La cooperazione tra piante e funghi simbionti - Le...

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34 LE SCIENZE n. 284, aprile 1992 In diverse piante le associazioni micorriziche provocano una stimolazione della cre- scita dovuta allo scambio di sostanze nutritizie tra la pianta, autotrofa per il car- bonio, e il fungo eterotrofo. L'effetto è particolarmente evidente nei primi mesi di crescita o in piante micropropagate. La fotografia mostra il clamoroso risultato ot- tenuto da Antonio Trotta del Dipartimento di biologia vegetale di Torino su un do- ne di Prunus cerasifera micropropagato e inoculato con il fungo Glomus, ceppo E3. go cede alla pianta elementi minerali, tra cui il fosforo che è spesso un fattore li- mitante per la crescita dei vegetali. D'al- tro canto, il fungo eterotrofo riceve di- rettamente zuccheri per il suo metaboli- smo dalla pianta ospite che fotosintetiz- za. Grazie a questo scambio bidireziona- le, lo sviluppo vegetativo della pianta viene migliorato e il fungo è in grado di completare il suo ciclo vitale. Quando 13 anni fa una delle autrici (Paola Bonfante) pubblicò l'articolo Le micorrize in «Le Scienze» n. 128, aprile 1979, stava crescendo l'interesse della comunità scientifica per un campo che prometteva importanti ricadute applica- tive. Per anni si è cercato di verificare la possibilità di utilizzo delle micorrize in agricoltura e nella forestazione sia per incrementare la produttività vegetale, evitando un uso indiscriminato di ferti- lizzanti, sia per favorire la resa delle tec- nologie di micropropagazione vegetale. Mentre notevoli risultati sono stati raggiunti in quest'ultimo settore, gli altri obiettivi non sono stati del tutto conse- guiti. Infatti le tecniche colturali - adot- tate in un contesto di coltivazione inten- siva - sono spesso controindicate a man- tenere integro il vasto ma delicato in- treccio di ife che permettono al fungo micorrizico di convogliare alle radici della pianta i nutrienti disciolti nel suolo. Per queste ragioni l'uso di micorrize si sta dimostrando assai più efficace in zo- ne marginali, dove si pratica un'agricol- tura «povera» (si pensi al Sahel) o in opere di consolidamento del suolo e di rimboschimento nelle zone tropicali. TUNDRA ARTICA FORESTA DI CONIFERE, FORESTA TEMPERATA MI FORESTA TROPICALE, FORESTA PLUVIALE PRATERIE TEMPERATE, STEPPE E DESERTI MACCHIA MEDITERRANEA, CHAPARRAL SAVANA, SCRUB E DESERTI BIOMI MONTANI Secondo David Read, dell'Università di Sheffield, esiste una stretta correlazio- ne tra i principali biomi terrestri e i si- stemi micorrizici in essi contenuti. Nelle regioni artiche sono dominanti le micor- rize di tipo ericoide, nelle zone ricoperte da foreste dominano le ectomicorrize, mentre le pianure, le savane e i deserti sono caratterizzati da micorrize vesci- colo-arbuscolari (VAM). L'area medi- terranea, infine, presenta una comples- sa miscela dei diversi tipi micorrizici. Non bisogna dimenticare che lo sce- nario creato dalle micorrize è assai va- sto: come mostra la tabella a pagina 36, il 90 per cento delle piante ne è coinvol- to insieme con numerosi funghi appar- tenenti a diversi taxa. Questo porta a co- struire una vera e propria classificazione delle micorrize, che sono diverse per la posizione sistematica dei partner impli- cati, per la morfologia de ne risulta e per il significato ecologico. Una delle sfide scientifiche che ora si pongono è pertanto quella di determinare la rilevan- za dei vari tipi di simbiosi micorrizica nelle comunità vegetali dove specie ar- boree, erbacee e fungine interagiscono. Queste comunità sono sottoposte - per ragioni naturali o antropiche - a continue fluttuazioni delle condizioni ambientali, che a volte possono avere proporzioni gravi, come nel caso delle piogge acide. La comprensione del ruolo delle micor- rize nell'intreccio di relazioni tra piante diverse e tra piante e funghi potrebbe es- LE SCIENZE n. 284, aprile 1992 35 v ivere insieme: il mondo biologi- co ha costruito parte della sua complessità grazie a meccani- smi di simbiosi, che operano dal livello subcellulare e cellulare fino a quello or- ganismico e di popolazione. Come Lynn Margulis da tempo sostiene nei suoi bril- lanti saggi sulla teoria simbiontica, la simbiosi è un potente mezzo di innova- zione evolutiva, in quanto l'interazione fra genomi diversi e la loro eventuale in- tegrazione portano alla comparsa di «no- La cooperazione tra piante e funghi simbionti Nelle simbiosi micorriziche vengono messe in atto svariate strategie cellulari e molecolari che consentono al fungo di completare il ciclo biologico e alla pianta di migliorare il proprio sviluppo vegetativo di Paola Bonfante e Silvia Perotto vità» biologiche. I mitocondri e i plastidi all'interno di una cellula eucariota, i bat- teri azotofissatori nei noduli radicali, i batteri luminosi che convivono con i pe- sci abissali, i solfobatteri associati ai gi- ganteschi vermi del genere Riftia e le as- sociazioni licheniche non sono che e- sempi delle innovazioni morfogenetiche apportate dai processi simbiontici. E nel mondo vegetale che troviamo una tra le più diffuse e tuttavia meno no- te forme di simbiosi: le micorrize. Delle 260 000 piante terrestri, almeno 240 000 vivono in simbiosi con funghi del terre- no che ne colonizzano le radici. In tutti gli ecosistemi, là dove ci sono comunità vegetali, dalle zone artiche alle aree me- diterranee o desertiche, si trovano sim- biosi micorriziche. Che cosa spiega il grande successo ecologico delle piante che vivono in simbiosi? Per molti anni la risposta è stata data a livello organi- smico: la nutrizione di entrambi i partner è migliorata nella simbiosi poiché il fun-

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34 LE SCIENZE n. 284, aprile 1992

In diverse piante le associazioni micorriziche provocano una stimolazione della cre-scita dovuta allo scambio di sostanze nutritizie tra la pianta, autotrofa per il car-bonio, e il fungo eterotrofo. L'effetto è particolarmente evidente nei primi mesi dicrescita o in piante micropropagate. La fotografia mostra il clamoroso risultato ot-tenuto da Antonio Trotta del Dipartimento di biologia vegetale di Torino su un do-ne di Prunus cerasifera micropropagato e inoculato con il fungo Glomus, ceppo E3.

go cede alla pianta elementi minerali, tracui il fosforo che è spesso un fattore li-mitante per la crescita dei vegetali. D'al-tro canto, il fungo eterotrofo riceve di-rettamente zuccheri per il suo metaboli-smo dalla pianta ospite che fotosintetiz-za. Grazie a questo scambio bidireziona-le, lo sviluppo vegetativo della piantaviene migliorato e il fungo è in grado dicompletare il suo ciclo vitale.

Quando 13 anni fa una delle autrici(Paola Bonfante) pubblicò l'articolo Lemicorrize in «Le Scienze» n. 128, aprile1979, stava crescendo l'interesse dellacomunità scientifica per un campo cheprometteva importanti ricadute applica-tive. Per anni si è cercato di verificare lapossibilità di utilizzo delle micorrize inagricoltura e nella forestazione sia perincrementare la produttività vegetale,evitando un uso indiscriminato di ferti-lizzanti, sia per favorire la resa delle tec-nologie di micropropagazione vegetale.

Mentre notevoli risultati sono statiraggiunti in quest'ultimo settore, gli altriobiettivi non sono stati del tutto conse-guiti. Infatti le tecniche colturali - adot-tate in un contesto di coltivazione inten-siva - sono spesso controindicate a man-tenere integro il vasto ma delicato in-treccio di ife che permettono al fungomicorrizico di convogliare alle radicidella pianta i nutrienti disciolti nel suolo.Per queste ragioni l'uso di micorrize sista dimostrando assai più efficace in zo-ne marginali, dove si pratica un'agricol-tura «povera» (si pensi al Sahel) o inopere di consolidamento del suolo e dirimboschimento nelle zone tropicali.

TUNDRA ARTICA

FORESTA DI CONIFERE,FORESTA TEMPERATA

MIFORESTA TROPICALE,FORESTA PLUVIALE

PRATERIE TEMPERATE, STEPPE E DESERTI

MACCHIA MEDITERRANEA,CHAPARRAL

SAVANA, SCRUBE DESERTI

BIOMI MONTANI

Secondo David Read, dell'Università diSheffield, esiste una stretta correlazio-ne tra i principali biomi terrestri e i si-stemi micorrizici in essi contenuti. Nelleregioni artiche sono dominanti le micor-rize di tipo ericoide, nelle zone ricoperteda foreste dominano le ectomicorrize,mentre le pianure, le savane e i desertisono caratterizzati da micorrize vesci-colo-arbuscolari (VAM). L'area medi-terranea, infine, presenta una comples-sa miscela dei diversi tipi micorrizici.

Non bisogna dimenticare che lo sce-nario creato dalle micorrize è assai va-sto: come mostra la tabella a pagina 36,il 90 per cento delle piante ne è coinvol-to insieme con numerosi funghi appar-tenenti a diversi taxa. Questo porta a co-struire una vera e propria classificazionedelle micorrize, che sono diverse per laposizione sistematica dei partner impli-cati, per la morfologia de ne risulta eper il significato ecologico. Una dellesfide scientifiche che ora si pongono è

pertanto quella di determinare la rilevan-za dei vari tipi di simbiosi micorrizicanelle comunità vegetali dove specie ar-boree, erbacee e fungine interagiscono.Queste comunità sono sottoposte - perragioni naturali o antropiche - a continuefluttuazioni delle condizioni ambientali,che a volte possono avere proporzionigravi, come nel caso delle piogge acide.La comprensione del ruolo delle micor-rize nell'intreccio di relazioni tra piantediverse e tra piante e funghi potrebbe es-

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v

ivere insieme: il mondo biologi-co ha costruito parte della suacomplessità grazie a meccani-

smi di simbiosi, che operano dal livellosubcellulare e cellulare fino a quello or-ganismico e di popolazione. Come LynnMargulis da tempo sostiene nei suoi bril-lanti saggi sulla teoria simbiontica, lasimbiosi è un potente mezzo di innova-zione evolutiva, in quanto l'interazionefra genomi diversi e la loro eventuale in-tegrazione portano alla comparsa di «no-

La cooperazione tra piantee funghi simbionti

Nelle simbiosi micorriziche vengono messe in atto svariate strategiecellulari e molecolari che consentono al fungo di completare il ciclobiologico e alla pianta di migliorare il proprio sviluppo vegetativo

di Paola Bonfante e Silvia Perotto

vità» biologiche. I mitocondri e i plastidiall'interno di una cellula eucariota, i bat-teri azotofissatori nei noduli radicali, ibatteri luminosi che convivono con i pe-sci abissali, i solfobatteri associati ai gi-ganteschi vermi del genere Riftia e le as-sociazioni licheniche non sono che e-sempi delle innovazioni morfogeneticheapportate dai processi simbiontici.

E nel mondo vegetale che troviamouna tra le più diffuse e tuttavia meno no-te forme di simbiosi: le micorrize. Delle

260 000 piante terrestri, almeno 240 000vivono in simbiosi con funghi del terre-no che ne colonizzano le radici. In tuttigli ecosistemi, là dove ci sono comunitàvegetali, dalle zone artiche alle aree me-diterranee o desertiche, si trovano sim-biosi micorriziche. Che cosa spiega ilgrande successo ecologico delle pianteche vivono in simbiosi? Per molti annila risposta è stata data a livello organi-smico: la nutrizione di entrambi i partnerè migliorata nella simbiosi poiché il fun-

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TIPO DI MICORRIZA PIANTA OSPITE

FUNGO SIMBIONTE

Vescicolo- Briofite, pteridofite, Glomales-arbuscolare (VAM)

gimnosperme,angiosperme

Alberi e arbusti,specialmente delle regionitemperate

Piante appartenentiall'ordine delle Ericalese con radici fini

Ericales come Arbutuso Arctostaphylos

Ericales aclorofilliche

Tutti i membri delleorchidacee

25 famigliedi basidiomiceti, settefamiglie di ascomiceti,un genere di zigomiceti(Endogone)

Ascomicete(Hymenoscyphus ericae)

Ascomiceti e basidiomiceticome nelle ectomicorrize

Basidiomiceti simili a quellidelle ectomicorrize

Otto generi dibasidiomiceti riportabili algruppo Rhizoctonia

Ectomicorriza

Ericoide

Arbutoide

Monotropoide

Micorrizedelle orchidee

Nella tabella sono elencati i più importanti tipi di micorriza finora descritti, insie-me con la posizione sistematica dei funghi e delle piante coinvolti nell'associazione.

sere alla base non solo di una núova eco-logia del sottosuolo, ma anche di un piùrapido recupero di aree degradate e dellecomunità vegetali che vi albergano.

Da un punto di vista più strettamentebiologico, la comprensione del ruolodella simbiosi micorrizica passa attra-verso il chiarimento dei meccanismi mo-lecolari e cellulari che intervengono du-rante la formazione dell'associazione eil raggiungimento di uno stato di com-patibilità tra partner. In un momento incui la biologia vegetale è tesa a capire iprocessi morfogenetici come espressio-ne di precisi bouquet di geni, le micor-rize appaiono come un sistema stimolan-te, sperimentalmente difficile, ma che èla norma in condizioni naturali. Esserappresentano infatti un sistema com-plesso, in cui due eucarioti si integrano,raggiungendo uno stato di compatibilitàcellulare e fisiologica. Nel nostro labo-ratorio, come in altri nel mondo, questiaspetti più strettamente biologici sonostati approfonditi in un particolare tipodi simbiosi micorrizica, quella chiamatavescicolo-arbuscolare (VAM), presente

Lo schema rappresenta il ciclo vitale di un fungo VAM. Sipossono riconoscere una fase extraradicale e una intraradi-cale: la prima è caratterizzata da spore di grosse dimensioni(fino a 200 micrometri) che, germinando, producono un mice-lio la cui vitalità dipende dalla presenza della pianta ospite. Il

contatto con il vegetale determina infatti il passaggio alla fasesimbiontica, con la formazione di appressori e di ife intrara-dicali. Il punto più interessante della morfogenesi è rappre-sentato dall'arbuscolo, in cui il fungo - entrato nella cellula -si ramifica, aumentando la superficie di scambio con l'ospite.

GERMINAZIONEDELLA SPORA

FORMAZIONE DI IFEE DELL'APPRESSORIO

tRIFORMAZIONEDELLE SPORE

SVILUPPODELLA FASE

INTRARADICALEDIFFUSIONEDELL'INFEZIONE

INGRANDIMENTODELL'ARBUSCOLO

CON COLONIZZAZIONEDELLA RADICE

SENZA COLONIZ-ZAZIONE DELLA RADICE

Nella spora di Gigaspora margarita sono presenti centinaia di piccoli nuclei di circa2 micrometri di diametro. Questi nuclei appaiono fluorescenti dopo trattamento conDAPI, un colorante specifico per il DNA. Nella fotografia a destra sono evidenziaticon la stessa tecnica i nuclei del micelio germinato dalla spora. Le ife dei funghiVAM sono cenocitiche: uno stesso segmento ifale può contenere decine di nuclei.

nella grande maggioranza dei vegetali,dalle felci alle angiosperme.

T funghi VAM appartengono al gruppodegli zigomiceti, ma la loro preci-

sa posizione tassonomica è incerta, inquanto la fase sessuata del loro ciclo vi-tale è ancora sconosciuta. Essi vengonoperciò posti in un ordine appositamentecreato per loro, quello delle Glomales, edescritti in base alle caratteristiche mor-fologiche delle spore che essi formano.

I funghi VAM, come alcuni pericolosipatogeni, le Erisiphales, sono biotrofiobbligati e non possono crescere in col-tura pura isolati dalla pianta. Tuttavia, inpresenza della pianta ospite, si sviluppa-no con successo, producendo una copio-sa quantità di micelio sia attorno sia den-tro la radice. Una complessa morfogene-si caratterizza la fase intraradicale: si ri-conoscono ife inter- ed intracellulari,con andamento lineare o curvilineo (go-mitoli), strutture di riserva (vescicole) eaustori specializzati (arbuscoli).

Il fatto che il fungo VAM necessitidella presenza della pianta ospite percrescere ha reso assai problematico lostudio della sua biologia: l'impossibilitàdi avere una massa di materiale funginopuro, non contaminato da materiale ve-getale, ha impedito di avere informazio-ni dettagliate sul biochimismo di base.Inoltre la complicazione sperimentaledella coltura obbligata in presenza dellapianta ospite ha reso difficile ottenere lascansione precisa dei tempi di coloniz-zazione. Due ricercatori dell'UniversitàLaval di Québec, Guy Becard e Yves Pi-ché, hanno recentemente messo a puntoun sistema sperimentale che permette diaggirare alcune difficoltà: essi infettanopiante di carota con un batterio patoge-no, Agrobacterium rhizogenes, il qualeè in grado di trasferire alla pianta un pla-smide che induce la proliferazione con-tinua di radici. Tali radici trasformate,che sono coltivabili e inoculabili confunghi VAM, hanno fornito un sistemageneticamente omogeneo da parte dellapianta e condizioni sperimentali (mezzidi coltura, temperatura, umidità) con-trollate. Questo ha permesso di definirela sequenza di eventi nei primi stadi delciclo infettivo del fungo. Quando unaspora del fungo simbionte è posta da so-la in un mezzo nutritizio, già 10 giornidopo la germinazione cessa di crescere;al contrario, la presenza delle radici del-la pianta ospite determina un cospicuoallungamento della vita e della crescitadelle ife (20 volte di più) anche senzacontatto fisico. Se al fungo è permessodi entrare in contatto con la radice, incinque giorni si ha la colonizzazionedell'organo con la formazione di tutte letipiche strutture di infezione, soprattuttogli arbuscoli. Da questi esperimenti èevidente che: a) il fungo ha una fase diautonomia saprofitica assai limitata; b)esso è stimolato nella crescita da mole-cole essudate dalla radice; c) lo svilup-po degli arbuscoli - in quanto sede pri-

600

500

400

300

200

100

4 8

vilegiata degli scambi tra pianta e fun-go - dipende dall'interazione fisica conl'ospite.

Uno dei punti cruciali è capire qualisono le ragioni che impediscono al fun-go di crescere isolato dalla pianta. Nelnostro laboratorio Valeria Bianciotto haosservato che la germinazione delle spo-re di un fungo VAM, Gigaspora marga-rita, consiste in una breve fase di intensa

vitalità, in cui i numerosissimi e minu-scoli nuclei della spora (contenenti nonpiù di 0,65-0,75 picogrammi di DNA, ri-spetto ai 70 picogrammi di un nucleo diporro) migrano verso le ife appena ger-minate (si veda l'illustrazione in questapagina in basso). In queste ife alcuni nu-clei entrano in una fase di duplicazionedel DNA, come si dimostra con l'uso dibromodeossiuridina. Questo nucleotide

12 16 20 24 28GIORNI

L'utilizzazione di un sistema in vitro costituito da radici di carota trasformate conil plasmide di Agrobacterium rhizogenes ha permesso a due ricercatori di Québec,Guy Becard e Yves Piché, di stabilire un'esatta successione temporale del ciclo mor-fogenetico del fungo VAM. Il micelio germinato dalla spora cessa di crescere dopo10 giorni (freccia); in presenza della radice esso si allunga anche senza contattofisico, ma solo quando dispone della radice come substrato completa la morfogenesi.

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MUTANTI PRECOCI MUTANTI TARDIVI

Myc-(1)Nod -

FENOTIPORADICALE

APPRESSORIO

NH

CO

CH3

NH

CO

CH3OROCOLLOIDALE

N-ACETILGLUCOSAMMINAAGGLUTININA

DI GERME DI GRANO

SEZIONEAL MICROSCOPIO

CH3

CO

NH

O

CHITINA

La chitina - polimero della N-acetilglucosammina con legami p 1-4 - rappresentalo scheletro della parete cellulare di moltissimi funghi. t una delle molecole piùdiffuse sulla Terra, dal momento che è presente anche nell'esoscheletro degli artro-podi. In microscopia, la chitina può essere evidenziata in situ mediante una lectina,l'agglutinina di germe di grano (wheat germ agglutinin), che si lega in modo specifi-co a oligomeri della N-acetilglucosammina. A seconda che la lectina sia coniugataa un fluorocromo o a una sospensione di oro colloidale, il polisaccaride sarà iden-tificato al microscopio a fluorescenza o al microscopio elettronico a trasmissione.

ARBU SCOLI

In una serie di esperimenti condotti su alcune cultivar di pi-sello presso l'INRA di Digione, Vivienne Gianinazzi-Pearsone Silvio Gianinazzi hanno trovato mutanti con fenotipi diversirispetto alla capacità di formare micorrize. Un primo gruppoè incapace di stabilire simbiosi in quanto non produce né no-

duli né micorrize (Nod-, Myc-M), mentre un secondo formanoduli, ma non riesce a fissare l'azoto; esso inoltre dà originead appressori che formano ife, ma non arbuscoli (Nod+Fix-,Myc-(2)). Il fenotipo selvatico è invece avvantaggiato dal fat-to di produrre sia noduli fissatori sia micorrize (Nod+, Myc+).

FUNGO

OSPITE

MEMBRANAFUNGO INTRACELLULARE, DELL'OSPITE

ZONADI INTER-

FACCIA

Lo schema rappresenta i due tipi di contatto che si instaurano tra un fungo sim-bionte e il suo ospite. NeLprimo caso i due organismi entrano in contatto tra lorotramite le pareti cellulari, mentre nel secondo caso il fungo - penetrando all'inter-no dell'ospite - dà origine a una distensione della parete e a un'imaginazionedella membrana plasmatica creando in questo modo una estesa zona di interfaccia.

Myc+Nod+

TIPO SELVATICO

fenolici vegetali come molecole segnalenell'innescare alcuni eventi simbiontici.Gli esempi più noti vengono dalla inte-razione simbiontica tra batteri fissatoridi azoto e leguminose: la fissazione av-viene nel nodulo, un complesso organoche è il risultato dell'espressione genicacoordinata dei due partner. Si è visto cheflavonoidi essudati dalla pianta agisconocome attivatori dei geni batterici nod,che sono essenziali per l'inizio della for-mazione dei noduli.

In molti laboratori, da Digione a Qué-bec, da Bristol a Riverside, si è dimo-strato che l'aggiunta di estratti grezzi ra-dicali o di flavonoidi ai funghi VAMnella fase non simbiontica prolunga l'ac-crescimento, ma non permette di soste-nere ulteriormente la crescita. Anche lamanipolazione dei secondi messaggeri ola modificazione del sistema microtubu-lare si sono rivelate inefficienti.

nalisi morfologiche, genetiche e ci-tochimiche evidenziano che la su-

perficie cellulare della radice svolgeun ruolo decisivo nelle prime tappedell'interazione. Subito prima della pe-netrazione radicale, i funghi VAM pro-ducono strutture appiattite, spesso a for-ma di lente, gli appressori, da cui origi-nano sottili ife di penetrazione. Questestrutture, ben conosciute nei patogenifungini delle foglie, si formano prefe-renzialmente tra le giunzioni delle cellu-le epidermiche, là dove la parete cellu-lare dell'ospite è più sottile e dove lacomponente plastica rappresentata dallepectine è più abbondante. A Pisa, Ma-nuela Giovannetti ha osservato che Glo-mus mosseae impiega circa 42 ore persviluppare un appressorio su una piantaospite come l'erba medica. Al contrario,su una pianta non ospite come il lupinonon si formano veri appressori e le ra-mificazioni ifali presenti alla superficiedella radice portano a infezioni abortive.La mancanza di appressori ben formatisembra quindi rappresentare una mani-

festazione di incompatibilità tra partner.Un simile sintomo è stato trovato in unaserie di esperienze in cui si sono identi-ficati per la prima volta loci genetici perla resistenza alla simbiosi VAM. A Di-gione, Vivienne Gianinazzi-Pearson eSilvio Gianinazzi, lavorando su un grup-po di mutanti di pisello incapaci di for-mare noduli dopo l'inoculazione con ri-zobi Nod- (la nomenclatura è in via diaggiornamento), hanno trovato alcunimutanti incapaci di formare micorrize echiamati pertanto Myc-. In 21 tra i 45mutanti analizzati l'assenza di nodula-zione è associata con l'assenza di micor-rizazione. L'analisi dei fenotipi osservatinelle generazioni successive ha dimo-strato che i fenotipi Myc- e Nod- nonvengono separati, suggerendo che essisiano controllati da uno o più gruppi digeni in comune (si veda l'illustrazionenella pagina a fronte in alto). In questimutanti le modificazioni della superficiecellulare sembrano particolarmente im-portanti. Al momento del tentativo di co-lonizzazione da parte del fungo VAM,si forma un ispessimento della paretecellulare del pisello (una sorta di papillanella terminologia della patologia vege-

Nel corso dell'infezione, la parete cellulare fungina subiscecospicui cambiamenti di morfologia e composizione. Nelle fo-tografie ottenute al microscopio elettronico a trasmissione sipossono osservare i contatti tra la parete del fungo e quel-la dell'ospite. A sinistra si vede come la parete del fungo in-tercellulare abbia una struttura finemente fibrillare, mentrea destra è visibile una sottile struttura del tutto amorfa nel

modificato viene incorporato al postodella timidina e può essere rivelato conun anticorpo monoclonale legato a unfluorocromo. Questo processo è tuttavialimitato nel tempo, perché ben presto in-tervengono i meccanismi di senescenzatipici dei funghi, quali frequenti settazio-ni, apici irregolari, svuotamento, collas-so e infine blocco totale della crescita.

In conclusione, l'ipotesi più probabileche emerge da queste osservazioni è che

il fungo in fase saprofitica viva consu-mando le riserve energetiche della sporae che, una volta esaurite queste riserve,manchi dei requisiti metabolici che per-mettono di utilizzare direttamente nu-trienti presenti nel terreno di coltura.

Di che cosa ha bisogno il fungo percrescere, una volta consumate le riservedella spora? Studi sulle interazioni trapiante e microrganismi hanno dimostra-to di recente l'importanza di composti

punto in cui il fungo si ramifica a formare l'arbuscolo. L'usodi agglutinina di germe di grano coniugata a oro colloidalerivela che fibrille di chitina o suoi oligomeri sono presenti tan-to sulla parete fibrillare quanto su quella amorfa. La sintesidi oligomeri di chitina continua dunque ad avvenire durantetutta la morfogenesi del fungo, anche se durante la ramifica-zione è probabile che l'assemblaggio delle fibrille si blocchi.

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a

Queste due microfotografie evidenziano i modelli di crescita mostrati dai funghiVAM durante il loro ciclo vitale: in coltura pura, in assenza della pianta ospite, essipresentano la crescita apicale, polarizzata, caratteristica di tutti i funghi filamento-si (a). All'interno di alcune cellule radicali mostrano, al contrario, svariati puntidi crescita che danno origine alla struttura arbuscolare fittamente ramificata (b).

CELLULOSACH2OH

H

OH

CH2OH

H

OH

CH2OH

H

OHH H

•••.•so,

H

rOSPITE

OMOGALATTURONANI

HRGP

I3-(1-4)-GLUCANI

e

MEMBRANADELL'OSPITE

PARETEDEL FUNGO

MEMBRANADEL FUNGO f'

A

é

INTERFACCIA

MEMBRANAPLASMATICADELL'OSPITE

oo

tale). Questa papilla rappresenta unabarriera fisica all'infezione. In questo ti-po di esperimento, che sta offrendo unaimportante chiave di comprensione deimeccanismi di colonizzazione, sarà per-tanto interessante vedere quanto il feno-tipo Myc-Nod- coinvolga variazioni nel-la regolazione della sintesi di parete.

Una volta che il fungo VAM ha supe-rato la barriera fisica rappresentata

dagli strati esterni radicali, esso raggiun-ge il parenchima corticale, sviluppandoife inter- e intracellulari e arbuscoli. Laformazione di queste strutture rappre-senta il più evidente segno dell'integra-zione cellulare tra i due simbionti. Da unlato essi segnano il sito dove avviene iltrasferimento di nutrienti tra i partner,dall'altro sono l'espressione di una com-plessa serie di eventi di riconoscimento

tra i due simbionti. Tali eventi interes-sano le superfici cellulari che subisconodelicati riaggiustamenti.

Quando il fungo penetra all'internodella cellula corticale, la parete cellularedell'ospite si distende, il plasmalemmasi invagina e si crea una zona, cosiddettadi interfaccia, che separa il citoplasmadell'ospite dalla parete del fungo. Il pro-cesso di colonizzazione è così accompa-gnato da modificazioni strutturali checoinvolgono la parete del fungo, il ma-teriale deposto nel nuovo scompartocreato e la membrana che avvolge il fun-go all'interno della cellula radicale. Nelnostro laboratorio abbiamo identificatolo scomparto di interfaccia come l'e-spressione morfologica del vivere insie-me tra pianta e fungo e pertanto abbiamocercato di caratterizzarlo usando un ap-proccio sperimentale basato su sonde

che permettono di rivelare in situ precisemolecole polisaccaridiche e proteiche.

Durante il processo di infezione la parete cellulare di alcuni funghi

VAM, come Glomus versiforme, mostraprofonde modificazioni morfologiche edi composizione. Lo spessore, che nellaspora è di 10-12 micrometri, si riduce a0,5 micrometri nelle ife intraradicali perraggiungere 20-30 nanometri nelle sotti-li ife dell'arbuscolo. La struttura comeappare al microscopio elettronico è dap-prima fibrillare, con fibrille di chitinaben evidenti disposte su piani parallelitra di loro o ruotati l'uno rispetto all'al-tro. Questa organizzazione fibrillare nonè più visibile quando la parete del fungo- che è all'interno dei tessuti radicali - siassottiglia. Questo cambiamento è pro-babilmente dovuto a un più basso gradodi polimerizzazione delle molecole di N--acetilglucosammina, il monomero dellachitina. Inoltre componenti come sporo-pollenine e melanine sono evidenti nellaspora, ma vengono perse nella fase ifale;nella parete dell'arbuscolo certi glucani,polimeri del glucosio e del mannosio,cambiano il tipo di legame con le mole-cole chitiniche, rispetto a quanto osser-vato nella parete delle ife extraradicali.La progressiva semplificazione della pa-rete fungina procedendo dalla fase extra-radicale a quella simbiontica «internaliz-zata» richiede probabilmente un delicatomeccanismo di regolazione dei processibiosintetici per la sintesi di parete, rego-lazione che potrebbe avvenire a livellosia di espressione genica sia di attivitàenzimatica. Inoltre alcuni dei processimorfogenetici del fungo all'interno dellapianta rispecchiano il fatto che la cresci-ta di tipo apicale, caratteristica dei fun-ghi filamentosi, si complica durante laformazione di strutture ramificate comegli arbuscoli. Questo fenomeno prevedenecessariamente una diversa distribuzio-ne e attività dei complessi biosinteticicoinvolti nella formazione della parete(per esempio la chitinsintetasi e le glu-canosintetasi) e dell'organizzazione delcitoscheletro. L'espressione di tali genicomincia a essere conosciuta solo in al-cuni modelli fungini, come lieviti efunghi filamentosi quali Neurospora eAspergillus. In un sistema simbionticoad alto grado di integrazione quale lamicorriza VAM, è verosimile tuttaviache l'espressione di tali geni fungini siaalmeno in parte sotto il controllo dellapianta ospite, tramite segnali che siesprimono in modo diverso negli speci-fici tipi cellulari radicali.

Che materiale di parete originato dal-l'ospite fosse presente attorno al

fungo nella sua fase intracellulare era ri-saputo da parecchi anni: tuttavia solol'uso recente di sonde specifiche, comelectine, enzimi, anticorpi mono- e poli-clonali coniugati a marcatori visibili almicroscopio ottico o elettronico, ha per-messo di identificare precisamente alcu-

ne delle molecole presenti nello scom-parto. Abbiamo utilizzato un enzima pu-rificato, la cellobioidrolasi, che ricono-sce come substrato specifico i glucanicon legame 13 1-4 e quindi la cellulosache è il polimero corrispondente. Usan-do questo enzima come sonda, abbiamoidentificato tali molecole non solo sullaparete della pianta ospite, come previsto,ma anche nella zona di interfaccia, sianel punto di penetrazione del fungo, siaattorno alle parti apicali dell'arbuscolo.Alcuni anticorpi monoclonali caratteriz-zati da Paul Knox al J. Innes Institute diNorwich permettono di identificare varitipi di molecole pectiche, molecole cioèche rappresentano la componente plasti-ca della parete nelle cellule vegetali.Una classe in particolare, quella dellepectine non esterificate, in grado di for-mare legami non covalenti con il calcio,si localizza non solo in precisi scompartidella parete, quali la lamella mediana,ma molto nettamente nella zona di inter-faccia attorno al fungo simbionte (si ve-da l'illustrazione a pagina 42).

Un'altra importante componente del-la parete cellulare è quella proteica.La classe più abbondante è costituitada proteine ricche di idrossiprolina econ una cospicua componente glicidica(HRGP). Le funzioni svolte da questeglicoproteine non sono ancora del tuttochiare, ma coinvolgono sicuramente larisposta a situazioni di stress, dalla stes-sa crescita cellulare per distensione allarisposta a patogeni. L'uso di anticorpipoliclonali contro questa classe di glico-proteine ha permesso di localizzare icorrispondenti antigeni attorno al fungosimbionte che colonizza radici di piselloe porro. Anche arabinogalattoproteine,un altro tipo di HRGP, sembrano esserelocalizzate nella zona di interfaccia, an-che se sembrano essere espresse mag-giormente nelle zone in cui il fungo nonè più attivo.

La presenza di queste molecole - co-muni alla parete cellulare dell'ospite -permette di identificare la zona di inter-faccia come uno scomparto di tipo apo-plastico che consente al fungo di scorre-re dentro la cellula dell'ospite come al-l'interno di un tunnel.

Sembra interessante il fatto che se lemolecole del tunnel finora identificatesono originate dall'ospite, come avvieneper la parete periferica, la loro organiz-zazione morfologica è però ben diversa:mentre nella parete l'intreccio è ordinatoe si riconoscono scomparti con precisedistribuzioni molecolari, nel materiale diinterfaccia non c'è più traccia di ordine.Inoltre, quando la cellula radicale vienecolonizzata dal fungo, la deposizione deltunnel apoplastico sembra richiedere uncambiamento nel processo polarizzato disecrezione dei materiali parietali: anzi-ché verso la parete periferica questi van-no verso l'interno della cellula deponen-dosi al di là della membrana invaginataattorno al fungo. La presenza del fungoe/o variazioni dei meccanismi di con-

OHH OH H OH H OH

o o<- J- D

LI_ o

E

La cellulosa è un giocano, polimero del [3 1-4 glucopiranosio, formato da catene fi-brillari legate da ponti idrogeno. In natura solo certi batteri e funghi possiedono lacellulasi, il complesso enzimatico capace di attaccare il forte legame p 1-4 (tratteg-gio). La cellobioidrolasi (CBH I), una componente del complesso (quadratino), si at-tacca solo alla superficie della fibrilla, mentre le altre componenti (cerchietti) hannoi siti catalitici all'estremità della fibrilla o al suo interno. Il legame tra CBH I e orocolloidale consente di localizzare il substrato enzimatico specifico. Nelle micorrizeVAM (fotografia in basso) l'enzima si lega a materiali presenti nello spazio di in-terfaccia (freccia) tra la parete del fungo in fase arbuscolare e la membrana pe-riarbuscolare dell'ospite, indicando che nel sito vi sono molecole simili alla cellulosa.

PARETE DELL'OSPITE

L'interfaccia fungo-ospite presenta caratteristiche che la distinguono dalla paretecellulare periferica dell'ospite. Molte molecole in essa contenute sono in comunecon la parete periferica della pianta, ma hanno diversa organizzazione morfologica.

40 LE SCIENZE n. 284, aprile 1992 LE SCIENZE n. 284, aprile 1992 41

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MICORRIZASTOP

MOLECOLE SEGNALE

FUNGO OSPITE

CRESCITASIMBIONTICA

VARIAZIONINELLA MORFOLOGIARADICALE, NEL CICLOCELLULAREE NELL'ESPRESSIONEGENICA (SINTESIDELLE MOLECOLEPARIETALI. HRGP,PROTEINE LEGATEALLA PATOGENESI)

SET NON AGGRESSIVODI ENZIMI LITIGI

CONTROLLODELLA MORFOGENESIFUNGINA

ARABIN ANO GALACTANO

ara

ara

ara ara gal

ara ara

ara

ara

ara ara

ara ara

ara ara

ara ara

— hyp — hyp hyp hyp — ser —• ACIDO POLI-

GALATTURONICO R = RAMNOSIO

. o0712-00CL CC

O

(7)

O

COOHCOOH

COOH

gal

ser

La componente plastica della parete cellulare è rappresentatadalle pectine, orno- o eteropolimeri dell'acido galatturonicocon legame a I-4 (formula in alto a sinistra). Usando anticorpimonoclonali ottenuti a partire da protoplasti di carota e ingrado di riconoscere omogalatturonani, abbiamo localizzatogli antigeni contro questi anticorpi non solo sulla lamella me-diana della parete cellulare di porro, pisello, Ginkgo biloba -come previsto - ma anche nella zona di interfaccia tra piantae fungo (fotografia in basso a sinistra). Un'altra importantecomponente della parete cellulare dei vegetali è rappresentata

da una classe di glicoproteine, le proteine ricche di idrossipro-lina (HRGP) la cui struttura primaria ricorda il collageno ani-male (in alto a destra). Queste proteine sono costituentidella parete, ma tendono ad aumentare a causa di stress bio-tici o abiotici. Nelle micorrize VAM, dal pisello al mais, ab-biamo costantemente localizzato, mediante anticorpi policlo-nali contro la idrossiprolina di melone o di mais, molecoleche interagiscono con gli anticorpi nella zona di interfaccia onei pressi della membrana periarbuscolare. La fotografia inbasso a destra mostra queste molecole in una radice di pisello.

trollo della pianta (modificazioni delcitoscheletro?) sembrano pertanto nonpermettere un normale assemblaggiodelle molecole parietali.

o scomparto di interfaccia è limitato-1—a da una membrana originata dall'o-spite. E questo un carattere comune anumerosi altri sistemi del mondo biolo-gico. Nelle simbiosi, il partner endosim-bionte solo di rado è in diretto contattocon il citoplasma dell'ospite: è questo unlivello estremo di internalizzazione, chepuò essere visto come la tappa ultimadella simbiosi, quella che porta alla qua-si fusione dei partner e alla loro perditadi identità. Molto più spesso i partnermantengono separati i loro confini.

Nel caso dei patogeni (dove il termine

simbiosi viene usato nella sua accezionepiù vasta di vivere insieme, senza speci-ficare come!), la cellula vegetale stendeuna membrana periaustoriale attorno al-l'austorio fungino. Nel caso dei batterisimbionti come i rizobi, la membranaperibatteroide avvolge il procariote co-me tappa finale del processo di interna-lizzazione. In tutti gli esempi descritti disimbiosi intracellulare (vale a dire quan-do il simbionte è all'interno dei confinidella cellula ospite), la membrana checirconda l'organismo endosimbionte de-riva dalla membrana plasmatica.

Il contatto con la membrana perifericasi perde spesso nelle simbiosi con orga-nismi procarioti, mentre la continuitàmorfologica viene mantenuta nel casodei simbionti fungini.

ara

ara

ara

ara

hyp

Alcune delle domande che sorgono aquesto proposito sono: quali rapportiesistono tra il plasmalemma e la mem-brana che avvolge l'organismo coloniz-zatore (nel nostro caso il fungo simbion-te)? Quali sono le relazioni tra la mem-brana periarbuscolare e quella identifi-cata negli altri sistemi simbiontici?

Nel rispondere a queste domande si èverificato che la membrana periarbusco-lare è sede di attività ATPasiche, comela membrana plasmatica. Questo sugge-risce che esista un meccanismo di tra-sporto bidirezionale tra pianta e fungo,diversamente da quanto avviene in alcu-ni patogeni biotrofi, dove nessuna attivi-tà ATPasica è stata provata.

Altri esperimenti hanno indicato inte-ressanti somiglianze tra le membrane

periarbuscolari e quelle peribatteroidi.Peter Wyss dell'Università di Basilea haisolato l'RNA messaggero da radici mi-corrizate e non micorrizate di soia, l'hatradotto in vitro e ha osservato che al-meno due polipeptidi espressi nelle ra-dici micorrizate erano immunoprecipita-ti da un anticorpo ottenuto contro nodu-line di membrane peribatteroidi.

Le noduline sono proteine consideratecome la tipica espressione della simbiositra rizobi e leguminose; sono state iso-late, caratterizzate e di alcune si conoscela sequenza genica e la funzione. Posso-no essere proteine solubili o associate al-la membrana peribatteroide.

L'esperimento di Wyss è quindi laprima dimostrazione che proteine e-spresse nei noduli sono presenti anchenelle micorrize VAM. Tuttavia di questenoduline non conosciamo la precisa lo-calizzazione nelle radici micorrizate enon possiamo quindi avanzare alcunaipotesi sul loro significato. E interessan-te ricordare però che uno di questi po-lipeptidi espressi nelle radici micorrizateha un peso molecolare corrispondente aquello della nodulina 26, che è verosi-milmente coinvolta in meccanismi ditrasporto, come altre omologhe proteinetransmembrana.

Un approccio diverso è stato seguitoin un progetto di collaborazione conNick Brewin al J. Innes Institute di Nor-wich. Anziché isolare i messaggeri perla sintesi di proteine specifiche dello sta-to simbiontico, si sono isolate sondespecifiche per i prodotti finali del pro-cesso biosintetico usando la tecnica de-gli anticorpi monoclonali.

Gli anticorpi monoclonali (MAB) so-no un potente mezzo per analizzare l'e-terogeneità molecolare di strutture com-plesse. I vantaggi di questo approccioconsistono sia nella possibilità di defini-re a priori il comparto di interesse - nelnostro caso la zona di interfaccia - sia diampliare l'indagine a molecole biologi-che diverse.

Mentre le tecniche di cDNA si limi-tano a individuare polipeptidi, i MABnon hanno restrizioni al tipo di antigenericonosciuto e si rivelano sonde insosti-tuibili per seguire le varie tappe di gli-cosilazione e le modificazioni che av-vengono in situ durante la simbiosi.

I dati ottenuti sulla membrana peribat-teroide dimostrano che a essa è associatauna popolazione di molecole altamenteglicosilate assimilabili al glicocalice del-le cellule animali, e che l'espressione dialcune di queste componenti varia nellediverse fasi di sviluppo del nodulo. Puravendo perso il contatto con la membra-na plasmatica, la membrana peribatte-roide mantiene molte componenti in co-mune con essa. Non sorprende quindiche le stesse componenti siano state tro-vate sulla membrana periarbuscolare checirconda l'arbuscolo VAM, membranache è in continuità con il plasmalemma.

Alcuni degli antigeni evidenziati, tracui quello riconosciuto dall'anticorpo

COMPATIBILITACELLULARE E FISIOLOGICA

MIGLIORAMENTODELLO STATUS VEGETATIVO,

COMPLETAMENTO AUMENTATADEL CICLO CELLULARE VALENZA ECOLOGICA

Lo schema suggerisce alcune battute del dialogo tra pianta e fungo durante la lorovita in comune. Il processo infettivo richiede un comportamento non aggressivo daparte del fungo (pena il passaggio a una situazione patogenica) e una profondamodificazione nell'espressione genica da parte dell'ospite. Il risultato conduce auno stato di compatibilità cellulare e fisiologica vantaggiosa per entrambi i partner.

B A B A B

Al R2 R2 R3 R3

116 -97 -

66 -66

44

29•■■•

29

L'isolamento di RNA messaggero da radici micorrizate (R1, R2, R3), non micorri-zate (R) e da noduli radicali (N) di piantine di soia e la successiva traduzione in vi-tro hanno recentemente permesso a Peter Wyss di identificare tra i polipeptidi spe-cifici del nodulo due tipi che sono espressi anche nelle radici micorrizate (a destra).

A ABB A

RNR N Al

116 —

97 -•.■•■

••••■ 44

42 LE SCIENZE n. 284, aprile 1992 LE SCIENZE n. 284, aprile 1992 43

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MAC 266, sono tuttavia espressi parti-colarmente sulla membrana periarbusco-lare e sul materiale di interfaccia a essaassociato, mentre sono assenti sullamembrana che circonda le altre strutturefungine intracellulari, quali i gomitoli.

Questo suggerisce che la membranache circonda il fungo nelle varie fasi dipenetrazione cellulare ha caratteristichediverse, anche se l'esatta natura degliantigeni identificati rimane da determi-nare. Così, per il momento, ci sentiamocome un lettore di libri gialli a metà delracconto: abbiamo a disposizione parec-chi indizi, sappiamo che alcune moleco-le di membrana sono espresse contem-poraneamente durante la formazione deinoduli e delle micorrize in pisello, manon conosciamo ancora esattamente laloro natura.

La caratterizzazione della zona di in-terfaccia che si forma con il diffe-

renziarsi dell'arbuscolo (modificazionedella parete fungina, deposizione di mo-lecole di parete della pianta, espressionedi nuove componenti di membrana) ciha permesso di identificare uno scom-parto che è specifico dello stato di equi-librio raggiunto dai due simbionti. Ladomanda che ci poniamo ora è quali sia-no i meccanismi che permettono di rag-giungere tale equilibrio.

Per definizione, una simbiosi mutua-listica deve essere caratterizzata da unaprevalenza di strategie non aggressive.Che le micorrize si basino su tali strate-gie è stato dimostrato in parecchi labo-ratori negli ultimi anni. Si è visto che ifunghi VAM non causano l'attivazionedelle vie di difesa che le piante «inne-scano» quando sono in condizioni distress, sia esso causato da fattori bioticio abiotici. Il prodotto ultimo di tali vieè spesso rappresentato dalle PRP (dapathogenesis related proteins), proteineidentificate come glucanasi, chitinasi,enzimi che attaccano la parete fungina.Queste proteine non sembrano variare illoro livello in presenza del fungo VAM,almeno nei sistemi finora indagati.

Ma come mai la pianta non si accorgedi un invasore che è in grado di coloniz-zare fino all'80 per cento delle celluledel suo parenchima corticale? Il fungopossiede la corretta parola d'ordine, op-pure come una spia riesce a passare nel-l'ombra, inosservato?

Per ora possiamo solo avanzare alcu-ne ipotesi, che riguardano ancora unavolta le superfici cellulari dei simbiontie gli enzimi che intervengono nel lorometabolismo. Le molecole più attivenello stimolare le difese della pianta so-no gli oligosaccaridi, in genere spezzonioriginati dalle pareti di funghi patogenicome prodotti di idrolisi da parte di enzimi quali chitinasi o glucanasi. Si puòipotizzare che i funghi VAM sottopostiallo stesso tipo di attività idrolitica nonrilascino tali spezzoni: alcuni nostriesperimenti suggeriscono che nella loroparete chitina e glucani siano legati in

modo tale da non essere accessibili aglienzimi litici di parete prodotti dallapianta. In questo modo, tutto il sistemadi difesa non sarebbe attivato.

Si sa che un requisito importante nelleinvasioni di patogeni è la produzione daparte del fungo di enzimi idrolitici, inparticolare la pectinasi, che, indebolen-do la struttura della parete cellulare, per-mettono al fungo di penetrare nella cel-lula. Inoltre questi stessi enzimi provo-cano nelle varietà di piante incompatibiliil rilascio di oligosaccaridi dalle mole-cole pectiche di parete. Questi spezzonipossono avere una funzione informazio-nale e innescare le vie di difesa dellapianta. Una possibile alternativa quindi,suggerita dai dati finora ottenuti sullemicorrize VAM, è che le quantità di en-zimi pectinolitici rilasciati dal fungo sia-no molto ridotte, sufficienti per permet-tere la penetrazione delle cellule radica-li, ma insufficienti per svegliare i mec-canismi di difesa della pianta.

In conclusione siamo solo agli inizidella comprensione delle basi molecola-ri delle strategie non aggressive messein atto dalla pianta e dal fungo quandovivono assieme in una micorriza: possia-mo tuttavia affermare che, a livello di in-tegrazione organismica, queste strategiesi traducono in un effetto cooperativo. Ilfungo simbionte, infatti, completa il suociclo vitale, mentre la pianta migliora lasua valenza nell'ambiente. Da un puntodi vista ecologico ed evolutivo vivere in-sieme sicuramente paga!

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44 LE SCIENZE n. 284, aprile 1992

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L'ordine e la bellezza della Natura si fondano sulladiversità e sulla molteplicità, sugli elementi, gli esseri,i sistemi che partecipano tutti insieme a una meravi-gliosa Unità, armonica ed equilibrata.

Questo il tema, antico quanto attuale, di "AnimaMundi", il film di Godfrey Greggio con musiche diPhilip Glass, che ha aperto fuori concorso il Festival delCinema di Venezia.

"Anima Mundi", ideato e prodotto da Bulgari percelebrare la Campagna sulla Diversità Biologica delWWF, è un'ode alla natura concepita come intrecciopoetico di musica ed immagini. Il film si basa su unaselezione delle più belle immagini di repertorio esi-stenti nel campo del naturalistico e di immagini origi-nali.

Fa da sfondo una colonna musicale continua com-posta da Philip Glass, in cui si mescolano ritmi emusiche appartenenti alla tradizione etnica più genui-na.

Numerosi temi filosofici ed ecologici sono stretta-mente collegati con questa idea della natura comerespiro cosmico della terra.

Dalle Upanisad, gli antichi testi della tradizioneindiana che concludono il ciclo dei Veda, fino allanascita della psicoanalisi, la storia del pensiero dell'uo-mo è percorso dal concetto di "anima mundi".

Fu presumibilmente il neoplatonico Calcidio, tra-duttore del Timeo di Platone nel IV secolo d.C. arisolvere il greco psychè tuo Kosmon (psiche delcosmo) con la fortunata formula latina "anima mundi",con la quale si identificava l'idea di un organismovivente, permeato da un'essenza psichica che infondeenergia a tutte le cose.

Ed è questa idea della terra come organismovivente, con un ecosistema regolato da leggi biologi-che e da equilibri energetici in cui tutto è interdipen-dente che è il cardine della Campagna sulla DiversitàBiologica del WWF.

Questo il concetto che Godfrey Greggio ha tra-dotto in immagini per dar vita ad un'opera poetica

immediata e profonda che permette di far percepireemotivamente i contenuti, invece che descriverli espiegarli.

L'intenzione del regista è quella di rappresentareartisticamente la forza e la ricchezza della naturaattraverso un percorso che riscopra il concetto, pro-fondo ed arcaico, di uomo come parte del mondonaturale.

Ma il film "Anima Mundi" non è che una parte,seppure fondamentale, dell'ampio progettoa suppor-to della Campagna sulla Diversità Biologica del WWF,che vede Bulgari come illuminato mecenate.

I diritti del film sono stati interamente donati alWWF che ne ha fatto il "manifesto" della Campagnasulla Diversità Biologica.10 gli eventi di gala per la presentazione del film,anch'essi organizzati da Bulgari, per far conoscere in10 capitali internazionali (Parigi, Tokio, Hong Kong,Roma, Londra, Madrid, Milano, Monaco, New York eSingapore) l'importanza di questo progetto.

Il sostegno di Bulgari a questo programma non siferma qui.Nell'asta internazionale di gioielli inediti della nuovacollezione Bulgari "Naturalia" organizzata da Sothebya Ginevra nel novembre dello scorso anno, sono statibattuti 14 oggetti creati appositamente per il WWF daBulgari con soggetti naturali per un totale di 500milioni di lire.

L'intero ricavato e la commissione del battitoreSotheby's sono stati devoluti al WWF International.Paolo Bulgari, presidente di Partecipazioni Bulgari, aproposito dei risultati dell'asta ha detto: "Sono soddi-sfatto dell'interesse del pubblico nei confronti di que-sta causa ambientale e dei risultati positivi dell'asta. Ilricavato ottenuto offre un contributo significativo allaCampagna sulla Diversità Biologica del WWF, unacampagna nata con lo scopo di modificare i nostrivalori, le nostre abitudini e il nostro atteggiamento neiconfronti del pianeta terra."