LA CORTE DI GIUSTIZIA RIDIMENSIONA PROGRESSIVAMENTE IL … · essere assicurata stabilità e...

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Archivio selezionato: Dottrina LA CORTE DI GIUSTIZIA RIDIMENSIONA PROGRESSIVAMENTE IL PRINCIPIO NAZIONALE DI COSA GIUDICATA. Riv. it. dir. pubbl. comunit., fasc.1, 2010, pag. 287 GIANNI LO SCHIAVO - Classificazioni: UNIONE EUROPEA - Ce - - protezione dei consumatori Sommario: 1. Introduzione. - 2. La precedente giurisprudenza della Corte di giustizia e il principio di autorità del giudicato. - 3. La sentenza Olimpiclub e il ruolo del giudicato "esterno" rispetto alle annualità di imposta. - 4. Considerazioni giuridiche sulla portata della sentenza Olimpiclub in materia di giudicato. - 4.1. Brevi riflessioni sul valore del giudicato nel diritto interno. - 4.2. Il giudicato "esterno" nella sentenza Olimpiclub. 4.3. La sentenza Olimpiclub in rapporto alla sentenza Lucchini. - 5. La sentenza Asturcom e il ruolo del giudice nazionale nella valutazione di un lodo arbitrale definitivo. - 5.1. La fattispecie. - 5.2. Il giudizio di abusività di una clausola compromissoria tra consumatore e professionista. - 5.3. La valutazione della domanda pregiudiziale da parte della Corte. - 5.4. Considerazioni giuridiche sulla portata del giudicato nella sentenza Asturcom. - 6. Conclusioni. 1. Introduzione. La Corte di giustizia ha recentemente pronunciato due sentenze riguardanti il rapporto tra diritto comunitario e il valore di un principio fondamentale degli ordinamenti giuridici europei, il principio di cosa giudicata. Le sentenze oggetto di questo contributo sono la sentenza Olimpiclub, C-02/08, del 3 settembre 2009, e la sentenza Asturcom, C-40/08, del 6 ottobre 2009. Il principio di autorità di cosa giudicata nei sistemi giuridici degli Stati membri - nel caso italiano ex art. 2909 c.c. - si riferisce all'impossibilità che "la medesima questione o controversia - definita con riferimento all'oggetto, al fondamento normativo e alle parti in causa - venga ridiscussa in un procedimento successivo" (1). Tale principio riveste grandissimo valore giuridico nell'ottica della certezza del diritto non solo per il singolo Stato membro, ma anche per il diritto comunitario (2): infatti, le norme che garantiscono la definitività delle decisioni giurisdizionali o amministrative contribuiscono ad assicurare un maggior livello di certezza del diritto anche a livello comunitario. In questo senso, l'efficacia del principio di autorità di cosa giudicata è essenziale affinché possa essere assicurata stabilità e immutabilità alle sentenze pronunciate dalle autorità giudicanti. Come ricordano l'Avvocato generale e il giudice comunitario, è fondamentale, per la certezza del diritto processuale e sostanziale, che "le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione" (3), ma anzi possano acquistare forza di giudicato. Tuttavia, in taluni casi, come quelli esaminati nelle due recenti sentenze Olimpiclub e Asturcom, la forza del giudicato, manifestato in un provvedimento definitivo, può essere messo in discussione. Anche se il provvedimento giurisdizionale ha acquistato autorità di giudicato, la Corte ha riconosciuto il potere del giudice nazionale di "superare" il precedente giudicato per giungere alla più corretta applicazione della normativa comunitaria. 2. La precedente giurisprudenza della Corte di giustizia e il principio di autorità del giudicato. L'analisi della giurisprudenza della Corte di giustizia relativa alle sentenze Olimpiclub e Asturcom non può prescindere preliminarmente da un esame delle precedenti pronunce dove la Corte ha manifestato il suo orientamento sul valore del giudicato e della certezza del diritto all'interno degli ordinamenti degli Stati membri.

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Archivio selezionato: Dottrina

LA CORTE DI GIUSTIZIA RIDIMENSIONA PROGRESSIVAMENTE IL PRINCIPIO

NAZIONALE DI COSA GIUDICATA.

Riv. it. dir. pubbl. comunit., fasc.1, 2010, pag. 287

GIANNI LO SCHIAVO -

Classificazioni: UNIONE EUROPEA - Ce - - protezione dei consumatori

Sommario: 1. Introduzione. − 2. La precedente giurisprudenza della Corte di giustizia e il

principio di autorità del giudicato. − 3. La sentenza Olimpiclub e il ruolo del giudicato

"esterno" rispetto alle annualità di imposta. − 4. Considerazioni giuridiche sulla portata della

sentenza Olimpiclub in materia di giudicato. − 4.1. Brevi riflessioni sul valore del giudicato nel

diritto interno. − 4.2. Il giudicato "esterno" nella sentenza Olimpiclub. 4.3. La sentenza

Olimpiclub in rapporto alla sentenza Lucchini. − 5. La sentenza Asturcom e il ruolo del giudice

nazionale nella valutazione di un lodo arbitrale definitivo. − 5.1. La fattispecie. − 5.2. Il

giudizio di abusività di una clausola compromissoria tra consumatore e professionista. − 5.3. La valutazione della domanda pregiudiziale da parte della Corte. − 5.4. Considerazioni

giuridiche sulla portata del giudicato nella sentenza Asturcom. − 6. Conclusioni.

1. Introduzione. La Corte di giustizia ha recentemente pronunciato due sentenze riguardanti il rapporto tra

diritto comunitario e il valore di un principio fondamentale degli ordinamenti giuridici europei,

il principio di cosa giudicata. Le sentenze oggetto di questo contributo sono la sentenza

Olimpiclub, C-02/08, del 3 settembre 2009, e la sentenza Asturcom, C-40/08, del 6 ottobre

2009.

Il principio di autorità di cosa giudicata nei sistemi giuridici degli Stati membri − nel caso

italiano ex art. 2909 c.c. − si riferisce all'impossibilità che "la medesima questione o

controversia − definita con riferimento all'oggetto, al fondamento normativo e alle parti in

causa − venga ridiscussa in un procedimento successivo" (1). Tale principio riveste grandissimo valore giuridico nell'ottica della certezza del diritto non solo

per il singolo Stato membro, ma anche per il diritto comunitario (2): infatti, le norme che garantiscono la definitività delle decisioni giurisdizionali o amministrative contribuiscono ad

assicurare un maggior livello di certezza del diritto anche a livello comunitario. In questo senso, l'efficacia del principio di autorità di cosa giudicata è essenziale affinché possa

essere assicurata stabilità e immutabilità alle sentenze pronunciate dalle autorità giudicanti. Come ricordano l'Avvocato generale e il giudice comunitario, è fondamentale, per la certezza

del diritto processuale e sostanziale, che "le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo

l'esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi

ricorsi non possano più essere rimesse in discussione" (3), ma anzi possano acquistare forza di

giudicato.

Tuttavia, in taluni casi, come quelli esaminati nelle due recenti sentenze Olimpiclub e

Asturcom, la forza del giudicato, manifestato in un provvedimento definitivo, può essere messo

in discussione. Anche se il provvedimento giurisdizionale ha acquistato autorità di giudicato, la

Corte ha riconosciuto il potere del giudice nazionale di "superare" il precedente giudicato per

giungere alla più corretta applicazione della normativa comunitaria.

2. La precedente giurisprudenza della Corte di giustizia e il principio di autorità del giudicato. L'analisi della giurisprudenza della Corte di giustizia relativa alle sentenze Olimpiclub e

Asturcom non può prescindere preliminarmente da un esame delle precedenti pronunce dove la

Corte ha manifestato il suo orientamento sul valore del giudicato e della certezza del diritto all'interno degli ordinamenti degli Stati membri.

Da un breve esame di tale giurisprudenza si evince l'importanza assunta dai principi di certezza

del diritto e specialmente da quello di autorità di cosa giudicata.

Tuttavia la Corte ha talora preferito garantire la migliore applicazione della normativa

comunitaria al caso di specie, anche se ciò ha significato "sacrificare", "superare" principi

processuali nazionali (4). Ciò si è spesso basato su un richiamo all'art. 10 TCE che sancisce

l'obbligo di cooperazione degli Stati membri, i quali "adottano tutte le misure di carattere

generale e particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dal presente

trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunità".

La giurisprudenza più risalente, evidenziata dalle sentenze Köbler(5) e Traghetti delMediterraneo spa(6) − pur occupandosi nella controversia di un diverso argomento rispetto

all'efficacia del giudicato interno e cioè della responsabilità dello Stato per violazione da parte

degli organi giudiziari di ultima istanza − attribuisce un ruolo primario al principio di giudicato

negli Stati membri.

Nella sentenza Köbler del settembre 2003, la Corte ha riconosciuto la responsabilità dello Stato membro qualora un organo giurisdizionale di ultimo grado violi il diritto comunitario. La stessa

Corte ha modo di stabilire che "gli Stati membri sono obbligati a riparare i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario che sono loro imputabili (...) anche allorché la

violazione di cui trattasi deriva da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado". Le condizioni che la Corte richiede affinché possa essere risarcito un simile danno sono le

seguenti: la norma di diritto comunitario violata sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la

violazione deve essere sufficientemente caratterizzata e deve sussistere un nesso causale diretto

tra questa violazione e il danno subito dalle parti lese.

La violazione per essere sufficientemente caratterizzata deve portare il giudice nazionale a

valutare se tale violazione presenta un carattere manifesto.

Per quanto lo stesso giudice comunitario giunga all'affermazione di una forma di responsabilità

per lo Stato membro, la Corte richiama il valore di autorità della cosa giudicata quale principio

di certezza del diritto.

In tale decisione la Corte, sostenendo le posizioni presentate da alcuni Governi e dalla

Commissione, conferma l'importanza del principio di autorità di cosa giudicata e l'impossibilità

di contestarne la portata, pur potendo essere configurata la responsabilità dello Stato per una

violazione derivante dalla decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado.

La Corte sostiene, infatti, che "al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni

giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione"

(7). Sul punto il giudice comunitario perviene alla conclusione che, anche quando si voglia

formulare domanda di risarcimento del danno per un'azione dello Stato e questa si rivolga contro una sentenza definitiva di un giudice di ultimo grado, non si viola il principio di autorità

di cosa giudicata. Infatti "il principio della responsabilità dello Stato inerente all'ordinamento

giuridico comunitario richiede un tale risarcimento, ma non la revisione della decisione

giurisdizionale che ha causato il danno" (8).

L'esistenza del principio di intangibilità del giudicato è stata poi rafforzata, indirettamente, dalla Corte in occasione del caso Traghetti del Mediterraneo nel riconoscere una forma di

responsabilità dello Stato per errori dei giudici. Anche in questo caso la Corte tiene distinta la sfera della responsabilità dello Stato per una violazione derivante dalla decisione dell'organo

giurisdizionale da quella dell'autorità del giudicato (9). Dalle due sentenze brevemente esaminate emerge che il principio di autorità della cosa

giudicata è trattato esclusivamente in riferimento alla questione attinente alla responsabilità

dello Stato, e più in particolare nel caso in cui l'autorità giudiziaria di ultimo grado abbia

violato, con i suoi provvedimenti, il diritto comunitario.

Il giudice comunitario, con la sentenza Kuhne& Heitz(10), è chiamato a riaffrontare il

difficile rapporto tra la portata del giudicato di diritto interno e i principi fondamentali del

diritto comunitario, stavolta su un piano attinente l'efficacia dei provvedimenti amministrativi

ed il loro carattere definitivo.

La questione sottoposta alla Corte si prestava ad una valutazione complessa e difficile sulla

definitività di un provvedimento amministrativo. Il carattere definitivo di un provvedimento

definitivo è tipica espressione del più generale principio di certezza del diritto e in termini

generali non può essere relativizzato se non sussistono presupposti specifici (11).

Il giudice comunitario afferma l'efficacia retroattiva delle pronunce della Corte, anche, quindi,

con riferimento ai "rapporti giuridici sorti e costituiti prima del momento in cui è sopravvenuta

la sentenza in cui la Corte si pronuncia sulla richiesta di interpretazione" (12).

Il caso di specie era stato viziato da un errore nell'applicazione del diritto comunitario da parte del giudice nazionale.

Infatti, la Corte giunge alla conclusione che, qualora sia rilevato un errore nell'interpretazione di una norma comunitaria, il provvedimento definitivo pronunciato dall'organo amministrativo

e confermato da un giudice di ultima istanza con sentenza può essere riesaminato. La Corte richiede, tuttavia, il rispetto di determinati requisiti per attribuire un simile potere di

riesame avverso un provvedimento amministrativo definitivo: il diritto nazionale deve consentire all'organo amministrativo competente di poter ritornare su tale decisione; la

decisione deve essere divenuta definitiva in seguito ad una sentenza di un giudice nazionale

che statuisce in ultima istanza; tale sentenza, alla luce di una giurisprudenza della Corte

successiva alla medesima, deve risultare "fondata su un'interpretazione errata del diritto

comunitario adottata senza che la Corte fosse adita a titolo pregiudiziale"; e, in ultimo,

l'interessato deve essersi rivolto all'organo amministrativo immediatamente dopo essere stato

informato di detta giurisprudenza (13).

Di fatto, sancendo la possibilità di un'autotutela amministrativa, la Corte ha riconosciuto, sotto

particolari e stretti limiti, la possibilità di riesaminare una decisione amministrativa, divenuta

definitiva, col fine di garantire il rispetto dei principi di effettività e di equivalenza della tutela

giurisdizionale.

Con la sentenza Kapferer(14) la Corte ha inteso valorizzare il giudicato interno, stabilendo che

"il giudice nazionale non è tenuto a disapplicare le norme processuali interne, che hanno

l'obiettivo di assicurare i diritti delle parti e la certezza del diritto, nonostante il principio di leale cooperazione nell'esecuzione del diritto comunitario stabilito dal trattato CE" (15).

In questo caso l'esistenza del principio di collaborazione e cooperazione di cui all'art. 10 Trattato CE non può giungere ad un'applicazione tale da mettere in discussione l'intangibilità e

l'immutabilità del giudicato di diritto interno. Secondo i giudici comunitari l'art. 10 non impone al giudice di dover disapplicare le norme processuali interne e, in particolare, la forza del

giudicato di diritto interno, qualora risulti che una sentenza definitiva violi il diritto comunitario.

La Corte non vuole "superare" la forza del giudicato nel diritto interno e nega che il giudice

interno, nell'applicare una norma comunitaria, possa contestare un provvedimento

giurisdizionale definitivo. Richiamando la massima affermata nella sentenza Kuhne & Heitz, la Corte circoscrive la possibilità di ridiscutere una decisione definitiva di un organo giurisdizionale, nel caso in cui sia sta violato il diritto comunitario, "alla condizione, in

particolare, che il detto organo disponga, in virtù del diritto nazionale, del potere di tornare su tale decisione" (16).

Basandosi anche su quanto sostenuto nella sentenza Eco Swiss(17), la Corte dichiara che "il diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali

interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò

permetterebbe di accertare una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione"

(18).

Allo stesso modo, l'Avvocato generale precisa che la res judicata rappresenta "un principio

fondamentale che contraddistingue le sole decisioni giurisdizionali" (19); così, intendendo

evidenziare che i provvedimenti amministrativi hanno una natura diversa rispetto alle decisioni

giurisdizionali e che non si possono collocare sullo stesso piano.

In definitiva, si sancisce la intangibilità del giudicato, stabilendone la preminenza rispetto ai

principi di leale collaborazione tra le istituzioni comunitarie e gli Stati membri.

Nella sentenza Eco Swiss, la Corte ha ritenuto che non potessero essere disapplicate le norme

processuali interne che stabilivano il carattere di inattaccabilità e di intangibilità di un lodo

arbitrale interlocutorio tra le parti.

Anche in questo caso i giudici comunitari negano che possano essere posti limiti alla certezza

del diritto e, più in particolare, alla autorità di cosa giudicata rappresentata da un lodo arbitrale,

non più soggetto ad impugnazione per lo spirare dei termini. Tuttavia, recentemente un caso emblematico che ha fortemente scosso l'intangibilità del

giudicato interno e che è stato richiamato anche dalla Corte di cassazione nell'ordinanza di rinvio della sentenza Olimpiclub, è rappresentato dalla sentenza Lucchini(20).

In tale occasione il giudice comunitario ha dichiarato incompatibile l'art. 2909 c.c. nella misura in cui la cosa giudicata osti all'applicazione della normativa comunitaria sugli aiuti di stato e,

più in generale, sulle regole afferenti al mercato comune relativamente alla quale la Comunità ha una competenza esclusiva. Il caso si riferiva ad una concessione di aiuti di stato che, in

quanto afferente ad un settore di competenza esclusiva della Comunità, non lasciava spazio ad

un intervento degli Stati membri. La presenza di una sentenza passata in giudicato non poteva

contrastare la decisione della Commissione europea che, come detto, in questo settore ha

competenza esclusiva.

In tal modo, i giudici comunitari hanno ritenuto possibile eccepire l'assolutezza del principio di

autorità di cosa giudicata, qualora una decisione della Commissione in materia di aiuti di stato

non sia stata eseguita ai fini decisori.

La decisione della Corte mette in discussione il significato dell'autorità di cosa giudicata,

rectius del giudicato sostanziale, fornendo una propria interpretazione delle regole processuali.

La forza del giudicato civile in uno Stato membro non può pregiudicare una decisione della

Commissione europea, giacché la Comunità, e la Commissione in particolare, godono di

competenza esclusiva in materia di compatibilità di un aiuto di stato con il mercato comune.

Così con la sentenza Lucchini la Corte ha modo non soltanto di oltrepassare il valore del giudicato derivante da una sentenza, ma anche di ripristinare lo status quo ante, non limitando

il pieno soddisfacimento della pretesa al semplice risarcimento, ma ripristinando l'efficacia di una decisione della Commissione.

Secondo il dispositivo della sentenza Lucchini una sentenza passata in giudicato di per sé non deve impedire l'applicazione del diritto comunitario, ma, al contrario, qualora si manifesti un

contrasto con la normativa comunitaria, il principio di primato del diritto comunitario e la competenza esclusiva della CE in materia di aiuti di stato devono essere rispettati.

3. La sentenza Olimpiclub e il ruolo del giudicato "esterno" rispetto alle annualità di imposta. Nella sentenza Olimpiclub la Corte di giustizia ha inteso rafforzare il valore delle regole e degli

interessi comunitari, e più in generale la primazia del diritto comunitario, nei confronti del

principio di autorità di cosa giudicata, formulato nel diritto italiano all'art. 2909 c.c., nei casi in cui la sua rigorosa applicazione impedisca il rispetto dei principi comunitari.

La soluzione prospettata dalla Corte mette in discussione il principio di autorità di cosa giudicata, come risulta nel sistema italiano e di cui al suddetto articolo del codice civile, in una

causa concernente l'imposta sul valore aggiunto (IVA), giustificando l'inapplicabilità di tale principio alla fattispecie, qualora il principio medesimo impedisca al giudice nazionale di tener

conto dei principi comunitari in materia di pratiche abusive.

La Società sportiva Olimpiclub (21) stipulava un contratto di comodato con un'Associazione alla fine degli anni '80. L'Associazione nel contratto di comodato si impegnava, tra l'altro, ad

assumere a proprio carico il pagamento del canone demaniale ed a trasferire tutte le entrate lorde alla Società Olimpiclub. Tuttavia, nel corso di una serie di attività di accertamento, la Guardia di Finanza richiedeva la rettifica di alcune dichiarazioni IVA relative agli anni 1988-1991, contestando alcune irregolarità nel contratto stipulato tra la Società e l'Associazione. Secondo l'Agenzia delle Entrate, la stipula del contratto di comodato aveva lo scopo di eludere la legge per permettere alla Società Olimpiclub di ottenere un indebito risparmio di imposta. Di conseguenza, gli avvisi di rettifica delle dichiarazioni IVA sono stati impugnati dalla Società. Le Commissioni tributarie competenti sia in primo grado che in grado di appello, si sono pronunciate a favore del ricorso effettuato dall'Olimpiclub, non ritenendo fraudolento il comportamento tenuto dalla Società nella stipulazione del contratto. In seguito, l'Amministrazione finanziaria ha presentato un ricorso in Cassazione, volendo porre in rilievo l'intento elusivo nella stipulazione del comodato. L'Olimpiclub ha replicato in Cassazione, richiamando nel merito alcune pronunce definitive, passate in giudicato, delle Commissioni tributarie. Tali pronunce si riferivano a periodi di imposta diversi da quello in esame (per gli anni 1987 e 1995) e avevano già escluso l'esistenza di un intento elusivo da parte della Società Olimpiclub. Di conseguenza, tenute presenti tali pronunce definitive, il giudice del rinvio, secondo quanto sostenuto dalla Società Olimpiclub, non avrebbe potuto pronunciarsi sul comportamento tenuto dalla Società. La Cassazione, tenuto conto della recente giurisprudenza comunitaria in materia di autorità di cosa giudicata − nella sentenza Lucchini nonché della sua stessa giurisprudenza in tema di annualità fiscale − sospende il procedimento principale e pone domanda pregiudiziale alla Corte di giustizia. Più precisamente, la Cassazione presenta ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, con la quale si chiede che sia chiarito se in materia tributaria, e più in particolare, nel caso in cui si è formato un giudicato "esterno" relativo ad un diverso periodo di imposta sul medesimo rapporto giuridico, il diritto comunitario osti all'applicazione del principio di autorità di giudicato qualora ci sia stato "un abuso di diritto posto in essere per conseguire indebiti risparmi d'imposta" (22). La Corte di giustizia analizza il rapporto tra il principio di autorità di cosa giudicata, ex art. 2909 c.c., e i principi comunitari di lotta all'abuso del diritto in materia fiscale. Da un punto di vista processuale, la questione giuridica sottoposta al giudice comunitario concerne la possibilità di applicare una sentenza definitiva, passata in giudicato e relativa al pagamento dell'IVA, ad un periodo di imposta diverso. Dalle posizione dei Governi e della Commissione emergono elementi interessanti. Secondo il Governo italiano "il giudice del rinvio potrebbe ancora esaminare la questione della pratica abusiva" (23), non essendo ancora state prese delle decisioni definitive sui periodi di imposta considerati nel giudizio principale. Secondo la Commissione esiste una distinzione tra l'oggetto delle causa in esame e quello delle sentenze Eco Swiss e Kapferer. Il risultato è, quindi, che diverse annualità fiscali danno luogo a "una separata imponibilità fiscale" (24) e che risulta ingiustificato dover far valere un giudicato "esterno" in relazione ad un diverso periodo di imposta. In linea di principio, sembra che le posizioni di tali parti consentano il superamento o meglio la "non considerazione" dell'autorità di cosa giudicata di un provvedimento avente una portata temporale diversa, un giudicato "esterno" sullo stesso rapporto giuridico. Ancor prima di concentrarsi sul valore del giudicato, nelle sue conclusioni, l'Avvocato generale richiama il principio di autonomia procedurale degli Stati membri nell'attuazione delle normative comunitarie, qualora manchino specifiche indicazioni comunitarie. La questione sollevata deve essere, quindi, collocata nel più ampio dibattito sull'attuazione della normativa comunitaria negli Stati membri.

Se non è previsto l'affidamento di una materia direttamente alle istituzioni comunitarie, spetta agli organi e agli apparati amministrativi e giudiziari nazionali degli Stati membri dare attuazione al diritto comunitario. La portata del diritto comunitario è tale che tocca, dunque, agli Stati membri adoperarsi affinché sia data esecuzione alla normativa comunitaria, rispettando le modalità sostanziali e procedurali del loro diritto nazionale (25). Basandosi su una giurisprudenza consolidata (26), l'Avvocato generale ricorda che, qualora gli Stati membri agiscano nel quadro di un'autonomia procedurale, gli stessi sono tenuti a rispettare il principio di equivalenza e di effettività nell'attuazione della normativa comunitaria. Il primo principio garantisce che le forme di tutela procedurale della cosa giudicata "non devono (...) essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna". Il secondo principio assicura che, nel ricorrere in via processuale, tali modalità non siano "strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario" (27). Mentre il giudice comunitario nel caso Kapferer(28), come sopra ricordato, sembrava invitare il giudice nazionale a non disapplicare le norme processuali interne, anche a scapito di una violazione del diritto comunitario, l'Avvocato generale, basandosi sempre sulla primazia del diritto comunitario su quello degli Stati membri e sull'obbligo di garantire un effetto utile alle norme comunitarie (29), restringe la portata del principio di autorità di cosa giudicata nel caso in cui principi comunitari siano stati violati. Venendo più specificatamente al giudizio della Corte, questa si chiede, dunque, se il principio di autorità di cosa giudicata e il giudicato formatosi su una fattispecie parzialmente diversa rispetto a quella oggetto di domanda pregiudiziale siano compatibili o meno con i principi comunitari (30). Le alternative attuabili dalla Corte potevano essere due: o considerare pienamente efficace il giudicato formatosi nelle due decisioni, rendendo in tal modo incontestabile una situazione, pur erroneamente interpretata dal giudice interno in quanto contrastante con la normativa comunitaria, affidandosi al principio della certezza del diritto; oppure limitare la portata del giudicato richiamato dalla Società Olimpiclub, considerando assolutamente preminente l'interesse a che la normativa comunitaria contro pratiche abusive potesse trovare applicazione. La Corte nel suo giudizio risolve la questione seguendo la seconda alternativa. Il nodo della questione è, in concreto, rappresentato dall'(in)conte-stabilità di un giudicato con la normativa comunitaria. Il valore del giudicato su un singolo rapporto di annualità fiscale di imposta si rifletterebbe anche nei confronti di una situazione giuridica, diversa solo sul piano temporale, rappresentata da tutte le successive e diverse annualità relative al medesimo rapporto giuridico. In tal modo, un'applicazione rigorosa del giudicato avrebbe frustrato una libera interpretazione del giudice interno, vincolandolo alle decisioni passate in giudicato. La Corte ritiene che, se si applicasse il principio di autorità di cosa giudicata nel caso in esame, si limiterebbe il potere decisorio del giudice nazionale. Questi, nel valutare se la fattispecie è o non è compatibile con la normativa comunitaria in materia di pratiche abusive legate all'IVA, dovrebbe attenersi al giudicato già formatosi e relativo ad annualità fiscali precedenti. Tuttavia, l'esistenza di un contrasto tra un giudicato esterno, relativo al medesimo rapporto giuridico ma pronunciato da diverso giudice, e il principio di effettività di tutela giurisdizionale, sancito in via giurisprudenziale dal giudice comunitario, è un contrasto da risolversi a favore dell'applicazione della normativa comunitaria e non di quella nazionale. In un bilanciamento di interessi contrastanti − e cioè da una parte, la portata effettiva della normativa comunitaria in materia di pratiche abusive e, dall'altra, la certezza del diritto

sancito dal principio di autorità di cosa giudicata − la Corte ritiene preminente il rispetto della normativa comunitaria sulla forza di un giudicato "esterno". La forza di un precedente giudicato violerebbe il principio di effettività di tutela, rendendo "in pratica impossibile" il rispetto della normativa comunitaria. Le conclusioni dell'Avvocato generale e il dispositivo della sentenza affermano, in definitiva, che il diritto comunitario osta all'applicazione del principio di autorità di cosa giudicata ex art. 2909 c.c., in quanto l'applicazione di un giudicato "impedirebbe al giudice nazionale investito di tale causa di prendere in considerazione le norme comunitarie in materia di pratiche abusive legate a detta imposta". Questo significa che i principi di stabilità giuridica degli Stati membri, in questo caso il valore del giudicato, possono essere "relativizzati", qualora siano presenti normative e interessi comunitari preminenti da applicare alla fattispecie. 4. Considerazioni giuridiche sulla portata della sentenza Olimpiclub in materia di giudicato. 4.1. Brevi riflessioni sul valore del giudicato nel diritto interno. Un esame critico della sentenze Olimpiclub deve tener conto, in primo luogo, della definizione e della forza del giudicato nel diritto interno. La dottrina italiana (31) usa attribuire al giudicato una forza tale da coprire il dedotto ed il deducibile. La portata di questa espressione consiste nell'impedire che "un giudice in un futuro processo possa comunque disconoscere o diminuire il bene riconosciuto nel precedente giudizio" (32). Il giudicato rende, quindi, incontestabile l'accertamento contenuto nella pronuncia e quanto poteva essere rilevato dalle parti in giudizio, ma non lo è stato, il deducibile. Il limite essenziale rappresentato dal giudicato impedisce che possa essere rimesso in discussione il "bene" riconosciuto dalla decisione. Una sentenza definitiva suscettibile di modifica o di annullamento in condizioni normali rimetterebbe in discussione l'intero sistema di certezza giuridica che, attraverso l'autorità giudiziaria, lo Stato intende garantire. Nel nostro sistema esiste la possibilità di esperire un rimedio di natura straordinaria contro una sentenza passata in giudicato, solo entro gli stretti limiti della revocazione (33) (artt. 395 e 397 c.p.c.). In tutti gli altri casi non esiste strumento generale per rimettere in discussione una sentenza passata in giudicato. Quando una sentenza diventa definitiva, risultano irrilevanti le contestazioni su fatti anteriori che potevano essere rilevate, ma che non lo sono state, in quanto il deducibile è coperto dalla forza del giudicato; tuttavia, può sembrare necessaria la valutazione degli eventuali fatti sopravvenuti al giudicato, sempre che la sentenza non abbia travolto il rapporto giuridico dedotto in giudizio. 4.2. Il giudicato "esterno" nella sentenza Olimpiclub. Nella sentenza Olimpiclub la questione giuridica affrontata riguarda la forza del giudicato "esterno" suscettibile di una sua possibile applicazione dilatata nel tempo e, quindi, di situazioni giuridiche non afferenti alla stretta portata temporale del provvedimento definitivo. L'oggetto della controversia nella causa principale concerne il rapporto impositivo IVA, caratterizzato da una dimensione temporale avente carattere durevole e non istantaneo (34). Ai fini del giudicato, l'esistenza di una prestazione avente carattere durevole pone dei problemi con riguardo soprattutto agli eventi sopravvenuti (35). Infatti, le situazioni soggettive di carattere durevole tendono, per loro natura, a proseguire anche dopo la formazione di un giudicato, purché non intervenga un fatto estintivo o modificativo della fattispecie principale. Nel caso di specie, l'esistenza di un giudicato precedente che insiste sul medesimo rapporto giuridico concernente una prestazione impositiva anteriore, potrebbe porre vincoli al giudice nel decidere sullo stesso rapporto, ma relativamente ad un periodo successivo di imposta. È proprio il caso in esame che, come evidenziato nella ricostruzione dei fatti, fa emergere il problema della applicazione di un giudicato anteriore alla fattispecie.

Per ricostruire il valore del giudicato che insiste su un'annualità tributaria antecedente, la Corte di cassazione ha avuto modo di richiamare la sua recente giurisprudenza nell'ordinanza di rinvio. Come si rileva dalle conclusioni dell'Avvocato generale (36), la Cassazione ha manifestato un recente cambiamento di opinione sul punto. Per lungo tempo la Cassazione ha sostenuto il principio della frammentazione dei giudicati, ritenendo che ciascuna annualità tributaria, per quanto attinente al medesimo rapporto giuridico, conservi una sua autonomia. In linea di principio possono esistere tanti giudicati quanti sono i periodi, le annualità di imposta. La conseguenza immediata di questa interpretazione è che ciascuna sentenza conserva valore di giudicato soltanto relativamente alla singola annualità di imposta cui si riferisce. Per le annualità diverse il giudicato non ricoprirebbe il dedotto e il deducibile. Come ricorda la stessa Cassazione nell'ordinanza di rinvio, tale interpretazione ha subito un recente mutamento. L'oggetto del giudizio tributario non resta più circoscritto all'atto impugnato e, nel caso che più interessa la sentenza in esame, all'annualità di riferimento, ma si può estendere anche a "il merito della pretesa tributaria dell'amministrazione e il contesto normativo che sottintende tale pretesa". Secondo tale interpretazione, quindi, qualora si sia formato un giudicato nell'ambito di un giudizio tributario, questo può valere anche in successivi e diversi periodi di imposta, sempre che sussista un punto fondamentale comune ad entrambe le cause. Si afferma, così, l'efficacia del giudicato tributario anche nei confronti di diversi periodi di imposta, quando questo incida su elementi rilevanti al di là della singola annualità (37). Un'altra questione processuale che potrebbe suscitare non pochi problemi applicativi è rappresentata dallo ius superveniens irretroattivo, ovvero da una situazione in cui il rapporto giuridico di durata, cristallizzato da una sentenza passata in giudicato, è suscettibile di essere investito da una nuova norma nella frazione temporale successiva alla sentenza. Non pare rilevare tale problema, in quanto l'Avvocato generale esclude che la decisione della Corte possa investire le sentenze definitive pronunciate su annualità fiscali precedenti (38). Il problema, semmai, concerne l'efficacia di detti provvedimenti definitivi rispetto ad un periodo di tempo più esteso rispetto a quello strettamente "giudicato". Il punto essenziale, evidenziato soprattutto nelle conclusioni dell'Avvocato generale (39), si sostanzia, infatti, nell'assunto che le sentenze passate in giudicato non vengono rimesse in discussione "in quanto tali", ma ne viene soltanto limitata l'efficacia con riguardo al periodo d'imposta cui si riferiscono. Pare essenziale comprendere se decisioni definitive pronunciate dalle Commissioni tributarie possono avere un'efficacia preclusiva anche con riguardo a diverse e successive annualità di imposta. Nonostante che la giurisprudenza più recente abbia superato il principio di frammentazione dei giudicati, con riguardo alle prestazioni contributive aventi carattere periodico, la dottrina pare restare di parere contrario (40). Se non fosse intervenuto il cambiamento di giurisprudenza menzionato supra, forse, la questione dell'efficacia oltre lo stretto periodo cui si riferisce il giudicato tributario non avrebbe posto un simile problema di interpretazione del diritto comunitario. 4.3. La sentenza Olimpiclub in rapporto alla sentenza Lucchini. La sentenza Olimpiclub, nella sua impostazione, sembra seguire il medesimo iter della sentenza Lucchini per limitare il valore del giudicato interno contrastante con il diritto comunitario. Appare, tuttavia, eccessivo uno stretto paragone con la sentenza Lucchini giacché una giurisprudenza interna e parte della dottrina si erano già dimostrate favorevoli alla frammentazione dei giudicati concernenti tributi aventi un carattere dilatato nel tempo (41). Semmai, la sentenza Lucchini può costituire un precedente importante per la Corte per ribadire la primazia del diritto comunitario.

Infatti, in tale questione si intendeva limitare un possibile erosione della competenza esclusiva della Comunità in materia di aiuti di stato. Al contrario, la controversia Olimpiclub, non riguardando una materia di competenza comunitaria esclusiva, presenta un oggetto diverso rispetto alla sentenza Lucchini(42). Nel caso della sentenza Lucchini la materia del contendere è la disciplina comunitaria in tema di aiuti di stato, in cui sussiste una competenza comunitaria esclusiva, che non può essere limitata dall'esercizio di poteri da parte degli apparati giudiziari o amministrativi di uno Stato membro, ma prevede un controllo esclusivo esercitato dalla Commissione. Nella sentenza Olimpiclub la materia considerata è quella fiscale, ove non si rileva una simile competenza esclusiva della Comunità, ma solo un certo grado di armonizzazione (43). Inoltre, la questione si pone con riferimento ad un medesimo rapporto giuridico avente carattere impositivo, l'IVA, ma relativamente a diversi periodi di imposta; e non propriamente sulla "legittimità" di una sentenza, ormai definitiva, pronunciata dalla Corte di appello, come nel caso Lucchini. Si potrebbe, comunque, verificare l'eventualità di un contrasto del principio di autorità di cosa giudicata con la normativa comunitaria pertinente, anche in materie diverse da quella degli aiuti di stato e, in particolare, come nel caso di specie, nella materia di imposta IVA (e di abuso di diritto) posto in essere per conseguire indebiti risparmi di imposta. Pare, però, ancora più rilevante l'atteggiamento della Corte rispetto ai criteri di effettività e di equivalenza nella sentenza Olimpiclub. In questo senso, rispetto alla sentenza Lucchini, la Corte ha modo di riprendere i canoni di effettività e di equivalenza per valorizzare la sua decisione. I due criteri rappresentano dei parametri-limite per il vaglio operato dalla Corte con riguardo alla regole processuali nazionali. Qualora la Corte rilevi un contrasto con uno di questi due criteri, essa può giungere ad una disapplicazione delle norme nazionali di tipo processuale nel caso concreto. Un elemento importante che consente alla Corte di limitare la forza del giudicato "esterno" in materia tributaria è la valutazione del criterio di effettività quale limite alla autonomia procedurale degli Stati membri (44). Il criterio di effettività, che, come detto, non è stato espressamente richiamato nella sentenza Lucchini, costituisce il canone utilizzato dalla Corte per affermare il principio in dispositivo. Esso è riferito alle modalità mediante le quali gli Stati membri sono tenuti ad assicurare le posizioni di derivazione comunitaria. Tali modalità non possono rendere eccessivamente difficile o impossibile l'esercizio dei diritti conferiti dal diritto comunitario. La portata del principio di effettività non può impedire che, nel caso concreto, il giudice nazionale possa essere portato a mal interpretare le norme comunitarie in materia di pratiche abusive legate all'IVA. 5. La sentenza Asturcom e il ruolo del giudice nazionale nella valutazione di un lodo arbitrale definitivo. Nella sentenza Asturcom la Corte di giustizia afferma la prevalenza del diritto comunitario, e in particolare delle regole stabilite dalla direttiva 93/13/CEE in materia di diritti del consumatore, su un lodo arbitrale definitivo pronunciato da una camera arbitrale. La pronuncia della Corte si sofferma sui poteri del giudice interno investito da una domanda per l'esecuzione forzata di un lodo arbitrale divenuto definitivo. Il giudice interno è, nel giudizio della Corte, tenuto ad esaminare d'ufficio il carattere abusivo della clausola compromissoria in un contratto stipulato dal professionista con il consumatore, qualora il giudice, secondo le norme procedurali nazionali, possa procedere ad una simile valutazione nell'ambito di ricorsi analoghi di diritto interno. 5.1. La fattispecie. Nel maggio del 2004 la signora Nogueira (45) stipulava con l'operatore telefonico Asturcom Telecomunicaciones S. L. un contratto di abbonamento telefonico per una linea telefonica ad uso privato. Tale contratto conteneva una clausola compromissoria che sottoponeva qualsiasi

controversia che fosse sorta con l'operatore telefonico all'arbitrato dell'Asociación Europea de Arbitraje de Derecho y Equidad (AEADE). La signora Nogueira non saldava alcuna fattura e recedeva dal contratto prima della scadenza della durata minima di abbonamento convenuto. Nel corso del procedimento arbitrale previsto dalla clausola contrattuale la Nogueira non era comparsa: questa era una situazione che aveva portato alla scadenza del termine previsto per il ricorso in annullamento contro il lodo arbitrale e alla definitività del lodo stesso. La Asturcom, allora, proponeva domanda all'AEADE che pronunciava un lodo arbitrale di condanna a carico della signora Nogueira di una certa somma di danaro (euro 669,60). Quest'ultima non proponeva alcuna domanda di annullamento del lodo e la decisione della camera arbitrale diventa definitiva. Successivamente, la Asturcom propone domanda di esecuzione forzata del lodo arbitrale al giudice civile spagnolo, a seguito del mancato pagamento della signora Nogueira. Il giudice dell'esecuzione pone, quindi, questione pregiudiziale alla Corte di giustizia, soffermandosi, in particolare, sul carattere abusivo di detta clausola compromissoria. 5.2. Il giudizio di abusività di una clausola compromissoria tra consumatore e professionista. La sentenza Asturcom è una recente pronuncia della Corte in cui, nel valutare una clausola compromissoria contenuta in un contratto tra professionista e consumatore, si pone il problema della definitività e del valore di giudicato di un lodo arbitrale. Il problema posto dal giudice del rinvio nella domanda pregiudiziale riguarda la contrapposizione tra la definitività di un lodo arbitrale e le norme comunitarie a tutela del consumatore, espressamente previste dalla direttiva 13/93/CEE e, già da tempo, recepite dagli Stati membri. Pare utile, innanzitutto, ricostruire brevemente il quadro giuridico entro cui si inserisce la sentenza. La questione affrontata si riferisce al diritto dei consumatori (46), materia che trova un forte livello di armonizzazione comunitaria all'interno degli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Le figure soggettive cardine di questa normativa sono rappresentate dal consumatore e dal professionista (47). Il consumatore è un soggetto posto in posizione di inferiorità rispetto al professionista in ogni fase contrattuale, come nel corso delle trattative antecedenti alla conclusione del contratto o in merito al grado di informazione nei rapporti con il professionista. Ciò determina che, nella predisposizione del contratto con il professionista, alcune clausole possono, in concreto, risultare abusive. La disciplina giuridica generale in materia di contratti stipulati tra consumatore e professionista è contenuta all'interno della direttiva 13/93/CEE che disciplina, tra l'altro, le clausole abusive o vessatorie che un professionista potrebbe inserire nel contratto con il consumatore. L'esame della sentenza Asturcom presuppone il riferimento ad alcuni articoli, segnatamente gli articoli 3, 6 e 7 della direttiva 13/93/CEE (48). Merita attenzione anche il richiamo che opera la Corte all'allegato di tale direttiva e all'elenco indicativo delle clausole che possono essere considerate abusive. Tra queste figura la lettera q), un tipo di clausola che richiama fortemente quella apposta nel contratto di telefonia della Asturcom con la Nogueira. L'analisi della posizione delle parti intervenute nel giudizio e richiamate nelle conclusioni dell'Avvocato generale pare utile per chiarire i punti contestati. La Asturcom rimarca il valore di autorità di cosa giudicata dei lodi arbitrali equiparati a decisioni giudiziarie. Tale elemento emerge da alcune sentenze della Corte costituzionale spagnola che riconoscono una simile forza ai lodi arbitrali. Ciò impedirebbe al giudice competente per l'esecuzione di sindacare il valore del giudicato consolidatosi, se, nei termini di decadenza, non è proposto ricorso per annullamento. Il giudice, quindi, non potrebbe rilevare ex officio la validità della clausola compromissoria in un secondo momento quando la decisione arbitrale è divenuta definitiva.

Al contrario, gli altri intervenuti in giudizio − il Governo ungherese, spagnolo e la Commissione − esprimono un atteggiamento di favore verso il riconoscimento al giudice interno di un potere/dovere d'ufficio nel valutare la validità di una clausola compromissoria da considerarsi abusiva. L'elemento su cui pone l'attenzione il Governo spagnolo è rappresentato dall'ordine pubblico quale parametro per poter considerare la validità di una clausola compromissoria. Se si rileva il carattere abusivo della clausola compromissoria, il lodo dovrà essere dichiarato nullo anche se definitivo in quanto contrastante con una norma di ordine pubblico interno. La posizione della Commissione è in sostanza vicina a quella degli Stati membri. Essa pone l'accento sull'analisi della clausola compromissoria e sostiene che, anche se il consumatore ha assunto un atteggiamento passivo, deve essere dato al giudice dell'esecuzione il potere di verificare d'ufficio, e in via eccezionale, il carattere abusivo della clausola compromissoria. Qualora con tale esame il giudice concluda che la clausola è abusiva, sarà tenuto a dichiararla nulla. La Commissione, corroborando la tesi della Corte già espressa nella sentenza Mostaza Claro, conclude che il giudice ha l'obbligo di esaminare il carattere abusivo di una clausola compromissoria. 5.3. La valutazione della domanda pregiudiziale da parte della Corte. La Corte inizia l'esame della questione pregiudiziale da un esame dei recenti principi giurisprudenziali comunitari relativi al consumatore (49). La Corte, richiamando la propria giurisprudenza (50), afferma che le clausole abusive non vincolano il consumatore e che il contratto può essere ricondotto ad equilibrio grazie ad un "intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale". In tal modo, il giudice nazionale è "tenuto ad esaminare d'ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale". In rapporto alla sentenza Mostaza Claro, pur esistendo numerosi elementi in comune − un lodo arbitrale divenuto definitivo, la camera arbitrale designata era la medesima, il contratto prevedeva una simile clausola compromissoria −, nel caso Asturcom la Nogueira è rimasta completamente passiva nel corso del procedimento arbitrale, dando modo al lodo di acquistare efficacia di giudicato. La Corte si chiede, dunque, se in assenza di qualsiasi comportamento del consumatore, il giudice dell'esecuzione sia tenuto a garantire una tutela completa al consumatore "passivo", a colui che sia rimasto totalmente fermo rispetto ad un provvedimento di condanna a suo carico. La Corte richiama, tuttavia, il valore del principio di autorità di cosa giudicata quale principio di certezza del diritto sia per la stabilità dei rapporti giuridici sia per una buona amministrazione della giustizia (51). Ai par. 37 e 38 della sentenza la Corte considera l'importanza del criterio di autonomia procedurale spettante agli Stati membri nell'attuazione del principio di autorità di cosa giudicata. In questo contesto, gli Stati membri sono tenuti al rispetto dei criteri di equivalenza e di effettività affinché si possa valutare se un provvedimento giurisdizionale ha utilmente applicato il diritto comunitario (52). Spetta, quindi, alla Corte determinare il rispetto di questi due limiti all'autonomia procedurale spettante agli Stati membri. La Corte valuta, dunque, se i due criteri di effettività e di equivalenza sono stati rispettati nei riguardi dei diritti di derivazione comunitaria. In primo luogo, la Corte analizza il criterio di effettività quale parametro per valutare se la tutela di un diritto di derivazione comunitaria sia eccessivamente difficile o impossibile rispetto ad un ricorso di diritto interno. Il giudice comunitario ricorda che la decisione arbitrale de qua aveva acquistato carattere di definitività giacché la signora Nogueira non aveva fatto alcun ricorso entro il termine di decadenza previsto contro il provvedimento arbitrale di condanna a suo carico.

Al par. 41 si afferma che, sulla base di una giurisprudenza costante, è "compatibile con il diritto comunitario la previsione di termini di ricorso ragionevole a pena di decadenza" con l'obbiettivo di garantire una migliore certezza del diritto (53). La Corte si interroga sulla ragionevolezza del termine previsto a pena di decadenza, rilevando che 60 giorni per appellare la sentenza pronunciata dal lodo arbitrale non paiono irragionevoli. Il momento in cui comincia a decorrere il termine deve, però, coincidere con la notifica all'interessato della sentenza arbitrale. Il giudizio della Corte perviene alla conclusione che, nel caso di specie, non è leso il principio di effettività da garantire per l'esercizio di posizioni di derivazione comunitaria. La normativa procedurale spagnola per la tutela del consumatore, nel giudizio della Corte, non rende impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti ai consumatori della direttiva 93/13. La Corte passa, poi, passa a verificare se sia stato rispettato il criterio di equivalenza nell'applicazione della norma di diritto comunitario rispetto alle norme di pari rango nazionale. Il criterio di equivalenza è volto ad assicurare che le modalità di attuazione dei diritti di derivazione comunitaria non devono "essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna" (54). In questo caso, la normativa di tutela del consumatore e, in particolare, la direttiva 93/13, assume un importanza essenziale per il raggiungimento di compiti affidati alla Comunità europea per l'innalzamento del livello e della qualità della vita al suo interno. L'art. 6 di tale direttiva rappresenta una norma dal valore "equivalente" a quelle di ordine pubblico stabilite dalle disposizioni nazionali. Come, infatti, evoca l'Avvocato generale nelle sue conclusioni "la Corte nella sentenza Mostaza Claro ha implicitamente annoverato le disposizioni comunitarie a tutela del consumatore contenute nella direttiva 93/13 tra le disposizioni di ordine pubblico" (55). Il riconoscimento del valore di norma di ordine pubblico interno della stessa disciplina comunitaria di tutela del consumatore è considerazione sufficiente per assicurare una tutela equivalente al consumatore. La direttiva 93/13, espressione di un provvedimento indispensabile per l'adempimento dei compiti della CE, viene posta sullo stesso piano delle norme di ordine pubblico interno. Come il giudice nazionale è tenuto ad operare nel caso di un conflitto tra ordine pubblico interno e clausola compromissoria, allo stesso modo dovrà fare nei riguardi di una clausola compromissoria che contrasti con i principi affermati nella direttiva 93/13. In tal modo, il giudice interno è tenuto a valutare anche d'ufficio, senza che ci sia stata necessariamente domanda di parte, la natura abusiva di una clausola contrattuale. Tale "controllo" ha l'obiettivo di limitare lo squilibrio tra professionista e consumatore e l'abusività di una clausola compromissoria. Il giudice interno, in definitiva, sarà tenuto a valutare d'ufficio il carattere abusivo di una clausola che ricada nell'art. 6 della direttiva, soltanto, però, nel momento in cui abbia elementi di fatto e di diritto necessari a tale scopo (56). Considerando l'art. 6 della direttiva 93/13 in materia di clausole abusive una norma di ordine pubblico, la Corte, nel dispositivo, riconosce al giudice nazionale la competenza d'ufficio, definita come un potere/dovere, di valutare una clausola compromissoria tra professionista e consumatore. Così come il giudice nazionale ha il dovere di valutare il carattere abusivo di una clausola compromissoria che rilevi nel caso di ricorsi di diritto interno, allo stesso modo, il giudice nazionale dovrà fare nei riguardi di un lodo arbitrale divenuto definitivo che sia stato pronunciato sulla base di una clausola compromissoria chiaramente abusiva in un contratto tra consumatore e professionista. 5.4. Considerazioni giuridiche sulla portata del giudicato nella sentenza Asturcom.

La sentenza Asturcom rappresenta un'ulteriore conferma del recente indirizzo della Corte di giustizia in merito al valore del giudicato negli Stati membri. La ricostruzione della Corte, rispetto alla sua precedente giurisprudenza, appare più rigorosa e motivata rispetto alla sentenza Olimpiclub. Infatti, con un chiaro richiamo alle sentenze Mostaza Claro, Océano e Cofidis, la Corte registra il progressivo ampliamento di tutela della normativa comunitaria a favore del consumatore. La sentenza si occupa della problematica concernente l'efficacia del giudicato di un lodo arbitrale, un strumento decisorio alternativo alla sentenza pronunciata dal giudice. L'arbitrato può essere previsto quale forma di decisione di una controversia instauratasi tra le parti (57). Le stesse parti per poter ricorrere ad un giudizio arbitrale possono includere nel contratto una clausola compromissoria. Tale clausola devolve ad un collegio arbitrale l'eventuale controversia e definisce la competenza e i poteri decisori del collegio stesso. Da un punto di vista procedurale, il giudice comunitario con la sentenza Asturcom ha ridimensionato fortemente l'efficacia del giudicato di un lodo arbitrale definitivo che si instauri in un rapporto contrattuale tra professionista e consumatore. Qualora emerga che una clausola compromissoria presenta elementi di abusività − perché, ad esempio, come nel caso di specie, è stato pronunciato il lodo in assenza del consumatore e come tale era eccessivamente difficile e dispendioso per lo stesso difendersi davanti alla camera arbitrale −, il giudice chiamato all'esecuzione forzata di tale provvedimento dovrà dichiarare d'ufficio il carattere abusivo della clausola compromissoria e conseguentemente invalidare il lodo arbitrale ancorché definitivo. In tal modo, il lodo arbitrale perde valore ed efficacia. Il giudice nazionale ha, quindi, il dovere, e non semplicemente il potere, di esaminare la clausola compromissoria laddove, sulla base di valutazioni di fatto e di diritto, tale clausola possa risultare abusiva. La Corte è sempre più consapevole che il principio di cosa giudicata può essere "relativizzato" qualora il carattere definitivo di un provvedimento giurisdizionale o arbitrale abbia portato ad una violazione della normativa comunitaria. L'atteggiamento del giudice comunitario è profondamente mutato rispetto a quanto in passato sostenuto nella sentenza Eco Swiss. Infatti, in questa sentenza la Corte aveva affermato che "in base al diritto comunitario non si devono disapplicare le norme di diritto processuale nazionale, ai sensi delle quali un lodo arbitrale interlocutorio avente natura di decisione definitiva che non ha fatto oggetto di un'impugnazione per nullità entro il termine di legge acquisisce l'autorità della cosa giudicata e non può più essere rimesso in discussione da un lodo arbitrale successivo" (58). Ora, al contrario, si impone al giudice nazionale dell'esecuzione di valutare il carattere abusivo di una clausola compromissoria anche quando sia stato pronunciato un lodo arbitrale definitivo. Il giudizio della Corte fa riferimento, forse in modo non troppo motivato, oltre che ai citati criteri di equivalenza e di effettività, anche all'ordine pubblico interno (59) quale parametro fondamentale per equiparare la protezione dei principi comunitari sui consumatori alle disposizioni nazionali aventi il rango di norme di ordine pubblico interno. Mediante l'accostamento, rectius equiparazione, della direttiva 93/13, all'ordine pubblico interno, il giudice comunitario stabilisce il dovere d'ufficio del giudice nazionale di valutare la nullità di una clausola compromissoria. Sarà poi il giudice nazionale a trarre tutte le conseguenze che ne derivano affinché il consumatore non sia vincolato da detta clausola. In definitiva, l'obiettivo di tutelare il consumatore e di garantire piena applicazione al diritto comunitario è evidente e, come tale, può "sacrificare", con la semplice valutazione d'ufficio del giudice nazionale, l'efficacia di un lodo arbitrale definitivo che si basa su una clausola compromissoria accertata come abusiva. 6. Conclusioni.

Le sentenze Olimpiclub e Amarcor costituiscono, ciascuna con riferimento al proprio oggetto − provvedimenti definitivi in materia di annualità tributarie e un lodo arbitrale relativo ad un contratto tra professionista e consumatore − espressione di una nuova giurisprudenza della Corte. Infatti, pur rimarcando l'esigenza di garantire la certezza del diritto mediante principi generali di diritto interno, il giudice comunitario assicura la prevalenza del diritto comunitario nei confronti dell'autorità di cosa giudicata, qualora nel procedimento de quo si rilevi una mancata o scorretta applicazione della normativa comunitaria. Come più volte sottolineato, il giudicato ha una grande forza nei sistemi giuridici degli Stati membri e la Corte non vuole assolutamente cancellarla; semmai le intenzioni del giudice comunitario sono volte a garantire la più corretta applicazione dei principi comunitari anche se ciò significa "superare" un giudicato interno. Con la sentenza Olimpiclub, la Corte "sacrifica" l'autorità di un giudicato "esterno" consolidatosi in un sentenza pronunciata da un diverso giudice, ma relativa allo stesso rapporto giuridico. Il giudice nazionale è, infatti, tenuto ad "accertare correttamente e conformemente al diritto comunitario l'esistenza di pratiche abusive". Non si intende rimuovere dal mondo giuridico le decisioni definitive degli organi giudiziari interni, ma, forse correttamente, cercare di limitarne l'efficacia, come nel caso di specie, quando ciò possa frustrare l'interpretazione della normativa comunitaria da parte del giudice nazionale. L'attenzione in questo caso viene ad essere attribuita al criterio di effettività (60). Dalle sentenza Olimpiclub emergono alcuni elementi di novità per quanto limitati alla formazione di un giudicato "esterno". La sentenza afferma chiaramente la necessità che venga rispettata la normativa comunitaria, anche quando ciò possa portare ad una limitazione di principi nazionali di certezza giuridica. La Corte, pur rimarcando l'importanza del principio di autonomia procedurale di cui gode ciascuno Stato membro, ritiene che questo principio possa essere limitato dal principio di effettività nell'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento comunitario in virtù dell'art. 10 TCE che stabilisce, a carico degli Stati membri, l'obbligo di cooperazione per l'esecuzione degli atti comunitari (61). Tuttavia, è evidente che la decisione della Corte limita all'interno di una certa sfera temporale la forza di giudicato e non intende disconoscerne il valore. Questo risulta più "facile" per una fattispecie come quella in esame, ove una prestazione tributaria, avente carattere continuativo, può essere suddivisa in frammenti temporali, ciascuno avente sua propria autonomia. La Corte ha correttamente limitato la forza del giudicato esterno alla sola fase temporale cui il provvedimento giurisdizionale si riferisce, per quanto in dottrina (62) ne siano state criticate le modalità. Si è, infatti, opinato che la motivazione contenuta nella sentenza sia limitata e che i riferimenti ad altri casi giurisprudenziali, anche relativi al diritto processuale dei singoli Stati membri, siano insufficienti. A mio avviso, però, dispositivo e motivazione non paiono essere così criticabili. La Corte ha giustamente riconosciuto al giudice de quo la possibilità di valutare la questione sulla base delle norme comunitarie in materia di pratiche abusive, senza tener conto di precedenti pronunce che insistono sul medesimo rapporto giuridico. Rifacendosi al criterio dell'effettività nel riconoscere le posizioni di derivazione comunitaria, il giudice nazionale non deve essere forzatamente vincolato da precedenti pronunce relative ad altre annualità. Con la sentenza Asturcom si stabilisce il dovere a carico del giudice dell'esecuzione di invalidare la clausola compromissoria che risulti abusiva, anche quando sia stato già pronunciato un lodo arbitrale definitivo. Dal dispositivo di questa pronuncia si valuta inefficace il giudicato di un lodo arbitrale che si basa su clausola compromissoria abusiva. Questo perché i principi di tutela del consumatore

sono esempio di norma equivalente all'ordine pubblico interno. In questo caso si evidenzia il mancato rispetto del criterio di equivalenza. Le sentenze arbitrali, per quanto siano diventate definitive, devono essere invalidate dal giudice dell'esecuzione nel diritto interno, se risulta viziata da abusività "originaria" la clausola compromissoria che ha instaurato lo stesso procedimento arbitrale. De iure condendo, una soluzione di diritto interno, per superare impasse di tipo processuale con il giudice comunitario, potrebbe auspicarsi nella rivisitazione delle norme del codice di procedura civile concernenti la revocazione, unico strumento di impugnazione straordinaria applicabile ad una sentenza passata in giudicato. Se, tra i motivi di revocazione, fosse anche incluso l'eventuale contrasto della sentenza definitiva con la normativa comunitaria, si potrebbe permettere ai giudici nazionali di risolvere le singole questioni, in maniera da assicurare una puntuale applicazione del principio di primato del diritto comunitario (63). Tuttavia, non pare affatto compito semplice per il giudice interno poter valutare se effettivamente esista un chiaro contrasto con la normativa comunitaria, tale da revocare una sentenza passata in giudicato. Prevedere un nuovo motivo di revocazione, senza che prima vi sia stato attento riconoscimento sulle modalità e sui mezzi da parte del giudice comunitario, potrebbe frustrare la definitività di molti provvedimenti giurisdizionali. Forse non è ancora giunto il momento di attribuire un simile potere al giudice interno, senza che la Corte di giustizia abbia consolidato una sua giurisprudenza in merito (64). Tuttavia, prevedere un nuovo motivo di revocazione per contrasto con il diritto comunitario potrebbe permettere al giudice nazionale di discostarsi in maniera più netta dalla stretta interpretazione di principi di diritto interno, laddove gli risulti che i principi di diritto comunitario non siano stati correttamente applicati. La Corte di giustizia è, d'altronde, consapevole che l'interesse comunitario deve essere garantito, anche a scapito di valori e principi nazionali. Sulla scia della giurisprudenza della Corte di giustizia, il giudice nazionale deve tenere il più possibile in considerazione l'interesse della Comunità, valutando, talvolta, alcuni principi nazionali in maniera più flessibile e diversificata. L'orientamento espresso dalla Corte nei casi esaminati non è "rivoluzionario", ma, sulla scia della sentenza Lucchini e, solo parzialmente della sentenza Mostaza Claro, intende rafforzare il valore della normativa comunitaria applicabile rispetto alla forza del giudicato interno anche in materie che non sono di esclusiva competenza comunitaria. Non si vuole neutralizzare la portata del giudicato interno, ma, più semplicemente, limitarne l'efficacia quando ciò possa impedire al giudice dello Stato membro di applicare la normativa comunitaria. L'obiettivo ultimo della Corte è, quindi, riconoscere il primato del diritto comunitario e del suo effetto utile, anche rispetto al principio di intangibilità del giudicato interno. Le fattispecie concrete si prestavano ad una simile soluzione e, senz'altro, contribuiscono a ridimensionare l'autorità di cosa giudicata a favore della primazia dei principi comunitari. La progressiva affermazione di tale orientamento giurisprudenziale limiterà inevitabilmente la portata del giudicato interno anche in relazione ad altre fattispecie, ad altri rapporti giuridici e ad altre materie. Non si può che attendere con curiosità e interesse quanto i giudici di Lussemburgo pronunceranno in occasione dei loro prossimi interventi.

Note: (1) Cfr. il par. 68 delle conclusioni dell'Avvocato generale relative alla sentenza Olimpiclub. Si vedano anche i par. 72 e 73 delle conclusioni dell'Avvocato generale con riguardo alla sentenza Asturcom. (2) Come già espresso dalla Corte nelle precedenti tre sentenze: Kühne & Heitz al paragrafo 20, Eco Swiss al paragrafo 46 e Kempter al paragrafo 37. (3) Cfr. i par. 22 della sentenza Olimpiclub e par. 36 della sentenza Asturcom. In questo senso

la Corte richiama la sentenza Köbler, punto 38, e Kapferer, punto 20. (4) Per un approfondimento e per una ricostruzione della giurisprudenza sul tema si veda M.P. Chiti, Diritto amministrativo europeo, Milano, 2008, pp. 561 e ss.; E. Cannizzaro, Sui rapporti tra sistemi processuali nazionali e diritto dell'Unione Europea, in Diritto dell'Unione Europea, 2008, pp. 447 e ss.; M. Lombardo, Il principio di leale cooperazione e l'armonizzazione indiretta delle regole procedurali nazionali alla luce della recente giurisprudenza della Corte di giustizia, in Dir. com. e sc. inter., 2008, pp. 469-497; E. Scoditti, Giudicato nazionale e diritto comunitario, in Foro italiano, 2007, pp. 533-555; M.T. Stile, Il problema del giudicato di diritto interno in contrasto con l'ordinamento comunitario o con la CEDU, in Dir. com. e sc. inter., 2007, pp. 237-266; M.G. Pulvirenti, Intangibilità de giudicato, primato del diritto comunitario e teoria dei contro limiti costituzionali, in questa Rivista, 2009, pp. 341-379. (5) Sentenza Köbler del 30 settembre 2003, C-224/01. In tale sentenza, un professore universitario, che aveva insegnato per un certo periodo in Germania, chiedeva che tale periodo fosse preso in considerazione ai fini del riconoscimento di un'indennità accordata ai docenti che potevano vantare una certa anzianità di servizio in un altro Paese. Köbler affermava che il rifiuto rappresentava una discriminazione nei confronti dei lavoratori che avevano esercitato il diritto alla libera circolazione di cui all'art. 39 del TCE. Si veda S. De Maria, Recenti sviluppi della giurisprudenza comunitaria in materia di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto comunitario, in questa Rivista, 2004, pp. 879 ss.. (6) Sentenza Traghetti del Mediterraneo spa del 13 giugno 2006, C-173/03. Nel caso di specie, Traghetti del Mediterraneo spa aveva proposto azione di risarcimento dei danni nei confronti della Tirrenia, concorrente nell'ambito dei collegamenti marittimi con le isole maggiori, accusandola di aver ricevuto dallo Stato italiano aiuti pubblici vietati ex artt. 87, 88 TCE. A seguito del rigetto della domanda da parte della Corte d'appello e della Corte di cassazione, la Traghetti del Mediterraneo spa attua ricorso con azione di risarcimento ai sensi della legge n. 117/88, legge che pone condizioni alquanto restrittive per ottenere un risarcimento. Si veda C. Rasia, Responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario da parte del giudice supremo: il caso Traghetti del Mediterraneo contro Italia, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 2007, pp. 661-682; G. Bertolino, The Traghetti Case: A New ECJ Decision on State Liability for Judicial Acts - National Legislations under Examination, in Civil Justice Quarterly, 2008, pp. 448-453. (7) Cfr. par. 38 della sentenza Köbler. (8) Cfr. par. 39 della sentenza Köbler. La Corte intende salvaguardare il principio di certezza del diritto e di cosa giudicata, pur potendo configurare una forma di responsabilità per un danno derivante da un organo giudiziario di ultimo grado. La costruzione del giudice comunitario pare facilmente scomponibile in due momenti: la definitività del provvedimento giudiziario su cui non si discute e la richiesta di un risarcimento del danno per violazione del diritto comunitario da parte dei giudici di ultima istanza. (9) Cfr. i par. 28 e 32 della sentenza Köbler. Nelle conclusioni dell'Avvocato generale, al par. 50, si rileva un approfondimento della questione con riferimento all'autorità di cosa giudicata.Pur riconoscendo chiaramente l'esistenza di un principio di certezza del diritto, non si può completamente escludere l'esistenza di una responsabilità dello Stato per una violazione derivante da provvedimenti di organi giurisdizionali. (10) Sentenza Kuhne & Heitz del 13 gennaio 2004, C-453/00. La ricorrente aveva dovuto rimborsare alle autorità dei Paesi Bassi l'importo di alcune restituzioni all'esportazione sulla base di un'errata classificazione delle merci in questione. L'errore era stato posto in rilievo da una sentenza interpretativa della Corte di giustizia intervenuta quando la decisione che aveva imposto il rimborso era ormai divenuta definitiva. Malgrado il carattere definitivo della decisione, la ricorrente ne aveva chiesto la revoca per incompatibilità con la successiva sentenza della Corte. Si veda V. Atripaldi, Leale cooperazione comunitaria ed obbligo degli

Stati al riesame degli atti amministrativi definitivi contrari al diritto comunitario, in Dir. pubbl. comp. ed eur., 2004, pp. 883-888; G. Gattinara, Il ruolo comunitario delle amministrazioni nazionali alla luce della sentenza Kühne & Heitz in Dir. com. e sc. inter., 2004, pp. 489-500. (11) Cfr. il par. 24 della sentenza e, amplius, M.P. Chiti, op.cit., pp. 573 e s.. (12) Cfr. il par. 22 della sentenza Kuhne & Heitz. (13) Cfr. i par. 26 e 27 della sentenza Kuhne & Heitz. (14) Sentenza Kapferer del 16 marzo 2006, C-234/04. Per un commento si veda: E. Adobati, La sentenza di un giudice nazionale passata in giudicato non può più essere rimessa in discussione anche se viola il diritto comunitario, in Dir. com. e sc. inter., 2006, pp. 83 ss e C. Di Seri, La responsabilità del giudice nell'attività interpretativa: una discriminazione a rovescio?, in questa Rivista, 2006 pp. 1116-1131. (15) Cfr. la massima affermata nella sentenza C-234/04. (16) Cfr. par. 23 della sentenza in esame. (17) Sulla sentenza Eco Swiss del 1 giugno 1999, C-126/97, si vedano: C. Punzi, Diritto comunitario e diritto nazionale dell'arbitrato, in Rivista dell'arbitrato, 2000, pp. 235 e ss.; M. Furse e L. D'Arcy, Swiss China Limited/ Benetton: EC Competition law and Arbitration, in European Competition Law Review, 1999, pp. 392 e ss.. (18) Cfr. par. 21 della sentenza in esame in cui è anche richiamata la sentenza Eco Swiss ai punti 46 e 47. (19) Cfr. Par. 25 nelle conclusioni dell'Avvocato generale Tizzano. (20) Sentenza Lucchini spa del 18 luglio 2007, C-109/05. La Lucchinispa aveva ottenuto una sentenza di appello non impugnata e divenuta definitiva, con la quale era stato riconosciuto il suo diritto ad ottenere una sovvenzione, poi effettivamente versata, da parte dello Stato italiano. Allo stesso tempo, era intervenuta una decisione della Commissione che riteneva la sovvenzione alla Lucchini un aiuto di stato, in quanto tale vietato ex art. 87 TCE. Successivamente, lo Stato italiano per il tramite del Ministero competente richiede alla Lucchini la restituzione della sovvenzione percepita. Tuttavia, la Lucchini si opponeva invocando l'esistenza della sentenza pronunciata dalla Corte di appello e divenuta, già da tempo definitiva.Sul tema del giudicato e sulla nuova visione della Corte di giustizia si vedano gli ormai numerosi contributi di: C. Consolo, La sentenza Lucchini della Corte di giustizia: quale possibile adattamento degli ordinamenti processuali interni e in specie del nostro?, in Riv. dir. proc., 2008, pp. 224 ss.; M.T. Stile, La sentenza Lucchini sui limiti del giudicato: un traguardo inaspettato?, in Dir. com. e sc. inter., 2007, p. 733-741; A. Negrelli, Il primato del diritto comunitario e il giudicato nazionale: un confronto che si poteva evitare o risolvere altrimenti, in questa Rivista, 2008, pp. 1217 e ss.; P. Biavati, La sentenza Lucchini: il giudicato nazionale cede al diritto comunitario, in Rassegna tributaria, 2007, pp. 1591-1603; E. Fontana, Qualche osservazione in margine al caso Lucchini. Un tentativo di spiegazione, in Diritto del commercio internazionale, 2008, pp. 193-219; A. Biondi, Case C-119/05, Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato v. Lucchini SpA, formerly Lucchini Siderurgica SpA, Judgment of the Court of Justice (Grand Chamber) of 18 July 2007, 2007 [ECR] I-6199, in Common Market Law Review, 2008, pp. 1459-1467. (21) Si veda la ricostruzione della fattispecie Olimpiclub nelle conclusioni dell'Avvocato generale ai par. 8-23. (22) Cfr. la domanda pregiudiziale ripresa dall'Avvocato generale al par. 24 delle sue conclusioni. (23) Cfr. i par. 31 e 32 di cui supra. (24) Cfr. i par. 28, 29 e 30 delle conclusioni dell'Avvocato generale. (25) Cfr. i par. 36 e ss. di cui supra. (26) In tal senso si può fare riferimento, ad esempio, alle sentenze Kapferer, par. 22 e 23; Wells, alla nota 7 del punto 67; Preston e a., punto 31.

(27) Cfr. i par. 39 e ss. nelle conclusioni dell'Avvocato generale. (28) Cfr. i par. 20 e 21 della sentenza Kapferer, la C-234/04. (29) Cfr. il paragrafo 40 delle conclusioni dell'Avvocato generale. (30) Cfr. la sentenza Olimpiclub ai par. 29 e 30. (31) La dottrina sul giudicato è enorme. Ex multis, G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1935, pp. 341 e ss.; S. Menchini, Il giudicato civile, Torino, 2002; A. Attardi, La cosa giudicata, in Jus, 1961, 1 e ss.; E.T. Liebman, Unità del giudicato, in Rivista di diritto processuale civile, 1986, pp. 233 e ss.; Id., Giudicato. Diritto processuale civile, in Enc. giur., 2002; G. Pugliese, Giudicato civile(dir. vig.), in Enc. giur., 2002; A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, pp. 63 e ss.. (32) Si veda G. Chiovenda, op. cit., p. 350. (33) Per una ricostruzione dell'istituto della revocazione si vedano: F. Rota, Voce Revocazione nel diritto processuale civile, in Digesto civile, 1998, 475, sottolinea il "carattere lato sensu di impugnazione straordinaria, ovvero consentita soltanto in casi eccezionali" della revocazione, mentre G. DeStefano, in La revocazione, Milano, 1957, 64, assegna all'istituto una funzione di extrema ratio. (34) Sul punto pare interessante un approfondimento sulla ricostruzione dell'istituto della revocazione nel processo tributario nell'articolo di F.V. Albertini, Considerazioni sulla revocazione nel processo tributario, con particolare riguardo al contrasto con un giudicato anteriore, in Riv. dir. trib., 2004, pp. 1214 ss.. Allo stesso modo, pare interessante considerare gli spunti di cui in V. Giammaria, Il giudicato tributario, in AA.VV., Il processo tributario, Torino, 2008, pp. 513 ss.. (35) Sul tema si rinvia alla trattazione sistematica di R. Caponi, L'efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991, e di S. Menchini, Il giudicato civile, Torino, 2002. (36) Cfr. par. 5 e ss. delle conclusioni dell'Avvocato generale. (37) Cfr. la ricostruzione della giurisprudenza da parte dell'Avvocato generale ai parr. 5, 6 e 7 e le sentenze della Corte di cassazione nn. 13919/06, 16258/07 e 25681/06, richiamate in nota dall'Avvocato generale. (38) Cfr. il par. 74 delle conclusioni dell'Avvocato generale. (39) Cfr. il par. 73 delle conclusioni dell'Avvocato generale. (40) La dottrina sul punto è, come detto, tradizionalmente orientata in senso contrario; si vedano, tra gli altri, E. Allorio, Diritto processuale tributario, Torino, 1969, p. 194; F. Tesauro, Lineamenti del processo tributario, Milano, 1989 164; P. Russo, Voce Giudicato. Diritto tributario, in Enc. giur., 2002. (41) Si rinvia alla nota 31 e alle precedenti considerazioni sul più risalente atteggiamento della Corte di cassazione italiana sul tema. (42) Differenze chiaramente rilevate dall'Avvocato generale ai paragrafi 60 e seguenti delle sue conclusioni. (43) Cfr. il paragrafo 53 nelle conclusioni dell'Avvocato generale. (44) Come già ribadito nella sentenza Kapferer al punto 22. (45) Si veda la ricostruzione della fattispecie Asturcom nelle conclusioni dell'Avvocato generale ai par. 21-28. (46) La letteratura sul diritto dei consumatori è ormai sconfinata. Il riferimento si limiterà, dunque, solo agli ultimi e più autorevoli contributi in materia: F. Caringella, I contratti del consumatore, Padova, 2007; E. Cesaro, I contratti delconsumatore, Padova, 2007; F. Tommasi (a cura di), Contratti e tutele nel diritto dei consumatori, Torino, 2007; P. Stanzione e A. Musio, La tutela del consumatore, Torino, 2009. (47) Stante la vastità dell'argomento non si può che rinviare, per una definizione ed una ricostruzione della categoria del consumatore e del professionista, all'opera di G. Chinè, Il consumatore in N. Lipari (a cura di), Trattato di diritto privato europeo, Padova, 2003, pp. 435-475. In quest'ultimo contributo si tracciano la nozione di consumatore, le origini storiche

e comparate della categoria e i settori di intervento della normativa comunitaria; o anche sempre di G. Chinè, La nozione di consumatore nel diritto vivente, in G. Alpa, (a cura di), Lezioni di diritto privato europeo, Padova, 2007, pp. 895 ss.. (48) La Corte richiama gli art. 3, 6 e 7 della direttiva in esame.L'art. 3 n. 1 esclude l'efficacia di quella clausola contrattuale che "non è stata oggetto di negoziato individuale" e la considera "abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto". L'art. 6 n. 1 afferma che "gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato tra professionista e consumatore non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive". Sempre nella direttiva l'art. 7 n. 1 sottolinea che "gli Stati membri, nell'interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori". (49) Le sentenze richiamate dalla Corte e dall'Avvocato generale nelle sue conclusioni sono la Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, Cofidis e Mostazo Claro.La sentenza Océano del 27 giugno del 2000, nelle cause riunite da C-240/98 a C-244/98, aveva ad oggetto l'interpretazione della direttiva 93/13 con riguardo ad un contratto di acquisto a rate di un'enciclopedia. I contratti contenevano una clausola di attribuzione della competenza alle autorità giudiziarie di una città in cui non è domiciliato nessuno dei convenuti nelle cause principali, ma in cui si trova la sede delle ricorrenti. Gli acquirenti non avevano versato le somme dovute alle scadenze pattuite e i venditori agiscono davanti al Tribunale con procedimento sommario, chiedendo la condanna dei convenuti al pagamento delle somme dovute. La controversia aveva ad oggetto, quindi, la vessatorietà di una clausola derogativa dalla competenza. Si veda per un commento: A. Orestano, Ricevibilità di ufficio della vessatorietà delle clausole nei contratti del consumatore, in Europa e diritto privato, 2000, p. 1179-1187; M. Van Huffel, La condition procédurale des règles de protection des consommateurs: les enseignements des arrêts Océano, Heininger et Cofidis de la Cour de justice, in Revue européenne de droit de la consommation, 2003, p. 79-105.La sentenza Cofidis del 21 Novembre 2002, causa C-473/00, aveva ad oggetto un'apertura di credito. Dato che, alle scadenze previste, le rate mensili non erano state pagate, si instaura un processo per il pagamento dovuto dal convenuto. L'offerta di credito presentava una difformità evidente nella leggibilità tra la disponibilità pecuniaria e le menzioni relative ai tassi d'interesse convenzionali o ad una clausola penale. Il consumatore in tal modo ne era tratto facilmente in errore. Si veda sulla sentenza: P. Pallaro, Note a margine di alcune recenti sentenze della Corte di giustizia su tutela dei consumatori e applicabilità di direttive non (correttamente) trasposte in controversie tra privati, in Diritto com. e sc. inter., 2003, p. 35-59.La sentenza Mostaza Claro del 26 ottobre 2006, causa C-168/05, concerne un contratto di abbonamento ad una linea di telefonia mobile. Tale contratto conteneva una clausola compromissoria che sottoponeva ogni controversia relativa allo stesso all'arbitrato dell'Asociación Europea de Arbitraje de Derecho y Equidad. Non si era rispettata la durata minima dell'abbonamento e si instaura un procedimento arbitrale dinnanzi all'AEADE. Quest'ultima ha concesso alla sig.ra Mostaza Claro un termine di dieci giorni per rifiutare l'arbitrato, precisando che, in caso di rifiuto, sarebbe rimasta aperta la via giurisdizionale. La sig.ra Mostaza Claro ha presentato alcuni argomenti nel merito, ma non ha rifiutato la procedura arbitrale né ha invocato la nullità della clausola compromissoria. La sig.ra Mostaza Claro ha impugnato dinanzi al giudice del rinvio il lodo arbitrale dell'AEADE, sostenendo che il carattere abusivo della clausola compromissoria comportava la nullità dell'accordo arbitrale. Su tale sentenza si vedano: C. Pesce, Il giudice a quo come "tutore" del consumatore, in Diritto pub. comp ed eur., 2007, p. 430-435; V. Avena-Robardet,

Annulation d'une sentence arbitrale en cas de clause abusive dans la convention d'arbitrage, in Recueil Le Dalloz 2006 Jur., p. 2910. (50) Si fa qua riferimento alle sentenze Océano, Codifis e Mostaza Claro di cui alla nota precedente. (51) Per un riferimento a punti in altre sentenze in cui si richiama il valore della certezza del diritto e della buona amministrazione cfr. la nota 3. (52) La Corte richiama sul punto le sentenze Kapferer al par. 22 e Olimpiclub al par. 23. (53) La Corte fa riferimento alla precedente giurisprudenza nel caso Rewe al punto 5, Palmisani al par. 28 e Kempter al par. 58. In queste sentenze emerge l'importanza assicurata dagli Stati membri a termini di ricorso "ragionevole" da prevedere a pena di decadenza. (54) Si veda il par. 38 della sentenza Asturcom. (55) Si veda il par. 70 delle conclusioni dell'Avvocato generale relative alla sentenza Asturcom. (56) Qua si rileva una sensibile differenza nella posizione della Corte rispetto alle conclusioni formulate dall'Avvocato generale. Mentre l'Avvocato generale non richiama una particolare valutazione da parte del giudice interno per potere dichiarare ex officio l'abusività della clausola compromissoria, la Corte nel dispositivo prevede che il giudice nazionale abbia almeno a disposizione "elementi di fatto e di diritto a tal fine". (57) Per una ricostruzione dell'ordine pubblico, anche a livello comunitario, si vedano ex multis D. Liakopoulos e M. Romani, Il ruolo della Corte di giustizia delle Comunità Europee, 2009, Milano, pp. 244-310; M. Rubino Sammartano, Il diritto dell'arbitrato, Milano, 2005 e P. Lotti, L'ordine pubblico internazionale, Padova, 2005. (58) Cfr. il par. 48 della sentenza Eco Swiss. (59) Sul punto pare interessante il riferimento al contributo di F. Angelini, Ordine pubblico ed integrazione costituzionale europea, Padova, 2007. Si esprime il favore per la costruzione sempre più stringente di un ordine pubblico europeo che assicuri la tutela sempre più completa di principi di ordine pubblico interno anche a livello comunitario. (60) Pare rilevante il riferimento di A. Negrelli in op. cit., all'art. 19 del Trattato di Lisbona ove si dispone che "gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati da diritto dell'Unione". Tale norma potrebbe permettere una maggiore considerazione del criterio di effettività da parte dei giudici nazionali quale parametro di riferimento per evitare contrasti con la normativa comunitaria. (61) Tuttavia, G. Greco, in occasione del Convegno italo-tedesco tenutosi a Firenze il 16-17 Ottobre 2009, ha criticato l'eccessiva e pericolosa apertura che la Corte compie nella motivazione nei confronti dell'art. 10 TCE. (62) Si fa qua riferimento a quanto riferito da G. Greco in occasione del Convegno italo-tedesco tenutosi a Firenze il 16-17 Ottobre 2009. (63) In questo senso si condivide la tesi evidenziata in M.T. Stile, op. cit., p. 741.Sulla scia delle recenti sentenze della Corte costituzionale italiana 347 e 348 del 2007 certa dottrina, a ragione, auspica, in breve tempo, una sentenza additiva di principio nella quale la Corte riconosca l'incostituzionalità degli artt. 395 e 397 del c.p.c. nella parte in cui non contemplino, tra i motivi di revocazione, il contrasto della sentenza con il diritto comunitario, anche in base a quanto interpretato dalla Corte di giustizia. (64) Per una più ampia trattazione che pone in rilievo il difficile dialogo tra Corti europee e nazionali si veda A. Tizzano, Ancora sui rapporti tra Corti europee: principi comunitari e i cosiddetti contro limiti costituzionali, in Dir. Un. Eur., 2007, pp. 734 ss. Si veda anche il positivo commento in tema di relazioni tra giudici degli Stati membri e Corte di giustizia in A. Biondi, in How to Go Ahead as an EU Law National Judge inEuropean Public Law, 2009, pp. 225-238.

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