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ROMA TRE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “ROMA TRE” Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea Magistrale in “Ingegneria gestionale e dell’automazione” Insegnamento di “Comunicazione tecnico-scientifica” Titolare: Prof.ssa Giuditta Alessandrini Cultori della Materia: Dr.ssa Maria Vittoria Ballan, Dr. Roberto Caire Anno Accademico 2005/06 La comunicazione interpersonale Ottobre 2005 Dispensa didattica ad esclusivo uso interno a cura di Maria V. Ballan

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ROMATRE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “ROMA TRE” Facoltà di Ingegneria

Corso di Laurea Magistrale in “Ingegneria gestionale e dell’automazione”

Insegnamento di “Comunicazione tecnico-scientifica” Titolare: Prof.ssa Giuditta Alessandrini

Cultori della Materia: Dr.ssa Maria Vittoria Ballan, Dr. Roberto Caire

Anno Accademico 2005/06

La comunicazione interpersonale

Ottobre 2005

Dispensa didattica ad esclusivo uso interno a cura di Maria V. Ballan

Comunicare dà consistenza alla nostra vita ed è essenziale per la sopravvivenza e la crescita. Fin dagli albori dell’umanità l’uomo si è, per quanto rozzamente, sforzato di esprimersi: molto prima dello sviluppo del linguaggio,gli individui si trasmettevano i messaggi senza parole attraverso suoni,posture o gesti. Con l’andare del tempo si sviluppò la rappresentazione pittorica e ci fu una fioritura di segni e simboli, con il linguaggio nacque la parola scritta e messaggi molto più precisi,affiancati da una serie di creazioni più astratte ed immaginative. Possiamo perciò dire che nell’esistenza umana la comunicazione è essenziale a diversi livelli e per un’ampia serie di motivazioni : prima di tutto risponde a bisogni di tipo fisico, la sua presenza od assenza può avere una notevole influenza sulla salute infatti diversi studi hanno dimostrato che le persone sole o con scarse relazioni interpersonali sono più soggette a malattie e persino a morte prematura (Adler, Towne, 1990). In secondo luogo la comunicazione contribuisce a formare e consolidare il nostro senso di identità che si basa, appunto, su come noi interagiamo e sui messaggi e feedback che fin dall’infanzia, gli “altri significativi” ci inviano. Con la comunicazione possiamo soddisfare alcuni bisogni sociali come il senso di appartenenza, la necessità di controllo e di influenza sulle persone, il dare e ricevere affetto. Inoltre, anche se può sembrare banale affermarlo, la comunicazione appare necessaria nella vita quotidiana di ognuno di noi in quanto risponde a bisogni di tipo pratico quale chiedere una informazione ecc.

Tutto ciò ci porta a cercare di dare una definizione della comunicazione: cosa intendiamo per comunicazione?

Forse può essere utile iniziare sgombrando il campo da un equivoco nel quale spesso si incorre e cioè quello di considerare il verbo comunicare quale sinonimo di trasmettere, è un errore di prospettiva che tende a confondere un fenomeno estremamente complesso con una sua parte. Ci può essere di aiuto analizzare attentamente l’etimologia dei due verbi: trasmettere deriva dal verbo latino transmittere, composto da mittere (mandare, inviare) e dal prefisso trans che significa attraversamento , passaggio, tale verbo perciò indica semplicemente l’invio di un dato messaggio, troppo poco per rendere la complessità semantica e concettuale di comunicare che invece significa “condividere”, “avere qualcosa in comune”, “interagire” e se comunicare vuol dire tutto ciò la trasmissione di un messaggio ne è soltanto una parte.

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“Un tempo, neppure troppo lontano, si diceva “comunicare con”, mentre oggi si dice semplicemente e con stupefacente disinvoltura “comunicare a”. E non sembra che sia necessario attendersi risposta “ (Ferrarotti)

Anzitutto potremmo dire che chi comunica è una “fonte di trasmissione “ chiameremo “veicolo di trasmissione” il mezzo che usiamo per comunicare, “canale di comunicazione” la strada attraverso cui passa la comunicazione, “messaggio” l’oggetto della comunicazione, “strumento di ricezione” il mezzo con il quale la persona raccoglie il messaggio, infine “ destinatario “ la persona alla quale indirizziamo il messaggio. INTERFERENZA Fonte di Destinatario trasmissione Messaggio Messaggio Veicolo di trasmissione Canale di Strumento di trasmissione ricezione

, vera e propria Spada di Damocle che pende sulla testa sia di chi trasmette, sia di chi riceve, in quanto può sempre ostacolare la trasmissione e la ricezione di un messaggio.

Come in fisica esiste un fenomeno per cui i raggi luminosi, incontrandosi, si distruggono a vicenda, così nella comunicazione può accadere che la trasmissione o la ricezione di un messaggio sia ostacolata da un qualcosa che si frappone tra chi trasmette e chi riceve. L’interferenza può essere presente nella fonte di trasmissione (per esempio chi trasmette può essere balbuziente o parlare una lingua diversa), nel messaggio (si possono usare termini astrusi o talmente astratti da essere incomprensibili), nel veicolo di trasmissione (microfono non funzionante, disturbi nella linea); l’interferenza può essere il rumore, un grande freddo o un calore intenso, qualsiasi impedimento che si trovi lungo il canale di comunicazione. Può esservi interferenza anche nello 3

strumento di ricezione ed infine nel destinatario stesso, in quanto non è in condizioni favorevoli, spirituali o fisiche, per ricevere il messaggio nel momento in cui lo trasmettiamo. Il metodo migliore per prevenire le interferenze è cercare di visualizzare come arriverà il messaggio, attraverso l’esame preventivo di ogni singolo passaggio e valutando la ricezione attraverso il feedback concentrandoci sul destinatario ; è lui che dobbiamo raggiungere, è lui il motivo della nostra comunicazione.

In questo senso assume un valore fondamentale il concetto di feedback in quanto non si possono considerare i processi comunicativi in termini astratti o la comunicazione come un fenomeno neutro,asettico,da laboratorio sperimentale, ma bensì come una materia viva,concreta, creata nella società dall’insieme di soggetti che esprimono desideri,bisogni,scopi e finalità che la stessa vita sociale comporta. Interagendo con gli altri noi ci preoccupiamo non solo di fornire e raccogliere informazioni ma anche della immagine che diamo,i nostri “incontri sociali” ci servono per confermare la nostra identità e per questa ragione ci chiediamo cosa gli altri stiano pensando e quali sentimenti stiano provando.

Ci sono situazioni che richiedono una abilità sociale e professionale ben specifica in cui il rilievo delle informazioni retroattive assumono davvero un valore centrale: pensiamo ad un venditore, per lui sarà fondamentale acquisire informazioni sulla comprensione e sul consenso da parte del cliente, ma anche sugli atteggiamenti che il cliente medesimo ha nei suoi confronti e nei confronti di una positiva decisione di acquisto.Dunque per feedback possiamo intendere l’equivalente di risposta/reazione ad un messaggio, relativamente ad un qualsiasi processo di comunicazione e distinguere in ordine al tempo: feedback coerente (se il destinatario mostra di aver compreso significato,senso e contesto del messaggio ricevuto) e feedback incoerente. In ordine alla qualità: feedback atteso (esito positivo del processo), feedback inatteso (esito imprevisto), feedback disatteso (esito negativo).

Tornando alla nostra domanda iniziale “Cosa intendiamo per Comunicazione?” possiamo dire che, nonostante l’importanza ad essa riconosciuta nelle scienze sociali e del comportamento, non c’è un accordo sulla sua definizione e numerosi sono gli approcci elaborati all’interno di varie discipline, che però al di là di una apparente somiglianza danno spiegazioni diverse del fenomeno. Continuando

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comunque a seguire il filo conduttore che abbiamo delineato fino ad ora potremmo collocare la nostra prospettiva all’interno del quadro teorico secondo cui la comunicazione viene definita in base a due caratteristiche fondamentali e che la distinguono dal semplice comportamento (Wiemann, Giles, 1988):

1) livello di consapevolezza e quindi intenzionalità nella persona emittente necessari per codificare gli elementi di un messaggio (può essere ridotta come nelle attività di routine, tipo i saluti o le formule di cortesia, oppure molto accentuata come nel caso dell’inganno);

2) 2) considerare la comunicazione come un processo, un sistema che coinvolge più soggetti sociali in una serie di eventi.

MODELLI TEORICI

Modello lineare

Il modello più importante sviluppato in questo ambito è quello di Shannon e Weaver (1949) all’interno del loro lavoro sulla Teoria matematica della trasmissione dei segnali elettronici, adottato poi dalla psicologia sperimentalista e comportamentista. E’ uno schema molto semplice in cui la comunicazione viene considerata come un comportamento spiegabile secondo la logica dello stimolo-risposta: l’emittente codifica idee e sentimenti in una sorta di messaggio, lo spedisce attraverso un canale ad un ricevente che risulta essere una macchina di decodifica passivo e muto. Viene introdotto anche il concetto di rumore, inteso come una qualsiasi forza che interferisce con una comunicazione efficace.

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Canale Fonte(emittente) Segnale (messaggio) Destinatario

Rumori Codificazione Decodificazione ( Modello “ Matematico “- Shannon e Weaver )

Modello Interattivo

Se il modello lineare viene definito come “la metafora del condotto“,la prospettiva interattiva può essere paragonata ad una “partita a tennis” verbale e non verbale in cui i messaggi vanno avanti e indietro tra le parti interagenti. Vengono introdotti concetti importanti come quello di feedback ed ambiente, inteso non solo come luogo fisico ma anche come storia personale che i partecipanti portano nella conversazione. La comprensione reciproca è resa possibile dal fatto che i due ambienti in parte coincidono e perciò i due interlocutori hanno un certo grado di conoscenze e background in comune. La critica più importante che viene rivolta a questo modello è quella di considerare la comunicazione come una attività statica, con un inizio ed una fine ben precisa, mettendo l’accento sulla produzione dei vari atti come azioni singole di persone individuali.

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EMITTENTE CODIFICA MESSAGGIO DECODIFICA RICEVENT

CANALI CANALI

RICEVENTE DECODIFICA MESSAGGIO CODIFICA EMITTENT

AMBIENTE DI”A” AMBIENTE DI”B”

(Modello interattivo, adattato da Adler-Towne)

Modello dialogico

Gli studi più recenti in ambito psicosociale si sono preoccupati proprio di rivedere questo aspetto,sottolineando il carattere più “dialogico” della comunicazione che viene considerata come un processo, all’interno del quale gli interlocutori sono contemporaneamente emittenti e riceventi e contribuiscono a creare il significato degli scambi ed a realizzare un progetto comunicativo comune. Mettendo in evidenza la natura simultanea dell’interazione e la conseguente difficoltà di analizzare un singolo atto di comunicazione assume una particolare importanza il concetto di contesto. Prendiamo in considerazione per esempio la discussione di due coniugi relativamente a come trascorrere le vacanze . Il marito dice: “Potremmo andare in montagna, come l’anno scorso” ma la moglie prima ancora che la frase venga terminata comincia ad aggrottare la fronte e ad alzare le sopracciglia in segno di disappunto (manda un messaggio non verbale, argomento che sarà affrontato più approfonditamente in seguito).

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Questo può portare il marito ad interrompersi e la moglie ad inviare un messaggio difensivo :“No,aspetta un attimo”: molto probabilmente il messaggio non verbale riportato sopra nasce da scambi precedenti, così come interazioni successive dipenderanno dall’esito di questa conversazione.

Contesto Messaggio Emittente Destinatario Feedback

Codice (Modello dialogico o circolare)

La Pragmatica della Comunicazione

È possibile pensare che i rapporti interattivi tra individui siano determinati essenzialmente dai tipi di comunicazione che essi adoperano fra loro? E’ stata questa domanda che ha portato un gruppo di ricercatori del Mental Research Institute di Palo Alto (Watzlawick, Beavin, Jackson) ad analizzare in un loro testo, “Pragmatica della Comunicazione Umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi”, gli effetti pragmatici e cioè comportamentali della comunicazione.

La tesi centrale dei loro studi è che “un fenomeno resta inspiegabile finché il campo di osservazione non è abbastanza ampio da includere il contesto in cui il fenomeno si verifica”.

“Nel giardino di una casa di campagna, visibile dal marciapiede esterno,un grosso signore con tanto di barba striscia accoccolato per il prato tracciando degli otto, mentre continua a guardarsi indietro e a fare ininterrottamente qua qua qua…”E’ la descrizione che l’etologo Konrad

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Lorenz ci dà del proprio comportamento durante uno dei suoi memorabili esperimenti con gli anatroccoli (nella fattispecie si era sostituito alla loro madre). “Ero molto compiaciuto”, scrive, “dei piccoli che ubbidienti e precisi seguivano trotterellando il mio qua qua, quando ad un certo momento alzai gli occhi e vidi una fila di volti allibiti affacciata sopra la siepe del giardino: una intera comitiva di turisti mi guardava stupefatta “. L’erba alta nascondeva gli anatroccoli e quello che vedevano i turisti era un qualcosa del tutto inspiegabile, un comportamento veramente folle. (96, p.43).

L’obiettivo che i ricercatori di Palo Alto si prefiggevano era quello di superare una visione statica e meccanica del fenomeno comunicazione e la considerazione dell’individuo come una monade, cosa che le scienze del comportamento continuano, almeno in parte, a fare: studiando una persona dal comportamento disturbato si estende l’indagine anche agli effetti che tale comportamento ha sugli altri, alle loro reazioni ed al contesto in cui tutto ciò accade, il centro dell’interesse si sposta dalla monade isolata alla relazione tra le parti di un sistema più vasto. Proprio a questo proposito è molto interessante riflettere sulle affinità che gli autori ritengono di avere, nella formulazione delle loro ipotesi, con la matematica piuttosto che con la psicologia tradizionale: infatti è proprio la matematica quella disciplina in cui l’oggetto di interesse sono i rapporti tra entità e non la loro natura isolata. Centrale diventa il concetto matematico di funzione ,messo in parallelo con quello psicologico di relazione e gli autori fanno un breve excursus all’interno della teoria del numero per spiegare meglio i loro assunti. Spengler (Il tramonto dell’occidente,1957) evidenzia molto chiaramente come la storia del sapere occidentale sia nata dalla progressiva emancipazione dal pensiero antico, pensiero che, nel campo della scienza ed in generale nella nostra civiltà,ha esercitato per secoli una profonda e persistente influenza, era come se il desiderio continuo di emulare l’antico ci togliesse il coraggio di avere un pensiero nostro. Per duemila anni si è creduto che i numeri fossero l’espressione di grandezze, i matematici greci ritenevano che fossero grandezze concrete,intuitive,proprietà di oggetti ugualmente reali perciò lo scopo della geometria era misurare e quello della aritmetica contare e , naturalmente, era impensabile la nozione di zero come numero, tanto meno quella di grandezze negative. Per dirla perciò con le parole di

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Spengler; “l’evoluzione della nuova matematica è stata una lunga,segreta e,infine,vittoriosa lotta contro il concetto di grandezza” che si è concretizzata con l’apparire sulla scena del concetto di variabile: la variabile non ha un valore indipendente ma solo in rapporto ad un’altra variabile ed il concetto di funzione è costituito proprio da tale rapporto. Allo stesso modo il rapporto dell’uomo con la realtà, la sostanza di ogni nostra percezione, non è costituita da “cose“ ma da funzioni, che non sono grandezze isolate ma “segni per un nesso”.

Altro concetto fondamentale è quello di informazione e retroazione. Prendiamo in considerazione questo esempio: se un uomo camminando colpisce con il piede un sasso, l’energia espressa dal piede verrà trasferita al sasso che si muoverà e si fermerà in una certa posizione,determinata da fattori come la quantità di energia trasmessa, la forza ed il peso del sasso, la natura della superficie su cui è rotolata.Se invece un uomo dà un calcio ad un cane,quest’ultimo può reagire mordendolo e non prende l’energia per la sua reazione dal calcio ma dal proprio metabolismo, non si ha trasmissione di energia ma di informazione.

Gli autori utilizzano questo esempio per evidenziare la differenza tra la psicodinamica freudiana, che considerava il comportamento come una conseguenza di una azione reciproca di forze intrapsichiche, non prendendo in considerazione le forze esterne,l’interdipendenza tra l’individuo ed il suo ambiente e le teorie della comunicazione che, al contrario,assumendo i principi fondamentali della cibernetica oltrepassa lo studio dei rapporti lineari, di causa ed affetto, introducendo i concetti fondamentali di informazione e retroazione. Se l’evento A produce l’evento B e poi B produce C ecc… potrebbe sembrare di essere ancora nell’ottica di un sistema lineare, deterministico, ma se poi C riconduce ad A il sistema diventa circolare ed anche il suo funzionamento è decisamente diverso. La retroazione può essere positiva o negativa, non nel senso della sua desiderabilità o meno, ma nel senso che una ( quella negativa ) caratterizza l’omeostasi e cioè la stabilità delle relazioni e l’altra ( quella positiva ) provoca invece un cambiamento e cioè la perdita di stabilità ed equilibrio.

I sistemi interpersonali possono perciò essere considerati circuiti di retroazione in quanto il comportamento di ogni persona influenza ed è influenzato dal comportamento di ogni altra persona. Obiettivo principale

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dei ricercatori di Palo Alto perciò fu quello di scoprire i procedimenti pragmatici,cioè comportamentali, e l’insieme di quelle regole che vengono osservate nella comunicazione efficace e violate nella comunicazione disturbata. Per far questo postularono 5 assiomi fondamentali:

1) L’impossibilità di non comunicare: il comportamento non ha un suo opposto, per quanti sforzi possiamo produrre non riusciremo mai a non comunicare. Anche il silenzio o l’inattività hanno valore di messaggio, influenzano gli altri che a loro volta non possono non rispondere. Prendiamo il caso di due passeggeri d’aereo,A e B: A vuole conversare mentre B no, sicuramente quello che A non può fare è andarsene oppure non comunicare, a questo punto le reazioni possibili sono:

• Rifiuto della comunicazione : con modi bruschi e decisi A può far chiaramente capire a B che non vuole conversare ma ciò provocherà un clima di tensione ed oltretutto A non è riuscito ad evitare una relazione con B

• Accettazione della comunicazione : A si rassegna, suo malgrado , a conversare.

• Squalifica della comunicazione : A può ricorrere a questa tecnica per difendersi esprimendosi in modo da invalidare la propria comunicazione o quella dell’altro ( ad esempio contraddicendosi, cambiando argomento, dando risposte incoerenti o incomplete )

• Sintomo come comunicazione: A può far finta di dormire,di essere sordo, di non capire la lingua, utilizzare perciò il “sintomo” come un messaggio non verbale: “ non sono io che non voglio fare questo,è qualcosa che non posso controllare “.

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2) Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed un aspetto di relazione : L’aspetto di relazione classifica quello di contenuto ed è quindi metacomunicazione. Ogni atto comunicativo ha un aspetto di “notizia” ( trasmette informazioni) ed uno di “comando” (identifica la relazione esistente ).Es: un uomo incontra un amico dopo tanto tempo e dice “ma come sei invecchiato!“, dopo però può aggiungere “come me del resto”.

Se sul contenuto si può trovare un accordo (dati oggettivi), sulla relazione il problema è più complicato perché riguarda la definizione che i soggetti offrono di sé e dell’altro.A questo riguardo tre sono le possibili reazioni:

• Conferma : si accetta la definizione

• Rifiuto: “tu hai torto”, comunque presuppone il riconoscimento,seppur limitato,della definizione che un interlocutore ha dato di sé.

• Disconferma : è la possibilità più importante per la pragmatica della comunicazione umana, equivale a “ tu non esisti”, non si occupa della verità o della falsità della definizione che un interlocutore da di sé ma nega la realtà dell’emittente di tale definizione.

3) La punteggiatura della sequenza di eventi: I nostri scambi comunicativi non costituiscono una sequenza ininterrotta ma seguono una sorta di punteggiatura ed il disaccordo su come punteggiare la sequenza di eventi è alla base di innumerevoli conflitti di relazione. Ogni elemento della sequenza è simultaneamente stimolo, risposta, rinforzo, mentre spesso gli organismi coinvolti,data la loro incapacità di metacomunicare, ritengono semplicemente di reagire ad un dato stimolo. Anche un evento esterno fortuito può impedire di punteggiare in modo efficace la sequenza ( per esempio una lettera mai arrivata ).

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4) Comunicazione numerica ed analogica: Per “linguaggio numerico” intendiamo le parole, segni arbitrari dovuti ad una convenzione semantica e che ha una importanza particolare perché serve a scambiare informazioni sugli oggetti ed ha la funzione di trasmettere la conoscenza di epoca in epoca. Il linguaggio analogico si riferisce invece ad ogni comunicazione non verbale, ha le sue radici in periodi molto più arcaici della evoluzione e riguarda prevalentemente il settore della relazione. Il materiale del messaggio analogico può avere però molti aspetti contraddittori e prestarsi ad interpretazioni numeriche diverse e spesso incompatibili,fondamentale perciò diventa la capacità di dare una numerizzazione corretta e correttiva del messaggio analogico.

5) Interazione complementare e simmetrica: L’interazione simmetrica è caratterizzata dalla uguaglianza e cioè il comportamento di un membro tende a rispecchiare quello dell’altro, le relazioni complementari invece sono caratterizzate dalle differenze esistenti tra le persone. Nella comunicazione, la simmetria e la complementarità non sono in sé buone o cattive, normali o anormali, entrambe svolgono funzioni importanti e sono necessarie nelle relazioni “ sane “, questo però se si alternano ed operano in settori diversi. Questo significa che anche nelle relazioni più tipicamente complementari o asimmetriche vi possono essere degli scambi basati sul riconoscimento reciproco delle rispettive aree di competenza. Quando invece nelle relazioni si irrigidisce una delle due modalità di entrare rapporto con l’altro si producono patologie o fallimenti comunicativi. Sarebbe auspicabile che ci si mettesse in relazione in modo simmetrico in certe situazioni ed in modo complementare in altre. Per esempio una relazione rigidamente simmetrica (dove è sempre presente il pericolo della competitività, il voler essere “un po’ più uguale dell’altro”) può evolvere in una sorta di escalation, una rigidamente complementare invece può produrre una fissazione dei ruoli degli interlocutori, che perciò si trovano sempre in posizione one-up l’uno e one-down l’altro senza che venga offerta la possibilità di modificare tali posizioni.

Dalla corposa letteratura esistente possiamo cercare di sintetizzare alcuni punti che aiutano a superare , perlomeno a livello semantico, delle

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difficoltà nella comunicazione. Adler e Towne ( 1991 ) offrono i seguenti suggerimenti:

1) Distinguere i fatti dalle inferenze:

“Dato che ieri non mi hai telefonato (fatto), sei sicuramente arrabbiato con me (inferenza). Non è vero? (domanda)”.

Chiarire il comportamento oggettivo, separandolo dalle interpretazioni che ne abbiamo tratto, consente all’altro di commentare,aggiungendo informazioni mancanti,l’accuratezza della interpretazione avanzata.

2) Usare gli eufemismi con parsimonia:

Dire ad una amica “E’ una acconciatura originale” invece di “E’ veramente brutta”, quando magari tale pettinatura è stata già stroncata da tutti gli altri, può essere un modo gentile per mitigare una critica spiacevole ma va sicuramente a discapito della chiarezza del messaggio. Nella nostra amica rimarrà il dubbio circa le nostre, vere,opinioni.

3) Usare il linguaggio emotivo con moderazione:

Uno stesso oggetto può essere definito “classico” o “ fuori moda”, una persona un po’ fuori del normale come “ eccentrica” o “matta”, una azione militare “una vittoria” o “un massacro”. I termini a forte coloritura emotiva hanno una grande probabilità di essere male accolti e di porre l’altro un una posizione difensiva e di chiusura.

4) Evitare il linguaggio equivoco:

Quei termini cioè che hanno più di un significato comunemente accettato.

5) Diffidare delle valutazioni statiche:

Invece di affermare “Francesco è un ragazzo aggressivo”, sarebbe meglio sottolineare la situazione in cui il ragazzo è stato aggressivo. E’

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importante precisare il contesto in cui si verificano i comportamenti, consente di evitare l’etichettamento del soggetto attribuendogli tratti stabili e permanenti.

Modalità di disconferma e squalifica della comunicazione (Adler e Towne,1990) − Risposte impenetrabili: ignorare gli sforzi dell’altro di comunicare come,per esempio,rifiutarsi di rispondere ad una persona in una conversazione faccia faccia,non rispondere ad una lettera,non richiamare una persona al telefono.

− Risposte di interruzione: cominciare a parlare prima che l’altro abbia finito, dimostrare assenza di interesse per quanto sta dicendo.

− Risposte irrilevanti: risposte non collegate a quanto qualcuno ha appena detto.

− Risposte tangenziali: non si ignora la proposta del parlante ma la si utilizza come punto di partenza per introdurre un argomento completamente diverso.

− Risposte impersonali: utilizzazione solo di formule stereotipate o generiche.

− Risposte ambigue: contengono messaggi con molteplici significati,l’interlocutore non sa bene cosa l’altro pensi.

− Risposte incongruenti: contengono due messaggi, uno dei quali (di solito non verbale), è in contraddizione.

LA COMUNICAZIONE NON VERBALE

“L’organismo vivente si esprime più chiaramente con il movimento che non con le parole. Ma non solo con il movimento! Nelle pose, nelle posizioni e nell’atteggiamento che assume, in ogni gesto,l’organismo parla un linguaggio che anticipa e trascende l’espressione verbale”.

(Lowen, 1958, trad. at. 1978, p.3)

La C.N.V. costituisce un sistema di comunicazione sociale complesso ed elaborato che è strettamente legato ad un contesto ed influenzato da

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fattori culturali, svolge svariate funzioni, utilizza canali autonomi e ben definiti. L’apporto che numerose discipline (sociologia, psicologia, antropologia etc) hanno dato allo studio della C.N.V. ha contribuito a far superare la dicotomia fra C.N.V. e C.V., considerandoli aspetti differenti, ma dipendenti ed interagenti dello stesso processo comunicativo. Allo stesso modo si è ormai risolta quella che è stata per molto tempo una controversia fra i sostenitori delle teorie, per quanto riguarda l’origine dei segnali non verbali, di tipo innatista (prevalenza dei fattori genetici) e quelle di tipo ambientalista (prevalenza dell’ambiente e dell’apprendimento). Per esempio si è accertato che alcune espressioni del volto sono innate, i gesti invece sono per lo più appresi e rispetto alla loro codifica e decodifica cambiano di significato a seconda delle culture. Prendiamo in considerazione il sorriso: la sua espressione spontanea è innata, infatti è il prodotto di una attivazione del sistema neuromuscolare in seguito ad uno stimolo di tipo emotivo, ma si è evoluto come importante strumento di segnalazione sociale, gli individui possono perciò decidere quando e come esibirlo.Si può quindi affermare che alcuni segnali vengono emessi in modo volontario e con uno scopo ben preciso, altri invece sono una risposta spontanea ad uno stimolo e non vi è una intenzione di comunicare od un fine specifico: quando strizziamo un occhio in segno di intesa o portiamo un dito davanti alla bocca per chiedere silenzio, facciamo un uso cosciente di questi segnali,servendoci di un codice che si presume condiviso anche da parte di chi riceve il messaggio, una espressione di disgusto, in reazione ad un sapore od odore sgradevole,il rossore del viso sono invece reazioni spontanee di tipo fisiologico ben riconoscibili dagli altri ma emesse involontariamente. Spesso questi segnali,consapevoli ed inconsapevoli, sono entrambi presenti nel nostro comportamento.

Come per la C.V. anche per la C.N.V. è centrale il concetto di codifica e decodifica, abilità e competenza sociale determinante nello stabilire la qualità e la varietà dei nostri rapporti. Secondo Argyle (1988) in questo processo si possono verificare diverse possibilità:

• A e B attribuiscono ad un segnale non verbale lo stesso significato.

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• Il ricevente B interpreta in modo sbagliato il comportamento dell’emittente A e questo può accadere sia perché A è stato un emittente inefficace, sia perché B è stato un ricevente inefficace o per tutti e due i motivi.

• A invia un messaggio ingannevole che B non è capace di cogliere.

• A non ha intenzione di comunicare e B decodifica i messaggi contenuti nel suo comportamento ( uno sbadiglio in senso di noia,rossore del viso per una emozione).

• A non vuole comunicare e B interpreta scorrettamente il suo messaggio, cioè attribuisce ad un segnale un significato largamente diffuso (assenza di sorriso come segno di dominanza, distogliere lo sguardo come segno di menzogna).

Funzioni della Comunicazione Non Verbale Esprimere emozioni Nonostante i tentativi di controllo o di simulazione delle emozioni i segnali non verbali possiedono,rispetto al linguaggio,una maggiore efficacia comunicativa e veridicità. Il volto (le sue espressioni,lo sguardo), il corpo, il tono della voce, sono i canali rivelatori delle emozioni e possiamo dire che il volto, essendo il canale più controllabile,trasmette informazioni sul tipo di emozioni, la postura, i gesti,la voce,danno informazioni sull’intensità.

Comunicare atteggiamenti interpersonali nonostante le somiglianze un dato importante differenzia gli atteggiamenti interpersonali dalle emozioni: queste si possono verificare indipendentemente dalla presenza o dagli stimoli che ci provengono dagli altri mentre gli atteggiamenti sono sempre diretti verso un’altra persona. Analogamente a quanto detto per gli stati emotivi,i segnali non verbali con cui si comunicano gli atteggiamenti interpersonali possono essere emessi in modo spontaneo, oppure venire controllati intenzionalmente per mantenere una relazione sociale. Atteggiamenti positivi come amicizia e simpatia vengono,di norma,espressi spontaneamente, atteggiamenti negativi come ostilità ed avversione si

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controllano maggiormente. Atteggiamenti amichevoli → volto sorridente, alta frequenza di sguardi, vicinanza e contatto corporeo maggiore, timbro e tono di voce vivaci. Atteggiamenti ostili → fronte aggrottata, sguardo fisso e minaccioso, postura tesa. Atteggiamenti di dominanza → assenza di sorriso, sopracciglia aggrottate, tono di voce grave, tendenza ad ostentare la propria altezza.

Presentare se stessi Nei primi istanti di un processo comunicativo noi percepiamo del nostro interlocutore:

• il 55% dei messaggi provenienti dal linguaggio del corpo

• il 30% dei messaggi provenienti dagli elementi prosodici (tono,ritmo,pause della voce )

• il 15% dei messaggi provenienti dal linguaggio verbale.

Tutti noi siamo ben consci che ad un primo incontro ci mettiamo molto poco a decidere se una persona ci sia antipatica o simpatica e la nostra attenzione è catturata da particolari quali l’aspetto fisico in generale, il vestiario, la voce e queste nostre percezioni iniziali continuano ad influire notevolmente anche sul proseguo della relazione perché cerchiamo più facilmente le conferme piuttosto che attuare un eventuale processo di revisione o disconferma delle nostre sensazioni iniziali. Questo testimonia quanta importanza si dia nei rapporti sociali e nella vita quotidiana ad aspetti della presentazione di se, magari superficiali ma di cui ci serviamo per inviare informazioni su caratteristiche personali,sullo status sociale, sull’appartenenza ad un determinato gruppo sociale o sull’esercizio di una professione.

Sostenere, modificare, completare, sostituire il discorso La comunicazione non verbale comprende una vasta gamma di segnali che fungono da sostegno, modificazione e completamento della comunicazione verbale (talvolta la C.N.V. sostituisce del tutto quella verbale , si pensi al linguaggio dei sordi).

Proviamo ad ipotizzare una serie di regole che i partecipanti ad uno scambio comunicativo dovrebbero rispettare per rendere efficace la loro comunicazione:

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• sincronizzazione del discorso e rispetto dell’alternanza dei turni

• controllo dell’eloquio evitando ripetizioni, silenzi, pause troppo lunghe e frequenti

• verifica del grado di interesse ed attenzione del proprio interlocutore , dando la possibilità di intervenire segnalando quando ha finito di parlare

• non interferire con interruzioni e sovrapposizioni troppo frequenti, aspettando il proprio turno per prendere la parola.

In questo tipo di scambio i segnali non verbali svolgono una importante funzione di regolazione dell’interazione e di controllo , fornendo un feedback di informazione per entrambi gli interlocutori, influenzando i loro comportamenti. Uno sguardo, un gesto , un cenno del capo può segnalare che si è finito di parlare , un tono di voce discendente solitamente indica la fine di una frase , alzare la voce può indicare che si vuole ancora parlare , una breve pausa può dare enfasi al discorso. Per quanto riguarda i feedback, prestare attenzione al volto dell’ascoltatore , allo sguardo , ai cenni del capo , è utile per capire se il messaggio che si sta trasmettendo è compreso o se sia il caso di riprendere alcune parti del discorso o modificarlo. Gesti di assenso, sorrisi, espressioni come “si, bene, certo” rivelano il grado di interesse ed approvazione dell’interlocutore e costituiscono un rinforzo rispetto a quanto viene comunicato.

Elementi della Comunicazione Non Verbale Gli elementi fondamentali della C.N.V. sono cinque:

− le espressioni

− la prossemica e la postura

− la gestualità

− la prosodia (elementi paralinguistici).

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Le espressioni: le espressioni del volto hanno la funzione fondamentale di comunicare le emozioni e gli atteggiamenti verso gli altri , di sostenere ed accompagnare il discorso. Possiamo suddividere il volto in due aree, superiore (occhi, fronte, sopracciglia) ed inferiore (naso e bocca) ed è il “canale” su cui si può esercitare un maggiore controllo. L’emisfero destro che presidia il lato sinistro del volto produce le espressioni emotive spontanee, mentre quello sinistro, dove si originano anche i processi verbali , quelle intenzionali. Secondo Argyle (1972) le sopracciglia sono l’elemento del volto che, per entrambi gli interlocutori, fornisce un costante commento al discorso. Elemento altrettanto importante nel processo di comunicazione è lo sguardo, rivelatore soprattutto dell’intensità dell’emozione più che del tipo di emozione. Si possono distinguere due importanti dimensioni connesse con lo sguardo : quella di guardare gli altri e quella di essere guardati. L’essere guardati (modo, tempo ecc) influenza notevolmente i nostri stati emotivi ed i nostri comportamenti e sicuramente noi guardiamo più spesso e più a lungo chi ci piace, chi ci attrae, chi ci interessa. Durante l’interazione visiva però è molto importante che si stabilisca un equilibrio rispetto all’uso degli sguardi reciproci, è necessario saper usare il contatto visivo in modo appropriato alle circostanze, alle persone coinvolte nella comunicazione ed agli scopi che si prefiggono. Per esempio, persone dominanti verso persone di status inferiore guardano di più mentre parlano e poco quando ascoltano, nei rapporti amichevoli ed affettuosi c’è uno scambio di una grande quantità di sguardi.

La prossemica: la distanza–vicinanza fra gli individui durante l’interazione è un segnale altamente significativo dal punto di vista sociale e sinteticamente possiamo dire che lo spazio di relazione con l’altro può assumere quattro modalità:

− Zona intima: 0–45 cm, caratterizza i rapporti più intimi e confidenziali, ma può anche essere collegata allo status dell’interlocutore, quanto più è elevato tanto è maggiore l’ampiezza che gli altri le riconoscono.

− Zona personale: 45–120 cm l’invasione di questo spazio personale può recare disagio e malessere.

− Zona sociale: 120 - 365 cm, è la distanza frequente nei rapporti formali e di lavoro (ad esempio si frappongono come tavoli, scrivanie,

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cattedre), in questi si attivano maggiormente sensi come la vista e l’udito, si vedono meglio i movimenti del corpo dell’altro.

− Zona pubblica: da 365 cm in poi, caratterizza le occasioni pubbliche come cerimonie, conferenze, spettacoli. E’ necessario un tono di voce alto ed enfatizzare i gesti.

Ci sono anche differenze culturali che stabiliscono le norme che regolano la vicinanza-distanza tra le persone. Gli arabi preferiscono stare molto vicini tra loro, quasi gomito a gomito, gli europei e gli asiatici si tengono invece fuori dal raggio di azione del braccio. In alcune regioni meridionali dell’India, dove la distanza che gli appartenenti alle diverse caste debbono mantenere fra di loro è rigidamente stabilita, quando gli individui della casta più bassa incontrano i bramini,la casta più elevata, debbono tenersi ad una distanza di 39 metri.

Anche l’orientazione, angolazione con cui ci si colloca nello spazio l’uno rispetto all’altro, assume una particolare rilevanza:

− Orientazione fianco a fianco, indica un certo grado di intimità ed amicizia

− Orientazione frontale, è utilizzata in situazioni più formali ed in cui si tende a stabilire un rapporto gerarchico, indica anche atteggiamenti competitivi

Se la scelta di determinati spazi e l’orientazione sono importanti segnali che rivelano comportamenti sociali possiamo anche pensare di utilizzarli intenzionalmente, magari per favorire l’interazione. Per esempio si può incoraggiare la conoscenza reciproca fra persone estranee utilizzando, in maniera opportuna, alcuni spazi, disponendo in un certo modo gli arredi di una stanza ecc….

La postura: la postura può riflettere uno stato d’animo, un atteggiamento, il ruolo o lo stato sociale, può rivelare l’immagine che si ha del proprio corpo ed in ogni cultura esistono delle regole precise che definiscono quali siano le posture adeguate ad ogni circostanza. La dominanza e lo stato sociale si possono esprimere con una postura eretta, le mani sui

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fianchi, il capo all’indietro, la sottomissione o la riverenza abbassando lo sguardo ed il capo, inchinandosi o inginocchiandosi. A.Meharabian (1969;1972) ha condotto numerosi esperimenti soprattutto lungo la dimensione “tensione–rilassamento”, rilevando che per la maggior parte dei soggetti esaminati , una postura rilassata in presenza di una persona di status inferiore esprime dominanza, ma può anche comunicare antipatia ed ostilità. Le posture congruenti fra interagenti (imitazione della postura dell’altro) invece vengono generalmente interpretate come indice di simpatia.

La gestualità: i movimenti corporei sono, fra i segnali non verbali, quelli più influenzati dalla socializzazione e dalla cultura, alcuni sono universali (stringersi fra le spalle, battere le mani, salutare con la mano, additare, fare cenni di richiamo), altri invece sono tipici di uno specifico gruppo culturale. In diverse parti del mondo si scuote il capo per dire no, nell’Italia meridionale ed in Grecia si usa invece un colpo di testa all’indietro, il gesto della “mano a borsa“ si usa raramente in Inghilterra, è più frequente in Italia dove ha un significato interrogativo mentre in Grecia viene usato per esprimere “buono“, in Tunisia “lentamente“, in Francia “paura”. Questo per dire che approfondire la conoscenza della comunicazione non verbale può contribuire al miglioramento dei rapporti fra i popoli e favorire lo sviluppo delle relazioni internazionali.

La prosodia : gli elementi prosodici possiamo identificarli nel tono, ritmo, pause della voce. Il tono può essere strettamente legato a caratteristiche individuali del soggetto (età, sesso, provenienza) ed è lo specchio del nostro stato d’animo e può essere aggressivo, amichevole, alto, basso, chiaro. Il ritmo deve essere in linea con il contesto comunicativo, variarlo è sicuramente utile per richiamare l’attenzione. Le pause sono molto importanti, danno il tempo di pensare e di riflettere, sono un segnale di rispetto per l’altro,spesso servono per sottolineare passaggi particolari. La voce è il canale su cui si esercita un minore controllo, è probabile quindi che riveli in modo più veritiero i reali stati emotivi e gli atteggiamenti interpersonali.

Molto altro da dire ci sarebbe riguardo alla C.N.V. ma , se vogliamo attribuire un “senso” al percorso effettuato fino ad ora , possiamo

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affermare che la conoscenza dei significati della C.N.V. non serve per giocare allo psicologo e, solamente, per interpretare le intenzioni dell’interlocutore ma, soprattutto , per imparare a controllare il proprio comportamento e diventare consapevoli degli effetti che la nostra comunicazione produce sugli altri.

Gettiamo delle ancore utili

Ognuno di noi ha sicuramente notato come delle parole, delle espressioni, dei gesti, dei suoni, dei rumori, degli odori, facciano regolarmente scattare , al nostro interno, determinate reazioni e come suscitino sensazioni piacevoli o spiacevoli. Questi numerosi e diversi fenomeni non sono né misteriosi né frutto del caso, sono delle ancore, tecnicamente un’ ancora è l’associazione di uno stimolo e di una risposta. Una certa fotografia suscita in noi un determinato ricordo:

− stimolo : la fotografia

− risposta : il ricordo e le percezioni In questo caso si tratta di un’ancora visiva, così come i jingles pubblicitari sono delle ancore auditive o la stretta di mano un’ancora Kinestetica.

Esistono dunque, nella vita quotidiana, molte ancore che risvegliano e suscitano quasi meccanicamente sempre le stesse reazioni e talvolta può essere utile, soprattutto trovandosi di fronte a reazioni spiacevoli, porsi la domanda: “Che cosa provoca questa reazione sistematica? Quali sono i sostegni che agiscono? “Se possiamo cambiare l’elemento che provoca questa reazione spiacevole facciamolo, molto spesso è più facile fare questo che cambiare il comportamento di una persona. Ricordiamoci che molto frequentemente diamo dei punti di riferimento senza saperlo, per esempio quando una persona torna a casa la sera ed abitualmente abbraccia il/la suo/a compagno/a ed i suoi figli può constatare la reazione che produce. Se una volta se ne dimentica vedrà…

Le ancore, perciò, possono essere negative (quelle che riattivano esperienze spiacevoli e/o sfavorevoli) o positive (quelle che evocano esperienze piacevoli e/o favorevoli). Bisogna a questo punto porsi due domande:

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− come produrre delle ancore utili?

− come sapere in quale misura sono utili?

per attuare una comunicazione efficace.

Cerchiamo di utilizzare le ancore più facili per noi e teniamo conto del contesto in cui ci troviamo e di chi abbiamo di fronte.

Per concludere possiamo dire che saper gestire l’evento comunicativo nella sua complessità e completezza, comprendere e porre attenzione alle dinamiche che avvengono all’interno del processo che abbiamo chiamato “comunicazione” è molto importante, non solo per la nostra vita personale ma, anche, per il raggiungimento dei nostri obiettivi in ambito professionale. Non a caso si dice che “una azienda è come comunica” e che le performance dei singoli e dei gruppi saranno influenzate dal tipo di comunicazione interna, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo: verranno influenzati il clima, il livello di soddisfazione, la stabilità della leadership e, non ultima, la motivazione al lavoro, insomma la comunicazione ha una importanza assolutamente trasversale.

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