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La cosa positiva dell’essere bambino è che non ti devi curvare troppo per annusare i fiori

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La cosa positiva dell’essere bambino è che non ti devi curvare troppo per annusare i fiori

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Ilaria Bertolini, Silvia Calliari, Veronica Comincioli, Sabrina Ferrone, Silvia Filagrana, Manuela Marzari,

Manuela Padovani, Daniela Rossini

Inchiesta sul gioco Indagine sulle percezioni e sugli auspici

dei bambini della Vallagarina

Istituto Comprensivo Ala Istituto Comprensivo Avio Istituto Comprensivo Brentonico Istituto Comprensivo Folgaria Istituto Comprensivo Isera-Rovereto

Istituto Comprensivo Mori Istituto comprensivo Volano-Rovereto nord Istituto Comprensivo Rovereto Est Istituto Comprensivo Villa Lagarina

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© 2005 Istituto di Istruzione Superiore “F. Filzi”, Rovereto

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Indice

Prefazione di Aldo Muciaccia ............................................................................................... 10

Introduzione Gioco e ambiente urbano ............................................................................................... 17

Il contesto della ricerca .................................................................................................... 20

Le finalità generali dell’indagine ........................................................................................ 22

Parte Prima

L’INDAGINE ...............................................................................................................................

Come è nata la ricerca ...................................................................................................... 27

1 Prima fase: anno scolastico 2002-2003 ............................................................. 27

II Seconda fase: anno scolastico 2003-2004......................................................... 29

Il questionario illustrato .................................................................................................... 32

Il lavoro sul campo ............................................................................................................ 46

1 La scelta del campione ......................................................................................... 46

1I La presa di contatto............................................................................................. 49

1II La somministrazione del questionario ............................................................ 51

Parte seconda

ESPOSIZIONE DEI RISULTATI ........................................................................................

Luoghi del gioco ................................................................................................................. 57

1 Ambienti di vita e spazi di gioco......................................................................... 57

1I Gli esiti del questionario..................................................................................... 59

Modi e tempi del gioco tra famiglia, scuola e attività sportiva ........................................ 66

1 La famiglia................................................................................................................ 66

1I La scuola e il tempo libero ................................................................................. 68

1II Gioco e sport ...................................................................................................... 70

IV Gli esiti del questionario .................................................................................... 72

Vecchi e nuovi giocattoli .................................................................................................. 78

1 Homo ludens.......................................................................................................... 78

1I Breve storia del giocattolo ................................................................................. 80

1II Tipologie di gioco: gli esiti del questionario................................................... 85

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Conclusioni............................................................................................................................ 94

Postfazione di Marco Dallari ............................................................................................... 97

Appendice .......................................................................................................................... 105

Bibliografia ......................................................................................................................... 107

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Dedichiamo questo nostro lavoro a tutti i bambini che grazie alla loro disponibilità ci hanno consentito di

scrivere questo libro.

Un grazie di cuore anche alle insegnanti e agli insegnanti che ci

hanno preso sul serio e dato fiducia.

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Presentazione

Nel 1997 il Comprensorio della Vallagarina ha aperto la ludoteca “L’Acchiappagiochi”. In quasi dieci anni di attività la Ludoteca ha dimostrato, grazie anche al lavoro competente dei suoi operatori, tutta la sua produttività educativa e culturale, guadagnando consensi sempre maggiori sia da parte delle famiglie sia degli Istituti scolastici. Questo a conferma che il Comprensorio non eroga solo contributi ma è un Ente capace di stimolare e supportare iniziative che coinvolgono l’intero territorio. Questa ricerca vuole essere la dimostrazione che investire sul gioco significa aumentare le occasioni di socializzazione positiva per l’infanzia, vuole offrire alle scuole un’opportunità didattica innovativa, far maturare l’attenzione sociale sul valore educativo non consumistico dei giochi e magari evidenziare l’importanza strategica del gioco per lo sviluppo di una società migliore. Auspico quindi che i dati raccolti e la loro elaborazione possano essere utili strumenti di lavoro per insegnanti e amministrazioni locali.

L’ASSESSORE ALL’ISTRUZIONE

avv. Alessandro Olivi L’Istituto di Istruzione Superiore “F. Filzi” di Rovereto da qualche anno collabora con l’Ufficio per l’educazione cooperativa della Federazione Trentina della Cooperazione, consapevole dell’importanza di sviluppare nei giovani la “cultura cooperativa”, ossia la cultura della solidarietà, della collaborazione, del rispetto delle diversità, della partecipazione

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democratica. Questa consapevolezza ha trovato adeguata collocazione negli obiettivi strategici del Piano dell’Offerta Formativa della scuola e si è concretizzata in un protocollo d’intesa che ha permesso di progettare e di lavorare insieme. In quest’ottica anche i rapporti con il territorio si sono andati consolidando. In particolare con il Comprensorio 10 della Vallagarina si sono attivati esperienze laboratoriali e supporti ad attività didattiche molto significativi, di cui è un esempio la ricerca documentata in questa pubblicazione. Essa segna una tappa importante per i protago-nisti di queste collaborazioni e mostra come la cooperazione fra istitu-zioni, scuola e società civile sia in grado di generare sinergie nuove, di favorire la partecipazione democratica e di contribuire al miglioramento della qualità della vita.

Esprimo il mio più vivo compiacimento per il lavoro svolto dalle stu-dentesse e dai loro docenti, e ringrazio tutti coloro che hanno contri-buito a questa importante realizzazione.

LA DIRIGENTE SCOLASTICA prof. Laura Facchinelli

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Prefazione

La vita è un bambino che gioca, muove i pezzi su una scacchiera

Eraclito, il filosofo del divenire, chiamava il principio cosmico ἀρχή (fluido vitale) e lo rappresentava come un fanciullo che gioca. «Si dice che una vite “fa gioco” quando non si adatta perfettamente al dado o bullone per cui è stata predisposta». Questa espressione descrive il rapporto fra attività ludiche e la vita seria. Il gioco è l’oscillazione fra la realtà predisposta e la parte che noi dobbiamo svolgere. Si gioca con la vita seria (come la vite nel dado) e si trasmette serietà ai giochi. Senza queste caratteristiche la vita seria non sarebbe sopportabile e il gioco non sarebbe divertente.

Il mettersi in gioco, il praticare seriamente il divertimento, è una co-stante nella vita dell’uomo ma soprattutto una caratteristica del mondo infantile. Molti pensatori contemporanei hanno affermato che il gioco è una delle esperienze fondamentali della nostra vita, rimuovendo l’idea che sia un’attività marginale e riconoscendone la massima serietà ed essenzialità, rifiutandosi di considerarlo qualcosa che bilancia il lavoro e compensa la serietà della vita.

Eugen Fink, definendo il gioco, afferma che esso «rassomiglia a un’oasi di gioia raggiunta. […] Il gioco ci rapisce, giocando siamo per un po’ liberati dall’ingranaggio della vita, come trasferiti su un altro corpo celeste dove la vita appare più leggera, più aerea, più felice. Il gioco è un fenomeno fondamentale dell’esistenza, altrettanto originario e indipen-dente come la morte, l’amore, il lavoro, il dominio». La maggior parte degli atti che compiamo e che riteniamo seri, concreti, oggettivi, sono in realtà realizzati secondo regole, logiche e orizzonti di senso tipici della dimensione ludica.

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Viene da domandarsi come mai tutti noi, quando giochiamo o in

qualche modo ci troviamo in una condizione di gioco, pensiamo di essere un po’ bambini. Forse perché i bambini quando giocano riescono a uscire dalla dimensione individuale e gettare un ponte fra sé e il mondo, attraverso il quale agganciarsi a un universo simbolico che permette loro di affrontare e trasformare la realtà senza turbamenti e angosce. Il gioco è il mondo della “negoziazione”, della contrattazione con gli altri e con la realtà, necessaria per darsi regole e paradigmi condivisibili, i quali ci permettono di inventare l’esistenza, di sfidare il “destino” mediante la creatività. Nonostante la complessità delle defini-zioni e delle teorie del gioco, che sottolineano la difficoltà di uno studio sistematico, gli etologi sono riusciti a cogliere la centralità del ruolo esercitato dal gioco nell’evoluzione della specie e dell’individuo: la selezione favorisce gli esseri che giocano di più.

In questi ultimi anni molti ambiti disciplinari hanno approfondito la funzione del gioco libero e socializzato nello sviluppo delle capacità cognitive, creative e relazionali, sia a livello individuale che di gruppo: gli adulti che hanno una vita più interessante e gratificante sono proprio quelli capaci di attribuire un senso ludico alle cose che fanno, che sanno meglio “mettersi in gioco”. Tra le caratteristiche universali del gioco vanno appunto messe in rilievo la dimensione relazionale, poiché per giocare è necessario stabilire e condividere determinate relazioni sociali, e la dimensione cognitiva, ovvero la sollecitazione di criteri di percezio-ne e strategie di conoscenza che offrono sempre nuovi indirizzi all’attività pedagogica. Il gioco presenta però soprattutto la caratteristica di inventare, introdurre e chiarire regole, di sviluppare capacità nel perseguire strategie, nel fare progetti, nell’esplorare la realtà.

Attraverso l’attività ludica, il bambino acquisisce alcuni tratti peculiari che lo rendono allo stesso tempo artista, scienziato, esploratore, sem-pre in una dimensione borderline tra regole e sregolatezza. È possibile disegnare una mappa concettuale per individuare la complessità e la natura multiforme del gioco, inteso come:

- ripetizione di esperienze, - espressione di fantasia, - attività fisica e sfogo di energia,

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- esperienza gioiosa, - competizione e lotta ritualizzata, - pre-esercizio, - spazio di espressione del profondo, - forma di esplorazione, - interazione di gruppo, - preparazione alla vita, - assimilazione dell'ambiente.

I bambini vivono in continuo apprendimento e percepiscono una mag-giore distanza tra il presente e il futuro. Ancor prima che un'età, l'infan-zia è una condizione. Aperta alla conoscenza e all'incontro, indifesa e fragile, intuitiva e volubile, l'infanzia è un libro bianco, rigoroso e leggero, mai indifferente, libero dal pregiudizio e pronto ad accogliere il mondo. L'infanzia è una prospettiva, un luogo delicato e prezioso come l'avveni-re, un terreno di gioco e di scoperta che chiede di essere curato, coltivato a ogni età, per quell’attitudine intrinseca alla conoscenza che, più di ogni altra qualità, identifica l'essere umano e gli dà senso. Una società ama la sua infanzia ma non sempre è capace di proteggerla, di rispettarne le domande, le legittime aspirazioni, di trovare un tempo in cui riconoscere al bambino pieno diritto alla cittadinanza attiva e allenarsi a considerarlo a tutti gli effetti un ospite-maestro, per imparare a guardare tutto di nuovo, dal principio, come se fosse la prima volta.

Bisogna ritrovare il tempo dove il bambino può vivere l’emozionante incontro con l’ostacolo, con il rischio insieme al piacere di superarlo o alla frustrazione di non farcela. Ostacoli e rischi adeguati all’età e alle capacità, affrontati spesso con la complicità dei compagni più grandi ed esperti. Questo è il tempo del gioco, dell’esplorazione, della scoperta, dell’avventura, della sorpresa, il tempo nel quale i bambini crescono e diventano grandi, il tempo in cui pongono le fondamenta sulle quali - a casa con i genitori, a scuola con gli insegnanti, sui libri o davanti alla televisione - costruire tutto quello che da grandi sapranno e sapranno fare. Diceva Pier Paolo Pasolini: «Prima di tutto si nasce uomini. Poi nei primi anni dell'infanzia si prendono tali spaventi o si esperimentano tali dolcezze, che tutta la vita ne è determinata. Un genio (odio questa parola) è determinato dagli spaventi o dalle dolcezze (ambedue estremi) che ha subito da bambino. Il “crearsi” genio consiste in un manovrare

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(accanito, occulto, inconscio, invasato, irrefrenabile) per ricreare le dolcezze infantili o per creare barriere contro gli spaventi infantili».

Oggi purtroppo questo tempo sta scomparendo o è del tutto scom-parso. Per giocare e per crescere un bambino ha bisogno della sua città, di tutta la sua città, perché lo spazio del gioco e dello sviluppo deve crescere di pari passo con le curiosità e le capacità del bambino: la casa, le scale, il cortile, il marciapiede, la piazza, il giardino del quartiere, le strade. Lo stesso spazio, però, occupato e privatizzato dalle automobili e dalle quotidiane attività degli adulti.

I bambini portano con sé il cambiamento, il nuovo. Lo possiedono senza saperlo, perchè ne hanno bisogno, non possono rinunciarvi. Gli adulti hanno la responsabilità di dare la parola ai bambini o di negargliela, di accogliere le loro proposte o di ostacolarle. Come sottolineava Don Milani « il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare “i segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso». L’articolo 31 della Convenzione dei diritti dell’infanzia proclamata dall’Onu recita: «Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale e artistica. Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreati-ve, artistiche e culturali».

In verità c’è ancora molto da fare perché il diritto al gioco diventi una possibilità reale e quotidiana per tutti i bambini. Forse questa ricerca realizzata da persone non lontane temporalmente da quella dimensione, può contribuire a dare indicazioni per una società più a misura di bambino, perché una società migliore per i bambini è una società migliore per tutti.

ALDO MUCIACCIA

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Sono molte le persone e le istituzioni che hanno contribuito alla realizzazione di questo lavoro. Ringraziamo per il particolare sostegno Delia Baldassarri, Antonio Bolognesi, Igea Boni, Marco Dallari, Giuliano Geri, Silvia Manica, Francesca Odella, Marcello Predelli, Ufficio per l’educazione cooperativa della Federazione Trentina della Cooperazione, Istituto di Istruzione Superiore “F. Filzi” e, soprattutto, le scuole che hanno partecipato alla ricerca.

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Introduzione

Gioco e ambiente urbano

La città è un luogo pensato dai grandi e per i grandi, in cui gli spazi dedicati ai bambini sono il più delle volte insufficienti e marginali, fragili intervalli di piani urbanistici funzionali spesso solo alla speculazione edilizia e agli interessi di pochi. In questo senso, al di là di iniziative più o meno elettoralistiche, Rovereto - dove frequentiamo la scuola - non può dirsi una città a misura di bambino. E per tacitare le coscienze non ci si può certo aggrappare a qualche giardino - in cui giostre, scivoli e altalene soddisfano più le esigenze estetiche degli adulti che i reali bisogni ludici dei bambini, e l’erba quelli un po’ meno nobili dei cani - o all’esperienza della Ludoteca, tanto interessante e innovativa per i principi che la animano, quanto del tutto sottodimensionata rispetto alle esigenze non solo del Comprensorio, ma della città stessa che la ospita.

Tuttavia non sono soltanto l’inadeguatezza degli spazi fisici destinati ai bambini, in città come nelle scuole, e la scarsa lungimiranza degli amministratori a costituire un serio limite alle possibilità di gioco. Di per sé il gioco infantile non ha bisogno di spazi particolari, vista la capacità innata dei bambini di trasfigurare con la fantasia ogni luogo, anche il più asettico, e trasformarlo in uno spazio di gioco. La città degli adulti, caratterizzata in gran parte da infrastrutture non adatte ai più piccoli, è strutturata e organizzata in modo tale da essere percepita, proprio dagli adulti, come una dimensione di costante pericolo, per se stessi, ma soprattutto per i figli. Ecco dunque che un limite ancora più preoccupan-te imposto alle esperienze ludiche dei bambini risulta essere la presenza costante e opprimente degli stessi genitori, i quali preferiscono tenere in

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18 INTRODUZIONE

casa i propri figli piuttosto che lasciarli andare liberi in città per paura del traffico, di pericolosi incontri, o per non farli sporcare oppure, più semplicemente, perché non si facciano male. Finiscono così per imporre loro una sorta di prigionia tra le mura domestiche, le cui conseguenze sono assai negative, riducendo sensibilmente gli spazi creativi del gioco e facendo sì che trascorrano gran parte del tempo davanti alla televisione o ai videogiochi. Se ci si guarda intorno ci si accorge inoltre di come l’attuale massificazione culturale creata dalla tecnologia abbia prodotto una vera e propria industria del giocattolo, interessata più a incrementa-re la produzione e le vendite che a favorire le condizioni per il benesse-re e l’equilibrato sviluppo emotivo e cognitivo dei bambini, inducendo in loro bisogni fittizi, spesso inquietanti caricature delle esigenze tipiche del mondo degli adulti. Molti vecchi giochi come il cerchio, la corda, la trottola sono pressoché scomparsi dai negozi di giocattoli e sono stati sostituiti da passatempi fortemente strutturati e strutturanti, che ripro-ducono stili di vita e bisogni degli adulti anche a causa del condiziona-mento martellante della pubblicità. I “nuovi giochi” limitano fortemente la socializzazione a favore di una sempre crescente solitudine – quella del bambino chiuso in casa - e riducono in modo drastico la libertà di espressione e di movimento e la fantasia. Rispetto al passato, oggi i bambini hanno dunque, paradossalmente, molti più giochi a disposizione ma stanno perdendo la capacità di giocare veramente.

In una società frenetica e “produttiva” come la nostra il gioco rimane pur sempre un elemento fondamentale per vivere in modo sano, per crescere, per accettare o trasformare la realtà, ma soprattutto per costruire se stessi. Per fare tutto questo il bambino ha bisogno di un gioco costruttivo, in cui vi sia sempre una componente di vertigine e di rischio, una vertigine che si rivela esperienza protettiva e funzione educativa solo se ha luogo in spazi non eccessivamente “strutturati” e se è accompagnata da un rischio “calcolato”, in grado cioè di sfidare la “violenza calcolata” del bambino e lasciare che egli liberi anche i suoi istinti peggiori. Il binomio vertigine-rischio porta alla cosiddetta “tra-sgressione educativa”, attraverso la quale il bambino può costruire la sua identità e realizzare la sua autonomia.

Il gioco è inoltre finzione, creazione di un altro mondo, diverso da quello reale, e questo vale sia per i bambini sia per gli adulti; infatti anche

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gli adulti giocano, ma non con lo stesso potenziale creativo dei bambini, nonostante essi esprimano ugualmente un bisogno di divertimento, di pura ricreazione e di piccola quanto salutare trasgressione. Il carattere “non serio” del gioco serve a dosare la profondità delle relazioni con gli altri e, nel gioco solitario, mediante il dialogo interiore fra sé e sé, ad aumentare l’autoconsapevolezza.

Una comunità a misura di bambino è dunque quella attenta alle esi-genze dei più piccoli e si preoccupa di creare spazi adatti a loro. Am-biente e qualità della vita, nel loro significato più autentico, sono le parole d’ordine, i principi guida di amministrazioni illuminate, in grado cioè di elaborare strategie e promuovere iniziative per migliorare le condizioni dell’ambiente cittadino, a partire proprio dalla valorizzazione dell’autonomia propositiva dei bambini. Solo se la città viene modificata e resa il più possibile a misura di bambino – e non solo architettonica-mente, ma anche, e soprattutto, intervenendo nel suo tessuto sociale e culturale – tutti i progetti e le proposte che vanno in direzione dei più piccoli dimostreranno una reale efficacia. Per fare questo, però, bisogna tornare ad ascoltare i bambini, dar loro la possibilità di dichiarare i loro bisogni e le loro priorità, perché una città a misura di bambino è una città migliore anche per i grandi.

Cercare di misurare le percezioni dei bambini rispetto agli ambienti di gioco messi loro a disposizione, rilevarne i bisogni ed evidenziarne le richieste inespresse può essere dunque un modo per inaugurare una relazione diversa e costruttiva con loro, per iniziare ad ascoltarli e lasciare che la loro fantasia contamini finalmente il mondo frenetico e disincantato degli adulti. E poiché questa nostra indagine si sviluppa principalmente nei centri abitati minori, alla già di per sé interessante raccolta di informazioni sull’universo del gioco dei nostri bambini si aggiunge la possibilità di associare tutta una serie di dati che permettono di confermare o smentire luoghi comuni e ipotesi più o meno scientifi-che circa le maggiori opportunità di gioco e socializzazione offerte dalle piccole comunità, la coesione fra le famiglie, la minore solitudine dei bambini dei paesi, la dovizia e l’adeguatezza degli spazi di gioco, la minore apprensione degli adulti ecc.

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20 INTRODUZIONE

Il contesto della ricerca

Per meglio comprendere i risultati di questa nostra inchiesta sul gioco è opportuno premettere alcune informazioni di carattere generale circa il territorio, la distribuzione della popolazione e l’economia della Vallaga-rina. Anello di congiunzione tra la pianura padano-veneta e le Alpi, la Vallagarina è caratterizzata da una storia lunga, ricca e costellata di eventi di portata europea, che ne hanno fatto una terra d’incontro fra la cultura mediterranea e quella mitteleuropea.

PAESE POPOLAZIONE SUPERFICIE Ala e Serravalle 7.350 119 km2 Avio e Sabbionara 3.917 68 km2 Besenello 1.753 25 km2 Brentonico 3.621 62 km2 Calliano 1.099 17.44 km2 Folgaria 3.083 72 km2 Isera 2.471 14 km2 Mori e Valle S. Felice 8.918 34 km2 Nogaredo 1.663 3 km2 Nomi 1.286 6 km2 Pomarolo 2.125 9.28 km2 Ronzo-Chienis 1.010 13 km2 Vallarsa 1.392 78 km2 Villa Lagarina 3.095 74 km2 Volano 2.798 10 km2 Totale 45.581 604.72 km2

I diciotto comuni che ne fanno parte contano una popolazione comples-siva di circa 79.500 abitanti, distribuita su un territorio vasto e variegato, che copre una superficie di 694,25 kmq. Rovereto da sola ha 33.965 abitanti1. Il resto della popolazione è ripartito in modo più o meno uniforme in alcuni centri di medie dimensioni, in borghi di fondovalle e in paesi arroccati sui pendii o adagiati sugli altopiani. Il Comprensorio della Vallagarina (Comprensorio 10) costituisce uno degli undici distretti

1 Fonte: rilevazione ISTAT POSAS, anno 2004.

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in cui è suddivisa la Provincia Autonoma di Trento. Il suo territorio è costituito dalla porzione più meridionale del Trentino e si articola in tre diversi scenari paesaggistici: la pianura di fondovalle percorsa dal fiume Adige, i vasti altipiani di Folgaria ad est e di Brentonico a ovest e le valli laterali di Terragnolo, Vallarsa e Ronchi a est e di Gresta a ovest. Il fondovalle, di facile percorribilità e di grande importanza strategica per i traffici sulla direttrice che collega l’Europa centrale con la penisola italiana, ha favorito il formarsi di un sistema di centri urbani autonomi quali Rovereto, Ala, Avio e Mori. Nei dintorni di Rovereto si vanno sempre più espandendo paesi come Isera, Nogaredo, Villa Lagarina, Pomarolo, Nomi, Volano, Calliano e Besenello, centri di medie dimen-sioni che gravitano, per quanto concerne la maggior parte dei servizi, intorno alla città stessa. Più isolati, e tuttora in trasformazione soprat-tutto per quel che concerne la loro immagine e il loro ruolo, gli inse-diamenti sorti lungo le valli laterali e sugli altopiani, sempre più interessati da varie forme di turismo.

Formato prevalentemente da piccole e medie imprese, il settore in-dustriale del Comprensorio della Vallagarina rappresenta attualmente in valore assoluto la seconda concentrazione nella Provincia di Trento e dal punto di vista occupazionale è al primo posto per quanto riguarda l’industria. Ala, Avio, Mori, Villa Lagarina, Volano, ma soprattutto Rove-reto, che assorbe circa il 70% del totale degli addetti all’industria mani-fatturiera comprensoriale, sono i centri di maggior sviluppo industriale. Accanto all’industria, l’agricoltura, in particolare la viticoltura, la coltiva-zione della frutta e la produzione di latte, oltre a essere una delle principali risorse degli abitanti del Comprensorio, rappresenta per molti una seconda occupazione accanto agli impieghi derivanti dal lavoro dipendente. Molto vitale è anche il settore dell’artigianato di produzione, in particolare nel ramo edilizio e nella lavorazione del legno.

Rovereto è il fulcro commerciale di tutto il Comprensorio, sia per la posizione geografica sia perché in essa si concentrano le più rilevanti attività economiche di servizio e del terziario più specializzato. La Vallagarina, inoltre, è attraversata da due fondamentali arterie stradali, la statale del Brennero e l’autostrada A22 del Brennero, che interessano in modo più o meno diretto tutti i centri del fondovalle favorendone lo sviluppo economico, pur con tutti i disagi che ne derivano in termini di

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22 INTRODUZIONE

qualità della vita. Da esse, come dall’arteria che collega il Comprensorio con la zona del Lago di Garda, affluiscono gran parte dei turisti che gravitano in particolare sugli altopiani di Brentonico e Folgaria, zone in cui si concentra oltre il 70% della recettività alberghiera ed extralber-ghiera.

Le finalità generali dell’indagine

Il rapido sguardo gettato sull’ambiente naturale e socioeconomico che caratterizza la Vallagarina identifica una situazione complessa e variegata e pone una serie di interrogativi, anche e soprattutto relativamente ai tempi e agli spazi riservati ai bambini in contesti urbani e comunitari assai differenti fra loro. Capire come i bambini percepiscano le diverse realtà in cui si trovano a crescere e maturare rispetto alle loro naturali esigenze ludiche costituisce già di per sé un’importante motivazione di carattere conoscitivo che, accanto alla volontà di migliorare e arricchire le risorse a disposizione dell’infanzia, rappresenta l’impulso fondamenta-le che ha dato vita alla ricerca. L’offerta, indubbiamente qualificata, di una Ludoteca attrezzata e gestita da personale esperto, fa i conti con i limiti oggettivi legati alle ridotte dimensioni e alla capacità di soddisfare solo parte delle richieste della città di Rovereto.

Allo stesso tempo le scuole dislocate sul territorio, pur continuando a rappresentare fondamentali centri di gravitazione per i bambini dei paesi, sembrano trovarsi spesso nell’impossibilità oggettiva di offrire luoghi e occasioni adeguati per favorire la socializzazione e l’aggregazione mediante il gioco. D’altra parte le famiglie, sempre più costrette a fare i conti con tempi contingentati dalle esigenze lavorative, sono spesso obbligate a delegare ad altri (o ad altro…) la cura dei propri figli e sono portate a considerare di secondaria importanza il tempo dedicato al gioco rispetto a quello riservato allo studio e all’attività sportiva. Infine le abitazioni, per lo più piccole e zeppe di strumenti tecnologici di ogni genere, appaiono talvolta come chiari riflessi di frustrazioni e nevrosi tipiche del mondo degli adulti, dove ai bambini viene negata ogni possibilità di muoversi in libertà.

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Questo quadro preoccupante e per certi versi sconfortante, che rappresenta lo specchio semplificato delle opinioni di molti educatori e operatori dell’infanzia, è però disegnato seguendo la prospettiva dogma-tica e pessimistica che è tipica degli adulti, condizionata cioè dalla cer-tezza di conoscere la realtà e da una superiore esigenza di controllo, a loro volta accompagnate dalla pericolosa quanto troppo spesso inconsa-pevole sicumera di chi sa sempre che cosa è bene e che cosa è male per gli altri. Questo impedisce di porsi autenticamente dal punto di vista dei veri protagonisti, lasciandosi condizionare da alcuni parziali e fuorvianti giudizi o interpretazioni di chi si sente un osservatore privilegiato. Fra gli spunti principali che hanno animato questa ricerca c’è quindi anche la volontà di trasformare le presunte certezze degli adulti in altrettante ipotesi da sottoporre al vaglio dei bambini, con l’umiltà di prestar loro ascolto senza obbligarli, ancora una volta, a dirci quello che vogliamo sentirci dire. Sapere qualcosa di più sul gioco dei bambini che abitano nei paesi significa quindi chiedere direttamente a loro quanto un ambiente fisico e sociale come quello del Comprensorio 10 favorisca o limiti le loro attività ludiche, analizzando percezioni e bisogni, elaborando idee e proposte. È importante comprendere, oltre i luoghi comuni tipici di una visione “adulta” della realtà, quanto, per esempio, le aspettative e i ritmi imposti dai grandi limitino nei bambini la libertà di giocare come essi desiderano, costringendoli, spesso solo per gratificare i genitori, a vivere una quotidianità inquadrata fra gli impegni formativi imposti dalla scuola da una parte, e dall’altra l’attivismo di madri e padri super-impegnati, sempre pronti a iscriverli ad attività di vario genere, tutte rigorosamente organizzate e strutturate. Sarebbe utile insomma capire se nell’universo dei bambini imparare a giocare a calcio, a danzare o a suonare uno strumento siano effettivamente percepiti come “giochi”, come credono molti grandi, oppure no, e se - e in che misura - casa e scuola siano vissuti anche come luoghi di divertimento. Chiedere una buona volta ai bambini, e non ai soliti esperti, quanto, quando e con chi giocano, cercare di capire se la televisione e i videogiochi siano veramente la tomba della fantasia e del gioco creativo, scoprire se oggi, come un tempo, esistano radicali differenze nelle modalità di gioco tra maschi e femmine, se i paesi offrano o meno luoghi adatti ai bambini, se i genitori si sentano ancora sicuri a lasciare giocare i figli da soli.

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24 INTRODUZIONE

Queste e molte altre domande stanno alla base delle ipotesi generali che, un po’ alla volta, hanno generato i quesiti che formano il questiona-rio sul gioco. Senza la pretesa di dare risposte definitive, ma animati solo dal desiderio di offrire, giocando un po’ con la metodologia delle scienze sociali, qualche occasione di riflessione, si procederà dunque all’illustrazione dei dati raccolti, cercando di fornire poche chiavi di lettura e di lasciare così al lettore la libertà di interpretarli. Con la speranza di riuscire a offrire elementi utili a chi, senza fini meramente utilitaristici, ha posto la conoscenza e la cura dell’infanzia fra le priorità più nobili nella gestione della cosa pubblica.

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Parte Prima

L’INDAGINE

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Come è nata la ricerca

1. Prima fase: anno scolastico 2002-2003

L’occasione per realizzare questa ricerca si è presentata nel corso dell’anno scolastico 2002-2003. Nell’ambito delle iniziative finalizzate all’inserimento della Città della Quercia nel circuito delle Città educati-ve, coordinate su incarico del Comune dall’associazione Nexus Culture, si è deciso di promuovere e realizzare una serie di progetti di cono-scenza e sensibilizzazione della popolazione roveretana riguardo a un fenomeno fondamentale per lo sviluppo e la formazione del bambino: il gioco. Nello specifico, il compito affidato al gruppo di ricerca dell’Istituto F. Filzi consisteva nel monitorare, attraverso un’inchiesta che si sarebbe dovuta concretizzare nella produzione e somministrazio-ne di questionari, le diverse esigenze ludico-educative degli alunni delle scuole elementari roveretane, e intervistare insegnanti e amministratori riguardo al tema in questione.

L’interesse condiviso dalla quasi totalità dell’allora classe III A del Li-ceo delle Scienze Sociali per l’universo dell’infanzia, unito alla volontà di approfondire la conoscenza delle tematiche legate al gioco attraverso una ricerca svolta sui bambini degli istituti comprensivi, ha spinto le alunne e gli alunni a ripensare il loro essere “classe” costituendosi come gruppo di studio e di lavoro allo scopo di svolgere, per conto di enti e istituzioni, ricerche di carattere sociale riguardo a temi di interesse comune. Si è così ricostituita nella scuola l’associazione cooperativa scolastica “L’isola che non c’è”, nata qualche anno prima con l’ambizione di favorire, attraverso indagini e azioni sul territorio, una maggiore conoscenza della realtà locale e di fornire qualche indicazione per

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contribuire a migliorare la qualità della vita in città. La forma della cooperativa scolastica è sembrata da subito la più adatta a garantire la collaborazione all’interno del gruppo, in quanto consente ai ricercatori una sufficiente autonomia decisionale ed è in grado di creare la coesione necessaria a favorire l’emergere dell’originalità e della creatività dei singoli. Una spinta motivazionale importante è stata inoltre data dalla possibilità di cimentarsi concretamente con la ricerca sociale, acquisen-done le tecniche e sperimentandone le difficoltà, oltre che dalla prospet-tiva che gli esiti dell’indagine sarebbero diventati di pubblico dominio.

In seguito al confronto con un docente universitario esperto in di-dattica e pedagogia, il professor Marco Dallari, e con il responsabile della Ludoteca roveretana Antonio Bolognesi, è stata costituita un’area di ricerca di due ore settimanali, all’interno dell’orario scolastico, finaliz-zata all’ideazione e realizzazione del progetto stesso. Per poter affronta-re al meglio la ricerca si è proceduto a un’indagine compilativa, concernente sia le più recenti teorie riguardanti il gioco sia le stesse tecniche fondamentali della ricerca sociale. Lo scopo era duplice: com-prendere che cosa intendono per “gioco” psicologi, pedagogisti e sociologi, e come i professionisti sviluppano, ciascuno secondo i propri indirizzi disciplinari, l’indagine sociale sull’universo dei bambini.

Questo lavoro ha impegnato a lungo i ricercatori, dando vita in pri-mo luogo a un progetto di ricerca in cui evidenziare, sulla base delle scelte compiute e delle esigenze della committenza, gli scopi, le modali-tà, i tempi e la tipologia dell’indagine avviata, e impostando successiva-mente una serie di bozze di possibili interviste sul gioco da somministrare ai bambini. Per garantire all’indagine una validità scientifi-ca è stata contattata la dottoressa Delia Baldassarri, sociologa e ricerca-trice del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Trento, la quale ha fornito agli studenti preziose informazioni riguardo agli strumenti di indagine sociale, illustrando in modo semplice e stimo-lante come si struttura e somministra concretamente un questionario. La sua consulenza è servita innanzitutto a chiarire i molti dubbi che erano sorti riguardo alle modalità di campionamento, alle differenti età dei bambini, al lavoro sul campo e, più in generale, alle potenziali insidie e difficoltà che un’indagine sociologica può presentare. È stato proprio grazie al suo contributo che il progetto originario di un’intervista ai

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bambini ha preso la forma di un questionario illustrato. Sua è stata infatti l’intuizione di fare dei disegni l’elemento centrale e caratterizzante dello strumento di ricerca, idea che è risultata vincente, soprattutto nella fase di somministrazione, rendendo il questionario più vicino al “mondo dei bambini” e fruibile a soggetti di età diverse. Grazie al suo intervento l’indagine ha preso quindi una direzione ben precisa, orientandosi verso un questionario con figure disegnate dalle ricercatrici stesse.

Nel frattempo, su iniziativa degli insegnanti, è stata effettuata una vi-sita a Mogliano Veneto, una vera e propria “città dei bambini”, che da molto tempo mette in atto iniziative e progetti a favore dell’infanzia. Questa uscita è stata utile a evidenziare i problemi che un’amministrazione attenta e sensibile al mondo dell’infanzia affronta per venire incontro alle esigenze dei più piccoli, e ha permesso di individua-re una serie di variabili concrete, rivelatesi fondamentali alla costruzione dell’inchiesta.

Una volta ultimato lo strumento di indagine, si è deciso di sommini-strarlo in via sperimentale a un campione di individui. Lo scopo era quello di testarne l’efficacia e rilevare eventuali problemi di comprensio-ne delle richieste da parte dei bambini. Per effettuare questa sperimen-tazione si è limitata l’indagine alla popolazione degli alunni delle scuole elementari di Rovereto. Assegnato un numero progressivo a ciascun istituto comprensivo, tramite un’estrazione casuale sono state sorteggia-te prima quattro scuole e successivamente due classi per ciascun istitu-to. Ottenuto dai dirigenti il permesso di distribuire il questionario, le uscite sul campo si sono svolte senza intoppi, consentendo la raccolta di una discreta quantità di dati e, soprattutto, l’identificazione di una serie di problemi relativi sia alla strutturazione dello strumento sia alla sua stessa somministrazione.

1I. Seconda fase: anno scolastico 2003-2004

L’intervento della dottoressa Baldassarri ha dunque segnato la prima, fondamentale tappa del lavoro di ricerca, trasformando l’indagine sul gioco da intervista a “questionario illustrato”. La creazione e sommini-

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strazione di uno strumento di questo tipo, oltre a risultare da subito assai più motivante per i ricercatori stessi, si è rivelata, nel corso della sperimentazione sulle otto classi campionate fra le scuole di Rovereto, sufficientemente immediata e di facile interpretazione, in grado di stimolare le capacità associative dei bambini senza minacciarne la spon-taneità. Allo stesso tempo il questionario illustrato era apparso di gran lunga meno invasivo rispetto all’ipotesi iniziale di intervistare i bambini uno alla volta, proponendo loro una serie di quesiti a risposta multipla; esso era inoltre molto più divertente e interessante. Il tutto si era rivelato per i ricercatori un buon addestramento al lavoro sul campo, consentendo loro di confrontarsi con le difficoltà tecniche e relazionali tipiche di un’inchiesta su individui non sempre facilmente gestibili quali sono i bambini. Le schede di rilevazione, compilate per ciascuna delle otto uscite, comprendevano, accanto all’indicazione di scuola, classe e numero degli alunni presenti, quella relativa alla data, all’ora e alla durata della somministrazione, nonché il nome degli intervistatori presenti (almeno sette per ciascuna classe). In esse veniva anche descritto in modo minuzioso tutto lo svolgimento delle operazioni, prestando particolare attenzione alle difficoltà di gestione del gruppo classe, all’atteggiamento più o meno collaborativo o invasivo dell’insegnante eventualmente presente e, soprattutto, ai problemi di comprensione dichiarati dai soggetti rispetto alle varie sezioni del questionario. Lo spoglio e la tabulazione dei dati provvisoriamente raccolti ha infine permesso di effettuare una serie di osservazioni sulla complessità e/o scarsa significatività di alcune domande.

La revisione dello strumento, sulla base delle informazioni raccolte nel corso della prima sperimentazione sul campo, è iniziata nel settem-bre 2003, per conto non più del Comune di Rovereto, bensì dell’Assessorato all’Istruzione del Comprensorio 10, il quale, grazie alla mediazione della dottoressa Igea Boni, ha dimostrato da subito un sincero interesse per la ricerca, l’effettiva disponibilità a sostenerne i costi e la volontà di pubblicarne gli esiti a uso di scuole e insegnanti. L’indagine offriva infatti la possibilità di ottenere informazioni concrete e precise circa gli spazi, i tempi e le reali necessità di gioco dei bambini di età compresa fra i 6 e gli 11 anni che frequentano gli istituti comprensivi della Vallagarina, nell’eventualità di attivare servizi atti a soddisfare, oltre

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ai bisogni di carattere formativo ed educativo, esigenze pratiche legate alla gestione extrascolastica dei bambini, creando anche nel territorio extracittadino e paesano opportunità di incontro e divertimento, sia in sinergia con le scuole sia fuori dall’orario scolastico.

A partire dunque dai rilievi fatti nel corso della sperimentazione, il questionario ha subito una serie di importanti modifiche: una volta emendato dalle parti rivelatesi in prima istanza di difficile comprensione o di complessa formulazione, è stato riadattato alle diverse condizioni della nuova popolazione interessata dall’indagine. Durante questa fase di revisione e taratura dello strumento è stata fondamentale la consulenza della professoressa Francesca Odella, docente di Metodologia delle Scienze sociali presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento e esperta di inchieste, che ha anche seguito le delicate fasi preparatorie all’ingresso sul campo. Il suo contributo ha permesso che lo strumento venisse reso molto più agile rispetto alla versione originaria; le sue indicazioni hanno inoltre fatto sì che il reperimento delle liste di cam-pionamento e l’estrazione del campione avvenissero nel modo più rigoroso possibile, evitando ingenuità che avrebbero potuto alterare il valore probabilistico della scelta. Infine i suoi suggerimenti pratici riguar-do alle modalità di somministrazione hanno consentito di prevenire possibili situazioni di scarsa attenzione e collaborazione da parte dei soggetti.

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Il questionario illustrato∗ Pagina 1

∗ Qualsiasi utilizzo del questionario sul gioco, o di una o più delle sue parti, va autorizzato dagli autori della ricerca.

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Il lavoro sul campo

1. La scelta del campione

Il reperimento della lista di campionamento, cioè della lista completa degli Istituti della Vallagarina, con indicati classi, sezioni e numero degli alunni del Comprensorio2, è stato ottenuto grazie alla preziosa collabo-razione della dottoressa Igea Boni, che ha seguito da vicino l’intero sviluppo dell’indagine. Una volta ottenuta la lista, si è proceduto al campionamento, cercando da una parte di garantire la massima scientifi-cità possibile alle operazioni, per ottenere un campione veramente rappresentativo della popolazione, e dall’altra di salvaguardare la privacy di bambini e famiglie. Si è deciso dunque di assegnare a ogni bambino un codice alfanumerico, che comprendesse la sigla del paese, la classe e la sezione di appartenenza, nonché il numero progressivo, per identificare il singolo alunno a partire dal registro giornale di classe nella fase di somministrazione vera e propria3.

2 Nella lista di campionamento non erano indicati, per motivi di privacy, i nomi dei bambini, bensì per ogni classe e sezione solamente il numero complessivo degli alunni. Ciò non ha dunque permesso di conoscere in anticipo le percentuali di femmine e di maschi e strutturare il campione in modo da rifletterne le proporzioni. 3 Per esempio, “VIL III A 12” rappresenta il bambino che si trova alla posizione numero 12 del registro della classe III, sezione A della scuola di Villa Lagarina.

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Su suggerimento del professor Tiziano Beltrame, insegnante di stati-stica, consulente e collaboratore stabile della ricerca, sono stati estratti con un campionamento casuale semplice 4 campioni di 50 soggetti ciascuno (campione di 1a, 2a, 3a, 4a scelta), per un totale di 200 soggetti utili su una popolazione scolastica complessiva di 2.352 alunni4. I quattro diversi campioni avrebbero assicurato la scientificità della ricerca, dando la possibilità di confrontare e incrociare i dati raccolti e aumentandone perciò le garanzie di attendibilità. Le sigle dei soggetti estratti sono poi state trascritte su apposite liste suddivise per scuole, aggiungendo un secondo codice alfanumerico indicante il numero progressivo di estra-zione e il campione di appartenenza5. È stato poi annotato, oltre al codice individuale, il numero progressivo di estrazione, redigendo così la prima lista ufficiale di soggetti da intervistare.

SCUOLE

ALUNNI ISCRITTI

% (SUL TOTALE)

CAMPIONE % (SUL TOTALE)

ALA (IST. COMPRENSIVO ALA) 342 14,5 27 13,5 AVIO (IST. COMPRENSIVO AVIO) 141 6,0 16 8 BESENELLO (IST. COMPRENSIVO VOLANO-ROVERETO NORD) 87 3,7 7 3,5 BRENTONICO (IST. COMPRENSIVO BRENTONICO) 156 6,6 9 4,5 CALLIANO (IST. COMPRENSIVO VOLANO-ROVERETO NORD) 71 3,0 5 2,5 FOLGARIA (IST. COMPRENSIVO FOLGARIA) 97 4,1 6 3 ISERA (IST. COMPRENSIVO ISERA-ROVERETO) 105 4,5 9 4,5 MOSCHERI (IST. COMPRENSIVO ROVERETO EST) 35 1,5 0 0 MORI (IST. COMPRENSIVO MORI) 396 16,8 41 20,5 NOGAREDO (IST. COMPRENSIVO VILLA LAGARINA) 71 3,0 5 2,5 NOMI (IST. COMPRENSIVO VILLA LAGARINA) 64 2,7 4 2 POMAROLO ( IST. COMPRENSIVO VILLA LAGARINA) 121 5,1 11 5,5 RONZO (IST. COMPRENSIVO MORI)* 45 1,9 2 1 S. FELICE (IST. COMPRENSIVO MORI) 37 1,6 1 0,5 SABBIONARA (IST. COMPRENSIVO AVIO) 79 3,4 8 4 SERRAVALLE (IST. COMPRENSIVO ALA) 123 5,2 10 5 TERRAGNOLO (IST. COMPRENSIVO ROVERETO EST) 15 0,6 0 0 VALLARSA (IST. COMPRENSIVO ROVERETO EST) 34 1,4 5 2,5 VILLA LAGARINA (IST. COMPRENSIVO VILLA LAGARINA) 177 7,5 17 8,5 VOLANO (IST. COMPRENSIVO VOLANO-ROVERETO NORD) 156 6,6 17 8,5 TOTALE 2352 100 200 100

Elenco della popolazione e del campione suddiviso per scuole (anno scolastico 2003/2004)

4 Il campionamento è stato effettuato scrivendo le sigle dei singoli bambini su altrettante strisce di carta che, raccolte tutte in un cestino, sono state successivamente estratte a sorte. 5 Per esempio, “7/B” rappresenta il soggetto estratto per settimo appartenente al campio-ne di seconda scelta.

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Per completare le informazioni relative al campione è stata inserita nel questionario illustrato una domanda relativa all’età dei soggetti intervi-stati. Come si può osservare nella tabella successiva, la distribuzione delle percentuali medie dei bambini complessivamente intervistati copre in maniera relativamente uniforme le età comprese fra i 6 e i 10 anni.

ETÀ ALUNNI Campione 1 Campione 2 Campione 3 Campione 4 MEDIA

Sei 17 % 34 % 19 % 10,5 % 20 %

Sette 17 % 10,5 % 27 % 17 % 18 %

Otto 17 % 15 % 19 % 23,5 % 18,5 %

Nove 21 % 13 % 10 % 23,5 % 17 %

Dieci 26 % 17 % 19 % 23,5 % 21,5 %

Undici 2 % 10,5 % 6 % 2 % 5 %

Percentuali approssimate al primo numero decimale

Per quanto riguarda invece la percentuale dei maschi e delle femmine rispetto al totale dei soggetti, ci si accorge facilmente, osservando il grafico successivo, di come le bambine siano meno rappresentate dei bambini.

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

Ala Avio

Besen

ello

Brent

onico

Callian

o

Folga

ria

Isera

Mosche

ri Mori

Nogare

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Nomi

Pomar

olo

Ronzo *

S. Fe

lice

Sabb

ionara

Serra

valle

Terra

gnolo

Vallar

sa

Villa La

garin

a

Volano

% popolazione s u totale % campioni s u totale

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Di fatto sono stati intervistati 116 maschi (59%) contro 82 femmine (41%)6. Questa significativa sproporzione è dovuta anche al fatto che ci si aspettava dalla randomizzazione un equilibrio fra i sessi maggiormente rappresentativo dello stato reale della popolazione complessiva degli alunni delle scuole elementari della Vallagarina. Cosa che purtroppo non è accaduta.

1I. La presa di contatto

Prima di iniziare il lavoro vero e proprio di somministrazione del que-stionario illustrato, rivisto e modificato alla luce della sperimentazione sulle otto classi campione di Rovereto e dei suggerimenti della professo-ressa Odella, sono stati stabiliti i contatti con i dirigenti degli istituti comprensivi, chiedendo la loro disponibilità a partecipare all’indagine. In un eccesso di ottimismo si è sottovalutata la difficoltà di tale operazione,

6 116 maschi e 82 femmine danno un totale di 198 soggetti. Come verrà illustrato in seguito, per volontà dei loro insegnanti non hanno compilato il questionario i 2 bambini della scuola di Ronzo-Chienis. Pertanto il campione effettivamente utile all’indagine non è costituito da 200 soggetti, bensì da 198.

Suddivis ione del campione per sess i

59%

41%

mas chi femmine

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ritenendo quasi scontata la collaborazione da parte di dirigenti e inse-gnanti. In ogni caso la fase di “presa di contatto” si è svolta secondo la seguente procedura: a. Contatto telefonico informale da parte del Comprensorio La dottoressa Igea Boni ha contattato telefonicamente i dirigenti degli istituti interessati dall’indagine, preannunciando una lettera da parte del gruppo di ricerca nella quale si sarebbero spiegate in dettaglio le modali-tà di svolgimento della stessa ricerca. Il Comprensorio chiedeva così la collaborazione degli utenti, in particolare di insegnanti e dirigenti, al fine di raggiungere agevolmente gli obiettivi stabiliti e ottenere il maggior numero possibile di informazioni utili. b. Contatti ufficiali da parte della scuola Lettera È stata predisposta una lettera indirizzata all’attenzione di dirigenti e fiduciari delle varie scuole, nella quale si spiegavano brevemente e in maniera essenziale i connotati e le finalità dell’indagine, le modalità con cui erano state scelte le scuole, e in cui si richiedeva la disponibilità a far compilare il questionario agli alunni sorteggiati e ad identificare alcuni insegnanti che potessero fungere da referenti diretti. Alla lettera era inoltre allegata la lista dei codici alfanumerici dei bambini della scuola facenti parte del campione. Fax e telefonata di preavviso Visti i tempi molto ristretti, si è deciso di contattare telefonicamente i singoli istituti e di anticipare via fax il materiale per la presa di contatto, approfittando della telefonata per chiarire eventuali dubbi da parte della scuola e ottenere il nome di un referente. Telefonata o visita di conferma Dopo la prima presa di contatto, si è telefonato alle 18 scuole seleziona-te e in alcune si è andati di persona per ottenere, non senza difficoltà, l’autorizzazione da parte di dirigenti e insegnanti e gli appuntamenti per procedere alla somministrazione del questionario.

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1II. La somministrazione del questionario

Il gruppo operativo dei ricercatori, formato da 11 ragazze e 1 ragazzo, è stato suddiviso in 6 coppie. Ciascuna di queste ha dunque operato in 3 scuole, scelte anche in base a criteri di razionalizzazione degli sposta-menti, visto che ciascuna coppia era costretta a muoversi con mezzi pubblici o propri per raggiungere le sedi scolastiche prefissate. I que-stionari sono stati somministrati nel corso delle tre giornate previste nelle classi quarte del Liceo delle Scienze sociali per il microstage e le relazioni sulle singole esperienze sono state valutate nell’ambito di tale esperienza curricolare. Su suggerimento della professoressa Odella, all’interno di ciascuna coppia di intervistatori sono stati previsti e messi in atto due ruoli distinti: uno (il “buono”) doveva recitare la parte della persona accomo-dante e simpatica, disponibile al gioco e sensibile alle difficoltà manifesta-te dai bambini; l’altro (il “cattivo”) doveva invece presentarsi con piglio severo e determinato, più serio e dotato di polso, proprio per prevenire e contenere eventuali cali di concentrazione o un’insufficiente collabora-zione da parte dei bambini. Le regole per la somministrazione erano semplici:

- essere sempre gentili e concilianti, in particolare con insegnanti e dirigenti, anche di fronte a eventuali sfacciataggini;

- non indirizzare i bambini nella stesura del questionario; - annotare sulla prima pagina del questionario i due codici alfanume-

rici dei soggetti; - sostituire i soggetti eventualmente assenti con soggetti possibil-

mente della stessa sezione, classe, età e sesso, scegliendo il bambi-no immediatamente precedente o successivo nell’ordine alfabetico a quello non presente e segnando su un apposito modulo l’avvenuta sostituzione e il codice alfanumerico del nuovo soggetto;

- osservare con attenzione la struttura dell’edificio scolastico e il comportamento di insegnanti e personale ATA, per poter compila-re al meglio la scheda di rilevazione.

Per quanto riguarda invece la dotazione specifica delle coppie di rilevato-ri, essa consisteva in una cartella con indicati sulla copertina i nomi delle tre scuole interessate dalla loro ricerca e contenente al proprio interno:

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- tre elenchi (uno per ciascuna scuola) con i codici alfanumerici dei soggetti estratti, raggruppati per scuole, e lo spazio per annotare eventuali assenti e sostituti;

- cinque copie della “scheda di rilevazione”, delle quali due di riserva; - una copia dell’elenco delle scuole, con nome dei referenti e data e

ora dell’appuntamento; - le copie in bianco del questionario necessarie, insieme ad alcune

copie in più da utilizzare in caso di errori e/o da lasciare agli inse-gnanti che ne avessero fatto richiesta.

Nonostante la grande attenzione prestata nella prima fase di contatto e le molteplici rassicurazioni da parte dei dirigenti che nelle singole scuole si sarebbero trovati referenti incaricati di seguire gli sviluppi del lavoro, a volte i rilevatori sono stati costretti a imprevisti sforzi di spiegazione e convincimento davanti a insegnanti ricalcitranti e poco disponibili. Ciononostante, solo nel caso di una scuola, quella di Ronzo Chienis, non è stato assolutamente possibile effettuare la rilevazione per decisione delle insegnanti7. Fortunatamente facevano parte del campione solo due alunni di questa scuola. Nel corso della rilevazione ci si è attenuti, per quanto possibile, alle regole di somministrazione stabilite in precedenza, non senza incontrare ostilità, spiacevoli sospetti, talvolta persino tentati-vi di manomissione del questionario da parte di alcuni insegnanti e dirigenti. Le somministrazioni sono durate in media un’ora e sono state seguite dalla compilazione della scheda di rilevazione e dal resoconto scritto dello svolgimento del lavoro stesso. Al di là di qualche fisiologico mugugno e qualche inaspettata reazione, dalle stesse schede di rilevazio-ne si evince una buona disponibilità da parte della maggioranza degli insegnanti a collaborare all’indagine. Essi manifestano infatti una grande

7 Questo è quanto scrivono, al riguardo, le ragazze nella scheda di rilevazione: «Il giorno 18 febbraio 2004 avremmo dovuto somministrare il questionario a due bambini, rispetti-vamente di I e di II, della scuola di Ronzo Chienis. Gli insegnanti, cambiando però opinione all’ultimo momento, nonostante avessero confermato la loro disponibilità il lunedì mattina, non hanno concesso che si intervistassero i due soggetti, adducendo come motivazione le non sufficienti garanzie per la privacy dei bambini offerte dal questionario, e il rischio che i due alunni potessero subire traumi a causa dell’indagine stessa. Ci è stato quindi impedito di svolgere in modo completo il nostro lavoro e raggiungere gli obiettivi previsti dall’intervento. Per fortuna è stato l’unico caso di scuola che non ha gradito la nostra presenza e il nostro progetto».

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consapevolezza riguardo sia alla fondamentale importanza del gioco nella vita del bambino sia alla conseguente necessità di migliorarne spazi, tempi e modalità.

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Parte seconda

ESPOSIZIONE DEI RISULTATI

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Luoghi del gioco

I. Ambienti di vita e spazi di gioco

Nelle moderne società occidentali i bambini che abitano in città sono spesso costretti a vivere in appartamenti di dimensioni ridotte e quasi sempre privi di giardino. Lo spazio per giocare, che per i piccoli è altrettanto se non più importante di tanti altri spazi, più o meno struttu-rati, dove trascorrono gran parte del loro tempo, rappresenta una dimensione assolutamente essenziale per il loro sviluppo fisico e psico-logico. Il gioco è, o meglio dovrebbe essere, l’attività più seria e più importante dell’infanzia. Ma se a parole tutti coloro che, a vario titolo e nelle modalità più diverse, si occupano dell’età infantile, concordano con la necessità di riservare al gioco dei bambini spazi e tempi adeguati, i fatti sembrano andare in tutt’altra direzione. E succede così che nelle abita-zioni raramente vi sia uno spazio esclusivamente dedicato al gioco, che i giocattoli in giro siano sinonimo di confusione, uno degli ostacoli princi-pali al mantenimento di un ambiente domestico ordinato.

Allo stesso modo le scuole: una volta lasciata la scuola dell’infanzia, i bambini si trovano paracadutati improvvisamente negli ambienti spesso asettici e fortemente strutturati delle classi, funzionali solo alla trasmis-sione di conoscenze e spesso inadatti a trasformarsi in spazi di gioco, mentre all’esterno cortili di cemento soddisfano soltanto le esigenze di parcheggio di bidelli e insegnanti.

E che dire dei parchi? Quelli considerati “belli” dagli adulti rispondo-no esclusivamente a un superiore criterio di ordine e di equilibrio, a canoni efficientistici e pseudonaturalistici, dove ogni cosa sta al suo posto: i fiori, le piante, le fontane e, naturalmente, i bambini e i loro

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giochi sono destinati ciascuno a spazi prestabiliti e rigorosamente delimitati. Quelli invece meno strutturati, più selvaggi e misteriosi, sono agli occhi dei grandi “brutti e sporchi”, ridotti spesso a latrine per cani di cittadini maleducati.

Di fatto il gioco non si deve svolgere necessariamente in zone inseri-te nel verde, opportunamente attrezzate con particolari strutture, anche se indubbiamente queste possono dare ulteriori stimoli alla fantasia e favorire l’attività motoria dei bambini. Esso può avvenire ovunque si creino le condizioni affinché i bambini possano muoversi e sviluppare la loro socialità e immaginazione. Limite fondamentale dei campi da gioco, oltre al fatto di essere progettati da adulti spesso digiuni delle più elementari nozioni di pedagogia, è proprio quello di essere “strutture”, nelle quali ai bambini rimane poco spazio per scegliere liberamente tempi e modalità del gioco. Sono luoghi che spesso sacrificano la libera espressione ludica dei bambini all’ansia dei genitori, o degli adulti che se ne prendono cura, di garantire loro un’assoluta sicurezza, e non tengo-no in alcun conto il fatto che senza spazi in cui è possibile infrangere le regole e assumersi qualche rischio controllato, inesorabilmente vengono meno quelle forme di ebbrezza e di vertigine che sono elementi fonda-mentali del gioco stesso.

Gli spazi ludici autentici, però, più che luoghi fisicamente individuabili e circoscritti «sono più che altro occasioni, situazioni per giocare anche solo per un tempo limitato, e forse senza “premeditazione”: sono come nicchie nella realtà, protette dal vento che fischia. Il problema è che queste nicchie ludiche dovrebbero esistere in tutti gli spazi vitali: nell’abitazione, nella casa, nella dispensa, in cantina, in cortile e nel giardino, al parco e per la strada, in piazza e al museo, dove c’è acqua e nel bosco in ogni luogo dove si svolge la vita»8. Luoghi deputati al gioco dovrebbero dunque essere tutti quelli in cui si svolge la vita di una comunità, perché «lo spazio ludico non può essere un ghetto nel quale i bambini vengono confinati, esso deve esserci dappertutto lì dove i bambini vivono»9. Se è vero infatti che il gioco è un diritto naturale, non

8 C. Beck, Interventi ludici mobili,, Comune di Friedrichshafen–Ufficio Giovani 1979, p. 2. 9 Ivi, p. 3.

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solo del bambino ma dell’essere umano in generale, esso dovrebbe poter essere sempre accessibile.

Tuttavia, queste riflessioni sembrano più consone alla complessità di una realtà metropolitana e la denuncia di una progressiva quanto perico-losa ghettizzazione degli spazi destinati al gioco appare in qualche modo lontana dalle esperienze delle piccole comunità della Vallagarina. Accan-to all’ottimismo di chi ritiene i bambini dei paesi sostanzialmente privile-giati rispetto a quelli delle città, perché nati e cresciuti in ambienti più adatti alle loro esperienze ludiche, che hanno luogo principalmente all’aperto, e caratterizzati da uno sviluppo urbanistico senza dubbio più a misura d’uomo, inizia a insinuarsi però in alcuni il sospetto che vi sia un mutamento di tendenza e che la speculazione edilizia, l’aumento dei costi delle case e le minori disponibilità economiche di molte famiglie mettano sempre più a repentaglio, anche nei centri abitati minori, l’ampia disponibilità di tali spazi ludici. In quest’ottica cercare di cogliere il punto di vista dei bambini risulta estremamente interessante per comprendere se è vero o no che le realtà paesane si stanno realmente trasformando in sobborghi urbani sempre meno a misura di bambino.

II. Gli esiti del questionario

Per rispondere a questi e altri interrogativi riguardo agli spazi in cui i bambini dei paesi della Vallagarina socializzano e fanno esperienze ludiche, si è cercato di individuare una serie di stimoli utili e di inserirli all’interno del questionario illustrato. Lo scopo era quello di registrare e comprendere, accanto alla percezione che i bambini hanno dei luoghi in cui trascorrono gran parte delle loro giornate, l’effettiva percezione di essi come spazi autenticamente ludici, per capire, interrogando finalmen-te i protagonisti, se i timori e le preoccupazioni dei grandi hanno riscon-tri nell’esperienza reale dei piccoli, o se si tratta, ancora una volta, del vecchio adagio “si stava meglio quando si stava peggio”.

Di fronte alla domanda “Sai dove abiti?”, il 93% dei bambini risponde affermativamente. La conoscenza generica evocata da questa richiesta viene confermata dalla capacità da parte di quasi tutti gli intervistati,

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indipendentemente dalla loro età, di indicare correttamente il nome del paese o della frazione dove vivono con le loro famiglie.

Per quanto riguarda invece le abitazioni, il questionario illustrato proponeva una serie di richieste volte da una parte a raccogliere infor-mazioni più “oggettive”, che rispecchiassero cioè le percezioni dei bambini riguardo alla tipologia degli edifici abitati e alla presenza o meno di giardini e cortili, dall’altra a registrare il livello di soddisfazione rispet-to alle case in cui abitano. Nello specifico le due principali tipologie di abitazione che i bambini riconoscono come simili alle proprie rispondo-no a una villetta o casa “monofamiliare” nel 31% dei casi, e a un edificio di medie dimensioni su più piani e con più appartamenti nel 57% dei casi. Il 7% dei soggetti dichiara invece di vivere in condomini composti di molte unità abitative e solo il 5% non sa rispondere alla domanda.

Conferma in parte il dato riguardo alla consapevolezza dei soggetti rispetto alle loro abitazioni la domanda “Nella tua casa abita solo la tua famiglia?”: a essa il 52% dei soggetti risponde di no, mentre la risposta è affermativa nel 45% dei casi. Questo dato sembra contrastare con il 31% che ha dichiarato di vivere in una monofamiliare, anche se la variazione potrebbe essere giustificata dal fatto che alcuni bambini potrebbero aver indicato l’edificio di medie dimensioni interpretando il disegno come una monofamiliare.

Tuttavia, più dell’individuazione delle percezioni che i bambini hanno delle loro abitazioni, risulta essere di maggiore interesse ai fini della ricerca determinare quanti di loro vivono in case dotate di un giardino e/o di un cortile. Come si può evincere infatti dai grafici seguenti, le risposte a tale domanda sembrano indubbiamente confortanti: esse indicano infatti una percentuale relativamente alta di bambini che hanno a disposizione spazi all’aperto in prossimità dei luoghi di abitazione dove poter giocare.

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Legata a questo dato è probabilmente anche la soddisfazione generale che essi manifestano riguardo al proprio luogo di abitazione: alla do-manda “Ti piace dove abiti?”, infatti, circa l’81% dei soggetti risponde

La tua casa ha il giardino?

64%

34%

2%

s ì no non ris ponde

Intorno alla tua casa c'è un cortile?

70%

25%

5%

s ì no non ris ponde

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“molto”, dove “molto” fra le quattro alternative proposte è quella che esprime l’indice di gradimento più alto (81%).

Tuttavia, le domande veramente cruciali relative ai luoghi del gioco sono quelle alle pagine 4, 8, e 10 del questionario illustrato. Da esse infatti è possibile comprendere quali luoghi i bambini associano più spontaneamente all’attività ludica, se preferiscono cioè i luoghi chiusi o quelli all’aria aperta e, infine, quanto sia costante la presenza di genitori o adulti durante il gioco. Dalle risposte date alla domanda “Dove gio-chi?”, in cui i soggetti potevano liberamente scegliere più opzioni fra le sei proposte, si nota che il luogo indicato con maggior frequenza risulta essere il parco, seguito dal giardino di casa, dalla palestra e ancora dal cortile di casa.

La maggior parte dei bambini intervistati sembra dunque preferire il gioco all’aperto nei parchi, anche se non è da trascurare il discreto numero di preferenze assegnate all’unica opzione di luogo chiuso vera-

Dove giochi?[Totale risposte 428]

127

88

105

92

5 92

0

20

40

60

80

100

120

140

Al parco In cortile In giardino In palestra In ludoteca In strada Nonrisponde

F

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mente significativa, la palestra10. Come era prevedibile, solo pochissimi soggetti sembrano conoscere la Ludoteca, mentre la strada risulta essere un luogo poco gettonato per giocare. Quest’ultimo dato è di per sé molto significativo, anche se facilmente prevedibile: la strada ha perso ormai la funzione di una volta, non è più il classico luogo di ritrovo e di gioco per i fanciulli, nei tempi in cui nei paesi il traffico era molto più contenuto e i bordi delle strade meno affollati di auto in sosta. L’alta preferenza riservata a giardini e cortili domestici è in sintonia con le risposte relative all’esistenza o meno di essi indicata in precedenza. La domanda “Giochi all’aperto?”, che apre la pagina 8 del questionario illustrato, conferma infine una sostanziale predilezione per i luoghi aperti. A essa infatti i bambini rispondono affermativamente nell’89% dei casi, contro il 7% di risposte negative (il 4% non risponde). Una questione di cruciale importanza legata al gioco in luoghi aperti è infine quella relativa alla sicurezza e alla necessità di sorveglianza da parte degli adulti. A questo proposito risultano particolarmente significa-tivi i dati che emergono dalle domande alla pagina 8 del questionario illustrato. In esse si chiede ai soggetti se quando giocano all’aperto vi sia sempre un adulto con loro. Come si può capire osservando il grafico, la maggior parte delle risposte oscilla fra il “sì” (27%) e il “qualche volta” (40%). Tuttavia, se la seconda di queste opzioni può lasciare adito al dubbio che alcuni soggetti abbiano scelto questa risposta semplicemente per non prendere una posizione netta, o perché troppo piccoli per capire il senso della richiesta, le percentuali quasi equivalenti dei “sì” e dei “no” ci forniscono un quadro abbastanza chiaro in cui prevalgono, anche se di poco, i bambini che dichiarano in modo deciso di giocare senza la presenza degli adulti. Questo dato, unito a quelli emersi dalle due domande successive, può indurci a ipotizzare che gli ambienti

10 L’indicazione della palestra come luogo di gioco risulta particolarmente interessante anche rispetto al rapporto che lega il gioco all’attività sportiva. Sembrerebbe infatti che i bambini vivano quest’ultima effettivamente come un’esperienza ludica, anche se questo semplice indicatore non è ancora sufficiente per approfondire adeguatamente la questione. Comprendere infatti quanto praticare sport e attività fortemente strutturate da regole e vincolate da orari e impegni fissi possa considerarsi effettivamente una delle manifestazioni ludiche dei bambini, è un aspetto di non poco conto che, al di là dei limitati risultati di questa nostra piccola indagine, tocca una delle questioni più complesse e dibattute relativamente al gioco dei bambini.

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paesani siano percepiti dai genitori come tutto sommato tranquilli, privi di pericoli e “a misura di bambino”.

Alla domanda “I tuoi genitori ti lasciano andare al parco?”, dove le quattro opzioni erano “da solo”, “con i grandi”, “con amici” e “non so”, la seconda risposta prevale con il 37% su un totale complessivo di 218 opzioni scelte11; il 27% delle risposte copre invece l’opzione “da solo”, e il 28% quella “con amici”. Ciò sembrerebbe rivelare, in parziale contra-sto con quanto poc’anzi affermato, una certa diffidenza dei genitori a lasciare andare i figli da soli al parco, preferendo che essi siano sempre accompagnati da un adulto o siano in compagnia di amici. Il dato potreb-be anche trovare una spiegazione se lo si incrocia con le età dei bambini: è facile infatti accorgersi che quasi il 40% dei soggetti intervistati ha un’età compresa fra i sei e i sette anni, forse troppo prematura per

11 Come per la domanda “Dove giochi?”, anche per questa e per quella successiva si è lasciata ai soggetti libertà di scegliere anche più di una opzione fra quelle proposte.

Quando giochi all'aperto c'è sempreun grande con te?

27%

29%

40%

4%

s i no qua lche volta non s o

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poter pretendere un’autonomia di movimento così ampia. Se questo fosse vero12 sarebbe confermata invece una sensibile fiducia da parte dei genitori e una sostanziale libertà di movimento dei bambini di età compresa fra gli otto e gli undici anni. Il dato potrebbe quindi essere interpretato in seconda analisi come un punto a favore della vivibilità dei paesi e del loro essere ancora a misura di bambino. Ulteriore conferma della percezione di un ambiente relativamente sicuro da parte di bambini e genitori è data dal fatto che alla domanda “Come raggiungi il posto [di gioco all’aperto]?” il 33% risponde “in bicicletta”, e il 42% “a piedi”.

Come era prevedibile, anche gli spazi chiusi vengono indicati come luoghi del gioco. Alla domanda generica “Giochi al chiuso?”, che apre la pagina 10 del questionario illustrato, i bambini rispondono infatti di sì nell’87% dei casi. Mettendo questo dato in relazione con quelli prece-denti, in particolare con le risposte relative alla domanda “Dove gio-chi?”, tra cui era volutamente scartata l’opzione “abitazione”, si può ipotizzare che, escludendo la palestra, il luogo di gioco al chiuso per eccellenza risulti essere di fatto la casa. Al di là di questo dato generalis-simo, però, la ricerca non è voluta, o forse non è potuta andare, sia per questioni legate alla privacy delle famiglie, che un certo tipo di domande avrebbero certamente sollevato, sia per l’oggettiva difficoltà metodolo-gica di una tale esplorazione.

12 Per scoprirlo basterebbe procedere a un ulteriore spoglio dei questionari, prestando attenzione alle risposte date alla domanda in oggetto in relazione all’età dell’intervistato.

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Modi e tempi del gioco tra famiglia, scuola e attività sportiva

I. La famiglia13

La famiglia è identificata comunemente in un nucleo sociale formato da due genitori di sesso opposto, che vivono insieme e allevano un numero variabile di figli, all’interno del quale ruoli, responsabilità, obblighi e privilegi sono diversamente distribuiti fra i membri che lo compongono. Tuttavia, rispetto all’opinione comune gli studiosi14, al di là dei differenti

13 Questo paragrafo prende spunto dallo studio curato da Carlo Buzzi il quale, pur essendo centrato sull’analisi dei nuclei famigliari di adolescenti e giovani trentini, offre uno sguardo di notevole interesse sulla situazione sociale generale in provincia. Dalla ricerca emerge, tra l’altro, come il valore medio dei componenti dei nuclei famigliari dei giovani trentini sia inferiore rispetto alla media nazionale. «Si rileva inoltre una netta maggioranza di famiglie nucleari originarie con uno o due figli e una piccola presenza di famiglie estese, tra le quali prevalgono i nuclei comprendenti i nonni o altri parenti rispetto a quelli formati da genitori e figli sposati. Infine circa un quinto dei giovani trentini vivono con la famiglia acquisita nella quale prevale la coppia senza figli rispetto a quella con figli. Vive da solo il 3,9% di ragazzi/e o in un piccolo gruppo residuale costituito da nuclei atipici in quanto composti da fratelli o persone non legate tra loro da rapporti di parentela o di partnership.» Tra modernità e tradizione: la condizione giovanile in Trentino. Un’indagine dell’Istituto IARD per la Provincia Autonoma di Trento, a cura di C. Buzzi, il Mulino, Bologna 2003, p. 73) 14 Non tutti, per la verità. La celebre distinzione fra ruoli “strumentali” e ruoli “espressivi” proposta nel loro studio del 1955 da T. Parsons e R. Bales, sembra proprio voler confer-mare la presunta “naturalità” dell’immagine tradizionale della famiglia “occidentale” moderna (T. Parsons e R. F. Bales, Famiglia e socializzazione, A. Mondatori, Milano 1974).

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schieramenti ideologici, hanno ormai preso coscienza dell’inadeguatezza di tale visione semplicistica, non soltanto in relazione a contesti socio-culturali diversi dal nostro, ma anche e soprattutto rispetto alle profon-de trasformazioni che la nostra stessa società ha subito e sta tuttora subendo sia in virtù di una lenta quanto inesorabile modificazione dei costumi, legata alla rivisitazione di una serie di valori e norme tradiziona-li che appaiono ormai desueti, sia per la trasformazione delle modalità di relazione che stanno alla base del nostro vivere associato. Fatte salve alcune situazioni particolari, il modello della famiglia “estesa”, basato cioè sulla coabitazione di diverse generazioni e di più coppie genitoriali, nel quale i figli crescono sotto l’autorità congiunta di parecchie persone adulte, sembra definitivamente tramontato e appartenere ormai alla storia sociale del nostro paese. Allo stesso tempo appare sempre più problematico identificare nuovi modelli onnicomprensivi di famiglia in grado di comprendere una quantità e una complessa varietà di esperien-ze di convivenza che non rientrano nei canoni generali degli approcci sociologici. Dato dunque per acquisito, nella società industriale e po-stindustriale, l’assoluto predominio della famiglia nucleare monogamica rispetto a quella estesa, lo stesso concetto di “famiglia” appare talvolta ambiguo prestandosi a un uso tutt’altro che univoco. Il gioco continuo di inclusione ed esclusione di alcune variabili fondamentali - come la coabitazione, il rapporto ugualitario fra marito e moglie, la trasforma-zione culturale dell’istituto del matrimonio e tante altre componenti - comporta notevoli difficoltà di semplificazione e generalizzazione circa i diversi indirizzi pedagogici sulla base dei quali oggi i bambini vengono allevati.

Per poter procedere all’indagine si è stati costretti, per esigenze di semplificazione, a dare per scontata, anche nei contesti comunitari dei paesi della Vallagarina, la netta prevalenza del modello famigliare nuclea-re formato da due genitori e da figli in un’unità abitativa propria. In questo modello ristretto intervengono spesso alcuni fattori che possono facilmente alterarne la struttura e la composizione fino alla disgregazione del tessuto originario o alla creazione di nuclei famigliari in qualche modo atipici, costruiti su modalità di rapporto del tutto inedite. Essi portano con sé tutta una serie di problemi, riguardanti in particolare la gestione e la custodia dei figli, solo parzialmente risolti attraverso il loro

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affidamento a istituzioni come il nido o l’attivazione di reti di parentela. Tuttavia, esplorare queste dimensioni, anche se estremamente interes-sante da un punto di vista teorico, è di fatto improponibile per una tipologia di ricerca come quella che ci siamo proposti con il questionario illustrato. Ci si è dunque limitati a raccogliere informazioni generali riguardo ai tempi e alle modalità del gioco in famiglia, puntando l’attenzione sulle esigenze di controllo da parte dei genitori rispetto alle attività ludiche dei propri figli e cercando di evidenziare orientamenti comuni o differenze sostanziali tra la particolare realtà dei paesi della Vallagarina e le tendenze generali legate al gioco riscontrate da altri studi o ricerche più approfonditi ed estesi.

II. La scuola e il tempo libero

La scuola è un’istituzione di grande rilievo nella società contemporanea, uno dei suoi fondamentali momenti di costruzione e sviluppo. Con la sua variegata organizzazione formale, l’elevato numero di specialisti e le apposite strutture architettoniche rappresenta, nella maggior parte dei paesi industrializzati, un servizio indispensabile dello “stato sociale”. Il fenomeno della scolarizzazione di massa, sviluppatosi dall’idea di un “diritto allo studio” estendibile a tutti i cittadini senza alcuna differenza, fa dell’obbligo di frequenza uno dei suoi aspetti principali. Tale fenome-no risponde, al contempo, a una serie di necessità e aspettative tipiche di una società complessa come la nostra, quali il favorire l’inserimento del singolo nella comunità di appartenenza e in un tessuto sociale in costante mutamento mediante strumenti di formazione adeguati; garan-tire l’efficienza e l’efficacia del sistema produttivo e del progresso scientifico e tecnologico; contribuire allo sviluppo di una cultura giovani-le; promuovere la socializzazione mediante l’imposizione di alcune regole fondamentali per l’inserimento nel mondo del lavoro, quali la disciplina, il rispetto dei ruoli e dei tempi, la puntualità. Infine la scolariz-zazione di massa e l’obbligo scolastico assolvono un’importante funzione di custodia dei bambini, aspetto tutt’altro che trascurabile, provocando di fatto una progressiva estensione del tempo scolastico nella vita

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quotidiana di ogni singolo fanciullo. Bambini e ragazzi si trovano così a trascorrere buona parte delle loro giornate - e gli anni della loro infanzia e adolescenza - all’interno delle scuole, viste dai genitori come un fattore rassicurante e un sostegno fondamentale per costruire il futuro dei propri figli.

Le aspettative che gli adulti ripongono nella formazione scolastica dei loro figli portano spesso a vedere la scuola come l’avvio di una carriera professionale onorevole, il primo passo verso la costruzione di un’identità professionale. Questa tendenza condivisa contribuisce a ridurre notevolmente lo spazio e il tempo dedicato alle attività ludiche all’interno dei programmi scolastici, a fare della scuola, insomma, il primissimo “luogo di lavoro”. Adulti ambiziosi e/o frustrati, una volta rimossi i ricordi legati alla propria infanzia, guardano sovente con so-spetto al gioco, considerandolo una perdita di tempo che potrebbe essere utilizzato dal bambino per attività in apparenza più utili o formati-ve. Il tempo extrascolastico, sempre più ristretto e compresso nelle ore tardopomeridiane e serali, viene il più delle volte investito in attività sportive fortemente strutturate e strutturanti, cosicché le giornate dei piccoli, scandite da orari e appuntamenti fissi, diventano così molto simili a quelle dei loro genitori, eternamente insoddisfatti della quantità e qualità del loro tempo libero15.

L’esigenza frustrata di avere spazi alternativi di espressione e pura ricreazione accomuna dunque adulti e bambini in una frenetica e logo-rante rincorsa all’efficienza e a una sorta di perenne “produttività”. Tuttavia, mentre gli adulti hanno la possibilità, e soprattutto la libertà, di ritagliarsi spazi di trasgressione e sperimentazione fondamentali per il loro benessere elementare, per i piccoli questa possibilità sembra essere negata dalle frustranti aspettative di genitori onnipresenti e onniscienti, incapaci di comprendere come la dimensione dell’evasione e del gioco permetta al bambino una salutare deposizione temporanea del suo

15 Sempre leggendo lo studio di Buzzi si scopre come ben il 27,5% degli adolescenti trentini di età compresa fra i 15 e i 17 anni dichiari di avere al massimo una o due ore di tempo libero al giorno. Il dato, pur non riferendosi direttamente ai bambini fra i 6 e gli 11 anni, oggetto della presente indagine, autorizza comunque a sospettare che per i più piccoli le cose non vadano di fatto molto diversamente, vista anche la larga diffusione in Trentino del tempo pieno.

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stesso ruolo di “figlio” e di tutte le attese riposte e responsabilità a esso connesse. Molto spesso, invece, l’autentico tempo libero si riduce, come si è detto, alle ore serali, scarsamente adatte all’attività ludica di bambini spossati dal peso di giornate interminabili e faticose e più propensi ad abbandonarsi più o meno passivamente davanti alla televisione.

III. Gioco e sport

Una delle attività più praticate da grandi e piccini durante il tempo libero è lo sport. Molto più che nell’adulto, nel bambino il corpo e il movimen-to sono fonte e mezzo privilegiato di apprendimento. Le consuetudini e i valori connessi alla pratica sportiva costituiscono inoltre una preziosa opportunità di socializzazione per bambini e ragazzi16. La scuola, tra l’altro, è uno dei primi luoghi in cui si evidenziano propensioni e disposi-zioni per particolari attività sportive. Attraverso l’esperienza motoria l’individuo inizia a costruire la propria personalità, imparando a cono-scere e controllare il proprio corpo. Lo sport dovrebbe però essere vissuto dai bambini essenzialmente come gioco, in quanto condivide con esso funzioni primarie connesse allo sviluppo psico-motorio quali l’esplorazione, la comprensione dello spazio, l’acquisizione di abilità fisiche, la fortificazione dell’organismo, la gestione delle proprie energie, l’aumento del senso di sicurezza e dell’autostima, la condivisione di uno spazio di movimento con altri, l’appropriazione dei ruoli sociali e sessuali degli adulti e, non ultimi, l’acquisizione e lo sviluppo di abilità logiche. In particolare gli sport di squadra, se vissuti come “giochi di gruppo”, soddisfano i bisogni di socializzazione dei bambini e contribuiscono allo

16 «Un’attività motoria ben condotta e consapevole può, in particolare in età evolutiva, costituire un grosso motore di crescita e di maturazione personale anche quando i processi di sviluppo siano turbati, modificati e alterati da difficoltà o da handicap, proprio perchè può favorire il recupero senso-motorio dello schema corporeo partendo dalla base prima dell’“io corporeo” come soggetto dell’esistenza individuale.» (M. Santini, Lo sport come training educativo e formativo in età evolutiva, conferenza tenuta all’ARCA, Prato, 2 ottobre 2004).

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sviluppo delle loro abilità sociali, anche attraverso il progressivo ricono-scimento e rispetto di regole condivise.

Un altro aspetto importante dal punto di vista formativo è che la pratica sportiva promuove nel bambino la separazione fisica dalla figura materna, aumenta le opportunità di relazionarsi con il mondo esterno e di compensare le proprie incapacità con la scoperta di nuove possibilità per accettare se stessi anche come esseri imperfetti. Vivere nuove esperienze e stringere legami affettivi fuori dal contesto famigliare fa parte delle dinamiche che fanno dello sport un’attività che addestra il bambino al controllo della realtà, a responsabilizzarsi e ad imparare ad accettare codici etici e norme di comportamento. La stessa dimensione agonistica dell’attività sportiva consente, attraverso il confronto con gli avversari, oltre all’espressione ritualizzata dell’aggressività e allo sviluppo dell’autodisciplina, l’accettazione della sconfitta e la presa di coscienza dei propri limiti.

Tuttavia, assimilare lo sport al gioco non implica ovviamente che en-trambi facciano parte della stessa sfera. L’essere un’attività svincolata da necessità e scopi esterni, fine a se stessa e automotivante, è tipico del gioco infantile, non certo di un campionato di calcio! Le ricerche psico-logiche sulla natura del gioco lo descrivono infatti come un’attività che trova principalmente in sé la propria gratificazione; il fine è di per sé qualcosa di secondario. Esso è inoltre fondamentalmente “finzione”, una simulazione spontanea di attività che sono dell’essere umano in quanto tale e quindi anche dell’adulto. Da questo punto di vista il gioco, in particolare quello infantile, rappresenta una sorta di “allenamento” a fare cose, a mettere in campo ed esercitare abilità legate all’utilizzo del corpo e della mente. Per acquistare il suo stesso valore educativo, è necessario che lo sport «recuperi le finalità psico-biologiche originarie integrandole in una “dimensione simbolica” del fare “come se”, senza eccessive riduzioni, semplificazioni, identificazioni e mercificazioni»17. Insomma, l’attività sportiva deve incorporare la stessa gratuità che è tipica del gioco.

Purtroppo il “diritto allo sport”, che dovrebbe essere garantito a tutti i bambini senza alcuna distinzione, è di fatto vincolato alle disponibi-

17 Ibidem.

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lità finanziarie delle famiglie e l’accesso alle strutture sportive diventa così una sorta di privilegio. Se lo sport diviene per i bambini fattore economico di discriminazione o addirittura esclusione, poiché il prati-carlo risulta sempre più oneroso, non solo i figli delle famiglie meno abbienti sono privati di fondamentali opportunità, ma finiscono per diventare sempre più succubi delle proiezioni di rivincita immaginaria di padri e madri, vittime della loro stessa ambizione. Con il pericolo che lo sport, oltre a non essere più un diritto, smetta di essere anche un gioco.

L’esagerata competitività legata a molte pratiche sportive, spesso colpevolmente incoraggiata dai genitori, ha come effetto la progressiva disaffezione dei bambini nei confronti di esse e il conseguente isolamen-to. A questo proposito suonano come monito le parole di Gianni Rodari, quando sottolineava la funzione educativa dello sport come cultura e partecipazione, dove si ha il pieno diritto di non essere cam-pioni e supereroi e di diventare adulti giocando con gli altri.

IV. Gli esiti del questionario

Un dato sicuramente confortante, che contrasta con le opinioni dei più pessimisti, emerge dalla domanda a pagina 3 del questionario illustrato. Circa il 91% dei soggetti infatti dichiara di giocare con i membri della propria famiglia, contro un 4% che invece risponde “no”. Questo fareb-be presumere che genitori e fratelli dei bambini oggetto dell’indagine riescano ancora a ritagliarsi nella loro giornata tempi da dedicare ai più piccoli. Se la maggioranza dei soggetti intervistati dichiara di giocare con i propri famigliari, sono naturalmente gli amici i partner preferiti. Contro infatti il 4,5% di bambini che dichiarano di non avere molti amici, vi sono ben il 90% che dicono invece di averne molti e di giocare spesso con loro. Rispetto infatti alla domanda “Quando giochi con i tuoi amici?” la netta prevalenza (77%) riservata all’opzione “Tutti i giorni”, contro il 12% di chi privilegia il fine settimana, autorizza a pensare che il bambino abbia frequenti occasioni di trascorrere del tempo con i compagni nel corso della settimana, mentre probabilmente il sabato e la domenica

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sono dedicati di norma alla famiglia. L’ipotesi è in parte corroborata dalle risposte alla domanda 2 della pagina 10 del questionario.

Come si può vedere nel successivo istogramma, alla domanda “Con chi giochi [al chiuso]?”, a pagina 10 del questionario, il numero complessivo delle risposte date dai soggetti alle opzioni “Da solo” e “Con gli amici” si equivalgono sostanzialmente, mentre le preferenze date al gioco con i genitori sono meno della metà. Le ultime due domande sono stretta-mente collegate alla successiva, che chiede esplicitamente se gli amici hanno libero accesso alle abitazioni. Questo dato, infatti, è particolar-mente interessante perché consente di comprendere se le case dei bambini sono effettivi luoghi di ritrovo e di gioco con gli amici oppure no, anche se va detto a scanso di equivoci che, così come è posta, la richiesta è poco affidabile, poiché potrebbe dare luogo a risposte poco sincere da parte dei soggetti: l’avere una casa aperta e accogliente è sentito infatti come fortemente desiderabile dalla quasi unanimità degli

Quando giochi con i tuoi amici?

77%

12%

10% 1%

Tutti i g iorni Il sa ba to e la domenica P ochiss imo Non risponde

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interpellati. Il 13% di risposte negative alla domanda “Vengono amici a casa tua?”, se unito al 5% dei “non so” (più facilmente interpretabili come dei “no” che come dei “sì”), rappresenta una percentuale relati-vamente alta di bambini ai quali è negata la possibilità di ricevere in casa amici e trascorrere in compagnia del tempo nell’ambiente a loro più familiare e perciò adatto alla socializzazione e al gioco.

Con chi giochi [al chiuso]?[totale risposte: 289]

119 117

50

3

0

20

40

60

80

100

120

140

Da s olo Con g li amici Con i genitori Non s o

F

Vengono amici a casa tua?

82%

13%

5%

S ì No Non s o

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Questo è sicuramente un segnale da non sottovalutare, poiché potrebbe indicare un progressivo isolamento delle famiglie.

Un altro dato interessante emerge alla pagina 3 del questionario, do-ve ai bambini si chiede di indicare se hanno animali domestici e, soprat-tutto, se giocano con loro. Apparentemente lontane dagli stimoli precedenti, le domande riguardanti gli animali risultano particolarmente significative se si pensa sia all’importanza degli animali domestici nello sviluppo cognitivo ed emotivo dei bambini sia al fatto che la presenza di un animale in famiglia può essere indicativa di idee e atteggiamenti prevalenti rispetto all’organizzazione della casa e alla gestione del tempo libero. Non a caso la domanda riguardo agli animali è presente nella stessa pagina del questionario illustrato in cui si invitano i bambini a presentare la propria famiglia e a specificare se sono soliti giocare o meno con i suoi membri. Nello specifico il 20% dei soggetti dichiara di non possedere animali di alcun tipo. Ciononostante, di fronte alle sei opzioni proposte dal quesito - i bambini potevano scegliere fra i disegni prestampati di un gatto, un cane, un uccellino, un pesce e un piccolo roditore (criceto), oppure disegnare loro stessi il loro animale in un apposito riquadro - le 278 risposte complessive (comprensive anche dell’opzione del non possesso di animali) fanno pensare a un numero elevato di bambini che ha più di un animale domestico. L’animale più diffuso nelle famiglie della Vallagarina è il gatto (23%), seguito a ruota dal cane (22%). Pesce e uccellino totalizzano ciascuno il 17% delle risposte, solo i 5% spetta al criceto e l’1% rispettivamente alla tartaruga e al coniglio.

Purtroppo, in fase di spoglio, non è stato possibile distinguere le non risposte alla domanda “I miei animali sono …” dalle risposte di chi, sempre nella stessa domanda, dichiarava di non possedere animali, in quanto l’opzione “non so” in questo caso risultava ambigua, né è stata presa in considerazione l’eventualità che i soggetti, pur non possedendo animali in casa propria, avrebbero comunque potuto dichiarare di giocare con loro. Questo svuota pertanto di buona parte del significato scientifico i dati raccolti intorno alla domanda “Giochi con loro [gli animali]?” e bisogna accontentarsi di un valore semplicemente indicativo. Nello specifico la maggioranza dei bambini ha dichiarato di giocare con animali (58% dei casi) contro un 20% di risposte negative e un 22% di

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“non so”. Il dato positivo è senza dubbio interessante, anche se poco attendibile visto che il restante 42% è difficilmente interpretabile.

I dati relativi ai tempi del gioco emergono dalle pagine 9, 11, 12 e 14 del questionario illustrato. Al bambino infatti si è chiesto di indicare i momenti della giornata che sono di norma dedicati al gioco all’aperto (pagina 9) e al gioco al chiuso (pagina 11). Per quanto riguarda invece le pagine 12 e 14, che si propongono di misurare i tempi trascorsi dai bambini davanti alla televisione e ai videogiochi, si preferisce fare un discorso a parte, legato alle tipologie di giochi preferiti e praticati normalmente dai bambini.

Alla domanda “Quando giochi all’aperto?” i soggetti rispondono co-me indicato nella seguente tabella.

QUANDO GIOCHI ALL’APERTO? SÌ NO NON SO

Al mattino prima di andare a scuola 4% 93% 3%

Durante il pranzo 5% 92% 3%

Dopo pranzo prima di fare i compiti 63% 33% 4%

Di pomeriggio mentre fai i compiti 14% 84% 2%

Di pomeriggio dopo aver fatto i compiti 84,5% 14,5% 1%

Durante la cena 4% 94% 2%

La sera dopo cena 34% 58,5% 7%

Dati con errore possibile pari a ± 0,5%

Le risposte date dai bambini dimostrano innanzitutto che essi hanno compilato in modo attento e preciso il questionario, individuando con una certa sicurezza i momenti della loro giornata dedicati al gioco all’aperto. Come era prevedibile, infatti, i dati dimostrano come, nella maggior parte dei casi, l’attività ludica sia scandita da una parte dagli appuntamenti del pranzo e della cena, dall’altra dagli orari e dagli impe-gni della scuola. Dopo aver rilevato, dai risultati piuttosto omogenei relativi al pranzo e alla cena come momenti di gioco, l’importanza di questi due appuntamenti quotidiani come ritrovo familiare e occasione di discussione più che come vera e propria opportunità di gioco, si può affermare che il momento di gran lunga più importante per il gioco all’aperto risulta essere il pomeriggio, una volta assolti gli impegni di

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studio, seguito dall’intervallo fra il pranzo e l’inizio dello svolgimento dei compiti. Solo un terzo dei bambini dichiara invece di giocare all’aperto dopo cena. In linea con i dati emersi riguardo ai tempi del gioco all’aperto sono anche quelli relativi al “gioco al chiuso”, salvo piccolissi-me variazioni.

QUANDO GIOCHI AL CHIUSO? SÌ NO NON SO

Al mattino prima di andare a scuola 11% 87,5% 1,5%

Durante il pranzo 7% 92,5% 0,5%

Dopo pranzo prima di fare i compiti 64% 33% 3%

Di pomeriggio mentre fai i compiti 11% 87% 2%

Di pomeriggio dopo aver fatto i compiti 88% 8% 4%

Durante la cena 3,5% 95% 1,5%

La sera dopo cena 33,5% 62% 4,5%

Dati con errore possibile pari a ± 0,5%

Da ciò si può facilmente dedurre che il tempo che i bambini utilizzano per il gioco dipende non tanto dal luogo in cui si trovano (chiuso o aperto) quanto dal tempo materiale che effettivamente possono dedica-re a esso. Per esempio: al mattino, durante il pranzo, nel pomeriggio e durante la cena sono logicamente impegnati in altre attività quali andare a scuola, mangiare e fare i compiti.

Nonostante l’alta prevedibilità dei risultati ottenuti, è opportuno sot-tolineare alcuni dati significativi, tutt’altro che scontati. Una minoranza non proprio trascurabile di soggetti dichiara infatti di giocare prima di andare a scuola o addirittura mentre fa i compiti, mentre la percentuale relativamente alta di bambini che giocano dopo cena potrebbe lasciar supporre che quello della televisione non sia proprio un dominio incon-trastato. Tuttavia, una quantificazione più precisa del tempo dedicato al gioco all’aperto la si può ricavare confrontando le tabelle con gli orari “ufficiali” della giornata dei bambini e chiedendo ai genitori quanto tempo effettivamente i bambini dedicano allo studio pomeridiano. Sollecitare i bambini a quantificare in maniera precisa il tempo che essi dedicano al gioco nel corso della giornata sarebbe stato, infatti, quanto-meno pretenzioso, oltre che, per molti versi, impossibile.

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Vecchi e nuovi giocattoli

I. Homo ludens

Gli specialisti considerano il gioco come un’attività seria e degna di attenzione, un’esperienza che è parte integrante della vita di una perso-na. In particolare il bambino, attraverso il gioco, sviluppa capacità cogni-tive e sociali, forma ed esprime la propria personalità. Nel rimando continuo tra i piani della fantasia e della realtà, che caratterizza in primo luogo l’esperienza ludica, il bambino investe tutta la sua concentrazione con evidente intensità emotiva. Se si osserva infatti il volto di un bambi-no mentre gioca accade molto spesso di vederlo teso e preoccupato, come se fosse alle prese con un vero e proprio lavoro, che in quanto tale presuppone impegno, responsabilità e l’assunzione di comportamen-ti multiformi, caratterizzati talvolta da una complessa mimica, nella quale ritmo, velocità, trasgressione e brivido possono diventare fattori deter-minanti.

Un tempo i giochi erano più semplici, capaci di trasmettere serenità e lasciare più spazio alla libera espressione della fantasia. I giocattoli moderni sembrano invece riprodurre sempre più il mondo degli adulti, con i suoi tempi, linguaggi e valori, riducendo sensibilmente gli spazi dell’immaginazione e della pura creatività infantile. Anche in una società frenetica come la nostra e in una vita quotidiana dai ritmi sempre più accelerati, il gioco rimane un prezioso momento non solo di pausa ricreativa, ma di crescita e di maturazione, un’occasione per accettare e in alcuni casi trasformare la realtà, un presupposto per la costruzione del Sé. Nonostante i bambini abbiano acquisito negli ultimi anni molti diritti e tutele, primi fra tutti quelli relativi all’educazione e alla forma-

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zione scolastica, e il fenomeno del lavoro minorile, almeno nelle società occidentali, sia stato fortemente ridimensionato, oggi rimane quanto mai necessario prendere coscienza dell’importanza fondamentale di tempi e spazi da destinare al gioco che per i bambini, più di ogni altra attività, rappresenta la vita. Il gioco è dunque un qualcosa di prezioso e come tale va difeso e garantito.

Lo psicologo e antropologo americano Brian Sutton-Smith, partico-larmente interessato alle tematiche relative all’infanzia e alle attività ludiche, nel suo libro intitolato Nel paese dei balocchi allarga la nozione di gioco, sottolineando, tra l’altro, il carattere consolatorio degli strumenti ludici, veri e propri dispensatori di serenità. Egli osserva e studia i giocattoli collocandoli in quattro contesti fondamentali diversi: la fami-glia, la tecnologia, le donazioni e il mercato.

All’interno della famiglia i giochi agiscono in vari modi: essi possono imporsi come vincolo e impegno tra genitori e figli, oppure funzionare come stimolo cognitivo e quindi incentivo all’isolamento del bambino. Dal punto di vista della relazione fra genitori e figli, quindi, i giocattoli costruiscono un legame affettivo e allo stesso tempo generano nel bambino desiderio di distacco e solitudine18. È un po’ come se i genitori lanciassero continuamente ai figli messaggi del tipo: «Ti regaliamo questi giocattoli per legarti a noi, ora però va a giocare da solo». Inoltre in famiglia il giocattolo può funzionare come elemento di consolazione; questo vale in particolare per i peluche, spesso scelti originariamente come oggetti di transizione e destinati a perdere con il tempo la propria importanza nell’universo del bambino, o utilizzati anche, e più semplice-mente, come oggetti compensatori nei momenti di solitudine. Sutton-Smith considera la relazione tra il bambino e i suoi peluche simile a quella con gli animali domestici e con i compagni immaginari.

I giocattoli, presi come oggetti in sé, sono strumenti a cui è affidato l’apprendimento manipolatorio del bambino. Da quando John Locke, che fu tra l’altro l’inventore dei cubi con le lettere per imparare l’alfabeto19, ne ha ribadito l’importanza centrale anche ai fini dell’educazione sociale,

18 Infatti, per usare le parole di Stefano Bartezzaghi, attraverso i giocattoli «la solitudine è il dono che il bambino fa ai genitori». 19 I cosiddetti “cubi di Locke”.

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i giocattoli hanno contribuito a trasmettere ai bambini non solo concetti e pratiche ma la stessa nozione individualistica di proprietà privata. Il giocattolo è insomma una conquista, una ricchezza, in una parola la “merce” del bambino. Metafisica, filosofia, antropologia e pratica del gioco costituiscono, nell’analisi di Sutton-Smith, un caleidoscopio in cui lo strumento giocattolo viene colto in una sua caratteristica poco nota: la mutevolezza. «Per i bambini è il loro agire motivato con questi veicoli simbolici (macchinine e bambole) più che le cose in sé, a costituire la natura del gioco. Così, quale che fosse il significato originale di giocatto-lo per coloro che li hanno costruiti, quando i bambini ci giocano questo significato è destinato ad essere tradito»20. Nelle mani del bambino che lo utilizza, infatti, ogni giocattolo assume una vita propria, indipendente dalle finalità di chi lo ha ideato e realizzato. Durante l’attività ludica il giocattolo si trasfigura, modifica la sua natura e i suoi significati rispetto alla realtà21.

Il giocattolo, insomma, è la cultura del bambino: a contatto con esso egli elabora saperi e poteri che lo mettono in relazione con quello che diventa il “suo” mondo. Difficilmente però la cultura del bambino viene compresa dalla cultura dell’adulto, giochi e giocattoli sono presenti in abbondanza nella società ma non nel dibattito culturale. Peraltro, secon-do Sutton-Smith, non esiste una vera “scienza del giocattolo” e questo rende impossibile una conoscenza approfondita, e scientificamente fondata, sugli effetti dei giocattoli sulla vita, sui comportamenti, sul carattere e sulla mentalità del bambino.

II. Breve storia del giocattolo

Se il giocattolo non è, tuttora, oggetto di una vera e propria analisi scientifica (e forse, fortunatamente, non lo sarà mai…), in grado di

20 B. Sutton-Smith, Nel paese dei balocchi: i giocattoli come cultura, La Meridiana, Molfetta 2002, p.313. 21 «La natura del giocattolo, da sola, non potrà mai dirci se il giocatore ne farà un uso di tipo prevalentemente mimetico nei confronti della realtà, vorrà parodiarla, o farà entram-be le cose.» (Ibidem)

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classificarne in maniera esaustiva tipologie e caratteristiche e definirne una volta per tutte l’ampia gamma di utilizzi possibili, è pur vero che una grande quantità di ricercatori, autori e istituzioni hanno cercato di ricostruirne la storia, raccogliendo documenti e testimonianze del passato più o meno lontano22. Come tutti i prodotti dell’ingegno umano, anche il giocattolo ha attraversato uno sviluppo storico, di cui possono essere individuate alcune tappe fondamentali legate alla sua evoluzione materiale e simbolica. Fare una storia, anche semplice ed essenziale, del giocattolo significa inoltre osservare l’intera l’avventura umana da un punto di vista inedito e per certi versi sorprendente.

La prima, vera affermazione storica del valore sociale e pedagogico del giocattolo risale al XVIII secolo, contemporaneamente all’attestarsi di un fervore tutto nuovo nei confronti della ricerca scientifica, quando viene a manifestarsi una progressiva e generale consapevolezza, da parte degli adulti, dell’importanza dell'impegno educativo e della responsabilità formativa nei confronti del bambino. È l’epoca in cui abili artigiani iniziano a ideare e costruire i primi rudimentali giocattoli animati, semplici nella fattura quanto ingegnosi nella progettazione, da esporre principalmente nelle fiere e nei mercati, diventando una delle espressioni più autentiche dell’arte popolare. L’affermarsi successivo della cultura romantica ottocentesca influenza anche la costruzione dei giocattoli e il modo di giocare dei bambini. L’infanzia trova piena collocazione in quel clima di trasognato idealismo, tipico del periodo, viene esaltata come universo dell’innocenza e della purezza, mentre l’accentuata sensibilità estetica e sentimentale fa del giocattolo un ideale luogo intermedio fra il mondo del bambino e la dimensione del fantastico.

Tuttavia, è a cavallo fra Ottocento e Novecento che la produzione dei giocattoli conosce una vera e propria età dell’oro. Tutte le arti e i mestieri, dallo stagnino al tornitore, dall'orologiaio al pittore, contribui-scono a dar vita a una rigogliosa e innovativa industria del giocattolo. Nella fabbricazione degli strumenti ludici vengono impiegati nuovi materiali, sperimentate nuove tecniche, utilizzati moderni congegni, fino a trasformare il giocattolo da creazione artigianale in vero e proprio

22 Si veda per esempio il “Museo del Giocattolo e del Bambino” di Milano (www.Museodelgiocattolo.it.).

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prodotto industriale. In Italia il mercato del giocattolo si sviluppa in ritardo rispetto agli altri paesi europei, per tutta una serie di ragioni sociali, storiche, culturali, prima fra tutte il persistente dominio di una cultura popolare che dava forma al suo senso artistico e creativo preva-lentemente nella sfera del sacro, per esempio nell'animare presepi e modellare figure votive.

L’instabilità politica e sociale, un senso diffuso di precarietà e males-sere, significativi eventi politici e militari, insieme all’inarrestabile svilup-po tecnologico e alla massiccia produzione industriale che caratterizzano il tormentato periodo fra le due guerre incidono in maniera evidente anche sulla fabbricazione dei giocattoli, che iniziano a diventare uno specchio fedele dei profondi mutamenti sociali in atto. È anche l’epoca in cui si affermano il cinema, il volo aereo, le imprese sportive delle olim-piadi, tutti ambiti che arricchiscono di nuove idee la creatività dei costruttori e dei designer. Aeroplanini, automobiline, modellini di navi: il mondo dei giocattoli tende ormai a riprodurre, in miniatura, il mondo degli adulti, ne è spesso un riflesso caricaturale.

L’universo ludico dei bambini ricalca sempre di più il mondo degli adulti, ne assorbe tendenze e trasformazioni, fino a incorporare, negli anni del Dopoguerra e del boom economico, le dinamiche della nascen-te società dei consumi. Sono gli anni della rinascita industriale e dell’ottimismo, delle grandi scoperte dell’elettronica, dei primi voli nello spazio, della cibernetica e del vertiginoso sviluppo dei mezzi di comuni-cazione di massa. I giocattoli diventano sempre più complessi, avveniri-stici fino a precorrere, in certi casi, gli stessi sviluppi della tecnica. La creatività dei costruttori tocca i massimi livelli e il giocattolo diviene prodotto industriale, destinato a un rapido consumo e a una vita breve, ma soprattutto un bene di consumo di massa. Intorno all’industria del giocattolo si crea un business senza precedenti: il giocattolo tecnologico, effimero e fragile, viene presentato dalla pubblicità come un oggetto ricreativo irrinunciabile, imprescindibile nella vita quotidiana dei bambini, sempre più incoraggiati e interessati a emulare il complesso mondo degli adulti anche nella spasmodica ricerca della novità.

Oltre al tentativo di operare per sommi capi una ricostruzione stori-ca dell’evoluzione dei giocattoli, risulta interessante una breve ricogni-zione tra le suddivisioni tematiche operate da psicologi e sociologi nel

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campo dei giochi. Tali classificazioni travalicano spesso le scansioni temporali, collocando trasversalmente nel tempo e nello spazio le diverse tipologie di balocchi. I giochi di guerra, per esempio, non hanno certamente un’origine storica definita, ma sono ricchi di implicazioni psicologiche. Uomini armati o in divisa, di legno, stagno e cartapesta, riproduzioni di armi e macchine belliche, rappresentano una dimensione distruttiva della civiltà umana e richiamano a esperienze storiche per molti versi spaventose, delle quali, di fatto, i bambini sono sempre stati le vittime più indifese. Se da una parte gli adulti guardano con colpevole sospetto a questi oggetti ludici, dall’altra il loro uso da parte dei bambini è spesso in grado di esorcizzare le loro paure e di ridimensionare i loro istinti aggressivi.

Alla stessa logica classificatoria appartiene inoltre la distinzione fra giochi maschili e femminili, testimone di ataviche distinzioni di ruolo, di principi tradizionali e di epoche e culture differenti. Il gioco come oggetto e come immagine svela norme di comportamento tipiche di un popolo o di un gruppo sociale, lascia trasparire valori, ideali e modelli di vita, assurge a elemento simbolico in cui proiettare sogni, segreti e aspirazioni.

Un altro fattore di grande interesse per capire storia e funzione dei giocattoli è il materiale con cui vengono costruiti. La celluloide, per esempio, prima tra le materie plastiche, ha consentito l’inizio della produzione seriale dei giochi. Lavabile, leggera, elastica e relativamente infrangibile, essa rispondeva a precise esigenze legate a un uso intensivo e quotidiano. Giocattoli costruiti con questo materiale, soprattutto le bambole, ebbero grandissimo diffusione fino a quando il suo utilizzo fu vietato a causa dell'alta infiammabilità. I giocattoli rispecchiano inoltre in modo fedele, come si è sottolineato in precedenza, l’evoluzione della tecnica: oltre a favorire l’innovazione dei materiali essi, evidenziando alcune elementari leggi della fisica e della chimica, istruiscono i loro piccoli possessori sui progressi tecnologici in corso, proiettandoli nel futuro, spesso disegnando mondi avveniristici o prospettando soluzioni utopistiche. Lo sviluppo di giochi ad alto tasso di tecnologia non è ancora riuscito però a scalzare del tutto il giocattolo di legno, un pro-dotto che - anche se di produzione industriale - mantiene intatta la pregiata fattura artigianale, spesso vero e proprio oggetto artistico, dai

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meccanismi talvolta complessi e affascinanti, quasi dotato di una vita propria. Snobbato agli inizi del Novecento a favore dei metalli, che riuscivano a garantire più solidità, resistenza e adattabilità ai vari ambien-ti e utilizzi, il legno venne rivalutato negli anni Trenta con la ripresa della costruzione di giocattoli dal grande valore artistico e figurativo. La progressiva scomparsa dei laboratori artigiani, sostituiti da piccole e grandi industrie del giocattolo, non ha intaccato il fascino esercitato ancora oggi dalla vista e dal contatto con i balocchi di legno, il cui definitivo tramonto, da molti preconizzato e sperato, è ancora lontano a venire.

Un ultimo, rapido cenno meritano i cosiddetti giochi didattici, visto il loro esplicito legame con la scuola. I contributi di insigni studiosi quali Comenio, Froebel, Aporti e Montessori, hanno portato la pedagogia a considerare il giocattolo come un importante strumento di apprendi-mento sensoriale e conoscitivo, a inserirlo nei percorsi scolastici e formativi e a individuare in un suo impiego mirato un apporto fonda-mentale nella lotta contro l’analfabetismo.

Questo parziale excursus attraverso la storia e i tentativi di classifi-cazione dei giocattoli consente di introdurre i risultati ricavati dalle risposte alle domande del questionario illustrato relative ai giochi preferiti dai bambini della Vallagarina. Ci preme sottolineare, in questa sede, come sarebbe presuntuoso e fuorviante pensare che i bambini di oggi - come si sente spesso dire - non sappiano più giocare e siano ridotti a passivi fruitori di mezzi di comunicazione di massa. Altrettanto sbagliato il credere a priori che, se non è praticato in gruppo, all’aperto, con sassolini, corde, bastoni, raggi di biciclette, barattoli e altri materiali semplici e comuni come succedeva una volta, il gioco sia in qualche modo alienato. Oggi le condizioni di vita, le possibilità materiali, i ritmi quotidiani, la comunicazione sono assai differenti da quelli di qualche tempo fa, i giocattoli più complessi e costosi. Tuttavia, i giochi virtuali riescono a divertire e appassionare allo stesso modo dei giochi all’aperto che si facevano una volta. Non è lecito pensare, insomma, che i bambini abbiano perso il gusto e la capacità di giocare, soltanto perché i giochi hanno subito grandi trasformazioni e sono assai differenti rispet-to a quelli con cui crescevano e si divertivano le generazioni precedenti.

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III. Tipologie di gioco: gli esiti del questionario

Capire quali siano i giochi più praticati dai bambini che costituiscono l’oggetto della nostra indagine, quali i più preferiti e i meno amati non è certo impresa facile, soprattutto attraverso un questionario illustrato pensato per soggetti di età molto diverse fra loro. L’esistenza e la possibilità di moltissime modalità e tipologie di gioco rappresenta inoltre una variabile difficilmente controllabile, analizzabile forse soltanto attraverso domande non strutturate, che consentono la raccolta di dati solo parzialmente confrontabili fra loro. Si è dunque deciso di identifica-re, in modo arbitrario, sei grandi categorie di giochi e di trasformarle in altrettanti disegni schematici e di facile interpretazione da parte dei bambini. Esse comprendono, oltre ai giochi che presuppongono la partecipazione di altre persone (giochi “sociali”), quelli che implicano l’utilizzo di bambole e orsacchiotti (giochi “di accudimento”), i classici giochi “da tavolo”, i giochi “di costruzione e composizione” (Lego, puzzle, plastilina ecc.), gli strumenti musicali (giochi “musicali”) e infine tutti quei giochi come macchinine, soldatini, robot che implicano una particolare capacità organizzativa e immaginativa da parte dei bambini e che è stata riassunta con il termine “strategia” (giochi di “strategia”)23.

Al di là della differente incidenza sul campione complessivo dei sog-getti della componente femminile rispetto a quella maschile - che può verosimilmente aver sbilanciato le risposte a sfavore dei giochi di accu-dimento -, come si può osservare dal grafico, i bambini sembrano indicare con una certa sicurezza fra i giochi effettivamente svolti e preferiti quelli “da tavolo”. Il dato sembra ulteriormente confermato dal basso numero di risposte che indicano questa tipologia di attività ludica come “meno divertente”. Analoga analisi merita il dato che emerge dai giochi sociali: i soggetti li indicano come giochi effettivamente svolti e prediletti con un numero di preferenze piuttosto alto rispetto all’indicazione di essi come giochi ritenuti “meno divertenti”.

23 Alla domanda “Che giochi fai?” i soggetti hanno dato in totale 426 risposte, contro le 375 date alla domanda “Quali giochi ti divertono di più?” e le 411 della domanda “Quali giochi non ti piacciono?”. Anche in questo caso i bambini sono stati lasciati liberi di scegliere più opzioni fra le sei proposte.

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Opposto è invece il giudizio rispetto ai giochi di accudimento e quelli musicali, mentre “costruzioni e composizioni” e giochi di strategia presentano un sostanziale equilibrio delle preferenze.

Per non limitare eccessivamente le risposte dei soggetti e capire qualcosa di più circa l’universo dei giochi dei bambini si è pensato di proporre tre domande a risposta aperta: “Che giochi ti piace fare con i tuoi amici?”, “Che giochi non ti piace fare con i tuoi amici?” e “Che giochi fai a casa?”. Nella seguente tabella sono raccolte tutte le risposte fornite dai soggetti24.

Nomi dei giochi P+A NP+A G+C [S]chiapparella 2 0 0 Animali 0 1 2 Arrampicarsi sugli alberi 6 1 0 Bambole e Barbie 16 78 21 Bay Blade 0 0 4 Bicicletta 10 0 0

24 Per quanto riguarda le sigle, esse sono da intendersi come segue:

- P+A: “Giochi che piacciono con gli amici” - NP+A: “Giochi che non piacciono con gli amici” - G+C: “Giochi che si fanno in casa”

Preferenze dei bambini rispetto alle tipologie di gioco

0

20

40

60

80

100

120

140

160

S oc ia li Di accudimento Da tavolo Cos truz ioni eCompos iz ioni

Mus ica li Di s tra teg ia

I g iochi fa tti I g iochi più divertenti I g iochi meno divertenti

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Nomi dei giochi P+A NP+A G+C Biglie 0 0 1 Calcio 62 22 2 Camminare 1 0 0 Carte 18 4 8 Computer, Play Station e videogiochi 16 0 71 Corda 16 8 0 Correre 0 1 0 Costruzioni 0 2 0 Danzare e ballare 0 2 1 Disegnare, leggere e scrivere 2 4 6 Elastico 1 0 0 Fare la guerra (soldati e robot) 2 16 1 Fazzoletto 1 0 0 Giochi all'aperto (parco giochi) 13 1 0 Giochi da maschi 0 2 0 Giochi in scatola25 43 18 52 Guardie e ladri 3 1 0 Inventati 1 0 2 Lego 14 3 21 Lotta 2 7 3 L'uomo nero 1 0 0 Macchinine 6 17 16 Maestre 2 0 3 Maghi, streghe e fate 7 1 0 Mamme e bambini 0 3 1 Mosca cieca 7 6 0 Mostri 3 0 3 Nascondino 41 12 3 Negozio 1 0 0 Nuotare 1 0 0 Giochi con la palla26 36 12 6 Pallina rimbalzina 0 0 1 Pattini in linea 0 0 1 Peluche 0 1 4 Pinocchietto schiaccianoci 0 1 0 Pongo (Didò) 0 2 0 Prendi e scappa 12 5 1

25 Sotto questa denominazione sono stati raccolti i seguenti giochi: dama, tombola, puzzle, scacchi, memory, tris, gioco dell'oca, battaglia navale, domino. 26 Sotto questa denominazione sono stati raccolti i seguenti giochi: pallamano, pallavolo, pallacanestro, palla avvelenata.

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Nomi dei giochi P+A NP+A G+C Pupazzi 0 0 6 Pusolete 1 0 0 Rialzo 1 1 0 Rincorrersi 25 6 1 Settimana 2 0 0 Soldatini 5 0 0 Stella di ghiaccio 3 1 0 Stop 0 1 0 Strumenti musicali 8 31 1 Supereroi 2 0 0 Televisione 0 0 1 Tennis 1 1 0 Tiro alla fune 1 0 0 Trenino 0 0 1 Trottole 1 1 0 Truccarsi 0 0 1 Tutti 0 0 3 Vibus 0 1 0 Totale delle risposte 334 273 249

È stata riportata l’intera tabella poiché assai significativa per la ricchezza delle risposte fornite dai soggetti. Il fatto che essi indichino un numero così consistente di giochi, mescolando giocattoli ad attività ludiche da svolgere da soli o con i compagni, mostra infatti come essi abbiano le idee molto chiare su ciò che trovano divertente o meno. Inoltre, se si scorre con una certa attenzione l’elenco, si nota come i giochi tradizio-nali svolti in gruppo come “nascondino”, “rincorrersi”, “mosca cieca”, oppure i giochi con la palla siano molto amati dai bambini, come del resto anche i classici giochi da tavolo. La tabella sembra inoltre confer-mare il dato negativo relativo ai giochi di accudimento: i bambini dichia-rano di non amare particolarmente bambole e peluche, segno forse dei tempi che cambiano, con la conseguente minore incidenza dei ruoli sessuali sulle scelte ludiche. I giochi di guerra non sembrano riscuotere grande successo, nonostante i tempi drammaticamente “favorevoli”, così come quelli legati alle simulazioni di ruoli (“maestre”, “mamme e bambi-ni”, “mostri, streghe e fate” ecc.). Il dato che riguarda infine “Computer, Play Station e videogiochi” mostra da una parte, in linea con le aspettati-ve, una netta predilezione per le nuove tecnologie nel gioco domestico,

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dall’altra il fatto che non vengano indicati come attività da svolgere in compagnia degli amici fa pensare al gioco “virtuale” come faccenda sostanzialmente privata. A questo riguardo il questionario illustrato dedica le tre pagine finali proprio alle nuove tecnologie.

La prima domanda che viene posta ai soggetti mette sullo stesso pia-no computer e televisione. Si chiede pertanto ai bambini di indicare i momenti della giornata durante i quali abitualmente si dedicano alla fruizione dei mezzi di comunicazione di massa. Che i bambini di fatto non considerino la televisione come un gioco lo si capisce osservando la tabella precedente: essa infatti ottiene soltanto una risposta, a differenza del computer, indicato spesso, insieme alla Play Station, come fedele compagno di giochi. I dati relativi alla colonna dei “sì” confermano di fatto le nostre aspettative su una certa onnipresenza di tali mezzi nell’arco dell’intera giornata del bambino.

TV E COMPUTER, QUANDO CI GIOCHI? SÌ NO NON SO

Al mattino prima di andare a scuola 29,5% 69,5% 1%

Durante il pranzo 20,5% 78,5% 1%

Dopo pranzo prima di fare i compiti 55,5% 42,5% 2%

Di pomeriggio mentre fai i compiti 11,5% 88,5% 0%

Di pomeriggio dopo aver fatto i compiti27 88,5% 11,5% 0%

Durante la cena 22% 76,5% 1,5%

La sera dopo cena 72% 28% 0%

Dati con errore possibile pari a ± 0,5%

I dati raccolti nella tabella sono di ulteriore conferma al fatto che guar-dare la televisione non sia percepito come un’attività specificamente ludica, al contrario del computer e della Play Station. Alla domanda diretta “Giochi con i videogiochi?”, contrariamente alle aspettative molti soggetti (31%) scelgono l’opzione “no”, il che fa pensare, se si unisce a questo dato quello relativamente alto del “non so” (6%) - da intendersi,

27 Questo dato manca del sottocampione 4 e si riferisce quindi a 148 soggetti e non ai soliti 195.

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con ogni probabilità, come un “non ho” - che il numero dei bambini che non ha accesso ai giochi virtuali sia relativamente alto.

Il dato viene in sostanza confermato dalla domanda “Hai tanti videogio-chi?”: la percentuale dei “no” passa al 43%, superando addirittura quella dei “sì”. Il 15% dei “non so” riflette quasi certamente il disorientamento di parte di quel 31% di soggetti che alla domanda precedente aveva dichiarato di non giocare con i videogiochi e che, di fronte alla richiesta riguardo al possesso di giochi elettronici, ha inteso il “non so” come una conferma del non possesso. Il dato che emerge da queste domande e da quella relativa al tempo dedicato dai soggetti ai giochi elettronici va dunque interpretato tenendo conto del fatto che risente di un deficit del questionario illustrato. Esso risulta equivoco nel momento in cui non è stata adeguatamente contemplata la possibilità che un numero così consistente di soggetti non giocasse con i videogiochi, e non sono

Giochi con i videogiochi?

63%

31%

6%

S i No Non s o

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dunque state previste adeguate opzioni di risposta alle domande collega-te alla fondamentale “Giochi con i videogiochi?”. La riprova di questo la si può avere anche osservando attentamente la successiva tabella relati-va al tempo dedicato ai giochi virtuali. La percentuale di “non so” è infatti molto elevata rispetto all’analoga tabella riguardante i tempi relativi alla fruizione di televisione e computer.

QUANDO GIOCHI CON I VIDEOGIOCHI? SÌ NO NON SO

Al mattino prima di andare a scuola 6% 79,5% 14,5%

Durante il pranzo 4% 80% 16%

Dopo pranzo prima di fare i compiti 29,5% 53,5% 17%

Di pomeriggio mentre fai i compiti 7% 76% 17%

Di pomeriggio dopo aver fatto i compiti28 59% 24% 17%

Durante la cena 7% 76% 17%

La sera dopo cena 42% 38% 20%

Dati con errore possibile pari a ± 0,5%

Se si mette a confronto questa tabella con quella precedente, si può notare come i soggetti rispondano in modo tutt’altro che casuale: se è possibile infatti immaginare che in molte case la televisione sia accesa a qualsiasi ora del giorno, e che molti bambini la guardino la mattina prima di andare a scuola, durante il pranzo, mentre fanno i compiti e durante la cena - anche perché lo stesso fanno gli adulti e nelle abitazioni ci sono ormai televisori in ogni angolo29 - lo stesso non vale e non potrebbe valere per i videogiochi, di fatto modalità di gioco vere e proprie, che richiedono alti livelli di partecipazione e concentrazione che confliggono con qualsiasi altra attività svolta contemporaneamente. “Dopo aver fatto i compiti” e “La sera dopo cena” sono naturalmente i momenti preferiti da dedicare ai videogiochi, rispetto allo spazio di tempo che intercorre fra il pranzo e l’inizio dei compiti, indicato solo dal 29,5% dei bambini. Tale scelta può dipendere dal fatto che una parte dei bambini intervistati

28 Questo dato manca del sottocampione 4 e si riferisce quindi a 148 soggetti e non ai soliti 195. 29 Sarebbe stato interessante chiedere ai bambini quante televisioni hanno nelle loro case e, soprattutto, se ne hanno una in camera da letto. Ma il questionario era già così lungo …

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frequenta attività pomeridiane a scuola e pertanto risulta impossibilitata a praticare questo tipo di giochi nella fascia di tempo in questione. Se però si confronta questo dato con quelli relativi ai tempi dedicati al gioco al chiuso e al gioco all’aperto, rispetto alla medesima opzione si nota come, pur raddoppiando la percentuale dei bambini che dichiara di giocare in casa e fuori “Dopo pranzo prima di fare i compiti” (più o meno il 64%), essa rimane assai inferiore rispetto alla scelta “Di pome-riggio, dopo aver fatto i compiti”. Se a questo si aggiunge la relativa stabilità delle risposte che indicano l’opzione “La sera dopo cena”, si potrebbe azzardare l’ipotesi che “l’aver fatto i compiti” sia inteso dai bambini come discriminante essenziale nella scansione dei tempi della giornata. Ciò autorizzerebbe a pensare che gli impegni scolastici vengo-no di fatto percepiti dalla maggior parte dei soggetti come prioritari.

Anche la domanda “Con chi giochi con i videogiochi?” risulta pur-troppo di difficile lettura, in quanto le opzioni “Da solo” e “Con amici” di fatto non sono alternative. Alcuni soggetti hanno dunque scelto entrambe le possibilità, ponendo evidenti difficoltà in fase di spoglio. In ogni caso, da una lettura superficiale delle risposte si evince come la maggioranza dei bambini che giocano con i videogiochi dichiara di giocare da sola (95 risposte), anche se è comunque cospicuo il numero delle risposte date all’opzione “Con amici” (76). I “non so” sono stati invece 48.

Molto più significativa e interessante è invece la domanda “I tuoi ge-nitori ti lasciano giocare con i videogiochi quando vuoi?”, finalizzata alla rilevazione degli eventuali limiti posti dai genitori al gioco virtuale dei propri figli. Il grafico mostra chiaramente come la maggior parte dei soggetti sia libera di scegliere di giocare con i videogiochi quando più le aggrada, contro una percentuale comunque significativa di bambini che dichiara invece di avere dei vincoli di qualche sorta. Per il 25% dei bambini che sceglie invece l’opzione “non so” vale naturalmente il discorso fatto in precedenza riguardo al non possesso di videogiochi.

Questo rapido tentativo di esplorare il rapporto fra i bambini e i gio-chi elettronici risulta naturalmente limitato, soprattutto rispetto a una serie di variabili che non sono state prese in alcuna considerazione. Capire infatti quali tipi di giochi i bambini pratichino e se nella scelta di

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essi gli adulti pongano dei limiti di qualche genere poteva essere infatti molto interessante e fornire alcune risposte a una serie di interrogativi cruciali, soprattutto riguardo ai giochi particolarmente violenti, alla percezione che di essi hanno i bambini, agli eventuali influssi che ne subiscono e, soprattutto, al ruolo della mediazione, reale o fittizia, degli adulti. Ma tutto questo avrebbe meritato una ricerca a parte e forse un metodo di indagine differente, cioè meno generalizzante, rispetto a un questionario illustrato.

I tuoi genitori ti lasciano giocare con i videogiochi quando vuoi?

40%

35%

25%

S i No Non s o

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Conclusioni

Conoscere meglio il comportamento dei bambini, in particolare attra-verso il gioco, non deve essere compito riservato ai soli specialisti, ma coinvolgere innanzitutto genitori e insegnanti, e inoltre tutti coloro che nella società civile hanno il compito e il dovere di operare per la costru-zione di un futuro migliore. Chi ha individuato nella formazione delle nuove generazioni la propria missione sociale o il proprio orizzonte professionale deve adoprarsi per riportare il gioco al centro delle attività educative. È soprattutto attraverso l’attività ludica che i più piccoli trovano le migliori occasioni per misurare e sviluppare le proprie risorse e le proprie potenzialità psicofisiche. Il gioco inoltre consente quelle gratificazioni individuali o di gruppo che sono svincolate sia dalle necessità concrete, dall’esigenza di realizzazione o produzione di qualco-sa, sia dalle stesse finalità di protezione o di difesa degli individui e della specie. Qualunque attività vissuta come gioco risulta infatti, in quanto tale, gratificante per chi la compie, indipendentemente dal risultato che ne consegue.

Al di là degli svariati approcci al fenomeno messi a punto dalle scien-ze sociali - su alcuni dei quali questa semplice ricerca ha cercato di gettare un rapido sguardo - risulta dunque assolutamente evidente come il gioco individui una dimensione altamente significativa per la matura-zione del bambino, in quanto svolge una funzione costruttiva dell’intera personalità. L’indagine svolta, pur non trascurandone la fondamentale importanza, ha dato per assodate una serie di acquisizioni teoriche che vanno dalla consapevolezza del considerevole valore evolutivo dell’attività ludica e della sua intrinseca capacità di stimolare cognitiva-

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mente il bambino permettendogli un accesso privilegiato al suo mondo interiore, alle interpretazioni del gioco come risposta fisiologica a una sovrabbondanza di energie (Spencer e Schiller), o come strumento di produzione di modelli indispensabili per il controllo della realtà attraver-so esercizi di simulazione e rivoluzione simbolica di situazioni concrete, insegnando al bambino ad avere fiducia nelle proprie capacità (Erickson). Si è cercato piuttosto di concentrare l’attenzione sulle percezioni dei bambini rispetto alle loro attività di gioco, un po’ per sfatare alcune convinzioni radicate nell’opinione comune, un po’ per ridare voce ai protagonisti veri e cercare finalmente di restituire al discorso sul gioco quella concretezza che lo sguardo analitico e disciplinante degli adulti gli hanno sottratto. Il risultato non poteva che essere parziale e limitato, vista l’ambizione di tali premesse e la complessità intrinseca a un feno-meno di tale portata.

Naturalmente tutta la ricerca deve fare i conti con il giudizio spietato degli addetti ai lavori, giudizio che, evidenziandone le debolezze teoriche e metodologiche, non potrà che restituirle l’umiltà che ne ha caratteriz-zato gli spunti originari. In questo senso gli incontri con gli esperti, in particolare con il professor Marco Dallari, hanno permesso di ricono-scere e sottolineare i limiti di questa indagine. Abbiamo voluto che fosse lui, dunque, a scrivere la Postfazione, proprio per ribadire come, nono-stante il grande impegno profuso, siano molti di più gli elementi rimasti in ombra di quelli su cui è stato gettato un timido e a tratti evanescente raggio di luce.

Certamente salterà subito agli occhi del lettore come il carattere marcatamente quantitativo del lavoro di ricerca rappresenti un’indubbia limitazione a un’ampia accezione della nozione di gioco che contempli innanzitutto la possibilità di far emergere il punto di vista dei bambini. In particolare, la non sufficiente attenzione rivolta all’approfondimento del rapporto bambino-televisione ha lasciato irrisolte una serie di questioni di notevole interesse. Non solo non si è capito veramente se il guardare la televisione permetta o meno al bambino una contemporanea attività ludica separata dal contesto delle immagini o delle parole trasmesse, ma soprattutto non sono emerse informazioni significative per inquadrarne il ruolo effettivo e comprendere se essa rappresenti semplicemente una forma di distrazione o un vero e proprio “antigioco”, in quanto il bam-

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bino, posto di fronte a essa, non dovendo più creare il proprio diverti-mento in realtà è come se non giocasse. Non si è insomma indagato se la televisione è in grado o meno di far giocare la mente del bambino, di stimolare percorsi creativi o se egli, di fatto, si diverte a guardare passivamente ciò che viene proiettato sullo schermo.

Altro limite della ricerca, a cui si è accennato in precedenza, riguarda il fatto di non aver distinto le risposte dei maschi da quelle delle femmi-ne in relazione a spazi, tempi e soprattutto tipologie di gioco. E se da una parte la preponderanza della componente maschile all’interno del campione giustifica relativamente questa mancanza, dall’altra una mag-giore attenzione al binomio ruolo sessuale-gioco avrebbe forse potuto offrire qualche interessante indicazione. Anche l’analisi dei giochi sportivi e con gli animali avrebbe potuto rivelarsi più significativa se si fosse tenuto conto del ruolo dei genitori nell’imporre ai figli uno sport, e di quanto, i giochi con gli animali domestici, più che trattarsi una reale attività ludica, assumano i connotati di un vero e proprio impegno, visti gli obblighi di accudimento assolti spesso dai bambini. Infine, da un punto di vista più eminentemente metodologico, un questionario illustrato sul gioco come quello proposto avrebbe dovuto offrire ai soggetti interpel-lati maggiori possibilità di espressione relativamente alle proprie perce-zioni e opinioni, attraverso una proposta più sistematica e un numero più consistente di spazi liberi, nei quali il bambino avrebbe potuto disegnare ciò che preferiva. Anche se va detto, a discolpa delle scelte effettuate, che una successiva interpretazione degli elaborati sarebbe risultata di notevole difficoltà, mancando ai ricercatori ogni competenza specifica per svolgere un’indagine in questa direzione.

Questi sono solo alcuni dei limiti di questa ricerca. Molti altri proba-bilmente li avrà individuati lo stesso lettore. Chi scrive si riterrebbe comunque soddisfatto se dalle carenze di questo lavoro e dalle critiche mosse qualcuno traesse curiosità sul gioco infantile e spunto per appro-fondirne la conoscenza.

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Postfazione

La parola gioco deriva dal latino iocus, “scherzo”. Ha a che fare anche con il verbo iectare, il cui participio passato è iactum, da cui iaculum, “dardo”, con il significato primitivo di “beffa”. E questo, fra l’altro, ci induce a rifletter sul fatto che umorismo, ironia, satira, siano già, compiutamente, gioco. Il significato del termine rimanda però anche a ludo, il cui aggettivo “ludico” (sgradevolmente inflazionato nella letteratura pedagogica del secondo Novecento) è utilizzato per indicare quell’atteggiamento che attiene al gioco. Ludo, infatti, deriva dal latino ludere, “illudere”, “ingannare”, “scherzare”, “divertirsi”. È attività individuale o collettiva alla quale si dedicano bambini o adulti per passatempo o per svago e, nella scia della definizione kantiana, contrapponibile a tutto ciò che è utile, finalizzato, strumentale: in una parola, al lavoro. Malgrado questa contrapposizione gioco-lavoro sia ancora molto diffusa nel linguaggio comune e nelle fuorvianti e approssimative categorie del “buon senso”, gli studi sperimentali sul gioco, attività inizialmente di nessun interesse scientifico, si sono considerevolmente sviluppati a partire dagli anni sessanta del secolo scorso e hanno portato a considerare il gioco non come un comportamento a sé, ma come aspetto di un insieme di comportamenti umani e animali: esso è, come afferma Erickson, una linea di frontiera che divide una serie di attività umane e cerca di sfuggire a una definizione.

I criteri per distinguere i comportamenti ludici da quelli non ludici non sono assoluti e variano da una specie all’altra. In generale possiamo dire che in alcuni primati e nell’uomo, il criterio fondamentale è dato da un segnale, come possono essere il riso o finti morsi, che l’animale

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utilizza per comunicare il carattere “giocoso” del proprio comportamento. Il segnale capace di comunicare “sto giocando”, ha un valore metacomunicativo, serve cioè a specificare, a rendere chiara la relazione che si stabilisce in un dato momento tra un individuo e un altro, nonché differenziarla da un altro tipo di relazione con cui potrebbe essere confusa. In alcune specie, infatti, i comportamenti ludici assomigliano a quelli di aggressione, di attacco, di combattimento, è il segnale “sto giocando” che evita di confonderli: nel gioco umano, per esempio, il riso, il sorriso, o l’esagerazione paradossale della postura, segnalano che un comportamento bellicoso non ha in quel caso un’intenzione realmente aggressiva, è un gioco, appunto, una finzione.

Il segnale utilizzato per il gioco è importante anche perché rappresenta la prima manifestazione di una funzione metacomunicativa che è essenziale allo sviluppo della comunicazione e, in definitiva, del linguaggio. Non a caso qualcosa di molto simile al segnale “sto giocando” (o “stiamo per giocare”) è rintracciabile anche in quelle manifestazioni che riguardano scambi simbolici e culturali complessi come la formula che precede il racconto della fiaba: quel “c’era una volta”… che consente di sospendere le regole del principio di realtà e accogliere quelle della finzione narrativa, o lo spegnersi delle luci in sala a teatro, dove l’apertura del sipario e l’illuminazione del palcoscenico ci portano, a loro volta, nel mondo-altro del gioco-spettacolo.

Il gioco, il giocare e tutte le occasioni in cui lo “spirito del gioco” pervade attività di ogni genere, ritrovano nelle ricerche di Jean Piaget un’esplicita importanza per quella che potremmo definire l’educazione degli affetti, poiché indica una percorso morale e cognitiva che va al di là della trasmissione di norme e dell’accettazione delle regole sociali. Piaget distingue tra gioco di pratica e gioco simbolico. Il gioco di pratica è quello che il bambino utilizza quando ha imparato a compiere una determinata azione e la ripete non per continuare a impararla, ma per il puro piacere di dominarla, per offrirsi, come dice Piaget, lo spettacolo della propria potenza. Il gioco simbolico, il “far finta”, è il passo successivo, presuppone la capacità di formare immagini, delle imitazioni interiorizzate, intermedie tra le azioni esterne e i concetti logici corrispondenti. Il momento del gioco simbolico viene considerato da Piaget come uno degli atti fondamentali del processo di adattamento al

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mondo; costituisce una delle forme attraverso le quali si struttura il pensiero e ha come scopo l’appagamento dell’io. Almeno fino a una certa età, quando un bambino gioca, afferma lo psicologo svizzero, non si sottomette alla realtà, piuttosto riesce a rivivere le proprie esperienze adattando le cose alle proprie esigenze. Tuttavia queste caratteristiche non sono peculiari solamente dell’età infantile e di ciò che possiamo esplicitamente e convenzionalmente riconoscere come attività ludica: ogni volta che qualcuno (da solo o in gruppo) non si sottomette alla realtà e prova a cambiarne qualche dettaglio, più o meno rilevante, o costruisce culturalmente e simbolicamente mondi altri e differenti da quello contingente (gli scienziati, gli artisti, gli attori, i ricercatori, i politici), sta giocando. O meglio: sta superando la distinzione, a volte imbarazzante e discutibile, riferita a ciò che è gioco e a ciò che non lo è, e sta portando nella vita vera lo spirito del gioco. E questo, fra l’altro, è proprio ciò che hanno lodevolmente compiuto le ricercatrici che portano la loro testimonianza sulle pagine di questo volume, quando non si limitano a indagare sui luoghi e gli spazi domestici ed extradomestici in cui è possibile svolgere attività ludica, ma si interrogano (e forse sarebbe interessante proseguire questa parte della ricerca con le metodologie etnografico-qualitative) sul grave equivoco in cui cadono genitori ed educatori quando «sono portati a considerare di secondaria importanza il tempo dedicato [da bambini e ragazzi] al gioco rispetto a quello riservato allo studio o all’attività sportiva». Come se, oltretutto, lo spirito del gioco non fosse proprio quel pizzico di sale capace di aggiungere ulteriorità di senso e carica di piacere allo sport e alle materie scolastiche.

Secondo Jerome Bruner, il gioco umano presuppone l’apprendimento per osservazione (o imitazione) e dipende da due prerequisiti: da un lato la capacità di distinguere la propria dall’altrui realizzazione di un determinato comportamento (per esempio l’uso del pronome “io”, presuppone l’apprendimento della differenza tra quando io dico “io” e quando tu dici “io”), dall’altro la capacità di costruire delle sequenze di azioni corrispondenti a modelli esterni coordinando elementi già appresi. Il segnale “sto giocando”, allora, permette ai bambini, ma anche a chi bambino non è più, di svolgere la sua attività esplorativa e combinatoria senza correre il rischio di essere frainteso a

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causa di una inesatta, parziale o incompleta riproduzione del comportamento che imita. Il che, fra l’altro, è esattamente ciò che hanno fatto le nostre ricercatrici alle prime armi. Ma anche chi è alle prese con gli apprendimenti scolastici, se l’insegnante è sufficientemente capace e a sua volta convinto e partecipe del gioco, imita lo scienziato, il letterato, il filosofo, il manifatturiere, e chi sta facendo sport, se lo fa davvero, non dovrebbe essere lì solo per vincere o per tentare di diventare un campione tutto stereotipi, miliardi e veline, ma, si spera, per divertirsi, per partecipare, per giocare, appunto.

Johann Huizinga considera il gioco come elemento creatore della cultura. Nella specie umana infatti, non solo la capacità ludica si prolunga per un periodo più lungo che in ogni altra specie, ma continua durante tutta o gran parte dell’esistenza. In un certo senso, artisti, scienziati e inventori sono adulti cui è socialmente permesso di continuare a giocare, cioè di continuare ad analizzare e a sperimentare le possibili combinazioni di idee, di oggetti, di unità di comportamento ecc. Sono queste combinazioni che producono le innovazioni culturali selezionate e adottate socialmente. Il gioco assume una particolare importanza sul piano educativo; infatti tramite il gioco bambini, ragazzi e adulti, da un lato si esercitano a ordinare il mondo, a dominarlo, a conoscerlo, a declinare il suo essere in rapporto all’altro da sé, dall’altro vengono stimolati a compiere esercizi (etico-politici) di accettazione e condivisione delle norme che permettono e rafforzano la coesione del gruppo in cui vivono. Giocare significa allora incrementare forza mentale da riutilizzare nel quotidiano, significa (proprio come accade nella formulazione e nello svolgimento di una ricerca) saper formulare ipotesi da verificare nel reale. La dimensione ludica si rivela quindi la base per l’avvio del processo conoscitivo a patto però che allo scrupoloso rispetto delle regole si unisca la consapevolezza della loro convenzionalità e della loro origine contrattuale. Instillare tale consapevolezza è un compito educativo; non farlo, e negare che sia opportuno farlo in nome di una qualsivoglia realtà-verità-oggettività, è una truffa pedagogica e una forma di fondamentalismo ideologico.

Il gioco, in definitiva, serve a coltivare la fiducia razionalmente guidata che si possa e quindi si debba pensare un futuro migliore del presente e che si debba lottare per costruirlo. Che non ci sia cioè “un” mondo, ma

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infiniti mondi possibili. Ciò può avvenire se il gioco è oggetto di una precisa attenzione da parte dell’educatore che sappia infondere nell’individuo la capacità di meravigliarsi, che sappia stimolarlo a indagare il mondo, l’esistente, all’insegna del come se, ossia del valore dell’ipotesi come insostituibile avvio all’avventura della mente. È quindi importante non solo e non tanto il giocare in senso stretto, intendendo questa attività come semplice mezzo tecnico di espressione, quanto il facilitare e promuovere l’educazione a un atteggiamento ludico come modo peculiare e personale dell’individuo di essere nel mondo. L’individuo che affronta una situazione problematica può risolverla in maniera funzionale e in modo tale che la stessa soluzione costituisca un arricchimento qualitativo della sua personalità solo se si dispone ad affrontarla con un atteggiamento ludico. L’ipotesi cioè che gli permetterà di superare quella determinata situazione potrà sorgere soltanto qualora l’individuo sappia riunire i dati che la realtà gli offre, in modo da superare e così trasformare la realtà stessa, vedendoli non nel loro essere, ma nel loro poter essere.

Tuttavia, come tutto ciò che vale la pena di possedere per il miglioramento della nostra esistenza, anche il saper giocare non è un dono naturale ma richiede sforzo, guida e orientamento per essere appreso. E lo si apprende grazie anche alla possibilità di usufruire di proposte ludiche di ampio respiro sia dal punto di vista qualitativo, con l’offerta di proficue interazioni sociali - come hanno ben sottolineato le ricercatrici – da parte dell’ambiente e degli educatori, sia dal punto di vista quantitativo attraverso l’organizzazione di ambienti ricchi di materiali di gioco e un deciso allargamento degli spazi e dei tempi di gioco, la possibilità di una “perdita di tempo”, di non contingentare in senso finalistico, ideologico e strumentale luoghi e tempi delle esistenze.

D’altra parte, poiché questa ricerca è nata in ambiente scolastico, mi sembra opportuno compiere qualche riflessione specificamente dedicata al mondo della scuola, poiché se e vero che il territorio, la vita domestica, il mondo “di fuori”, non assegnano all’idea e alla pratica del gioco un’attenzione sufficiente, non è poi che il mondo scolastico, al di là di alcuni momenti e di alcune lodevoli eccezioni, sia da meno. E se il gioco ricopre un ruolo tanto importante nei processi di apprendimento e di formazione dell’individuo, è evidente come esso debba, o dovrebbe,

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trovare spazio in tutto ciò che è cultura, produzione simbolica e dunque a scuola, in tutta l’attività didattica.

Non è da oggi, peraltro, che si pensa al gioco anche nell’ottica di una sua utilizzazione paideutica. Il Settecento è forse il momento più alto di un rinnovamento in questo senso; si tratta di un’epoca in cui si viene sviluppando una pedagogia orientata ai valori sociali, di un periodo storico che riconosce il valore dell’educazione per la formazione del cittadino, in cui ci si occupa della formazione di un cives capace di comprendere le leggi, ma anche di saperle cambiare. In questo secolo, infine, si diffonde un modello di educazione più aperta e democratica, meno legata ai pregiudizi e alle tradizioni, più attenta alla formazione “globale” dell’educando, più rispettosa delle esigenze e delle esperienze dei soggetti in formazione. Tuttavia, tra gli autori che hanno affrontato il problema del rapporto tra gioco e insegnamento, già nella seconda metà del secolo precedente incontriamo il filosofo John Locke (1632-1704), padre dell’empirismo inglese. I suoi Pensieri sull’educazione (1693) affrontano il tema del rapporto tra gioco e apprendimento e sostengono che il bambino può e deve apprendere giocando. Secondo Locke è importante considerare la disposizione presente nei fanciulli e soprattutto l’impegno che essi mettono nel giocare: «vi si applicano di propria volontà e v’impegnano spontaneamente la loro operosità, la quale, come si è osservato, in nulla risparmiano; mentre ad imparare quello che debbono, vengono condotti e costretti per forza, e ciò li disgusta fin da principio».30 Per ottenere un buon apprendimento in qualunque settore della conoscenza, è dunque necessario che i soggetti in formazione siano sempre occupati in attività per loro interessanti e che gli insegnamenti acquistino un carattere ludico. Per far apprendere l’alfabeto Locke propone, per esempio, di adoperare dadi o cose simili, dove le lettere e la loro combinazione potrebbero diventare giochi da farsi con i compagni, giochi di riconoscimento delle lettere o di composizione di parole sul tipo del nostro moderno Scarabeo.

L’eco delle proposte di Locke attraversò tutta l’Europa e ben presto molti educatori si impegnarono in opere di didattica ludica con il chiaro scopo di trasformare le energie e gli entusiasmi che i bambini mostrano 30 J. Locke, Pensieri sull’educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1956, p. 93.

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naturalmente per il gioco, in apprendimento scolastico. Un uso e una valorizzazione non casuale dei giochi educativi si ritrova nei “giardini d’infanzia” (Kindergarten) istituiti da Friedrich Fröbel (1782-1852). L’educazione, per Fröbel, non deve soffocare le doti naturali dei bambini, anzi deve poggiare sulle spinte più forti che ne contraddistinguono la crescita. L’elemento più importante di questa spinta che accompagna la formazione infantile è il gioco, un’attività che non solo ha la capacità di stimolare l’immaginazione e la fantasia, ma rappresenta lo strumento fondamentale per entrare in rapporto con se stessi e con il mondo.

Il contributo più trasversale e interessante per l’immissione dello spirito del gioco nella vita della scuola ci viene però da un maitre à penser contemporaneo, vale a dire Roland Barthes, quando parla del «piacere del testo» (1967).31 Testo che per il semiologo francese è soprattutto quello letterario, ma a scuola è qualsiasi trasposizione in forma simbolica di un determinato contenuto di sapere e di conoscenza (ricordiamo i famosi-famigerati “libri di testo”). Solo la possibilità di caricare di valore ludico ed estetico (cioè affettivo e “sensibile”) le attività che permettono l’elaborazione delle identità e delle conoscenze, e solo se queste attività sapranno sganciarsi da obiettivi finalistici limitanti (il voto, il valore strumentale e così via) riscoprendo, attraverso l’appropriazione e l’uso dei linguaggi e dei saperi, il piacere della costruzione di una nuova koiné di “iniziati” (non di abilitati) all’esistenza, la paideia saprà ritrovare, nello spirito del gioco, il suo senso più autentico. In caso contrario anche le scuole rischieranno di trasformarsi sempre più nelle abitazioni di oggi, così come le nostre ricercatrici le vedono, cioè «zeppe di strumenti tecnologici di ogni genere, […] chiari riflessi di frustrazioni e nevrosi tipiche del mondo degli adulti, dove ai bambini viene negata ogni possibilità di muoversi in libertà».

È necessario così portare alla luce, attraverso la dimensione ludica dell’esistere, la caratteristica più autentica di un’identità e di una conoscenza intese non come destino ma come apertura al differente, al nuovo, al possibile.

MARCO DALLARI

31 Cfr. R. Barthes, Il piacere del testo, Einaudi, Torino, 1980.

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Appendice

L’Inchiesta sul gioco è frutto del lavoro svolto dalle autrici nel corso del Triennio. Iniziato dall’intera classe nell’anno scolastico 2002-2003, è stato poi proseguito da un gruppo ristretto nei due anni successivi, e si è concluso con la presente pubblicazione promossa e finanziata dal Comprensorio 10 a uso degli Istituti Comprensivi della Vallagarina.

La ricerca è nata fondamentalmente come un tentativo di far ap-prendere sul campo una serie di nozioni fondamentali di metodologia della ricerca sociale, in particolare relative al metodo delle inchieste. La scelta del tema del gioco è dunque da considerarsi occasionale, non rientrando tale argomento fra i contenuti fondamentali del curriculum delle scienze sociali. L’interesse principale, dal punto di vista strettamen-te didattico, è infatti legato sostanzialmente agli aspetti di carattere metodologico e non alla promozione di una conoscenza specifica e dettagliata delle teorie principali legate al gioco e ai relativi temi pedago-gici. Tutti gli approfondimenti sono dunque da considerarsi meramente funzionali alla presente ricerca.

La prima fase dei lavori ha visto la creazione di un questionario illu-strato, concepito per monitorare i bisogni ludico-educativi dei bambini fra i 6 e gli 11 anni di Rovereto e del Comprensorio. Nell’ambito delle iniziative di “Rovereto Città Educativa”, nell’aprile 2003 lo strumento di indagine è stato somministrato in via sperimentale in alcune classi campione di quattro plessi scolastici cittadini, al fine di verificarne l’efficacia e testarne la leggibilità da parte della popolazione interessata, con l’intenzione di riproporlo su un campione veramente rappresentati-vo, una volta apportate le eventuali modifiche, per ottenere informazioni a uso di insegnanti e amministratori circa il rapporto fra i bambini e il

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gioco. La prima fase della ricerca cooperativa è stata infine presentata con successo alla XII edizione del concorso Idee e progetti di nuove imprese cooperative.

L’interesse e l’apprezzamento ricevuti per il lavoro svolto hanno sol-lecitato un gruppo ristretto di studentesse a riproporre a settembre, una volta approdate in quarta, il questionario illustrato, in prima istanza al Comune di Rovereto, successivamente al Comprensorio 10, metten-do a disposizione il bagaglio di informazioni ed esperienze accumulate nel corso della prima fase della ricerca. Ignorato sostanzialmente dal Comune, il progetto ha invece fatto breccia nell’interesse degli ammini-stratori e dei funzionari del Comprensorio, che hanno accettato di finanziare l’indagine, dicendosi disposti a farne una pubblicazione. Il gruppo di ricercatrici ha dunque iniziato a fare sul serio, offrendo un servizio vero a un’istituzione importante e assumendosi insieme la responsabilità di un budget da gestire entro una scadenza precisa. La ricerca è stata svolta con la somministrazione di circa 200 questionari, la tabulazione e l’analisi statistica dei dati e la produzione di un secondo rapporto presentato alla XIII edizione del concorso Idee e progetti di nuove imprese cooperative.

Nel corso della quinta otto studentesse hanno curato l’interpretazione dei risultati e la stesura di questa breve monografia riepilogativa dell’indagine svolta. La pubblicazione delle fasi della ricerca e dei risultati ottenuti è diventata, per ciascuna delle partecipanti, progetto da presentare all’Esame di Stato.

CRISTIAN MOSCA

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Finito di stampare nel mese di xxxxx 2005

da LegoPrint s.p.a. – Lavis (TN)