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leGui immigr 9 Vol. leGuide immigrazione.it Semestrale dell’Immigrazione per la Pubblica Amministrazione Raccolta di leggi e commenti su immigrazione, asilo e cittadinanza. II semestre 2007 Aggiornamento: 1 settembre 2007 La cittadinanza italiana Silvia Scopelliti www.immigrazione.it Edizione fuori commercio riservata agli utenti delle intranet della Pubblica Amministrazione, realizzata con il contributo di:

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Semestrale dell’Immigrazioneper la Pubblica AmministrazioneRaccolta di leggi e commenti su immigrazione, asilo e cittadinanza.

II semestre 2007

Aggiornamento: 1 settembre 2007

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Indice

Principi generali in materia di cittadinanza

L’acquisto della cittadinanza per nascita e per adozione

L’acquisto della cittadinanza per beneficio di legge

L’acquisto della cittadinanza per matrimonio e per naturalizzazione

La perdita della cittadinanza

L’apolidia ed il procedimento per il suo riconoscimento

Prospettive di riforma

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Principi generali in materia di cittadinanza.

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La cittadinanza può essere definita come la situazione di appartenenza di un individuo ad un determi-nato Stato. Questo status della persona è spesso distinto in due dimensioni: una verticale, che segna la sog-gezione del singolo ad un dato ordinamento, ed una orizzontale che implica l’inserimento del cittadinonella comunità nazionale della quale non fanno parte gli stranieri.

La legge che in precedenza ha regolato i procedimenti di acquisto della cittadinanza (legge 13 giugno1912, n. 555) si è rivelata superata quando è stata approvata la Carta Costituzionale, in quanto alcunedisposizioni della stessa apparivano costituzionalmente illegittime e lesive, in particolare, del principio diuguaglianza tra uomo e donna.

La normativa è stata quindi modificata con le leggi 21 aprile 1083 n. 123 e 15 maggio 1986 n. 180, maè soltanto con la legge 5 febbraio 1992, n. 91 contenente secondo la stessa rubrica “nuove norme in mate-ria di cittadinanza” che la materia è stata oggetto di una riforma organica. Le disposizioni di tale legge devo-no essere esaminate in collegamento con le norme del Regolamento di esecuzione della legge sulla cittadi-nanza di cui al D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572.

È stata, quindi, abolita ogni forma di discriminazione tra i coniugi e di disparità di trattamento tra uomoe donna, è stato, inoltre, attribuito massimo rilievo alla manifestazione di volontà dell’interessato voltaall’acquisto della cittadinanza italiana, abrogando le antiche ipotesi di acquisto automatico.

Ancora una volta i modi di acquisto della cittadinanza sono stati distinti tra:- iure sanguinis, cioè l’acquisto della cittadinanza per nascita da padre o madre (la legge del 1912 esclu-

deva l’acquisto della cittadinanza materna) italiani. In base all’art. 1 comma 1 lett. a) della legge 5 feb-braio 1992, n. 91, è sufficiente la cittadinanza italiana anche di uno solo dei genitori ed irrilevante illuogo di nascita. Tale modo di acquisto è direttamente connesso al vincolo di filiazione, di qualunquegenere esso sia (legittima o naturale) e riguarda anche i figli adottati, sebbene, in quest’ultima ipotesil’acquisto della cittadinanza italiana non sia il frutto del vincolo di sangue bensì l’effetto del provve-dimento di adozione.

- iure soli, ossia l’acquisto della cittadinanza in ragione della nascita sul territorio dello Stato. Tuttavia,l’applicazione di questa modalità è subordinata dalla norma (art. 1 comma 1 lett. b) della legge 5 feb-braio 1992, n. 91) soltanto alle ipotesi in cui entrambi i genitori siano ignoti o apolidi, ovvero che ilfiglio non segua la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono.

- per iuris communicatio, che indica la possibilità di acquisto della cittadinanza italiana, da parte delconiuge di cittadino italiano, che ne avanzi richiesta e che risieda legalmente nel territorio italiano daalmeno sei mesi ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annul-lamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale (art. 5 legge 5 febbraio1992, n. 91).

- per naturalizzazione o concessione, all’esito di un complesso procedimento iniziato su richiesta di partee che si conclude con un provvedimento concessorio altamente discrezionale. Le ipotesi tassative sonoquelle previste dall’art. 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, ovverosia lo straniero del quale un geni-tore o un nonno fosse cittadino italiano purché risieda in Italia per almeno tre anni o presti serviziomilitare per l’Italia; lo straniero che abbia prestato servizio anche all’estero alle dipendenze dello Statoper almeno cinque anni, il cittadino di un Paese membro della Comunità Europea che risieda in Italiaper almeno quattro anni, l’apolide che risieda almeno cinque anni, lo straniero che, anche privo diogni ulteriore collegamento risieda legalmente in Italia da almeno dieci anni.

Ovviamente, molte delle ipotesi di acquisto della cittadinanza italiana indicate dalla nuova normativahanno come presupposto la possibilità che un cittadino abbia anche contemporaneamente un’altra cittadi-nanza. È stato quindi eliminato il principio, prima in vigore, che l’acquisto di altra cittadinanza compor-tasse la perdita di quella italiana. Mentre sono state introdotte diverse norme volte alla limitazione ed allaeliminazione dei casi di apolidia, di quella condizione cioè in cui un soggetto non è riconosciuto come cit-

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tadino da parte di alcuno Stato. È stato, infine, introdotto il concetto di residenza legale, quale condizione(insieme ad altre) per l’acquisto della cittadinanza. Il Regolamento di esecuzione, nel definire tale nozione,ha chiarito che lo straniero non deve soltanto avere avuto la dimora abituale in Italia, ma deve avervi risie-duto “nel rispetto delle prescrizioni dettate in materia di ingresso soggiorno ed iscrizione anagrafica”, così comeprescritto dall’art. 1 del D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572.

Il termine di residenza legale da maturare ai fini della richiesta di cittadinanza inizia a decorrere, quin-di, non solo dal momento in cui lo straniero è in possesso di regolare permesso di soggiorno (condizionenecessaria ma non sufficiente), ma anche in seguito all’iscrizione anagrafica, che è necessaria per conferirealla residenza di fatto quei connotati di pubblicità e certezza fondamentali per la verifica della durata delperiodo prescritto. Entrambi tali elementi sono necessari ma uno soltanto non è sufficiente a fondare i pre-supposti per avanzare l’istanza di naturalizzazione.

La giurisprudenza, ed in particolare il Consiglio di Stato con la sentenza 9 marzo 1999, n. 799, ha con-fermato tale orientamento, ritenendo che, ai fini della concessione della cittadinanza italiana allo straniero,sia da valutare solo il periodo di soggiorno in Italia assistito da regolare permesso di soggiorno, escludendoogni rilevanza al tempo in cui lo stesso sia risultato solo anagraficamente residente nel territorio dello Stato(nella fattispecie lo straniero aveva conseguito il permesso di soggiorno ben dieci anni dopo l’iscrizioneall’anagrafe).

Infine, la residenza nel territorio italiano, per il periodo richiesto dalla legge nelle varie ipotesi contem-plate, oltre ad essere “legale” nel senso sopra indicato, deve risultare attuale ed ininterrotta sino al momen-to della presentazione della richiesta di cittadinanza, “non essendo possibile cumulare periodi diversi, né avva-lersi di periodi di residenza utili ,maturati in passato ove, poi, la continuità della stessa sia venuta a mancare”(Tar Lombardia 27 gennaio 1996 n. 113).

Una recentissima circolare del Ministero dell’Interno (Prot. n. K.60.1 del 5 gennaio 2007) evidenzia,comunque, che “le nuove esigenze sociali, di studio e di lavoro, possono richiedere motivati spostamentidall’Italia per brevi periodi che dovranno non essere pregiudizievoli per la maturazione del richiesto requisitotemporale”, introducendo così per la prima volta notevoli elementi di flessibilità a favore del richiedente nelprocedimento per la concessione della cittadinanza.

L’autorità di Pubblica Sicurezza sottolinea, infatti, che “eventuali assenze temporanee non dovranno essereritenute pregiudizievoli ai fini della concessione dello status civitatis, quando l’aspirante cittadino che si sia dovu-to recare all’estero, abbia comunque mantenuto in Italia la propria residenza legale (iscrizione anagrafica pressoil Comune e titolo di soggiorno valido per l’intero arco temporale) nonché il centro delle proprie relazioni fami-liari e sociali. Si tratta, in sostanza di adeguare l’interpretazione e l’applicazione della norma alla realtà, con-sentendo al giovane straniero di completare l’integrazione nel Paese in cui è nato, di cui parla la lingua e delquale ha acquisito la cultura e gli stili di vita, senza che ciò possa essere pregiudicato dalla circostanza di essersiallontanato dal Paese per brevi periodi per motivi di studio o familiari”.

Ovviamente, dovrà essere prodotta a cura dello straniero istante idonea documentazione atta a compro-vare le motivazioni dell’allontanamento dal territorio italiano.

La circolare appare, quindi, rivolta a disciplinare essenzialmente le fattispecie relative a cittadini stranie-ri giovani o nati in Italia, riducendo l’impatto negativo che il ripetuto spostamento poteva produrre sul pro-cedimento di concessione della cittadinanza, ma non vi è ragione per ritenere che essa, una volta emanata,non sia da applicare anche alle assenze imputabili a stranieri delle più diverse età e condizioni sociali o disalute.

In ogni caso, il periodo di “residenza legale” richiesta è differente a seconda della situazione e della posi-zione in cui si trova lo straniero nei confronti dell’ordinamento italiano.

Esso è ovviamente più breve per gli stranieri che hanno un legame di parentela con i cittadini italiani(tre anni per i figli dei cittadini italiani) o legami comunque più forti con il territorio della Repubblica(quattro anni per i cittadini di paesi comunitari, cinque per gli apolidi), più lungo per chi ne è privo (diecianni per gli stranieri residenti legalmente).

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Il principio cardine, tra quelli indicati, per l’acquisto della cittadinanza è quello dello ius sanguinis, giàpresente nella pregressa normativa del 1912. Lo ius soli, nell’accezione chiarita in precedenza in base allaquale acquista la cittadinanza italiana chi nasce sul territorio italiano, resta, infatti, un’ipotesi eccezionale eresiduale, finalizzata a limitare e ridurre i casi di apolidia.

Pertanto, l’art. 1 lett. a) della nuova legge stabilisce che è cittadino per nascita il figlio di padre o madrecittadini. E già si possono intravedere le modifiche che la legge 5 febbraio 1992, n. 91 ha apportato al siste-ma dell’acquisto della cittadinanza così come concepito in precedenza.

La norma, infatti, riconoscendo espressamente che anche la madre trasmette la cittadinanza, riaffermain pieno il principio di parità tra uomo e donna per quanto attiene alla trasmissione dello status civitatis,così come era stato prescritto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 30 del 9 febbraio 1983, che avevadichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 1, n. 1, della legge n. 555 del 1912, nella parte in cui nonprevedeva che fosse cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina.

L’art. 1, n. 1, della legge n. 555 del 1912 era, infatti, secondo la Consulta, in chiaro contrasto con l’art.3, 1 comma, della Costituzione che stabilisce l’eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso e conl’art. 29, 2 comma Cost. che dichiara l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi.

La scelta della legge previgente, d’altronde, era ispirata alla concezione imperante nel 1912, che consi-derava la donna giuridicamente inferiore all’uomo e addirittura come persona non avente la completa capa-cità giuridica, concezione che non solo non risponde più al moderno sentire, ma anzi contrasta coi princi-pi dell’ordinamento ed in particolare della Costituzione, che attribuisce pari dignità sociale ed eguaglianzadavanti alla legge a tutti i cittadini senza distinzione di sesso.

Osserva la Corte Costituzionale che di certo non si può parlare, in senso tecnicamente proprio, di undiritto dei genitori di “trasmettere ai figli” i rispettivi status civitatis, dal momento che è sempre l’ordina-mento statale a prevedere le fattispecie nelle quali si realizza l’acquisto della cittadinanza iure sanguinis,acquisto che, dal punto di vista giuridico, esclude ogni trasferimento o trasmissione.

Tuttavia, la disciplina pregressa, con il prevedere l’acquisto originario soltanto della cittadinanza delpadre, ledeva da più punti di vista la posizione giuridica della madre nei suoi rapporti con lo Stato e con lafamiglia. In particolare non può contestarsi l’interesse, giuridicamente rilevante, di entrambi i genitori a chei loro figli siano cittadini e cioè membri di quella stessa comunità statale di cui essi fanno parte e che pos-sano godere della tutela collegata a tale appartenenza.

Si evidenzia che la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma, nellaparte in cui non prevedeva che fosse cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina, non con unasentenza abrogativa, ma con una sentenza additiva, cioè che dichiara la illegittimità di una disposizione nellaparte in cui non preveda una determinata statuizione. Proprio a causa di tale natura della pronuncia, infat-ti, anche se la norma dichiarata illegittima era inserita in una legge anteriore alla Costituzione stessa, l’effi-cacia retroattiva della pronuncia si doveva considerare limitata alla data di entrata in vigore della CartaCostituzionale.

In base alla pronuncia della Corte Costituzionale, e come ribadito anche dal Consiglio di Stato con ilparere n. 105 del 15 aprile 1983, pertanto, la possibilità di conseguire la cittadinanza italiana è stata estesaai figli nati da madre cittadina, a condizione che questa fosse in possesso di tale cittadinanza al momentodella nascita dei figli, in tutti i casi in cui la nascita sia intervenuta dopo il 1 gennaio 1948, data di entratain vigore della Carta Costituzionale.

Tale disciplina si è, comunque, poi, dovuta armonizzare con le previsioni dell’art. 5 della legge 21 apri-le 1983 n. 123 (emanata in un momento immediatamente successivo alla pronuncia della CorteCostituzionale), che attribuiva la cittadinanza italiana al figlio minorenne anche adottivo di padre cittadi-no o di madre cittadina, con una portata più restrittiva della sentenza dell’Alta Corte che aveva inclusoanche i maggiorenni.

La legge del 1992 ha disciplinato in modo più uniforme la materia, eliminando incongruenze e limita-zioni, ma ciò non toglie che le situazioni precedenti alla sua emanazione continuano ad essere regolate dalle

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L’acquisto della cittadinanza per nascita e per adozione

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norme vigenti al momento del loro verificarsi. Ad esempio, il figlio di madre cittadina nato prima del 1 gen-naio 1948 è da considerarsi cittadino straniero, perché assoggettato alla disciplina della legge n. 555 del1912, e sottratto alla efficacia della pronuncia costituzionale; il figlio di madre cittadina nato dopo il 1 gen-naio 1948, se maggiorenne alla data del 27 aprile 1983, sarà considerato cittadino italiano in virtù della sen-tenza della Corte Costituzionale sempre che la madre fosse cittadina italiana al momento della sua nascita,se minorenne alla data del 27 aprile 1983, sarà considerato cittadino italiano in virtù della legge n. 123 del1983, purché la madre abbia acquistato la cittadinanza in un qualunque momento della sua minore età, maanche dopo la nascita del figlio.

Anche il punto b) dell’articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 conferma la prevalenza del principiodello ius sanguinis per l’acquisto della cittadinanza, riducendo l’adozione del criterio dello ius soli ad unamera ipotesi residuale da applicare nei confronti di tutti coloro che per diverse ragioni non conseguono unacittadinanza straniera per filiazione.

Basti pensare alla dizione letterale dell’art. 1 lett. b) della legge che limita l’attribuzione della cittadinan-za italiana a chi è nato nel territorio della Repubblica solo nel caso in cui entrambi i genitori siano ignoti oapolidi, ovvero che il figlio non segua la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale que-sti appartengono.

I genitori sono considerati “ignoti” da un punto di vista esclusivamente giuridico, sono tali cioè in man-canza di riconoscimento del figlio o di dichiarazione giudiziale di maternità o di paternità.

Quanto all’eventuale condizione di apolidia dei genitori, tale status deve essere effettivamente attestato:o in via giudiziaria a seguito dell’accertamento da parte del giudice competente, oppure in via amministra-tiva da parte del Ministero dell’Interno.

Per quanto riguarda l’altro caso contemplato dalla norma e cioè l’ipotesi che il figlio non segua la citta-dinanza di nessuno dei due genitori secondo la legge dello Stato al quale essi appartengono, si ritiene innan-zitutto che tale circostanza oltre ad essere provata dai genitori del minore deve essere verificata anche dal-l’esame della legislazione straniera del Paese di appartenenza degli stessi e, se del caso, integrata da dichia-razioni rilasciate dalle competenti autorità diplomatiche e consolari dello Stato di origine dei genitori inte-ressati.

Si devono, infatti, distinguere due ipotesi: l’assoluta impossibilità di trasmettere la cittadinanza, che puòdipendere ad esempio dalla legge dello Stato straniero d’origine dei genitori, la quale esclude che il figlionato all’estero possa conseguire la loro cittadinanza, e la possibilità di trasmettere la cittadinanza adempien-do alcune condizioni formali o sostanziali, come ad esempio la registrazione della nascita presso un conso-lato o il rientro nel Paese di origine, oppure una dichiarazione espressa del genitore esercente la patria pote-stà o, ancora, lo svolgimento del servizio militare.

Nel primo caso, l’impossibilità assoluta va provata dai genitori mediante la presentazione di un’apposi-ta dichiarazione rilasciata dalle competenti autorità diplomatiche e consolari dello Stato di origine e nonsussiste alcun dubbio che possa essere attribuita la cittadinanza italiana secondo la disposizione in esame.

Nel secondo caso, invece, il bambino non acquista automaticamente al momento della nascita la citta-dinanza straniera, ma ha la possibilità di acquistarla non appena si verifichi quanto previsto dalla legge delgenitore. Al riguardo il Consiglio di Stato, con parere n. 2482 del 30 novembre 1992, ha precisato che “l’i-potesi di trasmissione della cittadinanza da parte dei genitori per effetto della sola nascita, si considera sus-sistere anche quando, per ottenere tale effetto, i genitori o legali rappresentanti del minore sono tenuti adichiarare una volontà in tal senso o ad effettuare taluni adempimenti formali presso le autorità diplomati-che o consolari del paese di appartenenza”.

D’altronde, non sarebbe logico far dipendere l’attribuzione della cittadinanza dalla mera omissione disemplici atti formali da parte dei genitori. Altrimenti, in tal modo si consentirebbe al soggetto di sceglierela propria cittadinanza, in luogo di quella dello Stato di origine, facendo dipendere tale acquisto da unacondizione meramente potestativa, rimessa ad una insindacabile opzione dei genitori stranieri; la formula-zione dell’art. 1 lett. b), al contrario, appare unicamente diretta ad evitare situazioni di apolidia destinate aprotrarsi nel futuro.

Tale orientamento è stato recepito dall’art. 2 del D.P.R. 12.10.1993 n. 572 (regolamento di esecuzionedella legge sulla cittadinanza), che infatti, stabilisce: “il figlio, nato in Italia da genitori stranieri, non acqui-sta la cittadinanza italiana per nascita ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge, qualora l’ordina-

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mento del paese di origine dei genitori preveda la trasmissione della cittadinanza al figlio nato all’estero,eventualmente anche subordinandola ad una dichiarazione di volontà da parte dei genitori o legali rappre-sentanti del minore, ovvero all’adempimento di formalità amministrative da parte degli stessi”.

Si ha invece l’acquisto della cittadinanza italiana, secondo la norma di cui sopra, nelle ipotesi in cui lalegge dello Stato di origine del genitore straniero imponga l’adempimento di condizioni sostanziali per l’at-tribuzione della cittadinanza straniera, come ad esempio il caso in cui il figlio acquisti la cittadinanza delPaese d’origine dei genitori a condizione che vi stabilisca la propria residenza, oppure vi assuma un impie-go o vi presti il servizio militare.

Il comma 2 dell’art. 1 contempla, infine, il criterio residuale dello ius soli e, nel prevedere l’attribuzionedella cittadinanza per il figlio di ignoti trovato sul territorio della Repubblica, riprende sostanzialmentequanto già stabilito dalla legge del 1912.

L’attribuzione della cittadinanza iure soli a titolo originario previsto dall’art. 1 della legge del 1992 deveessere collegata alla presunzione che la nascita sia avvenuta sul territorio dello Stato e che i genitori sianoentrambi ignoti o apolidi.

Deve ritenersi, in sostanza, che il termine “trovato” vada collegato con l’evento nascita e con la norma-tiva disciplinante tale istituto nell’Ordinamento dello Stato Civile (D.P.R. 3.11.2000, n. 396), il cui art. 38dispone: “Chiunque trova un bambino abbandonato deve affidarlo ad un istituto o ad una casa di cura. Ildirettore della struttura che accoglie il bambino ne dà immediata comunicazione all’ufficiale dello stato civi-le del comune dove è avvenuto il ritrovamento. L’ufficiale dello stato civile iscrive negli archivi di cui all’art.10 apposito processo verbale nel quale indica l’età apparente ed il sesso del bambino, così come risultantinella comunicazione a lui pervenuta, ed impone un cognome ed un nome, informandone immediatamen-te il giudice tutelare e il tribunale per i minorenni per l’espletamento delle incombenze di rispettiva com-petenza”.

Da tale connessione con l’Ordinamento di Stato Civile discende che destinatario dell’art. 1, n. 2 dellalegge n. 91 può essere soltanto un bambino in tenerissima età, incapace di riferire sulle proprie origini. Nonnecessariamente, quindi, si tratta di un nato in Italia, ma poiché rinvenuto nel territorio italiano si presu-me, fino a prova contraria, nato in Italia, e per questo motivo acquista la cittadinanza italiana.

Sembra escluso che possa trattarsi di un adulto, anche se incapace di intendere e volere e privo di docu-menti atti a dimostrare la propria identità o cittadinanza. Qualora un soggetto in tale condizione fosse rin-venuto sul territorio italiano, dovrebbe essere considerato e trattato nella situazione di apolidia.

Quanto alla nozione di “territorio della Repubblica”, devono ritenersi comprese anche le navi iscritte neiregistri marittimi italiani e gli aeromobili immatricolati nel Registro Aeronautico Nazionale, battenti bandie-ra italiana. L’art. 4 comma 2 c.p., infatti, dispone che le navi e gli aeromobili italiani siano considerati cometerritorio dello Stato ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, ad unalegge straniera, come ad esempio le navi che si trovano in navigazione nelle acque territoriali di un altro Paese.

Il legislatore, d’altronde, come più volte indicato, ha previsto l’acquisto della cittadinanza iure soli perevitare l’apolidia del soggetto, sul presupposto che il legame rappresentato dalla nascita in Italia, ossia nel-l’ambito spaziale in cui si esplica la sovranità nazionale, valga ad inserire la persona nella comunità del Paese.

Non sembra, invece, che si possa equiparare alla nascita in Italia la nascita nelle sedi diplomatiche ita-liane all’estero, in quanto i limiti al potere di governo dello Stato ospitante posti dal diritto internazionalesono finalizzati ad assicurare esclusivamente l’esercizio della funzione diplomatica e non appaiono tali dapermettere di individuare un prevalente potere di governo dello Stato cui appartenga l’ambasciata.

Altrettanto rilevanti, ai fini dell’individuazione della cittadinanza sono le disposizioni vigenti in paesistranieri e relative al riconoscimento dello ius soli.

Com’è noto, infatti, in virtù della contemporanea operatività del combinato disposto dagli artt. 1 e 7della legge 13 giugno 1912, n. 555 e delle disposizioni vigenti in materia di cittadinanza di numerosi Paesiesteri d’antica emigrazione italiana (ad es. tutti gli Stati del continente americano, l’Australia, ecc.), in basealle quali lo status civitatis era attribuito iure soli, i figli nati sul territorio dello Stato d’emigrazione(Argentina, Brasile, Uruguay, Stati Uniti d’America, Canada, Australia, Venezuela, ecc.) da padre cittadinoitaliano acquisivano dalla nascita, il possesso tanto della cittadinanza italiana (in derivazione paterna) quan-to della cittadinanza dello Stato di nascita e permanevano nella condizione di “bipolidia” anche nel caso incui il genitore, durante l’età minorile, mutasse cittadinanza naturalizzandosi straniero.

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Nel contempo, anche i soggetti nati in uno Stato estero il quale attribuisce la cittadinanza “iure soli” ericonosciuti da padre cittadino o la cui paternità sia stata dichiarata giudizialmente, risultano versare nellamedesima situazione di doppia cittadinanza. Da ciò deriva la concreta possibilità che i discendenti di secon-da, terza e quarta generazione ed oltre di emigrati, siano investiti della cittadinanza italiana.

All’acquisto della cittadinanza italiana secondo il principio dello ius soli può, infine, assimilarsi la disci-plina contemplata dall’art. 4, n. 2 della legge del 1992, che appunto prevede il conseguimento della citta-dinanza italiana al raggiungimento della maggiore età se il soggetto ha risieduto legalmente ed ininterrotta-mente sul nostro territorio dalla nascita fino ai diciotto anni e se rende un’esplicita manifestazione di volontàin tal senso entro il diciannovesimo anno.

Il concetto di acquisto della cittadinanza per trasmissione da parte dei genitori, ha ugualmente rilievo intutte le ipotesi di filiazione. Ai fini della legge 5 febbraio 1992 n. 91, infatti, sono equiparate le posizionidi figlio legittimo (cioè nato da genitori coniugati tra loro), naturale (cioè nato da genitori non coniugatitra loro) ed anche adottato.

È da sottolineare che solo con la legge 5 giugno 1967, n. 431 la posizione del minore adottato è stataequiparata a quella di figlio legittimo; in precedenza, infatti, i minori stranieri adottati da cittadini italianinon acquistavano la cittadinanza italiana.

Le leggi 21 aprile 1983, n. 123, in materia di cittadinanza (art. 5) e 4 maggio 1983, n. 184 (art. 39) inmateria di adozione, hanno confermato tale impostazione.

Anche la legge del 1992 ha disciplinato l’acquisto della cittadinanza in caso di adozione, stabilendo cheil minore straniero adottato da cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana. E il secondo comma del-l’art. 3 aggiunge che tale disposizione si applica anche nei confronti degli adottati prima della data di entra-ta in vigore della legge.

L’acquisto della cittadinanza a seguito dell’adozione avviene direttamente sulla base del decreto di ado-zione emanato dal Tribunale per i minorenni, oppure da quando diviene efficace in Italia il provvedimen-to di adozione di un minore straniero da parte di un cittadino italiano emanato all’estero.

Tuttavia, la modifica alla legge sull’adozione avvenuta con la legge 31 dicembre 1998 n. 476 che ha rati-ficato la Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993, ha sollevato non poche perplessità in ordine al realemomento di acquisto della cittadinanza da parte del minore straniero adottato.

L’art. 34 ult. comma della legge 31 dicembre 1998 n. 476 stabilisce, infatti, che il minore adottatoacquista la cittadinanza italiana per effetto della trascrizione del provvedimento d’adozione nei registri distato civile, apparentemente conferendo efficacia costitutiva a quella che è sempre stata considerata una for-malità a carattere probatorio e dichiarativo.

La dizione letterale della norma, ricollegata a quanto previsto dall’art. 15 della legge n. 91 del 1992(secondo il quale l’acquisto o il riacquisto della cittadinanza ha effetto dal giorno successivo a quello in cuisono adempiute le condizioni e le formalità richieste), sembra affermare che è solo dal momento della tra-scrizione e non dal momento del provvedimento di adozione che decorrerebbero gli effetti dell’acquistodella cittadinanza italiana.

Tuttavia, in tal modo, non soltanto vi sarebbe una scissione tra il momento di acquisto dello status fami-liare (la qualità di figlio si acquista in ogni caso a decorrere dalla data del decreto di adozione ex art. 35 dellastessa legge 31 dicembre 1998 n. 476) e quello dello status civitatis, ma si attribuirebbe anche erroneamen-te efficacia costitutiva dello status civitatis alla trascrizione del provvedimento di adozione sui registri dellostato civile. E ciò non può essere, dal momento che gli atti dello stato civile sono solo attestazioni di fattirelativi allo status delle persone ed assolvono una funzione di pubblicità.

Tale interpretazione, d’altronde, violerebbe lo stesso spirito della legge del 1998, finalizzata sia a fornireuna maggiore uniformità delle procedure relative alla materia dell’adozione internazionale fra Stati e unareale collaborazione tra gli stessi, ma soprattutto a realizzare pienamente l’interesse del minore adottato, el’assoluta parità tra il minore straniero adottato ed il minore adottato in Italia.

Con la circolare n. K28.4 del 13 novembre 2000, lo stesso Ministero dell’Interno, riconoscendo il pro-blema, è intervenuto affermando che “la trascrizione negli atti di stato civile del decreto di adozione emes-so dall’autorità giudiziaria non è condizione costitutiva dello status civitatis italiano, rende solo possibile l’ef-ficacia ex tunc del provvedimento divenuto definitivo e dà pubblicità e certezza all’atto fondamentale, costi-tutivo del diritto di cittadinanza del minore straniero adottato”.

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Tale interpretazione, che è stata condivisa anche dal Ministero di Grazia e Giustizia (all’epoca compe-tente in materia di status) e dalla Commissione per le adozioni internazionali, risulta coerente con i princi-pi generali dell’Ordinamento di Stato Civile, “nell’ambito del quale l’iscrizione o la trascrizione di un attonei registri ha la sola funzione di attribuire certezza giuridica e dare pubblicità ai fatti registrati, giammaiquella di incidere sul momento costitutivo di uno status giuridico il cui sorgere scaturisce esclusivamentedagli atti o dai fatti ai quali la legge attribuisce l’efficacia costitutiva del rapporto giuridico”.

Definitiva conferma in tal senso è stata poi fornita dal legislatore con la legge 28 marzo 2001, n. 149(art. 22), che modificando il quinto comma dell’art. 26 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ha stabilito che“gli effetti dell’adozione si producono dal momento della definitività della sentenza”.

Differente, ma non meno spinoso, è il problema della disciplina della concessione della cittadinanzanelle fattispecie in cui il procedimento di adozione instaurato nei confronti di uno straniero minorenne siconclude quando ormai l’interessato ha raggiunto la maggiore età, impedendo l’acquisto automatico.

Tale ipotesi ricadrebbe nell’ambito di applicazione dell’art. 9 comma 1 lett. b della legge 5 febbraio 1992n. 91, che prevede un trattamento di particolare favore per lo straniero adottato dopo il compimento dellamaggiore età, riducendo da dieci a cinque anni il periodo di residenza legale in Italia, necessario come pre-supposto per avanzare l’istanza di naturalizzazione .

Tuttavia, come più volte la stessa giurisprudenza ha evidenziato, ciò produrrebbe un pregiudizio deltutto inaccettabile al ragazzo straniero adottato che si vedrebbe negare “un beneficio legato alla sua minoreetà per circostanze a lui non imputabili”.

Il Ministero dell’Interno con una recentissima circolare (Prot. n. K.60.1 del 5 gennaio 2007) ha sottoli-neato la necessità di ricorrere ad una interpretazione della norma più rispettosa dei diritti e delle prerogati-ve del minore, rilevando che “anche se la sentenza di adozione è una pronuncia costitutiva non retroattiva,essa riguarda un soggetto di cui viene disposta l’adozione sulla base della situazione esistente al momentodella domanda, ossia quella di adottato minorenne”, perciò “deve essere considerata sentenza di adozionedi minorenne, con la conseguente riconducibilità alle disposizioni di cui all’art. 3, comma 1 della legge n.91/92, relative all’acquisto automatico della cittadinanza italiana da parte del minore straniero adottato”anche se produce i suoi effetti nei confronti di un soggetto divenuto maggiorenne nel corso del giudizio diadozione, e quindi, “la cittadinanza andrà riconosciuta a far data dalla sentenza di adozione in quantoriguarda effettivamente un minore adottato”.

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La fattispecie, regolata dall’art. 4 della legge, viene comunemente definita come acquisto della cittadi-nanza per beneficio di legge o per elezione o opzione, in quanto vi è il concorso dei presupposti determi-nati dal legislatore e di una manifestazione di volontà da parte dell’interessato.

La disciplina attuale riprende, modificandola, quella dell’art. 3 della legge del 1912, attribuendo unamaggiore rilevanza, come negli altri modi di acquisto già esaminati, all’elemento volontaristico piuttostoche al criterio della residenza ed alla discendenza dei genitori o degli avi che devono essere cittadini pernascita.

Così, lo straniero o l’apolide, del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secon-do grado sono stati cittadini per nascita, conseguirà la cittadinanza italiana, dichiarando previamente divolerla acquistare, alle seguenti condizioni:

a) se presta effettivo servizio militare nelle Forze Armate Italiane, ob) se assume pubblico impiego alle dipendenze dello Stato italiano anche all’estero, oppurec) se al raggiungimento della maggiore età, risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della

Repubblica e dichiara entro un anno dal raggiungimento della maggiore età di voler acquistare la cit-tadinanza italiana.

In base a tale disposizione possono acquistare la cittadinanza italiana solo gli stranieri o gli apolidi, anchenati all’estero, i cui ascendenti fossero cittadini italiani per nascita ma non per altri motivi (ad esempio pernaturalizzazione).

È da sottolineare come l’attuale disposizione, per la concessione del beneficio, faccia riferimento anchealla discendenza in derivazione materna, mentre il corrispondente art. 3 della legge del 1912 limitava l’ac-quisto della cittadinanza unicamente nei confronti dello straniero del quale il solo avo paterno, oltre alpadre e alla madre, fosse stato cittadino italiano per nascita, escludendo pertanto i discendenti da avo disesso femminile. Anche qui è stata sanata una situazione che appariva in contrasto con i principi costituzio-nali.

La discendenza da cittadini italiani per nascita impone di verificare, in relazione alle vicende storiche delRegno d’Italia, che gli antenati siano nati nel Regno d’Italia in una data successiva alla sua creazione (17marzo 1861), o siano nati in territori ad esso annessi in date successive all’annessione (3 ottobre 1866 peril Veneto; 26 settembre 1920 per il Trentino). Inoltre, ai sensi dell’art. 3, comma 2 del Regolamento di ese-cuzione la dichiarazione di voler acquisire la cittadinanza italiana (necessaria in tutte e tre le ipotesi) deveessere corredata dall’atto di nascita dell’interessato e dal certificato di cittadinanza italiana per nascita del-l’ascendente, al fine di comprovare i requisiti voluti dalla legge.

Quanto alla fattispecie di cui alla lettera a) l’acquisto della cittadinanza italiana è subordinato alla pre-stazione effettiva del servizio militare, né l’entrata in vigore delle norme che hanno abolito il servizio obbli-gatorio di leva ha in alcun modo inciso sulla sua efficacia, dal momento che l’art. 1 del D.P.R. 12.10.1993,n. 572 concernente il Regolamento di esecuzione della legge n. 91 del 1992 ha chiarito che “b) si conside-ra che abbia prestato effettivamente servizio militare chi abbia compiuto la ferma di leva nelle Forze Armateitaliane o la prestazione di un servizio equiparato a quello militare, a condizione che queste siano intera-mente rese, salvo che il mancato completamento dipenda da sopravvenute cause di forza maggiore ricono-sciute dalle autorità competenti”. Pertanto è sufficiente anche la prestazione di un servizio equiparato aquello militare come il servizio civile o nella polizia.

L’assolvimento del servizio deve comunque essere effettivo, pertanto, qualora il soggetto abbia ottenutodispense od esenzioni previste dalla legge, i suoi obblighi si riterranno assolti ma non costituiranno un vali-do presupposto per la richiesta di cittadinanza. Diversa è la situazione se la prestazione del servizio milita-re divenisse impossibile per il sopravvenire di fatti indipendenti dalla volontà dell’interessato, come adesempio il prodursi, durante la ferma, di una inidoneità psico-fisica.

Inoltre, tenuto conto che l’art. 15 della legge del 1992 stabilisce che l’acquisto o il riacquisto della cit-tadinanza ha effetto dal giorno successivo a quello in cui si sono adempiute le condizioni e le formalitàrichieste, la norma regolamentare stabilisce che per tale fattispecie il termine di decorrenza sia il giorno suc-cessivo a quello del congedo (art. 13 del Regolamento di esecuzione).

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L’acquisto della cittadinanza per beneficio di legge

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Ovviamente, la dichiarazione di volontà di acquisto della cittadinanza, per essere impegnativa, deve esse-re precedente all’inizio della prestazione del servizio militare.

Quanto alla fattispecie di cui alla lettera b) l’interessato all’acquisto della cittadinanza italiana deve assu-mere pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all’estero.

Al riguardo, si devono differenziare le ipotesi in cui il legislatore ha collegato all’assunzione di pubblicoimpiego (prevista dagli artt. 4, lett. b) - in esame - e 13, lett. b)) l’acquisto e il riacquisto immediato dellacittadinanza italiana, da quelle c.d. di naturalizzazione (nell’art. 9, lett. c) della legge n. 91 del 1992) cherichiede invece una certa durata - almeno cinque anni - nel rapporto.

Inoltre, le diverse espressioni usate (“assume pubblico impiego” e “ha prestato servizio”) non sembranoessere casuali, ma volute per i diversi effetti ad essi connessi.

Tali dizioni sono state chiarite dall’art. 1 del regolamento di esecuzione della legge, il quale in partico-lare ha stabilito che “salvo i casi nei quali la legge richiede specificamente l’esistenza di un rapporto di pub-blico impiego, si considera che abbia prestato servizio alle dipendenze dello Stato chi sia stato parte di unrapporto di lavoro dipendente con retribuzione a carico del bilancio dello Stato”.

Al riguardo è intervenuta la giurisprudenza che, nel pronunciarsi sul rapporto tra pubblico impiego eprestazione di servizio alle dipendenze dello Stato, ha individuato diversi criteri. Nella sentenza del T.A.R.Lazio, sez. I, 1 marzo 1995, n. 381, infatti, si legge che “il rapporto di pubblico impiego - che si colloca nelpiù ampio “genus” del rapporto di servizio, quale relazione di natura intersoggettiva patrimoniale per cuiun soggetto persona fisica è proposto o addetto ad un determinato ufficio della pubblica amministrazione- in quanto imperniato sul binomio prestazione-retribuzione si differenzia dal rapporto di servizio onora-rio, nel quale rileva soprattutto la prestazione, palesandosi come elemento secondario la corresponsione diun compenso di natura indennitaria; tale rapporto è configurabile nel caso in cui sussista un rapporto diservizio con attribuzione di funzioni pubbliche ma con l’assenza degli elementi caratterizzanti dell’impiegopubblico sia con riferimento al modo di costituzione dello stesso (fondato su una scelta politico-discrezio-nale), che all’inserimento nell’apparato organizzativo (meramente funzionale), allo svolgimento (regolatodall’atto di conferimento delle funzioni), alla retribuzione (avente natura indennitaria) nonché alla duratadel rapporto medesimo (normalmente limitato nel tempo)”.

Nell’ipotesi prevista dall’art. 4, pertanto, non può ritenersi titolo idoneo per l’acquisto della cittadinan-za italiana l’attività prestata mediante contratti a tempo determinato, configurabile, infatti, quale servizio,come richiesto dall’art. 9, lett. c) e non già quale rapporto di pubblico impiego.

Tali rapporti lavorativi, in entrambi i casi, devono essere svolti non a favore di qualunque ente pubbli-co, ma alle dipendenze dello Stato. Ne restano escluse, pertanto, quelle attività autonome, quali ad esem-pio la consulenza legale o l’assistenza tecnico-professionale in favore di un’ambasciata italiana, sia pureespletata con continuità e con retribuzione periodica a carico dello Stato.

Ovviamente, per l’acquisto della cittadinanza in base a tale disposizione, occorre sempre la dichiarazio-ne di volontà, che comunque non può essere espressa utilmente dopo la cessazione del pubblico impiego.In detta ipotesi, infatti, mancherebbe la presenza contestuale di un requisito legittimante la richiesta e checostituisce anche l’interesse per il quale è stato previsto il beneficio in esame.

Infine, per la fattispecie di cui alla lett. c), l’interessato, al raggiungimento della maggiore età, deve risie-dere legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica e dichiarare, entro un anno dal raggiun-gimento di voler acquistare la cittadinanza italiana.

Sono sorti fondati dubbi sulla circostanza se sia irrilevante o meno, dopo il raggiungimento della mag-giore età e prima della dichiarazione di volontà, il trasferimento della residenza all’estero del soggetto inte-ressato. Nonostante l’ambiguità del dettato della legge, sembra fondata l’interpretazione che esige la sussi-stenza contemporanea di ambedue gli elementi della fattispecie, ossia della residenza in Italia al momentodella dichiarazione di volontà. Ciò in quanto, da un lato la disposizione si riferisce espressamente ad un sog-getto che risiede attualmente in Italia, dall’altro l’interpretazione contraria violerebbe la finalità della normache privilegia il collegamento tra soggetto e territorio.

Il secondo comma dell’art. 4 della legge n. 91 del 1992, prevede, infine, il conseguimento della cittadi-nanza italiana da parte dello straniero, nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzionidalla nascita fino al raggiungimento della maggiore età, ove dichiari di volerla acquisire entro un anno dalcompimento della maggiore età.

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È da osservare che anche qui - come d’altronde in tutte le fattispecie contemplate dalla legge - viene datauna forte rilevanza alla manifestazione di volontà del soggetto interessato: lo straniero nato e residente inItalia “diviene cittadino” soltanto se “dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana”.

La dichiarazione di volontà prevista dall’art. 4, comma 2 deve ovviamente essere resa dinanzi all’ufficia-le di stato civile del comune dove l’interessato risiede, così come prescritto dall’art. 23 della legge, produ-cendo l’atto di nascita e la documentazione relativa alla residenza (come indicato dall’art. 3 comma 4 delRegolamento di esecuzione). L’acquisto della cittadinanza decorrerà dal giorno successivo a quello in cui ladichiarazione è stata resa con le modalità evidenziate.

Nel caso in specie, nonostante la legge equipari più volte ai fini dell’acquisto della cittadinanza la posi-zione dello straniero e quella dell’apolide, la norma in esame si deve ritenere applicabile esclusivamente aglistranieri in quanto ai sensi dell’art. 1 comma 1 lett. b), già esaminato, agli apolidi nati in Italia verrebbeattribuita la cittadinanza in base al criterio dello ius soli.

Per avvalersi della disposizione citata l’interessato dovrà aver risieduto legalmente senza interruzioni dallanascita fino al raggiungimento della maggiore età nel nostro Paese.

Come indicato tra i principi generali relativi all’acquisto della cittadinanza, ancora una volta il concet-to di residenza legale cui fa riferimento il legislatore non è soltanto quello indicato dall’art. 43 del codicecivile, bensì il risultato di una pluralità di presupposti: la residenza, l’iscrizione anagrafica e la regolarità dellaposizione relativa alle norma in materia di ingresso e soggiorno.

Anche qui il legislatore sembra aver dato rilievo, per il conseguimento della cittadinanza, non già allamera residenza abituale sul nostro territorio da parte dello straniero, ma anche alla posizione di legalità,indicativa della piena integrazione nel tessuto nazionale da parte dell’aspirante cittadino.

Tuttavia, non sono infrequenti i casi di soggetti nati in Italia da genitori stranieri che non possono dimo-strare l’ininterrotta residenza legale in quanto i genitori hanno omesso di provvedere alla loro regolarizza-zione, oppure hanno provveduto ad assolvere agli adempimenti prescritti solo a notevole distanza di tempodalla loro nascita. In tali fattispecie, non si può ritenere applicabile la disposizione in esame se non si sonoverificate tre condizioni, indicate dal Consiglio di Stato nel parere del 6 novembre 1996, n. 940, il qualeha ritenuto “…che l’omissione o il ritardo della dichiarazione di soggiorno a nome del minore possano con-siderarsi non pregiudizievoli, ai fini di cui si discute, alla triplice condizione che:

1) la nascita del minore, avvenuta in Italia, sia stata come tale regolarmente e tempestivamente denun-ciata allo stato civile, anche ai fini anagrafici;

2) che i genitori fossero, al momento della nascita, legalmente residenti con valido permesso di soggior-no ed iscrizione anagrafica;

3) che tale condizione dei genitori abbia continuato a permanere per tutto il periodo considerato, quan-to meno sino a che il figlio non abbia acquisito un titolo di soggiorno autonomo.

Solo con il concorso delle suddette tre condizioni si verifica, da un lato, la sussistenza di un titolo legit-timo ad ottenere il permesso di soggiorno, e dall’altro, la pubblicità, certezza e stabilità della residenza delminore straniero in Italia”.

Infine, si rileva che non può usufruire della disposizione in esame, chi è nato in Italia, ma ha interrottola residenza. A costui potrà eventualmente essere applicabile la disposizione della lettera a) dell’art. 9 dellalegge, secondo cui è possibile chiedere la concessione della cittadinanza in base al presupposto della residen-za legale di almeno tre anni, invece dei dieci richiesti in via generale per i cittadini non comunitari.

Anche in questo caso appare utile richiamare la recentissima circolare del Ministero dell’Interno (Prot.n. K.60.1 del 5 gennaio 2007), già citata in precedenza, che introduce per la prima volta notevoli elementidi flessibilità a favore del richiedente nel procedimento per la concessione della cittadinanza, sottolineandocome “eventuali assenze temporanee non dovranno essere ritenute pregiudizievoli ai fini della concessionedello status civitatis, quando l’aspirante cittadino che si sia dovuto recare all’estero, abbia comunque man-tenuto in Italia la propria residenza legale (iscrizione anagrafica presso il Comune e titolo di soggiorno vali-do per l’intero arco temporale) nonché il centro delle proprie relazioni familiari e sociali. Si tratta, in sostan-za di adeguare l’interpretazione e l’applicazione della norma alla realtà, consentendo al giovane straniero dicompletare l’integrazione nel Paese in cui è nato, di cui parla la lingua e del quale ha acquisito la cultura egli stili di vita, senza che ciò possa essere pregiudicato dalla circostanza di essersi allontanato dal Paese perbrevi periodi per motivi di studio o familiari”.

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Fondamentali modifiche alla normativa in materia di acquisto della cittadinanza italiana per matrimo-nio sono state introdotte nel nostro ordinamento dalla legge n. 123 del 1983 che, molto prima della leggen. 91 del 1992, ha radicalmente modificato la disciplina.

È stata così cancellata sia la disparità di trattamento tra i coniugi, che la discriminazione contro le donneesistente nelle disposizioni del 1912. In base alla previgente normativa, infatti, la donna sposata dovevanecessariamente seguire la cittadinanza del marito, così che la moglie straniera di un cittadino italiano neacquistava la cittadinanza per effetto del matrimonio in modo automatico, senza potervi rinunciare, e la cit-tadina italiana coniugata con uno straniero perdeva la cittadinanza italiana.

La discriminazione contro le donne diveniva vera e propria disparità di trattamento tra i coniugi se solosi pensa che l’acquisto automatico della cittadinanza italiana per effetto del matrimonio era previsto soltan-to nell’ipotesi in cui a sposare un italiano fosse una donna straniera e non nel caso il coniuge straniero fosseil marito.

La legge n. 123 del 1983 ha abolito qualsiasi distinzione di trattamento tra i coniugi, ha assoggettatol’acquisto della cittadinanza ad un periodo di durata del vincolo coniugale (allo scopo di impedire il piùpossibile i matrimoni simulati, più facili quando per l’acquisto della cittadinanza era sufficiente il mero fattodella celebrazione delle nozze) ed eliminato ogni automatismo nell’acquisto della cittadinanza italiana, sub-ordinandolo comunque ad una manifestazione di volontà da parte dell’interessato.

Così anche gli artt. 5, 6, 7 e 8 della legge n. 91 del 1992, nel disciplinare l’acquisto della cittadinanzada parte del coniuge straniero o apolide di cittadino italiano, hanno mantenuto la medesima impostazione.

In particolare, gli artt. 5 e 7 prevedono i requisiti e le modalità per il conseguimento della cittadinanzada parte degli interessati, i quali possono proporre istanza al Prefetto del luogo di residenza dopo sei mesidi residenza legale sul territorio italiano oppure, se residenti all’estero, all’autorità consolare del luogo diresidenza, dopo tre anni di matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione deglieffetti civili dello stesso e se non sussiste separazione legale intervenuta prima dei termini suindicati.

I requisiti relativi al matrimonio non devono comunque continuare ad esistere sino al momento di con-ferimento della cittadinanza italiana, in quanto ciò che rileva ai fini della presentazione della domanda dicittadinanza è che in un determinato momento storico si sia verificato il concorrere delle circostanze di fattoe delle condizioni giuridiche previste dalla legge (ossia che l’apolide o lo straniero sia stato coniugato per treanni, ovvero per sei mesi, se residente in Italia, con un cittadino italiano). Pertanto, così come affermato dalConsiglio di Stato nei pareri formulati relativamente al Regolamento di esecuzione della legge, “le modifi-cazioni sopravvenute a quel momento storico (scioglimento del matrimonio per effetto di divorzio dalconiuge italiano o per effetto di decesso da parte dello stesso; trasferimento all’estero della residenza, qua-lora ai fini dell’acquisto della cittadinanza sia fatto valere il requisito della residenza in Italia per sei mesi incostanza di matrimonio, ecc.) sono irrilevanti, ancorché, in ipotesi, anteriori alla presentazione dell’istanza”(Consiglio di Stato pareri n. 2487 del 30.11.1992 e n. 347 del 17.05.1993).

Differenti sono, invece, le conseguenze di un eventuale annullamento del matrimonio, dal momento chegiuridicamente l’annullamento ha effetto retroattivo, perciò la cancellazione del vincolo coniugale dalmomento stesso in cui esso è stato contratto potrebbe incidere anche sulla cittadinanza conseguita in virtùdi tale legame o sulla domanda a tale scopo avanzata.

Tuttavia, l’acquisto della cittadinanza in seguito ad un matrimonio annullato è stato definito come uneffetto accessorio del vincolo matrimoniale e quindi resistente alla sua eliminazione qualora il matrimoniosia stato contratto in buona fede.

La domanda di cittadinanza e la necessaria documentazione (elencata dall’art. 1 del D.P.R. n. 362 del1994) devono essere presentati personalmente dallo straniero al Prefetto del luogo di residenza, se ha fissatola sua dimora in Italia, o all’autorità consolare del luogo di residenza se all’estero. Se la documentazione ècarente o irregolare l’autorità procedente può chiederne l’integrazione, qualora l’interessato non provvedessea ciò potrebbe essere emesso un provvedimento che dichiari inammissibile la richiesta di cittadinanza.

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L’acquisto della cittadinanza per matrimonio e per naturalizzazione

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Il decreto di inammissibilità, proprio perché fondato sull’omissione o i vizi formali della documentazio-ne, deve essere tenuto distinto dal provvedimento di rigetto, ed, infatti, contrariamente a quest’ultimo nonpreclude la possibilità di presentare un nuova istanza non appena l’interessato sarà in possesso della docu-mentazione necessaria, senza che debbano trascorrere determinati periodi di tempo.

Il provvedimento di rigetto è, invece, ordinariamente fondato sulla presenza di cause ostative all’acqui-sto delle cittadinanza italiana per i coniugi stranieri di italiani, motivazione che impedisce di presentarenuovamente l’istanza prima di cinque anni.

In base all’art. 6 della legge n. 91 del 1992 costituiscono causa di preclusione al conseguimento della cit-tadinanza per matrimonio:

1) la condanna per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III del Codice Penale,cioè la condanna definitiva (all’esito di tutti i gradi di giudizio esperibili) per reati contro la persona-lità internazionale ed interna dello Stato e contro i diritti politici del cittadino;

2) la condanna per un delitto non colposo per il quale la legge preveda una pena edittale non inferiorenel massimo a tre anni di reclusione; ovvero la condanna per un reato non politico ad una pena deten-tiva superiore ad un anno da parte di una autorità giudiziaria straniera, quando la sentenza sia statariconosciuta in Italia. Nonostante il riferimento della norma sia diretto alla cornice edittale del delit-to non colposo commesso, la giurisprudenza ha affermato che essa “va interpretata nel senso che talelimite si calcola con riferimento alla sommatoria delle condanne riportate dall’interessato e non già aduna sola condanna per un singolo delitto” (Consiglio di Stato, sez. IV, 5 agosto 1999, n.1345);

3) la sussistenza, nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica. Nonostante la genericità dell’espressione normativa, si ritiene che tale causa ostativa si determini quan-do, tramite le indagini svolte dai Servizi di sicurezza, si accerta che lo straniero svolge attività in gradodi mettere in pericolo le istituzioni dello Stato attraverso azioni o frequentazioni riconducibili adambienti sovversivi.

Verificato il possesso dei requisiti richiesti dalla legge e l’inesistenza di cause ostative, le autorità ammi-nistrative procedenti emanano il decreto di accoglimento della domanda di cittadinanza italiana, che appa-re, quindi, come un atto vincolato.

Anche la giurisprudenza, al riguardo, ha affermato che “deve ritenersi che il coniuge del cittadino siatitolare - in generale - di un vero e proprio diritto soggettivo all’emanazione del decreto, che affievolisce adinteresse legittimo solo in presenza dell’esercizio, da parte della Pubblica Amministrazione, del poterediscrezionale di valutare l’esistenza di motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica che ostino a dettoacquisto (SS.UU. sent. n. 1000 del 27-01-1995, Frenopolus c. Ministero dell’interno). In tale contesto, fattasalva l’eventuale sussistenza di motivi inerenti la sicurezza della Repubblica, l’acquisto o il diniego sono attidel tutto vincolati, restando esclusa ogni forma di apprezzamento discrezionale e ogni valutazione che possaavere riflessi di natura politica” (Consiglio di Stato, Ad. Gen., 10 giugno 1999 n. 9).

Che si tratti di un atto vincolato è attestato, poi, anche da quanto affermato nel parere del Consiglio diStato n. 2482 del 30 novembre 1992, laddove si definisce la natura giuridica di tale provvedimento comedi accertamento costitutivo della cittadinanza italiana, con efficacia ex nunc e non ex tunc, più che un attoconcessorio, può essere definito un atto di riconoscimento della cittadinanza, ed infatti il relativo decreto èemanato dal Ministro dell’Interno e non dal Presidente della Repubblica (come nella fattispecie della natu-ralizzazione di cui all’art. 9 della legge n. 91 del 1992), al quale è riservata la firma dei provvedimenti checomportano valutazioni discrezionali.

Anche il contenuto dell’art. 8 della legge, infine, conferma tale interpretazione. Nel disciplinare, infat-ti, le modalità per il rigetto dell’istanza stabilisce che l’emanazione del decreto di rigetto è preclusa quandosia decorso il termine di 730 giorni (cioè due anni) dalla data di presentazione dell’istanza, corredata dallaprescritta documentazione.

L’efficacia del decreto ministeriale di riconoscimento della cittadinanza è subordinata alla prestazione delgiuramento, previsto dall’art. 10 della legge n.91 del 1992, dinanzi all’Ufficiale di Stato Civile del Comunedi residenza o davanti all’Autorità diplomatico-consolare italiana, se l’interessato risiede all’estero. L’acquistodella cittadinanza decorrerà dal giorno successivo a quello del giuramento.

Di vera e propria concessione della cittadinanza italiana si deve, invece, parlare nelle ipotesi di natura-lizzazione di cui all’art. 9 della legge del 1992, che, a differenza di quanto stabiliva la previgente normati-

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va, richiede quale requisito un graduale periodo di residenza a seconda che lo straniero interessato sia o nocomunitario o titolare di altri particolari status che presuppongono la maggiore integrazione di esso con larealtà italiana rispetto ai cittadini non comunitari.

In via ordinaria viene richiesta una residenza legale sul territorio dello Stato di almeno dieci anni per glistranieri non comunitari (art. 9, lett. f), ma numerosi sono i casi per i quali il periodo di residenza occor-rente è inferiore.

La normativa all’art. 9 prevede che la cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidentedella Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’interno:

a) allo straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sonostati cittadini per nascita, o che è nato nel territorio della Repubblica e, in entrambi i casi, vi risiedelegalmente da almeno tre anni, comunque fatto salvo quanto previsto dall’art. 4, comma 1, lettera c);

b) allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio dellaRepubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione;

c) allo straniero che ha prestato servizio, anche all’estero, per almeno cinque anni alle dipendenze delloStato;

d) al cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee se risiede legalmente da almeno quattroanni nel territorio della Repubblica;

e) all’apolide che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica;f ) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.Con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato e previa deliberazione del

Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro degli affari este-ri, la cittadinanza può essere concessa allo straniero quando questi abbia reso eminenti servizi all’Italia, ovve-ro quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato.

La diversa lunghezza dei periodi ha anche ingenerato dubbi di legittimità costituzionale sulla normati-va, in quanto, secondo alcuni ricorrenti, essa dava luogo a disparità di trattamento tra gli stranieri in situa-zioni diverse.

Tuttavia, pochi anni dopo l’entrata in vigore della nuova normativa, il giudice amministrativo ha dichia-rato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 per contrasto con il prin-cipio di uguaglianza nella parte in cui prevede un diverso termine di durata per i cittadini di paesi dellaComunità Europea “in quanto il principio di eguaglianza può considerarsi violato solo nel caso in cui aidentiche situazioni sostanziali sia riservato un trattamento differenziato” (Tar Trentino Alto Adige, 22 mag-gio 1995, n. 158), e non si può certo ritenere pienamente equiparabile la posizione di un cittadino di unPaese appartenente alla Comunità Europea, con quello di un Paese che è completamente estraneo a tali vin-coli giuridici, economici e politici.

Per ciò che concerne la residenza, si deve poi ricordare che, ai fini della cittadinanza, è richiesta la “resi-denza legale” nel territorio dello Stato, e cioè lo straniero non deve soltanto avere avuto la dimora abitua-le in Italia, ma deve avervi risieduto “nel rispetto delle prescrizioni dettate in materia di ingresso soggiornoed iscrizione anagrafica”, così come prescritto dall’art. 1 del Regolamento di esecuzione (D.P.R. 12.10.1993,n. 572).

Il termine di residenza legale da maturare ai fini della richiesta di cittadinanza inizia a decorrere, quin-di, non solo dal momento in cui lo straniero è in possesso di regolare permesso di soggiorno (condizionenecessaria ma non sufficiente), ma anche in seguito all’iscrizione anagrafica, che è necessaria per conferirealla residenza di fatto quei connotati di pubblicità e certezza fondamentali per la verifica della durata delperiodo prescritto. Entrambi tali elementi sono necessari ma uno soltanto non è sufficiente a fondare i pre-supposti per avanzare l’istanza di naturalizzazione.

Infine, la residenza nel territorio italiano, per il periodo richiesto dalla legge nelle varie ipotesi contem-plate, oltre ad essere “legale” nel senso sopra indicato, deve risultare attuale ed ininterrotta sino al momen-to della presentazione della richiesta di cittadinanza, “non essendo possibile cumulare periodi diversi, néavvalersi di periodi di residenza utili maturati in passato ove, poi, la continuità della stessa sia venuta a man-care” (Tar Lombardia 27 gennaio 1996 n. 113).

Questo orientamento è stato confermato dal costante indirizzo del Consiglio di Stato, il quale ha riba-dito, con i pareri n. 2800 e n. 363, resi dalla sezione prima, rispettivamente in data 22 febbraio 1995 e 1

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marzo 1995, che il periodo di residenza legale prescritto ed utile ai fini del conseguimento della cittadinan-za deve avere il carattere della continuità. Anche il disposto di cui all’art. 4 del D.P.R. 12.10.1993, n. 572,al comma 7 chiarisce che le condizioni previste per la proposizione dell’istanza di cui all’art. 9 della leggen. 91 del 1992 devono permanere sino alla prestazione del giuramento di cui all’art. 10 della legge mede-sima.

Solo con una recentissima circolare del Ministero dell’Interno (Prot. n. K.60.1 del 5 gennaio 2007) sonostati introdotti per la prima volta notevoli elementi di flessibilità a favore del richiedente nel procedimentoper la concessione della cittadinanza, riconoscendo che “le nuove esigenze sociali, di studio e di lavoro, pos-sono richiedere motivati spostamenti dall’Italia per brevi periodi che dovranno non essere pregiudizievoliper la maturazione del richiesto requisito temporale”.

Pertanto, si può affermare che presupposto per l’emanazione del provvedimento concessorio del benefi-cio invocato è che sussistano, sino al momento del perfezionarsi dell’acquisto della cittadinanza mediantela prestazione del giuramento, le circostanze di fatto e le condizioni giuridiche previste dalla legge e non giàche le stesse si siano verificate in qualsiasi tempo anteriormente alla proposizione della relativa istanza, a dif-ferenza di quanto previsto per l’acquisto della cittadinanza per matrimonio.

D’altronde, l’art. 9 della legge afferma che la cittadinanza italiana “può essere concessa” allo stranieroresidente legalmente nel nostro territorio, indicando con tale espressione il carattere altamente discreziona-le del provvedimento, a differenza di quanto previsto per i provvedimenti di naturalizzazione per matrimo-nio, i quali, come esaminato, sono da considerarsi atti dovuti in assenza delle cause preclusive tassativamen-te indicate dalla legge.

Infatti, come affermato ripetutamente dal Consiglio di Stato, l’Amministrazione ha il dovere di valuta-re, oltre alla sussistenza dei requisiti previsti dalla legge, un’ulteriore serie di elementi dai quali possa esseretratto un giudizio di merito circa l’opportunità dell’inserimento dello straniero nella comunità nazionale.

I giudici di appello hanno chiarito che la naturalizzazione, di cui alla lettera f, concessa con decreto delPresidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’Interno, “presuppo-ne l’accertamento di un interesse pubblico da valutarsi anche in relazione ai fini propri della società nazio-nale e non già solo sul semplice riferimento dell’interesse privato di chi si risolve a domandare la cittadinan-za per il soddisfacimento di personali esigenze. La valutazione discrezionale dell’amministrazione deve tene-re conto, oltre che dell’aspirazione all’acquisto della cittadinanza italiana, anche della possibilità di assume-re gli obblighi di carattere economico derivanti dall’ammissione alla comunità dello Stato, nonché dellaserietà delle ragioni che inducono ad abbandonare la collettività di origine per scegliere la nazionalità ita-liana. Il relativo provvedimento è adottato sulla base di valutazioni ampiamente discrezionali circa l’esisten-za di un’avvenuta integrazione dello straniero in Italia, tale da poterne affermare la compiuta appartenenzaalla comunità nazionale; così che, ai fini della concessione del beneficio, ben possono avere rilievo conside-razioni di carattere economico-patrimoniale relative al possesso di adeguate fonti di sussistenza. L’Ammini-strazione, infatti, dopo avere accertato l’esistenza dei presupposti per proporre la domanda di cittadinanza,deve effettuare una valutazione delle ragioni che inducono il richiedente a scegliere la nazionalità italiana edelle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall’appartenenza alla comunità nazionale, compresiquelli della solidarietà economica e sociale posti dalla Costituzione” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 novembre2002, n. 6063).

Proprio per questo motivo i numerosi provvedimenti di diniego di concessione della cittadinanza italianavengono ordinariamente motivati sull’assenza di un interesse pubblico all’integrazione dello straniero o perchéquest’ultimo non possiede un reddito che gli consenta di far fronte ai doveri di solidarietà economica e socia-le che il nuovo status civitatis gli imporrebbe o perché è ritenuto pericoloso per la sicurezza pubblica.

Con riguardo al primo motivo, si ritiene auspicabile un intervento legislativo nel settore volto a defini-re una volta per tutte con chiarezza il concetto di insufficienza del patrimonio dell’istante, ostativo alla natu-ralizzazione dello straniero.

Infatti, dall’esame della giurisprudenza amministrativa in ordine al requisito economico, si può rilevarecome gli stessi giudici amministrativi nel valutare la legittimità dei numerosi provvedimenti di diniego dellacittadinanza richiesta, in alcuni casi dichiarano che “ai fini della concessione della cittadinanza non è neces-saria la percezione di un reddito di carattere retributivo o stabile, ma è sufficiente provare il possesso dimezzi di sussistenza idonei che possono consistere anche nel godimento di una borsa di studio” (Consiglio

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di Stato, Sez. IV, 9 luglio 2001, n. 3829), salvo poi affermare in altre pronunce che non è richiesta dalla leggeper l’acquisto della cittadinanza una determinata capacità economica.

Ed anche per quanto attiene all’individuazione dei parametri di reddito necessari, in assenza di una pre-cisa disposizione legislativa che individui - almeno verso il basso, definendo il concetto di inadeguatezza,come avviene per il rilascio del permesso e della carta di soggiorno - la misura dei mezzi di sussistenza mini-mi necessari per richiedere la cittadinanza, non si è giunti ad un preciso accordo sul metro valutativo da uti-lizzare per verificare la sufficienza del reddito.

In qualche caso si è ricorsi, infatti, all’art. 4 comma 8 della legge 28 febbraio 1990, n. 39, in materia diasilo politico, che subordina il rinnovo del permesso di soggiorno al possesso di un reddito pari all’impor-to della pensione sociale, più in generale, comunque si è affermato che l’insufficienza dei mezzi economicipuò essere desunta dal parametro previsto dall’art. 3 della legge 29 gennaio 1990, n. 8 per l’esenzione dallapartecipazione alla spesa sanitaria per il nucleo familiare composto dal titolare di pensione di vecchiaia.

Quest’ultimo parametro, sebbene più restrittivo, può, in effetti, essere giustificato dall’esigenza praticadi evitare la naturalizzazione di un soggetto che andrebbe ad accrescere il peso economico per il Paese cui èrivolta l’istanza.

Ai fini della valutazione del reddito, come evidenziato più volte nelle pronunce giudiziali, si deve tenerconto degli introiti degli altri membri della famiglia conviventi, come nelle ipotesi della casalinga il cuimarito risulti percettore di un reddito conforme alle prescrizioni di legge o anche quando il richiedente siauno studente universitario, che non gode di reddito proprio, ma fruisce del reddito familiare, essendo anco-ra a carico dei genitori.

Tali orientamenti giurisprudenziali sono stati recepiti ultimamente dalla stessa amministrazione diPubblica Sicurezza, la quale, con la circolare n. K.60.1 di prot. del 5 gennaio 2007, da un lato si è chiara-mente pronunciata in relazione al parametro reddituale, individuato per il singolo individuo in “quello pre-visto dall’art. 3 del D.L. n. 382 del 25.11.1989, convertito con legge 25 gennaio 1990 n. 8, per l’esenzio-ne dalla partecipazione alla spesa sanitaria, pari a circa 8.300 euro” sottolineando, in presenza del “decorsodi un considerevole lasso di tempo tra la data di presentazione dell’istanza e quella di perfezionamento delrelativo iter, sarà possibile procedere, prima dell’eventuale diniego, ad un attualizzazione dei redditi dichia-rati, dando modo al richiedente di indicare gli eventuali miglioramenti della posizione economica interve-nuti nel frattempo”.

Dall’altro, modificando le posizioni assunte sino all’emanazione della circolare, ha affermato la necessi-tà di considerare il reddito dell’intero nucleo familiare.

Si legge, infatti, che “le mutate condizioni sociali e l’importanza di favorire il processo migratorio indu-cono oggi a riconsiderare vicine quanto più possibile a quelle dei nostri connazionali le situazioni, anchefamiliari, degli stranieri coinvolti nel percorso di integrazione nella nostra collettività”. È perciò necessario“nel rispetto del concetto di solidarietà familiare cui sono tenuti i membri della famiglia, valutare la consi-stenza economica dell’intero nucleo al quale l’aspirante cittadino appartiene quando, dalla documentazio-ne prodotta e/o dalla istruttoria esperita, si può evincere che esistono altre risorse che concorrono a forma-re il reddito. In presenza di questi presupposti la cittadinanza potrà quindi essere concessa alle casalingheprive di reddito proprio e verrà in questo modo garantito alle stesse di vivere in piena autonomia e consa-pevolezza l’essere e sentirsi italiane. Ciò nell’ambito di una struttura familiare alla quale partecipano in con-dizione di piena parità con il coniuge, a prescindere dalla titolarità di un reddito proprio”.

Particolare rilievo assume quindi la condotta tenuta dall’interessato, il livello di integrazione nel tessutosociale, la posizione reddituale e l’assolvimento dei correlati obblighi fiscali, nonché l’inequivocabile volon-tà di entrare a far parte della collettività italiana.

È possibile affermare che l’emanazione del decreto concessorio di cui all’art. 9, resta subordinata ad unavalutazione di opportunità politico-amministrativa ampiamente discrezionale: è soltanto in questa ipotesiche si può propriamente parlare di concessione, in quanto il possesso dei requisiti prescritti è un presuppo-sto, sì necessario, ma non sufficiente per l’emanazione del provvedimento.

Il secondo comma dell’art. 9 dispone, poi, che la cittadinanza italiana possa essere concessa con Decretodel Presidente della Repubblica e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministrodell’Interno, di concerto con il Ministro degli Affari Esteri, allo straniero che abbia reso eminenti serviziall’Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato. In tale fattispecie, non è richiesto alcun

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periodo di residenza in Italia da parte dell’interessato, ma l’unico presupposto della concessione della citta-dinanza sono “gli eminenti servizi resi all’Italia” oppure “un eccezionale interesse dello Stato”, requisiti,ovviamente, suscettibili di valutazioni ampiamente discrezionali relative ai singoli casi e prive di qualsiasivincolo legislativamente prefissato.

Per l’avvio della relativa procedura non necessita di un atto di impulso proveniente dal soggetto interes-sato, in quanto la discrezionalità viene esercitata non solo riguardo al merito della decisione, ma anche inrelazione all’opportunità ed ai tempi dell’avvio del procedimento.

Anche in tale ipotesi è, però, necessario acquisire una dichiarazione di assenso dell’interessato all’acqui-sto della cittadinanza in quanto il mutamento dello status civitatis incide in maniera radicale sulla condi-zione personale dell’individuo e non è, pertanto, possibile, secondo i principi generali dell’ordinamento giu-ridico, che esso intervenga nei confronti di un soggetto senza un’idonea ed esplicita manifestazione del pro-prio consenso.

Infine, come per l’acquisto della cittadinanza italiana per matrimonio e per residenza, anche qui il con-seguimento del nuovo status civitatis decorrerà dal giorno successivo a quello del giuramento, che rimanecondizione di efficacia del decreto presidenziale di concessione della cittadinanza italiana.

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La legge del 1992 ha innovato decisamente l’ordinamento relativamente alla materia della cittadinanza,soprattutto per quanto riguarda la tematica della doppia cittadinanza e della perdita della stessa.

La legge del 1912 era frutto di una concezione decisamente contraria alla pluripolidia, perciò contene-va diversi meccanismi, anche automatici, quali la perdita della cittadinanza per la donna cittadina coniuga-ta con uno straniero, finalizzati ad evitare il contemporaneo possesso di una cittadinanza straniera insiemea quella italiana. Ed anche la legge del 1983 aveva mantenuto tale impostazione prevedendo l’obbligo diopzione in caso di doppia cittadinanza per colui che al raggiungimento della maggiore età fosse in posses-so di altra cittadinanza per filiazione.

La disciplina vigente, al contrario, è volta a favorire la conservazione della cittadinanza italiana in casodi acquisto, a qualunque titolo, di una cittadinanza straniera, ed attribuisce un ruolo preponderante, in talsenso, alla manifestazione di volontà dell’interessato mediante l’esercizio di un potere di scelta.

Attualmente, quindi, mentre l’acquisto della cittadinanza italiana presenta innumerevoli difficoltà e l’a-dempimento di numerosi obblighi, la sua perdita oltreché molto rara, in quanto non più ricollegata ai vec-chi automatismi, è la conseguenza o di una rinuncia volontaria, o dell’esercizio di attività incompatibili coni doveri di fedeltà verso lo Stato Italiano (art. 11 e 12 della legge 5 febbraio 1992 n. 91).

L’art. 11 della legge è la disposizione principale che regola la perdita della cittadinanza italiana stabilen-do che il cittadino che possiede, acquista, o riacquista una cittadinanza straniera conserva quella italiana,ma può ad essa rinunciare qualora risieda o stabilisca all’estero la propria residenza.

Al riguardo, occorre evidenziare che l’art. 20 della legge n. 91 del 1992 circoscrive gli effetti retroattividella medesima disponendo che lo status civitatis acquisito anteriormente all’entrata in vigore della leggestessa non si modifica, se non per fatti posteriori alla data della sua entrata in vigore.

Pertanto, anche i casi di perdita della cittadinanza italiana verificatisi in data anteriore all’entrata in vigo-re della nuova legge risultano consolidati in relazione alle norme vigenti all’epoca del verificarsi dei fatti stes-si. Quindi soltanto dal 16 agosto 1992, a differenza di quanto prevedeva l’art. 8 della legge n. 555 del 1912,il cittadino italiano che acquista volontariamente una cittadinanza straniera, risiedendo all’estero, conservaquella italiana, salvo che non vi rinunci.

La possibilità di mantenere la cittadinanza italiana anche nell’eventualità dell’acquisto volontario diun’altra cittadinanza straniera, costituisce un notevole vantaggio per la persona, offrendo al cittadino la pos-sibilità del pieno inserimento sociale e lavorativo nel Paese straniero che lo accoglie mediante l’acquisto diquella cittadinanza, senza che ne possa derivare, come in precedenza, lo scioglimento del legame giuridicocon il paese di origine.

Appare, però, opportuno evidenziare, che la possibilità di mantenere anche la cittadinanza straniera,oltre quella italiana, risulterà condizionata dalla specifica disciplina degli ordinamenti stranieri. Questi,infatti, possono contemplare la perdita automatica della cittadinanza in caso di acquisto o riacquisto volon-tario di altra cittadinanza.

L’applicazione della norma è comunque subordinata al ricorrere di diverse condizioni: - l’atto di rinuncia alla cittadinanza italiana;- la sussistenza di un’effettiva e stabile residenza all’estero come manifestazione concreta dell’interesse del

soggetto ad acquistare una diversa cittadinanza;- la detenzione di un altro status civitatis, perché l’interessato non può rinunciare alla cittadinanza italia-

na se non è titolare di altra cittadinanza, al fine di evitare casi di apolidia.Le modalità di presentazione della dichiarazione di rinuncia sono indicate dall’art. 8 del Regolamento di

esecuzione della legge in materia di cittadinanza, il quale prescrive che l’atto di rinuncia, redatto in formascritta, sia presentato dall’interessato in Italia all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza, ed all’e-stero all’autorità diplomatica o consolare italiana competente per il luogo dove il rinunziante risiede. Adesso devono essere allegati oltre all’atto di nascita ed al certificato di cittadinanza italiana anche la documen-tazione relativa al possesso della cittadinanza straniera e quella relativa alla residenza all’estero, queste ulti-me rilasciate dall’autorità straniera e munite di traduzione così come previsto dalle disposizionidell’Ordinamento dello Stato Civile.

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La perdita della cittadinanza

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La perdita della cittadinanza interverrà il giorno successivo a quello in cui la persona interessata avrà resola dichiarazione di rinuncia secondo le modalità stabilite dall’art. 23 della legge 5 febbraio 1992 n. 91.

La preminenza attribuita dalla legge del 1992 al principio volontaristico appare evidente anche alla lucedella particolare ipotesi di perdita disciplinata dall’art. 14.

Il particolare tipo di rinuncia previsto da questa disposizione può essere, infatti, esercitata da coloro cheabbiano ottenuto la cittadinanza italiana durante la minore età, in quanto figli conviventi con il genitoredivenuto cittadino. Avendo conseguito lo status civitatis italiano senza il concorso della propria volontà,hanno, pertanto, la facoltà di rinunciarvi, una volta maggiorenni, senza l’ulteriore condizione del trasferi-mento della residenza all’estero, come stabilito invece dall’art. 11. Inoltre, detto articolo non pone alcunlimite di tempo entro il quale manifestare detta volontà.

Un particolare caso di rinuncia è poi quello previsto dall’art. 3, comma 4 della legge per il soggetto mag-giorenne adottato. Quando la revoca dell’adozione interviene per fatto dell’adottante (cioè in tutte le ipo-tesi in cui la responsabilità o la colpa della revoca dell’adozione non può essere in alcun modo imputataall’adottato) e l’adottato è maggiorenne ed in possesso di altra cittadinanza, egli può rinunciare alla cittadi-nanza italiana, conseguita in virtù dell’adozione, entro un anno dalla revoca stessa. La ratio di tale disposi-zione è quella di fornire la possibilità all’adottato di interrompere ogni legame, anche quello relativo alla cit-tadinanza, con l’adottante che si è reso responsabile delle cause che hanno determinato la revoca dell’ado-zione.

Ai fini del riacquisto della cittadinanza l’art. 14 del Regolamento di esecuzione della legge sulla cittadi-nanza prevede che la rinuncia alla cittadinanza ai sensi degli articoli 3, comma 4, 13, comma 1, lett. d) e14 della legge consente di poter successivamente acquistare la cittadinanza italiana soltanto in applicazionedegli artt. 5 e 9 della legge, e cioè a seguito di naturalizzazione.

La disciplina appare finalizzata ad impedire che un soggetto acquisti e rinunci alla cittadinanza ogni qualvolta ed in qualsiasi momento lo desideri, eventualmente per poter usufruire di vantaggi contingenti.

I casi di rinuncia sinora indicati sono comunque espressione dell’esercizio di un potere di scelta da partedell’interessato, il quale liberamente decide di abbandonare lo status civitatis italiano. Altre ipotesi di perdi-ta della cittadinanza italiana sono previste dagli articoli 12 e 3, comma 3 della legge, ma qui la perdita dellacittadinanza italiana ha il carattere di una sanzione per la condotta tenuta, e perciò la sua applicazione nonè subordinata al possesso di altra cittadinanza, indipendentemente dalla possibilità di creare casi di apoli-dia. L’art. 12 prevede, infatti, che “il cittadino italiano perde la cittadinanza se, avendo accettato un impie-go pubblico od una carica pubblica da uno Stato o ente pubblico estero o da un ente internazionale cui nonpartecipi l’Italia, ovvero prestando servizio militare per uno Stato estero, non ottempera, nel termine fissa-to, all’intimazione che il Governo italiano può rivolgergli di abbandonare l’impiego, la carica o il serviziomilitare” ed anche, al secondo comma, che “il cittadino italiano che durante lo stato di guerra con uno statoestero, abbia accettato o non abbia abbandonato un impiego pubblico od una carica pubblica od abbia pre-stato servizio militare per tale Stato senza esservi stato obbligato, ovvero abbia acquistato volontariamentela cittadinanza, perde la cittadinanza italiana al momento della cessazione dello stato di guerra”.

In entrambe le ipotesi la perdita della cittadinanza segue ad un comportamento che implica la violazio-ne dell’art. 54 Cost., cioè del dovere di fedeltà verso la Repubblica.

Diverse le formalità e la disciplina applicativa stabilita per il primo ed il secondo comma dell’art. 12.Il primo comma prevede la necessità di una formale intimazione ad abbandonare le attività incompati-

bili con la cittadinanza italiana, intimazione che secondo l’art. 9 del Regolamento di esecuzione della leggedeve essere fatta con decreto del Ministero dell’Interno, contenente l’indicazione di un termine consentitoper l’abbandono delle attività contestate, decorrente dal giorno della notifica all’interessato. La perdita dellacittadinanza da parte di chi non ha ottemperato si determina nel giorno successivo alla scadenza del termi-ne fissato per l’abbandono delle attività incompatibili con i doveri di fedeltà allo Stato (art. 15 delRegolamento).

Il secondo comma dell’art. 12 prevede la perdita della cittadinanza anche da parte di chi durante lo statodi guerra contro uno Stato estero abbia accettato o non abbia abbandonato un impiego pubblico o una cari-ca pubblica, oppure vi abbia prestato il servizio militare senza esservi obbligato o ne abbia acquistato volon-tariamente la cittadinanza. In questa fattispecie la privazione dello status civitatis avviene automaticamente,al momento della cessazione dello stato di guerra con la firma dell’armistizio, senza l’emanazione di alcuna

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intimazione o l’esecuzione di ulteriori obblighi. Trattandosi di un’ipotesi particolarmente lesiva del doveredi fedeltà allo Stato non è ammesso in alcun caso il riacquisto della cittadinanza italiana, contrariamente aquanto previsto per il primo comma.

Infine, altra ipotesi di perdita sanzionatoria è quella contenuta nell’art. 3, comma 3 della legge n. 91 del1992. Disposizione parallela a quella contenuta nel terzo comma del medesimo articolo, prevede la perdi-ta della cittadinanza italiana da parte dell’adottato, qualora l’adozione sia revocata per fatti a questi impu-tabili. In tale caso, tuttavia, a differenza di quelli precedentemente analizzati, occorre che l’interessato sia inpossesso di altra cittadinanza o che riacquisti automaticamente quella di origine a seguito della perdita diquella italiana.

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L’apolide è chi è privo della cittadinanza di qualsiasi Stato, o più che altro, il soggetto che nessuno Statoriconosce come proprio cittadino. Tale status può essere originario o derivato, cioè può caratterizzare l’indi-viduo già al momento della nascita o può risalire ad un momento successivo, essendo stato determinatodalla perdita di una cittadinanza (ad es. perché la persona è stata destinataria da parte dello Stato di un prov-vedimento abrogativo a causa di una particolare condotta o per un atto personale di rinuncia alla cittadi-nanza che si possedeva) senza che vi sia stato l’acquisto di un’altra.

Lo status di apolide è disciplinato dalla Convenzione adottata a New York il 28 settembre 1954 e ratifi-cata dall’Italia con legge 1 febbraio 1962 n.306. L’art. 1 della legge definisce l’apolide in via indiretta stabi-lendo che tale normativa non è applicabile :

• alle persone che attualmente beneficiano della protezione o della assistenza da parte di un organismoo di una istituzione delle Nazioni Unite salvo che l’Alto Commissario delle N.U. per i rifugiati, finoa che esse beneficeranno della detta protezione o assistenza;

• alle persone considerate dalle competenti autorità del Paese in cui hanno stabilito la loro residenzacome aventi i diritti ed i doveri inerenti al possesso della cittadinanza di questo Paese;

• alle persone di cui si avranno serie ragioni per ritenere che abbiano commesso un crimine contro lapace, un crimine di guerra, un crimine contro l’umanità, un crimine grave di diritto comune fuori delPaese di residenza prima di esservi ammesse, o azioni contrarie ai principi delle nazioni Unite.

L’art. 12 della stessa Convenzione stabilisce, poi, un importante principio affermando che lo status per-sonale dell’apolide è determinato in base alla legge del Paese ove quest’ultimo ha il domicilio o la residen-za, intendendosi per domicilio, quello indicato dall’art. 43 del codice civile, ossia il luogo in cui la personaha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi.

Perciò, l’art. 16 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recependo le indicazioni della Convenzione interna-zionale, stabilisce che l’apolide, legalmente residente, è soggetto alla legge italiana per ciò che riguarda l’e-sercizio dei diritti civili e gli obblighi del servizio militare.

Al riguardo si tratta di una vera e propria equiparazione della posizione dell’apolide a quella del cittadi-no, in quanto soggetto vincolato a adempiere ad alcuni doveri che non possono essere, invece, richiesti allostraniero, il quale è già obbligato nei confronti dello Stato di appartenenza.

Per quanto attiene, invece, alle norme relative, all’ingresso ed al soggiorno, all’assistenza sanitaria ed all’e-sercizio dell’attività lavorativa sia autonoma che subordinata, l’apolide è assoggettato alla stessa disciplinaprevista per lo straniero così come stabilito dall’art. 1 del T.U. (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286).

Lo status di apolide è comunque una condizione agevolata, essendo ricollegata, nel nostro ordinamentoad un trattamento più vantaggioso rispetto a quello riservato allo straniero in generale ed al rifugiato, inquanto si tratta di un soggetto privo di legami giuridici vincolanti con un altro Paese e, per il quale, quin-di, l’integrazione da parte dello Stato Italiano è più semplice.

Basti pensare alla norma che stabilisce un periodo di tempo di residenza legale in Italia, necessario perla proposizione della domanda di cittadinanza, pari a cinque anni, invece che dieci, cioè dimezzato rispet-to a quello stabilito per gli stranieri extracomunitari.

Si tratta, in effetti, di una situazione residuale la cui stessa disciplina è volta a favorire l’acquisto di unanuova cittadinanza e la riduzione dei casi di apolidia.

Ad esempio l’art. 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, dispone che è cittadino per nascita “chi è natonel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi” (ipotesi di prevalenza dello iussoli determinata proprio dall’assenza di ulteriori e diversi vincoli di cittadinanza).

E così l’art. 4 della stessa legge stabilisce che l’apolide del quale il padre o la madre o uno degli ascen-denti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita diviene cittadino italiano in tre ipotesi:

• se presta effettivo servizio militare per lo Stato italiano e dichiara preventivamente di voler acquistarela cittadinanza italiana;

• se assume pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all’estero, e dichiara preventivamentedi voler acquistare la cittadinanza italiana;

• se, al raggiungimento della maggiore età, risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della

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L’apolidia ed il procedimento per il suo riconoscimento

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Repubblica e dichiara, entro un anno dal raggiungimento, di voler acquisire la cittadinanza italiana.Ed, ancora, la cittadinanza italiana viene concessa con decreto del Presidente della Repubblica all’apoli-

de che risiede legalmente in Italia da almeno cinque anni (art. 9 lett. e, termine dimezzato rispetto allo stra-niero), o all’apolide che, coniugato con cittadino italiano, risieda legalmente nel territorio italiano da alme-no sei mesi, ovvero siano trascorsi tre anni dalla data del matrimonio se non vi è stato scioglimento, annul-lamento o cessazione degli effetti civili e non sussiste separazione legale.

Tuttavia, non è semplice fornire la prova dello stato di apolidia in capo ad un soggetto, infatti, in assen-za di “prove affermative”, quali ad esempio attestazioni consolari relative alla perdita della cittadinanza o aprovvedimenti di revoca di una precedente cittadinanza, si può fornire soltanto una “prova negativa”, qualela mancanza di un passaporto in capo allo straniero o di altra documentazione comunque attestante unostatus civitatis.

Durante la vigenza della precedente normativa, prima dell’introduzione della legge 5 febbraio 1992,n.91, si era consolidato il principio che l’apolidia, non essendo agevolmente verificabile né fondata general-mente su documentazione attendibile, non potesse essere oggetto di certificazione, ma solo di pronunciadell’autorità giudiziaria, mediante un c.d. “accertamento incidentale”, ossia una pronuncia relativa alla veri-fica dell’apolidia emanata nel corso di un diverso procedimento giudiziario.

Il regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio 1992 n. 91 approvato con D.P.R. 12 ottobre 1993n. 572, ha disciplinato specificamente la materia, prevedendo con l’art. 17 l’emanazione di un vero e pro-prio “certificato” della condizione di apolidia emanato da parte del Ministero dell’Interno su istanza dell’in-teressato, accompagnata dall’esibizione dell’atto di nascita, della documentazione relativa alla residenza inItalia, della copia autenticata del foglio di soggiorno, dell’attestazione rilasciata dall’autorità consolare delPaese di origine o, se ritenuto necessario, anche del Paese di ultima residenza dell’interessato da cui risultiche il medesimo non è in possesso di quella cittadinanza, e di ogni altro documento idoneo a dimostrare lostato di apolide (i documenti stranieri dovranno essere legalizzati e tradotti). Rimane comunque facoltà delMinistero dell’Interno richiedere, a seconda dei casi, altri documenti.

L’introduzione di una procedura amministrativa ad hoc ha determinato il sorgere di contrasti giurispru-denziali in ordine al permanere della possibilità di richiedere l’accertamento giudiziale dello status di apoli-de.

Nonostante, infatti, i giudici di merito in passato abbiano affermato espressamente che il soggetto inte-ressato ad ottenere la dichiarazione di apolidia non ha l’onere di rivolgersi preventivamente al Ministerodell’Interno per richiedere la certificazione ex art. 17 D.P.R. n. 572 del 1993, ma può adire direttamente iltribunale competente per le questioni di stato delle persone fisiche, tra le quali rientrano le questioni sullacittadinanza o l’assenza d’ogni cittadinanza, chiedendo al giudice in procedimento camerale un provvedi-mento che accerti - con effetti di giudicato rebus sic stantibus - il proprio “status” di apolide (in questo sensodue pronunce del Tribunale Prato, 14 gennaio 1997 Paz Suarez; e Tribunale Firenze, 29 gennaio 1996,Levachova), più recentemente c’è stato un mutamento di indirizzo.

Il giudice di appello ha sostenuto che è inammissibile l’istanza in sede di volontaria giurisdizione con laquale lo straniero, pretendendo di aver perso la cittadinanza dello Stato di origine, chieda al giudice didichiarare il suo “status” di apolide, giacché la certificazione della condizione di apolidia ai sensi dell’art. 17d.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572 (regolamento della l. 5 febbraio 1992 n. 91) è riservata al Ministero dell’in-terno (Corte appello Firenze, 21 novembre 2001, Acosta).

L’opposizione all’utilizzo dello strumento giudiziale potrebbe trovare fondamento nella tipologia diaccertamento svolto in sede giurisdizionale. Si tratta, infatti, di un procedimento camerale che, sebbene noncontenzioso (essendo di volontaria giurisdizione), giunge all’emanazione di un atto di accertamento conidoneità al giudicato. Ed è proprio quest’ultimo elemento che potrebbe sembrare in contrasto con la lette-ra dell’art. 742 c.p.c., secondo cui il decreto può essere in ogni tempo modificato o revocato. In realtà, èevidente che l’accertamento del Tribunale avrà valore fino a che continueranno a sussistere le condizioni inbase alle quali è stato effettuato.

Nell’ipotesi che alla persona riconosciuta apolide venga, ad esempio, concessa la cittadinanza italiana invirtù dell’art. 9, comma 1, lett. e), l. 5 febbraio 1992, n. 91, potrà applicarsi l’art. 742 c.p.c. su istanza dellapersona interessata rivolta al Tribunale che ha emesso il provvedimento, modificando la pronuncia già emes-sa ed accertando un diverso status.

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Si dovrebbe, in effetti, riconoscere, anche da parte del potere giurisdizionale che la previsione di unapposito procedimento amministrativo di certificazione ex art. 17 d.P.R. n. 572 del 1993, non preclude latutela innanzi l’autorità giudiziaria, dando luogo i due rimedi ad esiti differenti, l’uno di certificazione,come tale assistita dalla presunzione di legittimità propria degli atti amministrativi, l’altro di accertamentomero, con idoneità al giudicato sia pure con la clausola implicita rebus sic stantibus.

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Come è stato evidenziato, il testo della legge n. 91 del 1992, nonostante abbia radicalmente innovato lamateria della concessione della cittadinanza italiana, presenta comunque aspetti oscuri e disposizioni suscet-tibili di notevoli miglioramenti, da ottenere mediante un intervento di modifica della stessa normativa, aldi là di quanto abbiano potuto fare, in via interpretativa, il Regolamento di esecuzione e le circolari appli-cative del Ministero dell’Interno.

Tuttavia, i disegni di legge presentati all’esame del Parlamento negli ultimi anni sono sempre stati piùl’espressione di un desiderio di modifica dei contenuti della legge (intervenendo sui diversi presupposti perla concessione della cittadinanza italiana), che di un miglioramento di quanto già in vigore. D’altronde,anche e soprattutto la disciplina della cittadinanza esprime la matrice ideologica e la modalità operativamediante la quale il legislatore interviene sulle problematiche relative all’immigrazione ed in particolareall’integrazione dello straniero nel tessuto dello Stato mediante la cessazione della sua condizione di “estra-neità”.

I vari progetti di legge hanno quindi presentato caratteri e rettifiche della normativa attuale molto diver-si tra loro e spesso in contraddizione, in quanto finalizzati a realizzare situazioni giuridico-sociali differenti.

Con l’avvento della XV legislatura il Governo nella riunione del Consiglio dei Ministri del 4 agosto2006 ha approvato il disegno di legge presentato dal Ministro Amato contenente modifiche alla legge 5 feb-braio 1992, n. 91 relativa alla cittadinanza italiana.

Le modifiche proposte apportano importanti cambiamenti nelle modalità di acquisto della cittadinan-za da parte dei cittadini stranieri.

Prima di tutto, passano dagli attuali dieci a cinque anni i tempi di residenza continuativa in Italia neces-sari per poter presentare la richiesta di cittadinanza italiana. Lo straniero, inoltre, sia che richieda la cittadi-nanza per sé sia che la richieda per i propri figli minori, dovrà essere in possesso dei requisiti redditualirichiesti per l’ottenimento di un permesso di soggiorno comunitario per lungo residenti, cioè un redditonon inferiore all’assegno sociale, in luogo della soglia prevista per l’esenzione dalla partecipazione alla spesasanitaria.

Altre modifiche interessano il principio dello ius soli: saranno cittadini italiani i nati nel territorio dellaRepubblica da cittadini stranieri di cui almeno uno legalmente e continuativamente residente in Italia daalmeno cinque anni ed in possesso dei citati requisiti reddituali, ovvero i nati in Italia da genitori stranieridi cui almeno uno sia a sua volta nato in Italia e vi sia legalmente presente, non importa da quanto tempo,ed in possesso dei già menzionati requisiti di reddito.

Relativamente ai minori nati all’estero, essi, su istanza dei genitori o di chi ne esercita la patria potestà,sono riconosciuti cittadini italiani se siano legalmente ed ininterrottamente residenti in Italia da un perio-do non inferiore a cinque anni e se vi abbiano frequentato un ciclo scolastico o un corso di formazione pro-fessionale ovvero esercitato un’attività lavorativa per almeno un anno, qualora anche il genitore richieden-te sia legalmente residente in Italia senza interruzioni da almeno cinque anni ed in possesso del redditorichiesto per ottenere il permesso di soggiorno per lungo residenti.

È aumentata invece da sei mesi a due anni la durata del periodo di legale residenza in Italia successiva almatrimonio per l’acquisizione della cittadinanza per matrimonio con cittadino italiano; in quest’ultima ipo-tesi, come anche per l’ipotesi della naturalizzazione dello straniero dopo cinque anni, è prevista la verificadella effettiva integrazione linguistica e sociale del richiedente.

Il disegno di legge è stato assegnato alla Commissione I della Camera ed abbinato ad altre proposte con-correnti (C. 24 Realacci, C. 908 Ferrigno, C. 909 Ferrigno, C. 938 Mascia, C. 1297 Ricardo AntonioMerlo, C, 1462 Caparini, C. 1529 Boato, C. 1570 Bressa, C. 1607 Governo, C. 1653 Santelli, C. 1661Piscitello, C. 1686 Diliberto, C. 1693 Angeli, C. 1727 Adenti, C. 1744 De Corato, C. 1821 Angeli, C.1836 Fedi e C. 1839 D’Alia). In data 7 febbraio 2007 la Commissione ha deliberato l’adozione di un testobase predisposto dal relatore Bressa, basato sulla struttura del disegno di legge del Governo, integrandolo ecoordinandolo in più punti con disposizioni attinte alle restanti proposte.

Prospettive di riforma

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Il testo si basa su due pilastri fondamentali che consistono nella concezione della cittadinanza comestrumento volto a favorire l’integrazione, anche attingendo all’esperienza di altri Paesi europei e fermarestando la distinzione tra disciplina della cittadinanza e politiche di integrazione, e nella concezione dellacittadinanza come atto di volontà individuale che, in presenza di determinate condizioni, impegna lo Stato.Al riguardo, il relatore ha chiarito che tale impostazione appare coerente con la constatazione del fatto che,nel XXI secolo, il mancato riconoscimento della cittadinanza può costituire la causa, oltre che l’effetto, difenomeni di esclusione o marginalizzazione sociale. Ha segnalato altresì che gli elementi costitutivi dellanuova disciplina della cittadinanza consistono nello ius soli, nell’appartenenza fisica e sociale alla comuni-tà, nell’adesione ai principi costituzionali e nella possibilità della doppia cittadinanza. Per quanto riguardai contenuti del testo unificato, si evidenzia che l’articolo 1 del testo unificato stabilisce che è cittadino pernascita chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno sia residente legal-mente in Italia, senza interruzione, da almeno tre anni, nonché chi è nato nel territorio della Repubblica dagenitori stranieri di cui almeno uno sia nato in Italia e ivi legalmente risieda. Al riguardo, il relatore hasegnalato l’opportunità di definire la posizione degli stranieri maggiorenni che siano nati in Italia o vi risie-dano da lungo tempo: a tal fine, riterrebbe opportuno ricorrere a una disposizione transitoria.

L’articolo 2 stabilisce che il minore figlio di genitori stranieri, di cui almeno uno residente legalmente inItalia senza interruzioni da cinque anni, che, anch’esso legalmente residente in Italia senza interruzioni perun periodo non inferiore a cinque anni, vi abbia frequentato integralmente un ciclo scolastico o un corsodi formazione professionale o vi abbia svolto regolare attività lavorativa per almeno un anno, diviene citta-dino italiano su istanza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale secondo l’ordinamentodel Paese di origine; entro un anno dal raggiungimento della maggiore età il soggetto può rinunciare, se inpossesso di altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana. Il medesimo soggetto, alle stesse condizioni testéricordate, qualora al raggiungimento della maggiore età risieda legalmente nel territorio della Repubblicada almeno cinque anni, diviene cittadino italiano ove dichiari entro un anno dalla suddetta data di voleracquisire la cittadinanza italiana.

L’articolo 3 prevede che il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza ita-liana quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica,oppure dopo tre anni se all’estero, qualora, al momento dell’adozione del decreto di attribuzione della cit-tadinanza, non sia intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonioe non sussista separazione personale dei coniugi. In proposito, il relatore ha sottolineato che la norma nondistingue l’ipotesi del matrimonio all’interno del quale siano nati dei figli: a suo avviso, tale fattispecie meri-terebbe apposita considerazione, non potendosi evidentemente parlare, in casi del genere, di «matrimoni dicomodo». Ha rilevato quindi che il testo unificato novella la vigente disciplina in materia di concessionedella cittadinanza con decreto del Presidente della Repubblica (articolo 10) e istituisce un secondo percor-so di attribuzione della cittadinanza con decreto del Ministro dell’interno (articolo 4). Per quanto attienealla concessione della cittadinanza, ha osservato che l’articolo 10 novella in più punti l’articolo 9 della leggen. 91 del 1992, stabilendo che la cittadinanza può essere concessa al minore straniero o apolide che abbiafrequentato integralmente un ciclo scolastico in Italia, al raggiungimento della maggiore età, e riducendoda cinque a tre anni il termine per la concessione all’apolide che risieda legalmente in Italia. L’articolo 10abroga altresì la lettera d) del comma 1 dell’articolo 9 della legge citata, concernente la concessione dellacittadinanza a cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee, in quanto tale fattispecie è ricom-presa nell’ambito dell’attribuzione della cittadinanza ai sensi dell’articolo 4 del testo unificato. Ha segnala-to infine, per quanto concerne l’articolo 10 del testo unificato, che esso esclude che ai fini della concessio-ne della cittadinanza l’interessato possa essere tenuto a dimostrare alcun requisito di reddito. L’articolo 4stabilisce che il requisito reddituale è previsto per l’attribuzione della cittadinanza allo straniero, essendo giàrequisito per la concessione del permesso di soggiorno. L’articolo 4 prevede dunque che la cittadinanza ita-liana è attribuita con decreto del Ministro dell’interno, su istanza dell’interessato, allo straniero che risiedelegalmente in Italia da almeno cinque anni e che è in possesso del requisito reddituale, determinato condecreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanza, in misura noninferiore a quello richiesto per il rilascio del permesso di soggiorno; allo straniero maggiorenne adottato dacittadino italiano che risiede legalmente in Italia da almeno tre anni successivamente alla adozione (tale ipo-

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tesi è contemplata all’articolo 9 della legge vigente, ma il periodo minimo di residenza è attualmente fissa-to in cinque anni); al cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea che risieda legalmente da alme-no tre anni nel territorio della Repubblica. L’articolo 4 prevede altresì che il Governo promuove iniziativee attività finalizzate a sostenere il processo di integrazione linguistica e sociale dello straniero, cui questoviene invitato a partecipare. Con l’articolo 5 l’attribuzione della cittadinanza, come disciplinata dall’artico-lo 4, è condizionata ad una conoscenza della lingua italiana equivalente al livello del terzo anno della scuo-la primaria. L’articolo 5 prevede altresì che, con il decreto di cui all’articolo 25 della legge vigente, sono sta-biliti i titoli necessari all’attestazione della conoscenza della lingua italiana, nonché le attività che possonoessere considerate titolo idoneo. L’articolo 6 individua i motivi preclusivi dell’attribuzione della cittadinan-za, i quali consistono nella condanna per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e IIIdel codice penale; nella condanna per un delitto non colposo per il quale la legge preveda una pena editta-le non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione; nella condanna per un reato non politico a una penadetentiva superiore a un anno da parte di una autorità giudiziaria straniera quando la sentenza sia stata rico-nosciuta in Italia. L’articolo 6 disciplina inoltre la procedura per il riconoscimento della sentenza stranierae stabilisce che, in tutti i casi citati, la riabilitazione fa cessare gli effetti preclusivi della condanna ai fini del-l’attribuzione della cittadinanza. L’articolo 6 stabilisce infine che l’apertura di un procedimento penale peri reati citati ovvero l’apertura del procedimento di riconoscimento della sentenza straniera determinano lasospensione del procedimento per l’attribuzione della cittadinanza, il quale riprende entro un mese dallasentenza, anche non definitiva, di assoluzione. L’articolo 8 stabilisce che il Ministro dell’interno respinge l’i-stanza di attribuzione della cittadinanza con decreto motivato ove sussistano le cause ostative prima ricor-date. L’articolo 9 del testo unificato prevede che, qualora sussistano motivi tali da far ritenere il richieden-te pericoloso per la sicurezza della Repubblica, il Ministro dell’interno respinge con decreto motivato l’i-stanza, dandone comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri. L’articolo 9 prevede altresì che,qualora risulti necessario acquisire ulteriori informazioni in ordine alla pericolosità per la sicurezza dellaRepubblica, il Ministro dell’interno può sospendere il procedimento per un periodo massimo di tre anni,informandone il Presidente del Consiglio dei ministri. L’articolo 11 stabilisce che il decreto di attribuzioneo di concessione della cittadinanza acquista efficacia con la prestazione del giuramento, che avviene nellasede della prefettura-ufficio territoriale del Governo. L’articolo reca altresì la formula del giuramento, cherisulta essere la seguente: «Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne lealmente la Costi-tuzione e le leggi, riconoscendo la pari dignità sociale di tutte le persone». Si prevede infine che al nuovocittadino venga consegnata copia della Costituzione. L’articolo 12 stabilisce che ai fini dell’acquisizionedella cittadinanza italiana non è richiesta la rinuncia alla cittadinanza straniera. L’articolo 13 reca disposi-zioni relative al riacquisto della cittadinanza italiana da parte di cittadini che abbiano dovuto rinunciarvi.Prevede, tra l’altro, che il diritto al riacquisto della cittadinanza può essere esercitato dalla donna che, giàcittadina italiana per nascita, abbia perduto la cittadinanza per effetto di matrimonio con cittadino stranie-ro, quando il matrimonio sia stato contratto prima dell’entrata in vigore della Costituzione, nonché dalfiglio della donna, ancorché nato anteriormente alla medesima data di entrata in vigore della Costituzionee anche qualora la madre sia deceduta. L’articolo 14 disciplina il procedimento amministrativo per la con-cessione e per l’attribuzione della cittadinanza.

La I Commissione della Camera ha sospeso l’esame in data 17 maggio 2007 in quanto il Ministero del-l’economia e delle finanze ha segnalato alla V Commissione bilancio problemi di copertura finanziaria sulbilancio dello Stato, non essendo state adeguatamente quantificate le maggiori spese derivanti dall’appro-vazione della riforma. I lavori riprenderanno dopo la pausa estiva.

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