LA CRUSCA · 2019. 11. 3. · Paolo D' Achille, L'italiano in cammino (I); Lorenzo Tomasin,...

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LA CRUSCA per VOI Periodico semestrale Foglio dell' Accademia della Crusca dedicato alle scuole e agli amatori della lingua. Fondato da Giovanni Nencioni Direttore: Paolo D'Achille Comitato di redazione: Vittorio Coletti, Francesco Sabatini Coordinamento editoriale: Raffaella Setti, Riccardo Cimaglia Grafica: Auro Lecci Accademia della Crusca, Centro di Grammatica Italiana, Villa Medicea di Castello, Via di Castello 46,50141 Firenze. www.accademiadellacrusca.it N. 52 (2016, I) Paolo D' Achille, L'italiano in cammino (I); Lorenzo Tomasin, Italiano antico e italiano d'oggi; Riccardo Tesi, L'italiano come lingua nuova. Aspetti del-rinnova- mento linguistico dall' Anticrusca di Paolo Beni (1612) all' età manzoniana: Francesco Sabatini, I ganci della continuità. Notizie dell' Accademia. QUESITIDA:Marsa Alam, Paolo Ballacci, Renzo Benati, Christian Bertozzi, Davide Braccini, Domenico Caringella, Cristian Ciccone, Giacomo Colomba, Giorgia de Cristofaro, Bruno Foldrini, Paolo Greppi, Alessandro Gui, Sara Kelany, Antonino Maggio, Mirko Malatesta, Jacopo Marotta, Duilia Mondino, Bruno Moreno, Adolfo Nastasi, Laura Pacciarella, Sandra Pellegrini, Anna Pescatore, Stefano Radiconcini, Gabriella Torano, Maria Paola Zonari, RISPOSTEDI:Federigo Barnbi, Paolo Carnevale, Vittorio Coletri, Paolo D'Achille, Claudio Giovanardi, Edoardo Lombardi Vallauri, Franco Lurà, Raffella Setti, Salvatore Claudio Sgroi, Anna M. Thornton. SprGOLATURE L'ITALIANO IN CAMMINO (I) Nei due numeri annuali di questo giornale af- frontiamo il tema delle continuità e delle discon- tinuità nella storia della lingua italiana. Rispetto ad altre grandi lingue di cultura europee, che hanno subito nel tempo un processo evolutivo che ha determinato in esse profonde trasforma- zioni a tutti i livelli dell'analisi linguistica, l'ita- liano è sempre stato considerato una lingua che è cambiata poco nel corso dei secoli: nelle strut- ture fondamentali del sistema non si è avuto lo stesso forte distanziamenio rispetto alla fase me- dievale che c'è stato in altre lingue, tanto che la comprensione dei testi del Trecento toscano (in particolare le opere delle "Tre Corone ": Dante, Petrarca e Boccaccia, autori di capolavori fon- damentali nella storia della letteratura mondia- le) non può dirsi preclusa ai lettori moderni. Questa caratteristica dell'italiano viene varia- mente spiegata. Fondamentale è stato il fatto che la linea vincente della questione della lingua cin- quecentesca risultasse quella arcaizrante e classi- cistica di Pietro Bembo, che aveva eletto il fioren- tino trecentesco (non quello contemporaneo, che tra la fine del Trecento e nel corso del Quattro- cento aveva sviluppato vari tratti innovativi) quale modello per l'uso letterario, a sua volta punto di riferimento per le altre forme di scrittura; da un altro lato va considerata la scarsa circolazione, per secoli, dell'italiano nella comunicazione par- lata, visto che il parlato è il motore del cambia- mento linguistico; da un altro lato ancora andrà ricordato che il fiorentino medievale che era alla base del modello scelto si era allontanato dal lati- no meno di altri dialetti itala-romanzi, rispetto ai quali si collocava anche in una posizione di me- dieta, che favoriva un po' dovunque il suo accogli- mento (meno problematico rispetto a quello, per esempio, del siciliano a nord o del milanese a sud). Naturalmente, non tutti i tratti del fiorentino medievale sono passati nell'italiano moderno, perché anche l'uso vivo (post-trecentesco) di Firenze ha avuto un certo peso nella definizione dell'italiano, sia al momento dell'espansione del- la norma grazie al Vocabolario degli Accademici della Crusca, sia, più tardi, con le scelte manzo- niane, molto importanti al momento dell'unifica- zione politica. Negli ultimi anni, comunque, la stabilità e la conservatività dell'italiano rispetto alle sue origini sono state messe più nettamente in di- scussione: da un lato l'approfondimento de- gli studi sull'italiano antico, culminati con la Grammatica curata da Giampaolo Salvi e Lo- renzo Renri (2010), ha documentato molte diffe- renze siniattiche tra il volgare dei testi fiorentini due-trecenteschi e l'italiano standard attuale; da un altro lato, in una prospettiva di storia lin- guistica interna, sono state evidenziate alcune novità sviluppatesi nell' italiano dal Seicento in poi. Sul versante dell'insegnamento scolastico, è stata segnalata, poi, la crescente difficoltà che incontrano oggi gli studenti nella lettura e nella comprensione dei testi della nostra tradizione letteraria, quasi a documentare la complessiva alterità dell'italiano antico. Senza avere la pretesa di dire una parola de- finitiva su questioni così complesse e dibattute, proponiamo, in questo e nel prossimo numero, alcuni interventi che, da punti di vista diversi e con riferimento a fasi distinte della lunga storia dell'italiano. affrontano l'argomento: Lorenzo Tomasin, docente all'Università di Losanna, si occupa dell'italiano antico (intendendo con esso il complesso dei volgari medievali dell'area ita- la-romanza) per proporre, con un ricco corredo di esempi, una serie di tratti che lo differenzia- no dalla lingua attuale; Riccardo Tesi, docente all'Università di Bologna, tratta invece dell'ita- liano moderno, tra Seicento e primo Ottocento, individuando, proprio nel momento del consoli- damento e di espansione della norma, elementi di novità e, dunque, di discontinuità rispetto al passato. Si affianca ai due contributi un testo di Francesco Sabatini, che propone una bre- ve, ma pregnante riflessione sul significato più profondo della "continuità", affidata anche alla memoria poetica e al suo valore fondante della coscienza linguistica italiana (con tacito riferi- mento a Dante). La spigolatura curata da Riccardo Cimaglia presenta un ampio passo di una lettera di Ugo Foscolo, il quale, da saggista, dedicò all'italia- no molte pagine importanti, non sempre ricor- date quanto meriterebbero: in questo caso (a un anno dalla riapertura della Crusca per volere di Napoleone, nel 1811 ) il poeta propone le proprie idee per la predisposizione di un nuovo vocabo- lario, dimostrando che la necessità di strumenti lessicografici di carattere scientifico era avver- tita anche dagli scrittori. I grandi scrittori sono stati spesso, del resto, anche grandi linguisti. Completano il fascicolo, come sempre, le no- tizie sulle attività dell 'Accademia e le risposte ai quesiti dei lettori, in questo caso dedicate so- prattutto a temi curiosi o particolari; segnalo qui la risposta di Raffaella Setti alla domanda sul significato di tornata perché si tratta di un termine tuttora in uso proprio presso la nostra Accademia. Paolo D'Achille ITALIANO ANTICO E ITALIANO D'OGGI 1. Uno scarto culturale Come scriveva quasi due secoli fa uno dei fon- datori della linguistica romanza, Friedrich Diez, «un italiano antico nel senso del francese an- tico non si dà». Infatti, la lingua che Dante nel De vulgari eloquentia chiamò d'oil può essere legittimamente considerata come l'antenata di-

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LA CRUSCA•per VOI

Periodico semestrale

Foglio dell' Accademia della Cruscadedicato alle scuole e agli amatori della lingua.

Fondato da Giovanni Nencioni

Direttore: Paolo D'AchilleComitato di redazione: Vittorio Coletti, Francesco Sabatini

Coordinamento editoriale: Raffaella Setti, Riccardo CimagliaGrafica: Auro Lecci

Accademia della Crusca, Centro di Grammatica Italiana,Villa Medicea di Castello, Via di Castello 46,50141 Firenze.

www.accademiadellacrusca.it

N. 52 (2016, I)

Paolo D' Achille, L'italiano in cammino (I); Lorenzo Tomasin, Italiano antico e italiano d'oggi; Riccardo Tesi, L'italiano come lingua nuova. Aspetti del-rinnova-mento linguistico dall' Anticrusca di Paolo Beni (1612) all' età manzoniana: Francesco Sabatini, I ganci della continuità. Notizie dell' Accademia. QUESITIDA:MarsaAlam, Paolo Ballacci, Renzo Benati, Christian Bertozzi, Davide Braccini, Domenico Caringella, Cristian Ciccone, Giacomo Colomba, Giorgia de Cristofaro, BrunoFoldrini, Paolo Greppi, Alessandro Gui, Sara Kelany, Antonino Maggio, Mirko Malatesta, Jacopo Marotta, Duilia Mondino, Bruno Moreno, Adolfo Nastasi, LauraPacciarella, Sandra Pellegrini, Anna Pescatore, Stefano Radiconcini, Gabriella Torano, Maria Paola Zonari, RISPOSTEDI: Federigo Barnbi, Paolo Carnevale, VittorioColetri, Paolo D'Achille, Claudio Giovanardi, Edoardo Lombardi Vallauri, Franco Lurà, Raffella Setti, Salvatore Claudio Sgroi, Anna M. Thornton. SprGOLATURE

L'ITALIANO IN CAMMINO (I)

Nei due numeri annuali di questo giornale af-frontiamo il tema delle continuità e delle discon-tinuità nella storia della lingua italiana. Rispettoad altre grandi lingue di cultura europee, chehanno subito nel tempo un processo evolutivoche ha determinato in esse profonde trasforma-zioni a tutti i livelli dell'analisi linguistica, l'ita-liano è sempre stato considerato una lingua cheè cambiata poco nel corso dei secoli: nelle strut-ture fondamentali del sistema non si è avuto lostesso forte distanziamenio rispetto alla fase me-dievale che c'è stato in altre lingue, tanto che lacomprensione dei testi del Trecento toscano (inparticolare le opere delle "Tre Corone ": Dante,Petrarca e Boccaccia, autori di capolavori fon-damentali nella storia della letteratura mondia-le) non può dirsi preclusa ai lettori moderni.

Questa caratteristica dell'italiano viene varia-mente spiegata. Fondamentale è stato il fatto chela linea vincente della questione della lingua cin-quecentesca risultasse quella arcaizrante e classi-cistica di Pietro Bembo, che aveva eletto il fioren-tino trecentesco (non quello contemporaneo, chetra la fine del Trecento e nel corso del Quattro-cento aveva sviluppato vari tratti innovativi) qualemodello per l'uso letterario, a sua volta punto diriferimento per le altre forme di scrittura; da unaltro lato va considerata la scarsa circolazione,per secoli, dell'italiano nella comunicazione par-lata, visto che il parlato è il motore del cambia-mento linguistico; da un altro lato ancora andràricordato che il fiorentino medievale che era allabase del modello scelto si era allontanato dal lati-no meno di altri dialetti itala-romanzi, rispetto aiquali si collocava anche in una posizione di me-dieta, che favoriva un po' dovunque il suo accogli-mento (meno problematico rispetto a quello, peresempio, del siciliano a nord o del milanese a sud).

Naturalmente, non tutti i tratti del fiorentinomedievale sono passati nell'italiano moderno,perché anche l'uso vivo (post-trecentesco) diFirenze ha avuto un certo peso nella definizionedell'italiano, sia al momento dell'espansione del-la norma grazie al Vocabolario degli Accademicidella Crusca, sia, più tardi, con le scelte manzo-niane, molto importanti al momento dell'unifica-zione politica.

Negli ultimi anni, comunque, la stabilità ela conservatività dell'italiano rispetto alle sueorigini sono state messe più nettamente in di-scussione: da un lato l'approfondimento de-gli studi sull'italiano antico, culminati con laGrammatica curata da Giampaolo Salvi e Lo-renzo Renri (2010), ha documentato molte diffe-renze siniattiche tra il volgare dei testi fiorentinidue-trecenteschi e l'italiano standard attuale;da un altro lato, in una prospettiva di storia lin-guistica interna, sono state evidenziate alcunenovità sviluppatesi nell' italiano dal Seicento inpoi. Sul versante dell'insegnamento scolastico,è stata segnalata, poi, la crescente difficoltà cheincontrano oggi gli studenti nella lettura e nellacomprensione dei testi della nostra tradizioneletteraria, quasi a documentare la complessivaalterità dell'italiano antico.

Senza avere la pretesa di dire una parola de-finitiva su questioni così complesse e dibattute,proponiamo, in questo e nel prossimo numero,alcuni interventi che, da punti di vista diversi econ riferimento a fasi distinte della lunga storiadell'italiano. affrontano l'argomento: LorenzoTomasin, docente all'Università di Losanna, sioccupa dell'italiano antico (intendendo con esso

il complesso dei volgari medievali dell'area ita-la-romanza) per proporre, con un ricco corredodi esempi, una serie di tratti che lo differenzia-no dalla lingua attuale; Riccardo Tesi, docenteall'Università di Bologna, tratta invece dell'ita-liano moderno, tra Seicento e primo Ottocento,individuando, proprio nel momento del consoli-damento e di espansione della norma, elementidi novità e, dunque, di discontinuità rispetto alpassato. Si affianca ai due contributi un testodi Francesco Sabatini, che propone una bre-ve, ma pregnante riflessione sul significato piùprofondo della "continuità", affidata anche allamemoria poetica e al suo valore fondante dellacoscienza linguistica italiana (con tacito riferi-mento a Dante).

La spigolatura curata da Riccardo Cimagliapresenta un ampio passo di una lettera di UgoFoscolo, il quale, da saggista, dedicò all'italia-no molte pagine importanti, non sempre ricor-date quanto meriterebbero: in questo caso (a unanno dalla riapertura della Crusca per volere diNapoleone, nel 1811 ) il poeta propone le proprieidee per la predisposizione di un nuovo vocabo-lario, dimostrando che la necessità di strumentilessicografici di carattere scientifico era avver-tita anche dagli scrittori. I grandi scrittori sonostati spesso, del resto, anche grandi linguisti.

Completano il fascicolo, come sempre, le no-tizie sulle attività dell 'Accademia e le risposteai quesiti dei lettori, in questo caso dedicate so-prattutto a temi curiosi o particolari; segnaloqui la risposta di Raffaella Setti alla domandasul significato di tornata perché si tratta di untermine tuttora in uso proprio presso la nostraAccademia.

Paolo D'Achille

ITALIANO ANTICOE ITALIANO D'OGGI

1. Uno scarto culturaleCome scriveva quasi due secoli fa uno dei fon-datori della linguistica romanza, Friedrich Diez,«un italiano antico nel senso del francese an-tico non si dà». Infatti, la lingua che Dante nelDe vulgari eloquentia chiamò d'oil può esserelegittimamente considerata come l'antenata di-

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2 LA CRUSCA PER VOI

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GIACOMO DA LENTINI - CANZONIERE PALATI NOCODICE PALATI NO 418. BIBLIOTECA NAZIONALE CENTRALE DI FIRENZE, FINE XIII SECOLO.

retta del francese contemporaneo, poiché i dueestremi della storia linguistica francese sonolegati da una serie sostanzialmente ininterrottadi mutamenti interni - di fatto - a un'unica va-rietà che fin dall'età medievale si auto-identificacon complessiva univocità, e che si è evolutanel corso dei secoli attraverso una trasmissioneomogenea nel parlato e, in parallelo, attraversouna tradizione scritta svoltasi senza soluzione dicontinuità.

Al contrario, la lingua che oggi chiamiamoitaliana, in cui sono scritte per esempio que-ste pagine, è il prodotto di una storia ben piùcomplessa, che si è dipanata nei secoli secondodinamiche evolutive peculiari e tutt'altro chelineari. Prima del Rinascimento, quando l'ita-liano viene codificato come lingua letteraria apartire non da una varietà presente e viva, maprevalentemente dalle opere scritte da un ri-stretto nòvero di autori medievali, nessuna lin-gua si chiamava italiana.

Ciò detto, le numerose varietà scritte dell'I-talia medievale possono considerarsi per certiversi unitarie, non solo grazie alla rete di legamiculturali che le unisce, ma anche, come vedre-mo, per alcuni tratti propriamente grammaticali(morfosintattici e lessi cali, soprattutto) che leaccomunano.

L'italiano antico è, insomma, più che una sin-goli! lingua in senso moderno, un mosaico lin-guistico, caratterizzato da un forte policentrismoe dall' assenza di un modello affermato (ossia di

uno standardi, eppure a suo modo coeso. In que-sto quadro, diverse aree culturali dell'Italia svi-luppano in vario grado tradizioni scritte (le solecui possiamo oggi attingere) dotate di notevoleautonomia ma anche di chiari elementi comuni.Una parte di tali elementi si deve alla fortissimainfluenza esercitata dal latino su tutta la culturascritta d'età medievale, prodotta da uomini checonoscevano il latino almeno indirettamente, eche lo consideravano non come una lingua na-turale, ma come un idioma artificiale, l'unicoregolato e propriamente grammaticale (il rinvioalle idee espresse da Dante nel De vulgari elo-quentia è di nuovo illuminante).

Pure, la contiguità - e quindi la continuità -geografica che lega i volgari italiani medieva-li fa di essi un gruppo nel quale vari elementimorfosintattici e lessicali sono comuni e tali dadistinguere l'italiano antico - inteso come il lorocomplesso - sia dalle varietà romanze extra-ita-liane (è quell'unità implicita che appunto Danteindividuava nel suo mirabile trattato, parlandoper la prima volta di un'Italia linguistica), siadall'italiano moderno.

Delle partizioni usuali della grammatica, lafonetica e buona parte della morfologia sonoforse le meno adatte a rilevare questi carattericomuni, giacché in questi ambiti i volgari ita-liani antichi si comportano in modo simile aimoderni dialetti: mostrano, cioè, una varietàgrandiosa, talché mentre il fiorentino anti-co presenta suoni e forme abbastanza simili a

quelli dell'italiano odierno, per gli altri volgariil confronto riuscirebbe meglio con i corrispon-denti dialetti attuali. Ma sarebbe un po' ingenuotrame la conclusione che solo i testi toscani so-no scritti in italiano antico, perché solo la lorolingua assomiglia (in superficie, cioè nella fo-nomorfologia) a quella di oggi. La realtà è benpiù complessa.

In primo luogo, infatti, bisogna tener contoche anche a livello morfologico esiste una diffe-renza fondamentale tra le varietà italoromanzeantiche nel loro complesso e quelle contempo-ranee: cioè la notevole varietà delle soluzionimorfologiche di contro alla tendenziale restri-zione di possibilità che caratterizza la fase piùrecente. La diretta conseguenza della codifica-rione linguistica - cioè dell'uniformità deri-vante dai dettami delle grammatiche normati-ve, ma anche da usi tipicamente moderni dellelingue come la stampa o la stessa scrittura, cheoggi è patrimonio comune della quasi totalitàdei parlanti adulti - è che l'italiano tende na-turalmente a semplificare le numerose variantimorfologiche che a lungo hanno convissuto ein parte continuano a convivere. Esempi clas-sici di riduzione del polimorfismo tra epocaantica ed epoca moderna sono alcuni pronomi(egli ed ei) o alcune terminazioni verbali (quelledell'imperfetto avea e aveva, o quelle del pas-sato remoto furo e furono), che nei testi antichispesso si alternano piuttosto liberamente, comeè normale in contesti linguistici anteriori allafissazione di una norma grammaticale veicola-ta dalla scuola o condivisa almeno da un'éliteintellettuale. Persino i dialetti italiani hanno ri-sentito, nel tempo, dell'influsso di tale tendenzaall'uniformazione e all'eliminazione di doppio-ni o triploni morfologici. Elementi tutti internialla grammatica delle lingue, insomma, posso-no essere influenzati in modo determinante dalcontesto storico e culturale in cui le lingue vi-vono e si evolvono.

Se poi ci spostiamo sul piano della morfo-sintassi e del lessico, possiamo individuare va-ri elementi che, comuni a tutti o a larga partedei volgari medievali, ben si prestano a rilevarealcune differenze tra italiano antico e italianoodierno.

Nei paragrafi che seguono ne daremo qual-che esempio: sarà bene intanto aver messo inchiaro che la prima, fondamentale distinzionetra l'italiano antico e quello odierno è una dif-ferenza di tipo complessivamente culturale. Sequella di oggi è infatti una lingua standardizza-ta (cioè grammaticalmente codificata) che puòessere - e di fatto è - appresa e perfettamen-te scritta e parlata da persone prive in tutto oin parte di un retroterra dialettale e totalmenteignare del latino, i testi volgari dell'Italia me-dievale sono prodotti in un orizzonte storico eculturale radicalmente di verso, che si ripercuotesul complesso della lingua scritta e che va tenu-to presente in ogni aspetto della comparazionetra antico e moderno.

2. I pronomiCirca l'assetto dei pronomi si noterà la presen-za, condivisa con le varietà galloromanze - checonservano tale tratto ancora oggi - degli esitidel latino HOMO (cioè om, uom e forme affini)'impiegati con valore di pronomi indefiniti (uomdice per 'si dice'), anche se con diversa sintas-

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LA CRUSCA PER VOI 3

si. visto che per esempio essi precedono e nonseguono la negazione. Si vedano i venezianie duecenteschi Proverbia que dicuntur supernatura feminarum «<le fior de li arbori no po-rav'orn contare» 'non si potrebbero contare lefoglie degli alberi'), o ancora il Dante delle Ri-me (<<siveggion cose chuom non può ritrare»).

Per quanto riguarda i pronomi clitici, cioèatoni, si osserverà che l' enclisi, determinatanell'italiano contemporaneo dal modo del verbo(imperativo, infinito, gerundio, participio pas-'sato si accompagnano solo a pronomi enclitici,per cui non si può dire "penso (di) la vedere,ma solo penso di vederla), aveva distribuzionediversa. Comune in genere alle varietà romanzeantiche è la cosiddetta legge Tobler-Mussafia(dal nome dei due filologi che per primi, allafine dell'Ottocento, notarono il fenomeno), percui in posizione iniziale assoluta e dopo alcu-ni elementi (per esempio le congiunzioni coor-dinative e, ma), il clitico è necessariamente inposizione postverbale. Se il siciliano Giacomoda Lentini inizia una stanza di canzone con «Do-gliomi e adiro sovente», e Dante inizia il cantoIV dell'Inferno con le parole «Rupperni l'altosonno nella testa», è perché i costrutti alternativi*Mi doglio e *Mi ruppe non erano possibili inquella posizione sintattica.

Altro elemento caratteristico in generale dellevarietà italoromanze nella fase più antica dellaloro documentazione è la cosiddetta salita lun-ga del clitico, per cui in presenza di una fraseinfinitiva retta da verbi come volere, potere,dovere, andare (a) (sono i cosiddetti verbi a ri-strutturarionei il pronome clitico è posto dopo ilverbo reggente e non dopo l'infinito: si ha cioèil tipo «non lo posso intendere» (Dante, Vitanova) oppure «non lo podeva trovar- (Trista-no veneto, dei primi del Trecento), anziché nonposso intenderlo, non poteva trovarlo, costrut-to quest'ultimo possibile oggi ma escluso nellamaggior parte dei volgari italiani antichi.

Varie particolarità, comuni a buona parte deivolgari documentati nel Due-Trecento, si osser-vano anche nell'uso dei relativi. Così, il qualepoteva impiegarsi anche come oggetto (<<l'unde' tre pani, li quali portati avea», Boccaccio,Decameron; «letere le quali vuy m'avevé man-dà» 'lettere che voi m'avevate mandato', in unalettera padovana del 1379); che poteva accom-pagnarsi a preposizione (<<E'n quel gran seggioa che tu li occhi tieni», Dante, Paradiso); cuipoteva essere usato anche con valore di oggettodiretto (<<unpicciol ramo cui gran fascio piega»,Petrarca, Rvj) o perfino di soggetto (<<fe' mal cu'me scrise» 'fece male colui che mi scrisse', inun testo veneziano del 1302).

3. Gli articoliPer l'italiano comune e per i dialetti che moder-namente presentano articoli determinati vi ma-schili formati da vocale + consonante (tipo il,el e forme affini) è necessario postulare una faseantica, non sempre attestata, in cui la forma unicadi articolo era quella del tipo lo, lu (come ancoroggi in molti dialetti italiani meridionali). Taleè la situazione dei volgari italiani duecenteschiin genere, nei quali la comparsa di forme comeel, il è preceduta da una fase in cui si nota unaforma asillabica I: si ebbe insomma un passaggiodal tipo «ma lo ricche. al tipo «ma 'l vostro» altipo «ma il savio» .

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II

GUITTONE D'AREZZO, CANZONIERE PALATINOCODICE PALATI NO 418, BIBLIOTECA NAZIONALE CENTRALE DI FIRENZE. FINE XIII SECOLO.

4, Il verbo nell'italiano anticoCaratteristico dell'italiano antico in generale èla possibilità di impiegare il trapassato remotoin frase principale per esprimere l'immediatocompimento o il punto terminale di un'azione:<da giovane cominciò la sua medicina e in brieveanzi il termine l'ebbe condotto a sanità» (Boe-caccio, Decamerony; «Ecco che la notte della vi-ilia de santo Agnilo juor» ionti in Roma» (Cro-nica d'Anonimo romano),

Anche il condizionale presenta usi diversirispetto a quelli che si sarebbero affermati neisecoli seguenti. L'uso di questo modo per espri-mere il futuro nel passato si caratterizza perl'impiego del tempo semplice in luogo di quellocomposto, È il tipo disse che farebbe, equiva-lente all'odierno disse che avrebbe fatto: «disseche andrebbe al padre suo» (Giordano da Pisa),«dissiru chi vulinteri farrianu la sua imbaxata»tRebellamentu. di Sichilia, testo della secondametà del Trecento), Si tratta di un costrutto co-mune a tutte le lingue romanze (eccetto il ro-meno), che resiste a lungo nella lingua letterariaitaliana, trovando riscontro ancora nel Manzoni,di contro all'uso vivo della lingua moderna.

Il gerundio conserva, in italiano antico, unagamma d'impieghi sintattici in generale più am-pia rispetto all' odierna: per esempio, lo si trovaspesso in funzione di participio presente, cioènon co-referente con il soggetto della frase reg-gente, bensì riferito all'oggetto o a un altro com-plemento: «al grande ardore allora udii cantan-

Ancora, in italiano antico l'articolo è impiega-to nel complemento di materia dipendente da unnome articolato: come notava Bruno Migliorini,non si tratta «di una particolarità del solo toscanoantico, come si vede dal ritmo marchigiano di S.Alessio [ ... l, dal poemetto lombardo di Pietro daBarsegapè [ ... ], e da esempi di poeti della scuo-la siciliana». Ecco dunque il tipo «la mi nera del'oro» (Restoro d'Arezzo) accanto al tipo «unoanello d'oro» (Francesco da Barberino). Si tratta- è bene precisarlo - di un uso prevalente piutto-sto che di un costrutto vincolante, come mostragià il dantesco «Le facce tutte avean di fiammaviva e l'ali d'oro» (Paradiso), e gli svariati con-simili esempi petrarcheschi. Il complemento dimateria con l'articolo, documentabile anche nelcastigliano medievale, è divenuto impossibile sianell'italiano, sia nello spagnolo contemporanei.

Differenze tra antico e moderno si osservanoanche nell'assenza dell'articolo determinativonelle varietà medievali in molti contesti nei qua-li è oggi abituale: per esempio, dopo come (ocome a), per cui si veda il boccacciano «biancoe vermiglio com' rosa d'aprile», o lo iacoponi-co <do fa ensanire come cane arrabbiato». Mal'omissione dell 'articolo determinativo era an-che più ampia (molto spesso, per esempio, la siosserva con i possessivi: si pensi al dantesco «dinostra vita»), e si è cristallizzata in molte espres-sioni proverbiali, del tipo a cavai donato non siguarda in bocca, sacco vuoto non sta in piedi,da cosa nasce cosa, eccetera.

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LA CRUSCA PER VOI4

--1I

CI: LA mOSTRA DI LORENZODE MEDIC! MESSA IN RI

MA DA LVIGI DE PVL(;r ANNCl. M . CCCC

LXVIlI.

•••

CANTO PRIMO DELLA PRIMA CANTICA o VEROCOMEDIA DEL DIVI"O POETA FIORENTINO

DANTHE ALEGHIERI ,CAPITOLO PRIMO,

h ahbiall~OrurratonC'n (cumcr.u: llr;it;1 detPc.cu n clmoloddhbrc.;;:r elle C,"ll (1.1 FO

CD 1--,.1C(lam quuo {il lI(wfbct.mnd-.'qu~l\lnobile cc uarta qU,lnlO utile CllCCCI~ca\;,. ecc(rJ!l.o. Qu.:unc,(,acA!cacc.l Lr.lIcuçrc Lh:In::Uu'men: ccqu,leodllc(U ogm uberate ig'gllo. Neglld,c;nul',o da raccre qucntc m.uc. •••u-.;. direi

~~;~ofi~n:.~l~(~(G~~~~~~~~~:~'~~~~fcrfc non hccnuUtb!:C;O:41fldUJ d'Il ICftc l~wmmac.fa er quali Wmitacopl.1 ddln ••.fe delle qua\lc nccenanc rrolCurc n:IOcru 11(.11uetido ch.:Luo:.umcQdu fopr.1rr.odo: atnw!cm::cc 1n1lJluppnc plLllofto lb; o;F'llvrc: Cl dlhédcrc mchccofc er Ir.nimc quclk Icqu.'\hqu'idoben !.lu(tlllonpcTc ne rcnua.cb(a;ula CXfOulloneddlcilo. verremo ••dtlnqu~~ud..1.Ma pnthc. Oitno nen cf{1:~.1ç(tcr~Ji.tune ne di

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fl':~;.~~t~:~;!~L~~~(:G~t~;.~~~uCfgJc non pcccb diffcrenuJdrcre fuu. Ing:m,uprcti n ClCpou.rori diqu~na c.mrica. Irnpere d-e .a;.m.'nl éucnc: (~il reeac ddl.:l uir2h.t!r.llU (cl Icnnc mc.fl.liocdc d~b (cntrnti ••d<!rincrc1e ~I(cr.do lUIn.::l'çtbcJ ncffiUl!ldlffef<nri,l(n"m:traf".llO:rcn:i((-rind!.:imct<lddlauru per che le-ceri tm- Ione !OlmCGdd tempocneuccno (cn~C':ctd.~qlld!(\ "l(C( eh: ne hencr.c:r.a!c rennr pOi:bn·o.lIpcrà.c UC'fJio,;noqll1:Cb .cbc cl I=oer.l pem!loo d :'l'.codd!a "itA pq lanoctcrct bWXiC pdfcnno:Jd nCl.-lI"Cche qu~ftopocm;\ non (i~lltroc.b: l;naui(lOnt chc.g:iapp.mlt dcrnltJo per taquxte h:bIx (ognirc~ ddle cere rl~lluidcfcriptc iquefie tre cc'medie. Di

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g IO MERITAI DI TE MIOSACro Apollo

, . ~d di chio uenni alruofamofo tempio

Br pianti tanto del fuo errremo crolloAccioche a tuoi fuggeél:i anche tia exemplolo Con folerro api e dun erro colloAiuta el fuono che pa piacerri temproAd cantar uerfi del tuo amato lauroSe riricorda gia de bei eri n dauro

Se tirieorda anehor del tempo anticoSe ilbel Hiacynro o Climen mai ripi:lcqucDapoi che del ruo arnor qui canto 6<dicoOnde i1principio della giollra nacque,

DANTE ALiGHIER.1DIVINA COMMEDIA CON COMMENTO DI CR.ISTOFOR.O LANDINO.EDITA A FIR.ENZE DA N ICOLÒ DI LOR.ENZO DI LAMAGNA NEL 1481.

LUIGI PULCILA GIOSTR.A DI LOR.ENZO DE' MEDICi. IN UNA EDIZIONE DEL 1469.

e rema della frase sono allontanati da ampio ma-teriale interposto: «Lancialotto, quand' elli ven-ne forsennato per amore della reina Ginevra, sìandò in su la carretta» (Novellino); ma non sonorari i suoi impieghi anche in altri contesti sintat-tici, nei quali pure non lo si troverebbe in italianomoderno: «Quig qe no ere' morire, sì à moltofaladho» 'quelli che non credono di [dover] mo-rire, sbagliano di grosso' (Uguccione da Lodi).

Tra le preposizioni, merita di essere segnalatol'uso di per come introduttore del complementod'agente o di causa efficiente: «so' quaranta eotto, secondo ch'è posto per li savi» (Restorod'Arezzo), «intanto voce fu per me udita» (Dan-te, Inferno). L'uso ricorda quello del francese(anche moderno) par, ma probabilmente non sitratta di un gallicismo, essendo più verosimilepensare a una sopravvivenza di un uso già atte-stato nel latino.

ciliano, volgarizzamento toscano della fine delTrecento).

Tra le congiunzioni subordinanti, s'incontraspesso la causale introdotta dal tipo con ciò siacosa che (oppure: con ciò sia che, oppure: con ciòfosse cosa che) 'poiché', destinato a tramontarenell'italiano moderno, divenendo anzi un con-trassegno di arcaismo: «conciosiaché dispregio edizamore sia cosa quella che più forte odia core,e pregio e amore che più forte ama» (Guittoned'Arezzo); «conçoseacausa ke li vetrani vegamolte cause, plusor fiade li çoveni ve' plu delivetrani» (Pamphilus volgarizzato, veneziano).

Quanto ai meccanismi della subordinazione,uno dei tratti più caratteristici delle vali età italo-romanze medievali è costituito dalla paraipotas-si, cioè dalla possibilità - oggi tramontata - dicollegare frasi che intrattengono un rapporto disubordinazione con congiunzioni e nessi nor-malmente impiegati per la coordinazione. Il ca-so più frequente è quello in cui si abbia l'iniziocon gerundio «Ma dimorando per uno tempo, sìche T[ristano] potea avere III anni, e allora lore Meliadus sì prese un'altra moglie» (Trista-no Riccardiano). Con l'etichetta di paraipotassirelativa si indicano i casi in cui una frase reg-gente riprende, in forma appunto relativa inveceche autonoma, un referente presentato nella suadipendente anteposta, come nel seguente esem-pio: «Aveva costui un suo figlio d'età di diciottoanni, e dovendo fra l'altre una mattina andarea[l] palagio del podestà per opporre a un piato, eavendo dato a questo suo figliuolo certe carte eche andasse innanzi con esse ed aspettasselo dallato della badia di Firenze; il quale, ubbidiendo

do» (Dante, Purgatorio), «Havendu [voi] sem-pri mercì di li nostri persuni [... ] ricomandàmunialla vostra signuria» (Rebellamentu di Sichiliai.

Il gerundio può inoltre essere coordinato conun verbo di modo finito, in frasi come: «avendodisposto di fare una notabile e maravigliosa festain Verona, e a quella molta gente e di varie partifosse venuta» (Boccaccio, Decameron); o anchecon un infinito, in costruzioni come: «ne sareb-be gran biasimo [ ... ] veggendo la gente che noil'avessimo ricevuto prima, e ora [ ... ] così subi-tamente di casa nostra e infermo a morte vederlomandar fuori» (Boccaccio, Decamerony.

D'altra parte, l'infinito può essere coordi-nato con una subordinata esplicita: «Adunque,perché venne a morte? Perché fossimo a tantobeneficio [ ... ] più ferventi, e muoversi ad amoreverso Lui» (Franco Sacchetti, Sermone XLVIII).

5. Avverbi e altri invariabiliGli avverbi in -mente sono ancora trattati comelocuzioni bimembri, ossia -mente non ha ancoralo statuto di mero elemento morfologico ma èusato come un elemento lessicale autonomo (èl'ablativo latino mente 'con animo', 'con atteg-giamento'), come mostra la possibilità, comuneai volgari di tutta l'Italia medievale, di formarecoppie avverbiali con un solo -mente (come èancora possibile in spagnolo): «rispuose lorovillana ed aspramente» (Novellino); «che po-tessino vivere onorata e ientilernente» (Cronicad'Anonimo romano).

Frequente è, in italiano antico, l'uso del cosid-detto sì rafforzativo, ossia marcatore di continu-ità tematica: lo si trova soprattutto quando tema

6. Sintassi del periodoUna certa frequenza - destinata ad aumentareulteriormente fino al secolo XV - hanno nellalingua antica le frasi dichiarative prive di com-plementatore (cioè dell'elemento introduttoredella completiva, che): «aspetando la elezion delpapa se fesse» (Milione veneto); «el papa dis-se volentieri le serverebbe» (Leggenda di mes-ser Giovanni da Procida). Lo stesso fenomenocoinvolge anche il che delle relative: «chonside-rando quello lui podeva far» (ancora il Milioneveneto); «Isdegniarno, o più tosto indegniamo,noi indegni membri di sofferire quelle cosegli appostoli, nostro corpo, la Chiesa e Cristo,nostro capo, non fuggiro ... ?» (Aventuroso ci-

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LA CRUSCA PER VOI 5

al padre come detto gli aveva, andò nel dettoluogo» (Sacchetti, Le trecento novelle).

Con i fenomeni che abbiamo fin qui elencatonon abbiamo inteso esaurire, ovviamente, il ca-talogo dei tratti morfosintattici che distinguonol'italiano antico da quello contemporaneo, cheper molti rispetti si distingue da quelle varietà.Ma è certo che tale distanza si configura ben di-versamente da quella che separa la fase antica ela fase moderna di altre lingue romanze: anchein questa variabilità delle coordinate geografi-che e storiche, cui pure s'accompagnano robustitratti di continuità, sta una specificità della storialinguistica italiana.

7. Questioni di lessicoMeno caratterizzante, ma gràvido di conseguen-ze per la lettura e la comprensione dei testi anti-chi, è lo scarto esistente tra il patrimonio lessica-le medievale e quello odierno, e tra il significatoche alcuni termini, anche di uso comune, aveva-no in antico rispetto ad oggi.

È famosa la pagina di Gianfranco Contini incui si mostra come nel verso dantesco «Tantogentile e tanto onesta pare», l'aggettivo genti-le non significa lo stesso che in italiano odier-no (vale invece 'nobile', termine del linguaggiocortese), e il simile vale per onesta (sinonimodel precedente) e per pare ('appare', 'si mo-stra'). In quel caso, però, siamo di fronte a untesto poetico, e ancora in età moderna è normaleche il significato delle parole conosca uno scartotra l'uso letterario - e poetico in particolare - equello della lingua comune.

Così, può essere utile ricordare che una delledifferenze fondamentali tra italiano antico e ita-liano moderno consiste nel di verso significato onella diversa distribuzione di termini estranei al-la lingua poetica e letteraria, ossia propri dell'u-so consueto.

In un bel lavoro in corso di stampa, ElisaGuadagnini ha esemplificato questo fenome-no per il termine inizio, che fa parte oggi dellessico di base dell' italiano, tanto da essere inmolti casi l'antonimo (ossia il contrario) nonsostituibile dell' altrettanto comune termine fine(si dice dall 'inizio alla fine, con formula ormaicristallizzata). Orbene, in italiano antico il ter-mine inizio non è quasi documentato, e anchedi fronte alla parola initium in testi latini, i vol-garizzatori due-trecenteschi ricorrevano di soli-to ad altri corrispondenti (per esempio all'oggiestinto cominciamentoi. Segno che inizio è unlatinisrno che solo più tardi fece fortuna, tantoda installarsi nel lessico di uso quotidiano permilioni di parlanti.

Un esempio diverso, ma altrettanto suggesti-vo, è quello di parlamento, termine che nell'i-taliano e nelle altre lingue europee d'oggi faunivoco riferimento a un'istituzione politica,mentre nei volgari antichi italiani ha ancora ilsignificato astratto di 'conversazione', 'discor-so' (l'azione espressa dal verbo parlare, insom-ma): "Frate, sì m'hai sbagutito co lo tuo bonparlamento / che nel cor sì so ferito d'un divinaccendimento ... » (Iacopone).

Infine, tra i moltissimi altri esempi possibili,noia: come ha ben illustrato Luca Serianni, ilsignificato normale di questo termine in italianoantico non indica 'assenza di stimoli, gradevolio spiacevoli che siano', come nella lingua d'og-gi, bensì 'presenza di situazioni dolorose, mole-

PIETRO BEMBO (VENEZIA 1470 - ROMA 1547)IN UN RITRATTO DI TIZIANO VECELLIO

ste' (come ancora in alcuni dialetti italiani, peresempio in Toscana). Con le parole di Serianni,«lo studente può anche provar noia leggendoDante, ma quando il poeta parla di noia alludeal mondo infernale, in cui si soffre eternamente,però non si sbadiglia».

Riferimenti bibliograficiPer le citazioni e gli autori richiamati nei paragrafi cheprecedono, si vedano: Friedrich Diez, Grammatik derromanischen Sprachen, Band I, Bonn, Weber, 1836,p. 62 (mia la traduzione del passo); Bruno Migliorini,Saggi linguistici, Firenze, Le Monnier, 1957, p. 157;Gianfranco Contini, Un 'idea di Dante, Torino, Einau-di, 1970, pp. 23-24; Elisa Guadagnini, Lessicografia,

filologia e corpora digitali: qualche considerazionedalla parte dell'Ov'I, in «Zeitschrift fur romanischePhilologie», in stampa; Luca Serianni, L'ora di ita-liano. Scuola e materie umanistiche, Roma-Bari, La-terza, 2010, p. 93. Uno dei paragrafi attinge fin neltitolo, e largamente nei casi e negli esempi discussi, aFranca Brambilla Ageno, Il verbo nell'italiano anti-co, Milano-Napoli, Ricciardi. 1964.

Per altri aspetti abbiamo tenuto presenti - senza ci-tarli esplicitamente - vari lavori che negli ultimi annihanno fatto il punto sulla lingua o sulle idee lingui-stiche di singoli autori. Sull' invenzione dantesca delconcetto di lingua italiana, si veda ora Mirko Tavoni,Qualche idea su Dante, Bologna, il Mulino, 2015; sul-la lingua delle Tre Corone, Giuseppe Patota, La gran-de bellezza dell'italiano. Dante, Petrarca, Boccaccio,Roma-Bari, Laterza. 2015; su Boccaccio in particola-re. dal quale provengono numerosi degli esempi cita-ti, Paola Marmi, La lingua di Boccaccia. Bologna, ilMulino, 2016 (della stessa autrice è anche La linguadi Dame. ivi, 2013). Alcuni delle fatti specie e degliesempi richiamati sono attinti alla Sintassi dell'italia-no antico. La prosa del Duecento e del Trecento, acura di Maurizio Dardano, Roma, Carocci, 2012.

Per le citazioni dagli autori antichi, in generalenon ho indicato l'edizione di provenienza (si tratta,salvo diversa indicazione, di esempi recuperabili nelcorpus dell'ovr, www.vocabolario.org). Converrà tut-tavia precisare che per Le trecento novelle di Sacchet-ti ho seguito la recente, e per molti versi innovativa,edizione a cura di Michelangelo Zaccarello, Firenze,Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Fran-ceschini, 2014.

Lorenzo Tomasin

L'ITALIANOCOME LINGUA NUOVA.

ASPETTI DEL RINNOVAMENTOLINGUISTICO DALL'ANTICRUSCA

DI PAOLO BENI (I6I2) ALL'ETÀMANZONIANA

L La "scoperta" dell'italiano antico: alcuniesempi di continuità e discontinuità

La crisi dell'italiano come lingua esclusivamen-te letteraria inizia nel XVII secolo e si comple-ta nel corso del secolo successivo. In realtà laparola "crisi" non va interpretata in accezionenegativa, ma in quella di segnale di svolta, mo-mento di passaggio da una fase precedente auna nuova, contrassegnata da specifici tratti lin-guistici, spesso in netta dissintonia col passato.Lungo tale arco cronologico entra in discussionel'intera tradizione linguistica fondata su un ca-none ristretto di grandi autori (in modo partico-lare trecentisti, sui quali si era modellata la codi-ficazione grammaticale del secolo precedente),così come inizia a essere avvertito come anacro-nistico riferirsi a usi linguistici ormai sorpassati,o non diffusi fuori della Toscana (che in questoperiodo perde il suo ruolo di regione guida dellaciviltà artistica e linguistico-letteraria italiana).Proprio a quest'altezza cronologica prende avvioun processo deciso e costante di "invecchiamen-to" della lingua con la quale si erano espressigli autori più importanti della nostra tradizioneletteraria. Ciò comporta che il disagio che provaoggi uno studente, ma anche una persona colta,nel leggere un testo di un grande autore trecen-teseo (un canto della Commedia, una novelladel Decamerony ha precise motivazioni lingui-stiche, che prescindono dall' ornato retorico e daaltri aspetti di strutturazione generale (un dato difatto già noto a un acutissimo fìlologo-Iinguìstafiorentino del Cinquecento come Vincenzo Bor-ghini, su cui torneremo).

Ho parlato all' inizio di dissintonia col passa-to, ma occorre distinguere. Le regole gramma-ticali dell'italiano scritto codificate tra il 1525(Prose della volgar lingua di Pietro Bembo) e il1612 (prima impressione del Vocabolario degliAccademici della Crusca) non si dissolvono, an-zi proprio nel periodo qui sotto osservazione siconsolidano e si stabilizzano. Specie nel settoredella fonetica e della morfologia (assieme allasintassi della frase, il "nocciolo duro" della lin-gua), dove maggiore era stato lo sforzo norma-tivo delle grammatiche cinquecentesche, si assi-ste a una specie di "congelamento" della normascritta, con regole che continueranno a essereprescritte e generalmente accolte dalla collet-tività di scriventi colti (è questo in pratica, dalpunto di vista fonornortologico, l'italiano pre-manzoniano di un autore come Leopardi). Unruolo molto attivo nel confermare e diffonderetale modello sarà svolto dalla Chiesa post-tri-dentina, e più in generale dall'insegnamentoscolastico, esclusivamente affidato a insegnan-ti ecclesiastici fino alla seconda metà del XIXsecolo (seminari, collegi degli ordini religiosi,scuole parrocchiali, istruttori privati presso fa-miglie nobili e altoborghesi). Studi recenti sulladiffusione dell' alfabetizzazione presso scriventinon toscani, anche con livello d'istruzione me-dio-basso. confermano che la Chiesa post-con-

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6 LA CRUSCA PER VOI

If DI MESSER PIETRO BEMBO A MONSI~ GNORE MESSER GIVLIO CARDINALEJ DE MEDICI DELLA VOLGAR LINGV A

PRIMO LIBRO.

E la natura , l-Aonhgnor M, ..Giulio, delle mondanes cofeproducuricc,er de Cuoi doni Iopracfle dlpenlatri

ce ,11 come ha la voce a glihuomini et la difpofirione aparlar data; col1 anchora data loro hauclle neceflita di

pnrlarc d'unamanicra medclmra in rutti.ella Ienza dubbio di moltatarica lccmati n' baurebbe et alleuiati , che ci Iopralta, Conciol1a cofa che a quelli.che ad altre regioni er ad altre genti paffar cercano;che Iono Icmprc et in ogni parte molti: non conuerrebbe ,che pc,intendere eifi gliahri) et per ~ffere da I~!?inrèti, ~on !ungo Iìudionuoue lingue apprenddfero~:Anzi lì come la uoce e a cialcun popolo quella !1:ef{a;coli anchora le parole) che la uoce forma, quelle rnedehme in rutri eflèndo ) ageuole farebbe a ciakuno lo vbr COlI

le Ilranicre nationi s ilche le piu uolre piu per la varietadd parlare,che per altro, Cl fancoìo cc malageuole: , come fì uede , Perciochcqual bi[ogno domeftico , o qual ciuile commodira della u.ita puocJfcre a colui prcfl:a; che (porre non la fa:!: coloro,J,,·cui ella h c1ce:nceuere in aula; che lia da lor conolcimo quello.che eflo nccrcaeSenza che I~on [olo il pu,q.moltrarc ad altrui cio, che tu addo/rnandi,t' Cl di rnelhero affin~he tu il con[egua ! ma oltre accio auchol'a il poterlo acconciameme et con bello et grario{o parlar rnoflra/re guanee uolre e' cagione; che un' huomo da un' altr'huomo,o auchora da molti huomini ottien quello, che non s'otterrebbe altramente: Ne [olamcnre quella fatica, che io dico, del parlare; mavn'alrra anchora uié di quefl:amaggiore farebbe da noi lonrana.Iepiuche una lingua non foffc a tutti glihuomini:etcioel quella delle Icnnure : laquale perclo che a pm largo et pm dureuole li;ne 11piglia per noi; è ~i rncfhero che: da noi 11faccia enandio piuperfettamente: conciohacola che cialcun , chefcriue, d' cffcr letto dìuderadalle genti 110n pur) che uiuono i. ma anchora che uiueranz

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PIETRO BEMBO - PRIMO LIBRO DI 'PROSE DELLA VOLGAR LINGUA'EDITO A VENEZIA NEL 1525.

ciliare è stata un importante vettore di italianiz-zazione: attraverso le sue istituzioni si è iniziatoun costante processo attraverso cui il toscano dimatrice bembiana è diventato, pur ammettendonotevoli oscillazioni del repertorio grammatica-le (per esempio nella l" perso del verbo vedere:io vedo, veggo, veggio), la lingua della comuni-cazione scritta ai diversi livelli della società. Etale processo di stabilizzazione fonomorfologicasu base toscano-letteraria sarà ribadito nella va-sta produzione grammaticale post-cinquecente-sca, che con alcune oscillazioni sintomatiche (ri-guardanti forme di alta disponibilità e frequen-za, come il verbo appena citato) assesterà il tipofonetico e morfologico su paradigrni costanti diitalografia - l'italiano pubblico degli usi coltidelle società di Antico regime - rimasti pres-soché invariati fino all'Ottocento e alla riformamanzoniana (per questi repertori grammaticali esu altri aspetti dell'italiano premanzoniano rin-vio.al terzo capitolo della mia Storia dell'italia-no. La lingua moderna e contemporanea, citatain Bibliografia, sez. a).

Torniamo al punto da cui siamo partiti. Aiprimi del Seicento il lessico arcaizzante o troppo

marcato regionalmente dei grandi autori toscaniinizia a essere giudicato non idoneo, inappro-priato per esprimersi "modernamente". I mag-giori esponenti della corrente "modernista" (Be-ni, Boccalini, Tassoni, Lancellotti, ecc.) sono fa-vorevoli a un allargamento del vocabolario, chenon può contemplare solo voci non più usate daduecento anni, omettendo quelle in corso, vivee attuali. Le critiche possono partire dall' internodella stessa Crusca. Il modenese Alessandro Tas-soni, accademico egli stesso, nelle sue Postillealla prima Crusca (tenute presenti dagli stessiaccademici, che accolsero alcuni suggerimenti)censisce e censura: a) parole arcaiche non piùutilizzabili negli usi correnti: bazzesco 'sciocco',colla 'corda', ecc.; b) parole di livello sociolin-guistico in appropriato (socionimi di "rango ple-beo"): coglia 'rivestimento cutaneo dei testicoli',dibottamento 'dibattimento'; c) parole esclusiva-mente fiorentine, non diffuse nelle altre regioni(geosinonimi): «melone per tutta Italia è l'istes-so che popone in Firenze»; e) varianti di generegrammaticale: mortadello «<mortadella si dice, enon mortadello, e l'autorità del Boccaccio nonvale fuori della sua lingua»). A queste aggiunge

un gruppo di voci che avevano modificato il pro-prio significato in accordo con modi di pensare eistituzioni tipicamente seicenteschi (neologismisemantici): bizzarro (vnon sempre significa stiz-zoso e iracondo, ma alle volte capriccioso congrazia»), comico 'attore comico' «<si riferiscead altro che a scrittor di comedie, onde diciamocomico all'istrione di comedia»), classe 'corsoscolastico' «<Oggi s'usa per ischiera, per ordinedi persone, onde si dice prima e seconda classedi grammatica»), seminario 'scuola per la forma-zione del clero secolare' «<oggi è titolo di scuoladi fanciulli»), ecc. Ridurre tali osservazioni nelquadro di una sterile polemica antifiorentinadi matrice letteraria ("questione della lingua"),com'è stato fatto finora, non è corretto. In real-tà si tratta di rilievi puntuali che testimonianoa caldo fenomeni sintomatici di cambiamentolinguistico. Considerato che la codificazione cin-quecentesca aveva stabilizzato dei paradigmi fo-nomorfologici in uso presso gli autori fiorentinidel sec. XIV, per cui (cito un esempio lampante)le grammatiche post-cinquecentesche continue-ranno a prescrivere per la l' perso dell'imperfettoindicativo del verbo essere il tipo io era, l'unicaforma impiegata da Dante, Petrarca e Boccac-cio, l'impressione che si può avere da una storialinguistica che si fondi su tali settori nevralgi-ci è quella di uno sviluppo "bloccato", di unacontinuità tra la fase antica medievale e quellapiù recente e modema. La prospettiva cambiaradicalmente se al parametro fonornorfologicosi sostituisce quello sintattico, che esibisce deifenomeni di discontinuità altrettanto rilevanti diquelli del settore lessico-semantico su cui si erasoffermato Tassoni.

Numerosi rilievi sulla sintassi dell'operamaggiore del Boccaccio si rintracciano nelle An-notationi e discorsi sopra alcuni luoghi del De-cameron (1573) del filologo fiorentino Vincen-zo Borghini. Scopo del Borghini è confrontarealcuni passi del testo decameroniano con gli usicorrenti del fiorentino trecentesco, in modo dapoter stabilire una lezione filologicamente e lin-guisticamente soddisfacente, senza sovrapporreal dettato antico la competenza grammaticaledel presente, errore in cui erano incorsi fino aquel momento gli editori del Decameron. NellaLettera intorno a' manoscritti antichi Borghinisottolinea (cosa per niente scontata in quegli an-ni) che Dante, Petrarca e Boccaccio «parlarononel tempo loro secondo l'uso del tempo loro», eaggiunge (cosa per niente scontata anche ai gior-ni nostri): «Né si ha da intendere [... ) per le vocisemplici solamente, ma per i modi del dire anco-ra, et per le construttioni et altre proprietà dellalingua: la quale consiste nelle voci, ma non soloin queste, ché l'ha anche il suo filo; né vuole ilfilo solamente, ma il tessuto ancora suo proprio,et speciale». Riprendendo da un'altra angolazio-ne il discorso avviato da Borghini sulla sintassi("filo della lingua") e la testualità complessiva(il "tessuto") del capolavoro boccacciano, Pao-lo Beni nell'Anticrusca (1612) dedica notevolespazio ai fenomeni stilistico-sintattici, con os-servazioni puntuali di stampo linguistico (chepossono appoggiarsi a una buona conoscenzadella sintassi delle due lingue classiche) tutt'al-tro che improvvisate. Più di un terzo della primaparte del suo trattato (l'unica pubblicata in vi-ta) riguarda proprio la sintassi di collegamentointerfrasale del testo campione. Beni individua

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LA CRUSCA PER VOI 7

II

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CASTIGLIONE.

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dominio li pofla imprimere, ne alrroueirnprcflo ucnderc quello libro

del Corrcgiano per·x· anni• lort.o lepone in erro ~.~

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\:::~jBALDASSARRE CASTIGLIONE - 'I L CORTEGIANO'

COLOPHON DELLA PRIMA EDIZIONE, VENEZIA. 1528.GIAN GIORGIO TRISSINO - 'IL CASTELLANO'

FRONTESPIZIO DELLA PRIMA EDIZIONE. VICENZA, 1529.

infatti nel settore cruciale dell' organizzazionedella frase complessa ("testura delle parole")differenze strutturali profonde tra il modellomedievale e la nuova maniera di costruire il pe-riodo impostasi a partire dalla prosa colta d'etàrinascimentale, che funge da punto di riferimen-to contrastivo delle sue osservazioni sintattiche,

Qualche esempio. Prendiamo alcuni rilieviche interessano dei veri e propri cortocircuitidel collegamento interfrasale (per i quali evite-rei, fin dove è possibile, il termine troppo gene-rico di "anacoluti"), sui quali si sofferma conl'ausilio della linguistica scientifica aggiornatala più recente descrizione della struttura dellafrase del fiorentino di fine Due-inizio Trecento,la Grammatica dell'italiano antico, a cura diLorenzo Renzi e Giampaolo Salvi (vedi Biblio-grafia, sez. a). Beni osserva che spesso Boccac-cio non razionalizza i legami interfrasali. Tra i«mal regolati periodi», dove la «testura delleparole esce di regola», rileva alcuni fenomenitipici della sintassi medievale, per esempio l'u-so del complementatore che per introdurre unacompletiva con l'infinito:

Ma chi di grati a saprà ritrar conveniente e rego-lato senso da queste parole? «veggiamo che, poich'ibuoi alcuna parte del giorno hanno faticato sotto ilgiogo ristretti. quegli essere del giogo allevati» [Dee.VIII, Conc!.]: certamente se havesse detto «veggiamo

i buoi, poiché alcuna parte del giorno hanno faticatosotto il giogo ristretti, esser dal giogo allevati», il sen-so riuscirebbe piano e perfetto, ma nella guisa predet-ta a chi ha punto di giuditio, in niun modo; massimeche, oltre abbondarvi un che e di più quegli ond'ilsenso poi resta corrotto, la construttione in somma ètale: «veggiamo ehe esser dal giogo allevati».

trecentesco. In pratica lo "traduce" in una sintas-si più lineare e moderna: ossia elimina i corto-circuiti sintattici (elementi della frase gramma-ticalmente non accordati), introduce (anche ex

novo) verbi di modo finito al posto di gerundi oinfiniti, infine "serializza" le eventuali sfilze disubordinate circostanziali o di incisi parenteticidiminuendone la loro autonomia dalla reggente,riducendo così l'estensione dell'unità periodo(frase complessa) a poche frasi ben saldate e coe-se. In sintesi, si può dire che ci troviamo di frontea veri e propri "test di riscrittura". Soffermiamo-ci su uno di questi esperimenti di traduzione "daun italiano all'altro", quello riguardante l'iniziodella terza novella della prima giornata:

Rientra nella stessa tipologia l'osservazionesull'impiego boccacciano della congiunzionecopulativa e che lega in un rapporto di coordina-zione "forte" una subordinata prolettica a verbodi modo infinito (gerundio o participio) e unaprincipale con verbo all'indicativo (la cosiddetta"parai potassi "):

Ma di grati a, sentasi quando così ragiona: «e man-giando egli lietamente e quel luogo solitario giovan-doli, e nel giardino entrarono due giovanette d'etàforse di quindici anni l'una» [Dee. X, 6, Il]. Hor quiper certo, se non si leva quell' e ultimo, il senso restatuttavia sospeso et imperfetto.

Il Saladino, il valor del quale fu tanto, che nonsolamente di picciol huomo il fé di Babilonia Solda-no, ma ancora molte vittorie sopra li Re Saracini eChristiani gli fece havere; havendo in diverse guerree in grandissime sue magnificenze speso tutto il suoThesoro, e per alcuno accidente sopravenutogli, biso-gnandoli una buona quantità di danari, né veggendodonde così prestamente, come gli bisognavano, havergli potesse, gli venne a memoria un ricco Giudeo, ilcui nome era Melchisedech, il quale prestava ad usu-ra in Alessandria: e pensossi costui haver da poterloservire quando volesse [Dee. I, 3, 6-7].

Nei due brani precedenti il seicentista limita laristrutturazione dei legami interfrasali alla sem-plice cancellazione di elementi funzionali ri-dondanti (complementatori, congiunzioni copu-lati ve, ecc.) del testo decarneroniano. In alcunicasi, tuttavia, Beni ristruttura con più decisionela componente sin tattica, fino ad arrivare a unariscrittura complessiva di interi passi del modello

Il brano si presenta sotto forma di un lungo pe-riodo introdotto da un soggetto logico-sintatti-

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8 LA CRUSCA PER VOI

co dislocato all'inizio e grammaticalmente nonaccordato col verbo impersonale della reggente(<<glivenne a mernoria») costrutto noto come"tema sospeso" (o nominativus pendensi. Benirifonnula l'intera struttura periodale e la scindein quattro frasi autonome. Ciascuna frase condi-vide un soggetto sin tattico identico, il Saladino,che svolge anche il ruolo di centro tematico deisingoli enunciati (ho inserito l'iniziale maiusco-la dopo il "mezzopunto" o "punto mobile" chechiude la penultima frase, una pausa intermediatra-il punto fermo e il punto e virgola):

Il Saladino fu di tanto valore, che non solamentedi picciol huomo divenne Soldano di Babilonia, maancora e de' Saracini e de' Christiani riportò moltevittorie. Hor questi spese in diverse guerre e in gran-dissime magnificenze largo Thesoro: dimodo che ve-nendoli per alcun accidente bisogno di buona quantitàdi danari, si trovò in gran pensiero, non veggendo eglidonde così prestamente potesse haverla. Pur ['final-mente'] venendoli a memoria un ricco Giudeo nomi-nato Melchisedec il quale in Alessandria prestava adusura, pensossi che costui, volendo, haverebbe potutoservirlo.

Il risultato raggiunto è una nuova unità testualedove la componente sintattica, linearizzata e pa-ratattizzata, contribuisce in maniera decisiva arendere esplicito e logicamente perspicuo il con-tenuto dell'enunciato. La segmentazione dellasintassi polifrastica del testo modello in unitàminori coordinate facilita la comprensione e laleggibilità del testo di arrivo: Beni arriva così aottenere un testo nuovo con regole di costruzio-ne grammaticale non sovrapponibili al testo dipartenza, perfettamente in sintonia con la sen-sibilità linguistica di un lettore dei nostri giorni.

2. Incremento e trasformazione delrepertorio lessicale: i prestiti non adattati

Anche nel settore lessicale, in sin toni a con gliaspetti sintattici, si conferma il carattere moder-no e innovativo dell' italiano nuovo post-rinasci-mentale. La circolazione delle idee, avviata suscala europea nel corso del XVII secolo e in-crementata nel Settecento illurninista, interessamolteplici campi del sapere, dalle novità dellescienze esatte al diritto, all' economia, all' inte-resse generalizzato verso tutto ciò che è esoti-co, diverso, non legato a schemi convenzionalio tradizionali. Piccolo ma significativo indiziodi questa nuova sensibilità cosmopolita è rap-presentato dall'uso di termini stranieri trascrittinella loro forma originale, cioè un tipo di presti-to integrale che aveva esordito sporadicamentenelle relazioni dei viaggiatori del Cinquecento(a volte mediante un filtro rappresentato da una"lingua intermediaria", spagnolo e portoghese),ma che solo nel corso del Seicento metterà salderadici nell'uso comune di scriventi colti, spessocon esperienze di lunghi soggiorni all'estero.Nella maggioranza dei casi si tratta della cita-zione diretta di un oggetto o un'usanza esotica,spesso accompagnata da una glossa esplicativa:«Si chiamano queste barche bazaras e patuas esi vogano alla galeotta» (Cesare Federici, Viag-gio nell'India orientale, 1587); «quivi dentro sinegoziano grandissimi trafichi di muschio, bel-zuin ['incenso di Giava'] e gioie diverse» e «tor-nò a far dette riverenze da essi chiamate rombee;e subito che il Re gli vidde, un naigiran, che

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PIERFRANCESCO G IAMBULLARIREGOLE DELLA LINGUA FIORENTINA.

FIRENZE. 1551-52.

vuol dir signor della parola, pigliò gli smeral-di» (Gasparo Balbi, Viaggio dell'Indie orientali,1590), ecc.

Se si escludono gli esotismi di carattere oc-casionale dei viaggiatori, i prestiti integralipost-cinquecenteschi sono per la maggior par-te assunti dal francese, come riflesso dell'ege-monia culturale della Francia del grand siècle,ma non mancano citazioni dirette di parole osintagrni inglesi o spagnoli, a volte con grafiediverse da quelle che poi s'imporranno. Eccoqualche esempio, attinto dallo studio specificodi Andrea Dardi (vedi Bibliografia, sez. b): «da-to il Rendevous ['luogo di riunione'] alle truppeda lui raccolte nel contorno Laon» (GaleazzoGualdo Priorato, 1655); «il comandante mandòun Canot ['piccola imbarcazione'] a riconoscerla fecondità di questo luogo» (Gian Battista Na-zari, 1672); «l'istesse piastrellette si fanno dicotogne, di persiche, di framboise [Tamponi"]e d'ogn'altro frutto» (Lorenzo Magalotti, 1677);«me ne prometto sul fondamento des avancesfatterni da lui medesimo tre anni sono a Pisa»(Id., 1692); «immaginatevi les boutades d'unuomo» (Id., 1693); «che non avrete voi detto ditouchant, di charmant e di francese in quella de-scrizione?» (Lodovico Antonio Muratori, 1698);«spiriti tam presumidos [tanto presuntuosi'],lasciatemelo dire in Spagnuolo, che in Italianonon ho vocabolo che dica tanto, in autorizargli»(Magalotti, s.d.); «il sig. Averardo ha detto tantoin lode dell'aria di questo paese [l'Inghilterra],che più non è stato detto dai nostri cokneis [pl.cockneys 'nativi Iondinesi ']» (Id., s.d.).

L'importanza di tali nuove presenze lessicali(il fiorentino antico e l'italiano rinascimentaledi tipo toscano adattavano sistematicamente ilprestito lessicale alla loro propria struttura fo-noprosodica e rnorfologica, da qualunque linguaprovenisse) si farà avvertire soprattutto nell'ita-liano contemporaneo, ma la tendenza non è re-cente. Secondo i dati statistici offerti dallo stu-dio di Dardi, le percentuali dei prestiti integrali

dal francese passano dal 7% nel Seicento al 17%nel Settecento e al 25% nell'Ottocento; all'in-verso, gli adattamenti, che sfiorano il 30% nelXVII secolo, si riducono drasticamente al 10%nell'Ottocento, secondo una linea di tendenzaprogressiva che culmina nell'italiano di oggi,dove gli adattamenti di parole straniere sonoquasi del tutto scomparsi, a favore del prestitointegrale o del calco.

Questo fenomeno, che segna un importantetratto di discontinuità nella storia della linguacomune, merita una maggiore attenzione diquella comunemente riservatagli, anche daglispecialisti. Nella sistemazione (adattamento) onon sistemazione (prestito integrale) del pre-stito nella lingua ricevente, dopo un processodi acclimatamento che può essere più o menoesteso nel tempo e avere regole in parte diver-se da quelle della citazione occasionale di pa-role straniere nei resoconti dei viaggiatori (do-ve in molti casi il riferimento diretto al nomestraniero di un oggetto o di un'usanza esoticaè sfruttato per tratteggiare aspetti di color lo-cale), entra in gioco una regola universalmen-te valida, non limitata all'italiano. Si tratta del"fattore di riconoscimento": cioè la parola vie-ne adattata in condizioni normali alle strutturesillabiche più ricorrenti nella lingua di arrivo.Nell'italiano di tipo fiorentino (quello codificatonel Cinquecento e iniziato a essere usato comelingua comune prevalentemente scritta in tuttele regioni) le strutture sillabiche più ricorrentiin fine parola non prevedono gruppi di suoniconsonantici (C o CC), come invece accade inmolte altre lingue (è un'eccezione apparente ilcaso di parole terminanti in consonanti liquideo nasali, dette sonanti, sempre realizzate in le-gamento, o fonosintassi, con altre parole a cui siappoggiano: con dolore, dovei fare, mal di ma-re, andiatti via, ecc.). La sequenza più ricorrentenella sillaba finale è rappresentata da una o piùconsonanti (di cui una deve essere una sonante)seguite da vocale (-CV, -CCV): ca-ro, can-to.gat-LQ, pa-dre, ecc. Anche all'interno di parolaalcuni nessi consonantici presenti nei forestieri-smi, latinisrni e grecismi inclusi ("gruppi anor-ganici" quali per esempio -fs-, -pt-, -ps-, ecc.),venivano "normalizzati" riadattandoli per assi-milazione alle sequenze fonematiche -CC- piùconsuete, È questo "fattore di riconoscimento"che ha agito per secoli veicolando e integrandonella lingua comune parole correnti (nelle qualisi è perduta la consapevolezza della loro originestraniera) come giardino (fr. jardini, mangiare(fr. mangeri, bistecca (ingl. beefsteaki, ecc. Nelcaso di assenza del "fattore di riconoscimento",la lingua ricevente può scegliere di tradurre laparola straniera con una forma sostitutiva (in-gl. railway > il. strada ferrata, fr. voie ferrée,chemin de feri, oppure calcarla nei suoi singolicomponenti, tradotti uno per uno (ingl. railway> it. ferrovia). Questo tipo di riconoscimentonon si limita a veicolare (o non veicolare) parolestraniere nella lingua di arrivo, ma è fondamen-tale anche per trasferire da una lingua all'altra ilsignificato di una parola immediatamente "rico-nosciuta", specie se condivide una stessa baseetimologica greca o latina (in realtà, in casi delgenere si aggira l'ostacolo del "fattore di ricono-scimento", perché la parola è già presente, conun significato diverso, nel repertorio lessicaledella lingua ospite): per esempio fr. modo phar-

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LA CRUSCA PER VOI 9

macie 'luogo dove si conservano e vendono ifarmaci' > it. farmacia 'tecnica di preparazionedei farmaci' (lat. med. pharmaciay > it. modo'luogo dove si conservano e vendono i farmaci'C'calco semantico" sul fr. mod.).

La tendenza dell'italiano di oggi, condivisadalla maggior parte delle lingue di cultura (e giàin corso negli ultimi due secoli, come abbiamovisto a proposito dei francesismi), è quella dinon mettere più in moto il "fattore di ricono-scimento" (aggirato mediante calchi semantici:per esempio realirrare non nel significato tra-dizionale di 'effettuare', ma in quello di 'ren-dersi conto di qualcosa', modellato sull'ingl. torealize), e dunque di non adattare alle strutturefonoprosodiche della lingua ricevente le parolestraniere con nessi anorganici e finali consonan-tiche, pronunciate nell'uso colto con le stessesequenze della lingua di partenza. Le ragioni ditale incremento esponenziale dei forestierismiprivi di adattamento vanno cercate nel numeroelevatissimo dei prestiti in ingresso (molto piùalto di quello dichiarato dalle statistiche deglispecialisti, che probabilmente non tengono con-to del traffico di dati circolanti in rete), che haesteso l'assenza del "fattore di riconoscimento"a quelle parole che erano "riconoscibili" e po-tenzialmente integrabili. A ciò ha contribuito lamigliore conoscenza (anche approssimativa eindiretta) della grafia ma anche della pronun-cia delle parole straniere (cosa diversa dallaconoscenza e dall'uso completo di una linguastraniera), di solito appresa dalla radio e dallatelevisione, che ha rafforzato l'impiego, sia pu-re sporadico e occasionale, di prestiti forniti disequenze di suoni diverse da quelle ricorrenti initaliano (nella sua varietà fiorentina e centrorne-ridio naIe). La mia interpretazione complessivadi tale fenomeno è decisamente in controten-denza rispetto alla communis opinio sull'inva-sione incontrollata degli anglicismi del mondoglobalizzato: visto che l'accoglimento cospi-cuo di parole straniere genera (o può genera-re) meccanismi di ristrutturazione morfologica(si pensi alla nuova classe dei femminili in -i,tipo tesi, ipotesi, prafrasi, ecc. formatasi a par-tire dal Cinquecento. a seguito del forte influs-so dei grecismi internazionali del vocabolariointellettuale), credo infatti che proprio il "nonriconoscimento" generalizzato a tutte le parolestraniere in entrata, non integrabili ed eventual-mente integrabili, sia il mezzo più economicoadottato dalla lingua ricevente per "impacchet-tare" i forestierismi senza mettere in moto deimeccanismi troppo rapidi di cambiamento lin-guistico, che andrebbero a incidere sulla stes-sa capacità d'intercomprensione tra parlantidi generazioni diverse (per alcune modalità di"irnpacchettarnento' dei prestiti internazionalirinvio alle pagine conclusive della mia Storiadell'italiano. La lingua moderna e contempo-ranea, citata in Bibliografia, sez. a).

3. L'italiano nuovo in azione:la lingua d'uso degli scriventi colti

Lo studio degli usi epistolari in lettere private(non pensate per la pubblicazione) fornisce ma-teriali preziosi sul livello d'uso "normale" di unalingua, non condizionato dalla norma prescritti-va delle grammatiche. un po' come accade oggicon i messaggi sms e la posta elettronica. Una

VOCABOLARIO-IlTOSCANO

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FI LlPPO BALDINUCCI - VOCABOLARIOTOSCANO DELL'ARTE DEL DISEGNO.

PRIMA EDIZIONE. FIRENZE. 1681.

recente analisi di un campione esteso di letterefamiliari autografe, appartenenti a scrittori maanche a non professionisti della penna (artisti,musicisti, patrioti, politici, scienziati), scritte davarie località nel corso del primo cinquantenniodell'Ottocento (vedi Bibliografia, sez. c), docu-menta in maniera obiettiva il raggiungi mento diuna notevole stabilità della lingua comune scrit-ta nei settori cruciali della fonologia e della mor-fologia, dove abbiamo visto il "congelamento"delle grammatiche post-cinquecentesche avevamantenuto in vita fino a quel momento un nume-ro elevato di forme di retroguardia, tipiche dellivello letterario alto. Il dato è particolarmentesignificativo perché la maggioranza dei fenome-ni grammaticali qui censiti si allinea, con pocheeccezioni, alle scelte effettuate da Manzoni nel-la sua revisione linguistica del romanzo, dalla"ventisettana" alla "quarantana" dei Promessisposi, senza esserne direttamente condizionata.In certi casi, addirittura, gli usi epistolari si at-testano su posizioni più avanzate e moderne diquelle raggiunte da Manzoni nel 1840 (che, delresto, si appoggiò alla competenza grammaticaledi scrittori e scriventi colti fiorentini presenti nelcorpus). Il quadro che ne emerge lascia suppor-re che nella prima metà dell' Ottocento fosse inatto una progressiva stabilizzazione della normaspontanea in direzione degli usi grammaticalipiù correnti e moderni che proprio il movimentocorrettori o del romanzo manzoniano, frutto diun'idea di lingua tutta propria, farà suoi.

All'interno di questo corpus sono attenta-mente da valutare i fenomeni di non accordo conla revisione linguistica manzoniana. Nel settoresintomatico della fonetica, per esempio, la stabi-lizzazione del tipo con dittongo in nuovo, buo-no, suono e sim., in lampante dissintonia col fio-rentinismo prograrnmatico di Manzoni, sembragià definitiva, tranne la sopravvivenza di formemonortongate di sapore letterario (core, tepido,ma vuoto in una scrivente toscana), così comesono del tutto sporadici gli esiti con dittongo del

vecchio italiano "congelato" nelle grammatichetradizionali (niego, sieguo, cuopro, ecc.). Tra imorfemi verbali prevale di poco il tipo analogi-co io ero, fino a quel momento stigmatizzato oridotto a variante di registro basso ("familiare")a favore del letterario io era. Significativo an-che in quest'occasione il comportamento degliscriventi non toscani, che presentano un nume-ro doppio di ricorrenze del tipo in -o rispettoalla forma concorrente, in sintonia con quellache sarà la scelta manzoniana. Ancora più si-gnificativo il comportamento di uno scrittorecome Giacomo Leopardi, saldamente ancoratoper scelte fonetiche e morfologiche all'italianoscritto di età premanzoniana: in tutto il corpusdella sua produzione, tra centinaia di occorrenzedi io era, si trovano solo 44 casi del tipo io ero,ma ben 40 sono concentrati proprio nelle lettere,di cui 32 in quelle indirizzate ai familiari piùstretti, cioè in contesti d'uso più marcatamentecolloquiali e informali.

Alcune considerazioni conclusive ancora nelsettore nevralgico della morfologia verbale, do-ve l'italiano di oggi ha raggiunto una notevolestabilità (tranne casi sporadici di oscillazioniresiduali, perlopiù ridotte a "doppioni" concor-renti: siedo e seggo, devo e debbo, ecc.), Spiccain questo caso nel corpus dei non toscani la pre-senza di forme di l' perso pl. del passato remotoe del condizionale non ancora "normalizzate",ossia non accordate con la morfologia del ca-none letterario toscano (l'italiano "congelato"di epoca prernanzoniana): fossimo 'fummo',avressimo 'avremmo', ebbimo 'avemmo', fe-cimo 'facemmo', apersimo 'aprimmo', risimo'ridemmo', rimasimo 'rimanemmo', giunsimo'giungemmo', dissimo 'dicemmo', ecc. Su que-sto punto la prescrizione è rigida, ribadita convigore nelle nuove grammatiche illuministichedi tipo "ragionato": «saressimo e avressimoper saremmo e avremmo sono errori», affer-ma perentoriamente la Gramatica ragionata diFrancesco Soave (1771), istruttore del giovaneManzoni. Nel Settecento e nel primo Ottocentotali forme, veicolate nello scritto dall'uso dellevarietà regionali della lingua comune (che pro-prio in questo periodo cominciano a far sentireil loro influsso sui dialetti sottostanti, dove ini-ziano a comparire fenomeni sintomatici di "ita-lianizzazione", come l'uso non sporadico deitipi faccio e vado per fo e vo in scriventi tosca-ni, discusso subito avanti), sono ancora moltodiffuse, anche in scrittori affermati (in generesettentrionali, ma anche romani e marchigiani)e in scritture pensate per la pubblicazione. Leimpiegano per esempio senza particolari remo-re gli scrittori illuministi del «Caffè» «<Ebbimonel Caffè gran soggetto di ridere»), ma ancheautori solitamente molto controllati: allo stessoLeopardi sfuggono, in due luoghi dello Zibal-done, un avressimo (p. 492 dell'autografo, 12gennaio 1821) e un dovressimo (p. 2396, 19marzo 1822).

Gli scriventi toscani sono sotto molti punti divista i più interessanti, a patto di saper coglierenelle loro lettere gli indizi linguistici più inav-vertiti, e saperli inserire in un quadro linguisticogenerale coerente. Alla spiccata resistenza della2' perso del congiuntivo presente del tipo tu abbi(affiancato dal moderno tu abbia, che Manzoninormalizza nella "quarantana"), fa da contrap-peso la scelta costante di forme che dovevano

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10 LA CRUSCA PER VOI

rappresentare gli esiti più moderni, anche in op-posizione a quello che era il loro uso naturale espontaneo: così faccio prevale o si affianca alnativo fa, vado prevale su Va, dove faccio e va-do, in controtendenza coi Promessi sposi 1840(21 casi di fa, l di faccio; 20 di va, 6 di vado),sono da segnalare come un indizio non trascura-bile di censura di usi spontanei, avvertiti cometroppo locali, che segnano già a metà Ottocentouna netta linea di tendenza che porterà alla mar-ginalizzazione del modello toscano corrente nonaèleguatamente sostenuto da usi diffusi in tuttele altre regioni d'Italia: il motivo della non pe-netrazione nell'uso colto generale di numerosifiorentinismi grammaticali e lessicali installatida Manzoni a partire dalla seconda edizione delromanzo.

Bibliografiaal

FONTI: Vincenzo Borghini. Lettera intorno a' mano-scritti antichi. a cura di Gino Belloni. Roma. Salernoeditrice. 1995; Le Annotazioni e i discorsi sul "De-canieron" del 1573 dei Deputatifiorentini, a cura diGiuseppe Chiecchi, Padova. Antenore. 200 I; PaoloBeni. L 'Anticrusca, parte prima, ediz. anast., Firenze.Accademia della Crusca-Le Lettere, 1983.

GRAMMATICHECONTRASTIVEDEL FIORENTINOANTICO:Grammatica dell'italiano amico, a cura diGiampaolo Salvi e Lorenzo Renzi, Bologna, il Mu-lino, 2010.

STUDI: Marcello Durante, Dal latino all'italiano.Saggio di storia linguistica e culturale, Bologna, Za-nichelli, 1981; Ghino Ghinassi. Due lezioni di storiadel/a lingua italiana, a cura di Paolo Bongrani, Firen-ze, Cesati, 2007; Riccardo Tesi, Storia dell'italiano.La lingua moderna e contemporanea, Bologna, Zani-chelli, 2005; Id., Un'immensa molteplicità di linguee stili. Studi sulla fine dell'italiano letterario dellatradizione, Firenze. Cesati, 2009 (in particolare Laformazione dello standard tetterario dal Rinascimen-to al primo Ottocento, pp. 107-118: e i due saggi dellaseconda parte, Lingua antica vs lingua moderna: Pa-olo Beni e la sintassi del Decameron, pp. 177-211, e«Da un italia/IO allaltro». Tradurre i classici nel/alingua di oggi, pp. 213-257).

b)FONTI:Scopri tori e viaggiatori del Cinquecento e

del Seicento, a cura di I1aria Luzzana Caraci, testi eglossario a cura di Mario Pozzi, Milano-Napoli, Ric-ciardi, 1991.

STUDI: Gianfranco Folena, Il rinnovamento lin-guistico del Settecento italiano, in Id., L'italianoin Europa. Esperien;e linguistiche del Settecen-to, Torino, Einaudi, 1983, pp. 5-66: Andrea Dardi.Dalla provincia all'Europa. L'influsso del francesesull'italiano tra il 1650 e il 1715, Firenze, Le Let-tere, 1992: Riccardo Tesi, Col/odi e il vocabolariodella modernità: parole nuove, adattcnnenti. blends,in «Studi linguistici italiani», XLI. 2015, pp. 80-121(in particolare, sul "fattore di riconoscimento" deiprestiti, pp. 103-11 I).

c)Giuseppe Antonelli, Tipologia linguistico del ge-

nere epistola re nel primo Ottocento. Sondaggi sul-le lettere familiari di mittenti colti, Roma, Edizionidell'Ateneo,2003.

DIFFUSIONEDELL'ITALIANONELLEREGIONI,VA-RIETÀREGIONALI,ITALIANIZZAZIONEDEI DIALETTI:Tullio De Mauro, Storia linguistica dell'ltalio unita,Roma-Bari. Laterza, 1984 (I:' ed. 1963): L'italianonelle regioni. Lingua nazionale e identità regionali.a cura di Francesco Bruni, Torino, Utet, 1992: NicolaDe Blasi, Geografia e SToria dell 'italiano regionale,Bologna. il Mulino. 2014; Franco Fanciullo, Primalezione di dialettologia, Roma-Bari. Laterza. 2015.

Riccardo Tesi

R E G O L EE D

OSSER V AZIONIDEL!.A LINGUA TQSGANA

Ridotte o. "\S'rodo

Ed in tre libri dfliribtlitt

.DA SALVADORE CORTICELLlBOLOGN~5'E

Prete Proferfo de' Cherlcì Rcgl)'hl"i di S. Paolo:

SECONDA E'DIZIONE VENE1'A.

t~lI' d%giltnta di UJ!" IINO'M Lettm1. Jd .sommo 'PolttrFali E li E D F T T o X I v,

su: vi/m,,"r..

IN VENEZIA,MDCCLXI.

<o:!.""""""""""'~""""""""""""""""'''''"4!''''I#1''''''''<.<nNEL!.;' STAMPERIA Rf:MOt-;"D1NI.

CON LICENZA DE' PJPfRIOR1. :r PRlPILIC[o.

SALVATORE CORTICELLI - REGOLEED OSSERVAZIONI DELLA LINGUA TOSCANA.

SECONDA EDIZIONE. VENEZIA. 1761.

I GANCI DELLA CONTINUITÀ

Ogni storico della lingua italiana ha cercato difare, a suo modo, il bilancio dei tratti di conti-nuità e di discontinuità che si possono coglieretra la fase iniziale e quella attuale della nostralingua. Ma dopo aver concluso la sua disamina,anche lo storico e linguista più accanito nellefredde indagini su questo oggetto sente di doverprendere in considerazione un ulteriore dato, ri-sultante dalle sue stesse analisi del passato e delpresente, ma che emerge da un circuito diverso,il circuito in cui si intrecciano e si fondono innoi memoria linguistica e memoria poetica. L'i-taliano è nato in un determinato, dinamico con-testo socioeconomico e culturale che cercava didotarsi di un valido strumento di affermazionee coesione; ma ha preso forma solida e duraturasoprattutto attraverso la voce di chi, più di altri,seppe in un certo numero di parole, di forme,di costrutti, di nessi preposizionali, di esclama-zioni, condensare dei significati capaci di inte-ressare infinite altre persone, potenzialmentequalsiasi persona di ogni tempo. Bastò all'inizioqualche migliaio di versi, intessuti con queglielementi, perché una lingua intera si mettesserapidamente in cammino. Quelle stesse parole,quelle forme, quei costrutti, quei nessi preposi-zionali, quelle esclamazioni, di per sé elementidello strato fondamentale della lingua, hanno ri-suonato, spesso con voce vera, come vivi enun-ciati nelle orecchie e nella mente di generazionidel passato e risuonano allo stesso modo e congli stessi significati, magari attraverso un minornumero di versi, nelle orecchie e nella mente dimoltissime persone di oggi. Molta altra partedella lingua apparirà cambiata, a noi ricercatorie agli stessi comuni parlanti, ma tanto basta per-ché quegli sprazzi di lingua, con tutta la loro for-za, siano pienamente amalgamati con la linguadi oggi e, per la loro alta frequenza, e dunquepregnanza, sembrino a tutti noi, con appena unsoffio di esagerazione, costituirne addirittura il

fondamento e il nerbo. Concorrono a generarequesto soffio linguisti, commentatori, recitatori,illustratori visivi di quei versi in tutto il mondo.

L'idea della lunga continuità della nostra lin-gua è in buona parte fondata anche su questi suoiganci interni. E non credo che in questo si possavedere un handicap, un default, uno spread, unaweakness di tale lingua.

Francesco Sabatini

NOTIZIE DELL'ACCADEMIA

Il 17 ottobre 2015, ad Asti, si è svolta la Pri-ma giornata di studi "I Piemontesi e la linguaitaliana" omaggio a Giambattista Giuliani.Alla giornata ha partecipato il presidente Clau-dio Marazzini.

Il 21 ottobre si è svolta la Giornata ProGram-matica. L'evento era volto a «sensibilizzare ead appassionare i ragazzi all' uso corretto dell' i-taliano attraverso una chiave di lettura ogni annonuova: nella prima edizione la grammatica, loscorso anno la punteggiatura, questa volta]' ita-liano delle canzoni». Il tema era infatti: l'italia-no della musica, la musica dell'italiano. L'e-vento si è svolto in radio, coinvolgendo i pro-grammi di Radio ì in una maratona radiofonica.

A Palermo, dal 19 al 23 ottobre, si è svoltala Settimana di studi danteschi La bocca mibasciò tutto tremante con la partecipazione per]' Accademia della Crusca del presidente onora-rio Francesco Sabatini.

A Ferrara, dal 26 al 28 ottobre, si è svolto ilConvegno La Crusca e i testi. Filologia, les-sicografia e collezionismo librario intorno alVocabolario del 1612, organizzato dall'Uni-versità di Ferrara, dall'Associazione "Amicidell' Accademia della Crusca" e dall' Accade-mia stessa. Erano presenti, fra gli altri, il pre-sidente Claudio Marazzini, la presidente onora-ria Nicoletta Maraschio, gli accademici TeresaPoggi Salani e Michele Cortelazzo, Marco Biffi.

Il 30 ottobre si è svolta la terza Tornata acca-demica del 2015, con la presentazione da partedi Claudio Marazzini, Stefano Mazzoni, LucaSerianni e Paolo Trovato del volume di Fran-cesco Mazzoni Con Dante per Dante. Saggi difilologia ed ermeneutica dantesca. II! Erme-neutica della «Commedia».

Il 30 ottobre, nella Villa medicea di Castello,si è tenuta la premiazione delle due studentesse,Giulia Berti ed Elena Dell'Orfanello, vincitri-ci della quarta edizione del Premio AdrianaTramontano. Alla cerimonia, presieduta dalpresidente Marazzini, hanno partecipato i mem-bri della commissione giudicatrice NicolettaMaraschio, Giovanna Frosini, Valentina Firen-zuoli. Le vincitrici sono state premiate con unaborsa di studio di 1.000 euro ciascuna, comeapprezzamento per la ricca competenza dellalingua italiana e come incoraggiamento per ilproseguimento dei loro studi.

L'Accademia della Crusca fino al 30 ottobre2015 è stata sede della Mostra La consulenzalinguistica. Domande e risposte tra passato epresente a cura di Elisabetta Benucci, GiuliaMarucelli e Raffaella Setti, con foto e grafica di

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LA CRUSCA PER VOI 11

Barbara Fanini. Con questa iniziativa si è intesoripercorrere la lunga tradizione di colloquio tral'Accademia e un pubblico che si è fatto semprepiù ampio: un dialogo con radici molto lontanedi cui conservano traccia nell' Archivio Storicole lettere di privati che, spinti da differenti mo-tivazioni, hanno spesso chiesto pareri agli acca-demici.

Il 17 novembre, a Ponte a Greve, nell'ambitodella collaborazione tra l'Accademia della Cru-sca e l'Unicoop Firenze, si è svolto l'incontroCon parole nostre a cura del presidente Clau-dio Marazzini.

Dal 18 novembre 2015 al 31 dicembre 2016presso la sede dell' Accademia della Crusca, saràpossibile visitare la mostra documentaria Napo-leone e la Crusca a cura di Dario Zuliani.

Il 18 novembre l'Accademia della Crusca èstata sede della Tornata solenne 150 anni del-la lingua d'Italia (quarta e ultima tornata del2015). All'incontro ha partecipato il Presidentedella Repubblica Sergio Mattarella, il quale altermine della Tornata è stato nominato accade-mico onorario, come, prima di lui, Carlo Aze-glio Ciampi il 9 aprile 2002 e Giorgio Napoli-tano il 6 novembre 2012. Alla cerimonia sonointervenuti il sindaco di Firenze Dario Nardella,la vicepresidente della regione toscana MonicaBarni, il presidente dell' Accademia della CruscaClaudio Marazzini e il presidente onorario Fran-cesco Sabatini.

Il 26 e il 27 novembre 2015, in collaborazionecon l' ASLI-Associazione per la Storia della Lin-gua Italiana, l'Accademia della Crusca è statasede della Giornata del\' ASLI per i dottoran-di con la partecipazione per l'Accademia delpresidente Marazzini e di Marco Biffi.

Il 27 novembre, a Firenze, nell'ambito dellacollaborazione tra \' Accademia della Cruscae l'Unicoop Firenze, si è svolto l'incontro LaCrusca si racconta a cura di Raffaella Setti.

Dal dicembre 2015 fino al marzo 2016 l' Acca-demia è stata sede di un ciclo di lezioni e semi-nari finalizzati alla formazione di docenti con loscopo di riflettere sul nesso tra la lingua e la cit-tadinanza responsabile. 1110 dicembre si è svol-to il primo dei quattro incontri con l'interventodel presidente Claudio Marazzini Non solo san-ti, poeti e navigatori: l'italiano dei cittadini ela coscienza civile degli italiani.

Il 4 dicembre, a Empoli, nell'ambito della col-laborazione tra l'Accademia della Crusca e l'U-nicoop Firenze, si è svolto l'incontro La Cruscasi racconta a cura di Elisabetta Benucci.

Il 9 dicembre, presso la sede dell' Accademia,si è svolto il secondo incontro del Corso di for-mazione per insegnanti Il linguaggio della cit-tadinanza responsabile: leggere e comprenderei testi normativi, questa volta presieduto dal pre-sidente onorario Francesco Sabatini.

L'lI dicembre, a Prato, nell'ambito della col-laborazione tra]' Accademia della Crusca e l'U-nicoop Firenze, si è svolto l'incontro La Cruscasi racconta a cura di Francesca Cialdini e VeraGheno.

l giorni 11 e 12 dicembre, a Rovereto, in colla-borazione con [PRASE, l'Università degli Studidi Trento e la Fondazione Cassa di Risparmio

di Trento e Rovereto, si è svolto il SeminarioLingua della scienza, scienza della lingua. Perl'Accademia della Crusca hanno partecipato lapresidente onoraria Nicoletta Maraschio, l'acca-demico Rosario Coluccia e le organizzatrici deicorsi di formazione per insegnanti 2015 ValeriaSaura e Valentina Firenzuoli.

Il 12 dicembre, ad Arezzo, nell'ambito dellacollaborazione tra l'Accademia della Cruscae l'Unicoop Firenze, si è svolto l'incontro LaCrusca si racconta a cura di Matilde Paoli.

1114 dicembre l'Accademia della Crusca è statasede del Convegno Presente efuturo di un cor-pus dell'italiano. CoLFIS e oltre, organizzatoda Pier Marco Bertinetto, della Scuola Norma-le Superiore di Pisa, con la partecipazione delpresidente Marazzini e di Valentina Bambini,docente dell'IUSS di Pavia.

Il 15 dicembre ha avuto luogo, presso la sededell' Accademia della Crusca, la Giornata distudio I più antichi testi poetici italiani nelprogetto delle «Chartae Vulgares Antiquio-res». Hanno partecipato docenti delle Universitàdi Napoli, Udine e Trento e, per la Crusca, gliaccademici Aldo Menichetti e Par Larson.

Da gennaio 2016 sono ripresi gli incontri delCorso di formazione per insegnanti Il lin-guaggio della cittadinanza responsabile: legge-re e comprendere i testi normativi. Il giorno IIgennaio Federigo Bambi dell'Università di Fi-renze ha tenuto una lezione intitolata La linguagiuridica tra storia e nuove (o vecchie?) pro-spettive; il25 gennaio è stato ospite il magistratoGian Carlo Caselli che ha parlato di Sterminiodella significazlone. Il Corso ha poi previstoquattro incontri laboratori ali distinti per ordinedi scuola, che si sono svolti in febbraio fino aquello conclusivo del 2 marzo con gli insegnantidella scuola primaria.

Il 15 gennaio si è svolta la Tornata pubblica(la prima del 2016) per la presentazione dellibro L'italiano della musica nel mondo a cu-ra di lIaria Bonomi e Vittorio Coletti (Accade-mia della Crusca - Goware), pubblicato con ilpatrocinio del Ministero degli Affari Esteri inoccasione della Settimana della lingua italiananel mondo del 2015. Con i curatori del volu-me sono intervenuti Elisabetta Fava, pianista,musicologa dell'Università di Torino, e FeliceLiperi, critico musicale, programmista e registaRAI, docente universitario. Gli allievi del Con-servatorio Luigi Cherubini di Firenze hannoeseguito un intermezzo musicale.

Nell'ambito della collaborazione tra Accademiadella Crusca e Unicoop Firenze, il 23 gennaio,presso la saletta soci della Coop di Campi Bi-senzio, si è svolto l'incontro Fantozzi compie40 anni con gli interventi di Carlo Sorrentino(Università di Firenze), Marco Biffi (Accade-mia della Crusca, Università di Firenze) e An-drea Muzzi (comico). Sono inoltre ripresi gliincontri Bibliocoop La Crusca si racconta: il26 febbraio a Montevarchi con Matilde Paoli,il 4 marzo a Pontedera con Francesca Cialdinie Barbara Fanini, il 18 marzo a San GiovanniValdarno con Matilde Paoli. 1122 marzo Simo-na Cresti ha inaugurato gli incontri con i for-nitori Coop a Monteriggioni presso l'aziendaArte Pasta Senese.

A Roma, dal 17 al 19 marzo, si sono svolteLe giornate della lingua italiana a conclusionedell'edizione 2016 delle Olimpiadi di Italiano,una competizione, a livello nazionale e interna-zionale, che ha l'obiettivo di incentivare nellescuole lo studio della lingua italiana e di sensi-bilizzare gli studenti a migliorare la padronanzadell'italiano attraverso una gara che si è svoltain più fasi. Si è trattato di gare individuali dilingua italiana rivolte agli studenti delle scuolesecondarie di secondo grado, svolte sotto l'AltoPatronato del Presidente della Repubblica, or-ganizzate dal MIUR con la collaborazione delMinistero per gli Affari Esteri e della Coopera-zione internazionale (MAECI), gli Uffici Scola-stici Regionali, l'Accademia della Crusca, l' As-sociazione per la Storia della Lingua Italiana(ASLI), Rai Radi03 e Rai Cultura. In occasionedelle giornate conclusive il presidente ClaudioMarazzini ha portato il saluto dell' Accademiae ha svolto la relazione introduttiva, dedicataalle riviste di cultura del Settecento e ai 250 an-ni dalla chiusura del «Caffè». L'attenzione alleriviste di cultura era il tema scelto quest'annodal MIUR come riferimento per i ragazzi, neltentativo di legare tradizione e attualità. Infat-ti il 18 marzo si è svolta una tavola rotonda suGiornalismo, cultura e società oggi in Italia,condotta da Alberto Senigaglia «<La Stampa»),con la partecipazione del presidente Marazzini,di Paolo Conti «<Il Corriere della Sera»), Ar-mando Massarenti («]! Sole240re»), EugenioOccorsio «<La Repubblica»), Pietro Piovani («l!Messaggero»), Marino Sinibaldi (Direttore RaiRadio 3). Gli accademici Giuseppe Patota, LucaSerianni e Carla Marello hanno partecipato alleselezioni in qualità di giurati e l'accademico Mi-chele Corte lazzo è intervenuto alla trasmissio-ne di Radio Tre dedicata all'evento, La linguabatte, nel corso della terza giornata conclusiva,dedicata alla premiazione dei vincitori.

L'Accademia della Crusca ha collaboratoall' organizzazione del Corso di perfeziona-mento post lauream Professioni legali e scrit-tura del diritto. La lingua giuridica com'è, ecome dovrebbe essere (IO aprile - lO giugno2016). Il corso, tenuto da linguisti, giuristi edesperti di informatica giuridica, intende affinarei ferri del mestiere di coloro che, per studio o perprofessione, lavorano con le parole del diritto,e consentire loro, anche attraverso esercitazionipratiche, di costruire un testo e una prassi comu-nicativa più chiari, appropriati ed efficaci. Atten-zione è stata riservata anche alle modifiche intro-dotte nel lessico italiano del diritto dalla spintadelle lingue straniere, in particolare dell' inglese,lingua di lavoro dell'Unione Europea e dellaprassi internazionale. L'incontro di apertura delIO aprile è stato dedicato, dopo alcune conside-razioni iniziali su lingua e diritto, alla modalitàdi costruzione di un testo scritto, alle regole perla costruzione del testo giuridico, alle tecnologiedell' informazione per la buona scrittura dei testigiuridici e al rapporto tra l'italiano e le altre lin-gue del diritto.

L'lI aprile, in Accademia, il presidente ono-rario Francesco Sabatini ha consegnato allapresidente onoraria Nicoletta Maraschio, inoccasione del suo settantesimo compleanno, laprima copia di una raccolta di studi in suo onore,omaggio di accademici, colleghi e allievi.

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12 LA CRUSCA PER VOI

QUESITI E RISPOSTE

1Christian Bertozzi da Travagliato (Brescia)chiede lumi sulla parola deconto, che ha trovatoin un regolamento del Consiglio Comunale delsuo Comune, là dove si dice: «La sanzione verràaddebitata a deconto degli onerifinanziari».

Deconto viene dalla Francia, portato dalle ar-mate napoleoniche all'inizio dell'Ottocento.L'usa il Foscolo, ufficiale dell'esercito, in unalettera del 9 dicembre 1804 al generale Bonfan-ti: «Ho rimostrato questo diritto al Commissa-rio di guerra Barneville - ed egli, dopo lungocontrasto, s'è finalmente persuaso che devefarrni il deconto e lasciarmi dei 'cuponi ' pa-gabili dal pagatore francese». E qui vorrà dire'sconto, detrazione', come suggerisce il GDU.In altri passi del periodo più evidente è il sensodi 'avanzo', che si specializza: «Quegli uominiche si assenteranno per congedo riscuoterannoil deconto di quanto sarà dovuto loro del soldosino al giorno della loro partenza esclusivamen-te» (Bollettino delle leggi e decreti imperialipubblicati dalla Consulta straordinaria negliStati romani, n. 104 del 20 aprile 1810, checontiene il decreto di Napoleone del 25 germi-le anno XIII con il regolamento sulle riviste,sul soldo e sulla massa delle truppe, art. 56),dove traduce décompte dell' originale francese.Proprio nel lessico militare, infatti, assume unvalore specifico e indica quella parte del soldodei militari che veniva pagato a saldo, dopo unprimo anticipo, e che serviva «a provvedere allaspesa del corredo» (Gregorio Carbone, Dizio-nario militare, Torino, Vercelli no, 1863). E ilLibretto di deconto, che ancora a volte si puòtrovare nei mercatini d'antiche cianfrusaglie,era il quadernuccio dove ogni soldato scrivevail suo nome, il grado, le decorazioni e, appunto,i crediti e i debiti: «1 soldati si guardarono inviso come per dirsi: - Che cosa possiamo dareormai? La coperta del libretto di deconto perfarla bollire?» (Ed mondo De Amicis, La Vitamilitare. Borsetti, Firenze, Le Monnier, 1869,p. 307; citato nel GDU).

Subito nell'Ottocento i puristi, senza ba-dare troppo al significato nel lessico militare,ebbero da ridire e si scagliarono contro que-sto e gli altri francesismi che imbarbarivanola lingua del diritto e dell' amministrazione:«Deconto, P.e.: "Fatti i nostri conteggi, vi è undeconto di venti lire"; dirai 'avanzo, resto'. Daqualcuno si usò anche per 'sconto, deduzione';ma anche in questo significato è voce strana efalsa. Ma come c'entra in questo significato?È vociaccia orribile per sé stessa, né la linguaitaliana l'accetta in significato veruno» (PietroFanfani e Costantino Arlìa, Lessico della cor-rotta italianità, Milano, Carrara, 1877; citatonel GDU). Ancora nel 1938 deconto suscita-va gli strali di Piero Addeo, che nel Codice dipolizia grammaticale ovvero Breviario del/apurezza della sua Grammatica forense (Roma,Aequa) proponeva di sostituire la parola con isoliti «avanzo; resto».

ANGELO BEOLCO DETTO ·R.UZANTE·(PADOVA.1496c. 1542)

Con poca fortuna però, perché nel frattempo,con un significato diverso che s'era già affac-ciato nel secolo decimonono, il vocabolo eraentrato anche nella legge generale, e in partico-lare in quella che regola i giudizi di fronte allaCorte dei conti: «Sono sempre iscritti a ruoloper il giudizio della sezione: a) i conti compilatid'ufficio quando al termine della gestione nonsiano stati resi dal contabile; b) i conti relativiall'ultima gestione dei contabili, quando com-prendano partite attinenti a precedenti gestionidegli stessi contabili e non occorra procederealla revocazione delle decisioni sui conti pre-cedenti; c) i deconti compilati nei casi di defi-cienza accertata dall'amministrazione a caricodel contabile e prodotti alla corte anteriormenteal giudizio sul conto» (art. 34 del R.D. 13 ago-sto 1933, n. 1038). Ma qui deconto non è più'detrazione', non è 'avanzo', anche se conserval'antica idea del computare. È un 'documentocontabile che contiene la descrizione di entratee uscite' e che serve a fissare la responsabilitàdi un funzionario che maneggi denaro pubbli-co; viene compilato dall'amministrazione in ag-giunta o in sostituzione del conto che avrebbedovuto essere presentato all'organo di controllodal funzionario contabile.

Per questa via deconto continua ad essereusato nella lingua del diritto, in particolare inquella della dottrina e della prassi giudiziaria:«Per queste somme risulta compilato il decon-to, cioè quel conto gindiziale compilato nei casidi deficienza accertata dall' Amministrazione acarico del contabile e prodotto alla Corte ante-riormente al giudizio sul conto (art. 34 del R.D.1038/1933), fattispecie che costituisce un' ipo-tesi di giudizio di responsabilità ad iniziativadell' Amministrazione» (Corte dei conti reg.,(Lazio), sez. giurisd., 20/11/2013, n. 786).

E anche al di fuori della giurisdizione contabi-le, nel clima più spiccio e meno ovattato dei giu-

dizi ordinari, il vincitore di una causa può inviareun deconto al soccombente, cioè un documentoin cui si indicano complessivamente le sommedovute, prima dell' invio formale del precetto, diquell' atto cioè che secondo il codice di procedu-ra prelude ufficialmente all'inizio dell'esecuzio-ne forzata: «La comunicazione in cui si risolveil "deconto" pare consistere in un atto stragiudi-ziale volto a favorire lo spontaneo adempimentodel debitore, il quale potrà certamente ritenersi intutto o [... ) solo in parte obbligato e determinar-si di conseguenza [ ... ]. Comunque, bene può ilcreditore prospettare nel "deconto" - che è cer-tamente cosa diversa dal precetto - anche attivitàfuture e meramente eventuali, che si rendesseronecessarie in relazione alla condotta del debito-re, salvo poi a non esigerle ove, in dipendenza diquest' ultima, si rendessero superflue» (Cassazio-ne civile, sez. III, 20/0612011, n. 13482). A pre-scindere da un giudizio già svolto, deconto puòessere anche il semplice 'conteggio' che indicale spese sostenute e il documento che le contie-ne: «A conforto di tale assunto, la XXXX, oltre adedurre una prova per testi ammessa ed escussa,ha acquisito al processo un deconto della CO-OPYYY, recante il dettaglio dei maggiori oneriderivati dal ritardo nell'esecuzione dell'opera[ ... ]. La prova del pagamento del deconto del-la COOPYYY, relativo ai costi anzi detti , è statadata dal teste ZZZZ» (Cassazione civile, sez. II,02/12/1995, n. 12460).

Che quasi sottotraccia la parola avesse con-tinuato a circolare dall'inizio dell'Ottocentoad oggi, alla fine se n'è accorta anche la lessi-cografia e ne ha preso atto: lo Zingarelli 2013(chiuso in redazione nell'aprile 2012) ha elimi-nato per il lemma deconto la marca «disusato»,che compariva nelle edizioni precedenti. Sottotraccia, o di nascosto dentro un telefonino: nonsi sa o non si dice, ma quanti di noi hanno unascheda a deconto (' a detrazione') che serve pertelefonare e che si ricarica quando - sempretroppo presto - l'importo prepagato è finito?Perché l'espressione si presta a un uso gene-rale, la lingua del diritto la registra volentieri,anche a proposito di quelle schede che nonstanno proprio nei telefonini: «Prima del nullaosta ]' amministrazione deve anche verificare,ai fini del pagamento dell'imposta sugli spetta-coli e sugli intrattenimenti, che ogni esempla-re possegga anche un dispositivo per la letturadi schede magnetiche a deconto o di strumentisimilari, che sono necessari per assolvere l'oh-bligo tributario» (Cassazione penale, sez. IlI,23/1012003, n. 48489).

Infine, in un testo giuridico o contabile si puòincontrare a deconto per dire 'in detrazione':«Con successivo contratto del 1.4.99, stipulatoesclusivamente in nome proprio, XXX conferìalla Banca YYY mandato irrevocabile all'in-casso dei crediti derivanti dall' appalto, di cuisi dichiarò esclusiva titolare, autorizzando labanca a trattenere le somme incassate a decontodella propria complessiva esposizione debito-ria» (Cassazione civile, sez. VI, 26/05/2015, n.10821).

Federigo Bambi

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LA CRUSCA PER VOI 13

IL PENT AMERONEDE.L Cd/?ALIER

GIOVJ\.N BATTISTA BASILE

o Y E n o

LO CUNTO DE LI CUNTETRATTE!'<EMIE!'>Tll DE LI PECCi'\ILLE

DJ G-IAN ALESIO ABBATTUTIS.

TOMO I.

N A P ,O L I MDCCLXXXVIlI.

P.!ESSO GIVSHPPR·MAIUA PORCKLLI

CIJn. Lieln{4 di SlIperi'ri .

GIOVAN BATTISTA BASILE (1566 - 1632)'IL PENTAMER.oNE,

OVERO LO CUNTO DE LI CUNTE'

2Jacopo Marotta da Lucca chiede se bisognadire "devo aver cautela di non fare qualcosa" o"devo aver cautela a fare qualcosa ".

In realtà, la domanda nasce da una delle frequenti(e innocenti) manomissioni che noi facciamo infrasi fatte, locuzioni fisse: in questo caso usandocautela come se fosse cura, che è un suo sinoni-mo, oppure sopprimendo l'articolo: "devo averela cautela" . Se la domanda fosse "devo averecura di ... T" la risposta sarebbe sì, è preferibiledi. Cautela significa 'prudenza, circospezione',quindi cura è uno dei suoi sinonimi e la sostitu-zione è facile, anche se non del tutto appropriata(evitiamola, se possibile). Ma se proprio usiamo,come fa il lettore, "avere cautela" (e non è, atten-zione, un errore, solo un' imprecisione, e diffusagià da secoli), dobbiamo costruire il verbo con dio con a? Ci si diverta a digitare su Google "averecautela" e si noteranno due cose: che l'uso piùfrequente (e più esatto) della locuzione è quel-lo assoluto ("meglio aver cautela, la situazioneè difficile") e che le preposizioni con cui si ac-compagna quando ha una reggenza sono le piùdiverse (in, con, su ... ). In un testo del Settecentosi legge addirittura circa, in un atto amministra-tivo odierno riguardo a. Se dopo cautela c'è unsintagma nominale (un complemento) prevale(e io consiglierei) con ("bisogna avere cautelacon gli insaccati"), ma anche nel ("avere cautelanel trattamento di pazienti diabetici"); se inveceil complemento è una frase all'infinito prevale(ed è consigliabile) nel ("bisogna avere cautelanel dire certe cose"), anche se da Boccaccio aoggi (ma molto meno frequentemente) si trovapure a (<<Pensòconvenirgli molta cautela avere avoler quelle cose poter conducere a casa sua»),Se invece la domanda fosse stata formulata così(forse l'amico lettore ha pensato proprio a que-sta): "bisogna avere la cautela + frase completi-

va ... T", la risposta sarebbe univocamente di ("fad'uopo avere la cautela di lavare spesso la testa",si legge in un libro di medicina del primo Otto-cento).

Di quindi va meglio sia con l'impreciso (se sipuò, meglio non usarlo) "avere cautela di", siacon l'impeccabile "avere la cautela di".

Vittorio Coletti

3Cristian Ciccone da Itri (Latina) chiede che cosasignifica itecaquani, termine che Gadda usa nelPasticciaccio per indicare gli zelanti giornalistiche andavano a intervistare Mussolini a Palaz-zo Chigi; a suo giudizio si tratta di una parolaconiata dallo scrittore. dietro la quale si cela ungioco linguistico.

Come scrive correttamente il nostro lettore, ite-caquani è un termine attestato nel secondo capi-tolo del Pasticciaccio, come aggettivo, riferito agiornalisti che vanno a intervistare Mussolini. Sitratta certamente di un'invenzione di Gadda, ilquale del resto coniò molte parole nuove, alcu-ne delle quali entrate poi nell'italiano comune;altre voci, di cui Gadda è considerato il creatore(i dizionari che le registrano riportano come da-tazione quella appunto del suo romanzo), hannoin realtà alcune isolate attestazioni precedenti,che lo scrittore poteva conoscere: è il caso, peresempio, di ubiquo (retroformazione da ubiquitàsul modello di equo/equità), che si trova già inun articolo di Emilio Calvi, Il teatro popolareromanesco dal Medio Evo ai tempi nostri, ap-parso sulla «Nuova Antologia» (voI. CXXXIV,

fasc. 871, 16 aprile 1908, pp. 689-700), in cui silegge: «Oltre all'Emiliani e al Pavone, trovo cheal Fico, o meglio al teatro delle Muse, si produs-sero l'Agnesotti, Luigi Tamburri, il buon PippoTarnburri e l'immancabile e ubiquo Filippo Tac-coni» (p. 698), e di incubatorio, nel Pasticciac-cio riferito a tempo e documentato già in un arti-colo edito sugli «Annali universali di medicina»del 1867, riferito a periodo.

Tornando a itecaquani, si tratta di una parolausata da Gadda un'unica volta (è quindi. comesi dice tecnicamente, un hapax legomenoni, nelcontesto sopra ricordato. Il suo significato (e il«gioco linguistico che si cela dietro il termine»,come scrive il nostro lettore) è stato definitiva-mente chiarito da Maria Antonietta Terzoli nelsuo splendido Commento a Quer pasticciacciobrutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda,Roma Carocci, 2015. Qui, a proposito della vocesi dice anzitutto che nella prima versione del te-sto, apparsa su «Letteratura» nel 1946, al postodi itecaquani si leggeva boliviani. Il Commentoaggiunge poi: «Neologisrno gaddiano, non re-gistrato dai dizionari, contraffazione, forse, delsostantivo ipecacuana, arbusto rizomatoso origi-nario del Brasile dal quale si estrae una sostanzamedicamentosa dalle proprietà emetiche, espet-toranti e antidissenteriche; la pianta è citata daGozzano in La signorina Felicita, VII, V. 349:"odor di ipecacuana" (Colloqui, p. 179). L'ag-gettivo (allitterante con "italiani") sembra quasiriprodurre nella parola la contaminazione di duelingue e culture (italiana e sudarnericana) di cui igiornalisti oriundi italiani sono portatori. All'ini-

A. TNALI D'ITALIADAL PRINCIPIO

DELL' ERA VOLGARESI lt o A L L' A li N o t7$0.

COMPILATI

DA LODOVICO ANTONIO

MURATORI

DI GIt;SEPl'E CATALA,'!~M:ran.:.,u, diS.Clr,;!..llT:O a'df:z C~•.s .

TOMO PRIMOD&lr Ano.o primI") d '" ERA volgare fino all' Anno 11l. ,.~',

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IN MONACOM D C C L X \.

SEL~.t. ST/.M!>ZPJA .o'. AçO~TJrlli Oi.l:.Io1"I.

CON LICENZA, E PRIJ'JLECIO.

LODOVICO ANTONIO MURATORI (]672 - 1750>'ANNALI D'ITALIA - DAL PRINCIPIO DELL'ERA

VOLGARE SINO ALL'ANNO 1750'

zio del 1927 nelle Americhe si guardava con inte-resse all'Italia mussoliniana [... ]» (voI. l, p. 148).

Non si potrebbe dire meglio: si tratta infatti diun falso etnico, cioè di un nome-aggettivo che in-dica l'appartenenza a una popolazione (inventata,in questo caso). Forse, la sostituzione della p diipecacuana con la t si spiega anche col ricordo dietnici e toponimi latino-americani come Toltechie Titicaca; ma certo la motivazione fondamentaleè il conseguente accostamento del termine a ita-liani .(per cui legittimamente il Commento parladi «oriundi»), accostamento dato anche dalla ter-minazione in -ani (il suffisso -ano è, dopo -ese, ilpiù produttivo per formare etnici).

Paolo D' Achille

4Alcuni lettori (Alessandro Gui da Latina, StefanoRadiconcini da Roma) chiedono se sia dell'ita-liano il verbo ricognire, che incontrano sia nelparlato sia nello scritto, soprattutto con riferi-mento ad attività topografiche e militari. SaraKelany da Roma vorrebbe anche sapere se siapossibile usarne il participio passato.

Partendo dal sostantivo di aspetto deverbalericognizione, alcuni parlanti desumono per re-troformazione un presunto verbo ricognire. Sitratta di un procedimento analogico, ispirato acorrispondenze fondate come acquisire - acqui-sizione, definire - definizione, esibire - esibizio-ne, spedire - spedizione e molte altre. In realtà,diversamente da questi nomi, ricognizione non èderivato dal verbo, ma è voce dotta dal latino re-cognitio (genitivo recognitionisi, sostantivo ef-fettivamente deverbale, che nominalizza il verborecognoscère 'riconoscere, esaminare attenta-mente', allo stesso modo in cui cognizione con-tinua il latino cognitio 'conoscenza, cognizione'.che è derivato da cognoscère 'conoscere'.

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14 LA CRUSCA PER VOI

FRANCESCO ALGAROTTI 0712 - 1764)IN UN RITRATTO DI IEAN-ÉTIENNE L10TARD.

AMSTERDAM. RljKSMUSEUM

Dunque ricognizione aveva in origine anche ilsenso primario di 'ripetersi della cognizione', incui era sinonimo di riconoscimento. Oggi è usa-to quasi esclusivamente nel significato intensivoe frequentativo di 'perlustrazione, esplorazione,esame dettagliato', e con maggiore frequenza incampo militare e topografico, oltre che giuridi-co. In tutti questi usi, chi non voglia servirsi diperifrasi come fare/effettuare una ricognizionedovrà ricorrere a verbi come esplorare, perlu-strare oppure rilevare, accertare, non sempreadeguati perché di senso meno specifico e di im-piego meno tecnico.

Probabilmente alla perdita del senso origina-rio di 'riconoscimento' si deve la mancata consa-pevolezza dei parlanti che ricognizione è parolacollegata al verbo conoscere, e non a quell'im-maginario ricognire che è oggetto dell'oppor-tuno quesito dei lettori. In realtà in passato, peranaloga retroformazione, rispettivamente daperquisizione e requisizione (latino perquisitio,derivato da perquirére 'cercare dappertutto, condiligenza', e requisitio da requirère 'richiedere')si sono tratti perquisire e requisire, analoghi alpiù antico inquisire, che sono ormai a tutti glieffetti verbi dell'italiano. Dunque non si puòescludere che in futuro possa accadere lo stessocon ricognire; ma almeno per il momento questoverbo non fa parte del lessico italiano, e quindinon può neanche avere un participio passato.

Edoardo Lombardi Vallauri

5Maria Paola Zonari e Paolo Ballacci da Roma,Gabriella Torano da Castelfranco di Sopra(Arezzo) e Anna Pescatore da Napoli chiedonose ci siano differenze di significato tra i verbidigradare e degradare, che spesso oggi vengonoconfusi. Duilia Mondino da Marsa Alam (Egit-to)!a la stessa domanda riferita ai participi pre-senti degradante e digradante. Renzo Benati daFinale Emilia (Modena) chiede se il verbo de-gradare possa essere applicato alla descrizione

di una pianta il cui sviluppo va verso il basso,mentre Bruno Moreno da Cerisano (Cosenza)vuole conoscere il significato preciso di degra-dazione e Paolo Greppi da Genova quale sia laparola italiana opposta a degradazione e corri-spondente all'inglese upgrading.

I verbi degradare e digradare sono due allotropi,ovvero discendono dal medesimo etimo: il latinotardo degradare (per il classico dègredii, derivatodi gradus 'gradino'. A differenza degli allotropiveri e propri, che oltre a differire per la forma,si allontanano anche per il significato (si pensi acoppie come pieve e plebe, aia e area), nel nostrocaso siamo di fronte ad un semplice cambio diprefisso, de- > dio; inoltre entrambe le forme ver-bali sono di origine dotta. In una situazione delgenere, la sovrapposizione degli usi e dei valorise mantici è assai agevolata. È pertanto impossi-bile tracciare una linea di confine netta tra i signi-ficati dell' uno e dell' altro verbo. Ciò non toglie,tuttavia, che il tempo abbia selezionato per cia-scuno dei significati "preferenziali", che, seppurnon esclusivi, sono però comunemente e maggio-ritariarnente espressi dall'uno o dall'altro.

Nel GDLl degradare, nei suoi usi transitivi,intransitivi e riflessivi, è provvisto di nove si-gnificati principali. I primi cinque fanno riferi-mento all' idea di privare del grado (per esempionel linguaggio militare), di diminuire il valoredi qualcuno o qualcosa, oppure di abbassarsi, diumiliarsi. È dunque chiarissima la connotazionenegativa del verbo. Per quanto riguarda gli altrisigni ficati, a parte un' accezione tecnica del lin-guaggio geografico, troviamo la nozione di 'di-minuire, sfumare, scemare gradualmente'.

Se, sempre nel GDLl, andiamo invece a legge-re le definizioni di digradare (quindici significatiprincipali), troveremo una situazione specularerispetto a degradare. Il senso preminente è quellodell'abbassamento, della discesa graduale, sia insenso proprio (con riferimento a elementi natu-ralistici), sia in senso figurato (con riferimento alvalore, all'importanza, alla dignità). È invece datocome antico il significato 'privare del grado'.

Il Vocabolario Treccani, nel primo significa-to del lemma digradare, scrive: «Scendere di ungrado, scendere a un piano inferiore: Venimmoal punto dove si digrada (Dante). Più comunem.,scendere di grado in grado, abbassarsi a poco apoco (in questa accezione, è usata anche, mameno correttamente, la forma degradarei», Vi èdunque un'indicazione esplicita circa la minorecorrettezza di una forma rispetto all' altra.

Nel GRADIT, viceversa, al lemma degradare èdato come del tutto accettabile il seguente signifi-cato: «di un'altura o di un terreno, diminuire gra-dualmente d'altezza», significato riprodotto conuna definizione quasi uguale alla voce digradare.

Seppure, dunque, non vi sia uniformità nell'at-teggiamento dei lessicografi, è evidente che nelsignificato di 'scendere, abbassarsi gradualmen-te' l'italiano di oggi ha selezionato preferibil-mente la forma digradare, la quale va senz'altropreferita all'allotropo con de-.

Per quanto riguarda l'alternativa tra i due par-ticipi con valore aggettivale degradante/digra-dante, in questo caso il quadro appare più stabi-le. La forma con de- è ormai usata quasi esclusi-vamente col significato di 'umiliante, avvilente':un comportamento degradante, una proposta de-gradante. Vero è che nel GDLl al lemma degra-

FRONTESPIZIO DEL PRIMO VOLUMEDELLE 'OPERE' DI FRANCESCO ALGAROTTI.

EDITE A VENEZIA DA CARLO PALESE0791-94).

dante troviamo anche il significato 'che è in de-clivio, che diminuisce gradualmente d'altezza';tuttavia il Vocabolario Treccani dà (alla vocedegradare) un'indicazione più restrittiva, anchese non perentoria, circa il significato dell'agget-tivo: «Part. preso degradante, anche come agg.,soprattutto in senso morale: un 'azione degra-dante; mi sembrerebbe degradante [armi vederecon un individuo simile!». Nel GRADIT, infine,l'unico significato ammesso per degradante è'umiliante'. Per intendere un elemento naturale,per esempio un terreno o un' altura, che si ab-bassa a poco a poco, che scende gradatarnente, èdunque opportuno usare l'aggettivo digradante.

Concludiamo il percorso all'interno di questapiccola famiglia di parole occupandoci dei due de-rivati suffissali degradazione e degrado. Sono sino-nimi? Degrado appartiene alla serie dei deverbali"a suffisso zero" (tipo annullo, inoltro) che si sonodiffusi nel corso del Novecento (il GRADIT indicaper degrado la data 1950), e ha completamente sop-piantato degradazione nel significato di 'deterio-ramento, scadimento' (peraltro in tale accezione ilvocabolo è tardo-settecentesco). Oggi, infatti, nes-suno direbbe o scriverebbe più degradazione mora-le o degradazione urbana, ma tutti convergerebberosu degrado morale, urbano, ambientale. Di fatto,però, nei secoli passati il vocabolo degradazione haricoperto l'area semantica ora occupata da degra-do; nel GDLl, infatti, troviamo il terzo significatodi degradazione che recita:«Scadimento di pregio,deterioramento, invecchiamento, senescenza». NelVocabolario Treccani alla voce degrado leggiamo:«Forma usata per degradazione, soprattutto nelleaccezioni dei nn. 2 e 3: d. ambientale, architeuoni-co, sociale, economico, monetario, ecc.», con unasorta di rinvio che parrebbe accreditare degradazio-ne come fOITl1adi riferimento. In direzione oppostasi muove invece il GRADIT, che al lemma degrada-zione, quinto significato, scrive: «deterioramento,degrado»: in questo caso il lemma di riferimento èconsiderato il più moderno degrado. Ovviamente ilballottaggio tra le due forme nominali avviene soloper il significato 'avvilimento, scadimento, deterio-ramento', mentre per tutti gli altri significati conti-nua a essere usato degradazione.

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LA CRUSCA PER VOI 15

Quanto, infine, all'antonimo di degradazionecorrispettivo dell'inglese upgrading, non si puòdare una risposta univoca. In tal uni contesti puòandar bene innalramento, in altri miglioramen-to, in altri ancora nobilitazione. Nella lingua dioggi, però, upgrading ricorre per lo più nel lin-guaggio burocratico e si riferisce a un progressonella carriera; in tal caso sarebbe sufficiente l'i-taliano promozione.

Claudio Giovanardi

6Mirko Malatesta da Notaresco (Teramo) dice diaver letto la parola poligrafismo in riferimentoallo scrivere molto su diversi argomenti (il poli-grafìsmo di Flaiano}, ma di non averla trovatasu alcun dizionario; si chiede pertanto se nonsia preferibile usare poligrafia.

Dire di un poligrafo (cioè di uno scrittore chescrive molto e di cose diverse, come si è detto dalSettecento in poi, con parola abbastanza stabi-lizzata in questo significato) che è caratterizzatoda poiigrafismo, è come dire di un poeta che ècaratterizzato da poetismo. Non è una grande tro-vata. Tuttavia nel Novecento poligrafismo è statousato dalla critica letteraria. Niente di male, macerto non una soluzione brillante. Si sarebbe po-tuto dire versatilità, poliedricità, anche se un po-ligrafo è contrassegnato anche da un giudizio disuperficialità, che quelle parole (più positive) noncontengono. Per altro poligrafismo, pur assenteanche da un dizionario ampio come il GRADIT,ha un suo significato specialistico e appropriato,non metaforico, in linguistica, dove indica i di-versi modi grafici per rendere uno stesso suono.Poligrafia poi, suggerito dal lettore, ha qualcheattestazione in questo significato (già a partire dalSeicento: cfr. GRADIT) , ma molto ristretta, e mi-naccia di collidere con la stessa parola nel sensodi 'riproduzione di copie tramite lo strumento delpoligrafo'. Insomma, parole rare e per di più conpluralità di significati. Se si può, meglio evitarlee non aver paura, nel caso, di qualche perifrasi.

Vittorio Coletti

7Antonino Maggio da Roma, Domenico Ca-ringella da Bari e Sandra Pellegrini da SestoFiorentino chiedono chiarimenti sul Significatodell'aggettivo ultroneo in ambito giuridico.

Ultròneo (questa laccentazione corretta) è untermine di origine dotta a cui i giuristi ricorronoabbastanza frequentemente. Esso costituisce untipico esempio di come il diritto, nell' attingereal linguaggio comune (ancorché forbito e lette-rario), possa operare una trasformazione del si-gnificato del vocabolo importato. Se, infatti, nellinguaggio comune ultroneo sta per 'spontaneo,volontario', nell'uso giuridico il significato sitrasforma in 'ulteriore, che va oltre', con uu'ac-centuazione tendenzialmente critica e negati-va che si traduce nel significato di 'eccedente.indebito, estraneo'. In questo senso si parla di"argomentazione ultronea", di "provvedimento

PIETRO, ALESSAN DRO E CARLO VERRI.INCISIONE DI LUIGI BRIDI DA UN DISEGNO DI ROBERTO FORCONI.

MILANO. CIVICA RACCOLTA BERTARELLI

ultroneo", ecc. Il GRAD/T, che data la parola al1499, registra entrambi i significati, il primo eti-chettato come letterario, il secondo come specia-listico, proprio appunto del diritto.

Probabilmente il mutamento semantico diultroneo si spiega con il fatto che all' avverbiolatino ultra, che è alla base di ultroneus e chesignifica, per l'appunto, 'in modo spontaneo', èstato attribuito il significato di ultra, che inveceindica il superamento, l'andare al di là.

Paolo Carnevale

8Ado/fo Nastasi da Moio della Civitella (Salerno)chiede il significato del termine secluso, che af-ferma di aver rinvenuto nel Gattopardo di Toma-si di Lampedusa, e che non ha trovato registratoin nessuno dei dizionari da lui consultati.

Perché un'interazione comunicativa possa ave-re buon esito, è necessario tener conto di alcune"massime" alla base del "principio di coopera-zione", come dicono i linguisti, ovvero in primoluogo della massima della "quantità di informa-zione", che non dev'essere troppa ma neanchetroppo poca. Nella richiesta del lettore la "quan-tità di informazione" è decisamente insufficien-te, ed è dubbia nella sua richiesta anche la mas-sima della "qualità d'informazione". Chiedendoche cosa significa il termine secluso sarebbe sta-to infatti opportuno citare la frase in cui il lettoreha trovato tale vocabolo. Il contesto avrebbe po-tuto indirizzare in qualche modo nella risposta.

Che il termine sia stato dal lettore rinvenutonel Gattopardo è poi invero assai dubbio. Un ri-scontro sistematico, possibile grazie a una con-cordanza del romanzo, non ha dato infatti nes-sun esito. Che secluso possa essere un refuso per

"§cluso" o "recluso" è anche questo da scartare,nel Gattopardo (l ed. a cura di G. Bassani, Fel-trinelli 1958) essendoci solo voci quali ~clusie reclusione: (i) <da reclusione gli conferiva unaspetto cirniteriale- (p. 21; e nell'ed. a cura diG. Lanza Tomasi, Feltrinelli 1969, rist. 19858, p.26, e quindi nel testo di riferimento Opere, col-lana "I Meridiani", a cura di G. Lanza Tornasi,Mondadori 1995, p. 22); (ii) «nella reclusionedella sua camera verde» (ed. 1958 cit. p. 184;ed. Feltrinelli 1969, rist. 19858, cit., p. 143; ed."I Meridiani" 1995, cit., p. 149).

A questo punto se la presenza di secluso nelGattopardo risulta equivocata e dovuta solo aun brutto scherzo della memoria del lettore, po-trebbe tuttavia risultare in altre opere di Tomasi.Non disponendo di concordanze degli altri testidi Tomasi, la ricerca diventa però costosissima,se non disperata.

Il termine non è presente, sostiene il lettore, innessuno dei dizionari da lui consultati. Ma senzadire in quali. Probabilmente si tratterà di dizio-nari scolastici, rnonovolume, In tal caso, l'accor-tezza del lettore avrebbe dovuto essere quella dicercare in dizionari in più volumi, quindi con unmaggior numero di vocaboli. I testi istituziona-li sono il GRAD/T, ricco di 260mila lemmi e ilGDLI, consultabili in ogni buona biblioteca. C'èanche lo storico Tornmaseo- Bellini.

Se nel Tornrnaseo-Bellini il termine seclusoè ignorato come lemma, appare però (miracolodell'informatica) s.v, rimato con un esempio delVarchi (1543-1565), Lezioni sul Dante: «Si pos-sono intendere separati l'uno dall'altro, cioè ilcorpo senza l'intelligenza [ ... l, il che i filosofichiamano seclusa, cioè rimota intelligenza».

Il GRAD/T registra secluso come part. passo disecludere e come agg. di B[asso] u[so] letterario,detto «di luogo, remoto, appartato». L'infinitosecludere voce lett. ha il significato di «separareda un'altra persona». La voce è indicata come

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16 LA CRUSCA PER VOI

latinismo «<dal lat. seclùdére») e documentataavo 1472 nell'accezione antica di 'escludere dal-la memoria'. Lo stesso GRADIT segnala ancheil derivato seclusione BU lett. 'isolamento' madocumentato avo 1952. La voce è indicata comeneoformazione, ovvero con "etimo sincronico",costruita cioè in italiano. Ma la struttura formaledel suffissato, costituito dal part. passo secluso+ -ione (e non dall'infinito seclude(re) + -zio-ne. da cui l'inesistente secludiriones, suggeriscepi~lttostO che si tratta di un prestito o "dono stra-niero" o "voce importata". Seclusione non è in-fatti una neoformazione ma un anglo-latinismoproveniente dall'inglese seclusion, attestato nelsignificato di 'isolamento' già nel 1784, mutuatodallat. medievale seclùsionem (cfr. OED).

Il GDLI (voI. XVIII, 1996), fonte del GRA-DIT, fornisce dati ancora più ricchi con esempid'autore, anche contemporanei. Sotto seclude-re segnala infatti due significati: I) ant. e letter.'escludere dalla memoria' con esempi di L. B.Alberti avo 1472, Fr. Martini avo 1502, A. Catta-neo avo 1705, e 2) 'separare' con un esempio diB. Fenoglio avo 1963: «Lo secludevano da lei».Etimologicamente «Voce dotta, lat. secludère»,ma nell'accezione 2) si tratta anche qui di unanglo-latinisrno, ovvero di un calco sull'ingl. toseclude. attestato nel 1798 (OED).

Sotto secluso agg. 'separato' il GDLI riprendel'es, del Varchi 1543-1565 già nel Tommaseo-Bel-lini, ma aggiunge una seconda accezione 'remoto,appartato' con un altro esempio di B. Fenoglio, Ilpartigiano Johnny, 1973 (l ed. 1968): «La spon-da aveva un suo aspetto tanto secluso». Etimolo-gicamente si tratta di un caso di conversione (otranscategorizzazione) in quanto «part. passo disecludere», ma nella seconda accezione si trattaancora di un anglo-Iatinismo, ovvero di un calcosull' ingl. secluded, attestato nel 1798 (OED).

Per il derivato seclusione il GDLI riporta duesignificati: I) letter. 'isolamento' con due esem-pi. di B. Croce avo 1952: «nove mesi di seclusio-ne»; e di B. Fenoglio, 11partigiano Johnny; 1973(l ed. 1968): «L'irnboscarnento, la seclusionel'avevano invecchiato e inviziosato»; e 2) l'ac-cezione storica dell'Atto di seclusione del 1654(<<calco sull' oland. Acte van seclusie»). Comegià detto, l'etimo sincronico del GDLI (<<Nomed'azione di secludere») per il significato l) vacorretto in quanto si tratta di anglo-latinismo.

In una banca dati come la 8/2, ricca di circa1000 testi dal '200 a metà '900, la forma seclusaappare ancor prima del 1543-1565 con L. B. AI-berti 1441: «seclusa ogni assentazione».

Da non scartare è anche la consultazione inrete del Vocabolario Treccani. La voce man-ca anche nel cartaceo. Ma in rete in Sinonimi eContrari Treccani S.V. romito si trova segnalatoil sinonimo «(lett.) secluso».

Non volendo tuttavia demordere nella cacciadel termine proposto dal lettore, e ritornando alGattopardo, è probabile che egli abbia letto inuna edizione del Gattopardo non il parto pass./agg. secluso ma il s.f. seclusione, forma più raradi reclusione presente nella su ricordata ed. 1958e successive. In una ristampa del Gattopardo del1959 (collana Feltrinelli "I contemporanei", p.21) e in un' ulteriore ed. nella "Universale eco-nomica" Feltrinelli 1975, è infatti seclusione lale~ione che ricorre. A questo punto c'è da chie-dersi quale sia la lezione "vera" del Gattopardo,se reclusione o seclusione. L'ed. "I Meridiani"

j-------l nell'ed. del 1958 in quanto banalizzato da G.Bassani in cerviero, ma ricomparso nella ried.del l 969/1 995 di G. Lanza Tomasi, troppo tardiperché il GDLI (voI. l, 1961) potesse schedario,come altrove da noi raccontato.

Salvatore Claudio Sgroi

9Diverse lettrici e lettori (Giorgio de Cristofaroda Roma, Giacomo Colomba da Pontedera) cichiedono come debba chiamarsi in italiano chipratica lo yoga, e quale sia l'aggettivo che si-gnifica 'relativo allo yoga', Laura Pacciarellada Milano chiede se parole come yoga o tai chichuan debbano essere scritte con iniziale maiu-scola o minuscola.

Risolviamo subito il dubbio sull'iniziale: nonc'è alcun motivo di scrivere questi nomi di at-tività con l'iniziale maiuscola, così come nonscriviamo con la maiuscola parole come corsao nuoto. A volte alcuni scriventi sentono il bi-sogno di marcare graficamente in qualche modoil fatto che determinate parole sono esotismi,cioè termini «provenienti da paesi lontani e assaipoco conosciuti» (Marco Mancini, L'esotismonel lessico italiano, Università degli studi dellaTuscia, Istituto di studi romanzi, Viterbo. 1992,p. 7). L'artificio grafico da usare in questo caso,come in altri casi di prestiti non adattati elo nonacclimatati, è il carattere corsivo, non l'inizialemaiuscola.

Veniamo ai nomi con cui designare chi praticayoga, e all'aggettivo derivato da yoga. Il dubbiopuò investire sia la pronuncia che l'ortografia.

Il nome del praticante, yogi, è un prestito dalsanscrito yogin- (in sanscrito la forma di citazio-ne dei nomi è il tema), attraverso I'hindì yogi el'anglo-indiano jogee. Il dubbio delle lettrici elettori che ci hanno scritto riguarda presumibil-mente la pronuncia della consonante in attaccodella seconda sillaba. Questa consonante in san-scrito è una occlusiva velare sonora Ig/, come ingatto, ghiro. Il sistema di trascrizione adottatoper il sanscrito trascrive la velare con <g>, anchedavanti a vocali anteriori come lil, seguendo inquesto una norma ortografica comune all'inglesee al tedesco (cfr. inglese give 'dare' IgIv/, tedescoGift 'veleno' Igiftl). In italiano invece la normaortografica rende la velare Igl davanti a vocalianteriori con il digramma -cgh», come in ghiro,aghi, ghetto, mentre la sequenza <gi> in italianorappresenta Id3i1, con affricata postalveolare so-nora, come in giro, agi (o Id31 se seguita da voca-le non anteriore, come in giacca, giorno, giusto).La forma <yogi>, se si applicano spontaneamen-te le norme di conversione dall'ortografia allapronuncia proprie dell'italiano, si legge /j::>d3i1,con affricata postalveolare; la pronuncia rispet-tosa dell'etimologia è però /j::>gi/, con occJusivavelare (ed è questa quella indicata nel GRADln.La forma è quindi omofona con il nome dell'or-so dei cartoni animati di Hanna e Barbera, il cuinome in inglese è scritto Yogi Bear, e in italianoorso Yoghi, con un adattamento ortografico cheinvece non si ha, o almeno non sistematicamente,nel nome del praticante dello yoga.

Il DOP, consultato nell'edizione in rete, met-te a lemma la forma ortograficamente adattata

INCISIONE PER.LE 'OPER.E"DI VITTOR.IO ALFIER.1.EDITE A PADOVA NEL 1809

DA NICOLÒ ZANON BETTONI.

Mondadori 1995, a cura di G. Lanza Tomasi,su citata, nell"'Appendice" tratta dal "Dattilo-scritto [Federici-Merlo] del 1956, [parte] IV".

anziché la parola reclusione nell'es. (ii) di cuisopra riporta la più rara seclusione. Si legge in-fatti: «nella seclusione della sua camera verde»(p. 304), come avevamo rilevato a suo tempo (S.e. Sgroi. Variabilità testuale e plurilinguismodel 'Gattopardo', Catania, Facoltà di Lettere efilosofia, 1998, p. 60).

Un confronto col "Manoscritto" del 1957 (asuo tempo donatoci dal curatore GioacchinoLanza Tomasi) consente di accertare che nei dueluoghi in questione ricorre la forma marcata se-elusione (p. 5 rigo 12, e p. 164 r. 6); stessa le-zione appare nel dattiloscritto 1956 (anch'essoregalo del curatore), che riporta a p. 4 rigo 12 ep. 7l righi 28-29 la forma seclusione.

A questo punto, risulta chiara la diversa mo-tivazione alla base della stessa "banalizzazione"(a) nell'ed. del 1958 basata sul dattiloscritto del1956 a cura di G. Bassani e (b) nell'ed. basatasul manoscritto del 1957 a cura di G. Lanza To-masi 1969, rist. 19858e "I Meridiani" del 1995a cura dello stesso G. Lanza Tomasi. La prima,di Bassani 1958, una banalizzazione frutto di unacorrezione cosciente di seclusione, ritenuto erro-re di batti tura del dattiloscritto, in reclusione. Laseconda, di G. Lanza Tomasi 1969/1995, banaliz-zazione frutto di una lettura inconscia di seclusio-ne come reclusione, la distinzione tra "s" e "r"dell' autografo di facile confusione presente peral-tro in un termine (seclusione) non proprio comu-ne, ignoto al pur anglofono G. Lanza Tomasi. Chepoi il curatore, stampando nel 1995 in "Appendi-ce" la parte IV del "Dattiloscriuo del 1956" con lacorretta forma seclusione, non abbia mentalmentecollegato le due redazioni per una verifica delledivergenze, è anche comprensibile.

Le intrigate vicende redazionali ed editorialidel Gattopardo spiegano così la mancata citazio-ne dei due esempi tomasiani nel GDU.

Analoga è stata la mancata citazione lessi-cografìca del gattopardiano cernieco, assente

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LA CRUSCA PER VOI 17

nella seconda consonante, (ma non nella pri-ma) yoghi, e anche una voce ortograficamentecompletamente adattata ioghi, che rinvia peròa voghi (dove si indica la pronuncia f'j::>gil). I!GRADIT invece mette a lemma yogi, e indicavoghi come variante con rinvio a vosi I! GDLImette a lemma vogi, il Vocabolario Treccanivoghi. Non c'è dunque unanimità tra i dizionarisull'ortografia preferibile. La consultazione diGoogle books Ngram Viewer (https:/lbooks.go-ogle.com/ngrams) a chi richiede le forme ioghi,yoghi e yogi nel corpus di libri italiani tra il 1800e il 2000 mostra una prevalenza della forma or-tografica ioghi fino all'inizio del Novecento; neltrentennio 1920-1950 la formayogi supera per lopiù le altre due, ma le tre forme hanno frequenzemolto vicine (e basse); dal 1950 yogi inizia un'a-scesa, che diviene une vera e propria impennatanegli anni Novanta del xx secolo, e si distaccalargamente dalle altre due grafie concorrenti.

I! caso di yogi è uno dei sempre più frequenticasi in cui il mancato adattamento ortografico diun prestito (che sia esotismo o meno: si pensia computer, in italiano pronunciato /korn'pjuter/ma non scritto -ccornpiuter», se non da semi-colti) produce una dissimmetria nell'uso (nonpossiamo più dire che in italiano Igil si scrivesempre <ghi>, perché in yogi si scrive <gi», chegenera incertezze nei parlanti e scriventi sia sul-la pronuncia che sull'ortografia. Praticanti delloyoga mi informano che nelle comunità di prati-canti si usano oralmente sia f"j::>gilche f"j::>d3i/,edè questa variazione che avrà originato il dubbioe il quesito cui stiamo dando risposta.

Quanto al nome con cui designare una donnache pratica yoga, la lettrice Giorgia de Cristofarochiede se debba essere «yogini o yoghini». Larisposta è parallela a quella data per il maschile:la voce è prestito dal sanscrito yogini, e il valo-re etimologico della consonante traslitterata con<g> è Ig/. In Italia è diffusa la pronuncia con Id3fper i motivi già illustrati per la forma maschile.La forma femminile sembra comunque piuttostorara: manca per esempio nel GRADIT, che indicayogi e tutte le varianti come «s. m. e f. inv.». An-che nelle comunità di praticanti è diffuso l'usodi yogi come ambigenere (uno yogi / una vogi).

I! caso dell'aggettivo vogico è ancor più spi-noso e interessante. L'aggettivo non è un eso-tisrno, ma un derivato da esotismo (secondo ilGRADITattestato dal 1910). Si potrebbe suppor-re che, assodato che yogi si legge f"j::>gi/,l'agget-tivo si legga /joqiko/. Tuttavia, alcuni dizionari(tra cui il GRADIT, ma non il GDLI) indicanocome pronuncia /jodgiko/, Qui però la causanon è tanto la lettura secondo la norma orto-grafica prevalente in italiano di una sequenza dilettere che trascrive in realtà un diverso valorenella lingua d'origine del prestito. In italiano, in-fatti, si ha un'alternanza tra occlusiva velare so-nora nella base e affricata postalveolare sonoranell' aggettivo derivato in -ico anche in altri casi:dialogo / dialogico. letargo /letargico, deiniur-go / demiurgico. chirurgo / chirurgico. nuraghe/ nuragico. Ulrich Wandruszka (Aggettivi deno-minati, in Grossrnann-Rainer, p. 389) annoveraquesti casi tra quelli di «irregolarità formali (... )sporadiche»: questo è vero se si vuole sottoli-neare l'esiguità del numero di coppie che pre-sentano l'alternanza in questione, ma non se sivuole caratterizzare la cogenza dell'alternanza,che sembra sistematica nel caso di basi con radi-

UFFICIO DI VENDITA IN TOSCANA DEL ·MONITOR.E ITALIANO' (1799)MILANO. CIVICA RACCOLTA BER.TAR.ELLI

ci terminanti in occlusiva velare sonora: la ricer-ca avanzata nel GRADIT non restituisce nessunaforma terminante in <ghico> (mentre nel casodi basi con radice terminante in occlusiva velaresorda si hanno sia casi di alternanza tra occlusi-va velare e affricata postalveolare, come strepto-coccico. mucico < streptococco. muco, che casidi conservazione della velare, come psichico <psiche). Una pronuncia f"jod3ikol per l'aggettivoderivato da f"jogil sembra dunque adeguata allanorma stabilita dalle altre formazioni aggettivaliin -ico da basi con radice terminante in occlusivavelare sonora (oltre che ovvia se si parte da unabase pronunciata f"jod3i/).

Anna M. Thornton

10Bruno Foldrini di Beura vardezza (Verbano-Cu-sio-Osso/a) segnala l'assenza nei dizionari ita-liani della voce càdola, che pure figura in testi initaliano di autori ossolani e ticinesi come BenitoMazzi e Plinio Martini per indicare «una speciedi gerlo piccolo per il trasporto di legna» che neidialetti locali è detto caula o ci aula.

La lessicografia italiana, anche quella più ag-giornata, non sempre arriva a registrare vociproprie di quelli che vengono definiti come ita-liani regionali, cioè le varietà di lingua parlatein specifiche zone del paese. Queste varietà sicaratterizzano a livello lessicale per la presenzasia di geosinonimi, cioè di voci che indicano re-ferenti che in altre realtà vengono diversamentenominati (si pensi alle cozze meridionali, dettein Toscana mitili, in Liguria muscoli, a Veneziapeoci, ecc.; ma cozze è termine ormai standard,registrato senza marche, in questa accezione, dalGRADlT), sia di termini, spesso di origine dia-lettale anche se italianizzate sul piano formale,che indicano oggetti o elementi naturali propri(e a volte esclusivi) dell'area. Sebbene non sern-

pre siano presenti nei dizionari generali, questevoci, oltre che nel parlato, possono trovare ac-cogli mento anche nello scritto, soprattutto inautori attenti all' ambientazione dei testi, che sene servono quindi per ottenere quel "colore mu-nicipale" o "locale" tanto caro alla letteratura diimpronta realistica.

Nel caso di càdola, documentata nell'AlS(vol. VII!, carta 1941a), per trovarne attestazioninei repertori lessicografici, bisogna ricorrere alVSI (voI. 1Il, pp. 99-104) o al più recente LSI (vol.I, p. 562). Queste ultime due opere (la prima dicarattere enciclopedico, la seconda di taglio piùspecificamente lessicografico) registrano la vocecon tutte le varianti fonetiche raccolte nei varicentri indagati e, accanto al significato primariodi «attrezzo di legno per il trasporto a spalla», nesegnalano vari altri, metonimici o metaforici. Inentrambi i dizionari il lemma càdola viene resocon cadola, il che significa che la voce è sentitaanche come italiana (nel LSI, però, la definizioneè data in corsivo, a marcarne la regionalità).

Franco Lurà

11Davide Braccini da Roma ha recuperato daisuoi ricordi scolastici il termine tornata e chie-de quali siano i significati della parola e se siapossibile rintracciare lesti poetici - che ricordadi aver letto - in cui essa ricorra con il signifi-cato di 'grande adunata' o 'folla di persone chesi getta in battaglia '.

Nelle accademie, e l'Accademia della Cruscacontinua a esserne vitale testimonianza, è an-cora in uso il termine tornata per riferirsi a unaparticolare adunanza. Ripercorrendo la storia diquesta parola risulterà evidente come essa abbiaridotto i suoi ambiti d'uso e abbia modificato lesue accezioni. Tornata entra in italiano attraversoil provenzale tornada. termine con cui si indicava

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18 LA CRUSCA PER VOI

la stanza finale e più breve della canzone con ilcommiato e la dedica; in questa accezione, natanell'ambito della poetica provenzale e affine alnostro ritornello ('parte di una composizione mu-sicale che ritorna invariata sempre uguale tra lealtre'), la voce è attestata in Dante ai primi delTrecento (1304-1308). L'etimologia della parola,sia nella forma sonorizzata provenzale tornadasia in quella italiana tornata, va cercata nella deri-vazione dal verbo tornare nel significato primariodi 'lavorare al tornio', uno strumento che ruota eche quindi ripropone continuamente il "ritorno"dell'opera che si sta realizzando. Nei dialetti set-tentrionali il verbo tornare ha mantenuto il signi-ficato di 'girare' e il derivato tornello 'dispositivogirevole a crociera che permette il passaggio diuna persona alla volta attraverso uno sbarramen-to', ha alla base proprio questo significato prima-rio del 'girare'. Da questo contesto concreto la pa-rola ha esteso il suo campo semantico a 'ritorno'di qualcosa o di qualcuno al luogo da cui si eraallontanato e, in questa accezione ormai antica enon più usata, è presente nei testi letterari fin dalTrecento con una certa tenuta fino almeno a tut-to il Cinquecento. Ne abbiamo diversi esempi inBoccaccio (eAvanti che di mia tornata si sappia,io intendo di veder che contenenza sia quella dimia mogliere in queste nozze», Decameron, x, 9;«Oh quanti onesti sdegni gli convenne posporre,più duri a lui che morte a trapassare, prornetten-dogli la speranza questi dover essere brievi, eprossima la tornata!», Trattatello in laude di Dan-te), torna poi in Michelangelo Buonarroti «<Anziche del mortai la privi e spogli, / prego m'am-mezzi l'alta e erta via, / e fie più chiara e certa latornata», Rime, xxx) e se ne ritrovano numeroseoccorrenze, nella forma rafforzata ritornata, nel-la Storia d'Italia di Francesco Guicciardini («inogni romore della ritornata degli Angioini», Lib.I, cap. 6; «colline di Pisa perdute nella ritorna-ta di Carlo», Lib. 2, cap. 11; «La ritornata pocoonorata del re di Francia», Lib. 3, cap. l). Sem-pre nello stesso ambito, compulsando le banchedati dei maggiori testi della nostra letteratura, nonho invece riscontrato il significato che il nostrointerlocutore suggerisce, quello di 'folla di per-sone che si getta in battaglia': non lo utilizzanoné Boiardo, né Ariosto, né Tasso nei loro poemicavallereschi e non se ne trova testimonianza ne-anche nella poesia cinque-secentesca. Con ana-logo significato di 'percorso inverso all'andatadi un corpo in movimento' lo ha utilizzato ancheGalileo nelle sue opere fisico-matematiche «<Ri-torna dunque il pendolo indietro colla vigesimaparte manco dell'impeto col quale dianzi si partì,scendendo dal punto B: tal che nella tornata nonricalerà dal punto B», Opere. Edizione Nazionalea cura di G. Favaro, Firenze, Barbera, 1890-1909,voI. VII, p. 577).

Cronologicamente, prima di arrivare al signi-ficato di ambito accademico, troviamo altri dueimpieghi del termine, il primo nel linguaggiopolitico e il secondo in quello giuridico. In testidi argomento politico lo utilizzò per primo Nic-colò Machiavelli (negli scritti, tutti precedenti al1527, che furono poi riuniti nella raccolta degliScritti politici minori) con il significato di 'ses-sione di un consiglio, riunione, seduta' e tale usosi è. conservato fino ad anni abbastanza recentiper riferirsi alle sedute del Senato (fino al 1933)e a quelle della Camera dei deputati (fino al1938). Nell'uso contemporaneo rimane traccia

di questo significato nelle espressioni tornataelettorale, tornata referendaria, tornata di con-sultazioni, tornata di interrogatori, ecc., moltofrequenti soprattutto nella lingua giornalisticaper indicare una 'sessione' o, più genericamente,un 'giro' consultivo o interlocutorio. Se si con-sultano gli archivi dei due maggiori quotidianiitaliani si può vedere come soprattutto tornataelettorale e tornata referendaria emergano comepresenze ben salde e continuative: su «Repubbli-ca» (dal 1984 a oggi) si hanno 4705 occorrenzedi tornata elettorale e 69 di tornata refe renda-ria; sul «Corriere della Sera» si contano 2068attestazioni di tornata elettorale (dal 1932 finoa marzo 2016) e 45 di tornata referendaria (dal1991 a oggi). Meno fortunata invece l'accezio-ne giuridica di 'udienza di tribunale', registratanel Dizionario deL Linguaggio italiano storico eamministrativo di Giulio Rezasco (1881), che fariferimento ai Bandi toscani del 1562, ma chenon è arrivata nella lingua giuridica attuale.

La più antica attestazione indicata dai dizio-nari di tornata per 'adunanza accademica' è del1584 e la si trova nella prima cruscata (termineche all'epoca significava proprio 'cosa di pococonto') di Lionardo Salviati (uno dei fondatoridell' Accademia della Crusca e teorico del suoVocabolario), dal titolo Il Lasca Dialogo: Cru-scata, ovver Paradosso d'Ormannozzo Rigogoli:rivisto e ampliato da Panico Granacci, Cittadinidi Firenze, e Accademici della Crusca: Nel qualesi mostra, che non importa, che la Storia sia vera,e quistionasi per incidenza alcuna cosa contrala Poesia (in Firenze, per Domenico Manzani,1584). Si tratta di un dialogo tra due dei fondato-ri dell' Accademia, Giovan Battista Deti (in quelperiodo probabilmente consolo) e Anton France-sco Grazzini (detto il Lasca), e il Gatta, bidellodell' Accademia, che disquisiscono su quanto sianecessario che la storia riporti effettivamente laverità dei fatti. Il passaggio che ci interessa è ver-so la conclusione (p. 47) ed è contenuto in unoscambio di battute tra il Lasca e il Gatta: «G.:Non può né dee il Bidello ne' ragionamenti in-tromettersi de' Signori Accademici. L.: Oggi nonè tornata ordinaria, e fuor di tornata si può conce-dere». Oltre all'attestazione del termine - che co-munque doveva già circolare in ambito accade-mico, non solo cruscante - è interessante la spe-cificazione di «ordinaria», che lascia supporre,e ne avremo conferma dai verbali accademici dipoco successivi, che si distinguessero tornate or-dinarie e tornate straordinarie o, almeno, non or-dinarie. Nel Diario dell'lnferigno (Bastiano de'Rossi), la più antica raccolta di verbali dell' Acca-demia, il termine tornata ricorre frequentementee, attraverso la consultazione elettronica dei Diari(http://193.205.158.216/fabitalian02/3_storico.htm), si rintracciano alcune occorrenze di tor-nata particolarmente interessanti. Una delle piùsignificative, dato che ricorre nel verbale del-la seduta in cui si fissò la tornata per discuteredell'Impresa Grande (ovvero del simbolo e delmotto da scegliere per l'Accademia), è del 15febbraio 1589: «Si disse, ch'ognuno andasse avedere il modello della 'mpresa privata e ognu-no ne dicesse il suo parere; e 'nsieme si risolvéche per la vegnente tornata si deliberasse della'rnpresa grande». Il fatto che la parola tornata siaqui preceduta dall'aggettivo vegnente ('prossi-ma') ci suggerisce che le sedute accademiche do-vessero essere normalmente denominate così, e

che avessero una cadenza abbastanza regolare. Sitratterebbe proprio delle tornate ordinarie, quelleriunioni accademiche, di volta in volta dedicatealla discussione delle singole questioni stabiliteprecedentemente nelle cosiddette adunanze (as-semblee generali di indirizzo politico, diremmooggi), in cui si tracciavano le linee guida di gran-di progetti da realizzare. L'inizio dei lavori perogni edizione del Vocabolario della Crusca, peresempio, fu segnato da una generale adunanza incui si ratificò l'intenzione di realizzare l'opera evennero fissati i criteri di lavoro; nelle tornate ve-nivano poi, di volta in volta, discussi i problemi,i tempi, le modalità del lavoro. Le tornate straor-dinarie venivano invece convocate nei casi nonprevisti in cui ci fosse qualche questione urgen-te da discutere e su cui deliberare. L'Accademiadella Crusca (come molte altre accademie) indiceancora oggi tornate, che si distinguono in priva-te, alle quali possono partecipare solo gli acca-demici, e pubbliche, aperte a tutti: possono svol-gersi per incontri scientifici, presentazioni di vo-lumi, ricorrenze ufficiali e solenni, ma non sonoassemblee statutarie e pertanto non hanno alcunpotere deliberativo né esecutivo. L'attuale Statutodell' Accademia prevede due organi assembleari,il Collegio degli Accademici e il Consiglio di-rettivo, cui sono affidate l'elezione degli organi,l'indirizzo delle attività scientifiche e la gestioneamministrativa dell'Ente. La scelta di alcune ac-cademie tuttora attive di continuare a utilizzarela denominazione di tornata è quindi un tributoalla tradizione che ha portato fino a noi, oltre cheuna sua simbologia ben riconoscibile, anche unasorta di gergo con cui venivano denominati og-getti, suppellettili e attività proprie e distintive diciascuna accademia.

Raffaella Setti

Sigle e abbreviazioni usate nelle risposte

A1S = Karl Jaberg, Jakob Jud, Sprach- und SachatlasItaliens und der Sùdschweiz; Zofingen, Ringier, 1928-1940,8 volI.

BIZ = Biblioteca Italiana Zanichelli. DVD-ROM perWindows per la ricerca in testi, biografie, trame econcordanze della Letteratura Italiana. Testi a curadi Pasquale Stoppelli con il volume Biografie e trame,Bologna, Zanichelli, 2010.

DO? = Bruno Migliorini, Carlo Tagliavini, Piero Fio-relli, Dizionario d'ortografia e di pronunzia, Torino,ERI, 1969; nuova ed., DO? Dizionario italiano mul-timediale e multilingue d'ortografia e di pronunzia[...l, a cura di Piero Fiorelli, Tommaso FrancescoB6rri, Roma, RAI-ERI, 2010, 2 volI.; in rete all'indiriz-zo http://www.dizionario.rai.it.

GDLI = Grande dizionario della lingua italiana, di-retto da Salvatore Battaglia [poi da Giorgio BàrbeiiSquarottij.Torino. UTET. 1961-2002,21 volI. (con 2supplementi, a cura di Edoardo Sanguineti, 2004 e2009).

GRADIT = Grande dizionario dell'italiano dell'l/-so, diretto da Tullio De Mauro, Torino, UTET, 1999,6 volI. (con 2 supplementi: Nuove parole italianedell'uso, 2003, con eD-ROM; Nuove parole italianedell'uso. 2.,2007, con chiave USB).

Grossmann-Rainer = Maria Grossmann, Franz Rainer(a cura di), La formazione delle parole in italiano,Tubingen, Niemeyer, 2004.

LSI = Lessico dia letta le della Svizzera italiana. BeI-linzona. Centro di dialettologia e di etnografia. 2004.5 volI.

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LA CRUSCA PER VOI 19

OED = The Oxford English Dictionary, 2' ed., a curadi John A. Simpson, Edmund S.c. Weiner, Oxford,Clarendon Press, 1989, 20 volI.

Sinonimi e Contrari Treccani = Sinonimi e Contrari,Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2003; inrete all'indirizzo http://www.treccani.it/sinonimil.

Tornrnaseo-Bellini = Niccolò Tommaseo, Bernar-do Bellini, Dizionario della lingua italiana, Torino,

SPIGOLATURE

Vogliamo proporre ai lettori un brano tratto dauna lettera di Ugo Foscolo del 1812. Com'ènoto, per l'autore dei Sepolcri, dopo il momentopiù alto di creatività poetica, si apre una nuovastagione, non meno importante della precedente,fatta di traduzioni e, soprattutto, di critica lette-raria. Non manca la riflessione linguistica: è sor-prendente osservare come il poeta di Zante siaanche un linguista ante liueram, considerata laprofondità delle sue riflessioni.

Foscolo affronta qui il problema della reda-zione di un nuovo vocabolario della lingua italia-na, che non dovrà essere più solo opera di lette-rati, ma anche di intellettuali e scienziati; dovràtener conto dell'etimologia delle parole, delladefinizione del significato proprio di ogni voca-bolo e dei suoi eventuali usi figurati, degli usi deivocaboli in relazione al registro; dovrà, infine,proporre, una volta per tutte, le voci toscane chesostituiscano quelle straniere e/o dialettali, spes-so utilizzate in varie parti d'Italia. Non vengonorisparmiate critiche alla Crusca per non aver te-nuto conto, in modo approfondito, delle «parti-celle» della lingua, del loro impiego nei diversicontesti. Interessanti anche le osservazioni sullalingua italiana ai tempi dell' autore, «da conside-rarsi mezzo viva e mezzo morta», dato che essa«vive ne' libri».

Riccardo Cimaglia

Lettera a Giovan Paolo Schulthesius - Livorno[Firenze] 27 Agosto 1812

Vocabolario sicuro, abbondante, spregiudica-to - filosofico insomma - non avremo in Italiase non quando un letterato non bisognoso, nonpedante, non provinciale, non accademico; ben-sì metafisico, italiano, ed indipendente, e sopratutto più premuroso della gloria della sua patriache degli applausi de' giornalisti, piglierà sottodi sé con buoni stipendi parecchi uomini dotti,e ciascheduno in un' arte o scienza dello sci bile,e parecchi altri che siano grammatici, chi prati-camente, e chi teoricamente nelle lingue dottedell'Europa antica e moderna. Con questi con-siglieri ed aiutatori, a' quali egli comandi comeDittatore, potrà compilare un vocabolario che adogni modo vuoi essere fatto a Firenze o a Siena,dove la lingua spira fresca eleganza, ed antichis-sima purità. Richiedesi anche, oltre a questi dotti,un uomo esercitato (almeno speculativamente)nelle arti meccaniche, ond' ei possa alle sue ideeapplicare i vocaboli usati in Toscana da' vari ar-tefici, ma raramente tramandati a noi dagli au-tori. Dato questo apparecchio, e moltitudine disoccorsi, ed unità di volere, io, oltre a molte utiliregole ch'altri saprà forse immaginare meglio dime, consiglierei le seguenti. - Definirei, quanto è

Unione Tipografica-editrice, 1861-1874. 4 volI. in 8tomi (consultabile anche nella BI2).

VSI = Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana,fondato da Carlo Salvioni, diretto da Silvio Sganzini,Federico Spiess, Rosanna Zeli, Lugano, Fotocompo-sizione italiana, poi Bellinzona, Centro di dialetto 10-gia e di etnografia, 1907ss.

Vocabolario Treccani = Vocabolario della lingua

UGO FOSCOLO(ZACINTO. 1778 - TURNHAM GR.EEN. (827)

IN UN R.ITR.ATTO DI FR.ANçOIS-XAVIER. FABR.E

possibile, ogni vocabolo - Mostrerei, dove vera-mente vi sieno, le origini greche, latine e proven-zali del vocabolo; perché dall'etimologia beneusata derivano assai notizie storiche, e quindi lamaggiore proprietà della lingua scritta - Notereiaccuratamente l'idea propria, quindi le meta-fori che annesse al vocabolo - Noterei il valorepiù o meno alterato dal corso degli anni e dallemutazioni de' governi e degli usi; e queste notedovrebbero farsi gradatamente di cinquanta incinquant'anni; però ad ogni vocabolo citerei gliesempi progressivamente di scrittori dal 1200 al1800. - Distinguerei la famiglia delle voci in gra-di; cioè poetico, oratorio, cittadinesco, pedestre,plebeo, e ribobolo; e ciò in grazia de' non Tosca-ni che in fondo costituiscono l'universalità de-gl'Italiani, e che fidando ne' testi di lingua e ne'lessici affastellano senza discernimento le frasi, econfondono i generi: onde vedo storie gravissimescritte con le lascivie de' novellieri, e panegiricicon modi carnascialeschi; e peggio. - Finalmentead ogni volume aggiungerei per appendice un vo-cabolarietto negativo di tutte le parole e manierefrancesi, lombarde, veneziane ecc.; e le equiva-lenti toscane; dico di quelle parole e maniere cheper incuria ed ignoranza degli scrittori prevalgo-no; e gioverebbe, parmi, a purgare la lingua per-ché si agevola a chi scrive il mezzo di non errare,ed a chi legge il mezzo di giudicare.

Vero è che l'antica Accademia di Firenze onon vide, o trascurò come inutili tanti sussidi,ch'io ad ogni modo credo indispensabili e capi-tali. Questa lingua, Signor mio, è da considerar-si mezzo viva e mezzo morta; vive ne' libri, maè combattuta, e con diritto, dalle idee nuove alle

italiana, diretto da Aldo Duro, Roma, Istituto dellaEnciclopedia Italiana. 1986-1994, 4 volI. in 5 tomi;anche in rete, all'indirizzo http://www.treccani.it/vo-cabolario/.

Zingarelli 2013 = Lo Zingarelli 2013. Vocabolariodella lingua italiana di Nicola Zingarelli, 12' ed., acura di Mario Cannella, Beata Lazzarini, Bologna,Zanichelli,2012.

quali bisogna concedere vocaboli cittadini, per-ch'esse s'appiglino agli stranieri: vive in tre oquattro città toscane, e nella bocca degli uominiben educati d'Italia, ma la è ad un tempo sì variane' significati, sì abbondante ne' suoni, sì incer-ta ne' modi e nella sintassi, e quindi sì difficile,che a ben parlarla bisogna lunghissima pratica;né la pratica basta a scrivere: vive, è vero, nellecarte di alcuni scrittori miei contemporanei, mao timida, o affettata, mentre maggiore è il nume-ro e più quotidiano il bisogno de' libri, giornali,leggi, romanzi dove le voci italiane sono stem-perate in fraseggiamenti francesi. Ecco dunqueperché i sussidi grammaticali, inutili forse a'tempi degli antichi accademici, diventano indi-spensabili in oggi.

Se non che a me pare ch'io proverei chel'Accademia della Crusca non seppe consegui-re nemmeno il fine a cui per tanti anni tende-va. Tendeva a cogliere tutto il più bel fior dellalingua; e quanto non ne rimane egli non colto?Ne' margini del Vocabolario ho notate moltissi-me voci, e bellissime, evidentissime, elegantis-sime del Villani, del padre Dante, del Petrarca,di Fazio degli Uberti, del Firenzuola, del Tasso,dell' Ariosto, e d'altri scrittori santificati da essaAccademia, ma non esaminati a dovere, tuttevoci che, al mio parere, non furono ammesseperché non vennero in tanti anni osservate. Madove la Crusca pecca imperdonabilmente si ènelle particelle, le quali in ogni idioma sono levere e sole giunture delle idee principali del di-scorso; danno inoltre i toni e mezzi toni comenella musica; ed aiutano lo scrittore a quel chia-roscuro che tanto è più grato quanto le minimetinte che lo distinguono spiccano meno. - Segnoquesti versi perch'io (non so se meritamente) mifo bello di questa definizione delle particelle;del resto il profondissimo Locke nell' opera suamaggiore ne parla con altri termini, ma con lostesso principio, e con quella eloquenza sicura,calda, e tranquilla ad un tempo che nessun filo-sofo ha mai conseguito. - E nondimeno la Cru-sca anche nelle particelle s'appigliò al metodoche basta appena alle altre parti dell' orazione;poiché spiegò il significato intrinseco, ma n011già gli accidentali, infiniti quasi, ed elegantissi-mi sensi che ogni particella assume da' luoghi,tempi, e modi in cui è collocata. Or a che giovache tu mi mostri il valore d'una voce, se nonm'insegni il modo di usarne? e senza giunturev' ha egli disegno e coerenza nel tuo discorso?senza musica v' ha egli armonia d'immagini edi sentenze? senza chiaroscuro, insomma senzaparticelle riccamente, variamente, ed avveduta-mente adoperate vi può egli essere stile?

(da UGO FOSCOLO, Epistoiario, voI. 4 (1812-1813), a cura di Plinio Carli, Firenze, Le Mon-nier, 1954, pp. 114-/17).

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20 LA CRUSCA PER VOI

L'Associazione Amici dell' Accademia dellaCrusca - onlus è sorta a Firenze il 15 dicem-bre 2003 su iniziativa di alcune personalità delmondo culturale, imprenditoriale e bancarioitaliano. Attualmente conta oltre 300 iscritti,tra cui sei soci grandi sostenitori (AssociazioneBancaria Italiana ABI, Banca CR Firenze, Ban-ca Popolare dell'Emilia Romagna, FondazioneCassa di Risparmio di Prato, Fondazione Cassadi Risparmio di Ravenna, Fondazione Sicilia).

Scopo dell' Associazione è sostenere e fa-vorire l'attività di ricerca dell'Accademia del-

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