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Kieran Egan La comprensione multipla Sviluppare una mente somatica, mitica, romantica, filosofica e ironica

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Kieran Egan

La comprensione multipla

Sviluppare una mente somatica, mitica, romantica, filosofica e ironica

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Indice

Prefazione all’edizione italiana (Giuliano Minichiello) 7

Profilo bio-bibliografico (Concettina Manna) 11

Ringraziamenti 19

Introduzione 21

Capitolo primoTre idee vecchie e una nuova 31

Capitolo secondoLa comprensione mitica 61

Capitolo terzoLa comprensione romantica 109

Capitolo quartoLa comprensione filosofica 149

Capitolo quintoLa comprensione ironica e la comprensione somatica 191

Capitolo sestoAlcune domande e risposte 235

Capitolo settimoAlcune implicazioni per il curricolo 273

Capitolo ottavoAlcune implicazioni per l’insegnamento 313

Postfazione 361

Bibliografia 365

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Prefazione all’edizione italiana

Il testo di Kieran Egan, che qui si presenta, è un lavoro rivoluziona-rio, che affronta alle radici temi fondamentali della riflessione pedagogica contemporanea mediante un’ottica del tutto innovativa. La data di pubbli-cazione della prima edizione (1997) probabilmente contribuì a indurre un fraintendimento fatale delle idee dell’autore, che venne malaccortamente accostato all’impostazione dello sviluppo infantile di Jerome Bruner, in particolare del «secondo Bruner» e della sua nota distinzione tra «pensiero paradigmatico» e «pensiero narrativo»1 e della relazione che egli stabilisce tra «mente» e «cultura». Non c’è dubbio che questo secondo aspetto sia quello che, in una certa misura, collega Egan a Bruner, ma è certo che l’origine e l’intento teorico del primo sia del tutto originale rispetto a quelli del secondo.

Il centro del progetto educativo di Egan è nel tracciare un modello di evoluzione dell’essere umano che non perda mai di vista che gli «strumenti» che la mente mette a disposizione delle sue capacità e modalità di pensare sono mossi non solo dal desiderio di conoscere ma soprattutto da quello di assegnare o trovare il senso di ciò che genericamente si definisce «mondo». È naturale che in questa ricerca essa attraversi il mare della cultura in cui nasce

1 Ci riferiamo, in particolare, a Egan K. (1986), Actual minds, possible worlds, Cambridge, MA, Harvard University Press (trad. it. La mente a più dimensioni, Roma-Bari, Laterza, 1993) e a Id. (1990), Acts of meaning, Cambridge, MA, Harvard University Press (trad. it. La ricerca del significato, Torino, Bollati Boringhieri, 1992).

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8 La comprensione multipla

e si sviluppa, ma è anche innegabile che la cultura stessa sia dall’individuo rivissuta e rinnovata. In ciò, concetti quali quelli di «comunicazione» e di «negoziazione» o di «costruzione» appaiono a Egan inadeguati a rendere la fonte della ricerca del significato e il suo rapporto con l’ambiente culturale. Là dove Bruner distingue (i «due pensieri»), Egan fonde in uno e, insieme, moltiplica, sicché quelle che egli definisce sense-making capacities non sono da intendersi né quali formali caratteristiche della conoscenza né quali astratte abilità mentali, quanto piuttosto come quelle strategie approntate dall’umanità per dare un senso al mondo e alla propria esperienza, nelle quali, dunque, si ha una integrazione fra gli aspetti cognitivi, affettivi e fantastici. Soprattutto l’immaginazione, come scoperta da parte dell’essere del campo del possibile, fornisce la chiave per attivare ogni altra capacità. Apprendere, allora, è ugualmente lontano da un accumulo di inerti nozioni e dalla padronanza di generiche abilità (skills) intellettive. Il divenire educati, al contrario, è una questione di frequentazione di svariati universi (storici, geografici, scientifici…) allo scopo di evocare, stimolare e sviluppare le sense-making capacities disponibili nella nostra cultura.2

A parere di Egan risulta utile far ripercorrere il più completamente possibile a ciascun soggetto le forme di comprensione (understanding) in cui sono condensate non solo le conquiste fondamentali e costanti dell’ingegno umano ma, soprattutto, i modi del dar senso all’esperienza, presenti, in ultima analisi, in ogni forma di cultura. In questo modo Egan si emancipa da ogni forma sia di psicologismo che di culturalismo: i modelli di compren-sione non sono né capacità innate nelle menti degli individui né risultati di una mediazione comunicativa localmente collocata. Esse segnano tanto l’evoluzione del soggetto nella sua crescita quanto forme oggettive della significazione, cioè dell’atto con cui l’uomo ritrova nell’esperienza un senso attraverso l’uso di attrezzi psichici multipli (cognitive tools). Inoltre, occorre precisare, accingendoci a sintetizzare le differenti forme della comprensione individuate da Egan, che queste non sono da intendere come stadi di uno sviluppo continuo, perché ogni nuovo livello non elimina il precedente, bensì si intreccia con esso, rendendo possibile la cooperazione di capacità differenti al fine di esplorare il campo del possibile.

2 Si veda Egan K. (1990), Romantic understandig. The development of rationality and imagi-nation, age 8-15, New York, Routledge, Chapman & Hall.

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Prefazione all’edizione italiana 9

a) La comprensione prelinguistica. Il termine impiegato da Egan è somatic understanding; noi preferiamo precisare che, secondo quanto lo stesso autore precisa, qui il termine «somatico» sta a indicare una sorta di co-munione prelinguistica tra il bambino e il mondo attraverso l’esperienza dei sensi: udito, tatto, vista, ma soprattutto emozioni che nascono da questa comunione, che riguarda tanto il mondo fisico quanto l’ambiente umano.

b) La comprensione mitica. Tipica delle culture orali, presenta, peraltro, elementi che appaiono preminenti anche nei bambini delle società occidentali prima che il processo di alfabetizzazione abbia fatto il suo corso; la story form, il linguaggio metaforico, il ritmo, le rime ne sono gli strumenti principali. Un poetico senso di intima appartenenza alla natura produce una visione del mondo fortemente impregnata di emotività; così le opposizioni binarie — bene/male, coraggio/codardia, sicurezza/paura — sono il mezzo comunemente impiegato per organizzare i significati che lo riguardano. Ecco che, al pari del mito per le società illetterate, anche le storie basate su tali paradigmi, ascoltate o inventate che siano, forniscono ai più piccoli una prima efficace presa sulla realtà. Essi, difatti, non mancano di afferrare concetti astratti; hanno unicamente necessità di vederli incorporati in concreti contesti dominati da tali opposizioni binarie. Per di più, la costante mediazione da loro operata sulle «discrete» categorie da queste definite, libera la fantasia creando universi immagi-nari. La forma narrativa si rivela la principale strategia conoscitiva della prima infanzia.

c) La comprensione romantica. Si manifesta intorno agli otto anni, al mo-mento in cui il processo di alfabetizzazione riverbera i suoi primi effetti. Con la conquista della scrittura, nuovi strumenti sono offerti per il trattamento delle conoscenze che, facilitando il loro deposito e recupero, consentono confronti e riflessioni. Adesso la realtà e i suoi limiti sembra-no guadagnare l’interesse dei fanciulli, cosicché sorge un diverso senso del sé, nonché dell’autonomia dal mondo; essi avvertono l’inesistenza di categorie intermedie fra natura e cultura, seppure non viene meno la fascinazione per gli universi fantastici che ora, però, abbisognano di una propria giustificazione logica. Siffatta consapevolezza spinge verso un’esplorazione intellettuale protesa a scoprire i confini estremi sia dell’essenza fisica sia delle umane potenzialità; da qui, l’eccitazione per il

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sublime, il gusto dell’esotico e il culto dell’eroe caratteristici di questa età. Si genera, tuttavia, anche un senso di ambivalenza per cui, mentre viene posta attenzione ai dettagli delle cose, si manifesta contemporaneamente un’urgenza di trascendere la realtà; il che produce, insieme, una rivolta contro le convenzioni e una riaffermazione del potere produttivo dell’im-maginazione. La comprensione romantica appare, allora, un’efficace difesa contro il meccanicismo, l’astratto formalismo, l’alienazione dalla natura e l’eccessiva fiducia nella ragione cui il processo di alfabetizzazione sembra sovente accompagnarsi nella società occidentale moderna.

d) La comprensione filosofica. Il desiderio di stabilire un sicuro senso di identità, in cui si esprime la crisi adolescenziale, conduce i ragazzi a voler definire con maggiore precisione la propria collocazione nella natura, nella società e nella storia. Ciò che amano raggiungere è la verità riguardo se stessi e il mondo, focalizzando l’attenzione sulle leggi che governano la psiche umana, lo sviluppo storico e la realtà fisica. Così, se in precedenza erano gli estremi a essere sondati, ora lo scopo dell’esplorazione è disegna-re mappe sistematiche di tutti i fenomeni attraversanti la lo esperienza, onde fornirli di significato: queste altre non sono che ideologie e schemi metafisici i quali riducono la diversità dentro un processo relativamente semplice.

e) La comprensione ironica. Il riferimento è all’ironia socratica, al dubbio produttivo che impegna a non recedere dalla ricerca. Si dispiega quale recupero di una dimensione problematica capace di intaccare lo sguar-do rigido e unilaterale delle ideologie. Rappresenta, pertanto, la meta fondamentale dell’educazione.3

Giuliano MinichielloUniversità degli studi di Salerno

Imaginative Education Research Group – Italia

3 Per l’efficace sintesi della forme di comprensione qui parzialmente adottata, si veda: Tizzi E.W. (1996), Insegnamento e apprendimento. In M. Gennari (a cura di), Didattica generale, Milano, Bompiani, pp. 75-76. Intendo esprimere la mia gratitudine al suo autore, che costituì per me un imprescindibile punto di partenza nella costruzione di una solidarietà di pensiero e di azione con Kieran Egan.

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Profilo bio-bibliografico

Kieran Egan nasce a Clonmel, in Irlanda, nel 1942. Cresce e si forma in Inghilterra: studia storia all’Università di Londra, dove nel 1966 si laurea in materie umanistiche; lavora per quattro anni come professore presso l’Istituto di Studi Comparativi a Kingston, sul Tamigi, e successivamente si trasferisce in America per frequentare un Dottorato di ricerca in Filosofia dell’educazione presso l’Università di Stanford. Nel contempo, svolge alla IBM attività di consulenza per la realizzazione di un metodo di programma-zione, chiamato «comunicazione strutturale», da adattare a nuovi sistemi di calcolo. Terminato il Dottorato all’Università di Cornell nel 1972, comincia la sua attività professionale alla Simon Fraser University nella Columbia Britannica, in Canada, ove continua tutt’oggi.

La sua spiccata attenzione alle questioni educative e la novità delle sue argomentazioni lo porteranno a ricevere una serie di prestigiose onorificenze: nel 1991 il Grawemeyer Award in educazione e nel 2007 il Whitworth Award. È membro di autorevoli Associazioni internazionali, come la canadese Royal Society e la US National Academy of Education. Da circa vent’anni lavora all’elaborazione di una nuova teoria educativa e alle sue possibili implicazioni sul piano metodologico-didattico in vista di un curricolo rinnovato e di una più efficace attività di insegnamento. Le ricerche compiute in questo settore lo hanno portato alla pubblicazione di importanti opere apparse tra il 1986 e il 2010, alcune delle quali tradotte in circa dieci lingue europee e asiatiche.1

1 Tra i principali lavori di Egan occorre segnalare: Teaching as story telling: An alternative approach to teaching and curriculum in the elementary school (1986); Primary understanding:

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12 La comprensione multipla

Attualmente Kieran Egan dirige un gruppo di ricerca internaziona-le, lo IERG (Imaginative Education Research Group), fondato nel 2001 presso l’Università canadese «Simon Fraser» e impegnato nello studio della imaginative education, ovvero nella individuazione degli strumenti necessari allo sviluppo di tale particolare modalità di insegnamento-apprendimento, centrata sul coinvolgimento della facoltà dell’immaginazione propria di co-loro che apprendono. Il gruppo di ricerca vanta un gran numero di associati in tutto il mondo (Nord e Sud America, Europa, Africa, Australia e Asia).2 In tempi recenti, l’attività dello IERG e quella dei partner internazionali, in seguito ai numerosi incontri avvenuti nell’ambito delle conferenze inter-nazionali, organizzate annualmente a Vancouver, a partire dal 2003, hanno portato alla nascita di un nuovo gruppo di ricerca, l’IRNIE (International Research Network on Imaginative Education), la cui attività, che ha preso corpo nella conferenza canadese del 2006, impegna attualmente ricercatori di tutto il mondo su diverse aree di studio che vanno dalla elaborazione, sul piano della riflessione teorica, di una teoria pedagogica, che concettualizzi il ruolo dell’immaginazione nei processi di insegnamento-apprendimento, alle sue possibili implicazioni metodologiche nella pratica didattica.

Nel contesto della ricerca educativa contemporanea Kieran Egan ha il merito di aver fornito significative elaborazioni in vista di un originale approfondimento della dimensione narrativistica e del fenomeno del meaning-making, considerato alla base di una interessante impostazione teorico-metodologica, che guarda al processo educativo come a una succes-sione di specifiche tipologie di comprensione, dalla complessa polisemia, strettamente intrecciate alla vita sociale e culturale.

In Teaching as story telling: An alternative approach to teaching and curriculum in the elementary school (1986), Egan muove da una ricognizione

Education in early childhood (1988); Romantic understanding: The development of rationality and imagination, age 8-15 (1990); Imagination in teaching and learning: The middle school years (1992); Building my Zen garden (2000); Getting it wrong from the beginning: Our progressivist inheritance from Herbert Spencer, John Dewey, and Jean Piaget (2002); An imaginative approach to teaching (2005); Teaching literacy: Engaging the imagination of new readers and writers (2006); The future of education. Reimagining our schools from the ground up (2008); Learning in depth. A simple innovation that can transform schooling (2010).

2 Il gruppo di ricerca italiano è diretto dal prof. Giuliano Minichiello e ha sede presso il Dipartimento di Scienze umane e della formazione dell’Università degli Studi di Salerno.

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Profilo bio-bibliografico 13

critica nei confronti dei cosiddetti ad hoc principles, che contraddistinguono lo sviluppo educativo e la stessa pratica educativa come un passaggio dal concreto all’astratto, dal noto all’ignoto, dal semplice al complesso, dalla manipolazione attiva alla concettualizzazione simbolica. Tali principi, attualmente in voga nella ricerca educativa, sono stati formulati senza alcun riferimento all’elemento immaginativo, di cui si è trascurato a lungo il potenziale valore educativo; proprio in rispetto ad esso l’autore intende valorizzare l’analisi di quelle aree dell’attività intellettiva dei bambini in cui è possibile riconoscere un ruolo centrale alla facoltà dell’immagina-zione, al fine di promuovere conoscenze che siano flessibili e durature. A suo parere, le più influenti teorie sull’apprendimento sono state in larga parte sostenute da programmi di ricerca che, in realtà, hanno finito col focalizzare la loro attenzione su una gamma limitata di capacità cognitive e logiche proprie dei bambini, trascurando il potere e l’uso educativo dell’«immaginazione». Di qui l’esigenza di promuovere nella pratica educativa un nuovo approccio che trovi nella cosiddetta imaginative education una particolare modalità di insegnamento-apprendimento, in grado di coinvolgere in modo profondo gli aspetti emotivi, immaginativi e intellettivi del pensiero; tale impostazione è centrata sulla costruzione e, nel contempo, sulla valutazione del modo attraverso cui il bambino comprende le proprie esperienze piuttosto che sulla maniera adulta della conoscenza come misura dell’apprendimento.

Egan, riferendosi alla comune definizione di immaginazione che la caratterizza come l’atto o il potere di formare immagini mentali di ciò che non è presente, oppure come l’atto o il potere di creare immagini mentali di ciò che non è mai stato oggetto di esperienza, rimarca che una siffatta definizione, così vicina all’immagine del bambino derivata dai suddetti ad hoc principles, tanto influenti in educazione, si scontrerebbe con l’imma-gine del bambino, a lui cara, visto soprattutto come creatore energico di immagini mentali di ciò che non è mai stato esperito.3 A tal fine, l’Autore sottopone a revisione critica tutta quella tradizione pedagogica che, a partire da Platone, ha ritenuto la fantasia e l’immaginazione dei bambini come ciò che, scivolando fuori dalla costruttiva limitazione della ragione e ignorando

3 Egan K. (1986), Teaching as story telling: An alternative approach to teaching and curriculum in the elementary school, Chicago, The University of Chicago Press, p. 7.

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i confini del reale, risulta in opposizione con la forma di pensiero razionale, l’unica in grado di guidarci nella scoperta di ciò che ci circonda.4

Sulla scia della riflessione freudiana e bettelheimiana, Egan ritiene che la fantasia non sia una facoltà irragionevole e che tutte le sue manifestazioni, rintracciabili, ad esempio, nei sogni, nei miti e nella cosiddetta «mentalità primitiva», abbiano un loro specifico ordine e una loro profonda ragione. Le fantasie dei bambini non riguardano, infatti, le intellectual froth, ma le prime forme e gli originari sviluppi dei più profondi e fondamentali con-cetti, utilizzati per conferire un senso al mondo e all’esperienza.5 Non a caso, Egan pone alla base della sua imaginative education il ricorso ai cosiddetti cognitive tools ed estende il significato e l’uso degli strumenti cognitivi, di vygotskijana memoria, a ciò che di essi si può fare nella quotidiana alfabe-tizzazione. I cognitive tools sono aspetti della mente, che, come le lenti per i nostri occhi, mediano il modo attraverso cui percepiamo e conferiamo senso a ciò che ci circonda e, nello specifico, sono per l’autore strumenti in stretta relazione con l’immaginazione.

Tale presupposto teorico, sfidando il principio, largamente diffuso in educazione, secondo cui l’apprendimento dei bambini procede dal concreto all’astratto, rivendica l’antecedenza dell’astrazione rispetto all’azione concre-ta, soprattutto in riferimento alle storie di fantasia, individuabili come uno strumento cognitivo tipico delle culture orali. Le storie di fantasia, infatti, sono strutturate su una rete di relazioni che sottintendono vari concetti, esprimibili, ad esempio, attraverso tutta una serie di conflitti quali paura/speranza, gentilezza/crudeltà e, naturalmente, bene/male, che non sono altro che concetti astratti generali, i quali devono già essere posseduti dai bambini, affinché le storie acquistino un senso.

Procedendo lungo tale direzione, Egan sottopone a revisione critica un altro dei cosiddetti ad hoc principles, ossia quello che considera la conoscenza dei bambini come una progressione da ciò che è noto e conosciuto a ciò che è sconosciuto,6 che insieme agli altri principi già menzionati, dal «concreto all’astratto», dal «semplice al complesso» e dalla «manipolazione attiva alla

4 Sulle implicazioni pedagogiche della fantasia dei bambini, si veda Egan K. (1988), Primary understanding. Education in early childhood, New York-London, Routledge, pp. 11 e sgg.

5 Ivi, p. 26.6 Egan K. (1986), cit., p. 12.

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concettualizzazione simbolica», chiaramente tra loro connessi, deriva dalla fuorviante considerazione che il bambino sia un prosaic thinker con capacità non adeguatamente sviluppate da poter «trattare» con certi obiettivi logici e tecnici. A tale riguardo, Egan chiarisce che se si guarda all’educazione dei bambini in termini di padronanza progressiva di obiettivi pratici e sequenza logica di aree disciplinari, allora è ragionevolmente possibile invocare la va-lidità del suddetto principio «dal noto all’ignoto» e, più in generale, di tutti gli altri principi. Tale convinzione supporterà quell’attività educativa che, muovendo dalle esperienze presenti dei bambini, si spingerà gradualmente verso l’esterno, lungo le linee di associazioni di contenuto.

Tuttavia, precisa l’autore, ponendosi in una diversa prospettiva e considerando analiticamente i racconti di fantasia dei bambini, è possibile avanzare delle obiezioni al suddetto principio e riconoscere agli stessi bambini la capacità di conferire un senso a tutti i tipi di nuove conoscenze, che essi adattano agli schemi e ai concetti astratti (bene/male, coraggio/codardia, onore/cupidigia e così via), già posseduti; in tal senso, si può ragionevol-mente pensare alla possibilità di poter trasmettere qualsiasi conoscenza se si assicura che essa si adatti alle strutture concettuali astratte che il bambino già possiede e che conosce a un livello profondo. Viene così riconosciuto ai bambini la capacità di conferire un significato alle cose attraverso i loro specifici e sviluppati modi di «afferrare»7 e di cogliere nuove conoscenze sul mondo.

Osservando, inoltre, come essi conferiscono senso alle storie di fantasia, si può notare che essi dispongono dei mezzi concettuali che rendono signifi-cativa la storia; i più piccoli possono mancare, ad esempio, della concezione logica di «causalità», ma chiaramente posseggono il concetto narrativo di causalità e il «senso» di causalità che tiene le storie insieme facendole svol-gere al punto da asserire che pensare di ignorare a story-concept of causality significa scoraggiare lo sviluppo di un «formal» concept of causality.8

Questa considerazione induce Egan a sostenere con forza che i bam-bini «non apprendono tali concetti; già li posseggono quando iniziano la scuola; li usano per conoscere il mondo e fare esperienza»9 e a rigettare con convinzione, pertanto, il principio «dal noto all’ignoto», considerandolo

7 Ivi, p. 50.8 Ivi, p. 23.9 Ibidem.

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inadeguato a fornire sufficienti spiegazioni a tutto ciò che i bambini pos-sono apprendere.

Lungo tale linea d’indagine, l’autore ipotizza un modello di insegna-mento alternativo, volto a considerare le lezioni come delle «belle storie» da raccontare piuttosto che come una serie di obiettivi da raggiungere. Si tratta di un approccio che colloca al centro dell’attività educativa il processo del fare significato e trova il suo focus in quei principi dell’apprendimento che stimolano l’immaginazione dei bambini, prospettando un nuovo modello di programmazione curricolare, che si propone di assicurare l’accesso a un ricco significato. Egan non intende andare alla ricerca del modo in cui si dovrebbe insegnare a usare e raccontare le storie di fantasia; egli è piuttosto interessato a individuare la modalità attraverso la quale è possibile rendere quanto più coinvolgente e significativo l’apprendimento di un qualsiasi contenuto, utilizzando il potere della forma narrativa. L’autore ritiene che il racconto stesso non sia da intendersi come un semplice intrattenimento casuale, ma come uno strumento in grado di riflettere una forma fondamentale e potente con cui ciascuno conferisce significato al mondo e all’esperienza, disegnando un modello educativo che attinge forza dal potere della forma narrativa. Il racconto si configura altresì come uno degli strumenti cognitivi maggiormente in grado di coinvolgere le emozioni e l’immaginazione nel processo di insegnamento-apprendimento. A tale proposito, Egan giunge a distinguere analiticamente gli strumenti cognitivi tipici della cultura orale da quelli propri della cosiddetta literacy, collocando naturalmente il «racconto», insieme alla rima e al ritmo, agli «opposti binari» e alla metafora, nell’ambito del cognitive tool kit,10 specifico di una cultura pre-literate.

Queste osservazioni costituiscono il retroterra teorico su cui poggia il modello educativo di ispirazione eganiana, che nel tentativo, come già ricor-dato, di preservare e incoraggiare la poetica e l’immaginazione dei soggetti che apprendono, favorendone nel contempo la stimolazione degli strumenti concettuali che essi già posseggono, descrive l’educazione in termini di se-quenze di particolari forme di comprensione (kinds of understanding), apprese in modo sequenziale durante l’intero sviluppo evolutivo del soggetto. Le cinque forme di comprensione — somatica, mitica, romantica, filosofica e

10 Si veda sull’argometno Egan K. (2006), Teaching literacy: Engaging the imagination of new readers and writers, Thousand Oaks, CA, Corwin Press, p. VIII.

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ironica — contribuendo al più generale processo di costruzione del signifi-cato e basandosi sui differenti modi in cui si apprende l’uso del linguaggio, derivano da particolari strumenti cognitivi, che sono appresi dalla società nella quale si cresce e sono differenti a seconda delle kinds of understanding a cui si riferiscono, tutte ugualmente necessarie per lo sviluppo di una educated mind e costitutive dell’intero processo che anima l’imaginative education. Queste forme di comprensione, che sembrano caratterizzare il viaggio del bambino verso l’età adulta, non sono completamente distinte l’una dall’altra, ma sono come una «zona ecologica», che si mescola nell’altra senza una netta linea di demarcazione; e anche se ciascun tipo di conoscenza reca con sé nuove capacità, c’è da dire che queste ultime producono maggiori benefici se possono essere combinate, piuttosto che semplicemente rimpiazzate, con le capacità acquisite precedentemente.

Concettina MannaImaginative Education Research Group – Italia

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Introduzione1

Quelli di noi che erano nei paraggi durante la crisi economica europea del tardo Sedicesimo secolo trovano stranamente familiari alcune caratteristi-che dell’attuale crisi dell’educazione. Siamo di fronte a un enorme dilemma sociale, che coinvolge e irrita pressoché chiunque, e le sferzate di biasimo volano in tutte le direzioni. Oggi siamo sconcertati dalla difficoltà delle scuole nel fornire anche la più rudimentale istruzione a così tanti studenti, nonostante oltre un decennio di impegno da parte di dispendiosi professio-nisti. I costi della nostra crisi dell’educazione — in termini di alienazione sociale, sradicamento psicologico, ignoranza del mondo e delle possibilità di esperienza umana al suo interno — sono incalcolabili e strazianti.

Nel Sedicesimo secolo, i cittadini medi assistettero a un progressivo aumento dei prezzi di tutti i beni. Particolarmente evidenti erano le somme crescenti che dovevano esborsare per articoli di prima necessità come l’ab-bigliamento. I cittadini accusarono i produttori di stoffe di incrementare avidamente i prezzi. I produttori di stoffe protestarono, biasimando i com-mercianti che ingordamente richiedevano sempre più merce; i commercianti a loro volta incolparono i tessitori, che incolparono i commercianti di lana, che incolparono gli allevatori di pecore. Gli allevatori di pecore dissero di essere stati costretti ad aumentare i prezzi per poter acquistare gli abiti sempre più cari. E così via. Di chi era la colpa?

1 Traduzione a cura di Carmen Calovi.

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Ci volle del tempo, e parecchia riprovazione, prima che Jean Bodin (1530-1596) capisse che nessuno degli imputati ovvi era colpevole. Invece, il generale aumento dei prezzi era collegato all’importazione in Europa di oro e argento provenienti dall’America Centrale e del Sud e all’uso di questo metallo prezioso nelle zecche dei monarchi europei. In altre parole, i regnanti aumentavano le scorte di denaro stimolando così l’inflazione. Lo sviluppo della teoria economica risolse il problema di fondo e gettò delle sottili basi per una migliore comprensione e un maggiore controllo pratico delle questioni economiche.

E allora chi è responsabile del moderno dilemma sociale, quello dell’inefficacia educativa delle nostre scuole? (Con «moderno» intendo il periodo, iniziato nel tardo Diciannovesimo secolo, di sviluppo dell’istruzione di massa.) Per gli opinionisti mediatici e i professionisti dell’educazione, i colpevoli non mancano: insegnanti con una formazione inadeguata, assenza di incentivi economici, iniquità delle società capitalistiche, mancanza di controlli sulle scuole, incapacità genetica dell’85% della popolazione di trarre vantaggio dall’istruzione al di là delle abilità basilari di letto-scrittura, droghe, crisi della famiglia nucleare e del valore della stessa, programmi scolastici irrilevanti, programmi scolastici dedicati solo a ciò che è immediatamente rilevante, politici miopi che impongono severi test di rendimento taglian-do al contempo i fondi per il sistema educativo, mancanza di impegno per l’eccellenza, pedagogia fatua, stupidità della TV e degli altri mezzi di comunicazione di massa, mancanza di attenzione verso il conseguimento di alcuni specifici obiettivi.

Alla cacofonia di accuse si accompagna una pletora di rimedi: intro-durre incentivi economici, rendere i programmi più «significativi» o più accademici, riformare la formazione dei docenti, garantire il coinvolgimento attivo degli studenti nel loro apprendimento, e così via. Anche nel Sedi-cesimo secolo venne proposta una litania di cure per l’inflazione: porre un limite ai profitti dei commercianti, introdurre controlli sui prezzi, limitare l’esportazione di lana, introdurre dazi sull’importazione di tessuti, e così via. Oggi possiamo ripensare con indulgenza a quelle proposte di soluzione e constatare che erano irrilevanti rispetto alla vera causa del problema: non sarebbero riuscite a rallentare l’inflazione e, nella maggior parte dei casi, avrebbero provocato ulteriori danni economici. Similmente, è probabile che in futuro ritorneremo con il pensiero alle soluzioni proposte oggi per

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Introduzione 23

rimediare ai problemi del sistema educativo considerandole irrilevanti perché anch’esse non identificano la reale causa del problema.

Il problema non è riconducibile ad alcuno dei soliti sospetti. Diversa-mente, come intendo dimostrare, nasce da un concetto di istruzione fonda-mentalmente privo di coerenza. Cercherò, in primo luogo e sinteticamente, di evidenziare la mancanza di coerenza che caratterizza l’idea condivisa dai più rispetto a cosa le scuole dovrebbero fare e, in secondo luogo e meno sinteticamente, di proporre una teoria dell’educazione che permetta alle scuole di diventare più efficaci — una teoria che getta le basi per una migliore comprensione e un maggior controllo pratico delle questioni educative.

Oh santo cielo: il problema ha a che fare con una teoria dell’educazione e la soluzione con un’altra teoria dell’educazione? Il confronto con l’infla-zione del Sedicesimo secolo sembrava promettere qualcosa di più concreto, come l’oro dell’Eldorado. La promessa di una nuova teoria dell’educazione ha invece il fascino di un titolo di quotidiano come «Leggero terremoto in Cile. Pochi feriti».

Generalmente, le teorie dell’educazione sono noiose perché abbiamo solo tre idee importanti: che dobbiamo introdurre i giovani alle norme e alle convenzioni della società adulta, che dobbiamo insegnare loro la conoscenza necessaria a garantire l’adesione del loro pensiero a ciò che è considerato reale e vero riguardo al mondo e che dobbiamo favorire lo sviluppo delle potenzialità individuali di ciascuno. Queste idee sono rotolate insieme at-traverso i secoli arrivando a costituire il concetto di educazione attualmente dominante. Il fatto è che partendo da così poche idee si possono creare infinite varianti, prima che la noia subentri irrimediabilmente, e che la situazione è resa ancora più complicata dalla mancanza di consapevolezza, da parte della maggioranza delle persone, rispetto ai principi fondamentali che plasmano le loro convinzioni rispetto all’educazione.

La buona notizia, credo, è che ci sono solo tre idee da capire. La cat-tiva notizia è che queste tre idee sono reciprocamente incompatibili — ed è questa la principale ragione della crisi cronica dell’educazione. Il mio primo obiettivo, nel capitolo primo è esaminare queste idee un po’ nel dettaglio, per mostrare come siano mutualmente escludentesi e come que-sta incompatibilità stia alla base delle difficoltà pratiche che incontriamo oggi nell’educazione. Il mio secondo obiettivo, nel medesimo capitolo, è introdurre una nuova teoria dell’educazione e spiegare perché essa possa

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fornire una possibilità migliore rispetto a tutte le altre possibilità, o loro combinazioni, suggerite attualmente.

Un aspetto inedito di questa teoria è che descrive l’educazione come sequenza di tipi di conoscenza. Un’ulteriore bizzarria è che considera l’educa-zione così intimamente intrecciata con la vita e la cultura della società da essere anche una teoria sullo sviluppo culturale occidentale e sui suoi rapporti con l’educazione nelle società multiculturali moderne. Descrivo la storia culturale dell’Occidente, e l’educazione oggi, nei termini di un progressivo dispiega-mento di una sequenza di forme di conoscenza in qualche modo specifiche.

Che genere di categoria è una «forma di conoscenza»? Riflettendo sulle informazioni che fornisco di seguito potrete farvi un’idea preliminare di cosa intendo.

Nel 1949, alla stazione ferroviaria di El Quantara, nella zona del Canale di Suez, c’erano dieci gabinetti. Tre erano per gli ufficiali superiori — uno per gli europei, uno per gli asiatici e uno per i meticci —, tre erano per i sergenti maggiori e i sergenti, suddivisi per etnia come quelli per gli ufficiali superiori, e tre erano per gli altri gradi, anch’essi suddivisi per etnia come i precedenti. Uno era per le donne, a prescindere dal grado, dalla classe o dall’etnia. Qualcuno potrebbe reagire sentendosi oltraggiato per l’ingiu-stizia di una tale soluzione e per l’ingiustizia insita nella società che una tale soluzione rispecchia. Qualcuno potrebbe percepire un moto di delizia nell’apprendere una tale curiosità. Se si considera la classe sociale come una delle principali determinanti di coscienza, una tale organizzazione dei servizi igienici avrà una certa risonanza; se si considera l’etnia, ne avrà un’altra; se si considera il genere, ne avrà un’altra ancora. Queste informazioni possono essere contestualizzate in una storia di progresso sociale dai precedenti iniqui regimi autoritari ai successivi sistemi democratici. Possono essere conside-rate spassionatamente come riflesso di uno delle miriadi di sistemi sociali concepiti dagli esseri umani, per cui quella modalità di organizzazione dei gabinetti non sarà più o meno stramba di quanto sarebbe oggi considerato più giusto, appropriato o «normale». Quella soluzione potrà essere percepita con sollievo, mettendosi nei panni degli ufficiali, o con sdegno, assumendo il punto di vista degli altri gradi, o con un po’ dell’uno e un po’ dell’altro, ponendosi nella prospettiva delle donne.

Ciascuna di queste reazioni implica una comprensione leggermente diversa delle informazioni. Oggi è raro che una reazione tenga presente sol-

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tanto uno dei possibili modi di considerare i fatti; generalmente osserviamo le cose da più punti di vista, sapendo che ogni informazione è complessa, polisemica.

Il mio principale obiettivo in questo libro è individuare alcuni dei principali filoni o livelli della nostra conoscenza tipicamente polisemica. Cercherò di identificare alcuni tipi generali e caratteristici di conoscenza e di descriverli in dettaglio; ne distinguerò cinque, che chiamo somatico, mitico, romantico, filosofico e ironico. Cercherò inoltre di dimostrare che nel corso dell’evoluzione e della storia queste forme di conoscenza si sono sviluppate in una specifica sequenza, fondendosi ampiamente (ma non del tutto) con ciascuna forma che emergeva successivamente. La mente moderna è perciò rappresentata come un composto. Il concetto di mente è un po’ confusio-nario, ma tenta di rispondere a quello che i teorici dei sistemi definiscono «principio di varietà necessaria»: che il modello si adatti alla complessità di ciò che rappresenta.

Il mio secondo obiettivo, collegato al primo, è mostrare che l’educa-zione può essere meglio concepita in termini di acquisizione, da parte di un soggetto, di ciascuna di queste forme di conoscenza nel modo più possibile completo e nella sequenza in cui ciascuna si è evoluta storicamente. Delineo pertanto una nuova teoria di sintesi, diversa da quella proposta nel tardo Diciannovesimo secolo principalmente in termini di cosa viene identificato come oggetto di sintesi.

Tento di dimostrare che ciascuna forma di conoscenza nasce dallo sviluppo di determinati strumenti intellettuali che acquisiamo dalle so-cietà in cui viviamo. Sebbene questi strumenti siano molto diversificati, mi concentro ampiamente su quelli evidenti nel linguaggio: il progressivo sviluppo del linguaggio orale, della letto-scrittura, delle astrazioni teoriche e della riflessività linguistica estrema che dà origine all’ironia. Analizzo le implicazioni dell’essere un utente del linguaggio orale per il tipo (mitico) di conoscenza che ci si può fare del mondo, il tipo di conoscenza (romantica) che deriva dal crescere all’interno di una determinata cultura, il genere di conoscenza (filosofica) che deriva dall’adattamento a comunità che utiliz-zano astrazioni teoriche e il tipo di conoscenza (ironica) che emerge dalla riflessione consapevole sul linguaggio che si utilizza.

Ora, «strumenti» è ovviamente un termine inadeguato; con esso mi riferisco a qualcosa di simile agli «strumenti di mediazione» che lo psicologo

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russo Lev Vygostkij (1986-1934) descrive come affinatori del significato che diamo al mondo. Secondo Vygotskij, non è possibile comprendere lo sviluppo intellettivo nei termini epistemologici che si concentrano sui tipi e sulle quantità di conoscenza accumulata o nei termini psicologici che si concentrano su un presunto processo evolutivo interiore e spontaneo. Di-versamente, Vygotskij concepiva lo sviluppo intellettivo nei termini degli strumenti cognitivi, come il linguaggio, che accumuliamo crescendo in una società e che mediano il tipo di conoscenza che possiamo formare o costruire. Nel capitolo 1 cerco di mostrare come l’enfasi sulla mediazione degli stru-menti cognitivi, anziché sulle forme di conoscenza o sui processi psicologici, permetta la costruzione di una nuova idea di educazione. Pertanto, il mio oro dell’Eldorado pensato per permetterci di superare gli attuali problemi dell’educazione e di trascendere l’impasse ideologico è sostanzialmente una serie di strumenti intellettuali con base linguistica che genera le forme di conoscenza somatica, mitica, romantica, filosofica e ironica.

Tramite l’espressione «con base linguistica» intendo dire che mi occupo di fenomeni culturali più generali, che tuttavia si rispecchiano in maniera piuttosto distinta nell’uso del linguaggio e, discutendo ciascuno di essi, comincio dalle forme linguistiche. Merlin Donald nota: «Si potrebbe dire che l’unicità degli esseri umani risieda non tanto nel linguaggio quanto nella nostra capacità di rapidi cambiamenti culturali. [Ciò che] gli esseri umani hanno sviluppato è stata principalmente una capacità generalizzata di innovazione culturale» (Donald, 1991, p. 10). I tipi di conoscenza sono tentativi di definire un livello base di grandi cambiamenti innovativi nella vita culturale umana, sia storicamente sia nell’esperienza individuale.

Un titolo provvisorio di questo libro è stato La mente del corpo. Dato il riferimento che faccio al linguaggio, agli strumenti intellettivi e alle inno-vazioni culturali, qualcuno potrebbe chiedersi perché il corpo comparisse con tale evidenza. Abbiamo avuto, come specie, e abbiamo, come singoli individui, un corpo, prima che un linguaggio. Il linguaggio nasce dal corpo nel processo di sviluppo evoluzionistico e individuale e reca l’impronta ine-luttabile del corpo: locuzioni e frasi, ad esempio, sono legate al tempo che impieghiamo per inspirare ed espirare, anche se quando parliamo facciamo respiri rapidi ed espiriamo costantemente (un processo nel quale, secondo Pinker, la sintassi ha la precedenza sul biossido di carbonio; Pinker, 1994, p. 164). Similmente, utilizziamo il linguaggio per rappresentare il mondo

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così come ci viene disvelato dal tipo e dalla scala specifici dei nostri organi percettivi. In altre parole, il nostro corpo è lo strumento di mediazione più fondamentale che modella la nostra conoscenza. È un dato ovvio, natu-ralmente, e la conoscenza somatica rappresenta il tipo di conoscenza del mondo possibile agli esseri umani dato il tipo di corpo che abbiamo. Nella teoria esposta nei prossimi capitoli, ciascun tipo di conoscenza non svanisce nel momento in cui è sostituita dalla successiva, ma piuttosto quella nuova si fonde propriamente e ampiamente con quella precedente. Gli sviluppi nell’uso del linguaggio e le loro implicazioni intellettive che esamino sono, quindi, sempre legati in qualche misura a questo nocciolo incarnato di conoscenza. Ciò assume particolare importanza quando arrivo a delineare la mia concezione di conoscenza ironica e discuto alcuni assunti comuni della cultura postmoderna.

Nei capitoli dal 2 al 5 descrivo sia la tipologia, nella storia culturale occidentale, dei cinque tipi di conoscenza sia le forme che essi comunemente assumono oggi tra gli studenti. Cerco inoltre di mostrare che l’istruzione può essere meglio concepita come il processo di sviluppo nel modo più possibile pieno di ciascuno di questi tipi di conoscenza. Il primo tipo, la conoscenza somatica, lo discuto nel capitolo 5, dopo quella ironica, per ragioni che esporrò in quella sede. A parte questo, in ciascun capitolo de-scrivo un tipo di conoscenza, mostrandone la comparsa nella storia culturale dell’Occidente, dando esempi della sua occorrenza in vari periodi storici e indicando parallelismi forse sorprendenti tra queste occorrenze storiche e le vite e le attività degli studenti di oggi. Tra l’altro, queste considerazioni offrono nuove spiegazioni riguardo alla natura della fantasia e del perché generalmente i bambini di 4 e 5 anni la trovino tanto coinvolgente, all’in-teresse dei bambini di 10 anni verso i contenuti del libro del Guinness dei primati, ai legami emotivi dei ragazzini di 11 e 12 anni con cantanti o personaggi celebri dello sport, all’interesse dei sedicenni per i principi generali, i modelli metafisici, le ideologie e così via. L’inedita categoria dei «tipi di conoscenza» ha quantomeno il pregio di sottoporre all’attenzione alcune caratteristiche del pensiero e dell’apprendimento degli studenti che hanno grande rilievo ed effetto nella loro vita ma che sono state in qualche modo trascurate dalla letteratura educativa.

Mi rendo conto che questo discorso sullo sviluppo culturale occi-dentale sugli strumenti intellettuali e sui tipi di conoscenza potrebbe non

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far esattamente battere il cuore a chi spera di trovare modalità migliori per preparare i nostri figli a un lavoro produttivo e a un tempo libero soddisfa-cente. E i riferimenti alla cultura occidentale, insieme all’anticipazione che ora annuncio con prudenza — che parlerò degli antichi Greci e li citerò costantemente —, potrebbero aggiungere un sigillo di disperazione a que-sta impresa per gli spiriti più intrepidi. Credo che nessuno dei due gruppi dovrebbe sentirsi deluso. Un semplice obiettivo di questo libro è mostrare che i «rudimenti» occasionalmente derisi dell’istruzione potrebbero essere raggiunti molto più efficacemente di quanto attualmente e generalmente si faccia; un altro è stabilire, come fine appropriato dell’istruzione, un tipo ironico di conoscenza che è del tutto diverso dalla concezione tradizionalista della persona istruita.

Il capitolo 6 fornisce un’opportunità di riflettere sulla teoria e di chiarirne le inconsuete caratteristiche. Questo capitolo affronta una serie di questioni politiche, ideologiche, pedagogiche, metodologiche, morali e altre ancora sollevate dalla teoria fino a quel momento esposta. Qui fingo di rispondere a domande rivoltemi da un pubblico eterogeneo e critico che ha avuto la pazienza sovrumana di stare seduto attento per tutti i capitoli precedenti; nonostante tutti i miei migliori sforzi per mantenere l’impar-zialità, le persone scettiche che pongono le domande potrebbero apparire stizzose, con un brutto carattere, ottuse, malintenzionate e forse anche un po’ sbronze, e la persona che risponde apparire invece la quintessenza della dolce ragione. (Ricordate che questa «ragione» occidentale è un’altra questione fondamentale di cui occorrerà discutere.)

I capitoli 7 e 8 esplorano poi le implicazioni della teoria per i program-mi di istruzione e la didattica. Nel complesso, quindi, il libro si configura come un imbuto che parte dalle questioni teoriche generali, procede con la costruzione più concreta della teoria e termina con una panoramica piuttosto dettagliata delle implicazioni pratiche. I lettori interessati principalmente alle implicazioni pratiche della teoria potrebbero trovare pesanti i capitoli precedenti, per cui accennerò alle implicazioni in maniera abbastanza dettagliata nel capitolo 2 e, in misura minore, nei capitoli successivi, augu-randomi che questi lettori riescano a compiere il viaggio fino ai capitoli 7 e 8 senza ulteriore ossigeno.

Ho organizzato il libro in tre parti. La prima riguarda principalmente la sintesi moderna dei tipi di conoscenza sviluppati nel corso della storia

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culturale. La seconda esamina le implicazioni della teoria rispetto ai pro-grammi e alle pratiche di insegnamento. Questa suddivisione è diretta ad allertare il lettore rispetto agli stili molto diversi dei due gruppi di capitoli. Non è possibile discutere il programma di studi sociali per la terza classe della scuola secondaria di primo grado o quello di scienze per la terza classe primaria esattamente con lo stesso stile con cui si espone un’argomentazione teorica. Inoltre, cerco di mettere quanto più possibile in relazione le impli-cazioni della teoria con gli attuali programmi e le quotidiane pratiche di insegnamento nelle classi. Potrebbe apparire meno affascinante di quanto la precedente discussione possa indurre ad aspettarsi, ma ugualmente mi auguro che i miglioramenti pratici e autentici che derivano dalla teoria siano chiari.

Insolitamente, per un modello evolutivo, i vantaggi che subentrano con ciascun nuovo set di strumenti intellettuali sono rappresentati in ter-mini che implicano una qualche perdita di conoscenza associata al set di strumenti precedente. Ad esempio, quando impariamo a leggere e scrivere non smettiamo di utilizzare il linguaggio orale, ma generalmente perdia-mo parte della conoscenza che l’essere utilizzatori esclusivi del linguaggio orale implica. Se da un lato questa teoria identifica aspetti cumulativi della conoscenza, dall’altro rappresenta l’istruzione, e la storia culturale, come processi nei quali, attraverso l’alienazione e la disidratazione emotiva e intellettuale, possiamo perdere più di quanto guadagniamo attraverso la delizia conoscitiva ed estetica. Mettetevi fuori da un istituto secondario di secondo grado pubblico alla fine delle lezioni e ve ne accorgerete fin troppo dolorosamente. Il trucco educativo è massimizzare i guadagni riducendo al contempo al minimo le perdite. Se non siamo consapevoli delle potenziali perdite, facciamo ben poco per ridurle al minimo.

Questo libro non riporta nuove scoperte o nuove conoscenze prodotte dalla ricerca. Piuttosto, riorganizza semplicemente idee note da un pezzo in uno schema coerente. Mio scopo non è presentare una qualche nuova concezione esotica dell’istruzione, bensì esporre una teoria più adeguata rispetto a ciò che da tempo questo termine significa. Abbiamo convissuto così a lungo con idee educative importanti ma inadeguate e mutualmente escludentesi e ci siamo perfino così abituati alle difficoltà che hanno causato e tuttora causano, che una teoria che miri a rimuovere queste difficoltà deve apparire di per sé una scocciatura.

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Nella sua opera di economia, John Maynard Keynes ha espresso sin-teticamente il problema:

La stesura di questo libro è stata per l’autore una lunga lotta per la fuga e così deve essere la sua lettura per la maggior parte dei lettori affinché l’aggres-sione attuata dall’autore su di loro abbia successo: una lotta per fuggire dalle modalità abituali di ragionamento ed espressione. Le idee che qui sono espresse tanto laboriosamente sono estremamente semplici e dovrebbero essere ovvie. La difficoltà non sta nelle idee nuove ma nel fuggire da quelle vecchie, che si ramificano, per quelli che sono stati educati come la maggior parte di noi è stata educata, in ogni angolo delle nostre menti. (Keynes, 1936, p. XXIII)