando la miglior “minestra ubriaca” della storia del ristorante.Nel 1956 Leon, che aveva continuato a gestire il ristorante frequentato dalla ‘Melbourne Bene’ - dove gli uomini dovevano indossare giacca e cravatta -, con lo stesso perfezionismo e la stessa attenzione alle tradizioni del padre anticipò il vento di cambiamento che sarebbe arrivato di lì a poco con gli anni Sessanta ed eliminò alcuni formalismi, convertendo il vecchio “Cellar Bar” nell’attuale “Bistro Cellar”, un bar elegante e sofi sticato, e nel popolare “Florentino Grill” che serviva ottimo cibo, vino e caffè ma a prezzi più

contenuti del ristorante.Qualche anno più tardi, dopo 16 anni alla guida del Florentino, Leon decise di cedere il ristorante al socio George Tsindos, limitandosi a gestire un’attività di importazione e distribuzione di vini e affi ni, ma non riuscendo comunque a rimanere lontano dai ristoranti per molto tempo. Il papillon che il ristoratore soleva indossare sempre ricomparve infatti nel 1975, quando Leon acquistò il “Tolarno Bistro” dal suo grande amico George Mora e dalla moglie Mirka, quest’ultima un’artista autrice dei vivaci murales che ancora oggi adornano la sala da pranzo del ristorante situato sulla Fitzroy St. a St Kilda. Due anni più tardi fu il turno del Café Balzac, che era stato aperto dai Mora a East Melbourne. Per diversi anni Massoni gestì entrambi i ristoranti con eleganza e stile ineccepibile, offrendo ottimi piatti e vini e un servizio sempre attento.Quando un altro rappresentante della cosiddetta “spaghetti mafi a”, Anthony Molina, per ragioni di salute fu costretto a vendere il suo ristorante sulla Fitzroy Street, Leon gli fece un’offerta che non poteva essere rifi utata, e ribattezzò il locale “Massoni”. Fu proprio da Massoni che Leon si riunì con un suo vecchio chef, Pietro Grossi che, nativo di Carosino, era immigrato in Australia svariati decenni prima da Milano, accompagnato dalla moglie e un fi glio piccolo, per lavorare nella cucina di Mario’s, ed aveva mangiato la sua prima cena all’italiana a Melbourne, proprio al Florentino. Ed è più che naturale che, cementando la solida amicizia tra le due famiglie, Gaetano ‘Guy’ Grossi, il fi glio di Pietro, che ha dato inizio alla sua sfolgorante carriera proprio nella cucina del Tolarno, sia ancora oggi il principale titolare di “Grossi Florentino” e “Mirka at Tolarno Hotel”. Alla fi ne degli anni Ottanta Massoni, dopo 42 memorabili anni di attività, prese commiato dal mondo della ristorazione, ma non completamente. Con la seconda moglie Vivienne acquistò una piccola azienda vinicola a Red Hill e il suo nome è quindi riapparso sulle etichette di ottimi Chardonnay e Pinot Noir.La famiglia Massoni, prima della scomparsa del patriarca, ha venduto l’azienda vinicola ad altri, ma il nome, che nel mondo della ristorazione è diventato sinonimo di eleganza e sofi sticatezza, continua a fare bella mostra sulle etichette.

LEON

MASSONI

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CODOGNOTTOQuando arrivò con la sua famiglia in Australia nei primi anni Venti, Giuseppe Codognotto scoprì che non esisteva ancora un locale dove la comunità italiana, che seppur non numerosa come negli anni seguenti era già presente, potesse congregarsi e magari mangiare un piatto di pasta. Uomo pratico e risoluto, Giuseppe trovò subito la soluzione giusta aprendo attorno al 1925, sulla Little Bourke Street, “The Italian Workers’ Club” che diventò subito il centro delle attività della comunità italiana.Nel 1932 il club fu trasferito al numero 23 di Bourke Street, diventando “The Italian Society” e una vera e propria istituzione come uno dei più antichi e blasonati ristoranti italiani di Melbourne. Negli anni Quaranta, per ripararsi da sentimenti anti-italiani, la famiglia Codognotto decise però di abbandonare la specifi cazione etnica nel nome - ma non certo nel menu, che rimase italianissimo.Esterino (Rino) Codognotto, nato a Pravisdomini in provincia di Pordenone e arrivato a Melbourne a cinque anni, frequentò, come tanti altri fi gli di ristoratori dell’epoca, il St. Patrick College, e dopo la scuola aiutava in cucina imparando dallo chef Ernesto Codognotto, cugino del padre, l’arte della gastronomia. Abbandonati gli studi a 15 anni, Rino prese in mano il Society nel 1938, alla scomparsa del padre, e gestì il ristorante ininterrottamente, eccetto per i quattro anni della guerra, durante i quali si era arruolato come segnalatore nell’esercito australiano. In quel periodo, la sorella Rina era salita in cabina di comando. Rino decise di ritirarsi nel 1982. Il Society fi no al 1952 non aveva una licenza per la vendita degli alcolici, ma questo non rappresentava certo un impedimento al servire vino al tavolo: a pranzo, per due scellini e sei pence, i clienti che ordinavano tre portate potevano richiedere del vino che veniva loro servito in bottiglie di “stout”, mentre a cena solo la clientela affezionata poteva passare in cucina per riempire le proprie tazze, dato che, come in altri locali dell’epoca,

il vino veniva generalmente servito in tazze da tè. Il sistema funzionò perfettamente fi no a quando, nel 1944, il ristorante fu oggetto di un controllo e Rino Codognotto, dopo svariate comparizioni in tribunale, perse la causa.In quasi sessant’anni di gestione di uno dei più famosi ristoranti italiani di Melbourne, si può dire senza timore di smentite che Rino Codognotto e suo padre insegnarono a più di una generazione di australiani a mangiare la pasta, in maniera letterale, visto che spesso davano lezioni su come arrotolare gli spaghetti sulla forchetta. Ma anche a bere, come testimonia un fortunato cliente narrando un episodio che la dice lunga non solo sull’ospitalità dell’oste, ma anche sulla sua capacità di garantirsi la fedeltà della clientela. “Una sera, nel 1969, sono andato con un amico a cena al Society, dopo essere stato alla cattedrale di St. Patrick per il rosario di un altro amico - racconta l’uomo - e Rino è venuto al nostro tavolo per compiangere con noi la scomparsa del nostro amico, che era un cliente del ristorante da quando era stato aperto, nel 1925. Quando si stava

RINO CODOGNOTTO

allontanando, ci ha chiesto cosa volevamo bere e la persona che era con me gli ha chiesto di scegliere lui qualcosa di appropriato. Quella sera abbiamo bevuto Grange Hermitage del 1959, e il costo della bottiglia non è stato incluso nel conto”.Dall’anonimo avventore dell’episodio suddetto a Barry Humpries che, seduto al suo tavolo preferito, soleva fare le caricature degli altri clienti; dall’attrice inglese Vivien Leigh agli scrittori Gore Vidal e James Michener, che commentò la cena come la migliore mai mangiata, fi no alle migliaia di personaggi tra i più infl uenti di Melbourne: tutti si sono alzati soddisfatti dai pasti del Society.In tempi più recenti, dopo il ritiro di Rino Codognotto, il Society ha cambiato nome ed identità diventando prima “La République Brasserie” , poi “Rhumbarella’s” e “The Society Cafe Wine Bar”, fi no a che, nel febbraio 2007, è stato rilevato dal gruppo Di Mattina, titolare di un famoso marchio di caffè e di altri ristoranti, che ha collaborato con Codognotto stesso per riportare il Society alle sue origini italiane.

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Giovedì 26 luglio 2012

Il Gambero 166 Lygon Street Carlton Victoria 3053

Ph: (03) 9663 [email protected]

Society23 Bourke Street, Melbourne

Ph: (03) 9639 [email protected]

Di Mattina’s Restaurant Bar306 Lygon Street

Carlton Victoria 3053 Ph: (03) 9347 5500

Il ristorante Society, dopo il ritiro della famiglia Codognotto verso la metà degli anni 80, ha trascorso un periodo tribolato, fi no a quando è stato rilevato dal gruppo Dimattina che, con un considerevole investimento, ha riportato il famoso locale allo splendore originale.Anche la famiglia Dimattina, ha una lunga storia non solo nella ristorazione ma anche nei settori ortofrutticolo all’ingrosso e nel caffè.Salvatore (Frank) Dimattina, nato a Stromboli (isole Eolie), ha raggiunto il fratello maggiore a Melbourne, sbarcando a Station Pier nel 1922, quando aveva solo 13 anni. Ancora giovanissimo, Frank, che era andato a lavorare nel negozio di fruttivendolo gestito dal fratello a St. Kilda, dimostrò subito un grande spirito di adattamento e imprenditoriale. Insediatosi in quel quartiere, che già a quell’epoca era considerato cosmopolita, Frank si ambientò velocemente diventando un tifoso dei Saints. Quando nel 1934 gli si presentò l’occasione di prendere un banco di frutta e verdura all’ingrosso al Victoria Market, Frank, che nel frattempo si era sposato con una delle fi glie della famiglia Santamaria (ma del ramo di Richmond, non quello di B.A.Santamaria, che risiedeva a Brunswick), non se l’è lasciata sfuggire.Come era d’uso nelle aziende italiane in Australia, Frank Dimattina, dava lavoro a molti membri della sua estesa famiglia: fratelli, fi glie e nipoti erano tutti impiegati ai

mercati generali e anche la fi glia Francesca, il sabato quando non c’era scuola, lavorava ai banchi della frutta. Nei primi anni 50, il patriarca della famiglia Dimattina, decise di diversifi care i propri interessi ountando su un settore emergente, quello del caffè. Charlie Pellegrino, un vecchio amico, anch’egli titolare di un banco di frutta e verdura all’ingrosso e con il quale aveva in partnership una società d’importazione di olio d’oliva, voleva acquistare una quota nella Mocopan, una delle più importanti torrefazioni di Melbourne, aperta alla fi ne degli anni 40 da Agostino Monici, Sergio Coperchini e Vic Panettieri. Nel 1954 Frank quindi acquistò una partecipazione nella Mocopan, ma essendo più che mai interessato allo sport equestre dopo aver acquistato una puledra di grande successo, Chiquita, distintasi con una seconda piazza alla Melbourne Cup, affi dò al nipote Joe, assieme al fratello Anthony e il fi glio Dominic A. (nella famiglia Dimattina ci sono molti Dominic, che si distinguono con A,B,C ecc), la gestione della Mocopan. Una ditta che, con Joe Dimattina in cabina di comando, passò di successo in successo prima di venire venduta ad una multinazionale nel 1995. La quarantennale tradizione del caffè della famiglia Dimattina, è stata continuata da Paul, il fi glio di Anthony, che ha aperto Dimattina Coffee nel 1998, seguito poi dai fi gli di Joe e Dominic A..Frank Dimattina, il fi glio di Salvatore che si è spento prematuramente nel 1963, doveva

andare a lavorare nell’azienda di famiglia ai mercati generali, ma aveva seguito le orme dello zio, Tony Ongarello, che negli anni 50 aveva giocato ‘Australian rules football’ con il Fitzroy, e aveva quindi bisogno di orari più normali per partecipare agli allenamenti. Venne quindi assunto alla Mocopan come addetto alle vendite nei ristoranti e, a forza di frequentarne tanti, decise di aprirne uno proprio.Il suo primo locale, una pizzeria a Dromana, nei primi anni Settanta, lo ha aperto in società con un altro ex collega della Mocopan, Sam Basile. Dopo il rientro con la famiglia a Melbourne Frank ha gestito “La dolce vita” ad Armadale e “Sophia Pizza” a Camberwell, prima di misurarsi con la piazza più diffi cile per un ristorante italiano, la competitiva Carlton, rilevando “Il Gambero” andato distrutto in un incendio nel 2009, ed oggi ribattezzato “Il Gambero on the Park”, davanti a Piazza Italia.Frank Dimattina ha consolidato la propria presenza nella Little Italy di Melbourne aprendo, verso la meta degli anni 90, con la sorella Francesca e i fi gli e il nipote il “Dimattina Restaurant”, prima di passare ad un progetto veramente ambizioso, quello, suggeritogli dal fi glio Paul, di rilevare lo storico “Society”, per mantenere vive le tradizioni dell’alta cucina italiana nella City. Paul Dimattina, ha convinto il resto della famiglia dell’importanza di preservare un ristorante che ha fatto storia a Melbourne, ed ha avviato le trattative con i Codognotto, proprietari dello stabile, concordando con loro un accordo d’affi tto “molto onesto”, e dando quindi il via ad enormi lavori di restauro che hanno riportato il ristorante agli antichi splendori, ma con una veste molto più moderna.

Dimattina, storia e tradizione ADVERT

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MOLINAAd Ernesto Molina, arrivato in Australia nel 1912 assieme ad un collega chef, Salvatore, che aveva prestato servizio presso la cucina di Vittorio Emanuele III re d’Italia, Adelaide andava stretta. Reclutato dal South Australian Hotel, Molina, che aveva lavorato con Salvatore a Parigi, trovò la città delle chiese un po’ troppo calma e si trasferì subito a Melbourne dove trovò lavoro immediatamente al Grand Hotel (oggi il Windsor Hotel) sulla Spring Street.La famiglia Molina gestiva un negozio di “fi sh & chips” a St Kilda ed Ernesto, per racimolare il gruzzolo necessario per mettersi in proprio, dopo il turno al Grand, passava a cucinare da Café Denat. Fu proprio il proprietario di questo ristorante, uno dei più infl uenti chef dell’epoca, Calexte Denat - uno svizzero francese che scomparve una sera dopo aver consumato, come sempre, una bottiglia di brandy, mentre col tram tornava nella sua abitazione situata davanti al municipio di St. Kilda - che gli anticipò i fondi necessari per aprire un locale al numero 55 di Lonsdale Street, che fi no al 1946 si chiamò Café d’Italia.Il Café d’Italia, ribattezzato Molinas’ dopo il ‘46 (e che anni dopo ospiterà il Café Latin), era un locale molto accogliente, con un grande tavolo centrale e mai con tavoli per sole due persone, perché Ernesto li considerava asociali, e le portate servite erano particolarmente abbondanti. Durante gli anni della Grande Depressione i clienti del Café d’Italia spesso non potevano pagare i loro pasti, e sembra che Ernesto Molina avesse una lavagna sulla quale questi ultimi potevano scrivere il loro nome e l’importo dovuto: un sistema che funzionava perfettamente, visto che uno studente di medicina, una volta diventato medico praticante in Queensland, inviò un assegno per un pasto consumato dieci anni prima, chiedendo al ristoratore di cancellare il suo nome.I coniugi Molina ebbero tre fi gli, Lou, Joe e Yolanda, tutti nati a Melbourne. I due ragazzi andarono a scuola a St. Patrick a East Melbourne - come tutti i rampolli dei ristoratori italiani del centro - e divennero molto amici dei fi gli dei Viganò che gestivano Mario’s sulla Exhibition Street. Lou Molina, che era un grande appassionato di motori, dava lezioni di guida a Maria Teresa Viganò , la domenica, su una Bourke

Street deserta.Dopo aver fatto l’apprendistato con il padre, Lou fu assunto come chef da Mario’s. Nel 1938 si iscrisse ad una gara automobilistica ad Albury e da allora divenne un vero “benzina dipendente”, gareggiando con Ballot Olds, Monza Special, e con una MM Special costruita assieme all’amico Silvio Massola con il telaio di Brian Burnett e il primo motore Holden “Grey”, arrivando decimo al Gran Premio neozelandese nel 1953. Lou continuò a gareggiare negli anni, classifi candosi primo all’Australia Alpine Rally del 1957, con una Volswagen, e partecipando a numerosi Armstrong 500s a Phillip Island, correndo in tandem con Graeme Bob Jane su una XK Ford Falcon nel 1960 e con Doug Whiteford su Ford Anglia l’anno successivo, e poi naturalmente prendendo parte alla gara annuale sul circuito di Bathurst dove Molina fi gurava non solo in veste di pilota ma anche di chef, cucinando per molti colleghi.Sul fronte culinario, i Molina nel 1948 vendettero il ristorante di Lonsdale

Street a Guido Cipolato, che era venuto in Australia assieme ad altri cinque chef per lavorare da Mario’s, e che cambio il nome del locale in Café Venezia.Negli anni Cinquanta, quando Hollywood era sbarcata a Melbourne per le riprese di “On the Beach”, tratto dal libro di Nevil Shute e con Ava Gardner e Gregory Peck tra gli interpreti, Lou e Joe Molina gestivano l’Imperial Hotel all’angolo di Bourke e Spring Street, di fronte al Parlamento. Lou si era aggiudicato un ruolo, seppur piccolo, nel fi lm: era, naturalmente, la scena di una corsa automobilistica a Phillip Island. Durante gli svariati mesi di riprese, tutto il cast e la troupe del fi lm erano diventati di casa all’Imperial.Nel 1966 i due fratelli decisero di spostarsi sul litorale, acquistando il Brighton Club Hotel, con il quale continuarono a riscuotere enorme successo. Dopo il ritiro di Joe, Lou ed il fi glio Anthony vendettero il pub di Brighton, acquistando l’Anchor & Hope, un hotel di Richmond che riempirono dei ricordi della carriera di pilota di Lou, andati poi completamente distrutti in un incendio. Un uomo di grande carattere, Lou Molina non si lasciò certo scoraggiare dall’incendio e ricostruì il locale, riportandolo allo splendore originale e gestendolo fi no al suo ritiro. Anche da “pensionato” continuò a seguire con entusiasmo le sue grandi passioni, cucinando ogni lunedì per gli amici del club degli appassionati di automobilismo e aggiungendo alla sua già nutrita collezione di MG una Bugatti Brescia, una Sunbeam, una Essex Special e una Austin 7.Lou Molina è morto nel 2002 facendo quello che, dopo la cucina, gli piaceva più fare: lavorare in garage sul motore di una macchina.

LOU MOLINA

JOE MOLINA

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ITALIANALA BUONA54 Giovedì 26 luglio 2012 CUCINA

All’epoca, negli anni Trenta, i Virgona vivevano in una grossa proprietà sulla Dandenong Road a Windsor, dove spesso la domenica invitavano l’estesa famiglia a pranzo. Percy Ferguson, sposato con Artemisia Panelli, e Tony Virgona, trascorrevano la giornata conversando e assaporando pesche col vino. Simili convivi si tenevano anche nella casa che i Virgona avevano acquistato a Bonbeach sulla Point Nepean Road, ai quali oltre ai Ferguson e agli Watson (Jim era sposato con Giselda, l’altra sorella Panelli), partecipavano anche le famiglie De Marco, Lanteri e Triaca, che gestivano “The Latin Restaurant”. Al loro arrivo, ad ognuno veniva assegnato un compito con i bambini Ferguson, responsabili della ‘chiusura’ delle quaranta dozzine di ravioli per il pranzo, mentre Tony Ferguson doveva occuparsi dell’acquisto dei polli in Flinders Lane.Uno degli appuntamenti più attesi, soprattutto dai bambini, era il tradizionale picnic italiano a Safety Beach a Dromana, che questo gruppo di amici e familiari italo-australiani raggiungeva a bordo della Talbot Darracq di Watson, la Dodge Four di Virgona, la Templar di Ferguson e la Chrysler di Lanteri, e dove la musica era una componente importante: le sorelle Panelli suonavano il mandolino, Jim Watson come il figlio Jimmy il flauto, l’altro figlio, Mondy, il piano e i due Virgona, padre e figlio, avevano invece voci tenorili.Mario Virgona jr voleva diventare un cantante lirico come il padre, ma i suoi sogni furono rallentati dalla poliomelite che lo colse a diciannove anni. L’unico conforto per lui erano le visite dei cugini e dello zio Percy Ferguson, che gli regalò una bicicletta per aiutarlo a riabilitarsi. Finalmente guarito, Mario riuscì a coronare il suo sogno trascorrendo alcuni anni in Italia come tenore al Teatro dell’Opera di Roma e cantando con il grande Beniamino Gigli. La madre Velia lo rivolle però a Melbourne per gestire l’esercizio di famiglia e Mario, seppur malvolentieri, obbedì, insistendo però sulla necessità di convertire il bar in un ristorante, al cui centro venne installato un enorme barbecue in stile ‘Waltzing Matilda’. Café Virgona serviva cibo semplice e genuino - bistecche e pollo

Mario Virgona junior

alla griglia, pane, burro e vino - a molti uomini d’affari che lavoravano nella vicinissima City, incluso il sindaco di Melbourne. La conversione di Cafè Virgona subì però una battuta d’arresto per l’annoso problema della licenza, che veniva concessa sono se il locale fosse stato munito di due bagni e non solo uno, come nel caso in questione. Mario Virgona ricorda che molti suoi clienti diedero il loro

appoggio all’assegnazione della licenza testimoniando a suo favore in tribunale, con uno di questi che alla frequente domanda: “Cosa farebbe lei se sua moglie dovesse recarsi in bagno?” rispose: “Mia moglie viene dalla campagna e sa come badare a se stessa”.Cafè Virgona acquisì una delle prime licenze alcolici concesse ai ristoranti di Melbourne, diventando un vero simbolo di Brunswick Street.

MASSONILeon Massoni, scomparso all’inizio dell’anno ad 85 anni, è stato uno dei veterani e dei massimi esponenti di quella che veniva affezionatamente chiamata “the spaghetti mafia”, la confraternita dei ristoratori italiani storici di Melbourne. Il suo nome è legato a doppio filo ad alcuni dei più importanti ristoranti della città, come il Café Balzac, il Tolarno Bistro, il Massoni Restaurant e naturalmente il Café Florentino.L’indirizzo al numero 82 di Bourke Street, descritto come una casa in mattoni rossi di quattro stanze che ospitava un tale D. Phillips, viene iscritto per la prima volta all’ufficio catastale di Melbourne nel 1853, ma la storia del ristorante (oggi Grossi Florentino) inizia la sua gestazione nel 1871, quando Samuel Wynn, della famosa famiglia

di viticoltori di Coonawarra, acquistò l’edificio per trasferirvi il proprio negozio di vini e liquori, il “Colonial Wine Shop”. Samuel Wynn, che viveva con la sua famiglia al primo piano dell’edificio - tanto che oggi una delle sale da pranzo di Grossi Florentino, la “Wynn Room”, è a loro intitolata - nel 1918 rilevò il Café Denat, che aveva impiegato una miriade di chef di nuova generazione incluso Ernesto Molina, trasferendone la sede da Exhibition Street a Bourke Street.Il padre di Leon, Rinaldo Massoni, di professione fabbricante di strumenti chirurgici, era immigrato nel 1911 da Lucca in Australia dove con un altro lucchese, l’amico Camillo Triaca (che con il figlio David gestirà per molti anni il famoso Café Latin), aveva acquistato il Café Bella - un ristorantino italiano

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TRIACAIl Café Latin che molti buongustai di Melbourne ricordano è quello al numero 55 di Lonsdale Street, che per molti anni era stato il Café Venezia, e prima ancora Molinas’. Ma il primo Café Latin venne aperto al 206 di Exhibition Street, nello stesso locale che aveva ospitato il Café Bella di Filippo Navaretti.Camillo Triaca, uno scultore di soggetti religiosi nato a Lucignana (Lucca) nel 1887, era approdato a Melbourne nel 1909 dopo essersi recato negli Stati Uniti per vendere le sue statue, ma allo scoppio della Grande Guerra era rientrato in patria per arruolarsi nell’esercito. Sposatosi con Brasilina Damiani, alla fi ne del confl itto fece ritorno in Australia da solo, prima di venire raggiunto dalla moglie tre anni più tardi.Triaca, che aveva comunque continuato a scolpire, acquistò nel 1924 il Cafè Bella con Rinaldo Massoni; dopo la separazione tra i due soci nel 1930, entrò in società con Leonello (Nello) Borghesi, nato a Bagni di Lucca nel 1902 e arrivato in Australia la prima volta nel 1925, a bordo della Regina d’Italia, e cambiò il nome del locale ribattezzandolo Café Latin Restaurant. Il partenariato tra Camillo e Nello durò solo qualche anno, e mentre Triaca continuò a gestire il Latin, Borghesi aprì altri ristoranti - La Tosca a Russell Street e La Scala all’angolo di Collins ed Elizabeth Street -, prima che la guerra costringesse la famiglia a trasferirsi a Daylesford. Di ritorno a Melbourne, Nello vendette La Scala, che aveva dato in gestione e ribattezzato Hoddle Cafè per proteggere il locale dai sentimenti anti-italiani sorti negli anni del confl itto, ed aprì l’azienda alimentare La Tosca Food Processing Company. Conosciuto come ‘Cam’ dai clienti più affezionati, di corporatura statuaria, Triaca soleva sedere a un piccolo tavolino situato sul ballatoio della scala lunga e stretta che portava dalla Exhibition Street alla sala da pranzo, così da poter dare il benvenuto o il commiato ai commensali o invitare qualche “afi cionado” per un bicchiere. Tra questi lo scrittore Hal Porter, che nella sua autobiografi a “The Wacher on the Cast-Iron Balcony”, descrive nei dettagli le tovaglie bianche e gli ampi tovaglioli di

lino del Latin.La clientela degli anni Cinquanta era soprattutto formata da artisti, scrittori, pittori, attori ma anche da avvocati, giudici e dottori, oltre che da parecchi politici sia statali che - quando di passaggio a Melbourne - federali. La leggenda vuole che un giovane Barry Humphries, che raggiungerà il successo come Dame Edna Everage, una volta sia fuggito, senza pagare il conto, dalla fi nestra del bagno.Nel 1955 il ristorante fu venduto a Mario Viganò, che così poté ampliare il suo Mario’s, e i due fi gli di Camillo che avevano iniziato a gestire il Latin si dedicarono ad altre attività. David Triaca, secondo una nota del quotidiano ‘The Argus’ del 3 marzo 1950, un oste piacente e raffi nato, si insedierà al numero 1 di Swanston Street, nel ristorante del famoso Young and Jackson’s, mentre Dante gestirà il Royal Artillery Hotel sulla Elizabeth Street, fi no al 1962 quando riaprirà il Café Latin, rilevando il ristorante della famiglia Cipolata, il cui patriarca si era gravemente ammalato, situato sulla Lonsdale Street all’angolo di Punch Lane.Nel costante interscambio tra le più famose famiglie di ristoratori di Melbourne dell’epoca, i Triaca nel 1966, dopo la morte di Mario Viganò, acquistarono Mario’s, che verrà gestito da Dante e che chiuderà defi nitivamente i battenti l’anno successivo.

Nella sua seconda reincarnazione, il Café Latin visse un lungo periodo di auge. David Triarca, che aveva sviluppato un forte apprezzamento per l’arte già dai tempi di Young and Jackson - non solo per la famosissima “Chloe” appesa alle sue pareti, ma anche per il fatto che nell’ammodernamento della sala da pranzo aveva potuto scegliere tra 47 tele acquistate dallo stesso Young fondatore dell’hotel, incluso un Turner -, aveva accumulato una collezione ragguardevole di artisti emergenti in Australia, tra i quali Clifton Pugh.Sembra, anche se non è mai stato confermato, che Pugh avesse pagato dei conti con i quadri, tra i quali fi gurano due famosi ritratti di Gough Whitlam e di Sir John Kerr, entrambi avventori del ristorante. Tele in seguito battute all’asta (almeno quella di Whitlam) quando David Triarca, ormai malato, cedette il ristorante nel 1984 a Bill e Cheryl Marchetti, che lo riportarono allo splendore originale.Bill Marchetti, che per alcuni anni fu lo chef italiano più famoso di Melbourne, dopo essersi separato dalla prima moglie e sposatosi in seconde nozze con Fiona Snedden (fi glia del politico conservatore scomparso Bill Snedden), aveva aperto anche il Marchetti Tuscan Grill e il pastifi cio Studio Marchetti ma, sotto il peso di debiti e del fi sco, vide crollare il suo impero nel 2001 ed ora vive e lavora in India.

DAVID TRIACA

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WATSONQuando qualcuno gli chiede chi è dietro le origini di quella icona della degustazione del vino che è ormai da 77 anni il Jimmy Watson’s, sulla Lygon Street, l’attuale proprietario Alan Watson risponde subito: “Babbo”. Il riferimento è a Benedetto Panelli, il bisnonno di Alan, quel toscano giardiniere della residenza invernale del re d’Italia che, dopo aver scontato una pena carceraria per aver ucciso un cinghiale nella tenuta di Vittorio Emanuele II, nel 1870 era immigrato in Australia con la seconda moglie e le due fi glie.Il coinvolgimento della famiglia Watson nel mondo della ristorazione inizia in tempi insospettabili, quando Calexte Denat, proprietario dell’omonimo caffè, aveva preso in moglie Mary Watson e il fratello di quest’ultima, James (Jim), un minatore proveniente dalla Tasmania, Giselda Panelli, fi glia di Benedetto. Era quindi un’italiana la nonna di Alan Watson, che è stato sindaco di Melbourne, mentre il padre James ‘Jimmy’ Calexte Watson (un secondo

GOBBOAntonio (Toni) Gobbo e la moglie Regina Tosetto, che gestivano un bar ristorante a Cittadella in provincia di Padova, arrivarono separatamente in Australia nel 1927, Toni a bordo della ‘Orsova’ e Regina e il fi glio Flavio a bordo della ‘Regina d’Italia’. La famiglia si insediò subito a Carlton, che all’epoca non era ancora diventata la “Little Italy”: prima a Newry Street, poi a Drummond Street.Toni, un cementista, incoraggiò molti suoi concittadini a raggiungerlo a Melbourne, e la domenica il gruppo di Cittadella si riuniva a casa dei Gobbo per delle grandi mangiate. Durante il periodo della Grande Depressione, per sbarcare il lunario Regina aveva cominciato ad affi ttare posti letto ad immigrati italiani, chiudendo la veranda della casa di Drummond Street con delle tende di calico per dare loro un po’ di privacy.Nel 1935 Toni rientrò in Italia con Flavio e gli altri due fi gli nati in Australia, Giacomo (James) e Natalina, per poi tornare a Melbourne tre anni più tardi con una macchina del caffè Cimbali, che era stata usata nel bar ristorante di Cittadella. Sembra si tratti della prima macchina del caffè mai arrivata a Melbourne, se non in Australia, e sicuramente favorì la popolarità del St. Kilda Grill Room, il ristorante che i Gobbo avevano aperto sulla Victoria Street a North Melbourne, vicino al Victoria Market.Sir James Gobbo, già giudice della Corte Suprema e primo governatore del Victoria di origine italiana, ricorda che il ristorante era compreso di due sale. Nella prima, dove il menu offriva una serie di variazioni a base di bistecche e uova, venivano serviti gli esercenti anglo-

nome scelto per onorare lo zio, famoso chef) era imparentato con alcune delle famiglie più conosciute a Melbourne nel campo della ristorazione e del vino - i vari Denat, Virgona e Massoni.Jimmy Watson a 14 anni iniziò a prendere lezioni di fl auto da John Amadio e suonò professionalmente in orchestre teatrali e per cinema, oltre a lavorare nei bar e nei ristoranti gestiti dai familiari. Ormai sposato con Esther (Essie) Helena Mary Grenfell, una stenografa, dopo l’avvento del cinema sonoro che aveva ridotto le sue opportunità di lavoro come orchestrale, acquistò nel 1935 quello che oggi chiamiamo un ‘wine bar’ ma che all’epoca si chiamava ‘wine saloon’ a Lygon Street, Carlton, trasferendosi con la famiglia ai piani superiori dei due negozi situati nell’edifi cio.Nacque così l’esercizio J.C. Watson Wine Merchants, che in base alle leggi dell’epoca poteva vendere solo vini australiani, e non birra o super alcolici, che erano soprattutto liquorosi. All’epoca i ‘wine saloons’ erano territorio dei cosiddetti ‘plonkos’, persone perlopiù anziane che bevevano bicchieri di un vino chiamato ‘fourpenny dark’. Tentando di migliorare la clientela, Watson iniziò a servire vini di qualità migliore che imbottigliava personalmente, cominciando a crearsi una cantina con le migliori annate per i clienti più in grado di apprezzare, ed organizzando visite alle aziende vinicole, partite a carte ed escursioni per gli habitué. Ai pensionati venivano praticati sconti.Nel 1947 la famiglia Watson si trasferì ad Ascot House, Ascot Vale, dove Essie gestiva una sala ricevimenti dalla cui cucina venivano sfornate vivande destinate anche al locale di Carlton.Personaggio socievole e di grande personalità, Jimmy Watson diede molto carattere al suo locale, dove anche le donne si sentivano a loro agio. Chi sicuramente non si sentiva a proprio agio erano i presuntuosi e gli ubriachi che non venivano tollerati e che Watson, che era di grande presenza fi sica, non esitava a buttare fuori.Negli anni Cinquanta Jimmy Watson, grazie al patrocinio di studenti e corpo docente della vicina università di Melbourne, era già diventato un’istituzione. All’epoca studenti e accademici portavano da J.C. Watson il pranzo, da consumare assieme a un bicchiere o due di vino.Attorno al 1960 Watson decise di ristrutturare i locali, commissionando i

SAVINA TOSETTO ALL’INGRESSO DEL ST KILDA GRILL ROOM

celtici del vicino mercato, mentre nella seconda i coltivatori italiani che venivano a vendere i loro prodotti al “Vic Market” si abbuffavano di pasta e vino. Nel 1942 - epoca in cui il St Kilda Grill Room era frequentatissimo dai militari americani (molti dei quali di origine italiana) di stanza a North Melbourne, Parkville e nell’appena ultimato Royal Melbourne Hospital - iniziò a lavorare nel ristorante anche la sorella di Regina Gobbo, Savina, che poi sposò Bruno Bianchi, un prigioniero di guerra italiano. I Gobbo gestirono il St Kilda Grill Room per una decina d’anni, prima di vendere ad un parente. Qualche tempo più tardi il locale divenne L’Alouette, uno dei primi ristoranti BYO di Melbourne.

UN RITRATTO DI JIMMY WATSON

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lavori all’architetto Sir Roy Grounds, che non li terminò. Malato da anni di diabete, morì per complicazioni il 22 febbraio del 1962. Ai funerali si contarono centinaia di persone; tutti gli esercenti della Lygon Street furono presenti, per partecipare al dolore della famiglia, al passaggio del feretro, contribuendo, assieme ad amici e parenti del defunto, all’istituzione del Jimmy Watson Memorial Trophy, ogni anno aggiudicato al miglior rosso giovane (un anno) al Royal Melbourne Wine Show.Il fi glio Alan, dopo la scomparsa del padre, fece terminare la ristrutturazione dal grande architetto Robin Boyd, che alterò il soffi tto della sala da pranzo rendendola più ariosa, ma mantenendo le stanze al piano superiore - una delle quali, usata per gli assaggi soprattutto da accademici, era stata battezzata dallo stesso Jimmy Watson “The House of Lords”. Il 1962 è l’anno in cui Alan Watson decide di introdurre da J.C. Watson anche il cibo, soprattutto

italiano, ma solo a pranzo. Il locale fi no a pochi anni orsono ha sempre chiuso alle 18.00 dal lunedì al venerdì e alle 14.00 il sabato. Per anni, i commensali del sabato che facevano colazione a forza di “bacon and eggs” e bottiglie di vino frizzante, quando venivano invitati ad andarsene dal campanone suonato da un bonario Alan Watson si allontanavano in gruppo in direzione del Princes Park, per assistere alle partite casalinghe

del Carlton. Negli anni Novanta i fi gli di Alan Watson hanno assunto maggiori responsabilità nella conduzione dell’azienda e al contempo hanno scoperto una grossa riserva di grandi vini invecchiati nella cantina di Jimmy Watson. Presto fatto, hanno assunto un grande chef ed hanno con lui sviluppato un menu abbinato ai grandi vini ritrovati,

aprendo anche per cena.Il J.C.Watson Wine Merchants, ad oltre settant’anni dall’inaugurazione è oggi un elegante bistro, con un menu consono ai tempi odierni ed un servizio attento, ma con quell’arredo sobrio che non è mai cambiato dagli anni Sessanta sembra essere rimasto incapsulato in quel periodo. E, come allora, è ancora il posto ideale per andare a gustare un bicchiere di buon vino.

ALAN WATSON

Jimmy Watson’s Wine Bar333 Lygon StreetCarlton 3053Ph: 03 9347 3985

Vineria a gestione

familiare con vini provenienti

da piccoli vigneti di qualità

Aperto da lunedì a sabato per

pranzo e cenaChiuso la domenica

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DEI NOMI ECCELLENTI DELLA

RISTORAZIONE DI SYDNEY

“Tuttocominciò con

il GaribaldiHotel...”

La storiaLa storia

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La storia dei ristoranti italiani di Sydney non è documentata come quella di Melbourne. Ciò che sappiamo di certo è che nella seconda metà del 1800, i pochi italiani che vivevano in quella che sarebbe diventata la città dell’Harbour Bridge e dell’Opera House, abitavano a “Macaroni Raw” una fi la di 36 cat-apecchie allineate lungo la Castlereagh Street, sbarcavano il lunario facendo i musicisti di strada, o i gelatai e per ritrovasi e divertirsi, si recavano nel primo locale italiano, di cui si abbia documentazione certa, il Garibaldi Hotel ad Hunters Hill.Giovanni Cuneo, un rifugiato politico, aveva iniziato la costruzione del suo pub nel 1861 e lo ha inaugurato, intitolandolo all’Eroe dei due mondi, nel 1869.Il Garibaldi, con la statua del leader deMille, per anni luogo di ritrovo prefer-ito degli italiani, è rimasto aperto fi no al 1911. La chiusura è stata decre-

tata da un referendum popolare per ridurre il numero di rivendite di alcolici nella zona di Hunters Hill. La famiglia Cuneo, molti dei discendenti vivono ancora nella zona, ha venduto il vec-chio Garibaldi nel 1949.La sparuta presenza italiana, sti-mata dal rifugiato politico Francesco Sceusa, al suo arrivo a Sydney nel 1877, a 500 anime, ha comunque saputo contribuire in maniera note-vole allo sviluppo della vita culturale della città: le statue di Tommaso Sani adornano il vecchio uffi cio delle Poste; Achille Simonetti ha decorato il Colonial Secretary Building, e scolpito la statua del Governatore Arthur Phillip, che si può ammirare passeggiando per i giardini botanici; il maestro Paolo Giorza, ha presentato, in occasione della Grande Fiera Internazionale del 1879, che ha visto la partecipazione di una cinquantina di ditte italiane, il suo inno “Australia”.La maggior parte di quei pionieri dell’immigrazione, comunque, lavorava nel settore alimentare, nella produzione soprattutto, e nei primi negozi e ris-toranti, che sono cominciati a spuntare attorno alla Stanley Street, come la Sydney Macaroni Manufactory, un pastifi cio che è rimasto operativo per una ventina d’anni.

In quegli anni lontani, gli italiani sen-tivano il bisogno di appartenenza ad un gruppo che condividesse storie ed esperienze, ed hanno quindi aperto numerosi circoli dove potersi riunire per mangiare, bere e discutere. Il Circolo Isole Eolie ha aperto i battenti nel 1903 a Circular Quay, l’Italo-Australian Club nel 1905 a George Street e la Società Stella d’Italia nel 1906; è stata poi la volta dell’Oceania nel 1913 e del Club Italia, al 174 di King Street, nel 1915.Per i primi ristoranti di cui si trovi men-zione bisogna attendere fi no al 1952 quando la famiglia Lorenzini aprì La Veneziana , a Stanley Street, diventan-do da subito non solo il luogo di ritrovo di tutti gli italiani della zona, ma un rito di passaggio per quegli australiani che erano incuriositi non solo dalla cucina, ma anche dalla storia, le usanze e le tradizioni italiane. Gli italiani general-mente mangiavano al pian terreno, anche quelli disoccupati, che arriva-vano con il buono del Consolato, ai quali la signora Angiolina Lorenzini (per tutti era Mamma, racconta la fi glia), serviva fumanti cannelloni a gratis, e per gli “altri” c’era la stanza al primo piano. Il menù spesso era lo stesso per tutti: spaghetti bolognese, un fi lon-cino di pane e una bottiglietta di Coca Cola, generalmente riempita con il vino sfuso, per la modica cifra di 6 scellini (60 centesimi).Se La Veneziana ha rappresentato per molti, il primo passo verso le gioie della cucina italiana, Il Faro, aperto nel 1959 sulla Chapel Street a Darlinghurst, è stato il secondo.Chapel Street era una strada spesso percorsa da camion, che continuavano ad abbattere l’insegna de Il Faro e, la leggenda vuole, che proprio a causa

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dei continui incidenti il ristorante sia diventato il mitico “No Name”, un locale dove si mangiava cibo onesto e a buon mercato, come nelle altre trattorie e caffè che erano cominciate a proliferare nella zona di Darlinghurst, East Sydney e Woollomoloo, come Bill & Tony e l’Atlanta. Gli australiani e gli italiani più sofi sticati e con maggiori possibilità fi nanziare andavano da Beppi’s, che Beppi Polese, aveva aperto nel 1956, all’angolo di Stanley e Yurong Street, quando l’Australia era quella di Menzies: “meat and three veg”.Considerato il patriarca della cucina italiana a Sydney, Polese , nato in Friuli, in un paesino vicino a Pordenone, ha cominciato a lavorare a 14 anni, come lavapiatti all’Albergo Doria di Milano, dando il via ad una carriera che lo ha portato nelle sale da pranzo dei migliori alberghi di Milano, Firenze, Venezia, Roma, prima di approdare in Australia nel 1952.A Sydney, Beppi Polese, ha lavorato in vari ristoranti, Romano’s, Milano’s e Prince’s, prima di aprire il Beppi’s Restaurant il 10 giugno del 56, assieme alla moglie Norma, due mesi prima che Bruce Gyngell, entrasse nelle case australiane con la prima trasmissione televisiva.Se La Veneziana e il No Name, hanno dato il primo assaggio di spaghetti e cannelloni agli australiani, Beppi’s a fatto conoscere ai loro palati vergini, delizie quali le cozze, che andava a cogliere dai piloni dei vecchi ponti della baia, polpi e carciofi . Verso la fi ne degli anni 50 gli italiani avevano cominciato a gravitare verso Leichhardt, che presto sarebbe diventata la “little Italy” di Sydney. Il primo caffè italiano di Leichhardt, il Caffè Sport di Norton Street, è stato aperto nel 1956 da Raffaello Raffaelli, a quale ha fatto seguito il Bar Trinacria, aperto nel 1959 da un siciliano di nome Calcagno, che negli anni 70 è stato rilevato da Michele Scandurra che lo ha ribattezzato Caffè Italia, un nome che non è stato cambiato dai nuovi proprietari, la famiglia Cama. In quegli anni la maggioranza dei negozi di Leichhardt erano di famiglie italiane: c’era la famiglia Lucchitti che aveva la salumeria e rivendita di vini a Norton

St., la salumeria Sindone (poi Santoro) a Parramatta Rd., la pasticceria Mezzapica, aperta dall’eoliano Angelo Mezzapica nel 1952, l’altra pasticceria La Forentina, non più operativa, sulla Paramatta Rd a Petersham, la macellaria italiana di Sam Castorina all’angolo di Hay St., il Riviera Coffee Lounge, di Antonio Lamasona, al 367 di Parramatta Rd., ma per i primi ristoranti bisognerà attendere fi no alla metà degli anni 60, quando aprirono i battenti La Rustica sulla Parramatta Rd., e il Rugantino sulla Norton St., del compianto e romanissimo Nando Ciaffoncini.La Rustica, oggi ad Habefi eld, è forse il più antico ristorante italiano di Leichhardt. E’ stato aperto dalla famiglia Giannetti al 435 di Parramatta Rd. a poche porte di distanza da quella che era la sede de La Fiamma, e i mitici fratelli Ciccio e Charlie accoglievano quasi ogni giorno, all’ora del pranzo il tavolo dei giornalisti e quello degli avvocati dello studio Lapein, che era li vicino.A poca distanza dalla Rustica, negli anni 70, un ragazzo romano Guglielmo (Memmo) Pedrini, arrivato a Melbourne con la Marconi, nel 1969, dopo una breve e infelice esperienza nelle miniere del Western Australia e del Territorio del Nord, ha aperto La botte d’oro, che continua a gestire assieme al fi glio David.Oggi, nonostante molti ristoranti italiani continuino ad operare a Leichhardt, la cucina italiana, di altissimo livello

e qualità, la si può gustare in tutta Sydney.Oggi i protagonisti della scena culinaria italiana hanno nomi diversi, come quelli di Stefano Manfredi, Armando Percuoco, Lucio Galletto, considerati i nuovi senatori della cucina italica. Il napoletano Percuoco e il ligure Galletto si sono incontrati per caso una sera del 1979, in un vicoletto di King’s Cross, sul retro del Pulcinella, il ristorante che Armando aveva aperto assieme al padre, e del Natalino’s, dove lavorava Lucio. Quella sera hanno discusso di come promuovere l’alta cucina italiana, alla stregua di quella francese che all’epoca andava per la maggiore, e qualche anno più tardi entrambi hanno coronato il loro sogno, aprendo due ristoranti che sono diventati istituzioni a Paddington, il Buon Ricordo e Lucio.Oggi la cucina italiana di Sydney è anche nelle capaci mani del sardo Giovanni Pilu, chef di grande talento al noto Pilu at Freshwaters, di Maurice Terzini e Robert Marchetti che con Iceberg e Bondi hanno esportato un po’ di Melburne a Sydney, di Giovanna Toppi che gestisce con la fi glia Caterina, il famoso Macchiavelli, di Danny Russo (L’Unico), Vanessa Martin (Il Piave), Massimo Bianchi (Mosaic).Il futuro della cucina italiana a Sydney è invece affi dato a personaggi come Giovanna Alberti, una giovane chef italiana, arrivata in Australia da poco con un sogno, comune a quegli immigrati che l’hanno preceduta, celebrare l’eccellenza italiana.

L’EX GARIBALDI

HOTEL

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Giovedì 26 luglio 2012

Ger asier asiV872 SYDNEY ROADBRUNSWICK - VICTel. (03) 9386 0170

Fax: (03) 9386 0732

ORARIO D’APERTURA:Lun-Mar-Mer: 8.30am - 6pm

Giovedì: 8.30am - 7pm Venerdì: 8.30am - 8pmSabato: 8.00am - 4pm Domenica: 9.30am - 4.00pm

Siamo aperti tutte le

domeniche!

IL NOSTRO MOTTO E’ QUALITA’ E PREZZI BASSI • IL NOSTRO MOTTO E’ QUALITA’ E PREZZI BASSI

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per sceltaOgni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!italiani per sceltaOgni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!italiani per sceltaOgni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!italiani per sceltaOgni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!italiani per sceltaOgni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!italiani per sceltaOgni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!italiani per sceltaOgni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!italiani per sceltaOgni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!italiani per sceltaOgni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!italiani per sceltaOgni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!italiani per sceltaOgni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!italiani per sceltaOgni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!italiani per sceltaOgni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!italiani per sceltaOgni giorno!Ogni giorno!Ogni giorno!italiani per sceltaOgni giorno!Ogni giorno!Ogni 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