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LA COOPERAZIONE TRA IMPRESE: CONSORZI, GEIE, JOINT-VENTURE E ASSOCIAZIONI TEMPORANEE. Relatore dr. Paolo CELENTANO Giudice del Tribunale di Napoli 1. Il fenomeno della cooperazione tra imprese. Il fenomeno della cooperazione tra imprese costituisce il naturale portato della libertà d’iniziativa economica garantita nel nostro ordinamento dall’art. 41, co. 1, Cost. L’iniziativa economica privata è libera») e della conseguente possibile e normale presen- za sul mercato di una pluralità di operatori economici tra loro concorrenti, ciascuno dei quali, cioè, tende naturalmente a conquistare una fetta sempre più ampia di clientela o, comunque, a garantirsi un margine di profitto sempre più alto. Molteplici sono gli strumenti a disposizione degli operatori economici per perseguire tale scopo competendo tra loro: la qualità del prodotto o del servizio offerto, il contenimento dei prezzi, la riduzione dei costi, la pubblicità. Ma può accadere anche che, allo stesso scopo, gli operatori economici si alleino, stipu- lando tra loro accordi che non li vedono in posizioni contrapposte, bensì uniti da intenti comu- ni, uniscano, cioè, occasionalmente o stabilmente, in tutto in parte, le loro forze, anziché utiliz- zarle (solo) per competere tra loro. Nelle sue forme più intense, questa cooperazione tra operatori economici – la cui catego- ria giuridica di riferimento generale è costituita soprattutto da quella dei contratti plurilaterali con comunione di scopo 1 – può essere realizzata mediante il coordinamento o l’integrazione, più o meno estesa, tra le rispettive strutture organizzative e/o tra le rispettive attività o addirittu- 1 Alla generale categoria dei contratti plurilaterali con comunione di scopo (o, più precisamente, ai «contratti con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuno sono dirette al conseguimento di uno scopo comune») fanno riferimento l’art. 1420 e, indirettamente, gli art. 1446, 1459 e 1466 c.c., anche se solo al fine di disciplinare gli effetti sul contratto della nullità e dell’annullabilità che riguardi il vincolo di una delle parti e dell’inadempimento e dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione di una delle parti. Sul tema dell’identificazione dei caratteri propri dei contratti plurilaterali con comunione di scopo si veda, so- prattutto, MARASÀ, Le società , Milano, 2000, 9 ss.

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LA COOPERAZIONE TRA IMPRESE: CONSORZI, GEIE, JOINT-VENTURE E ASSOCIAZIONI TEMPORANEE.

Relatore

dr. Paolo CELENTANO

Giudice del Tribunale di Napoli

1. Il fenomeno della cooperazione tra imprese.

Il fenomeno della cooperazione tra imprese costituisce il naturale portato della libertà d’iniziativa economica garantita nel nostro ordinamento dall’art. 41, co. 1, Cost. («L’iniziativa economica privata è libera») e della conseguente possibile e normale presen-za sul mercato di una pluralità di operatori economici tra loro concorrenti, ciascuno dei quali, cioè, tende naturalmente a conquistare una fetta sempre più ampia di clientela o, comunque, a garantirsi un margine di profitto sempre più alto.

Molteplici sono gli strumenti a disposizione degli operatori economici per perseguire tale scopo competendo tra loro: la qualità del prodotto o del servizio offerto, il contenimento dei prezzi, la riduzione dei costi, la pubblicità.

Ma può accadere anche che, allo stesso scopo, gli operatori economici si alleino, stipu-lando tra loro accordi che non li vedono in posizioni contrapposte, bensì uniti da intenti comu-ni, uniscano, cioè, occasionalmente o stabilmente, in tutto in parte, le loro forze, anziché utiliz-zarle (solo) per competere tra loro.

Nelle sue forme più intense, questa cooperazione tra operatori economici – la cui catego-ria giuridica di riferimento generale è costituita soprattutto da quella dei contratti plurilaterali con comunione di scopo1 – può essere realizzata mediante il coordinamento o l’integrazione, più o meno estesa, tra le rispettive strutture organizzative e/o tra le rispettive attività o addirittu-

1 Alla generale categoria dei contratti plurilaterali con comunione di scopo (o, più precisamente, ai

«contratti con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuno sono dirette al conseguimento di uno scopo comune») fanno riferimento l’art. 1420 e, indirettamente, gli art. 1446, 1459 e 1466 c.c., anche se solo al fine di disciplinare gli effetti sul contratto della nullità e dell’annullabilità che riguardi il vincolo di una delle parti e dell’inadempimento e dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione di una delle parti. Sul tema dell’identificazione dei caratteri propri dei contratti plurilaterali con comunione di scopo si veda, so-prattutto, MARASÀ, Le società, Milano, 2000, 9 ss.

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ra mediante la costituzione di organizzazioni comuni, anche dotate di una propria soggettività o personalità giuridica.

È in questo ambito che si collocano i fenomeni oggetto della presente relazione: i consor-zi, i gruppi europei di interesse economico, le joint-ventures, le ccdd. associazioni tem-poranee di imprese.

2. I consorzi.

2.1. Nozione e tipologia del fenomeno consortile.

Secondo l’art. 2602, co. 1, c.c. – come modificato dalla l. 10 maggio 1976, n. 377 – «con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono una organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese».

Quattro, dunque, sono gli elementi caratteristici del fenomeno consortile che rinviene la sua disciplina nel codice civile2: 1) la natura contrattuale dell’accordo; 2) la partecipazione a tale accordo di più imprenditori; 3) la creazione di un’organizzazione comune ; 4) la fina-lità anticoncorrenziale e/o di cooperazione interaziendale, quest’ultima realizzata attra-verso un meccanismo non dissimile da quello mutualistico.

L’aspetto funzionale (la cd. causa consortile) è il primo che pare opportuno porre in ri-lievo, anche perché, alla stregua dell’attuale testo dell’art. 2602, co. 1, c.c., devono ritenersi ormai superate le incertezze di quella parte della dottrina e della giurisprudenza che, vigendo l’originario testo di detto articolo3, sulla base della collocazione della norma nel titolo dedicato alla «disciplina della concorrenza e dei consorzi» e del riferimento testuale alla «disciplina delle attività economiche connesse», sosteneva che essa si riferisse soltanto agli accordi tra imprenditori per la restrizione della reciproca concorrenza, mentre tutte le altre forme di coo-perazione fra imprese dovessero ricadere nell’ambito delle associazioni non riconosciute4.

2 Occorre tener presente che il termine consorzio è impiegato dal nostro legislatore per indicare feno-

meni assai eterogenei, sia nel campo del diritto privato che nel campo del diritto pubblico, il cui connotato comune è dato soltanto dalla costituzione di organismi per il soddisfacimento in comune di bisogni propri dei consorziati. Sicché non tutti i consorzi ricadono, almeno direttamente, sotto la disciplina dettata dagli artt. 2602 e ss. c.c., ma solo quelli che presentano le caratteristiche strutturali e funzionali esposte nel corpo del testo. V. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 1, Diritto dell’impresa , Torino, 1993, 260, n. 1.

3 Nel quale i consorzi venivano definiti come «contratti fra più imprenditori, esercenti una medesima attività economica o attività economiche connesse, i quali hanno per oggetto la disciplina delle attività stesse, mediante una organizzazione comune».

4 Sul punto si rimanda alle considerazioni ed alle citazioni bibliografiche di PAOLUCCI, I consorzi per il

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Ora, infatti, è indubbio che un consorzio può, innanzitutto, essere costituito (solo o anche) al fine di disciplinare, limitandola, la concorrenza tra imprenditori che svolgono la medesima attività o attività similari (cd. consorzio anticoncorrenziale) e, in tal caso, costituisce una delle possibili manifestazioni dei patti limitativi della concorrenza previsti dall’art. 2596 c.c., dai quali si distingue per la costituzione di un’organizzazione comune cui è demandato il compito di di-sciplinare in funzione anticoncorrenziale l’attività dei consorziati e/o di sorvegliare l’attuazione degli accordi anticoncorrenziali. Esempio classico – e testualmente previsto – di tale tipo di consorzio è quello per il contingentamento della produzione o degli scambi.

Può, poi, essere costituito (solo o anche) per realizzare un esigenza di tipo mutualistico, quale strumento di cooperazione interaziendale finalizzato alla riduzione dei costi di gestione delle singole imprese consorziate (cd. consorzio di coordinamento o di cooperazione inte-raziendale), come, ad esempio, nel caso in cui il consorzio abbia per oggetto l’acquisto in comune di determinate materie prime o la gestione in comune della pubblicità5.

Proprio per il loro diverso profilo funzionale, è evidente che i consorzi anticoncorrenziali ed i consorzi di coordinamento sollevano problemi profondamente diversi allorché si passi a valutare la loro incidenza sulla struttura concorrenziale del mercato.

I consorzi anticoncorrenziali, al pari degli altri accordi limitativi della concorrenza, deter-minano sempre alterazioni più o meno rilevanti e durevoli della struttura concorrenziale del mercato e, pertanto, la loro legittimità va, caso per caso, vagliata alla stregua della disciplina antimonopolistica, comunitaria e nazionale6.

È, infatti, opinione comune che l’esplicita previsione normativa di consorzi con finalità an-ticoncorrenziali non implichi l’esenzione di tali consorzi dall’applicazione della cd. disciplina antitrust, sicché i contratti che li costituiscono vanno reputati radicalmente nulli ove impingano nei divieti di cui all’art. 85 del Trattato CE o all’art. 2 della l. 10 ottobre 1990, n. 2877.

Valutazioni opposte sono sollecitate dai consorzi di coordinamento senza finalità anticon-

coordinamento della produzione e degli scambi, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, vol. 18, Torino, 1983, 419 ss.

5 In giurisprudenza, per il riconoscimento della portata innovativa del profilo funzionale dei consorzi della legge n. 377 del 1976, v. Cass., 18 marzo 1995, n. 3163, in Giur. it., 1995, I, 1, 1800, in Dir. fall., 1995, II, 997, in Riv. dir. ind., 1997, II, 161, con nota di D’URSO, ed in Soc., 1995, 1423, con nota di SARALE, secondo la quale: «Dopo la modifica dell’art. 2602 c.c., introdotta con legge n. 377 del 1976 e dopo l’entrata in vigore della legge n. 240 del 1981, la causa del contratto di consorzio non è più limitata alla disciplina della concorrenza tra imprenditori esercenti una medesima attività economica o attività economiche connesse, ma ha un ambito più vasto, grazie al quale tale contratto si rivela concepito quale strumento di collaborazione generale tra imprese diverse, volto a realizzare le più razionali ed opportune siner-gie». Conf.: Cass., 26 luglio 1996, n. 6774, in Riv. dir. ind., 1997, II, 161, con nota di D’URSO; Cass., 9 luglio 1993, n. 7567, in CED Cass., RV. 483076.

6 Che ha superato l’inattuata disposizione di cui all’art. 2618 c.c., che prevede(va) l’approvazione da parte dell’autorità governativa, sentite le corporazioni interessate, dei contratti di consorzio « tali da influi-re sul mercato generale dei beni in essi contemplati». Pure inattuata è rimasta la disposizione di cui all’art. 2619 c.c., che prevede la sottoposizione alla vigilanza dell’autorità governativa dell’attività dei consorzi. Tuttavia, va rammentato che la legislazione speciale prevede forme di controllo sulla costituzione e/o sull’attività determinate categorie di consorzi, come, ad es., i consorzi tra società cooperative per il coordi-namento della produzione e degli scambi (v. art. 27-quater d.lgs.C.p.St. 1577/1947).

7 V. PATRONI GRIFFI, Le forme di integrazione fra imprese, in Manuale di diritto commerciale, a cura di Buonocore, Torino, 1997, 606.

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correnziali, che rispondono all’esigenza di salvaguardare ed incrementare la competitività delle imprese e, in questo senso, costituiscono strumenti idonei a preservare la struttura concorren-ziale del mercato, sicché vengono guardati con favore, soprattutto allorché riuniscano piccole e/o medie imprese, dal legislatore, che ne agevola la costituzione e l’attività con benefici tribu-tari e creditizi8.

Ciò precisato, non va, però, dimenticato che il codice civile disciplina i consorzi anticon-correnziali ed i consorzi di coordinamento in modo tendenzialmente uniforme, mentre annette grande rilievo ad un’altra fondamentale distinzione tipologica dei consorzi di cui qui si sta trat-tando: quella tra consorzi con (sola) attività interna e consorzi destinati a svolgere (an-che) attività esterna. Distinzione, questa, che si fonda sulle diverse modalità mediante le quali l’organizzazione comune può espletare i compiti demandatile, giacché, mentre nei consorzi del primo tipo il compito di tale organizzazione, pur quando sia eventualmente costituita anche da un ufficio comune, si esaurisce nella regolamentazione dei rapporti fra i consorziati e/o nel con-trollare il rispetto degli obblighi previsti dal contratto, sicché non entra in relazione con i terzi, nei consorzi del secondo tipo le parti prevedono l’istituzione di un ufficio destinato a svolge-re attività con i terzi nell'interesse delle imprese consorziate (art. 2612 c.c.).

Quest’ultima struttura è la più coerente con le finalità dei consorzi di coordinamento, men-tre i consorzi anticoncorrenziali ben possono perseguire le loro finalità senza entrare in relazio-ne con i terzi. Ma, come si diceva, il legislatore codicistico annette rilievo alla sola distinzione tra consorzi con sola attività interna e consorzi con attività anche esterna , prevedendo, con gli artt. da 2603 a 2611, una base normativa comune a tutti i consorzi e dettando, poi, agli artt. da 2612 a 2615-bis, disposizioni riguardanti i soli consorzi del secondo tipo.

È rimasta senza seguito applicativo, invece, a causa della mancata emanazione della nor-mativa di attuazione prevista dall’art. 111 disp. att. c.c., la previsione dei consorzi obbligatori di cui agli artt. 2616 e 2617 c.c., cioè dei consorzi «fra esercenti lo stesso ramo o rami si-milari di attività economiche» che avrebbero dovuto essere obbligatoriamente costituiti in forza di un provvedimento dell’autorità governativa per «esigenze dell’organizzazione della produzione» o per la gestione collettiva dell’ammasso di determinati prodotti agricoli. La legislazione, tuttavia, prevede non pochi casi di ccdd. consorzi coattivi, costituiti per legge tra tutti gli operatori economici appartenenti ad una determinata categoria.

Va, comunque, rilevato che la disciplina codicistica è congegnata in modo tale da lasciare amplissimo spazio all’autonomia contrattuale e non offre precise indicazioni per il caso in cui questo spazio non sia riempito, così imponendo di ricercare aliunde e, in particolare, a se-conda dell’orientamento di fondo cui si ritiene di dover aderire e del concreto problema che si tratta di risolvere, nella disciplina del mandato o delle associazioni non riconosciute o delle società (di persone, di capitali o cooperative), la soluzione di numerose e spinose questioni.

Tuttavia, essa costituisce punto di riferimento obbligato ai fini dell’individuazione della di-sciplina applicabile, ove si tratti di colmare lacune normative o contrattuali, a tutti quei consorzi previsti ma solo parzialmente regolamentati dalla legislazione speciale che presentino analogie strutturali e funzionali con i consorzi di cui agli artt. 2602 e ss. c.c., come, ad esempio, i con-sorzi fra società cooperative per il coordinamento della produzione e degli scambi,

8 V., ad es., la l. 21 maggio 1981, n. 240, e gli artt. 17 e ss. della l. 5 ottobre 1991, n. 317.

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introdotti all’art. 27-ter del d.lgs.C.p.St. 14 dicembre 1947, n. 1577, dall’art. 5 della l. 17 febbraio 1971, n. 127, o i consorzi di garanzia collettiva fidi (detti, più semplicemente, anche consorzi fidi o confidi), previsti dall’art. 19 della l. 12 agosto 1977, n. 675, e dagli artt. 29 e ss. della l. 5 ottobre 1991, n. 3179.

2.2. La disciplina generale.

2.2.1. Forma e contenuto del contratto.

Il consorzio si costituisce mediante un contratto di natura associativa che deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità (art. 2603, co. 1, c.c.) e deve indicare (art. 2603, co. 2, c.c.):

1) l’oggetto e la durata del consorzio; 2) la sede dell’ufficio eventualmente costituito; 3) gli obblighi assunti e i contributi dovuti dai consorziati; 4) le attribuzioni e i poteri degli organi consortili anche in ordine alla rappresentanza in

giudizio; 5) le condizioni di ammissione di nuovi consorziati; 6) i casi di recesso ed esclusione; 7) le sanzioni per l’inadempimento degli obblighi dei consorziati.

Ove, poi, si tratti di un consorzio per il contingentamento della produzione o degli scambi, il contratto deve inoltre indicare le quote o i criteri per la determinazione delle quote dei singoli consorziati (art. 2603, co. 3, c.c.).

La dottrina prevalente tende a ridurre la portata precettiva delle appena esposte prescri-zioni riguardanti il contenuto del contratto, affermando che essenziale è solo la determinazione dell’oggetto del consorzio e degli obblighi assunti e degli eventuali contributi dovuti dai consor-ziati, nonché, ove si tratti di consorzi di contingentamento, delle quote o quanto meno dei crite-

9 Non sono, invece, consorzi, bensì società consortili cooperative fra società cooperative (o cooperati-

ve di cooperative o di secondo grado), tra l’altro dotate di personalità giuridica, i «consorzi di società coo-perative» volti a favorire gli scopi mutualistici delle cooperative consorziate ed i «consorzi di cooperative ammissibili ai pubblici appalti», previsti, rispettivamente, dall’art. 27 e dall’art. 27-bis del d.lgs.C.p.St. 14 dicembre 1947, n. 1577 (cfr.: CAMPOBASSO, op. cit., 260-261, in nota; Trib. Roma, 11 maggio 1979, in Giur. comm., 1980, II, 222). Natura di società cooperativa hanno pure i consorzi agrari e la Federazione italiana dei consorzi agrari (v. art. 1 d.lgs. 7 maggio 1948, n. 1235). Nemmeno, poi, sono assimilabili ai consorzi di cui agli artt. 2602 e ss. c.c., poiché non vi fanno parte imprenditori, i consorzi costituiti tra proprietari di immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona residenziale ed i ccdd. consorzi di ur-banizzazione, ai quali si ritiene tendenzialmente applicabile la disciplina delle associazioni non riconosciu-te, sia pur con alcune deroghe per renderla compatibile con lo stretto collegamento tra la partecipazione all’ente collettivo ed il diritto di proprietà (v. Cass., 18 luglio 1984, n. 4199, in Giust. civ., 1985, I. 72; Trib. Napoli, 14 maggio 1998, in Notariato, 1999, 357). Problematica, invece, soprattutto per i loro peculiari profili strutturali, è l’assimilabilità ai consorzi disciplinati dal codice civile dei consorzi fra piccole e medie impre-se, di cui agli artt. 1 e ss. della l. 21 maggio 1981, n. 240, e dei consorzi fra imprese artigiane, di cui all’art. 6 della l. 8 agosto 1985, n. 443.

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ri di determinazione delle quote dei singoli consorziati10, giacché, nel silenzio delle parti: - in ordine alla durata del contratto, questa è fissata dall’art. 2604 c.c. in dieci anni

(art. 2604)11; - in ordine alla sede dell’ufficio comune eventualmente costituito, questa, anche nel

caso in cui si tratti di un consorzio con attività esterna, potrebbe essere comunque individuata nel luogo in cui l’organizzazione comune svolge prevalentemente la propria attività12;

- in ordine alle indicazioni di cui al n. 4, agli organi consortili spetterebbero comunque i poteri di ordinaria amministrazione, mentre la rappresentanza in giudizio spetterebbe, argo-mentando da quanto disposto dall’art. 2613 c.c., a coloro cui è attribuita la presidenza o la direzione del consorzio13;

- in ordine alle condizioni di ammissione di nuovi consorziati, dovrebbe ritenersi che i consorziati abbiano inteso escludere tale eventualità, conferendo al consorzio una struttura chiusa, sicché nuovi consorziati potrebbero essere ammessi solo modificando il contratto con il consenso di tutti i precedenti consorziati, ai sensi dell’art. 2607 c.c.14;

- in ordine ai casi di recesso e di esclusione, dovrebbe ritenersi che i consorziati ab-biano inteso escludere tale eventualità15, salvo quanto previsto, per il caso del trasferimento dell’azienda da parte dell’imprenditore consorziato, dall’art. 2610 c.c. e salva l’eventuale ap-plicazione dei principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni, che dovrebbero comportare l’esclusione del consorziato gravemente inadempiente o che abbia cessato l’attività di imprenditore16;

- in ordine alle sanzioni per l’inadempimento degli obblighi dei consorziati, dovrebbe-ro applicarsi i rimedi previsti in via generale per l’inadempimento delle obbligazioni17.

Alcune di queste affermazioni meritano, però, un approfondimento.

2.2.2. I soggetti.

Dalla definizione del contratto di consorzio data dall’art. 2602, co. 1, c.c. emerge che ad esso devono partecipare più imprenditori (almeno due).

10 V., ad es., CAMPOBASSO, op. cit., 264. 11 La medesima durata decennale deve ritenersi applicabile nei casi in cui il contratto stabilisca espres-

samente che il consorzio abbia durata indeterminata (in tal senso, MARASÀ, Prime valutazioni sulla nuova normativa in tema di consorzi, in Riv. dir. civ., 1977, II, 524).

12 V. FRANCESCHELLI, Consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Commenta-rio del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Libro V, Del lavoro (artt. 2602-2642), Bologna-Roma, 1992, 117.

13 V. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960, 121. 14 V.: ASCARELLI, op. cit., 122; CAMPOBASSO, op. cit., 265; PATRONI GRIFFI, op. cit., 608. Contra :

GABRIELLI, Sui contratti necessariamente aperti, in Riv. dir. civ., 1982, 557 ss., secondo cui il contratto di consorzio rientra fra i contratti necessariamente aperti, sicché la mancanza delle indicazioni di cui al n. 5 del secondo comma dell’art. 2603 c.c., così come l’eventuale espressa clausola di chiusura del consorzio ad altri soggetti, determinerebbe la nullità del contratto medesimo.

15 V.: ASCARELLI, op. cit., 120; CAMPOBASSO, op. cit., 266. 16 V. CAMPOBASSO, op. cit., 266. 17 Cfr. FRANCESCHELLI, op. cit.

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Ciò, secondo parte della dottrina, non significa che i consorziati debbano essere necessa-riamente tutti imprenditori né tampoco tutti imprenditori commerciali, giacché, innanzitutto, nelle disposizioni dedicate al consorzio che si riferiscono ai soggetti partecipanti non si parla mai di imprese consorziate né di imprenditori consorziati, bensì semplicemente di consorziati e, poi, a differenza di quanto prevedeva il testo originario, che parlava di contratto «tra più imprenditori», l’attuale testo dell’art. 2602, co. 1, c.c., come modificato dalla l. 377/1976, si limita a dire che «con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune …»18.

In tal modo si cerca di convogliare nell’alveo della definizione – e, dunque, della disciplina – codicistica anche la figura del cd. consorzio misto, nel quale, in vista del conseguimento di interessi più ampi rispetto a quelli perseguiti dagli imprenditori che vi partecipano, la compagi-ne dei consorziati è formata anche da soggetti non imprenditori e, in particolare, da enti pub-blici19.

Va, tuttavia, osservato che i dati letterali su cui si fonda questa opinione non paiono deci-sivi e si scontrano con la lettera dell’art. 2602, co. 1, c.c., da cui si ricava che l’organizzazione che il contratto di consorzio istituisce è comune soltanto ai più imprenditori che al contratto medesimo partecipano e non anche ad altri soggetti.

Il che dovrebbe valere ad escludere che al contratto di consorzio di cui tale norma forni-sce la nozione possano partecipare soggetti che non siano imprenditori20.

Vero è, tuttavia, che tale principio subisce numerose deroghe nella legislazione speciale, in cui, sovente, si rintraccia l’espressa previsione di consorzi cui possono o devono partecipare anche enti pubblici ovvero soggetti privati non imprenditori21.

Comunque, non è necessario che gli imprenditori consorziati siano imprenditori commer-ciali o svolgano la medesima attività o attività similari, benché, evidentemente, quest’ultima sia la regola allorché si tratti di consorzi anticoncorrenziali.

2.2.3. La durata del consorzio.

Il contratto di consorzio è essenzialmente un contratto di durata. Questa deve essere, infatti, determinata nel contratto e, in mancanza, è fissata in dieci an-

ni dall’art. 2604 c.c., come modificato dalla l. 10 maggio 1976, n. 377; e la medesima regola deve ritenersi applicabile, in nome del principio di conservazione degli atti giuridici, nel caso in cui il contratto stabilisca espressamente che il consorzio abbia durata indeterminata, salvo l’improbabile caso in cui alla indeterminatezza della durata del consorzio vada in concreto at-tribuito rilievo essenziale (art. 1419 c.c.).

Nel suo testo originario l’art. 2604 c.c. prevedeva che il contratto non potesse avere du-rata superiore a dieci anni, anche se poteva essere prorogato prima della scadenza del termine

18 V. PATRONI GRIFFI, op. cit., 607. 19 V. PATRONI GRIFFI, op. cit., 607. 20 V. PAOLUCCI, op. cit., 449. 21 V., ad es.: l’art. 19, co. 2, della l. 12 agosto 1977, n. 675, in relazione ai consorzi di garanzia collettiva

fidi; l’art. 2, co. 3, della l. 21 maggio 1981, n. 240, in relazione ai consorzi fra piccole e medie imprese; l’art. 6, co. 3, della l. 8 agosto 1985, n. 443, in relazione ai consorzi fra imprese artigiane.

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col consenso di tutti i consorziati. La modifica del dato normativo è stata ispirata dall’esigenza di garantire maggiore stabilità

ai consorzi di cooperazione interaziendale, ma l’attuale testo non fa distinzioni fra questi con-sorzi ed i consorzi anticoncorrenziali, sicché parte della dottrina22 ritiene che esso preveda una deroga all’art. 2596 c.c., che fissa in cinque anni la durata massima dei patti limitativi della concorrenza, anche se prevalente è l’opinione23 che vede nell’art. 2596 c.c. una norma spe-ciale, in quanto tale non derogabile dall’art. 2604 c.c.

Preferibile è, a mio avviso, la prima tesi, sia perché, come s’è detto, l’art. 2604 c.c. non fa distinzioni, sia perché, a ben vedere, i consorzi anticoncorrenziali costituiscono una species e dei consorzi e dei patti limitativi della concorrenza, sicché detta norma è in rapporto di spe-cialità reciproca con quella di cui all’art. 2956 c.c., sia perché in concreto è sovente assai diffi-cile distinguere fra consorzi meramente anticoncorrenziali e consorzi di cooperazione intera-ziendale senza finalità anticoncorrenziali.

Indubbia, comunque, pare tuttora, nonostante le modifiche apportate dalla legge n. 377/1976 all’art. 2604 c.c., la possibilità di una proroga della durata del consorzio prima della scadenza del termine contrattuale o legale, secondo le modalità previamente stabilite dal con-tratto o, in mancanza, con il consenso, risultante da atto scritto a pena di nullità, di tutti i con-sorziati, in applicazione di quanto stabilito in via generale per le modificazioni del contratto dall’art. 2607 c.c.

2.2.4. Le modificazioni del contratto.

2.2.4.1. Le modificazioni soggettive.

Il contratto di consorzio è, al pari di tutti i contratti di natura associativa, naturalmente aperto all’adesione di nuovi imprenditori e, per questo, deve indicare le condizioni per l’ammissione di nuovi consorziati (art. 2602, co. 2, n. 5, c.c.).

In mancanza di tali indicazioni, deve ritenersi che il consorzio abbia struttura chiusa, sic-ché nuovi imprenditori potranno esservi ammessi solo con il consenso, risultante da atto scrit-to, di tutti i consorziati (arg. ex art. 2607 c.c.).

Nel caso di trasferimento dell’azienda da parte di uno dei consorziati vale, però, l’opposta regola, contenuta nell’art. 2610, co. 1, c.c., alla stregua della quale l’acquirente dell’azienda subentra automaticamente nel consorzio in luogo dell’alienante, salvo un patto (scritto) contrario, che può essere contenuto sia nel contratto di consorzio sia in un distinto accordo tra i consorziati e l’acquirente dell’azienda e la cui possibilità, espressamente prevista, smentisce la tesi24, per vero del tutto minoritaria, secondo cui il contratto di consorzio avrebbe struttura necessariamente aperta.

Tuttavia, se sussiste una giusta causa ed il trasferimento dell’azienda sia avvenuto per at-to tra vivi, gli altri consorziati potranno, entro un mese dalla notizia dell’avvenuto trasferimento

22 V. CAMPOBASSO, op. cit., 265. 23 Per la quale v., ad es.: PATRONI GRIFFI, op. cit., 608; BORGIOLI, Consorzi e società consortili, in

Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1985, 247. 24 Per la quale v. GABRIELLI, op. cit.

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dell’azienda, deliberare l’esclusione dal consorzio dell’acquirente dell’azienda (art. 2610, co. 2, c.c.).

Si tratta, evidentemente, di una disciplina speciale rispetto a quella dettata dall’art. 2558 c.c. in tema di successione nei contratti inerenti all’azienda trasferita, secondo cui, se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale, salva la facoltà del terzo contraente di recedere dal contratto, ove sussista una giusta causa, entro tre mesi dalla notizia del trasfe-rimento.

Il che, peraltro, fa comprendere che il contratto di consorzio non è, in linea generale, rite-nuto dal legislatore un contratto naturalmente connotato dall’intuitus personae.

Benché nulla dica in proposito l’art. 2602 c.c., la disciplina ivi contenuta dovrebbe, poi, valere anche per il caso in cui l’imprenditore consorziato ceda il godimento della propria a-zienda a titolo di usufrutto o di affitto25, nonché nel caso del ritrasferimento dell’azienda al pro-prietario o all’affittante da parte dell’usufruttuario o del affittuario26.

Pressoché pacifica, invece, è l’inammissibilità del trasferimento della mera quota di partecipazione al consorzio senza il contestuale trasferimento dell’azienda del consorziato27 e, di conseguenza, la sua inassoggettabilità ad esecuzione forzata28.

Salvo quanto previsto dall’art. 2610 c.c., le cause di recesso o di esclusione dal con-sorzio devono essere indicate nel contratto (art. 2603, co. 2, n. 6, c.c.).

In mancanza, devono ritenersi applicabili i princìpi generali in materia di inadempimento e di impossibilità sopravvenuta dell’adempimento delle obbligazioni contrattuali, sicché gli altri consorziati potranno sempre deliberare l’esclusione dal consorzio del consorziato gravemente inadempiente agli obblighi consortili ovvero che abbia perso i requisiti che costituiscono la ra-gione essenziale della sua partecipazione al consorzio, come, ad esempio, nel caso in cui abbia cessato l’attività di impresa.

Per le medesime ragioni deve ammettersi la possibilità per il consorziato che abbia perso i requisiti essenziali di recedere dal contratto.

Salvo che il contratto disponga diversamente, invece, non può ritenersi consentito un re-

25 In tal senso, Cass., 25 giugno 1966, n. 1621, in CED Cass., RV. 32321. Ma v. anche Cass., 14 febbraio

1979, n. 969, in CED Cass., RV. 397153; Cass., 29 gennaio 1979, n. 632, in Foro it., 1979, I, 1818, in Giur. it., 1980, I, 1, 146, ed in Giust. civ., 1979, I, 1488, che paiono, però, far applicazione dell’art. 2558 c.c.

26 V. Cass., 14 febbraio 1979, n. 969, e Cass., 29 gennaio 1979, n. 632, citt., per le quali, tuttavia, la suc-cessione del titolare dell’azienda nel contratto di consorzio stipulato dall’usufruttuario o dall’affittuario non si verificherebbe allorché il ritrasferimento al primo dell’azienda non sia l’effetto di un fatto negozial-mente previsto, quale, ad es., la scadenza del contratto di costituzione dell’usufrutto o di affitto o il verifi-carsi della condizioni risolutiva apposta al medesimo contratto, bensì, ad es., della rìisoluzione di tale con-tratto per l’inadempimento dell’usufruttuario o dell’affittuario.

27 In tal senso, v.: FRANCESCHELLI, op. cit., 123; ASCARELLI, op. cit., 125; VOLPE PUTZOLU, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da Galgano, vol. IV, La concorrenza e i consorzi, Padova, 1981, 423. 371. BORGIOLI, op. cit., 468, ammette, invece. la trasferibilità della mera quota di partecipazione al consorzio, allorché il contratto la consenta espressamente ed a condizione che il cessionario possieda i requisiti stabi-liti dal contratto.

28 ASCARELLI, op. cit., 125. Ma per il problema degli effetti sul consorzio del fallimento del consorziato si v. infra nel corpo del testo.

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cesso ad nutum del consorziato29 ovvero un’esclusione ad nutum del consorzio. In quest’ambito di considerazioni, particolare rilevanza pratica riveste la questione degli

effetti sul consorzio del fallimento del singolo consorziato. In proposito, la disciplina legislativa è del tutto silente e l’opinione prevalente in dottrina

ed in giurisprudenza è nel senso di inserire il fallimento del singolo consorziato tra le cause di esclusione e/o di recesso dal consorzio30, talvolta trovandosi affermato che ciò vale anche qualora il contrario sia previsto dal contratto di consorzio31.

Fondamento di questa tesi è principalmente la duplice idea che il fallimento del consorzia-to comporta ineluttabilmente l’impossibilità di quest’ultimo di far fronte agli obblighi consortili e che il rapporto consortile abbia natura essenzialmente fiduciaria.

È stato, tuttavia, correttamente rilevato da una parte della dottrina32 che il fallimento del consorziato non costituisce di per sé causa di impossibilità sopravvenuta dell’adempimento degli obblighi consortili gravanti sull’imprenditore fallito né di mutamento del soggetto cui van-no imputati i diritti e gli obblighi consortili e che, in caso di continuazione temporanea dell’esercizio o di esercizio provvisorio dell’impresa ai sensi dell’art. 90 l.f., il curatore del fal-limento del singolo consorziato ben potrebbe avere interesse a continuare a far parte del con-sorzio, magari in vista di una prossima chiusura della procedura concorsuale senza liquidazione dell’attivo o della cessione dell’azienda ad un terzo, sicché la partecipazione al consorzio può rappresentare una utilità che appare ingiusto ed illogico sottrarre automaticamente al fallito ed alla massa dei suoi creditori.

Se ne è ricavato che va attribuita al curatore la facoltà di scelta tra il recesso ed il subentro nel contratto33.

Né – si è aggiunto34 – questa evenienza può dirsi esclusa sul rilievo che la disciplina del rapporto tra i consorziati ed il consorzio è improntato a quella del contratto di mandato, per il quale l’art. 78 l.f. dispone lo scioglimento automatico in caso di fallimento di una delle parti, giacché, a parte le generali obiezioni che possono muoversi in ordine alla piena assimilabilità al mandato dei rapporti tra i componenti di una collettività organizzata e gli organi collettivi, se il mandato rientra nella struttura di un contratto più complesso, l’art. 78 l.f. risulta inapplicabile, dovendo trovare, invece, applicazione la disciplina del contratto di cui costituisce una parte.

Un insuperabile ostacolo alla tendenziale preservazione della partecipazione al consorzio del consorziato fallito potrebbe essere piuttosto rappresentato dal principio enunciato in mate-ria di società semplice dall’art. 2288, co. 1, c.c. – ma esteso espressamente alle società coo-perative dall’art. 2527, co. 1, c.c. e, per l’opinione largamente dominante, applicabile anche alle società in nome collettivo ed in accomandita semplice35 – secondo cui il socio che sia stato

29 V.: FRANCESCHELLI, op. cit., 132; GUGLIELMETTI, op. cit., 345; Cass., 9 luglio 1993, n. 7567, cit. 30 V., ad es., PATRONI GRIFFI, op. cit., 609. 31 In tal senso Cass., 31 marzo 1969, n. 1052, in Giur. it., 1970, I, 1784. 32 Il riferimento è a CENSONI, Gli effetti del fallimento sui consorzi e sulle associazioni temporanee

d’impresa , in I rapporti giuridici pendenti, suppl. a Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 1998, n. 11, 133 ss.

33 V. CENSONI, op. loc. cit. 34 V. sempre CENSONI, op. loc. cit. 35 In tal senso: App. Bologna, 13 febbraio 1984, in Dir. fall., 1987, II, 934; Trib. Udine, 6 febbraio 1988, in

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dichiarato fallito è escluso di diritto dalla società, qualora si dovesse ritenere che tale principio valga anche per i consorzi.

Senonché, assai discussa è l’individuazione della ratio ispiratrice del principio di cui all’art. 2288, co. 1, c.c., che da taluni36 è rinvenuta nell’esigenza di evitare che la società subi-sca ripercussioni negative per effetto del fallimento del socio, da altri37 nell’incompatibilità tra la prosecuzione del rapporto sociale e le esigenze liquidatorie proprie della procedura fallimenta-re, da altri ancora38 nell’incompatibilità tra la prosecuzione del rapporto sociale ed il conse-guente regime di responsabilità illimitata e solidale dei soci per tutte le obbligazioni contratte in nome della società e gli effetti del fallimento, che non tollera che l’attivo fallimentare sia gravato da passività maturate dopo l’apertura della procedura e fuori dal controllo degli organi falli-mentari.

Invero, le esigenze della liquidazione fallimentare sono le medesime sia che si tratti di una quota di una società di persone o cooperativa sia che si tratti di una quota di una società a re-sponsabilità limitata e, nondimeno, il socio di una società di quest’ultimo tipo che sia dichiarato fallito non è escluso di diritto dalla società (arg. ex art. 2480 c.c.) e, d’altra parte, la disciplina della responsabilità per le obbligazioni assunte nei confronti dei terzi in nome del consorzio è differente da quella della responsabilità per le obbligazioni assunte dalle società di persone e sostanzialmente analoga a quella della responsabilità per le obbligazioni assunte nei confronti dei terzi da una società cooperativa, cui è certamente applicabile la disposizione di cui all’art. 2288, co. 1, c.c.

Quanto, poi, all’esigenza di salvaguardare la società dalle ripercussioni conseguenti al fal-limento del socio, i suoi contorni sono alquanto sfuggenti ed inidonei a comprendere l’effettiva portata del principio in discussione, posto che le società, come, d’altronde, i consorzi, non sono mai in quanto tali responsabili per i debiti personali dei soci.

Nemmeno, poi, potrebbe ritenersi applicabile per analogia la disciplina dettata dall’art. 6 del d.lgs. 23 luglio 1991, n. 240, che dispone l’esclusione di diritto dal GEIE, istituto che, co-me vedremo, presenta diverse assonanze con i consorzi con attività esterna, del membro che sia dichiarato fallito.

La componente personale, il cd. intuitus personae, nei GEIE è, infatti, assai più rilevante che nei consorzi, come può desumersi dal fatto che nei primi per l’ammissione di nuovi membri è sempre richiesta la volontà unanime dei membri39.

Mi pare, dunque, che, in mancanza di argomenti decisivi nell’uno o nell’altro senso, debba concludersi che, nel caso in cui il contratto nulla preveda in proposito, il fallimento del consor-ziato non implichi di per sé l’automatica esclusione di quest’ultimo dal consorzio e nemmeno faccia sorgere la facoltà del curatore di recedere dal contratto, ma debbano trovare applica-zione i princìpi generali in materia di risoluzione dei contratti per inadempimento o per soprav-

Soc., 1988, 819. Contra : FERRI, Delle società, in Commentario al codice civile, a cura di Scialoja e Branca, 1981, 306, sul rilievo che nelle società commerciali i creditori non hanno la facoltà di chiedere la liquidazione della quota durante la vita della società.

36 V., ad es., FERRARA JR.-CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 1996, 321. 37 V., ad es., FERRI, op. loc. cit. 38 V., ad es., CENSONI, op. loc. ult. cit. 39 V. infra.

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venuta impossibilità dell’adempimento. Discusso, inoltre, è se e quando il consorziato receduto o escluso dal consorzio abbia di-

ritto alla liquidazione della sua quota di partecipazione al fondo consortile (peraltro, co-me si vedrà meglio appresso, necessario solo nei consorzi con attività esterna).

La disposizione contenuta nell’art. 2609, co. 1, c.c., secondo cui «nei casi di recesso e di esclusione … la quota di partecipazione del consorziato receduto o escluso si accresce proporzionalmente a quella degli altri» consorziati, infatti, non è parsa in grado di risolvere la questione, essendo opinione prevalente che essa non si riferisca alla quota di partecipazione al fondo consortile, bensì soltanto ai diritti ed agli obblighi assunti dal consorziato nei consorzi di contingentamento40.

Senonché, anche tra coloro che condividono questa impostazione può distinguersi tra chi ritiene che la lacuna riguardo alla liquidazione della quota di partecipazione al fondo consortile vada colmata applicando la disciplina dettata per le associazioni non riconosciute dall’art. 37 c.c., che espressamente esclude la liquidazione della quota in caso di recesso dell’associato, e chi, invece, sostiene che il consorziato receduto o escluso avrebbe sempre diritto alla liquida-zione della propria quota di partecipazione al fondo consortile, immediatamente41 o, secondo altra opinione, fondata sul rilievo che l’art. 2614 c.c. vieta ai consorziati di chiedere la divisione del fondo consortile ed ai loro creditori particolari di far valere i loro diritti su detto fondo fin-ché dura il consorzio, solo al momento dello scioglimento del consorzio42.

2.2.4.2. Le altre modificazioni.

Come già s’è più volte detto, se non è diversamente convenuto, il contratto di consorzio può essere modificato solo con il consenso di tutti i consorziati, risultante da atto scritto a pena di nullità (art. 2607 c.c.).

La diversa convenzione può sia impedire ogni modificazione o talune modificazioni del contratto sia prevedere che le modificazioni consentite dal contratto siano decise da un certo numero di consorziati ovvero da uno o più organi consortili ovvero da un terzo.

Le modificazioni possono concernere, oltre che la persona dei consorziati, qualsiasi profi-lo del contratto (l’oggetto del consorzio, le attribuzioni degli organi consortili, la durata del consorzio, ecc.), purché nell’ambito della cd. causa consortile, cioè purché al consorzio sia attribuita una finalità che possa farsi rientrare in quelle di cui all’art. 2602 c.c.

Assai discussa è – nella totale carenza di una disciplina legislativa in proposito e della di-scordia esistente in ordine all’ammissibilità in linea generale della trasformazione, della fusione e della scissione di enti di carattere associativo di diritto privato diversi dalle società – l’ammissibilità sia della trasformazione dei consorzi in altri tipi di soggetti giuridici e, in particolare, in società sia della trasformazione in consorzi di altri tipi di soggetti giuridici, accompagnata o meno da una modifica dello scopo consortile in scopo lucrativo o viceversa43, come anche della fusione 44 e della scissione dei consorzi.

40 V., per tutti, CAMPOBASSO, op. cit., 266; e, in giurisprudenza, App. Milano, 5 dicembre 1975, in Dir. fall., 1976, II, 111.

41 In tal senso: CAMPOBASSO, op. cit., 266; BORGIOLI, op. cit., 461; App. Milano, 5 dicembre 1975, cit. 42 In tal senso PAOLUCCI, op. cit., 464. 43 Per l’inammissibilità della trasformazione: di un consorzio in società consortile, v. Trib. Verona, 21 a-

prile 1995, in Gius, 1995, 1860, ed in Soc., 1995, 1080, Trib. Brescia, 12 dicembre 1985, in Riv. not., 1986, 713,

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anche della fusione 44 e della scissione dei consorzi.

2.2.5. L’organizzazione comune.

Sotto il profilo strutturale, carattere essenziale di ogni tipo di consorzio è la creazione di un’organizzazione comune , cui è demandato il compito di dare esecuzione al contratto, as-sumendo ed attuando le decisioni a tal fine occorrenti.

La disciplina legislativa al riguardo lascia assai ampio spazio all’autonomia privata, spet-tando ai consorziati stabilire «le attribuzioni e i poteri degli organi consortili anche in or-dine alla rappresentanza in giudizio» (art. 2603, co. 2, n. 4, c.c.).

Tuttavia, dagli scarni dati normativi si ricava che, in ogni caso, la struttura organizzativa deve essere formata almeno dagli organi che sono preposti al consorzio, la cui responsabilità verso i consorziati è regolata dalle norme sul mandato (art. 2608 c.c.) ed ai quali, nei consorzi con attività esterna, spetta sempre la rappresentanza processuale passiva del consorzio, concorrente con quella di coloro cui è attribuita dal contratto (art. 2613 c.c.).

Contrariamente a quanto si trova sovente affermato in dottrina, non è, invece, a mio avvi-so, necessaria la costituzione di un organo deliberativo di tipo assembleare distinto dalla informe totalità dei consorziati, giacché il contratto potrebbe stabilire che le deliberazioni relati-ve all’attuazione dell’oggetto del consorzio, data la natura dispositiva della norma che per esse richiede il voto favorevole della maggioranza dei consorziati (art. 2606, co. 1, c.c.), siano pre-se da tutti i consorziati all’unanimità e la legge prevede che, salvo che sia diversamente stabili-to, eguale unanimità di consensi sia necessaria per le modificazioni del contratto, per le quali, peraltro, è richiesta la forma scritta ad substantiam (art. 2607 c.c.).

Comunque, le deliberazioni relative all’attuazione dell’oggetto del consorzio non adottate all’unanimità e non conformi alla legge o al contratto possono essere impugnate davanti all’autorità giudiziaria dai consorziati presenti ma dissenzienti entro trenta giorni dalla data della loro adozione e dai consorziati assenti entro trenta giorni dalla data in cui esse siano state a costoro comunicate ovvero, allorché si tratti di deliberazioni soggette ad iscrizione nel registro delle imprese, dalla data di tale iscrizione (art. 2606, co. 2, c.c.).

Pare pacifico, poi, che l’impugnazione di cui all’art. 2606, co. 2, c.c. consiste in un’azione volta all’annullamento delle deliberazioni relative all’attuazione dell’oggetto del consorzio non conformi alla legge o al contratto, che non esclude l’eventualità di un’azione di nullità delle me-desime deliberazioni o delle modificazioni del contratto il cui oggetto sia impossibile o illecito ovvero adottate senza l’osservanza delle forme od in assenza delle altre condizioni prescritte dalla legge o dal contratto.

Nemmeno mi pare necessaria l’istituzione di un organo di controllo sull’attività dei

e Trib. Milano, 26 aprile 1984, in Giur. comm., 1985, 539; di un consorzio in società consortile a responsabi-lità limitata, v. App. Roma, 11 marzo 1998, in Giur. it., 1998, 1428. Per l’ammissibilità della trasformazione: di una società consortile cooperativa a responsabilità limitata in consorzio, v. Trib. Trieste, 16 febbraio 1988, in Giur. comm., 1990, 545; di un consorzio in società consortile, v. App. Brescia, 27 marzo 1986, in Riv. not., 1986, 714; di un consorzio in società consortile cooperativa a responsabilità limitata, v. Trib. Udine, 8 marzo 1986, in Vita not., 1986, 353, e Trib. Udine, 10 dicembre 1983, in Giur. comm., 1984, 417; di un consorzio in società consortile per azioni, v. App. Roma, 21 luglio 1999, in Giur. it., 2000, 118.

44 Per l’ammissibilità, le condizioni e gli effetti della fusione tra consorzi v. BORGIOLI, op. cit., 430.

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consorziati: l’art. 2605 c.c. si limita, infatti, a stabilire che «I consorziati devono consentire i controlli e le ispezioni da parte degli organi previsti dal contratto», ma non impone l’attribuzione agli organi consortili di poteri di controllo e/o di ispezione sui consorziati.

2.2.6. Lo scioglimento del consorzio.

Per l’art. 2611 c.c., il contratto di consorzio si scioglie: 1) per il decorso del tempo stabilito per la sua durata; 2) per il conseguimento dell’oggetto o per l’impossibilità di conseguirlo; 3) per volontà unanime dei consorziati; 4) per deliberazione dei consorziati, presa a norma dell’art. 2606, se sussiste una giu-

sta causa; 5) per provvedimento dell’autorità governativa, nei casi ammessi dalla legge; 6) per la altre cause previste nel contratto.

Pur non essendo espressamente previste dalla legge, secondo la prevalente dottrina, costituisce, inoltre, causa di scioglimento del consorzio il venir meno della pluralità dei consorziati45.

Alla liquidazione dei consorzi con attività meramente interna che abbiano, come ben possibile, benché non necessario, un fondo consortile, qualora nulla sia stabilito nel contratto, i più ritengono che vadano applicate le norme dettate in tema di scioglimento della comunione46.

2.3. Le particolarità concernenti i consorzi con attività esterna.

Alla disciplina dettata in linea generale per i consorzi si aggiungono, per i soli consorzi con attività esterna, le disposizioni dettate dagli artt. da 2612 a 2615-bis c.c.

Elemento caratterizzante dei consorzi con attività esterna è l’«istituzione di un ufficio destinato a svolgere un’attività con i terzi» (art. 2612, co. 1, c.c.): attività che, evidente-mente, deve essere connessa all’oggetto del consorzio.

Di conseguenza i profili di specialità della disciplina contenuta in detti articoli dipendono dall’esigenza di regolare i rapporti con i terzi con i quali i consorzi con attività esterna sono abilitati ad entrare in relazione.

Proprio per la loro capacità relazionale, infatti, i consorzi con attività esterna sono soggetti ad un regime di pubblicità legale, giacché è richiesto che un estratto del contratto – conte-nente l’indicazione della denominazione del consorzio, del suo oggetto e della sua durata, della sede dell’ufficio consortile, del cognome e del nome dei consorziati e delle persone a cui sono attribuite la presidenza, la direzione e la rappresentanza del consorzio e dei relativi poteri, il modo di formazione del fondo consortile e le norme relative alla sua liquidazione – venga, en-

45 FRANCESCHELLI, op. cit., 171; MINERVINI, Concorrenza e consorzi, in Trattato di diritto civile, di-

retto da G. Grosso e F. Santoro Passarelli, Milano, 1965, 91. 46 MINERVINI, op. cit., 91; GUGLIELMETTI, La concorrenza e i consorzi, in Trattato di diritto civile,

diretto da Vassalli, Torino, 1970, 351.

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tro trenta giorni dalla stipulazione, depositato dagli «amministratori» per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese del luogo ove si trova la sede dell’ufficio consortile (art. 2612, co. 1, c.c.).

Ad analoga forma di pubblicità sono soggette le modificazioni concernenti gli elementi che devono essere indicati nell’estratto del contratto (art. 2612, co. 2, c.c.).

A proposito della rappresentanza del consorzio, va, poi, rilevato che l’art. 2613 c.c., con singolare disposizione, evidentemente tesa ad agevolare i terzi, consente a questi ultimi di convenire in giudizio i consorzi con attività esterna «in persona di coloro ai quali il contratto attribuisce la presidenza o la direzione, anche se la rappresentanza è attribuita ad altre persone», in tal modo rendendo, in deroga ai principi generali in tema di efficacia pubblicitaria delle iscrizioni nel registro delle imprese (art. 2193 c.c.), inopponibile ai terzi l’eventuale clau-sola contrattuale, pur iscritta nel registro delle imprese, che attribuisca la rappresentanza pro-cessuale passiva del consorzio a persone diverse da quelle che ne hanno la presidenza o la direzione.

I consorzi con attività esterna, pur non essendo persone giuridiche, sono, poi, dotati di una soggettività giuridica distinta da quella dei consorziati, costituendo un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici47, e di autonomia patrimoniale, in quanto delle obbligazioni assunte in nome del consorzio da coloro che ne hanno la rappresentanza risponde soltanto il fondo consortile (art. 2615, co. 1, c.c.), costituito dai contributi del consorziati e dai beni con tali contributi acquistati (senza che ciò, però, precluda altre forme di alimentazione) e de-stinati a rimanere insensibile, per tutta la durata del consorzio, alle pretese dei consorziati e dei loro creditori particolari (art. 2614 c.c.).

La riforma del 1976 ha, infatti, eliminato la responsabilità illimitata e solidale per tali obbli-gazioni delle persone che hanno agito in nome del consorzio; e ciò all’evidente scopo di favori-re il pratico ricorso all’istituto in considerazione, ma, come non s’è mancato di sottolineare, trascurando di introdurre opportuni presidi a garanzia della consistenza del patrimonio consor-tile48.

Per le obbligazioni assunte dagli organi consortili per conto dei singoli consorziati rispondono, invece, costoro solidalmente col fondo consortile; ed è, inoltre, previsto che, in caso di insolvenza del singolo consorziato interessato, nei rapporti tra consorziati49, il debito dell’insolvente si ripartisca tra gli altri consorziati in proporzione delle loro rispettive quote (art. 2615, co. 2, c.c.).

Discusso è, però, se questo – eccezionale50 – regime di doppia responsabilità valga solo per le obbligazioni assunte dagli organi consortili per conto del singolo consorziato ma in nome

47 Cfr. Cass., 9 dicembre 1996, n. 10956, in Giust. civ., 1997, I, 944. 48 Sul punto, v.: CAMPOBASSO, op. cit., 270; PATRONI GRIFFI, op. cit., 612; PAOLUCCI, op.. cit., 467. 49 Il punto, peraltro, non è pacifico, essendovi chi (COTTINO, Diritto commerciale, I, tomo II, Padova,

1994, 57-58), sia pur in posizione nettamente minoritaria, sostiene che l’ultima parte del secondo comma dell’art. 2615 c.c. concerna anche la responsabilità esterna dei consorziati diversi da quello nel cui interesse è stata assunta l’obbligazione e risultato insolvente.

50 Perché derogatorio del principio generale di cui all’art. 1705 c.c., che non consente al terzo contraente di agire nei confronti del soggetto nel cui interesse l’atto è compiuto senza che ne sia speso il nome.

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del consorzio51 ovvero solo per le obbligazioni assunte dagli organi consortili in nome e per conto del singolo consorziato52 ovvero per tutte le obbligazioni assunte dagli organi consortili per conto del singolo consorziato, non importa se in nome di quest’ultimo o del consorzio53, ovvero anche per le obbligazioni assunte dal singolo consorziato direttamente avvalendosi dell’opera di intermediazione degli organi consortili54.

La considerazione della lettera dell’art. 2615 c.c. e delle finalità della riforma del ‘76 indu-cono, a mio avviso, ad individuare le obbligazioni di cui risponde esclusivamente il fondo con-sortile in tutte quelle assunte dagli organi consortili nell’ambito degli scopi consortili e, dunque, nell’interesse comune di tutti i consorziati e le obbligazioni di cui risponde solidalmente col fon-do consortile anche i singoli consorziati in tutte quelle assunte dagli organi consortili nell’esclusivo interesse di uno o più singoli consorziati55.

Sempre a tutela dei terzi con i quali i consorzi con attività esterna possono venire in contatto, l’art. 2615-bis c.c. pone a carico di coloro cui è attribuita la direzione del consorzio l’obbligo di redigere, «osservando le norme relative al bilancio di esercizio delle società per azioni», e di depositare presso l’ufficio del registro delle imprese, entro due mesi dalla chiusura dall’esercizio annuale, una situazione patrimoniale.

Incertezze sussistono, tuttavia, sul contenuto di tale documento, giacché, secondo alcuni, si tratterebbe di un mero inventario delle attività e delle passività del consorzio, come tale non assimilabile ad un bilancio di esercizio, mentre, secondo altri, si tratterebbe di una vera e pro-pria situazione patrimoniale conforme allo stato patrimoniale di cui è composto il bilancio di esercizio delle società per azioni, anche se non accompagnata dal conto economico56.

L’esplicito richiamo normativo alle regole di compilazione del bilancio di esercizio delle società per azioni fa decisamente propendere per quest’ultima tesi. Ritengo, però, di dover aggiungere che una situazione patrimoniale nuda e cruda, sia pur redatta in conformità delle norme che disciplinano il contenuto dello stato patrimoniale delle società per azioni, non mi pare sufficiente a garantire le esigenze informative dei terzi in vista delle quali il legislatore del ’76 ha introdotto l’art. 2615-bis c.c., sicché mi pare necessario che essa sia accompagnata almeno da una relazione descrittiva dell’organo direttivo del consorzio che fornisca le medesi-me informazioni della nota integrativa e/o della relazione sulla gestione previste dagli artt. 2427 e 2428 c.c.

In ogni caso, l’organo cui spetta la direzione del consorzio sarà, a norma dell’art. 2217 c.c., tenuto a redigere anche il conto annuale dei profitti e delle perdite, qualora il consorzio svolga un’attività commerciale57.

51 In questo senso v.: MINERVINI, op. cit., 95; FERRARA JR.-CORSI, op. cit., 184. 52 In tal senso VOLPE PUTZOLU, Responsabilità del consorzio e responsabilità dei consorziati, in

Giur. comm., 1980, II, 183. 53 In tal senso v.: PATRONI GRIFFI, op. cit., 612-613; COTTINO, op. cit., 56-57; GALGANO,

L’imprenditore, Bologna, 1991, 151; Cass., 27 settembre 1997, n. 8509, in Giust. civ., 1998, I, 437, con nota adesiva di VIDIRI, Consorzi con attività esterna e responsabilità delle imprese consorziate.

54 Per quest’ultima opinione v.; CAMPOBASSO, op. cit., 271. 55 In questo senso v. VIDIRI, op. cit., 441. 56 V. PATRONI GRIFFI, op. cit., 614, che propende per la seconda tesi esposta nel corpo del testo. 57 V. PATRONI GRIFFI, op. cit., 614.

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Invero, può dirsi ormai nettamente prevalente l’idea che anche il consorzio con attività e-sterna possa assumere, in considerazione dell’attività in concreto svolta, ovvero assuma sem-pre, in considerazione del fatto che lo svolgimento di una fase dell’impresa dei consorziati rap-presenta esso stesso attività d’impresa, la qualifica di imprenditore e, in particolare, di im-prenditore commerciale, in quest’ultimo caso essendo anche soggetto a fallimento58, senza che, però, ciò possa importare il fallimento per estensione dei consorziati, stante la limitata responsabilità di questi ultimi per le obbligazioni del consorzio59.

Il fallimento del consorzio con attività esterna comporta, invece, secondo l’opinione pre-valente, lo scioglimento del relativo contratto60 e la conseguente liquidazione del fondo con-sortile, le cui modalità devono essere indicate nel contratto medesimo (art. 2612, co. 1, n. 5, c.c.) e, in mancanza, vanno individuate, secondo l’opinione prevalente, applicando per analo-gia le norme che regolano la liquidazione delle società personali61.

Siccome, poi, secondo l’opinione prevalente, il regime di pubblicità legale previsto dall’art. 2612 c.c. ha efficacia meramente dichiarativa62, è possibile immaginare anche consor-zi (con attività esterna) irregolari, in quanto non iscritti nel registro delle imprese, cui do-vrebbe applicarsi il regime di responsabilità previsto dall’art. 38 c.c. per le associazioni non riconosciute, con la conseguenza che coloro che hanno agito per il consorzio sarebbero, in solido tra loro e con il fondo consortile, illimitatamente responsabili per le obbligazioni assun-te63, nonché soggetti in proprio al fallimento per estensione del fallimento del consorzio.

3. Le società consortili.

La possibilità di perseguire gli scopi assegnati dalla legge ai consorzi (o la cd. causa con-sortile) anche mediante la costituzione di una società era già implicitamente prevista dal testo originario del codice civile, che, all’immutato art. 2620, estende i (mai istituiti) controlli

58 Per la assoggettabilità a fallimento dei consorzi con attività esterna che svolgano un’attività commer-

ciale v.: Trib. Catania, 14 luglio 1998, in Giur. comm., 2000, II, 47; Trib. Milano, 12 maggio 1997, in Fall., 1997, 1036; Trib. Genova, 17 ottobre 1997, in Fall., 1998, 314; Trib. Milano, 5 febbraio 1996, in Giur. merito, 1996, 662; Trib. Macerata, 7 marzo 1990, in CED Cass., Arch. merito, PD. 900404. Contra , sul rilievo che i consorzi con attività esterna non svolgono mai un’attività commerciale: Trib. Perugia, 20 settembre 1995, in Fall., 1996, 199; Trib. Milano, 23 luglio 1981, in Fall., 1982, 282; nonché, in dottrina, CENSONI, op. cit., 131.

59 V. CENSONI, op. cit., 132-133. 60 FRANCESCHELLI, op. cit., 171; MINERVINI, op. cit., 91. Ma v. anche VOLPE PUTZOLU, I consorzi per

il coordinamento della produzione e degli scambi, cit., 423, secondo cui il fallimento del consorzio non comporta lo scioglimento del contratto, ma solo la riduzione del suo oggetto, qualora si tratti di consorzio che abbia anche finalità anticoncorrenziali.

61 FRANCESCHELLI, op. cit., 168. 62 Così MINERVINI, op. cit., 92. 63 V. PATRONI GRIFFI, op. cit., 614.

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dell’autorità governativa «alle società che si costituiscono per raggiungere gli scopi indica-ti nell’art. 2602».

E questa possibilità era stata ampiamente sfruttata dalla prassi, soprattutto mediante la co-stituzione di società consortili in forma di società di capitali o di società cooperative ed al fine di aggirare il regime di responsabilità illimitata per le obbligazioni del consorzio di coloro che a-vessero agito per questo, previsto, fino alla riforma del 1976, dall’art. 2615 c.c. e/o di soppe-rire alle lacune della normativa in materia di consorzi in ordine al funzionamento degli organi collettivi.

La riforma del 1976, con l’introduzione nel codice civile dell’art. 2615-ter c.c., secondo cui «le società previste nei capi III e seguenti del titolo V possono assumere come ogget-to sociale gli scopi indicati dall’art. 2602», ha confermato la legittimità di questa prassi, ri-solvendo i dubbi che erano stati sollevati in relazione alla possibilità di concepire società con scopi esclusivamente consortili e, dunque, senza scopi lucrativi, ma facendo sorgere nuovi problemi.

Infatti, innanzitutto, l’art. 2615-ter c.c., in contraddizione con l’ampia formulazione dell’art. 2620 c.c., prevede che le società consortili possano assumere le forme delle società commerciali di persone e delle società di capitali, così dando la sensazione di voler escludere l’ammissibilità di società consortili semplici e di società consortili cooperative.

Ma, mentre l’esclusione delle società semplici dal novero delle società che possono assu-mere ad oggetto scopi consortili può trovare la sua logica giustificazione nella (indefettibile o eventuale) natura sostanzialmente commerciale dell’attività svolta dalle società consortili64 e/o nell’esigenza di evitare l’elusione del regime pubblicitario già previsto per i consorzi con attività esterna e con la riforma esteso alla situazione patrimoniale di tali consorzi65_66, inspiegabili ai più sono apparse le ragioni per cui il medesimo trattamento è stato riservato alle società coo-perative, date le evidenti assonanze tra lo scopo mutualistico e lo scopo dei consorzi, soprat-tutto di quelli di coordinamento tra imprese, delle quali s’erano già avvedute la prassi e la legi-slazione speciale, che, con le modifiche apportate dall’art. 5 della l. 17 febbraio 1971, n. 127, all’art. 27 del d.lgs.C.p.St. 14 dicembre 1947, n. 1577, aveva espressamente previsto la pos-sibilità di costituire consorzi di società cooperative in forma di società cooperativa67.

Peraltro, anche dopo la riforma del 1976, la legislazione speciale ha continuato a contem-plare fattispecie di società consortili in forma di società cooperative, come nei casi dell’art. 6 della l. 8 agosto 1985, n. 443, dell’art. 1 della l. 21 maggio 1981, n. 240, e dell’art. 17 della l.

64 In tal senso, v.: FRANCESCHELLI, op. cit., 199; BORGIOLI, op. cit., 149. 65 In quest’altro senso, v. PATRONI GRIFFI, op. cit., 616. 66 Per Trib. Catania, 24 giugno 1982, in Dir. fall., 1982, II, 2, 1662, la società consortile costituita in forma

di società semplice prima dell’entrata in vigore della legge n. 377/1976 che non abbia adeguato la sua strut-tura alla nuova normativa va considerata alla stregua di una società in nome collettivo irregolare.

67 Il primo comma dell’art. 27 del d.lgs.C.p.St. 14 dicembre 1947, n. 1577, come modificato dall’art. 5 della l. 17 febbraio 1971, n. 127, prevede, infatti, che: «Le società cooperative legalmente costituite, comprese quelle tra pescatori lavoratori, che, mediante la costituzione di una struttura organizzativa comune, si propongono, per facilitare i loro scopi mutualistici, l’esercizio in comune di attività economiche, posso-no costituirsi in consorzio come società cooperative, ai sensi degli articoli 2511 e seguenti del codice civile». Per l’ammissibilità di siffatte società consortili cooperative di secondo grado anche dopo la riforma del ’76, v. Trib. Napoli, 30 aprile 1999, in Soc., 2000, 251, con nota di BONAVERA.

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5 ottobre 1991, n. 317, che danno per scontata l’ammissibilità di società consortili, «anche in forma di cooperativa», tra imprese artigiane, tra piccole e medie imprese operanti nei settori dell’industria, del commercio e dell’artigianato, tra piccole imprese industriali, tra piccole im-prese industriali e piccole imprese commerciali e di servizi.

Pertanto, è opinione di gran lunga prevalente che l’omesso richiamo da parte dell’art. 2615-ter c.c. alla disciplina delle società cooperative vada interpretato come un mero lapsus del legislatore e/o come il frutto della convinzione della piena compatibilità tra lo scopo consor-tile e quello mutualistico e, dunque, dell’inutilità di ribadire la piena ammissibilità di società con-sortili in forma di società cooperative68.

Era, invece, già emerso prima della riforma del ’76 e resta tuttora aperto il problema della disciplina applicabile alle società consortili, le quali, come s’è visto, sono enti di natura ibrida, in quanto volti a perseguire gli scopi tipici dei consorzi mediante la struttura tipica di una società commerciale.

Proprio in forza di questa considerazione, s’è sostenuto – con l’autorevole avallo dell’unica sentenza sul tema della Corte di cassazione – che a siffatte società sarebbe applicabile una disciplina mista e, più in particolare: la disciplina del tipo di società commerciale prescelto per quel che concerne i profili ccdd. formali, cioè relativi all’articolazione della struttura organizzativa ed alle attribuzioni ed al funzionamento degli organi; la disciplina dei consorzi per quel che concerne i profili ccdd. sostanziali, cioè relativi ai rapporti tra i soci e tra i soci ed i terzi, che prevarrebbe su quella del tipo societario prescelto anche in mancanza di un’espressa previsione contrattuale69.

68 In tal senso v.: MARASÀ, op. ult. cit., 551; PATRONI GRIFFI, op. cit., 616-617; CAMPOBASSO, op. cit.,

274; Trib. Udine, 16 marzo 1993, in Dir. fall., 1993, II, 417; Trib. Udine, 14 dicembre 1990, in Dir. fall., 1992, II, 988; App. Bologna, 13 ottobre 1990, in Soc., 1991, 66; Trib. Venezia, 30 maggio 1985, in Soc., 1986, 84; Trib. Trieste, 11 febbraio 1980, in Giur. comm., 1981, II, 690; Trib. Roma, 14 novembre 1979, in Giur. comm., 1980, II, 424. Contra : VOLPE PUTZOLU, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, cit., 348 ss., secondo cui, in sostanza, la struttura organizzativa della società cooperativa sarebbe incomp a-tibile con il perseguimento degli scopi indicati dall’art. 2602 c.c.; Trib. Napoli, 8 maggio 1997, in Soc., 1998, 66, secondo cui, data la differente destinazione soggettiva dello scopo consortile rispetto a quello mutuali-stico, essendo il primo rivolto a favorire l’impresa ed il secondo il lavoro, l’ammissibilità della costituzione di società consortili cooperative impingerebbe nell’inderogabile disposizione di cui all’art. 2515, co. 2, c.c., secondo cui «l’indicazione di cooperativa non può essere usata da società che non hanno scopo mutua-listico». In posizione mediana v’è, poi, chi – come MARASÀ, Le «società» senza scopo di lucro , Milano, 1984, 300 e ss., e GIULIANELLI, in nota a Trib. Napoli, 8 maggio 1997, cit. – sostiene che le previsioni di società consortili cooperative contenute nella legislazione speciale costituirebbero deroghe alla regola generale dell’incompatibilità tra scopo consortile e modello cooperativo e, come tali, non tali da rendere in via generale ammissibile l’impiego delle forme della società cooperativa per il perseguimento degli scopi indicati dall’art. 2602 c.c.

69 In quest’ordine d’idee si muovono, in dottrina, ad es., FRANCESCHELLI, op. cit., 180 ss., e, in giuri-sprudenza: Cass., 4 novembre 1982, n. 5787, in Giur. comm., 1984, II, 568, secondo cui «Nel caso di società-consorzio, cioè di società commerciale che venga costituita fra più imprenditori, come consentito dal-l'art. 2615-ter c.c. (introdotto dalla l. 10 maggio 1976 n. 377) per il perseguimento di finalità consortili, di disciplina e coordinamento delle rispettive attività, restano interamente applicabili le disposizioni sui consorzi dettate dagli art. 2602 ss. c.c., tenuto conto che l'espressa previsione in questo senso conte-nuta nell'art. 2620 comma 1 c.c. non può trovare limitazioni o deroghe, sotto il profilo della compatibi-lità di tali disposizioni con quelle dettate in tema di società, perché, nell'indicata fattispecie, la società non viene impiegata nella sua funzione tipica, ma come strumento di attuazione di una volontà diversa,

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S’è, però, rilevato che questa tesi – come quella70, in parte diversa, secondo cui la causa consortile determinerebbe l’inapplicabilità di tutte le norme societarie attinenti alla funzione lu-crativa o incompatibili con la funzione consortile, fatta eccezione per quelle poste a tutela dell’interesse dei terzi – non è aderente al dettato normativo né in grado di fornire certezze sufficienti a risolvere con l’uniformità e la coerenza necessarie la maggior parte delle questioni interpretative che le società consortili in concreto pongono, essendo assai difficile distinguere le questioni di forma da quelle di sostanza.

Più di recente, pertanto, maggior successo sembra riscuotere la tesi secondo cui le società consortili sono, in linea di principio, assoggettate alla disciplina del tipo societario prescelto, salva la possibilità lasciata all’autonomia statutaria di apportare a tale disciplina le modificazioni e le integrazioni necessarie ad adattare la struttura societaria alle finalità consortili perseguite e purché si tratti di modificazioni ed integrazioni non incompatibili con norme inderogabili del tipo societario prescelto71.

D’altronde, un non trascurabile ulteriore argomento a favore di questa tesi può ricavarsi dalla disposizione di cui al secondo comma dell’art. 2615-ter c.c., secondo cui l’atto costituti-vo delle società consortili «può stabilire l’obbligo dei soci di versare contributi in denaro», evidentemente anche ulteriori rispetto a quelli determinati nel contratto, nonché di importo in-determinato ed indeterminabile al momento della costituzione del consorzio.

Questa disposizione, invero, sarebbe del tutto pletorica se si ritenesse la sostanza con-sortile sufficiente a soverchiare la forma societaria ed idonea a determinare l’automatica ap-plicazione ai profili sostanziali delle società consortili della disciplina dettata in materia di con-sorzi, posto che l’art. 2603, co. 1, n. 3, impone al contratto di consorzio di indicare i «contri-buti dovuti dai consorziati», sicché può spiegarsi solo come un’eccezione al principio inde-rogabile in materia di società di persone e di capitali secondo cui il socio non può essere obbli-gato ad effettuare conferimenti in denaro ulteriori rispetto a quelli determinati nel contratto so-ciale (arg. ex artt. 2253, 2345 e 2478 c.c.)72.

Pur muovendo in questa prospettiva, che mi sembra quella preferibile, non tutti i problemi paiono, però, suscettibili di agevole soluzione; e ciò a causa delle incertezze sussistenti in dot-trina ed in giurisprudenza sia in ordine all’individuazione delle norme disciplinanti le società commerciali cui va riconosciuta natura inderogabile sia in ordine all’ammissibilità di un giudizio

specificamente riconosciuta e regolamentata dalla legge. Anche nella società consorzio, pertanto, sono operanti le disposizioni degli art. 2603, 2609 e 2610 c.c. con riguardo allo scioglimento del vincolo consortile rispetto al singolo consorziato». V. anche Trib. Matera, 23 aprile 1985, in Giust. civ., 1986, I, 257, che arriva ad affermare sufficiente la forma scritta e non necessario l’atto pubblico per la costituzione di una società consortile in forma di società di capitali.

70 Per la quale v. MARASÀ, Le «società» senza scopo di lucro , cit., 259 ss. 71 Per questa tesi, v., fra gli altri: CAMPOBASSO, op. cit., 275-276; PATRONI GRIFFI, op. cit., 617-618;

PAOLUCCI, op. cit., 436-439; MINERVINI, op. cit., 99 ss.; App. Venezia, 11 dicembre 1997, in Giur. comm., 1999, II, 27; Trib. Napoli, 9 febbraio 1993, in Riv. not., 1993, 458; Trib. Venezia, 8 gennaio 1985, in Foro it., 1986, I, 1425; Trib. Milano, 12 maggio 1984, in Riv. dir. comm., 1986, II, 397, ed in Giur. comm., 1985, II, 531.

72 Cfr. PATRONI GRIFFI, op. cit., 618. Per l’ammissibilità, invece, nelle società cooperative di una clausola statutaria che imponga al socio versamenti in danaro ulteriori rispetto al conferimento, v. Cass., 18 aprile 1998, n. 3942, in Giust. civ., 1998, I, 1879, con nota di VIDIRI, Società cooperative e prestazioni accessorie in denaro a carico del socio, ai cui riferimenti bibliografici e giurisprudenziali si rimanda.

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di compatibilità tra le norme che disciplinano ciascun tipo societario prescelto e le finalità con-sortili.

Non è questa la sede per provare ad abbozzare una ricostruzione della disciplina delle società consortili a seconda del tipo societario prescelto, che, peraltro, in pratica, assai difficil-mente sarà quello della società in nome collettivo o delle società in accomandita, dato il regime di responsabilità per le obbligazioni sociali che caratterizza questi tipi societari.

Per rimanere ai problemi di maggior rilevanza pratica e, in particolare, a quelli già passati al vaglio della giurisprudenza, mi sembra, tuttavia, di poter affermare che essi vadano risolti sì nella prospettiva interpretativa da ultimo indicata, ma tenendo in considerazione anche le even-tuali incompatibilità tra le norme che disciplinano le società commerciali e le finalità consortili, di guisa che la disciplina del tipo societario prescelto non potrà prevalere su quella dettata in ma-teria di consorzi e che deve ritenersi costituisca un connotato ineliminabile di ogni struttura vol-ta a perseguire le finalità consortili di cui all’art. 2602 c.c.

Pertanto, deve ritenersi: a) che sia, in linea generale, possibile – come, peraltro, previsto per diverse categorie

di società consortili miste dalla legislazione speciale – la partecipazione alle società consor-tili anche di soggetti che non siano imprenditori73, purché tra i soci vi siano almeno due imprenditori, ché, altrimenti, l’attività sociale non potrebbe essere volta al conseguimento delle finalità di cui all’art. 2602 c.c.;

b) che le società consortili siano tutte soggette a fallimento, svolgano o meno in con-creto un’attività commerciale74;

c) che il regime di responsabilità dei soci delle società consortili per le obbliga-zioni sociali dipenda dal regime di responsabilità per le obbligazioni sociali previsto per il tipo societario prescelto75, con la conseguente responsabilità illimitata ed il conseguente automatico fallimento per estensione del fallimento sociale dei soci di società consortili di persone76;

d) che la previsione contenuta nell’atto costitutivo dell’obbligo dei soci delle società consortili di versare contributi in denaro nella misura necessaria a coprire l’eccedenza delle uscite rispetto alle entrate sociali, secondo il meccanismo detto del ribaltamento (o della ribalta) dei costi, riguardi esclusivamente i rapporti tra società e soci, sicché non altera il regime della responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali previsto per il tipo societario prescelto e, dunque, l’assoggettabilità a fallimento per estensione in conseguenza del fallimento sociale anche dei soci di società consortili di capitali o cooperative;

e) che nelle società consortili di capitali sia ammissibile la previsione nell’atto costitutivo e/o nello statuto di casi di recesso e di esclusione del socio ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, anche se solo a condizione che sia salvaguardata l’integrità del capitale sociale;

73 Contra Trib. Udine, 2 giugno 1992, in Soc., 1993, 207. 74 In tal senso BOZZA, Insolvenza delle associazioni temporanee di imprese e delle società consortili,

in Fall., 1995, 464 ss. 75 V. BOZZA, op. cit. 76 Nonché dei soci accomandatari delle società consortili in accomandita per azioni, del socio unico a-

zionista delle società consortili per azioni e del socio unico quotista delle società consortili a responsabilità limitata (fatta salvo il particolare regime delle società unipersonali a responsabilità limitata), sempre che a siffatte ipotesi si ritenga applicabile l’art. 147 l.f.

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f) che le clausole contrattuali o statutarie limitative della circolazione delle quote o delle azioni di partecipazione nelle società consortili saranno valide solo nella misura in cui lo siano secondo la disciplina inderogabile del tipo societario prescelto.

4. Il gruppo europeo di interesse economico (GEIE).

Il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) è un istituto elaborato nelle sue grandi linee dal legislatore comunitario, con il regolamento 25 luglio 1985, n. 2137, al fine di promuovere ed agevolare la cooperazione tra operatori economici (e, dunque, non solo tra imprenditori)77 appartenenti a diversi Stati membri (art. 3 reg.), ma che ha avuto assai scarso successo in Italia.

La disciplina comunitaria uniforme detta alcune norme inderogabili, lasciando, per il re-sto, ai singoli Stati membri di integrare la disciplina dell’istituto con disposizioni applicabili ai gruppi che hanno sede nel loro territorio78.

Per quanto riguarda l’Italia, la disciplina integrativa è contenuta nel d.lgs. 23 luglio 1991, n. 240, cui faremo in prosieguo riferimento, esorbitando da questa sede un’indagine su tutte le singole analoghe discipline nazionali degli Stati membri dell’Unione europea, e che nulla dispone per il caso in cui l’autonomia privata non riempia l’ampio spazio comunque lasciatole. Il che fa sorgere il problema di individuare la disciplina applicabile per colmare le eventuali lacune, per lo più risolto ricorrendo alla disciplina dei consorzi, che, tuttavia, come s’è visto, è, a sua volta, tutt’altro che esaustiva.

Comunque, non v’è dubbio che la finalità di cooperazione tra soggetti operanti nei mede-simi settori economici o in settori economici connessi, avvicina tale istituto ai consorzi e, in par-ticolare, ai consorzi di cooperazione interaziendale con attività esterna, alla cui disciplina s’è indubbiamente ispirato il legislatore italiano nella formulazione della disciplina nazionale integra-tiva e dai quali, però, il GEIE si distingue per la maggior ampiezza dei suoi potenziali membri e per due sue caratteristiche essenziali: la transnazionalità e l’ausiliarietà.

Parti del contratto costitutivo del gruppo possono, infatti, essere persone fisiche o giuridi-che che svolgono un’attività economica (art. 4, § 1, reg.) e, dunque, non solo imprenditori, ma anche liberi professionisti; ed è necessario che almeno due di esse esercitino tale attività in Stati diversi dell’Unione europea (art. 4, § 2, reg.).

Inoltre, diversamente dall’attività dei consorzi, l’attività del GEIE non può sostituire ma so-

77 Tra l’altro è espressamente previsto che il GEIE possa essere costituito anche tra liberi professionisti,

benché non possa sostituirsi a questi nei rapporti con i terzi inerenti all’espletamento della libera profes-sione, sicché non è possibile utilizzarlo per l’esercizio in forma associata delle libere professioni. Cfr. CAMPOBASSO, op. cit., 278.

78 V. C.giust.CE, 18 dicembre 1997, n. 696J0402.

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lo ausiliare quella dei membri (art. 3, § 1, reg.)79. Invece, al pari dei consorzi con attività esterna, il GEIE è un ente associativo a rilevan-

za esterna dotato di soggettività giuridica distinta da quella dei suoi membri80, giacché ha «la capacità, a proprio nome, di essere titolari di diritti e di obbligazioni di qualsiasi na-tura, di stipulare contratti o di compiere altri atti giuridici e di stare in giudizio» (art. 1, § 2, reg.), anche se è possibile che ciascuno degli Stati membri conferisca ai gruppi aventi se-de nel suo territorio addirittura la personalità giuridica (art. 1, § 3, reg.), ciò che non ha fatto il legislatore italiano.

Fonte del rapporto associativo è il contratto, che deve essere redatto per iscritto a pena di nullità (art. 2 d.lgs.) e deve indicare almeno (art. 5 reg.):

a) la denominazione del gruppo preceduta o seguita dall'espressione «gruppo europeo di interesse economico» o dalla sigla «GEIE», a meno che tale espressione o sigla figuri già nella denominazione81;

b) la sede del gruppo, che deve essere ubicata in uno Stato membro dell’Unione (art. 12 reg.);

c) l'oggetto del gruppo; d) i nomi, la ragione o la denominazione sociale, la forma giuridica, il domicilio o la se-

de sociale e, eventualmente, il numero ed il luogo di iscrizione di ciascun membro del gruppo; e) la durata del gruppo, se quest'ultimo non è costituito a tempo indeterminato.

Inoltre, il contratto è soggetto a pubblicità legale, giacché, entro trenta giorni dalla sua conclusione, deve essere iscritto, a cura degli amministratori o, nel caso in cui questi non vi provvedano, di qualsiasi membro, nel registro delle imprese nella cui circoscrizione si trova la sede del gruppo (art. 3 d.lgs.) e successivamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Re-pubblica (art. 4 d.lgs.). Di questa pubblicazione deve, poi, essere data comunicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee (art. 11 reg.).

All’iscrizione del contratto nel registro delle imprese è attribuita efficacia costitutiva (artt. 1 e 6 reg.), mentre le altre forme di pubblicità appena descritte hanno mera efficacia di-chiarativa.

Prima dell’iscrizione, pertanto, analogamente a quanto accade per le società di capitali in forza dell’art. 2331 c.c., delle operazioni compiute in nome del GEIE sono responsabili soli-

79 All’uopo il regolamento vieta al GEIE: di esercitare, direttamente o indirettamente, un potere di dire-zione o di controllo delle attività dei membri o di altro operatore economico; di detenere – direttamente o indirettamente, a qualsiasi titolo, fatte salve alcune eccezioni – quote o azioni di un’impresa che di esso faccia parte; di avere più di 500 dipendenti; di essere utilizzato da una società per concedere prestiti o tra-sferire beni a propri dirigenti o a persone a questi collegate; di essere membro di altro GEIE (art. 3, § 2, reg.).

80 In tal senso: CAMPOBASSO, op. cit., 277; PATRONI GRIFFI, op. cit., 620; MASI, Gruppo europeo di in-teresse economico (GEIE) , in Enc. Giur. Treccani, vol. XV, Roma, 1994, 8. Contra : PIETROBON, Il gruppo europeo di interesse economico (G.E.I.E.) , in Riv. dir. civ., 1989, II, 57 ss., che nega che il GEIE (cui non sia stata conferita la personalità giuridica dallo Stato in cui è stabilito) abbia una propria soggettività giuri-dica, fondando essenzialmente sul rilievo della possibilità che il gruppo medesimo sia privo di un proprio patrimonio.

81 La Corte di giustizia delle Comunità europee, con la già citata sentenza 18 dicembre 1997, n. 696J0402, ha precisato che il legislatore nazionale può liberamente disciplinare il contenuto della denominazione del gruppo, purché questa contenga o sia seguita dall’espressione «gruppo europeo di interesse economico» o dalla sigla «GEIE».

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dalmente ed illimitatamente coloro che le hanno compiute (art. 9, § 2, reg.). Sono soggetti a pubblicità, mediante l’iscrizione nel registro delle imprese e, talvolta, an-

che la pubblicazione della Gazzetta Ufficiale della Repubblica, ma sempre con efficacia mera-mente dichiarativa, anche i principali eventi riguardanti la vita del gruppo, tra cui: le modifiche del contratto, la creazione o la soppressione di dipendenze, la nomina e la cessazione degli amministratori, la cessione delle partecipazioni da parte dei membri, lo scioglimento, la nomina dei liquidatori, la chiusura della liquidazione, il progetto di trasferimento della sede (v. artt. 7 e 8 reg. e 3 e 4 d.lgs.).

Per quel che concerne le cause di nullità del gruppo, il regolamento rimanda alla legisla-zione integrativa nazionale, ma la nostra legge di attuazione nulla dispone al riguardo, sicché troveranno applicazione le cause di nullità ricavabili dai princìpi generali in materia di enti di natura associativa.

Uniforme è, invece, la disciplina degli effetti della nullità (art. 15 reg.), che sostanzial-mente coincide con quella propria delle società di capitali (art. 2232 c.c.), discostandosi sensi-bilmente da quella di diritto comune..

Infatti, la dichiarazione di nullità del gruppo non ha effetto retroattivo, non pregiudica la validità degli atti precedentemente compiuti, opera solo come causa di scioglimento del grup-po, sicché il giudice che la dichiara deve provvedere alla nomina dei liquidatori, determinando-ne i poteri (art. 8, co. 2, d.lgs.) e, quando possibile, è sanabile entro un termine che il giudice all’uopo deve fissare.

Per quel che concerne la struttura organizzativa, come nei consorzi, l’articolazione, le attribuzioni e le regole di funzionamento degli organi del GEIE sono in larga parte rimesse all’autonomia privata.

Unici organi indefettibili sono il collegio dei membri e gli amministratori82, essendo affidata all’autonomia negoziale l’eventuale istituzione di altri organi (art. 16 reg.).

Estremamente scarna è la normativa comunitaria e quasi nulla dice quella nazionale riguar-do alle attribuzioni ed alle modalità di funzionamento degli organi essenziali del gruppo, essen-do stabilito solo :

a) che i membri del gruppo possono adottare collegialmente83 qualsiasi decisione per la realizzazione dell’oggetto del gruppo medesimo (art. 16 reg.) e, dunque, qualora il contratto non sia diversamente convenuto, anche quelle di carattere gestorio che spetterebbero agli am-ministratori;

b) che all’uopo la loro consultazione deve essere organizzata dall’organo amministra-

82 In questo senso: CAMPOBASSO, op. cit., 280; MASI, op. cit., 9; PATRONI GRIFFI, op. cit., 621. Invece,

MONGIELLO, Il gruppo europeo di interesse economico (G.E.I.E.) , Padova, 1994, 229 ss e 308 ss., argo-mentando dall’art. 17, co. 4, reg., secondo cui «Su iniziativa di un amministratore o su richiesta di un membro, l’amministratore o gli amministratori devono organizzare una consultazione dei membri affin-ché questi ultimi prendano una decisione», ritiene che la volontà dei membri del gruppo possa essere espressa anche in maniera del tutto deformalizzata e, dunque, che, in questo caso, non possa parlarsi di un collegio dei membri quale organo del gruppo distinto dalla totalità informe dei membri.

83 Discusso, però, è se la regola della collegialità per le decisioni dei membri sia imprescindibile (in senso negativo MONGIELLO, op. cit.; in senso positivo MASI, CAMPOBASSO e PATRONI GRIFFI, opp. locc. ultt. citt.) ed importi la necessaria riunione fisica dei membri in forma assembleare (in senso positivo CAMPOBASSO, op. loc. ult. cit., 280; contra : MASI e PATRONI GRIFFI, opp. locc. ultt. citt.).

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tivo su richiesta di un amministratore o di un membro (art. 17, § 4, reg.); c) che le decisioni più importanti, quali quelle concernenti le modificazioni dell’oggetto

o della durata o lo scioglimento anticipato del gruppo, devono essere prese dai membri all’unanimità, richiesta anche per le altre decisioni ove il contratto non disponga diversamente (art. 17, § 2 e § 3, reg.);

d) che a ciascuno dei membri è attribuito di norma un solo voto, salva la possibilità che il contratto attribuisca a taluni membri più voti, a condizione, però che nessuno disponga da solo della maggioranza dei voti (art. 17, § 1, reg.);

e) che la gestione del gruppo è affidata ad uno o più amministratori, che possono es-sere anche persone giuridiche, nel qual caso sarà la persona fisica che ne ha la rappresentanza ad esercitare le funzioni gestorie e ad assumere le relative responsabilità, e nominati con il con-tratto o con successiva decisione dei membri (artt. 19 reg. e 5 d.lgs.);

f) che i poteri degli amministratori sono fissati dal contratto, salvo che per ciò che con-cerne il potere di rappresentanza del gruppo nei confronti dei terzi che a ciascuno di loro disgiuntamente spetta ex lege e le cui limitazioni contrattuali, benché debitamente pubblicate, non sono opponibili ai terzi, fatta eccezione per la sola eventuale previsione di una rappresen-tanza congiunta (art. 20 reg.).

Nulla è stabilito in ordine alle invalidità delle decisioni degli organi del gruppo, sic-ché, per lo più, si ritiene che debba farsi ricorso analogico alla disciplina applicabile ai consor-zi84.

Le modificazioni del contratto devono, in linea generale, essere prese all’unanimità, sal-vo che il contratto stesso disponga diversamente. Tuttavia, le modificazioni concernenti l’oggetto o la durata del gruppo, il numero di voti attribuito a ciascuno dei membri, gli obblighi, anche finanziari, dei membri e le modalità di adozione delle decisioni di gruppo devono essere sempre adottate all’unanimità.

Incerta, come nel caso dei consorzi, è, in assenza di una disciplina legale, l’ammissibilità della trasformazione del GEIE in altro ente di natura associativa e della trasformazione inver-sa85.

Benché sia discusso se al GEIE debba essere sempre o, com’è più plausibile, possa essere, in considerazione dell’attività in concreto svolta, riconosciuta la qualifica di im-prenditore e, in particolare, di imprenditore commerciale, la normativa prevede che i suoi amministratori debbano tenere i libri e le altre scritture contabili previste per gli imprenditori commerciali, redigere il bilancio e sottoporlo all’approvazione dei membri e, dopo che questa sia avvenuta, depositarlo nel registro delle imprese entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio (art. 7 d.lgs.).

Siccome, poi, il GEIE non può avere per scopo quello di realizzare profitti per sé stesso (art. 3 reg.), i profitti derivanti dalla sua attività, benché eventualmente transitati per le sue cas-se, sono imputati direttamente ai suoi membri nella proporzione prevista dal contratto o, qualora questo sia sul punto silente, in parti uguali; e secondo questo stesso criterio sono anche ripartiti tra i membri i contributi destinati a coprire l’eventuale eccedenza delle uscite rispetto alle entrate del gruppo (art. 21 reg.).

84 In tal senso CAMPOBASSO, op. cit., 280. 85 V. MASI, op. cit., 15.

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alle entrate del gruppo (art. 21 reg.). Non è prevista l’obbligatoria formazione di un fondo patrimoniale e quello eventualmente

costituito non è dalla normativa elevato a patrimonio autonomo, sicché, per contrappeso, par-ticolarmente rigoroso è il regime di responsabilità per le obbligazioni assunte dal gruppo, per le quali è, infatti, stabilita la responsabilità solidale ed illimitata di tutti i membri del grup-po, oltre che del gruppo medesimo, ove questo abbia un proprio patrimonio (art. 24 reg.), senza le distinzioni e le limitazioni che caratterizzano il regime di responsabilità dei consorzi con attività esterna.

Tuttavia, la responsabilità illimitata e solidale dei membri per le obbligazioni assunte dal gruppo è sussidiaria rispetto a quella di quest’ultimo, anche se ai membri non è concesso un vero e proprio beneficium excussionis, bensì un mero beneficium ordinis, giacché i credito-ri possono agire nei loro confronti solo dopo aver chiesto al gruppo di pagare ed il pagamento non sia stato effettuato entro un congruo termine (art. 23 reg.).

Tale regime riguarda anche la responsabilità dei membri entrati a far parte del gruppo do-po la sua costituzione per le obbligazioni assunte dal gruppo anteriormente, salvo patto contra-rio, opponibile ai terzi solo se debitamente pubblicato (art. 26 reg.).

Inoltre, i membri che cessano di far parte del gruppo continuano a rispondere secondo le medesime regole delle obbligazioni anteriormente assunte dal gruppo (art. 33 reg.) e la re-sponsabilità dei membri permane fino alla conclusione del quinto anno successivo alla pubbli-cazione della chiusura della liquidazione del gruppo (art. 37 reg.).

Netta, come s’è già rilevato, è la connotazione personalistica (il cd. intuitus personae) della partecipazione al GEIE, come si desume dal fatto che l’ammissione di nuovi membri e l’efficacia della cessione della quota di partecipazione da parte di un membro ad altro membro o ad un terzo dipendono sempre da una decisione presa all’unanimità (artt. 22 e 26, § 1, reg.), nonché dalla disciplina dei casi di scioglimento parziale del rapporto associativo.

Invero, le cause di recesso e di esclusione di singoli membri dal gruppo devono essere stabilite dal contratto e, in mancanza: il recesso è possibile solo se sussiste una giusta causa o col consenso unanime degli altri membri (art. 27, § 1, reg.), mentre l’esclusione può essere pronunciata solo giudizialmente in caso di gravi inadempienze su richiesta della maggioranza degli altri membri (art. 27, § 2, reg.), salvi i casi in cui il membro perda i requisiti soggettivi previsti per la partecipazione al gruppo (nel qual caso, per la verità, la normativa parla di de-cadenza) ovvero divenga insolvente e sia per questo assoggettato ad una procedura concor-suale, in cui opera di diritto (artt. 28, § 1, reg., e 6 d.lgs.).

Nulla vieta, poi, mi pare, uno scioglimento consensuale del rapporto associativo limitata-mente ad un singolo membro, per il quale, in mancanza di diversa previsione nel contratto di gruppo, a formare la volontà del gruppo occorrerà una decisione presa all’unanimità dal colle-gio dei suoi membri.

Comunque, il membro che cessa di far parte del gruppo ha diritto alla liquidazione del va-lore della sua quota di partecipazione, determinato tenendo conto del patrimonio del gruppo al momento dello scioglimento parziale del vincolo associativo.

Lo scioglimento del gruppo può essere decisa dal collegio dei membri all’unanimità, salvo che sia diversamente stabilito dal contratto, ed è obbligatorio, oltre che nei casi previsti dal contratto, in caso di scadenza del termine di durata del contratto, di conseguimento o di

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sopravvenuta impossibilità di conseguimento dell’oggetto del gruppo, di sopravvenuta mancan-za della pluralità dei membri o di almeno due membri di diversa nazionalità; di spostamento della sede del gruppo fuori dall’ambito territoriale comunitario; di modificazioni dell’oggetto del gruppo determinanti la perdita del suo essenziale carattere ausiliario.

Anche qualora sussista una causa di scioglimento obbligatorio occorre una decisione dei membri del gruppo, in mancanza della quale, decorsi tre mesi dal verificarsi della causa di scioglimento, ciascun membro può richiedere una pronunzia giudiziale in proposito (art. 31 reg.). Fanno eccezione a tale regola i casi in cui il gruppo perda gli essenziali caratteri di tran-snazionalità, comunitarietà ed ausiliarietà, per i quali l’intervento dell’autorità giudiziaria può es-sere immediatamente richiesto da qualsiasi interessato e deve sfociare in una pronuncia di scioglimento ove, prima che questa intervenga, la situazione non sia stata regolarizzata (art. 32, § 1, reg.).

Inoltre, è sempre possibile per ogni membro ricorrere all’autorità giudiziaria perché pro-nunci lo scioglimento del gruppo per giusta causa (art. 32, § 2, reg.).

Il procedimento di liquidazione conseguente allo scioglimento del gruppo è disciplinato mediante rinvio alle disposizioni degli artt. 2275 e ss. c.c. (art. 8 d.lgs.), sicché, ove il contratto non preveda il modo di liquidare il patrimonio, i membri, all’unanimità o, in caso di disaccordo, il presidente del tribunale competente ovvero il giudice, nel caso in cui lo scioglimento sia pro-nunziato giudizialmente, dovranno nominare uno o più liquidatori e determinarne i poteri.

Non è chiaro, però, quale sia il momento cui deve ricollegarsi l’estinzione del gruppo, po-sto che l’art. 35 reg. stabilisce che «la capacità giuridica del gruppo ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, sussiste fino alla chiusura della liquidazione», senza chiarire se occorre in proposito far riferimento all’effettiva chiusura della liquidazione ovvero alla sua mera pubblica-zione e nel nostro ordinamento è, com’è noto, da tempo discusso se l’estinzione delle società soggette ad iscrizione nel registro delle imprese consegua alla loro cancellazione da tale regi-stro o se, invece, debba ritenersi che esse rimangano in vita anche dopo tale evento, qualora questo non sia stato preceduto dalla definizione di tutti i rapporti giuridici di cui sono titolari.

Particolare è la disciplina prevista per un’altra causa di scioglimento del gruppo: il suo fal-limento.

Al pari di ogni imprenditore commerciale, il gruppo che eserciti un’attività commerciale e sia insolvente è, infatti, soggetto a questa procedura di liquidazione concorsuale, la cui apertu-ra, però, in conformità con quanto disposto in tema di società cooperative a responsabilità sus-sidiaria limitata o illimitata dei soci, non determina il fallimento per estensione dei suoi membri, ma l’applicazione della speciale disciplina di riparto delle passività dell’ente collettivo dettata dall’art. 151 l.f. (artt. 36 reg. e 9 d.lgs.).

In forza del generico rinvio dell’art. 36 reg. alle «disposizioni del diritto nazionale che disciplina l’insolvenza e la cessazione dei pagamenti», non par dubbia, poi, la possibilità di applicare al GEIE procedure concorsuali diverse dal fallimento, nonché dalla liquidazione coatta amministrativa (per la quale è necessaria, ex art. 2 l.f., un’espressa previsione normativa), e, dunque, le procedure di concordato preventivo e di amministrazione controllata e, ove ne sussistano i presupposti, di amministrazione straordinaria86.

86 Cfr. MASI, op. cit., 13.

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5. Le joint ventures.

Com’è noto, non esiste un modello tipizzato di joint venture, espressione questa mutua-ta dal mondo anglosassone e con la quale, specie nelle relazioni commerciali internazionali, si suole indicare ogni forma di accordo di natura associativa e di durata limitata nel tempo tra imprenditori finalizzato all’esercizio di un’attività economica di comune interesse, sicché, in un’accezione ampia, essa potrebbe addirittura coprire l’intero fenomeno della cooperazione tra imprenditori realizzata in forme associative.

Tuttavia, nel tentativo di dare una sistemazione concettuale al fenomeno, la dottrina ha da tempo elaborato alcune classificazioni delle joint ventures.

Così, sulla base dell’elemento funzionale o teleologico, si distingue tra joint ventures strumentali, caratterizzate dall’essere costituite per l’esecuzione di contratti complessi da stipulare con terzi e di cui un esempio è costituito dalle associazioni temporanee di imprese previste dalla nostra legislazione in materia di appalti pubblici, e joint ventures operative, il cui fine è l’esercizio congiunto di un’attività imprenditoriale in un settore economico di interesse comune dei coventurers.

Altra distinzione corrente è quella tra incorporated joint ventures e unincorporated o contractual joint ventures, basata sul fatto che nelle prime vi è la costituzione di un’organizzazione comune, spesso una società di capitali dotata di personalità giuridica, distinta da quella dei partners e deputata a realizzare la finalità di collaborazione interimprenditoriale, che manca, invece, nelle seconde.

Ciò posto, è, comunque, evidente che non è possibile parlare di una disciplina delle joint ventures, la soluzione dei problemi giuridici che queste pongono dipendendo dalle sva-riate forme negoziali ed organizzative in cui possono concretarsi i joint venture agreements e dalla legislazione nazionale a questi applicabile.

In linea generale, può, però, dirsi che il perseguimento degli scopi delle joint ventures sovente richiede la stipulazione di negozi e/o la creazione di organismi atipici dal punto di vista del nostro diritto nazionale e, in quanto tali, ove questo sia il diritto applicabile, validi solo nella misura in cui gli interessi che mirano a soddisfare siano meritevoli di tutela e la loro disciplina non sia in contrasto con norme o princìpi inderogabili (art. 1322 c.c.).

6. Le associazioni temporanee di imprese.

6.1. In generale.

Dall’esperienza prima anglosassone e poi internazionale delle joint ventures derivano le

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nostrane associazioni temporanee di imprese (o raggruppamenti temporanei di imprese o riunioni temporanee di imprese), strumenti di cooperazione temporanea ed occasionale fra più imprenditori per la realizzazione congiunta, senza la costituzione di un’organizzazione comune, di un’opera o di un affare complesso (per lo più, di grandi opere pubbliche o private) che su-pera le capacità operative di ciascuna singola impresa e che, tuttavia, presenta caratteristiche tali, quali la divisibilità in parti o la necessità di più prestazioni specialistiche di diverso contenu-to, da consentirne la scomposizione.

Le ragioni che hanno indotto la pratica a ricorrere a questo strumento non tipizzato di co-operazione interaziendale, giuridicamente costruito fondando soprattutto sulla disciplina del mandato collettivo con rappresentanza, anziché alla costituzione di una società o di un con-sorzio con attività esterna sta, innanzitutto, nell’intento di evitare il sostenimento dei costi ne-cessari alla creazione ed al funzionamento di un organismo collettivo, in secondo luogo, nell’interesse degli imprenditori ad assumersi direttamente la propria parte di obblighi e di diritti derivanti dalla realizzazione dell’opera o dell’affare ed a conservare la propria autonomia giuridica ed economica, esaurendosi la loro collaborazione nell’affidamento ad uno di loro (cd. capogruppo o capofila) della gestione unitaria dei rapporti con la controparte. Esigenze, que-ste, che, col tempo, si sono perfettamente coniugate con l’interesse del committente ad avere un unico interlocutore nonostante la pluralità degli appaltatori.

Dell’originalità del fenomeno e della sua irriducibilità ai contratti nominati la dottrina e la giurisprudenza si sono da tempo rese conto87, distinguendo, inoltre, i raggruppamenti oriz-zontali, caratterizzanti l’esecuzione delle opere non scorporabili poiché affidate ad imprese con specializzazione omogenea, dai raggruppamenti verticali, caratterizzanti l’esecuzione di opere con parti scorporabili poiché affidate ad imprese specializzate in settori tecnologici diversi.

Nondimeno, il nostro legislatore non ha ancora dato al fenomeno in considerazione una disciplina organica ed unitaria, limitandosi a regolarne, soprattutto sotto la spinta di direttive comunitarie, solo talune manifestazioni e taluni aspetti in relazione a determinati settori econo-

87 Cfr.: MAZZONE, L’associazione temporanea di imprese, in Trattato di diritto privato, diretto da Re-

scigno, vol. 17, Torino, 1995, 553 ss.; PATRONI GRIFFI, op. cit., 626. E v.: Cass., 16 febbraio 1963, n. 342, in Foro it., 1963, I, 1990, secondo cui, «qualora un appalto venga aggiudicato congiuntamente a due im-prese riunite, non potendo essere configurato un rapporto di associazione in partecipazione, il quale è caratterizzato dal fatto che la titolarità dell’impresa è nel solo associante e la partecipazione dell’associato è limitata ai risultati dell’impresa medesima, né, qualora si tratti di un’impresa indivi-duale e di una società per azioni, una società di fatto tra le stesse, deve essere esclusa l’esistenza di un conferimento del contratto d’appalto assoggettabile ad imposta di registro», giacché « in tale ipotesi il vincolo costituito tra le due imprese dà luogo soltanto ad unione delle attività e dei mezzi dei singoli contraenti, ognuno dei quali rimane titolare della propria posizione originaria, e non sussiste, quindi, quel movimento di ricchezza che è a base della specifica tassazione»; nonché Cass., 24 febbraio 1975, n. 681, in Giur. comm., 1976, II, 780, secondo cui, «nell’ambito della possibilità, riconosciuta alle parti dall’art. 1322 c.c. di concludere contratti atipici, purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tute-la secondo l’ordinamento giuridico, è consentita la conclusione di un negozio innominato di natura associativa, distinto dal contratto di società, con il quale le parti si associano per la gestione in comune di un contratto di appalto per l’esecuzione di un’opera pubblica stipulato in nome e per conto proprio da uno dei contraenti, sulla base di un vincolo giuridico limitato ai rapporti interni fra i contraenti stessi e non esteriorizzato nei confronti dei terzi e senza costituire un’impresa autonoma dotata di un proprio patrimonio distinta da quelle dei singoli associati».

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mici e, in particolare, al settore dei pubblici appalti di opere, di forniture e di servizi. Alla normativa di questo settore, la più dettagliata sotto il profilo contenutistico e la più ri-

levante sotto il profilo pratico, concentrerò di seguito l’attenzione, limitandomi, per il resto, qui a rammentare che nell’ambito del fenomeno in argomento sono stati dalla dottrina ricondotti anche gli accordi tra imprese nazionali ed estere per la coproduzione di opere cinematografi-che, di cui all’art. 19 della l. 4 novembre 1965, n. 121388, ed i rapporti tra imprese contitolari di concessioni per la ricerca de la coltivazione di giacimenti di idrocarburi o minerari, di cui agli artt. 18 della l. 21 luglio 1967, n. 613, ed all’art. 12 della l. 30 luglio 1990, n. 22189.

6.2. Le riunioni temporanee di imprese ammissibili ai pubblici appalti.

Il primo riconoscimento normativo dell’ammissibilità della partecipazione agli appalti di opere pubbliche di «imprese riunite che abbiano conferito mandato collettivo con rap-presentanza ad una di esse, qualificata capogruppo, la quale esprime l’offerta in nome e per conto proprio e delle mandanti» era contenuto nell’art. 20, co. 1, della l. 8 agosto 1977, n. 584, recante norme di adeguamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici alle direttive della CEE, la quale, inoltre, stabiliva:

- la responsabilità solidale nei confronti dell’ente appaltante delle imprese riunite, li-mitata, in caso di appalti di opere scorporabili, per le mandanti, ferma la responsabilità solidale della capogruppo, a quella derivante dall’esecuzione delle parti di opere di rispettiva compe-tenza (art. 21, co. 3), cioè, in altri termini, la responsabilità solidale per le obbligazioni nascenti dall’appalto nei confronti della stazione appaltante di tutte le imprese riunite in caso di rag-gruppamento orizzontale e soltanto della capogruppo e della singola impresa incaricata dell’esecuzione di quella parte dell’opera cui si riferiscono le obbligazioni in caso di raggrup-pamento verticale;

- che il mandato speciale, gratuito ed irrevocabile nei rapporti con la stazione ap-paltante, all’impresa capogruppo fosse dalle altre imprese riunite conferito nella forma di una scrittura privata autenticata, che la relativa procura fosse conferita al legale rappresentante dell’impresa capogruppo e che l’eventuale revoca per giusta causa del mandato fosse ineffi-cace nei confronti dell’ente appaltante (art. 22, co. 1);

- che al mandatario spettasse la rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti nei confronti dell’ente appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo dei lavori, fino all’estinzione di ogni rap-porto, salva la facoltà dell’ente appaltante di far valere direttamente la responsabilità delle mandanti (art. 22, co. 2);

- che il rapporto di mandato non determinava di per sé organizzazione o associazione fra le imprese riunite, ognuna delle quali conservava la propria autonomia ai fini della gestione e degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali (art. 22, co. 3);

- in caso di fallimento dell’impresa mandataria ovvero, qualora si fosse trattato di

88 Cfr. CAMPOBASSO, op. cit., 286. 89 Cfr.: MAZZONE, op. cit., 557 ss.; CAMPOBASSO, op. cit., 286.

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impresa individuale, in caso di morte, interdizione o inabilitazione del suo titolare, la facoltà dell’ente appaltante di proseguire il rapporto con altra impresa che fosse costituita mandataria, purché di gradimento del medesimo ente appaltante, ovvero di recedere dall’appalto (art. 23, co. 1)

- in caso di fallimento di una delle imprese mandanti ovvero, qualora si fosse trattato di impresa individuale, di morte, interdizione o inabilitazione del suo titolare, l’impresa capogruppo dovesse indicare altra impresa subentrante, in possesso dei prescritti requisiti di idoneità o, in mancanza, dovesse eseguire la parte di opera già affidata all’imprenditore fallito, morto, interdetto o inabilitato direttamente o a mezzo delle altre imprese mandanti (art. 23, co.2).

La l. 8 ottobre 1984, n. 687, aggiungeva, poi, alla legge n. 584/1977 l’art. 23-bis che prevedeva la possibilità per le imprese riunite di costituire tra loro una società, anche consor-tile, per l’esecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori, che subentrava nell’esecuzione totale o parziale del contratto, senza che ciò costituisse subappalto o cessione del contratto e senza necessità di autorizzazione o di approvazione.

Tale disciplina è stata, poi, sostanzialmente riprodotta dagli artt. 22, 23, 25 e 26 del d.lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, e, quindi, dagli artt. 10 e 13 della l. 11 febbraio 1994, n. 109 (cd. legge Merloni) e dagli artt. da 93 a 96 del relativo regolamento di attuazione emanato con d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554.

Sulla stessa falsariga, salvo che per quel che concerne la previsione della possibilità di co-stituire una società tra le imprese riunite, estesa ai soli lavori pubblici nei ccdd. settori esclusi, si muovono le disposizioni concernenti:

- le riunioni temporanee di imprese nei pubblici appalti di forniture, come di-sciplinate prima dall’art. 9 della l. 30 marzo 1981, n. 11390, ed ora dall’art. 10 del d.lgs. 24 luglio 1992, n. 358;

- le riunioni temporanee di imprese nei pubblici appalti di servizi, come discipli-nate dall’art. 11 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157;

- le riunioni temporanee di imprese nei pubblici appalti di lavori, di forniture e di servizi nei ccdd. settori esclusi, come disciplinate dall’art. 23 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 15891.

Dunque, il fenomeno che questa normativa settoriale prende in considerazione è quello di più imprese che, mediante il conferimento di un mandato gratuito ed irrevocabile con rappre-sentanza esclusiva ad una di esse, formulano congiuntamente un’offerta per la partecipazione

90 Per le differenze tra la disciplina di cui alla legge n. 584/1977 e quella di cui alla legge n. 113/1981 si

veda MAZZONE, op. cit., 578 ss. 91 Le medesime disposizioni dettate per le riunioni temporanee di imprese ammissibili agli appalti di la-

vori pubblici si applicano, peraltro, «in quanto compatibili», anche ai raggruppamenti temporanei costi-tuiti tra liberi professionisti, singoli o associati nelle forme di cui alla l. 23 novembre 1939, n. 1815, e suc-cessive modificazioni, e/o società di professionisti di cui all’art. 17, co. 6, lett. a), della l. 11 febbraio 1994, n. 109, e/o società di ingegneria di cui all’art. 17, co. 6, lett. b), della l. 11 febbraio 1994, n. 109, cui il medesimo art. 17 cit., come modificato dall’art. 6 della l. 18 novembre 1998, n. 415, consente di affidare, nell’ambito della disciplina dei lavori pubblici, la progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, nonché la direzione dei lavori ed incarichi di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile unico del procedi-mento e dei dirigenti competenti alla formazione dei programmi triennali di realizzazione dei lavori.

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ad una gara di appalto e, nel caso in cui si aggiudichino l’appalto, sempre congiuntamente sti-pulano il relativo contratto e gestiscono i rapporti con la stazione appaltante relativi all’esecuzione dei lavori, cui, però, ciascuna di loro provvede (o, meglio, può, in linea di prin-cipio, provvedere) autonomamente.

È evidente che il complesso di norme in considerazione si preoccupa essenzialmente dei rapporti delle imprese riunite con l’ente appaltante lasciando nell’ombra i rapporti interni e con i terzi.

Alla sua stregua, tuttavia, può affermarsi che le riunioni temporanee di imprese am-missibili ai pubblici appalti – come mi pare preferibile chiamarle, sia in considerazione della nomenclatura utilizzata dal legislatore sia per chiarire che si tratta, come meglio vedremo ap-presso, di un fenomeno che non può dirsi di per sé di natura associativa) – sono caratterizzate:

a) dalla loro occasionalità e temporaneità, in quanto esse si costituiscono in vista ed in funzione della gara per l’aggiudicazione dell’appalto di una singola opera o di un gruppo di opere e si sciolgono o con la mancata aggiudicazione dell’appalto o con la definizione di tutti i rapporti derivanti dall’esecuzione dell’opera o delle opere appaltate;

b) dalla permanenza dell’autonomia giuridica ed economica delle imprese riuni-te, in quanto ciascuna di esse conserva la propria individualità, continua a svolgere la propria precedente attività, esegue direttamente con la propria organizzazione la propria parte di lavori, subisce le perdite o consegue i profitti derivanti dall’esecuzione della propria parte di lavori, intrattiene direttamente e separatamente i propri rapporti, anche se inerenti all’esecuzione della propria parte di lavori, con i terzi, di fronte ai quali romane, pertanto, direttamente e separata-mente responsabile per le obbligazioni assunte;

c) dalla mancanza di un’organizzazione comune tra le imprese riunite, in quanto queste concorrono alla gara e, nel caso in cui se l’aggiudichino, stipulano il relativo contratto ed assumono i relativi obblighi congiuntamente e direttamente e, quindi, eseguono (o, per meglio dire, possono eseguire) direttamente e separatamente la propria parte di lavori, la loro cooperazione essendo limitata (o, per meglio dire, ben potendo esser limitata) all’affidamento alla capogruppo, mediante un mandato speciale con rappresentanza esclusiva, gratuito ed irre-vocabile, del compito di interloquire con la stazione appaltante;

d) da un rapporto tra le mandanti e la capogruppo che presenta talune significative deviazioni dalla disciplina legale del mandato, in quanto quello con rappresentanza esclu-siva che, anche nell’interesse della mandataria e della stazione appaltante, deve essere conferi-to all’impresa capogruppo è essenzialmente gratuito92, in deroga al principio della naturale o-nerosità del mandato, sancito dall’art. 1709 c.c., ed irrevocabile, salvo che per giusta causa, nel qual caso, comunque, la revoca è inefficace nei confronti della stazione appaltante, in dero-ga a quanto stabilito dall’art. 1723 c.c.93.

Dal che può agevolmente rilevarsi come le riunioni temporanee di imprese qui in conside-

92 Anche se alla capogruppo mandataria spetterà il rimborso delle spese sostenute ex art. 1720 c.c. (in

tal senso PATRONI GRIFFI, op. cit., 627). 93 Sicché – come nota MAZZONE, op. cit., 569, può accadere che la capogruppo si veda revocare per

giusta causa il mandato e, ciò nonostante, sia tenuta ad agire, in via esclusiva, in nome e per conto delle mandanti nei confronti della stazione appaltante, con la conseguente necessità di individuare quale sia, dopo la revoca del mandato, la disciplina applicabile ai rapporti interni tra mandanti e mandataria.

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razione non sono assimilabili né alle società né ai consorzi né ai GEIE, in quanto di per sé non danno vita ad un soggetto giuridico distinto dalle imprese riunite, né all’associazione in parteci-pazione, in quanto le imprese riunite assumono congiuntamente le obbligazioni derivanti dal contratto, non vanno, cioè, necessariamente inquadrate nell’ambito dei fenomeni associativi94, salvo che in questi non si vogliano ricomprendere anche i rapporti interni tra i mandanti nel mandato collettivo, ma si fondano essenzialmente sulla disciplina del mandato e vanno, pertan-to, considerate come una particolare manifestazione del più ampio fenomeno della coopera-zione (meramente) contrattuale tra imprese concorrenti riconducibile alle unincorpora-ted joint ventures strumentali.

Coerenti con tali rilievi sono le disposizioni concernenti la responsabilità delle imprese riunite per le obbligazioni derivanti dall’esecuzione del contratto: non essendovi un soggetto giuridico distinto dalle singole imprese riunite né un patrimonio distinto da quello delle singole imprese riunite, infatti, tale responsabilità grava direttamente e solidalmente su tutte le imprese riunite, fatto salvo quanto s’è detto sopra in relazione alle riunioni verticali.

Nemmeno, pertanto, si potrà immaginare un fallimento della riunione temporanea di imprese in quanto tale; e, coerentemente, con tale impostazione le disposizioni legislative si preoccupano piuttosto di regolamentare gli effetti sul contratto di appalto del fallimento di una delle imprese riunite, stabilendo:

a) per il caso del fallimento della capogruppo mandataria, data l’evidente natura fiduciaria del ruolo di tale impresa, la facoltà della stazione appaltante di proseguire il rapporto con altra impresa di suo gradimento, che, in tal caso, dovrà subentrare alla fallita nella veste di mandataria, ovvero di recedere dall’appalto;

b) per il caso del fallimento di una delle imprese mandanti, la prosecuzione del contratto con il solo obbligo della capogruppo di indicare altra impresa subentrante o, in man-canza, di eseguire direttamente o a mezzo delle altre imprese mandanti la parte di opere già affidata all’imprenditore poi fallito.

Discusso è, tuttavia, se il fallimento della mandataria importi o meno automaticamente, al contempo, lo scioglimento del contratto di appalto nei rapporti tra la fallita e la stazione appal-tante e lo scioglimento del rapporto di mandato (e della riunione temporanea, ove si ritenga di poterla distinguere dal mandato) limitatamente ai rapporti tra la fallita e le imprese mandanti. Problema, questo, che ha evidenti risvolti in ordine alla legittimazione del curatore del fallimen-to della mandataria a riscuotere anche i crediti delle imprese mandanti verso la stazione appal-

94 Conformemente a quanto sostenuto nel corpo del testo, negano che le riunione temporanee di impre-

se costituiscano di per sé un fenomeno associativo: BONVICINI, Associazione temporanea di imprese, in Enc. giur. Treccani, vol. III, Roma, 1988, passim; MAZZONE, op. cit., 575; BOZZA, op. cit. Contra : CORAPI, Le associazioni temporanee di imprese, Milano, 1983, secondo cui le associazioni temporanee di imprese sono equiparabili ai consorzi con attività meramente interna; mentre per VIDIRI, Mandato collettivo con rappresentanza ed associazione temporanea di imprese, in Giust. civ., 1998, I, 2541, «il raggruppamento temporaneo di imprese configura un contratto innominato, che pur avendo finalità associative si diffe-renzia – per non costituire un centro autonomo di rapporti, per essere privo di un proprio patrimonio e per essere la propria operatività limitata all’interno dello stesso raggruppamento – sia dalla società che dalla stessa associazione, trovando la fonte del proprio riconoscimento nel disposto dell’art. 1322 c.c.». In questo stesso senso v. Cass., 24 febbraio 1975, n. 681, cit.

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tante, ma che va, a mio avviso, risolto, seguendo l’opinione prevalente95, in senso positivo. Invero, la facoltà della stazione appaltante di scegliere, in caso di fallimento della capo-

gruppo, tra la prosecuzione del rapporto derivante dall’appalto con sostituzione della manda-taria fallita ed il recesso da tale rapporto evidentemente presuppone sciolto sia il contratto di appalto nei rapporti con la mandataria fallita sia il mandato a questa conferito.

Ne consegue che il curatore del fallimento della capogruppo mandataria non è legittimato a riscuotere i crediti delle imprese mandanti verso la stazione appaltante, neanche quelli matu-rati prima della dichiarazione di fallimento96.

Per le somme di denaro che la capogruppo mandataria abbia riscosse dalla stazione ap-paltante in nome e per conto delle imprese mandanti prima di essere dichiarata fallita e che non siano state a queste ultime ancora riversate al momento della dichiarazione del fallimento della mandataria, le mandanti vanteranno un diritto di credito di natura concorsuale da insinuare al passivo fallimentare della mandataria97.

95 Per la quale, v. soprattutto BOZZA, op. cit., 464 ss., e la recente Cass., 15 gennaio 2000, n. 421, in

Fall., 2001, 505, che fanno leva, per sostenere il contestuale scioglimento del mandato, anche sull’effetto risolutivo di questo contratto normalmente prodotto dal fallimento di una delle parti ex art. 78 l.f. o, co-munque. specificamente derivante dal peculiare collegamento funzionale del mandato conferito alla capo-gruppo con la partecipazione di quest’ultima all’appalto pubblico. Per analoghe conclusioni v. anche: Trib. Roma, 14 gennaio 1998, in Giur. merito, 1998, 917; App. Venezia, 21 maggio 1997, in Dir. fall., 1997, II, 1188. Secondo CENSONI, op. cit., 135 ss., invece, le disposizioni in materia di pubblici appalti che disciplinano gli effetti del fallimento della capogruppo mandataria andrebbero coordinate con l’art. 81 l.f., di guisa che il contratto di appalto e quello di mandato non si scioglierebbero automaticamente per effetto del fallimento della capogruppo mandataria in relazione ai rapporti di cui questa è titolare, spettando al curatore del falli-mento della capogruppo mandataria, sentito il comitato dei creditori, se è stato nominato, e con l’autorizzazione del giudice delegato, il potere di dichiarare di voler subentrare nel rapporto dandone co-municazione alla stazione appaltante nel termine di venti giorni dalla dichiarazione di fallimento ed offrendo idonee garanzie. Diversa ancora è la posizione di Trib. Treviso, 10 gennaio 1995 (in Dir. fall., 1997, II, 338, con nota contraria di SANDULLI, Effetti del fallimento nell’ambito delle riunioni temporanee di imprese per l’esecuzione degli appalti di opere pubbliche), secondo cui la dichiarazione di fallimento della capo-gruppo, benché importi la facoltà della stazione appaltante di recedere dal contratto di appalto ovvero di proseguirlo con altra impresa che sia costituita mandataria, non modifica il ruolo dell’originaria mandataria in ordine ai rapporti giuridici sorti in precedenza e, quindi, non pregiudica il diritto del curatore del fallimen-to della medesima originaria mandataria di pretendere dalla stazione appaltante il corrispettivo dei lavori eseguiti sino all’apertura della procedura concorsuale dalle imprese riunite, salva la facoltà delle imprese mandanti di insinuare nel passivo del fallimento della capogruppo i crediti maturati per le opere da esse rispettivamente eseguite.

96 Per la diversa posizione di Trib. Treviso, 10 gennaio 1995, cit., v. nota precedente. 97 Contra : SANDULLI, op. cit., che, aderendo a quanto sostenuto da altra dottrina (CANCRINI –

PISELLI, Considerazioni in tema di associazioni temporanee di imprese, in Riv. giur. edil., 1985, 266 ss.), ritiene che la capogruppo non acquisti la titolarità delle some ricevute in pagamento dalla stazione appal-tante in nome e per conto delle mandanti, che, di conseguenza, dovrebbero poter rivendicare dette somme ai sensi dell’art. 103 l.f., in tal modo sottraendosi al concorso con gli altri creditori della fallita. Ma la tesi si scontra con la pressoché pacifica (v.: Cass., 16 maggio 1990, n. 4262, in Dir. fall., 1990, II, 1398; Trib. Vicen-za, 19 settembre 1988, in Fall., 1989, 343; Trib. Genova, 17 giugno 1988, in Fall., 1988, 1265; Trib. Milano, 29 settembre 1983, in Fall., 1983, 1452) inammissibilità della rivendicazione ex art. 103 l.f. di cose fungibili e, in particolare, del denaro. La necessità per le imprese mandanti di insinuare il proprio credito nel passivo fallimentare della capogruppo mandataria non sussiste, invece, a mio avviso, nel caso in cui, nonostante lo scioglimento del mandato, il curatore del fallimento della mandataria abbia riscosso dalla stazione appaltan-te corrispettivi relativi ad opere eseguite dalle mandanti, trattandosi, in tal caso, di un credito nei confronti

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Ma la previsione normativa secondo cui le riunioni temporanee di imprese che si stanno considerando non implicano di per sé «organizzazione o associazione fra le imprese riuni-ta», se, da una parte, esclude che il rapporto tra le imprese riunite debba essere sempre con-notato nei termini di un rapporto di natura associativa, non esclude, anzi dà per scontato, che le imprese riunite possano regolamentare i loro rapporti interni in modo diverso e più complesso ed anche creare un’organizzazione comune, in tal caso dando luogo ad un vero e proprio rap-porto associativo, il quale, però, fino all’espletamento della gara, salvo che non persegua finali-tà ulteriori rispetto a quelle della partecipazione alla gara e della gestione dell’eventuale appal-to, non andrà oltre il paradigma del consorzio con attività meramente interna, ché, altrimenti, sarà il consorzio, occasionale o stabile, con attività esterna, il GEIE o la società tra le medesime imprese costituita a concorrere all’aggiudicazione.

Una volta che le imprese riunite si siano aggiudicate la gara e debbano procedere all’esecuzione dei lavori, l’esigenza di cooperazione diviene più intensa e, con questa, più sen-tito il bisogno delle imprese medesime di ricorrere a modelli organizzativi più complessi, so-prattutto allorché le opere da realizzare siano indivisibili, di passare dalla cooperazione mera-mente contrattuale alla cooperazione associativa tra imprese, dal fenomeno delle contractual joint ventures a quello delle incorporated joint ventures.

Da qui la previsione – per la prima volta introdotta, come s’è detto, con l’art. 23-bis della legge n. 584/1977 e poi ribadita dalle successive disposizioni in materia di lavori pubblici (v. artt. 26 d.lgs. 409/1991, 96 d.P.R. 554/1999, 23 d.lgs. 158/1995) – della possibilità per le imprese riunite di costituire una società, anche consortile, per l’esecuzione unitaria, tota-le o parziale, dei lavori, di cui devono far parte tutte le imprese riunite (ovvero tutte le im-prese interessate alla parte di lavori per la cui esecuzione unitaria la società sia stata costituita) e che – aggiunge il legislatore – dalla data della notificazione alla stazione appaltante del suo atto costitutivo «subentra, senza che ciò costituisca ad alcun effetto subappalto o cessio-ne di contratto e senza necessità di autorizzazione o di approvazione, nell’esecuzione totale o parziale del contratto, ferma restando la responsabilità delle imprese riunite».

Senonché, questa previsione normativa ha fatto sorgere problemi interpretativi di non faci-le soluzione soprattutto a proposito del significato del subentro di detta società nell’esecuzione del contratto di appalto.

Invero, in dottrina, a chi sostiene che la società costituita tra le imprese riunite succede a queste nel contratto di appalto, con conseguente estinzione della riunione temporanea o, me-glio, del mandato conferito alla capogruppo98, s’oppone chi, invece, reputa che la previsione in questione abbia la sola portata di legittimare la società costituita tra le imprese riunite all’esecuzione materiale dell’appalto, sicché la medesima società rappresenta un mero strumento operativo delle imprese riunite, come tale destinato ad affiancarsi al raggruppamento

della massa, di cui il giudice delegato dovrà ordinare il pagamento con decreto ai sensi dell’art. 111, co. 1, n. 2, e co. 2, l.f.

98 In tal senso: MAZZONE, op. cit., 577-578, ma v. anche il ripensamento dello stesso Autore, in L’associazione temporanea di impresa , in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, vol. 22, Torino, 1991, 595 ss.; DI MAJO, Associazioni temporanee di imprese e società consortili negli appalti pubblici (nota a Cass., 4 gennaio 2001, n. 77), in Soc., 2001, 1470 ss.

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temporaneo o, meglio, a lasciare in vita il mandato conferito alla capogruppo99. Recentemente, l’argomento è stato affrontato, in relazione ad un caso in cui le imprese

riunite avevano costituito una società consortile, anche dalla Corte di cassazione100, che, spo-sando la seconda delle tesi dottrinali cui s’è accennato, ha affermato che la disposizione di cui all’art. 23-bis della l. 584/1977 «ha la esclusiva portata di legittimare la società consortile nella esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto a carico dell’ATI, ma non ne comporta la sostituzione», giacché:

a) «fa riferimento ad un “subentro” nella esecuzione totale o parziale del con-tratto e non ad una successione nel rapporto giuridico sorto con la convenzione con l’ente appaltante»;

b) «esclude in modo assoluto – “ad alcun effetto” – che ciò determini subappalto o cessione di contratto, tant’è che espressamente prevede che non siano necessarie au-torizzazioni o approvazioni»;

c) fa salva la responsabilità delle imprese riunite, per cui, non essendo dato affermare che quella medesima responsabilità è assunta in via privativa o in via cumulativa dalla consorti-le, esclusa deve restare la successione di quest’ultima nel rapporto di mandato tra imprese riunite e capogruppo.

Ma, a mio avviso, questa tesi fortemente riduttiva del dato normativo non convince, sia perché, già da un punto di vista meramente lessicale, mi pare che il subentro nell’esecuzione del contratto non possa esprimere altro che la sostituzione della società costituita tra le impre-se riunite a queste ultime in tutti i rapporti giuridici concernenti l’esecuzione del contratto di appalto e non solo nella materiale esecuzione dei lavori appaltati101, sia perché la precisazione che questo subentro nell’esecuzione del contratto non costituisce ad alcun effetto subap-palto o cessione di contratto e non importa la necessità di autorizzazioni o di approvazioni può meglio essere spiegata con l’intenzione del legislatore di evitare che il fenomeno, benché ricon-ducibile ai fenomeni di successione nel contratto, sia sottoposto alla medesima disciplina in tema di subappalto e di cessione del contratto di appalto prevista dalla legislazione in materia di lavori pubblici.

Né è incompatibile con la tesi della successione ex lege della società costituita tra le im-prese riunite a queste ultime nel contratto di appalto la previsione della perdurante responsabi-lità solidale delle medesime imprese riunite (o, meglio, di tutte tali imprese nelle riunioni orizzon-tali e dell’impresa capogruppo e della singola impresa mandante cui si riferisce l’obbligazione inadempiuta nelle riunioni verticali) nei confronti della stazione appaltante, che ben può spie-garsi con l’intento del legislatore di tutelare la stazione appaltante evitando che la costituzione della società in questione sia utilizzata dalle imprese riunite come strumento per eludere le pro-prie responsabilità. Il che induce a ritenere che detta responsabilità delle imprese riunite si cu-mula con quella che la società tra queste costituita viene ad assumere in proprio succedendo

99 In questo senso: BOZZA, op. cit., 472 ss.; CARBONE, Associazioni temporanee d’impresa e consorzi

nell’appalto di opere pubbliche, in Giur. it., 1988, IV, 84 ss. 100 Cass., 4 gennaio 2001, n. 77, in Soc., 2001, 1465. Nello stesso senso l’ancor più recente Cass., 2 no-

vembre 2001, n. 13582, in CED Cass., n. 549968. 101 MAZZONE, L’associazione temporanea di imprese, cit., 577.

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ex lege nel contratto di appalto102. Peraltro, la tesi seguita dalla Suprema Corte può condurre a conseguenze pratico-

giuridiche aberranti, giacché, mentre la stazione appaltante potrebbe confidare solo sulla re-sponsabilità solidale di tutte le imprese riunite della capogruppo e della singola impresa ina-dempiente, i terzi nei cui confronti la società in questione assuma obbligazioni, ove questa sia costituita nella forma di una società di capitali, potrebbero fare affidamento solo sulla respon-sabilità di tale società, che, pertanto, potrebbe costituire uno strumento di agevole frode in danno di tali terzi creditori, soprattutto se si considera che, sempre seguendo la tesi qui critica-ta, i corrispettivi dell’esecuzione dell’appalto dovrebbero essere dalla stazione appaltante pa-gati alla capogruppo e da questa trattenuti o riversati, dedotte le spese eventualmente sostenu-te, a ciascuna delle mandanti103 e che la legge non impone che l’atto costitutivo della società costituita tra le imprese riunite preveda che questa funzioni secondo il meccanismo del cd. ri-baltamento dei costi.

Ritengo, pertanto, che debba concludersi che la società costituita tra le imprese riunite per l’esecuzione unitaria dei lavori succede a queste ex lege nel contratto di appalto, assumendo-ne, quindi, tutti i diritti e gli obblighi relativi, senza che, però, ciò comporti l’applicazione delle norme in materia di successione nei contratti e, in particolare, la disciplina in tema di subappal-to e di cessioni del contratto di appalto nel settore dei lavori pubblici, giacché, per una sorta di fictio iuris, la società medesima deve considerarsi l’originaria appaltatrice dei lavori, con con-seguente estinzione del mandato conferito dalle imprese riunite alla capogruppo, che non ha più ragione di essere, salvo il caso in cui detta società sia stata costituita per l’esecuzione unita-ria di una parte soltanto delle opere appaltate, nel quale l’estinzione del mandato si verificherà solo nei rapporti tra la capogruppo e le imprese mandanti la cui quota di lavori sia stata inte-ramente attribuita alla società medesima.

Non nego che questa soluzione implica la possibilità del fallimento della società costituita tra le imprese riunite per l’esecuzione unitaria dei lavori appaltati, con la conseguente risoluzio-ne del contratto di appalto104, e, per converso, l’inapplicabilità delle speciali regole dettate in ordine agli effetti sul contratto di appalto del fallimento delle singole imprese riunite, con la conseguenza che la suddetta società dovrà provvedere all’esecuzione anche della quota di la-vori originariamente affidati all’impresa poi fallita105. Si tratta, però, di conseguenze che non mi

102 MAZZONE, op. ult. cit., 577; DI MAJO, op. cit., 1471. 103 DI MAJO, op. cit., 1472. 104 Va condivisa, invero, la prevalente opinione (per la quale v., ad es., PLENTEDA, Pubblici appalti e

fallimento, in Fall., 2000, 182 ss.) secondo cui, in materia di appalti pubblici, il fallimento dell’appaltatore comporta ineluttabilmente lo scioglimento del contratto di appalto, sia perché i requisiti che l’appaltatore deve possedere rivestono rilievo essenziale, con conseguente applicazione i quanto disposto dall’art. 81, co. 2, l.f., sia perché in tal senso depone l’interpretazione storico-sistematica della legislazione speciale. Sul punto si vedano i riferimenti bibliografici e giurisprudenziali contenuti in Codice del fallimento, a cura di Pajardi, Milano, 2001, sub art. 81, 8, p. 602 ss.

105 Così come non nego che la soluzione della successione ex lege nel contratto di appalto può pre-starsi a fare della società costituita tra le imprese riunite per l’esecuzione unitaria del contratto di appalto uno strumento per tentare di eludere, attraverso la cessione delle quote o delle azioni di partecipazione in tale società, le disposizioni in materia di appalti pubblici che vietano la cessione del contratto di appalto e limitano fortemente le possibilità di subappalto (v. art. 18 l. 19 marzo 1990, n. 55), subordinano a particolari

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paiono idonee a mettere in discussione la bontà della premessa da cui muovono.

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INDICE

1. Il fenomeno della cooperazione tra imprese. ........................................................................1

2. I consorzi.........................................................................................................................2

2.1. Nozione e tipologia del fenomeno consortile.................................................................2

2.2. La disciplina generale. ...............................................................................................5

2.2.1. Forma e contenuto del contratto..................................................................................................... 5

2.2.2. I soggetti............................................................................................................................................. 6

2.2.3. La durata del consorzio. ................................................................................................................... 7

2.2.4. Le modificazioni del contratto. ........................................................................................................ 8

2.2.4.1. Le modificazioni soggettive. ...........................................................................................8

2.2.4.2. Le altre modificazioni. ...................................................................................................12

2.2.5. L’organizzazione comune............................................................................................................... 13

2.2.6. Lo scioglimento del consorzio....................................................................................................... 14

2.3. Le particolarità concernenti i consorzi con attività esterna............................................. 14

3. Le società consortili. .......................................................................................................17

4. Il gruppo europeo di interesse economico (GEIE)...............................................................22

5. Le joint ventures. ............................................................................................................28

6. Le associazioni temporanee di imprese. ...........................................................................28

6.1. In generale.............................................................................................................. 28

6.2. Le riunioni temporanee di imprese ammissibili ai pubblici appalti. ................................ 30

7. Bibliografia. ....................................................................................................................38