la città di San Giuseppe

196
scoprire Leonessa attraverso parole ed immagini Ed. “Leonessa e il suo Santo” 2006 Leonessa Leonessa la città di San Giuseppe la città di San Giuseppe Testo di Luigi Nicoli Immagini di Anavio Pendenza

Transcript of la città di San Giuseppe

scoprire Leonessa attraverso parole ed immagini

Ed. “Leonessa e il suo Santo” 2006

LeonessaLeonessala città di San Giuseppela città di San Giuseppe

Testo di Luigi NicoliImmagini di Anavio Pendenza

Luigi NicoliImmagini di Anavio Pendenza

LeonessaLeonessala città natale di San Giuseppela città natale di San Giuseppe

...per

contemplare la

bellezza della

natura e quella

dell’opera

dell’uomo,

sorgenti di forza

e di felicità

Altre immagini...Feste eTradizioni

Le FrazioniPatrimonio artistico

e architettonico

L’epoca contemporaneaLa storia: l’età antica

e il Medioevo

La faunaLa floraL’ambiente

scoprire Leonessa attraverso parole ed immagini

17 33

La fondazionedi Leonessa

Chiese eConventi

21

53 9537

142 166

Testo di Luigi NicoliImmagini di Anavio Pendenza

LeonessaLeonessala città natale di San Giuseppela città natale di San Giuseppe

10 135

Il Santo Patronoe i Leonessani illustri

138

4

Questo libro è nato dall’amore che nutro per Leonessa e dal desiderio di numerosi lettori della rivista “Leo-nessa e il suo Santo” che benevolmente mi hanno rivolto spesso questa simile frase: “Perché non pubblichile fotografie più belle comparse sulla nostra rivista?”. E così - con un archivio di migliaia di immagini cheiniziano dagli anni ‘70 fino ad oggi e scattate in ogni stagione dell’anno - ho deciso di editare questo libro.Per dare poi più valore alle immagini e per comunicare al lettore le ricchezze ambientalistiche, artistichee storiche di Leonessa e del suo altipiano ho chiesto a Luigi Nicoli di preparami un testo scorrevole, sinte-tico, esauriente e divulgativo. L’intento è quello di contribuire a rendere il lettore più consapevole dellebellezze incomparabili di Leonessa e delle problematiche legate allo spopolamento e al mantenimento e

conservazione dei benistorico-architettoniciesistenti.Cosciente dei limiti cheun testo come questopresenta per l’argomen-to troppo ampio, lo affi-do ad altri fotografi especialisti nel campodell’arte, della storia edell’ambiente perchèpossano un domani inte-grarlo per dare un giu-sto contributo alla do-manda di informazioneda parte dei leonessaniresidenti e dei numerosituristi che volessero sco-prire il tesoro che Leo-nessa conserva. Intanto offriamo ai let-tori questo libro perchépossano percorrere que-sti luoghi ricchi di natu-ra, di storia, di spiritua-lità e di tradizione; nellostesso tempo possanocurarli, conservarli, tu-telarli e valorizzarli nel-la memoria dei nostripadri e nel rispetto dichi verrà dopo di noi. Per questo intento noisiamo felici di questo la-voro e siamo sicuri dicomunicare la stessa fe-licità a chi aprirà que-sto libro, a chi si ferme-rà su qualche immaginea chi leggerà le primeparole... a chi lo doneràcome regalo a qualcunoche ama.

Anavio Pendenza

PresentazionePresentazione

Leonessa - Loggiato di San Pietro XIV sec.

5

Una delle caratteristiche che immediatamente colpi-sce il visitatore che giunge per la prima volta aLeonessa, è il suo essere situata in pianura, pur tro-vandosi a mille metri di altitudine, pur essendo unborgo di origine medievale. Leonessa è adagiata,infatti, a 974 metri di altitudine, sull’orlo meridiona-le di un verde e vasto altipiano appenninico dellasuperficie di circa 50 kmq, ubicato nell’Alta Sabina aconfine tra Umbria e Abruzzo, a 36 km a Nord-Estdal capoluogo di Provincia: Rieti, di cui ne è ilComune più grande per estensione.Questo essere zona di confine costituisce la caratteri-

stica peculiare di Leonessa e ne ha determinato levicende storiche, politiche, culturali ed economiche,come vedremo oltre.Il torrente Tascino-Corno, che nasce alle falde delTerminillo, taglia a metà, da Sud a Nord, l’altipia-no per poi gettarsi nelle acque del Nera pressoTriponzo. Costituisce il corso d’acqua più significa-tivo, anche se con il terremoto del 1703 subì unulteriore inabissamento nel suo tratto finale. Altricorsi d’acqua importanti sono il Riofuggio e il RioFuscello. Dal primo prende avvio il secolare acque-dotto de “Li Sambuchi”, ancora funzionante; dal

L’AMBIENTE

Altipiano leonessano da Monte La Pelosa, m. 1635

secondo, un moderno acquedotto.Un profondo sperone culminante con il MonteTolentino (m 1572) divide l’altipiano in due plagheben distinte: quella occidentale più ampia ed omoge-nea e quella orientale più stretta ed accidentata.Tutt’intorno si erge una imponente catena di monti,pari ad una superficie di 150 kmq circa, tra i qualispiccano: il massiccio del Terminillo con la vettadel monte omonimo che raggiunge i 2214 m, ilMonte Cambio (m 2081), il Monte la Croce (m1626) così chiamato dalla croce che San Giuseppe daLeonessa vi innalzò sul finire del XVI secolo,Sferacavallo (m 1680); il Monte Tilia (m 1735),Monte Boragine (m 1829); Monte Aspra (m 1652),Monte la Pelosa (m 1635).Due terzi del territorio del Comune di Leonessa, quin-di, sono costituiti da boschi e pascoli d’alta montagna,lo sfruttamento comune dei quali, attraverso varieattività (pastorizia, allevamento, produzione di carbo-ne vegetale, di legname, di calce), nei secoli si è rive-lato uno dei fattori fondamentali della sua economia. L’ambiente naturale, il clima, le caratteristiche urba-nistiche, architettoniche ed orografiche conferiscono

a Leonessa l’aspetto tipico di un paese del nord.Tanto che l’eclettico poeta, pittore, scrittore e viag-giatore inglese, Edwuard Lear visitandola nell’autun-no del 1844, ebbe a paragonarla ad alcuni “centrisvizzeri o dell’Italia settentrionale”.Il paragone non suona esagerato per chi conoscebene il territorio di Leonessa con i suoi rigogliosi altimonti, con i suoi lussureggianti boschi, con i suoizampillanti ruscelli, con le sue amene valli, verdipascoli, aria pura e frizzante: in particolare la zonadal Riofuggio al Bosco della Vallonina, che racchiudeincastonate le stupende verdi Valli dell’Organo edella Vallonina, ricca, quest’ultima, anche di storia edi religiosità.Si tratta di zone – e non sono le uniche – di particola-re interesse naturalistico, storico e paesaggistico cheandrebbero ulteriormente salvaguardate e valorizzate.

6

In alto: strada panoramica per il TerminilloA lato in alto: valle del Tascino e Collecollato, Torre angioinaA lato in basso: Fiume Tascino - campanile di S. PietroPagina seguente: Bosco di Vallonina - Sassetelli

7

La vegetazione nel territorio di Leonessa è moltoricca e varia ed anche particolarmente interes-sante per la presenza di alcune specie rare(Thalictrum foetidum, Pirola seconda, Saxifragagranulata, etc) presenti nei boschi del Riofuggioe della Vallonina. Essa si differenzia per fasce di altitudine. Nellaprima, che va dagli 800 ai 1.000 metri s.l.m.abbiamo una formazione mista di caducifogliecomposta da: carpino nero (Ostrya carpinifo-lia), particolarmente diffuso sui versanti piùombrosi ed umidi dove la quercia è regressiva;cerro (Quercus cerris), molto usato per il riscal-damento; orniello (Frassinus ornus); acerocampestre, in dialetto “óppiu” (Acer campe-stris), al quale si attribuivano poteri antitempe-stari conferiti, secondo una leggenda locale,alla pianta dalla Madonna, per averla protettadai fulmini durante la fuga in Egitto. Durante itemporali in aperta campagna, per tanto, ci si

LA FLORA

Sorbo Sempervivum

Primula maggiore

Anemolo fragolino Genzianella Moneta del papa

Digitale rossaTulipano selvatico

NigritellaNarcisoGiglio rosso

rifugiava sotto i rami dell’óppiu sicuri di restare immuni dai fulmini.La seconda fascia si estende dai 1000 ai 1750 m. s.l.m. ed è caratteriz-zata dalle faggete, anche se fino ai 1300 si hanno formazioni miste difaggio e cerro a cui si accompagnano il corniolo, il pruniolo sel-vatico, il lampone, il sambuco, il nocciolo etc. Diffusi sono pure ilginepro nano, l’uva ursina (uva spina).Oltre il limite dei 1300 m. il faggio domina incontrastato, accompa-gnato dall’acero montano e riccio, le cui foglie in autunno assumonoil caratteristico colore rosso sangue, e dal sorbo degli uccellatori(Riofuggio, Vallonina), dai caratteristici autunnali frutti rossi (uno diessi è presente nel sentiero che da Riofuggio porta a valle Pagana).Sempre nella fascia del faggio, soprattutto nella zona della Vallonina,si trova anche il tasso (Taxus bacata), chiamato l’albero della mortepoiché tossico in ogni sua parte. In tale fascia, ma anche in quellainferiore (intorno ai 1000 m), grande importanza riveste l’agrifoglio(Liex aquifolium), pianta opportunamente protetta da una leggeregionale. Lungo i margini delle strade frequente è la belladonna(Atropa belladonna), pianta officinale dalle grandi virtù terapeutiche.Molte sono anche le specie floristiche; tra le più importanti vannomenzionate il bucaneve, la primula, l’orecchia d’orso, la violacalcarata, il narciso dei poeti, il crocus, il giglio rosso o di SanGiovanni, il giglio martagone. Interessante è anche la presenza didue piante tintoree, lo scotano e il guano, anticamente utilizzate daitintori Leonessani per colorare la lana.L’inserimento di specie arboree non autoctone fu promossodall’Amministrazione Forestale dopo il 1930 e poi con maggior impe-gno e intensità nel secondo dopo guerra; cosicché oggi sono presentivari rimboschimenti di pino nero a eminente funzione protettiva(Enrico Laudati, 1988).

12

Sopra: acero campestre Sotto: genziana maggiore. A lato: Anni ‘60 il “luparo” Eufranio Chiaretti - Giuseppe Bonanni incontrauna volpe - un gatto di campagna

Molto ricca di specie è anche la fauna che è quellacaratteristica dell’ambiente montano dell’Appenni-no Centrale.

I più facilmente visibili sono la Lepre, che si spin-ge fino alle praterie d’altitudine, e lo Scoiattolo.Nelle faggete è attestata la presenza di tre specie ap-partenenti alla famiglia dei Ghiridi: il Ghiro, ilQuercino, che vive fino ad un’altitudine di 1800m, ed il Moscardino.Tra i Canidi sono presenti la Volpe, distribuita sututte le altezze e nei diversi ambienti – bosco e pra-teria d’altitudine – e, più raro, il Lupo Appennini-co; oggetto fino agli anni ’60 della spietata cacciadei Lupari leonessani, che per l’uccisione dell’ani-male ricevevano un premio dal Comune e dagli alle-vatori-agricoltori. Nel 1980 una lupa gravida, stre-mata dalla fame fu trovata morta nell’abitato dellafrazione di Piedelpoggio.Tra i Mustelidi sono presenti la Donnola, il Tas-so, la Puzzola, la f aina e, più rara, la Martora;rarissimo è il Gatto selvatico.

L’unico Ungulato attestato nella zona pedemonta-na, è il Cinghiale, mentre sono scomparsi l’Orso(presente fino al XIX secolo) il Cervo, il Capriolo, ilCamoscio. I Daini, che talvolta si possono incontrare, sonoquelli introdotti nella riserva Regionale di Santo-gna negli anni ’80.

13

LA FAUNA

I MAMMIFERI

14

Iaccio crudele ove nidificano le aquile

La prateria d’altitudine dei Monti Rea-tini [di cui fa parte anche Leonessa],confrontata con altri ambienti a vegeta-zione erbacea del Lazio, ospita, insiemeai vicini Monti della Laga, una delle co-munità più numerose di uccelli nidifica-tori.1

Tra i Rapaci, rari ma presenti, nelle zonedel Massiccio del Terminillo, di GhiaccioCrudele e del Monte Catabio, ci sono ilf alco pellegrino e la bellissima Aqui-la reale, che non è difficile avvistare an-che nella zona del Monte Tilia. Comuni,invece, e facilmente osservabili sono laPoiana e il Gheppio.Di rilevante importanza è la presenzadella Coturnice - che in genere vive sul-

le rocce calcare. Questa specieglicostituisce una delle ultime po-polazioni autoctone dell’Appen-nino. La Starna, invece, sembraessere scomparsa, sostituita conuna specie non autoctona.Raro ma presente è il Gufo rea-le, abbastanza diffuso, invece, èil Gufo comune osservabile nelperiodo autunnale.Presente è anche il Succiaca-pre: estivo e nidificante nellazona pedemontana del MonteTilia e del Monte Corno.Molto frequente nella stessazona è il Picchio verde, men-tre è molto più raro il Picchiorosso.È attestata la presenza anche delGracchio corallino e delGracchio alpino – stazionarinei gruppi montuosi. E’ facileosservarli mentre volteggiano ingruppo o si alimentano nellepraterie d’altitudine.2

15

GLI UCCELLI

Sopra: aquila realeSotto: gufo reale

Alcuni strumenti litici (raschiatoi, coltelli, punte difreccia etc), finemente lavorati, risalenti al neolitico,rinvenuti nei pressi delle frazioni di Villa Carmine eVilla Bigioni, negli anni ‘60-’70 del XX secolo, testi-moniano la presenza dell’uomo nell’altipiano diLeonessa già in quella lontana epoca. Si trattava pro-babilmente di cacciatori-raccoglitori che vivevano dicaccia e della raccolta di frutti silvestri e di radicicommestibili. Non è da escludere che praticasseroanche le prime rudimentali forme di agricoltura eallevamento.All’età del ferro, X-IX secolo a. C., risalgono, invece,i primi reperti archeologici di un probabile insedia-mento umano, costituti da alcune tombe a fossa (12,per cui è lecito parlare di necropoli) ritrovate neglianni ‘60 nella frazione di Ocre (interessante è l’eti-mologia del toponimo Ocre che rimanda, nell’anticalingua Umbra, a un luogo fortificato e sacro situatosu di un’altura).Tutto il corredo funerario delle sepolture purtroppo èandato misteriosamente perduto. Si sa che furonotrovate alcune falere - dei piccoli dischi di bronzo –usate come armatura ed un peso di terracotta. Ad un’epoca di poco successiva appartengono alcunibronzetti votivi, italici, raffiguranti guerrieri o unadivinità della guerra, rinvenuti nei pressi di VillaPulcini.Questi probabili insediamenti dell’altipiano leones-sano non erano isolati, ma inseriti in un contesto piùampio, come sta a dimostrare il rinvenimento di duenecropoli nel territorio di Monteleone di Spoleto, sulversante settentrionale del Colle del Capitano. Leprime tombe (ben 44) ad incinerazione, risalenti alperiodo protovillanoviano (X-IX sec. a. C.), furonoscoperte nel 1907 dall’archeologo Angelo Pasqui; leseconde, ad inumazione, risalenti agli inizi dell’etàdel ferro, sono state ritrovate dagli archeologi dellaSovrintendenza di Perugia tra il 1977 e il 1979.Le popolazioni autoctone stanziate lungo la vallemedia del Nera, a Terni, nel territorio di Monteleone,Santa Anatolia di Narco, e in quello di Leonessa(lungo la valle del fiume Corno, affluente del Nera echiamato, secondo la tradizione, con lo stesso nomedel corso principale), già dall’epoca del ferro, sonoquasi sicuramente identificabili con il gruppo etnicodei Naharki: tribù di pastori e guerrieri, con caratte-ristiche Umbro-Sabine ma con un'identità propria,

che devono il loro nome al fiume Nera, “Nahar”. Talepopolo è citato varie volte nelle Tavole di Gubbio,come popolo nemico degli Umbri e perciò oggetto, daparte dei Sacerdoti, di vari strali e maledizioni.Sempre a Monteleone e sempre presso la medesimalocalità, nel 1901, durante gli sterri per la costruzionedi una casa colonica, fu rinvenuta una stupenda bigarisalente al VI secolo a.C., oggi al MuseumMetropolitan di New York. Si tratta di un vero e pro-prio capolavoro, probabilmente dell’arte Italica, ese-guito secondo gli stilemi etruschi.L’epoca r omana, invece, nelle zone limitrofe aLeonessa è documentata dagli insediamenti presso il

17

Ialto: alcuni strumenti litici Sopra: biga di Monteleone di Spoleto nel Metropolitan Museum diNew York.A lato: valle del fiume Corno

CENNI STORICI

L’ETÀ ANTICA

Trivio, l’antica Trebula (dove nel 71 a. C. l’esercitoRomano fu sconfitto dalle avanguardie dei gladiatoridi Spartaco) e dal monumentale tempio di Villa SanSilvestro (a pochi km da Terzone), risalente al IIIsecolo a. C., dedicato alla dea Cerere, rinvenuto neglianni ’30 del XX secolo. Alla stessa epoca risalgono alcuni reperti casualmen-te rinvenuti nell’altipiano di Leonessa negli anni ’70-80: un aes gave romano (moneta di rame), della serieconiata dopo la conquista di Cartagine (147 a C), tro-vato nei pressi della necropoli di Ocre; alcune mone-

te greco-alessandrine d’argento (III secolo a. C.), eduna punta di lancia, nel territorio di Terzone; un aesgrave forse Umbro o Italico, recante due teste affron-tate munite di elmo, sul dritto, e sul retro una scrofacon sette porcellini, rinvenuto a Vallunga; alcuniframmenti di ceramica campana (romana, tardo-repubblicana) a Sala.Il territorio di Leonessa, inoltre, in epoca tardo-romana, viene menzionato da Plinio il Vecchio nelsuo “Naturalis Historiae”, relativamente ai boschi delFuscello, consacrati alla dea Sabina Vacuna.

Ma la scoperta archeologica più importante avvenu-ta nell’altipiano è stata quella di due tombe rinvenu-te nel 2002 in località Vallefana, non distante daOcre, da un agricoltore mentre arava il suo campo.Già l’etimologia del toponimo del sito aveva fatto ipo-tizzare ad alcuni studiosi locali l’esistenza in esso diinsediamenti sacri: fanum in latino, infatti, rimandaa tempio, luogo sacro. E secondo il lessicografo lati-no Pompeo Festo, ad un tipo particolare di luogo sa-cro poiché il termine fanum, deriverebbe da Faunus,un’arcaica divinità oracolare latina; sicché i Fana so-no i templi dove c’è un oracolo. Vallefana dovrebbeessere la valle dei FANA – plurale di FANUM – cioèdei piccoli templi collegati a qualche culto oracolareda identificare. Le tombe sono state oggetto di unoscavo della Sovrintendenza, coadiuvata dall’archeo-logo Mario Polia. Dai rilievi effettuati è risultato chele tombe sono di stile Sabino, che risalgono al I seco-lo a. C. e che appartengono, probabilmente, ad una

cultura autoctona nata dalla fusione delle genti Nar-co-Umbro-Sabine. La particolarità della scoperta èconsistita nel fatto che nei due ambienti ipogei sonostati rinvenuti, oltre a diversi oggetti votivi ed ai restidi un banchetto funerario, due scheletri umani (unodi un uomo e l’altro di una donna, entrambi di circa40 anni) e, cosa rarissima, quelli di un cavallo sacri-ficato probabilmente nel rito funebre. Rituale, que-st’ultimo, che rimanda alle antiche culture tradizio-nali, soprattutto a quella Celtica, presso la quale il ca-vallo era considerato un animale psicopompo: ilmezzo, cioè, per intraprendere viaggi estatici nell’ol-tretomba. A suffragare l’ipotesi del sostrato celtico èil ritrovamento, nel medesimo ambiente, di due figu-rine femminili in argilla associate ad altre due, dellostesso materiale, raffiguranti teste di cavallo nitrenticon i finimenti, riconducibili alla divinità celtica-ro-mana Epona (dal greco ippos, il cavallo, la dea pro-tettrice dei cavalli)1. Secondo gli esperti, le tombe do-

vevano far par-te di un inse-diamento mol-to ricco, dove viera abbondan-za di manodo-pera e dove vi-vevano delleclassi agiate ingrado di farsicostruire delletombe adornedi molte sup-pellettili.

18

Valle Fana:luogo ove sonoavvenuti gliscavi

Le tombe di Vallefana

Il primo documento scritto riguardante la storiadell’altipiano di Leonessa risale al periodo delladominazione Longobarda. Si tratta di una donazio-ne di alcuni beni, tra cui la curtis di Narnate con ilsuo territorio, che comprendeva quasi tutto l’alti-piano leonessano, elargita da Pandone all’abate diFarfa, nel 752.2 Allo stesso periodo, probabilmente,risale l’edificazione di alcuni castelli – intesi comevillaggi fortificati – sparsi per tutto l’altipiano. Tra ipiù antichi, citati spesso insieme a quello diNarnate (situato sul colle Pelato sopra Vallunga),sono da menzionare: r ipa di Corno, ubicato nelleattuali Via della Ripa e delle Mole, dal quale nasce-rà poi Leonessa; Vallonina, situato nell’omonimavalle, f orcamelone, ubicato nei pressi del passodel Fuscello, Pianezza Croce, f uscello, situato-sulla strada che conduce a Polino, e possedimentodei Gerosolomitani ed infine Terzone. Nuclei piùrecenti e di minore importanza sono:Camporsentino, situato nei pressi di VillaPulcini, Colle Secco, in cima al colle sopra l’attua-le frazione di Colleverde, Belfiore, ubicato traVallimpuni e Cumulata, Poggio Lupo, sovrastan-te l’abitato di Piedelpoggio. Notizie precise si con-

19

IL MEDIO EVO

In alto: Torre di fuscello, XIII sec.Sopra: Torre di Vallonina XV sec.A lato: Torre di Poggio Lupo, XIII sec.

servano dei castelli di Forcamelone, Pianezza,Narnate e Ripa di Corno, per diverso tempo tuttiappartenenti al Ducato di Spoleto, come baluardi delsuo dominio sulla frontiera sud-orientale. Nel 757 re Lotario II per limitare il potere del duca diSpoleto Alboino, costituì vari Galstaldati (da gastal-do=funzionario regio), tra i quali quello di Narnateda cui dipendevano alcuni territori, rocche dell’alti-piano leonessano (Forcamelone, Ripa di Corno,Pianezza), ed il monastero di San Donato (ubicato traVallunga e Casanova). Nel 770 re Desiderio, peresaudire le preghiere della consorte Ansa e per pro-piziarsi il Pontefice, confermò la donazione, fatta dasuo figlio Adelchi all’abbazia di Farfa, delle tre curtisdi Sextuno (presso Ripa di Corno), Vallonina,Narnate, con le loro relative masse comprendentiquasi tutto l’altipiano leonessano, al fine di fondarviun monastero benedettino dedicato a Sant’Angelo.Sotto Farfa le condizioni di vita dei coloni che abita-vano le curtis dell’altipiano migliorarono notevol-mente. Ebbero fine la miseria, le angherie ed i sopru-si dei Gastaldi. Gli Abati attuarono un blando regimefeudale, incrementarono l’allevamento, favorirono il

commercio dei prodotti agricoli, delle mandrie edelle greggi, concessero in affitto terre ai contadiniper varie generazioni, in cambio di un modesto cano-ne, sollevandoli così da un regime di semi schiavitù.Inoltre, costruirono rocche, torri, edifici agricoli,celle monastiche, oratori, pievi, asceteri, ed intornoad esse i primi convetus ante ecclesiam, cioè le primecomunità campestri ed agricole sotto la guida delmonaco. Nei secoli XI-XII il territorio di Leonessa, già daqualche tempo frazionato in piccole e potenti baro-nie, fu oggetto di aspre contese tra i re di Sicilia, iPapi e i Duchi di Spoleto, che per vari motivi lo riven-dicavano. Nel 1228 il duca Reinold Ursilingen, vicario dell’im-peratore Federico II, nell’ambito della lotta tra ilPapato e l’impero, invase e mise a ferro e fuoco la ValNerina e le terre Tibertesche (Norcia, Cascia, Brufa -Monteleone), distruggendo anche il castello diNarnate, rifugio dei ribelli e protetto dal Papa.Tre anni dopo l’imperatore Svevo dette ordine direstaurare il castello di Ripa Corno3, dal quale mezzosecolo più tardi si svilupperà Gonnessa-Leonessa.

20

Veduta di Leonessa dal Castello di Belfiore

Negli anni ’70 del XX secolo mons. Giuseppe Chia-retti trovò quello che può essere definito il documen-to di fondazione di Leonessa. Si tratta di una trascri-zione eseguita da Camillo Manieri Riccio nel 1878, diun antico manoscritto custodito fra i registri dellaCancelleria Angioina dell’Archivio di Stato di Napoli,andato probabilmente distrutto con i bombardamen-ti del secondo conflitto mondiale.Il documento, redatto da Carlo I d’Angiò il 16 lu-glio 1278, è indirizzato al Giustiziere d’Abruzzo Gio-vanni Scoto e contiene l’ordine di costruire una nuo-va torre ed una nuova inespugnabile roccaforte aipiedi del Castello di Ripa di Corno – già appartenen-te al Regno di Napoli - nella quale vi sidovevano far confluire gli abitanti diValle Renaria (Narnate). Ciò avvennenell’ambito della politica di “incastel-lazione” o sinecismo che negli Abruzzinei secoli XIII-XIV fu all’origine dimolti agglomerati.Re Carlo nominò ispettore per i lavoril’architetto urbanista Pietro D’Angi-court, suo funzionario di fiducia, alquale aveva affidato anche la direzio-ne dei lavori di molti altri castelliAbruzzesi e delle torri di Melfi. A lui,probabilmente, si deve il disegno delnuovo assetto urbanistico dell’erigen-do nucleo di Gonessa – con questonome figura già nei registri angioinidel 1278. L’originario castello di Ripa, che com-prendeva le attuali vie della Ripa edelle Mole, fu unito al nuovo nucleoattraverso una piazza, nella quale con-fluivano otto strade che partivano, aventaglio, dalla cinta muraria a nord(all’altezza dell’attuale via Giovan Bat-tista Ciucci, “la Sbarra”), oltre la qua-le vi era la zona degli orti, che succes-sivamente fu utilizzata per l’amplia-mento della città.Nel giro di pochi anni sorsero neipressi dell’abitato i nuovi conventi diispirazione francescana: quello di SanFrancesco (1285) e quello di Santa Lu-cia (1295). E all’interno, quelli di San-t’Agostino e Sant’Antonio, di ispira-zione agostiniana.Nella piazza principale, “Piazza Gran-de”, furono realizzati edifici civili espazi architettonici di carattere comu-nitario e partecipativo: l’arringo con iportici per la mercatura della lana, la

chiesa Patronale di San Pietro, il Palazzo del Popolo,la torre civica, il Palazzo del Capitano, il Palazzo deiPriori.I sovrani Angioini incrementarono le attività agro-silvo-pastorali ed artigianali, con particolare atten-zione allo sviluppo dell’industria della lavorazionedella lana che toccherà il suo apogeo nel XVI secolo.Inoltre, istituirono numerose fiere e mercati per fa-vorire lo scambio delle merci.Ma il dato fondamentale per capire la storia di Leo-nessa è che fin dalla sua fondazione fu - per la sua po-sizione geografica di terra di confine - città dema-niale, non feudale, posta cioè, come altre terre “Del-

21

LA FONDAZIONE DI LEONESSA

Via della Ripa

la Montagna D’Abruzzo”, sotto la diretta giurisdizio-ne del Re. Perciò godette sempre di numerosi privile-gi e di un’ampia autonomia amministrativa che laponevano di fatto in una condizione di libero Comu-ne.Meno attendibile storicamente ma sicuramente più“poetica” ed eroica è un’antica leggenda di fonda-zione di Leonessa detta “dei sette Baroni”, ripor-tata già verso la fine del XVI secolo da SebastianoMarchesi. Secondo questa tradizione vi erano, in illotempore sette Baroni Romani, feudatari dei numero-si castelli sparsi per l’altipiano di Leonessa, che anga-riavano il popolo in vari modi, il più infame dei qua-li era lo ius primae noctis. Il popolo dei castelli, ca-peggiato da un giovane della casata dei Toccino delcastello di Pianezza o Pianella, non tollerò oltre levessazioni, e decise di ribellarsi durante la festa diSan Donato (che si teneva il sette agosto nella chiesaomonima ubicata nel territorio del castello di Narna-te, tra Casanova e Vallunga) uccidendo sei dei setteBaroni: uno di loro riuscì a sfuggire alla congiura conuno stratagemma. Uccisi i tiranni, il popolo decise difondare una nuova città (Leonessa) dove doveva re-gnare pace, libertà e giustizia4.La storia, invece, ci dice che nel nuovo nucleo, assaipiù sicuro degli altri castelli - con le montagne allespalle ed una poderosa cinta muraria di fronte - con-

fluirono in diverse fasi la maggior parte degli abitan-ti dei vari castelli dell’altipiano; nei primi anni delXIV secolo il territorio di Leonessa fu diviso in seigrandi porzioni di territorio, dette Sesti, ai quali fu-rono aggregati gli antichi villaggi. Ogni Sesto prese il nome del castello più importantee comprendeva alcuni degli antichi villaggi; aveva ilsuo Santo Patrono e la sua chiesa nella nuova città. IlSesto di Corno comprendeva i nuclei di Ripa diCorno (ubicato a ridosso dell’attuale Via delle Mole,e Fonte della Ripa), Vallonina, Grotte e aveva comeProtettore Sant’Egidio e la sua chiesa in via della Ri-pa. Quello di Croce comprendeva il castello omoni-mo (presumibilmente situato all’altezza di Volciano),Vindoli, Sala, Vallimpuni, San Clemente, Colle Secco,Belfiore, Volciano, Viesci, San Vito, San Manno. Ave-va come Protettrice Santa Maria e la sua chiesa –Santa Maria, ancora esiste - ubicata nella strada Rec-ta (oggi Corso San Giuseppe). Il Sesto di Torre eracomposto dagli antichi castelli di Narnate o Torre Or-nata (ubicato sul colle tra Vallunga e Capodacqua),Pianezza, Ocre, San Giovenale, Vallunga, Carnacile,Capodacqua; suoi protettori erano Santa Maria o SanMartino; la chiesa in Leonessa era quella di SantaMaria Extra Moenia ubicata di fronte a Porta Aquila-na. Il Sesto di Terzone era formato dal castelloomonimo (ubicato presso l’attuale San Paolo), daivillaggi di Cellis, San Venanazio, Sant’Angelo, Corva-tello, Corumano; suo Santo Protettore era San Ve-nanzio di cui l’omonima chiesa si trovava in via SanFrancesco. Il Sesto di Poggio comprendeva il ca-stello omonimo (dall’incerta ubicazione: per alcunistudiosi si troverebbe nei pressi di Piedelpoggio, po-co distante dalla strada antica per Leonessa; altri loidentificano con la Rocchetta che sovrasta Albaneto),i villaggi di Piedelpoggio, Carpineto, Casanova, Alba-neto, Cerreti, Villa Magina, Villa Castiglioni. San Ni-cola da Bari era il suo Patrono e la chiesa ad esso de-dicata si trova nel Corso San Giuseppe (attualmentevi trova la sede di una banca).Del Sesto di f orcamelone facevano parte, oltre ilcastello di Forcamelone, ubicato nei pressi del passodel Fuscello, gli antichi nuclei di Camporsentino eMachilone e, più tardi, tutti i villaggi del Piano di Sot-to, in direzione Nord-Ovest. I Sesti, inoltre, comeLeonessa, erano soggetti ad una doppia giurisdi-zione ecclesiastica: Forcamelone, Terzone e Torreappartenevano a quella Spoletina, mentre Corno,Poggio, Croce a quella Reatina. A livello amministra-tivo ogni Sesto eleggeva 12 Massari ed un Priore cheformavano il Gran Consiglio dell’Università che go-vernava il territorio unitamente al Legato Reale. Par-ticolarmente estese erano le proprietà collettive conla relativa consuetudine degli usi civici, della semina,del pascolo, del legnatico, del carbone e della calcina.Nel 1378 il vicario regio Ciuffuto de Ciuffuti redassela prima versione degli Statuti della città.

22

Disegno di Leonessa di Sebastiano Marchesi,1593

23

Dal 1384 fino ai primi anni del XV secolo si ebbe unatemporanea dominazione dei Trinci, Signori diFoligno, proposti in un primo tempo dai leonessanicome governatori della città per mediare le controver-sie con Cascia e Norcia, e confermati dal sovrano. Mail timore di un loro definitivo dominio fece si che i leo-nessani chiedessero nel 1401 a re Ladislao di tornaresotto il pieno dominio regio, annullando ogni conces-sione ai Trinci. Il sovrano accolse la richiesta eLeonessa tornò ad essere libero Comune. Anche nel 1420 e nel 1427 la città corse il rischio diessere infeudata ma l’ostilità dei leonessani ad unasimile prospettiva ed il loro attaccamento ai sovrani(Giovanna II e Alfonso d’Aragona) vanificò ogni ten-tativo in tal senso. Nella seconda metà del XV secolo a Leonessa si ebbe unnotevole incremento dell’industria della lavorazionedella lana, favorita da diverse esenzioni concesse daisovrani Aragonesi, tra cui un Diploma regio diFerdinando d’Aragona, del 1460, che aboliva ogni gabel-

la per le greggi in transumanza, condotte fuori dal Regno. Di poco precedente (1446) è l’emanazione degliStatuti dell’Arte della lana, nella prefazione ai quali silegge: “L’arte della lana è stata sempre et è caggione dimantenere lo generale in bono vivere di questo popo-lo”. I mercanti leonessani esportavano i loro pannilana in varie città tra cui Norcia, Farfa, Rieti ed AscoliPiceno, dove vi erano anche delle botteghe di mercan-ti leonessani.Per favorire il commercio dei prodotti artigianali nelleonessano, Ferdinando d’Aragona istituì nel 1464 lafiera di San Pietro e Paolo, primi protettori della città(vedi cap. Palio del Velluto).La lavorazione della lana costituì per secoli motorepropulsore dell’economia leonessana, garantì unacerta agiatezza alla popolazione e favorì un notevolesviluppo civile e la formazione di un potente ceto bor-ghese mercantilizio, ricco e culturalmente sviluppato.Un indicatore di tale floridezza è l’elevato numero dipalazzi e palazzetti gentilizi ancora oggi visibili.

26

La Torre costituisce il simbolo più pregnante dell’identità culturale leonessana, poiché dalla sua realizzazione preseavvio la fondazione di Leonessa. La costruzione della Rocca fu voluta da Carlo I D’Angiò, come risulta da una missi-va inviata al Giustiziere d’Abruzzo nell’aprile del 1279, nella quale oltre che chiedere il preventivo dell’opera, forni-va anche precise indicazioni relative al manufatto: la Torre doveva essere quadrata, alta circa 12 m (6 canne); ognilato doveva essere lungo 6,24 m, con lo spessore dei muri di 1,5 m. Al suo interno dovevano essere costruite due stan-ze: l’inferiore, con la volta in pietra, da adibire a cisterna, alta 4 m, doveva poggiare sulla rocci e la superiore con tra-vature di legno, sulle quali si doveva costruire il piancito. Nei pressi della torre doveva essere costruita una condut-tura per la quale l’acqua piovana fluisse sino alla cisterna. Le ultime indicazioni della lettera riguardavano la realiz-zazione delle mura, alte 2,50 m x 0,50 di spessore, che dovevano congiungere la torre al castello. Parallelo a questacinta muraria doveva essere realizzato un passaggio, ben difeso, che collegava la Torre con Leonessa. Secondo unaversione più leg-gendaria, inve-ce, esisteva unpassaggio sotter-raneo che colle-gava la Torrecon una cantinadi palazzo Mon-galli (quello sul-la destra dellapiazza). Nel lu-glio del 1279 ilsovrano france-se respinse ilpreventivo dispesa ritenendo-lo esoso, ma sigiunse ad un ac-cordo; tanto èvero che qual-che mese dopoebbero inizio ilavori. Nel feb-braio del 1280Re Carlo dettòalcune modifi-che: l’altezzadella torre dove-va essere mag-giorata di 4 m;al suo internodovevano esserecostruiti tre pia-ni a volta con fi-nestre ed unaseconda cisterna fra la torre e il Castello larga 6,24 m, lunga 8,32 m e profonda 6 m. Nell’aprile dello stesso anno,non soddisfatto del procedere dei lavori, inviò sul posto il suo architetto personale Pietro D’Angicourt, autorizzando-lo anche ad apportare opportune modifiche al progetto, cosa che fece e che fu, probabilmente, dettata dall’andamen-to del terreno. Così la forma della torre non fu quadrata bensì a nove lati (o otto?), l’altezza rimase pressoché inva-riata (fu elevata solo di 1 m) e fu realizzata una cisterna all’esterno. L’Angicourt, inoltre, al progetto originario ag-giunse una copertura in legno e gli edifici per la guarnigione di stanza nella Rocca. Il materiale impiegato fu la pietracalcarea locale, la stessa usata anche per la cinta muraria. In seguito, a scopi difensivi, fu realizzata un’altra cintamuraria che dalla torre scendeva fino al Tascino. Le mura, così, avvolgevano tutto il nuovo agglomerato per ricon-giungersi alla Torre dal lato del monte Tilia, “In modo che abbracciano anche la torre” (Statuti di Leonessa, di Se-bastiano Marchesi). La Torre è rimasta pressoché intatta fino agli anni ’40 del XX secolo, quando si ebbe il crollo deltetto. Da quel momento in poi a causa delle infiltrazioni di acqua si ebbe il progressivo deterioramento dei muri pe-rimetrali, soprattutto di quelli del lato del Tascino, con conseguenti crolli. Nel 1998 la Torre è stata finalmente ogget-to di un restauro conservativo eseguito dalla Soprintendenza per i beni Architettonici del Lazio.

LA TORRE ANGIOINA

27

Quasi tutti gli originari stemmi dei Sesti sitrovano scolpiti su alcune facciate di chieseo su alcuni edifici privati. Fanno eccezionequello di Poggio, che era dipinto all’internodella chiesa della Madonnella di Albaneto equello di Terzone che si trovava nella chie-sa di San Pietro, sull’altare della Madonnadella Cintura. Gli elementi prevalenti degli stemmi sono latorre e i tre monti, simboli rispettivamentedi indipendenza e di dominio territoriale,ma anche di collegamento tra terra e cielo equindi di elevazione spirituale. Lo stemma del Sesto di Corno è costituito dauna semplice torre con porta merlata allaGhibellina e un corno sulla sinistra. Si trovainciso sull’architrave di una finestra del Palaz-zo Ettorre, in Via San Francesco, e reca la se-guente iscrizione: «SEXTU CORNU 1742».L’arme del Sesto di Croce presenta una cro-ce pomata su tre monti, sovrastata, in se-gno di dominazione politica, dal lambello (rastrello) angioinoa quattro pendenti con tre gigli. Si trova scolpito a Leonessa

sulla facciataantica dellachiesa di SanMaria del Po-polo, sul cin-quecentescofonte battesi-male posto al-l’interno dellastessa chiesa esul battisterodella chiesa diSala. Lo stem-ma del Sestodi Torre è co-stituito daun’alta torrecon leone gra-

diente. Si trova scolpito sul portale dell’antica chiesa di San-ta Maria extra Moenia (1352), attualmente murato nella chie-sa di San Francesco. Quello del Sesto di Forcamelone è com-posto da una porta turrita a due palchi, tagliata obliquamente da una banda con tre stelle a sei punte. Si trovascolpito in un architrave di una abitazione privata di Villa Lucci e nel portale di una chiesa, murato nella faccia-ta secondaria del Santuario di San Giuseppe da Leonessa, in Via Mastrozzi. Lo stemma del Sesto di Poggio è co-stituito da tre monti sovrastati dauna stella a otto punte. Quellodel Sesto di Terzone è compostoda un castello turrito con leonegradiente.Recente è la versione cromaticadegli stemmi, opera dell’incisoreBaiardi; la realizzazione dei gon-faloni, risale alla fine degli anni’70, per interessamento dell’asso-ciazione Amici di Leonessa. Stemma del Sesto di Corno

Stemma del Sesto di Croce

Stemma del Sesto di Torre

Stemma del Sesto di Forcamelone

GLI STEMMI DEI SESTI

Il nome Gonessa compare nei registri angioini (in un documento di nomina re-gia del Capitano del nuovo nucleo), già nel 1278 “...nostre terre Gonesse”, sep-pure alternato con l’antico “Ripa di Corno”. Re Carlo volle chiamare così il nuo-vo nucleo, presumibilmente a ricordo della cittadina francese di Gaunissa (IX-Xsecolo) – poi Gonesse – alla quale il sovrano era particolarmente legato per aver-vi trascorso l’infanzia e per aver dato i natali a suo nonno Filippo II l’Augusto, ilgrande restauratore del regno di Francia.Per tutta la prima parte del XV secolo nei documenti “ufficiali” si ebbe un’alter-nanza di nomi tra quello originario ed alcuni da esso derivati (Ligonessa, Gonis-sa, Gonnexa, Connexa), mentre nell’uso corrente il nome Leonessa compare giànel 1413, come si rinviene nella gabella per le mercanzie di passaggio nella cit-tà di Ascoli Piceno, figura la dizione “Panni lana da Leonessa”.Tuttavia, il primo documento ufficiale - un diploma regio di Alfonso d’Aragona -

in cui appare il nome “Leonessa” (o alla latina“Lionissa”) risale al 1452. Nei documenti successivi i due nomi – quellooriginario e “Leonessa” – continueranno ad es-sere usati alternativamente fino al 1539, quando con Margherita d’Austria si userà sempre– o quasi - quello di “Leonessa”.Collegata con il cambiamento del nome - di cui se ne ignorano le motivazioni - è l’adozionedello stemma cittadino, la cui versione più antica, un leone rampante volto a sinistra con laP maiuscola nella zampa anteriore levata in alto, risale al 1467 e si trova scolpita sul timpa-no del portale della chiesa di San Pietro. Questo tipo di stemma, in araldica, viene definitoarma parlante, in quanto allusivo – attraverso l’immagine - al nome che rappresenta.Il leone, nell’età Comunale simboleggiava la potenza, la libertà e l’indipendenza Comunale;fu adottato da Municipi e da alcuni Quartieri e Sestieri.In merito alla “presenza del leone” nell’altipiano di Leonessa, va osservato che essa è rinve-nibile prima del cambiamento del nome della città, sia nel toponimo Vallonina che in diver-

se altre sculture. La più pregevole delle quali consiste in un frammento – collocato in Via Brunori Bocarini, al civico 76 –nel quale si trovano effigiati due leoni: uno accovacciato, l’altro rampante che tiene tra le zampe un grande giglio, che ri-chiama più quello fiorentino che quello angioino. Il leone compare anche in alcuni stemmi araldici di alcune casate leones-sane, come i Viscardi (leone e rosa, 1528), gli Antonelli (leone gradiente su scala, 1578), i Giudici (leone fasciato, 1610), iMarcocci (leone su monte con Crocifisso, 1600). Per quanto attiene alla lettera P, facciamo nostra l’ipotesi del Chiaretti, se-condo la quale essa starebbe ad indicare “Popolo”, quel popolo che contribuì alla fondazione di Leonessa e che ha godutosempre di un forte potere e libertà. Altri studiosi fanno risalire la “P” anche a “Pace”, o a Pietro, primo Patrono di Leones-sa. Al XVI secolo risale la prima versione cromatica dello stemma di Leonessa:«Un leone turchino, volto a man dritta in campo giallo con un P rosso nella tram-pa dritta».4 Mentre nel XIX secolo compaiono i tre monticelli. Il leone azzurro, ol-tre a quanto detto sopra e a dichiarare il nome della città, simboleggia anche do-minio e nobiltà eroica. Il giallo del campo (il più nobile dei metalli blasonici) ri-

manda al sole della fede.Il colore rosso della “P”,secondo il Crollalanza,simboleggia l’amore diDio e del prossimo e nelnostro caso anchel’unione del Popolo.

28

IL NOME DELLA CITTA’ E LO STEMMA

In alto a destra: stemma di Leonessa nel portale di S. Pietro XV sec.In alto a sinistra: stemma di Leonessa nella facciata di S. Maria XV sec.In basso a sinsitra: originario stemma di Leonessa in Via BrunoriBucarini XV sec.In basso a destra: bifora e stemma di Leonesa, Palazzo Mongalli XV sec.

29

30

Nel 1516 il Regno di Napoli fu annesso al grande impe-ro asburgico di Carlo V, il quale nel 1538 concesse Leo-nessa in feudo – unitamente alle altre terre della Mon-tagna d’Abruzzo - a sua figlia Margherita d’Austria,come dono di nozze per il suo matrimonio con il Prin-

cipe Ottavio Farne-se di Parma. La“Madama”, tutta-via, applicò un re-gime feudale al-l’inizio relativa-mente blando: con-fermò gli antichiprivilegi consen-tendo in tal modo ilmantenimento del-la proprietà collet-tiva su boschi, pa-scoli e terre dema-niali con i relativiusi civici sul dirittodi legnare, pascola-re, far calce, carbo-ne etc. Attuò un’ac-

corta e saggia politica economica ed amministrativa,tanto che sotto il suo Governo Leonessa raggiunse ilculmine della prosperità in tutti i settori. Primo fra tut-ti quello della lavorazione della lana che nel XVI seco-lo toccò il suo apogeo, grazie anche alla Patente con-cessa da Pietro Toledo nel 1538 - in risposta ad unasupplica degli armentari leonessani che si lamentava-no della scarsezza del bestiame – con la quale dava fa-

coltà agli al-levatori leo-nessani dicomprare glianimali fuoridal Regno“senza impe-dimento al-cuno”, cioèsenza gabel-la. Grazie aquesto prov-vedimento lapopolazioneovina nel1574 rag-giunse la no-tevole quan-tità di 31.600capi, portatia svernarenella Campa-

gna Roma-na o in Pu-glia insie-me a quellidei pastoridella valledel Salto.Ciò deter-minò l’in-c r e m e n t odell ’indu-stria dellalana, tantoche nel1587 risul-tavano im-pegnate nelsuo ciclo dilavorazio-ne ben 114i m p r e s edi cui: 82di mercanti, 15 di tessitori, 6 di accomodatori dipanni, 4 di tintori, 5 di purgatori, 2 di valcalani. Trale famiglie più impegnate nel settore del commerciodei pannilana vi erano i Giudici, i Desideri, la fa-miglia di san Giuseppe da Leonessa e i Mongalli,appartenenti al Sesto di Poggio e proprietari di trepalazzi siti nella piazza: uno, oggi sede municipale,un altro sovrastante l’attuale omonimo bar, un altroche faceva angolo con il corso.

L’EPo CA Mo DEr NAL’EPO CA MODER NA

Carlo V

Portale dei Mastri LombardiMargherita d’Austria “La Madama”

Stemma della famiglia Farnese XVIsec. - Chiesa di San Francesco

Particolarmente sviluppate erano anche altre attivitàartigianali – alcune delle quali direttamente collega-te con quella della lana - che davano lavoro ad un al-tro buon 20-25% della popolazione. Rinomate eranol’arte conciaria e calzolaria, quella fabraria (famosierano i coltellai), quella della fabbricazione di archi-bugi, quella lignaria, (arcari, sediari, capistirai ecc.),della lavorazione di oggetti in legno, quella cappella-ria, quella muraria, quella aromataria, e quella ar-gentaria.Tale prosperità ebbe conseguenze positive anche sullavita culturale dell’intera comunità. Ne sono testimo-nianza l’istituzione, ad opera dell’Università, di unaBiblioteca pubblica realizzata nel 1584 con il lasci-to dei volumi del monaco agostiniano di LeonessaManfredo Giudici, l’ingaggio, nel 1530, di un maestroper l’istruzione popolare, retribuito con uno stipendiopiù alto di quello del medico, assunto “Per fare li homi-ni da bene e letterati, acciò quelli siano difensori didetta Universitas” e i nomi di battesimo diffusi tra leclassi popolari, che presupponevano delle buone lettu-re (Olfiante, Fiorespina, Romanzia, Tesatura, Roman-zia, Speraluce Pannucella, Beldestino). La “Madama”,come veniva soprannominata Margherita, volle lascia-re la sua impronta anche sull’assetto architettonicodella città, tanto da cancellare quasi del tutto la sua fa-cies medievale. Fece demolire le scale esterne e alcuni

porticati e nel 1548 corredò la “Piazza Grande” di unamonumentale fontana. Altri lavori realizzati lo stesso periodo furono: la co-struzione di un fonte battesimale di pietra nella chie-sa di Santa Maria del Popolo (1538), il completamen-to della facciata e di altri lavori nella chiesa e nel con-vento di San Francesco dove dimorò Margheritad’Austria nei suoi due soggiorni a Leonessa, la co-struzione del ponte di Vallunga etc. I lavori furonorealizzati sia da artigiani locali, sia soprattutto daMastri Lombardi giunti nella città appositamente. Aquesti l’Università di Leonessa mise a disposizioneun alloggio in Via San Francesco, nell’ architrave del-la porta è scolpita una scritta: Arte con suo martel,squadra e combasso e mazzuolo, e scalpel, da formaal sasso ed alcuni simboli raffiguranti gli strumenti egli attrezzi, tipici dei lapicidi. Con la morte di Margherita D’Austria (1586) gli stati“Farnesiani d’Abruzzo”, come venivano chiamati, pas-sarono in eredità a suo figlio Alessandro e rimaserosotto l’egida della nobile famiglia parmense per un al-tro mezzo secolo. Ma i vari Farnese che si succedette-ro attuarono una politica di disimpegno verso questiloro lontani feudi tanto che, a Leonessa, procedetteroall’appalto delle varie gabelle ad arrendatori privati lo-cali privi di scrupoli. Prese così avvio la decadenza del-la città, che fu ulteriormente acuita dalla sfavorevole

31

32

Leonessa - Vallonina, pascolo allo stato brado

congiuntura internazionale (il XVII secolo fu a livelloeuropeo un periodo di guerre e di crisi economiche) ecomprovata dal crollo demografico: nel 1641 Leonessacontava 1466 fuochi, circa 1000 in meno di quelli del1571. Ma ciò che più caratterizzò la storia di Leonessanel XVII sec. fu la morte di San Giuseppe (1612), l’ini-zio del Processo di beatificazione (1627) e lo sviluppodel suo culto. Il colpo di grazia all’economia ed alla vi-ta del paese fu inferto dal terribile sisma del 14 gennaiodel 1703, che provocò un migliaio di vittime ed ingentidanni al patrimonio edilizio ed architettonico. A causa

di questo terribile evento, il flusso migratorio, già ini-ziato il secolo precedente, verso Roma e le città delloStato Pontificio, divenne sempre più cospicuo, favoritoanche dal ritorno di Leonessa sotto l’egida del Regno diNapoli, dopo la pace di Vienna del 1735, con la qualeCarlo I di Borbone aveva ottenuto tutti i beni extraterri-toriali dei Farnese. Nel 1740 ben 135 cittadini leonessa-ni, disperati, si rivolsero al Sovrano con un’accorata let-tera di denuncia. Tuttavia, la crisi non impedì l’organiz-zazione di grandiosi festeggiamenti in occasione dellaBeatificazione nel 1737 e della Canonizzazione nel 1746.

Nonostante la grave crisi, Leonessa rimase fedele aiBorboni durante i moti rivoluzionari del 1799. I leo-nessani combatterono con coraggio e audacia per di-fendere la loro città dalle truppe giacobine ed attri-buirono il merito della loro vittoria all’intercessionedi San Giuseppe da Leonessa, l’episodio fu immorta-lato da Venanzio Bisini su alcune tele che si trovanonel Santuario di San Giuseppe. Nel 1806 Leonessa ridivenne libero comune sol-tanto con le leggi francesi eversive della feudalità.Ma paradossalmente furono proprio le nuove nor-mative, congiuntamente all’emigrazione e al crollodemografico, che portarono molti cittadini all’ab-bandono dei diritti sui beni collettivi, consentendoin tal modo ad una oligarchia di possidenti, Sestie-ri, di rivendicare la proprietà di alcuni beni dema-niali. Ebbe così inizio un lungo contenzioso tra Co-mune e privati che sfociò nel blocco degli usi civicisui territori contesi e che provocò il tracollo dellepiccole imprese locali del legno, del carbone, deilaterizi etc. Il fermo, riguardando anche gli usi ci-vici dei pascoli, causò di riflesso la crisi del settorecaseario, di quello laniero e del suo relativo indot-to di attività. Così, ad una economia silvo-pastora-le, validamente coadiuvata dall’agricoltura, succes-se - di pari passo col frazionamento dei terreni -un’economia agricola con miseri sussidi del boscoe del pascolo. Tutto questo favorì ulteriormente ilflusso emigratorio già in atto, tanto che nel 1861 ilcomune di Leonessa contava appena 6841 abitanti.

L’economia del paese era basata sulla sinergia di trecomponenti fondamentali: l’agricoltura, che occupa-va il 40% della popolazione attiva, la pastorizia stan-ziale e soprattutto transumante (in questo periodovisse il poeta Angelo Felice Maccheroni), che occupa-va un altro 15% e l’artigianato, che occupava il rima-nente della popolazione. Per l’agricoltura occorre ac-cennare alla grande svolta, avvenuta intorno alla finedella prima metà del XIX secolo, con l’introduzionedella coltivazione della patata e del mais, prodotti piùnutrienti e più resistenti ai parassiti rispetto al fru-mento; fattore questo che permetteva di affrontarecon una certa serenità le carestie. Le migliorate con-dizioni alimentari ebbero come conseguenza ancheun certo incremento demografico: dai 6.841 abitantidel 1861 si passò agli 8.323 del 1901.Tra le varie attività artigianali sviluppate vi eranoquelle dei fabbri-maniscalchi (“li ferari”), dei fagoc-chi (“li facócchi”, costruttori di ruote di carri), dei fa-legnami, dei cappellai (“li cappellari”), dei bastai-ma-terassai (“li mmastari”), dei calderai (“li callarari”),dei sarti (“li saturi”) e dei muratori (“li muraturi”).Una citazione a parte merita l’attività dei calzolai(“scarpari”) che, come vedremo più avanti, costituivail settore più importante.Nel periodo pre-unitario operarono a Leonessa dellecellule Carbonare ed anarco-socialiste, composte ingenere da qualche studente ed artigiani.Con l’unità d’Italia la città fu annessa alla provinciadell’Aquila tramite il circondario di Cittaducale.

33

L ’EPOCA CONTEMPORANEA

Leonessa - Panorama, Edward Lear 1844

Alla vigilia della prima guerra mondiale (1914) Leo-nessa ebbe l’energia elettrica per l’illuminazione del-le strade. La gioia e la felicità dei leonessani per que-sto evento durarono poco. L’anno seguente, infatti,scoppiò la prima guerra Mondiale e molti furono ileonessani chiamati alle armi, soprattutto nel corpodegli alpini. Assai elevato fu il numero dei soldati leo-nessani caduti sul campo. Tuttavia, stando ai dati demografici (5.796 abitantinel 1911, 5.782 nel 1921), Leonessa superò bene lacrisi dovuta alla guerra. Il suo assetto socio-economi-co rimase pressoché invariato rispetto al secolo pre-cedente con un artigianato sviluppato che aveva co-me attività principale quella calzaturiera, articolatain numerose piccole imprese - per lo più a conduzio-ne famigliare - che occupavano circa 300 persone.Nel 1927 Leonessa fu aggregata alla nuova Pro-vincia di Rieti istituita da Mussolini; la situazionenon mutò, anzi si aggravò ulteriormente a partiredal 1930, per effetto della crisi recessiva mondia-le del ’29, che nell’arco del quinquennio 1931-36provocò una contrazione della popolazione di cir-ca 900 unità (da 6.402 residenti si passò ai5.498) con ben 1104 emigrazioni verso varie città(Roma soprattutto), mentre molto contenuta ful’emigrazione all’estero (America).Una boccata d’ossigeno per l’asfittica economia leo-

nessana si ebbe, o si credette di avere, nel 1939 allor-ché la ditta Della Valle di Perugia impiantò una pic-cola industria di legnami sfruttando i boschi dellaVallonina, per raggiungere la quale la ditta realizzò lastrada Leonessa-Vallonina. Nel 1941 l’ingegner Della Valle cedette la fabbrica al-l’impresa G.C.P. (Giostra, Calabresi, Properzi) di SanBenedetto del Tronto. La nuova gestione potenziò laproduzione diversificandola, tanto da produrre casseper fucili e molti altri oggetti. Prima dello scoppiodella seconda guerra vi erano impegnate circa 120persone. Con l’entrata in guerra dell’Italia (1940), molti furo-no i soldati leoenessani chiamati alle armi per leCampagne di Grecia, Albania, Africa, Russia: moltifurono presi prigionieri, molti non fecero mai ritornoal loro paese. Come se ciò non bastasse, nell’apriledel 1944 nell’altipiano di Leonessa le truppe delle SSmassacrarono, per rappresaglia, 51 inermi civili, dicui 23 nel capoluogo. Fu il momento più drammaticodella storia di Leonessa.Per questi drammatici eventi nel 1959 il Gonfalonedel Comune di Leonessa fu insignito di una medagliad’argento al valore civile.Negli anni ’60 Leonessa risentì dei benefici del boomindustriale: operavano, infatti nel capoluogo due fab-briche per la lavorazione del legname: l’impresa Bosi

34

Leonessa: antica fontana - abbeveratoio di fronte a Porta Aquilana, di Roserfranz 1898

e figli, che aveva rilevato e moder-nizzato l’impianto precedente e cheriuscì ad occupare fino a 460 operaie l’impresa Nicoli, che producevabalza per la fabbricazione di casset-te da frutta, che occupava un altrocentinaio di persone. Ciò portò uncerto, seppur effimero, benessere,provato anche dalla presenza di treistituti Bancari (Banca Popolare diSpoleto, Banca dell’Alto Lazio, Cas-sa di Risparmio di Rieti), ma ancheuna notevole contrazione dell’arti-gianato e dell’agricoltura.Nel 1959 la Provincia completò lastrada panoramica che collegavaLeonessa con il Terminillo: un annodopo vi transitò il giro d’Italia; nelcapoluogo avevano ancora la loro se-de la Pretura e l’ufficio del Registro einiziò a svilupparsi il turismo conun’edilizia non invasiva e rispettosadelle caratteristiche ambientali edurbanistiche degli antichi nuclei. Intale ambito rientrano la realizzazio-ne e l’apertura dell’Hotel la Torre,della cabinovia per il Monte Tilia edel locale “Edelweiss” dotato, que-st’ultimo, di un bellissimo giardino edi una piscina. Per alcuni anni costi-tuì un punto di richiamo ed una at-trattiva per tutti i giovani dei paesilimitrofi a Leonessa.Verso la metà degli anni ’60 alcunigiovani leonessani, sulla scia dellamoda lanciata dai Beatles, detterovita al complesso dei The Lyons, cheallietò numerose serate presso ilprestigioso locale leonessano, conpuntate anche “oltre cortina”. Negli anni ’70 la classe politica alpotere, grazie alla mancata adozio-ne del PRG favorì uno sviluppo spe-culativo e caotico dell’edilizia priva-ta: furono realizzati residence ed al-tri fabbricati in netto contrasto conl’ambiente naturale e l’antico asset-to urbanistico ed architettonico, an-che nelle frazioni. Il 16 luglio del 1978 fu celebrato condiverse iniziative il settimo centena-rio della fondazione di Leonessa, aricordo del quale in Piazza 7 Aprile,fu posto un cippo. Ma fu proprio in

35

Leonessa - Vicolo S. AntonioEnrico Coleman XIX sec.

questo periodo (che tra l’altro vide la realizzazione didue viadotti – due vere e proprie ferite nel paesaggiodell’altipiano leonessano- per una ipotetica super-strada che doveva collegare Civitavecchia con Ascoli,mai realizzata) che iniziò una nuova crisi culminantenella chiusura delle due fabbriche (l’ultima, la Bosi,chiusa nel 1982) e nel terribile sisma del 1979 chesconvolse tutta la Valnerina. Ingenti furono i danni alpatrimonio urbanistico ed architettonico della città edelle frazioni, con gravi danni agli edifici pubblici eprivati e alle chiese. I lavori di consolidamento e direstauro si protrassero per numerosi anni.La concomitanza di questi fattori negativi acuì ulte-riormente il fenomeno dell’emigrazione soprattuttoverso la Capitale. Con la chiusura della “Bosi”, Leo-nessa fu costretta anche a mutare il proprio assettoeconomico, passando da una economia incentrata sulsettore secondario ad una incentrata su quello terzia-rio del turismo e dei servizi, mentre un ruolo semprepiù marginale andavano assumendo l’agricoltura el’artigianato. Nel 1981 su sollecitazione di Mons. Giu-seppe Chiaretti, l’amministrazione Falconi organizzòil gemellaggio con la città francese di Gonesse, a cuigli Angioini erano particolarmente legati. La base del

gemellaggio fu costruita sullo scambio di ospitalitàtra le scuole e le famiglie delle due città.Attualmente l’economia leonessana è ancora basatasul terziario, anche se si sta tentando un rilancio delsettore agroalimentare valorizzando alcuni prodottitipici come patate, salumi, formaggi, tartufi, farro,miele etc; rilancio che dovrebbe essere trainato dallasagra della Patata. Da alcuni anni si sta tentando anche un incrementodel turismo con iniziative come l’apertura di un uffi-cio Informazioni, l’effettuazione di visite guidate allechiese e, soprattutto, con due manifestazioni di riso-nanza nazionale, quali la Rassegna delle Regioni aCavallo e il Palio del Velluto che si tengono, rispetti-vamente, il terzo e quarto fine settimana di giugno, eche riscuotono un notevole successo di pubblico.Tuttavia, purtroppo, il fenomeno emigratorio – favo-rito anche dalla sfavorevole congiuntura economica– non sembra accennare a diminuire. Di recente Leonessa ha ottenuto la bandiera Arancio-ne, tuttavia questo traguardo non sembra aver stimo-lato una più accorta politica di conservazione del pa-trimonio paesaggistico e delle caratteristiche urbani-stiche originarie del paese.

36

Leonessa Via di Porta Penta XIII sec.

Il centro storico di Leonessa ha mantenuto pressochéinalterato l’assetto urbanistico assunto nel XIV seco-lo, allorché, a causa del forte evento sismico del 1315che sconvolse la Provincia de L’Aquila, la maggiorparte degli abitanti gli antichi castelli dell’agro leo-nessano confluì nel nuovo nucleo determinandol’ampliamento (fino alla Porta Spoletina) di quellooriginario che terminava alla “Sbarra” (Via Giov.Batt. Ciucci).Il centro storico, infatti, presenta ancora la caratte-ristica forma a fuso con sette strade convergenti inuna grande Piazza: Via San Francesco, Via Mastroz-zi, Corso San Giuseppe già Corso Vittorio Emanue-le e prima ancora Via Recta, Via Brunori Bocarini,già Via Santa Chiara, Via Della Ripa (all’inizio dellaquale si trova l’antica fonte del Castello di Ripa),Via Delle Mole.1 Queste strade sono collegate tra-

sversalmente da numerosi vicoli in corrispondenzatra loro. Alcuni di essi, nei secoli, sono stati arbitra-riamente ostruiti per ampliare le abitazioni.Altre due piazze più modeste, Piazza Garibaldi, giàPiazza San Francesco e Piazza IV novembre, sonoubicate lateralmente al Corso principale all’altezzadella zona di confine tra l’originario nucleo (XIII se-colo) e quello successivo. Due antiche porte d’accesso, Porta Aquilana, secoloXIII, e Porta Spoletina, secolo XIV, unitamente allaTorre angioina, a qualche edificio turrito e ad alcuniresti delle mura è ciò che resta dell’originale sistemadifensivo della città.2

Diverso è il discorso per la facies architettonica chepresenta una sovrapposizione di stili dovuta sia al-l’adeguamento alle varie realtà storiche, sia soprat-tutto a gravi eventi sismici (il terremoto del 1703).

37

PATRIMONIO ARTISTICOE ARCHITETTONICO DEL CAPOLUOGO

IL CENTRO STORICO

Leonessa - Panorama, la parte storica presenta la caratteristica forma a fuso

La tipologia degli edifici, pubblici e privati, è carat-terizzata da una più che decorosa edilizia minutaaffiancata da una cospicua presenza di Palazzi epalazzetti gentilizi, risalenti al XVI-XVIII secolo,che denotano una certa agiatezza sociale. Scomparse o largamente ristrutturate sono le tipicheabitazioni rurali (ubicate nelle vie secondarie) di so-lito articolate in un grande magazzino-cantina al pia-no terra, la cucina con una camera al primo piano; edeventualmente altre camere al secondo. In questeabitazioni, come in quelle degli artigiani, troviamospesso anche l’orto.Le stalle, che fino agli anni ’70 del XX secolo ancorasi trovavano nel centro storico, erano distaccate dal-le abitazioni, situate o nella stessa via o in altre stra-de secondarie (Via Teofilo Patini, Via della Ripa, Viadelle Mole, Via Mastrozzi e Via Durante Dorio, daltratto centrale a quello finale verso Porta Spoletina).

Piazza 7 Aprile 1944

È così denominata in ricordo delle 51 vittime barba-ramente trucidate dalle truppe naziste il sette aprile1944 a Leonessa.Di forma trapezoidale, ha costituito da sempre il ful-cro urbanistico della vita sociale, civile, politica, reli-giosa e commerciale della città. In essa, infatti, anco-ra oggi hanno sede gli edifici del governo civile (ilMunicipio), il mercato settimanale (recentementequivi ripristinato), l’importante chiesa di San Pietro.Anticamente vi sorgevano il Palazzo dei Priori,ubicato presso il lato ovest, oggi - pur tra crolli e ri-maneggiamenti - ancora identificabile per la prospi-cienza all’omonimo vicolo, e per il grande portale so-vrastato dai resti di un più vasto arco a tutto sesto chedoveva costituire l’entrata originale; il Palazzo delCapitano ubicato ad angolo con la Via Recta adia-cente al quale sorgeva la Torre civica, risalente alXV secolo (situata dove oggi si trova una tabacche-ria), i cui ruderi erano visibili ancora nei primi annidel ‘900; la chiesa di San Pietro; i vari porticati dovesi svolgeva il mercato.Non dimentichiamo, inoltre, che la Piazza – nel me-dioevo e rinascimento – chiamata Piazza Grande –era la sede dell’Arengo, ossia delle assemblee comu-nitarie. Sul lato nord-est sorgono degli edifici porti-cati medievali interrotti da una brutta scalinata, (re-centemente realizzata insieme all’altrettanto nonesaltante pavimentazione della piazza), che conducea Porta Aquilana. Soluzione architettonica, questa,adottata già negli anni ’30 con la rimozione del mu-raglione che sovrastava la Porta, sul lato destro (ad-dossato alla quinta edilizia superiore del PalazzoMongalli) e della strada “Li curduni” che da questasaliva in Piazza transitando sotto il porticato. Questilavori comportarono anche la demolizione della fon-te abbeveratoio “Lu trocchiu” collocata di fronte al-

l’antica Porta. Fu così sconvolto l’antico assetto via-rio, isolando senza ragione la parte più antica di Leo-nessa.Il lato est si conclude con il gentilizio Palazzo Mon-galli, sede del Municipio che mostra evidenti i segnidi alcuni rifacimenti e ristrutturazioni.Attigui a questo palazzo sono degli edifici iniziali diquello che anticamente era il Convento degli Agosti-niani, collegato più in alto alla monumentale chiesadi San Pietro (XIV-XV secolo).Sul lato settentrionale “dell’aringo”, dove convergo-no il Corso e le strade ad esso parallele, si affaccianola maggior parte degli isolati a «fuso» conclusi talvol-ta da altri edifici medievali, con o senza portici, e dapalazzi del XVI secolo (rimaneggiati). Fino al 1542 anche la Via Recta culminava con deiportici che furono però demoliti per espresso ordinedi Margherita d’Austria.Sul lato nord-ovest si staglia l’imponente secondoPalazzo Mongalli, con porticato, doppio ordine di fi-nestre trabeate e contornate da una cornice finemen-te modanata.Sul lato Sud-Ovest si trova il gruppo di edifici checonclude la quinta edilizia superiore di Via Della Ri-pa (formato dall’aggregazione spontanea e più anticadel borgo di unità abitative), comprendente l’anticoPalazzo dei Priori e culminante con una costruzionerurale che a mo’ di cerniera angolare introduce e pie-ga lo spazio urbano verso la chiesa di San Pietro.3

Questo edificio rurale, con un lato flesso, demolito enon impeccabilmente ricostruito, un tempo era adi-bito a mensa dei poveri del prospiciente Convento diSant’Agostino.

La fontana Margaritiana

Collocata nell’angolo sud orientale di Piazza 7 Aprile,in posizione decentrata rispetto alla medesima maallineata con la Via Recta, sorge la cinquecentescafontana Margaritiana, in dialetto “Lu Mammoccio”.Fu donata alla città da Margherita d’Austria nel 1548,“pro pubblica omnium utilitate et ornamentum”,cioè innanzitutto per pubblica utilità e in secondoluogo per abbellire la Piazza. La pubblica utilità con-sisteva nella realizzazione dell’acquedotto in pietralungo tre miglia (ancora esiste oggi e si chiama LiSambuchi), che convogliasse le acque del Riofuggiodall’alveo di Capocanale fino alla Piazza.4

La realizzazione della fontana (e dell’acquedotto) fuaffidata nel 1547 dal Magistrato dell'Università diLeonessa all'architetto fiorentino Nicola di Giovannidi Carlo, operante nella Tuscia. Il manufatto, impo-stato su tre gradini, è costituito da una vasca ottago-nale con fuso centrale.La vasca poggia su uno zoccolo modanato sul qualesono scolpiti alcuni distici, celebrativi di Margaritad'Austria:

38

DULCIOR HAC NULLA SALUBRIOR UNDA MON-STRORUM LICET E FAUCIBUS ILLA CADAT AU-STRIACAE DONUM EST DIVAE, QUAE NON MO-DO SED DOCET INGEGNIUM MITIUS ESSE FERIS(Non c'e' acqua più dolce di questa / non c'e' acquapiù salubre di questa,/ quantunque precipiti dallebocche di mostri/ essa e' dono della signora austria-ca che non solo a noi / ma anche alle fiere insegna adavere un'indole più mite). Sulle otto facce della vasca sono alternativamentescolpiti alcuni stemmi “accartocciati”: uno – di piùimmediata identificazione - raffigurante l’aquila an-cipite, insegna degli Asburgo; un altro costituito dauno scudo sovrastato da una corona, con fascia abande, ed alcuni gigli per questa caratteristica, forse,attribuibile ai Farnese; un altro ancora, più facilmen-te riconoscibile, raffigurante l’arme di Leonessa, so-vrastata dai gigli Angioini in una specie di scacchie-ra; presumibilmente attribuibile agli Angioini è an-che l’altro stemma che presenta una banda a motivizizagati e un motivo sfumato riconducibile forse al ti-pico lambello, concesso dagli Angioini alle famiglie eai paesi devoti. Dal punto di vista artistico la parte più interessantedella fontana è il fuso, il quale si compone di più ele-menti ottagonali sovrapposti: il pilastro di base (qua-si completamente nascosto dalla vasca) con cornicemodanata, un tronco di piramide, una corona di otto

formelle, figurate quadrangolari, un anello di raccor-do con la parte superiore costituita da un blocco co-nico da cui emergono tre figure femminili alate e in-fine un coronamento a sfera su base a disco bomba-to, aggiunto successivamente.5

Ciò che più di tutto conferisce alla fontana la tipicaconnotazione cinquecentesca sono i quattro “ma-scheroni a grottesche” disposti a croce sulla corona(terzo elemento). Da segnalare sulla stessa struttura,alternati ai mascheroni, la presenza di due delfini,animali araldici di Paolo III Farnese.Ma la parte artisticamente più interessante della fon-tana è costituita dalla sommità, che presenta tre figu-re femminili alate, a torso nudo, con delle lunghechiome fluenti, separate ritmicamente da foglied’acanto di notevole fattura. Sarà interessante notareche le indicazioni per la realizzazione di queste figu-re – riconducibili alle sirene – furono dettate dalleautorità leonessane, come si desume dal contrattostipulato con l’architetto fiorentino. Il materiale uti-lizzato nella fontana non è omogeneo: la corona aformelle, infatti, è in calcare locale, mentre tutto il re-sto della struttura è in pietra fiorentina molto dura -resistente al ghiaccio - chiamata pietra forte, prove-niente dalle cave di Maiano.Concludendo possiamo affermare che la fontanaMargaritiana con tutti i suoi riferimenti simbolici sierge ad emblema della storia di Leonessa.

39

Sopra: Piazza 7 Aprile lato Sud-Ovest. Pagina seguente: la fontana Margaritiana XVI sec.

Porta Aquilana XIII sec.

Anticamente era chiamata Porta di Regno e PortaNapoli perché da essa partiva la strada per l’Aqui-la. La sua costruzione risale al XIII secolo,e pre-senta un fonice interno ribassato che ancora con-serva l’antica saracinesca di chiusura.6 Di frontealla porta fino agli inizi del XX secolo si poteva ve-dere ancora ciò che rimaneva della chiesa SantaMaria Extra Moenia (XIV secolo), il cui portale è

murato nella chiesa di San Francesco.Nei pressi della Porta vi erano anche una locanda e gliedifici della gabella.Ai suoi due lati vi sono due viali carrozzabili acciottolati,in fondo ai quali un tempo sorgevano altre due porte: aSud Est Porta San Giovanni, così chiamata per la vici-nanza con l’omonimo convento delle clarisse, ora diru-to, ad Ovest Porta Penta, così denominata probabilmen-te per la presenza nel fornice di un dipinto votivo, dallaquale prendeva avvio la strada per Casanova.

42

Porta SpoletinaXV sec.

Già Porta del Colle oPorta di Stato perchéda essa si dipartivala strada verso lostato Pontificio, perla via di Monteleonedi Spoleto.L’attuale costruzionerisale al 1456 e sosti-tuisce una porta ori-ginaria più ampia,cui forse va collegatal’arcaico antemuraledi sinistra costituitoda una semitorre. Laparte ogivale è co-struita con blocchisquadrati di pietrarossa locale, mentrela parte superiore èin pietra calcarea an-ch’essa locale.Nella parte internadella Porta, ai suoidue lati, sono collo-cati due leoni in pie-tra rossa locale, ori-ginale è solo quellodi sinistra (venendodal Corso); l’altro èopera recente di An-

tonio Bonanni, volenteroso “Artista” locale. Il fornice interno antica-mente era decorato con un grande affresco votivo, raffigurante SanGiuseppe da Leonessa in estasi dinnanzi alla Vergine effigiata all’in-terno di Porta Spoletina, distaccato nel 1965 e ricollocatovi (ciò cheresta) negli anni 90 del XX secolo. La nicchia sovrastante l’arco ogi-vale anticamente era affrescata con l’immagine della Vergine, chenel 1962 fu sostituita con un mosaico della scuola vaticana.7

La merlatura è recente: risale, infatti, ai primi anni ’50 del XX se-colo. Ma non si tratta di un’innovazione arbitraria, poiché una Por-ta merlata sostenuta da un leone rampante e circondata dall’iscri-zione “SVM CONNEXA (!) VERA CLAVIS MONTAQ. SERA”, com-pare in un sigillo dell’università di leonessa, in uso nel XVII secolo.

43

Sopra: Porta Spoletina XV sec.Sotto: Porta spoletina - Particolare XIII sec.A lato: Porta Aquilana XIII sec.

La fonte della Ripa XII sec.

È l’antica fonte del castello di Ripa, che fino allacostruzione dell’acquedotto de Li Sambuchi costi-tuiva l’unica risorsa idrica di Leonessa. Viene ali-mentata dalla sovrastante sorgente della Rocca, efu costruita utilizzando la pietra rossa e la calcarealocali. Presenta una solida forma ad arco a tuttosesto e da essa partiva un condotto in terra cottache alimentava la fonte sottostante la Piazza.8

Anticamente la Fonte, oltre la bocca principale, neaveva altre più piccole dalle quali abbondante sca-turiva l’acqua soprattutto in primavera. La Fonteveniva utilizzata sia come abbeveratoio per gli ani-mali, sia per attingervi l’acqua per l’uso domesticoe vicino ad essa sorgeva un lavatoio pubblico. Se-condo un’antica credenza nella sua grande vasca,durante le fredde notti invernali di luna piena, sigettavano i licantropi “lupi panari” per calmare laloro crisi.

44

Sopra: Fonte della Ripa XII sec.Pagina seguente, sopra:Palazzo Mongalli, sede del Municipio XV - XVI sec.Sotto: il secondo Palazzo Mongalli XV - XVI sec.

I palazzi

Sono ubicati inPiazza 7 Aprile enelle strade piùimportanti. Par-ticolarmente cu-rato è l’aspettoarchitettonicodelle facciate,tutte intonacate,con finestre sor-montate da tra-beazioni e talvolta da timpanitriangolari ecurvilinei sumensole, comelo sono i davan-zali. I balconisono protetti daartistiche rin-ghiere in ferrobattuto, operadi artigiani lo-cali. I portalid’ingresso, inpietra, sono in-quadrati in cor-nici riccamentemodanate. In Piazza 7Aprile abbiamo idue già citati Pa-lazzi Mongalli(XV-XVI)9. Quel-lo che attual-

mente ospita la sede delComune presenta unpregevole portale, risa-lente al XVII secolo, inpietra bianca locale, conal centro dell’arco l’ar-me parlante della fami-glia Mongalli, costituitoda un gallo su montesormontato da una con-chiglia con una mezzaluna crescente e duestelle. La tipologia delportale deriva da quelladel portale di PalazzoFarnese, di Antonio diSan Gallo il giovane,prototipo per quasi tuttii portali dei palazzi ro-

45

mani del XVI-XVII secolo. Sulla facciata di questo Palazzo Mongalli, negli an-ni ’70, è stata riportata in luce un’interessantissima bifora di stile gotico ve-neziano, costituita da due pilastri laterali ornati all’interno con motivi di co-lonnine tortili. Il centro dell’arco è decorato con diversi simboli: una stella asei punte (la stella di David) inserita in un cerchio, sormontata da un giglio,affiancata da altre due stelle, con in basso lo stemma di Leonessa. La finestrapuò essere datata tra il XIV e il XV secolo ed è probabile che appartenesse aqualche edificio preesistente. In Via San f rancesco, venendo dalla Piazza, abbiamo i seguenti palazzi: • al civico 113 Palazzo Bisini (XVI secolo), al di sopra dell’omonimo Vicolo,con le tipiche finestre trabeate in stile rinascimentale, dal XVIII secolo appar-tenuto alla famiglia Bisini, originaria di Terzone, trasferitisi nel capoluogo; • al civico 109 Palazzo Morelli (XVI secolo), anticamente vi era una cappel-la intitolata a San Lorenzo, è dotato di alcune artistiche finestre del XV-XVIsecolo, con incorniciatura che imita il fornice di un arco; • segue Palazzo Giudici, ubicato sullo stesso lato dei precedenti (subito pri-

ma della chiesa di San Michele Arcangelo, di cui rimangono il portale e le finestre), porta il nome di una dellepiù facoltose famiglie leonessane, nel XVI secolo impegnata nel settore della lavorazione della lana e che det-te i natali al Beato Manfredo e a suo fratello Brunetto, entrambi monaci agostiniani; • al civico 97 si trova Palazzo Vanni, appartenuto alla aristocratica famiglia dei Vanni tra i cui membri, nel XIXsecolo annoverava il Marchese Luigi Vanni, molto belli sono il portale (XVIII secolo), sormontato da un aristocra-

46

Sopra: Finestra Palazzo Morelli XVI sec. Sotto: Palazzo Bisini XVI sec.

tico balcone con la ringhiera in ferro battuto, le decorazioni interni e glistucchi opera dei Bisini; • al civico 72 abbiamo Palazzo Viscardi (XVI-XVII secolo), è quelloche fa angolo con Piazza San Francesco, prende il nome dall’omonimafamiglia nel XVI secolo impegnata nella lavorazione della lana - sul belportale, che stilisticamente rimanda a quello del Sangallo di Palazzo Far-nese a Roma, è collocato uno stemma nobiliare, poco leggibile, che latradizione locale attribuisce alla famiglia Conti; • di fronte al Convento di San Francesco, si trova Palazzo Cherubini,nel quale nacque nel 1899 il famoso compositore Bixio Cherubini, comesi può leggere dalla targa apposta sulla facciata;• ubicato sul lato destro, ad angolo con Largo Costantino Palmieri, sor-ge Palazzo Ettorre (XVII-XVIII secolo). È il più grande palazzo di Leo-nessa e l’unico abitato ancora dai discendenti della famiglia originaria,presente a Leonessa almeno sin dal XVI secolo ed impegnata nel settorelaniero: un Ettorre, infatti, era uno dei Consoli di tale Arte. Il palazzo è dotato di una Cappella privata intitolata a Santa Maria dellaPietà, prospiciente a Via San Francesco, fatta erigere da Fabrizio Ettor-re nel 1686.Tra i vari palazzi di Corso San Giuseppe, venendo da Piazza 7 Aprile,sono da segnalare:

47

Sopra: Portale Palazzo Vanni XVIII sec. Sotto: Palazzo Vanni XVIII sec.

• Palazzo Clivi-f oglia (ubicato difronte al Santuario) riconoscibileper una pregevole monofora (XVsecolo), in stile veneto trecente-sco; sull’architrave del portoned’ingresso è scolpito il trigrammadi San Bernardino da Siena e ladata 1577;• Palazzo Cocci (XVII-XIX seco-lo) situato al n. 156, tuttora è pro-prietà dei discendenti dell’anticafamiglia Cocci, estintasi nel ramoDe Napoli; sulla facciata reca lostemma famigliare costituito daun leone gradiente su fascia, im-postato su una torre merlata;• Palazzo Dionisi (XVIII seco-lo), oggi Ettorre, ubicato al civico112, appartenuto alla famiglia Dio-nisi impegnata anch’essa nell’in-dustria laniera già dal XVI secolo,con un certo Dario Console del-

l’Arte; pregevole è il portale com-posto da due paraste affrancate concapitello dorico e da un architraveplurimodanato e sormontato dallostemma di famiglia - un cimierolungo piumato con ai lati due puttied in basso un mascherone zoo-morfo; nel campo partito, il primoalle tre oche, il secondo all’alberocon foglie e frutti, tre gigli al capo;• Palazzo Antonelli, oggi Aloisi(civico 115), con un bello ed ampioportale (XVII secolo) di conci dipietra bianca locale, alternativa-mente disposti, che stilisticamenterimanda a modelli cinquecenteschiromani; lo stemma in pietra che so-vrasta l’arco – un leone rampantesu una scala, in una cornice a volu-te infisse - è quello dell’antica fami-glia Antonelli, mentre quello collo-cato sulla facciata è il trigramma diSan Bernardino da Siena;• Palazzo Carocci, poi Colan-drea (XVII-XVIII secolo), ubicatoal civico 109, appartenuto a due be-nestanti ed antiche famiglie leo-nessane; il palazzo presenta duestemmi, uno sul lato che fa angolo

48

In alto: Palazzo Viscardi XVII sec.A destra: Portale Palazzo EttorreXVII sec.

con Via G.B. Ciucci, raffigurante un cavallino rampante su tre ci-me è attribuito dalla tradizione locale alla famiglia Morelli (XVIIsecolo); un altro, collocato sul lato del Corso al di sopra di unafinestra, che presenta nel campo un cupido alato, con arco efrecce, che corre su una biga (XVIII secolo), attribuito alla fami-glia Carocci;• Palazzo Zelli - Cherubini, situato sul lato sinistro al civico70, appartenuto anch’esso ad antiche casate leonessane, presen-ta un interessantissimo portale bugnato a punta di diamante, ri-salente al XVI secolo; le finestre, invece, sono del XVIII ed indi-cano pertanto il restauro post terremoto.• Palazzo Viscardi - Lelli, ubicato al civico 39, presenta unpregevole portale risalente al XVIII secolo, impostato su capi-telli a cornici plurime modanate, con l’estradosso ornato dabugne di diversa larghezza e sormontato dallo stemma gentili-zio della famiglia Viscardi, raffigurante un leone rampante re-cante una rosa sulla zampa.• Palazzo f ornari (XVIII secolo) situato al civico 20, è abitatoancora dai discendenti della facoltosa famiglia originaria, gran-de proprietaria di terreni. Sulla facciata è collocato una stemmadel XVI secolo raffigurante un cimiero piumato in campo spac-cato con una stella a otto punte al capo, tre sassi squadrati (for-se emblema dei fonaciari) al centro.Sull’architrave di una porta di un fondaco di questo palazzo, sitrova scolpito lo stemma della famiglia Viscardi: un leone ram-pante che tiene sulla zampa un giglio e un’iscrizione datata 1548.In Via Mastrozzi sono da segnalare: Palazzo f alconi (al civico 96) appartenuto a una facoltosa famigliapresente a Leonessa sin dal XVI secolo, Palazzo Alfieri, oggi Conti (al civico 82), anch’esso proprietà diun’antica borghese famiglia leonessana. Degno di menzione è il portale del XVIII secolo, sormontato dallostemma fregiato di cimiero nel campo partito: il primo alla torre di tre ordini, il secondo a due bande, al capol’aquila spiegata. In Via Brunori Bocarini merita un cenno Palazzo Labella (al civico 20) appartenuto aduna facoltosa famiglia di Vindoli.

49

Sopra: FinestraPalzzo Clivi XV sec.A lato: PortalePalazzo Ettorre XVI-XVII sec.In basso a destra:Finestra palazzoBisini XVI sec.

A lato: Palazzo Antonelli, con il portaleXVII sec. In alto: Stemma della famiglia DionisiXVIII sec.Al centro: Stemma della famigliaCarocci XVIII sec.In basso: Stemma della famiglia MorelliXVII sec.

In alto a sinistra: Portale Palazzo Giudici XVII sec.In alto a destra: Portale Palazzo Zelli - Cherubini XVI sec.In basso a sinistra: Palazzo CarocciIn basso a destra: Portale Palazzo della famiglia Falconi XVIII sec.

Il complesso è ubicato a metà della via omonima. Lasua fondazione è quasi coeva a quella di Leonessa:infatti la prima pietra del nucleo originale, l’attualecripta, fu posta nel 1285 dal Vescovo di Rieti PietroGerra. L’insediamento molto probabilmente fu volu-to dagli Angioini, i quali erano grandi sostenitori del-l’Ordine Francescano.Nel 1296 la chiesa doveva essere terminata, come sipuò dedurre da una Bolla del Vescovo di SpoletoFrancesco che concede e rinnova indulgenze a coloroche visitano la chiesa, senza fare menzione dei lavori.Alla fine del XIV secolo risale invece la parte supe-riore della chiesa, ad unica navata, orientata secon-do la tradizione romanica con l’entrata ad Ovest, illuogo del tramonto del sole - che simboleggia la re-gione delle tenebre, della morte - e l’abside con l’al-tare ad Est, verso il Sole che sorge, simbolo del Cri-sto (in tal modo il cristiano che entrava in chiesatransitava simbolicamente dal buio delle tenebre,verso la Vera Luce).Nel XV secolo furono presumibilmente erette le duenavate laterali (con le volte delle campate a crocieracostolonate): prima quella di destra, più larga e poiquella di sinistra più stretta, con il conseguente rima-neggiamento del chiostro. La seriorità delle navatelaterali è comprovata anche dalle evidenti disconti-nuità della facciata.La chiesa fu consacrata nel 1446 dal Vescovo di Spo-leto Gaspare Conti, mentre verso la fine dello stessosecolo fu realizzata la Cappella del Presepe, con il re-lativo abbattimento della volta sottostante affrescata(vedi oltre).Atri lavori ed ampliamenti furono eseguiti nel corsodel XVI secolo: la costruzione del campanile rimastopoi privo di cuspide, il completamento della facciata,lo spostamento dell’altare dei Mongalli, per aprire laporta della cappella del presepe, nella navata di de-stra (1503), l’erezione degli altari degli Antonelli(1578) e dei Dionisi (1582), il primo con la bella teladi Ercole Orfei da Fano, il secondo con una tela di Pa-squale Rigo da Montereale.A causa del terremoto del 1703 crollarono la parte ab-sidale e la volta della chiesa. I successivi lavori di re-stauro comportarono la realizzazione delle volta abotte unghiata e conferirono alla chiesa una facies ba-rocca, rimossa verso la fine degli anni ’50. Furono co-sì demoliti tutti gli altari eretti nella chiesa compresoquello dei Mongalli con la tomba del Cavaliere gero-

solomitano Manlio: una fine ingloriosa per uno deipiù illustri figli di Leonessa.Con il terremoto del 1979 la chiesa subì gravi dannistrutturali; la volta rimase puntellata per anni, congrande dispendio di fondi pubblici. Restaurata, fu ria-perta al pubblico nella seconda metà degli anni ’80.La facciata è costituita da un corpo centrale più al-to, a terminazione orizzontale, secondo un modellodi derivazione abruzzese, a cui si affiancano due cor-pi laterali più bassi posti a concludere le navate mi-nori, come queste di larghezza diversa.Il materiale usato è costituito da conci di pietra rossalocale, alternata da un fascione centrale di blocchi dipietra bianca. Sempre in pietra rossa locale è il por-tale di stile tardo-romanico, a sesto acuto, che pre-senta una serie di tre colonne alternate lisce e a tor-ciglioni, terminanti con foglie di palma e d’acanto(simbolo di rinascita). Sull’architrave sono scolpitil’Agnello Mistico (simbolo del Cristo) tra due leones-se, o giovani leoni; la lunetta è affrescata con un’effi-gie della Vergine col Bambino, San Francesco ed unaltro Santo non identificabile. Al di sopra del portaleè collocato un artistico rosone, anch’esso in pietrarossa locale ricostruito in sostituzione di quello a rag-giera originale – di cui si trova una raffigurazione inun ex voto del XVII secolo nel museo della chiesa disan Pietro.

53

C H I E S E E C O N V E N T IC H I E S E E C O N V E N T I

CHIESA E CONVENTO DI SAN FR ANCESCO XIII-XV SEC.

A lato: Chiesa di San Francesco XIII-XV sec. veduta absidale, A destra: Facciata della chiesa di S. Francesco XIV sec.

54

L’interno è a tre navate di diversa ampiezza e absidate: quelladi destra è molto più larga rispetto a quella di sinistra; i pilastriche la dividono, per mezzo di arcate, dalla navata centrale sonocinque, mentre in quella di sinistra sono sei. Le volte di questenavate laterali sono a crociera costolonate nelle primecampate,con solide ogive a partire dalla retro facciata.Sull’altare maggiore troneggia un suggestivo e monumentale ta-bernacolo in legno dorato, sostenuto da quattro leoni in nocescolpita e sorvegliato dai due Arcangeli lignei. L’opera, che risa-le alla prima metà del XVII secolo, è articolata in tre ripiani con-centrici bagnati in oro: sui primi due sono scolpite 9 piccole nic-chie su cui sono collocate alcune piccole statuine tra le qualispicca un raffinato San Giorgio a cavallo che uccide il drago; sul-l’ultimo ripiano, cupuliforme, troneggia la statua del Cristo be-nedicente. Al di sotto dell’altare sono custodite le reliquie di SanFausto Martire.Sulla parete di fondo della navata di destra è dipinto un affrescodi autore ignoto raffigurante Santa Caterina d’Alessandriacon la ruota del martirio (XV secolo), recentemente restaurato.Sulla destra del dipinto è murata la lapide di Carlo Alessandro

Conti eretta nel 1685 dai nipoti. Sulla colonne della navata di de-stra sono visibili dei frammenti diaffreschi raffiguranti un Cristo(datato 1496), San Francesco,Santa Chiara, una Madonna conil Bambino e San Francesco, esulla quarta colonna San Bernar-dino da Siena con il caratteristicotrigramma. Sulla quinta colonnasi trova la lapide di Manlio Mon-galli, cavaliere gerosolomitanoprotoprefetto delle truppe ponti-ficie, eretta nel 1633. Sempre sulla stessa navata, doveprecedentemente sorgeva l’altareMongalli, si trova murato il portaledella chiesa di San Massimo delSesto di Forcamelone. Segue la cappella del Presepe, giàsede della Confraternita di SantaCroce, nella quale, oltre il prese-pe, si trovano alcune belle teleraffiguranti la cena di Emmaus,Caino e Abele, San Tommaso e labella statua lignea di un SantoVescovo (XIV-XV secolo), origi-

Sopra - Chiesa di S. Pietro: ex voto delXVII sec. che raffigura la facciata origi-nale della chiesa di S. Francesco e laMadonna che salva un devoto da unbriganteA lato - Chiesa di S. Francesco, taber-nacolo XVII sec.

Nella parete di fondo dell’omonima cappella si trova collocato su tre ripiani un monumentale e suggestivo prese-pe in terracotta policroma, risalente ai primi del XVI secolo; opera pregevolissima di figuli abruzzesi, presumibil-mente di Paolo da Monte Reale detto l’Aquilano, o della sua scuola. Questo artista apparteneva alla tradizione diquelle scuole minori di mastri figurinai - escluse dalle grandi vicende dell’arte rinascimentale ed in via di afferma-zione a partire dalla fine del XV secolo, in alcuni luoghi periferici dell’Italia centromeridionale, dell’Abruzzo, del-la Campania, della Basilicata, della Calabria, della Sicilia - che dettero vita alla tradizione dei presepi plastici co-stituiti da figure a tutto tondo collocate su di uno sfondo tridimensionale. In quasi tutte queste opere compaionoelementi di regionalizzazione dell’immagine tradizionale della Natività, fra i quali spiccano gli strumenti musicalidei pastori, le fattezze dei loro volti e dei loro abiti.In merito agli strumenti presenti nel presepio di Leonessa, oc-corre menzionare una zampogna a due flauti impiantati su di un unico blocco, portata in braccio ad un pastore. Sitratta della prima raffigurazione in un presepe di tale strumento, caratteristico di alcune regioni centromeridiona-li (Lazio, Campania, Molise ecc), che viene ancora usato ad Amatrice ed in altri paesi dell’alta valle del Tronto. Perciò che riguarda gliabiti e i volti va det-to che essi sono im-prontati al più rigo-roso verismo, ri-spettando in pieno itratti somatici dellegenti rurali Umbro-Abruzzesi. I rudi li-neamenti di questipastori e popolani(ma anche di S. Giu-seppe) ed il loro ab-bigliamento trasan-dato, sembrano op-porsi radicalmente aquelli raffinati e so-bri dei Magi (terzoripiano) e degli altripersonaggi a cavallodella loro carovana(secondo ripiano).Questo presepe puòessere considerato ilprototipo anche perquanto riguarda larappresentazione difigure femminiliche, nelle altre ope-re, si andranno af-fermando nei primi decenni del XVI secolo. Ci riferiamo alla donna con la bambina che porta un cesto di piccionied affettuosamente chiamata dai leonessani “Popa có li picciuni”. L’opera ha subito diversi restauri tra cui quellidel 1916, e del 1954 e di recente. Attualmente il numero dei personaggi è di 37 figure più il bue e l’asinello.I leonessani sono sempre stati visceralmente attaccati al loro presepe; ne sono testimonianza l’uso di termini dia-lettali per designare le figure (Popa có li picciuni, Meone che guarda la stella, Giovacchinu lu ciaramellaru: per tut-te le altre si usa il generico maggiu al singolare – che in dialetto si dice di persona ottusa, impacciata nei movimen-ti – e maggi al plurale) e l’episodio dell’esposizione dell’opera alla biennale di Venezia, durante la fine del venten-nio fascista. Il Priore della Confraternita, Vincenzo Conti, i confratelli e il popolo tutto si opposero energicamenteal trasferimento temporaneo (oggi possiamo dire a ragione, considerato l’imminenza degli eventi bellici) temendoche potesse diventare definitivo e dannoso per l’opera. Un ruolo fondamentale nella vicenda ebbero le donne leo-nessane, in particolare le più anziane che per alcuni giorni occuparono il sagrato della chiesa impedendo a chiun-que di entrare. La situazione precipitò ulteriormente con l’avvicinarsi del giorno del prelievo del presepe, quandoalcuni inservienti tentarono di entrare all’interno del tempio. Il popolo, allora, allertato dal suono delle campane adistesa, accorse numeroso a dar manforte alle donne che ricacciarono indietro i malcapitati. A nulla valsero i ten-tativi di mediazione delle autorità locali né quelli più energici della polizia fatta venire da Rieti: “Qui non s’entra”- gridarono le donne leonessane. Gli organizzatori del trasporto e la polizia, visto la malaparata, furono costrettiad abbandonare di gran lena il paese, e il presepio fu salvo.

55

IL Pr ESEPE

nariamente identificato con San Biagio - del qualeper altro nella chiesa si venerava la reliquia del dito.Alcuni studi recenti hanno però messo in discussionel’attribuzione suddetta, basandosi su considerazionidesunte dall’iconografia tradizionale del Santo di Se-baste (manca la statua leonessana della barba e delpettine strumento del martirio) e d’ordine stilistico.Si è così avanzata l’ipotesi che la statua raffiguri ilbeato Biagio da Leonessa (1300-1378) minore con-ventuale, Vescovo di Rieti e che sia di scuola Umbro-Senese.10 La scultura, di autore ignoto, fu realizzatautilizzando un unico tronco di legno di ulivo. La pia-neta argentea presenta un armonico panneggio, lacaratteristica forma a campana chiusa che avvolgel’intera figura, in uso tra la fine del XIII e per tutto il

XIV secolo, e una raffinata decorazione policromadalla forma a T, dall’evidente richiamo alla Croce. An-che la forma e le dimensioni della mitra consentono dicollocare cronologicamente la realizzazione della sta-tua tra la fine del XIV e la metà del XV secolo.Nella parte opposta della Cappella è collocata un’altrastatua lignea raffigurante San Sebastiano, di buonafattura, di scuola Umbra, e risalente al XVI secolo. Sulla sinistra, subito dopo l’entrata della cappella, sipuò osservare una bella cantorìa in legno dorato, pre-sumibilmente risalente al XVIII secolo.Su due delle nicchie dell’abside di destra si trovanouna statua lignea raffigurante Sant’Antonio da Pado-va ed un Crocifisso.Interessante è anche l’affresco della parete sinistra difondo raffigurante una Madonna con Bambino, discuola Toscana. Mentre sulla stessa parete, posta al-l’inizio della navata, si può ammirare la tela che face-va parte dell’altare Mongalli, raffigurante la Crocifis-sione con ai piedi della croce la Maddalena, la Madon-na, San Giovanni e San Bonaventura (XVI secolo).Sulla parete laterale si trova un pregevole affrescoraffigurante la SS. Trinità, attribuibile a Domenicoda Leonessa (XV secolo). Poco più avanti sulla stessaparete è collocata la tela dell’altare Antonelli raffigu-rante la Vergine con Bambino tra i SS. Liberatore edElena (XVI secolo).Segue, l’antico portale in pietra rossa locale dell’anti-ca chiesa di Santa Maria extra Moenia, del Sesto diTorre, crollata con il terremoto del 1703. Sull’archi-trave è scolpita un’iscrizione (ANNO DOMINIMCCCLII. TEMPORE DOMINI CLEMENTIS PP. VI.INDICTIONE V. MENSE IUNII) con la data di co-struzione della chiesa, 1352, sotto il pontificato diClemente VI. Al centro del sopraliminare del portaletroneggia un’arcaica Madonna in pietra bianca, pur-troppo acefala, con il Bambino e Angeli, con ai latidue figure oranti e decorazioni floreali stilizzate.Sul piatto dell’arco sono scolpite due figure a basso-rilievo, poste poco al di sopra di due torri, simbolodel Sesto di Torre: a sinistra Santa Margherita e undrago alato, a destra Santa Caterina d’Alessandria.Sul medaglione collocato al centro dell’arco è scolpi-to il Cristo Pantocrator.Dopo questo bel portale s’apre la barocca “Cappelladel Crocefisso” (prima metà del XVIII secolo), conl’omonimo altare sul quale spicca uno stupendo Cro-cifisso ligneo del XVI secolo, di scuola Umbra. Secon-do un’antica tradizione si tratterebbe del Cristo cheavrebbe parlato al beato Corrado (d’Offida o di Asco-li), compagno di San Francesco. Sulle pareti della Cappella sono collocate due granditele del pittore reatino, d’origine leonessana, Giusep-pe Viscardi: una flagellazione di Cristo ed una salitaal Calvario (1775-1776). Attribuibile allo stesso auto-re è il ritratto di San Giuseppe da Leonessa posto sultimpano dell’altare.

58

Sopra: statua lignea di un Santo Vescovo XIV - XV sec.Pagina seguente: cappella del Crocifisso XVIII sec.

Al centro della Cappella è collocata laBara di legno nella quale viene depo-sto il Cristo il Venerdì Santo perl’adorazione e per la suggestiva ViaCrucis notturna.Nella nicchia dell’abside dello stessolato è posta una statua lignea raffigu-rante San Franscesco d’Assisi (XVI-XVII secolo).Da visitare è anche la sagrestia siaper alcuni belli affreschi, sia perchévi si trova murata la lapide di quelloche presumibilmente fu il primomonte di Pietà italiano eretto a Leo-nessa intorno al 1446.

60

Si tratta di un moto penitenziale sviluppatosi nel corso del 1399, secondo alcune fonti, in Provenza, secon-do altre in Inghilterra, in Scozia o in Spagna, in occasione dell’anno Santo del 1400. In Italia si diffuse dap-prima in Liguria (nel luglio del 1399) e da qui in Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria. Propriodall’Umbria meridionale fu propalato a Leonessa e nel Lazio. Era un movimento popolare nel senso più am-pio del termine: trasversale a tutti i ceti sociali ed aperto anche a donne e bambini. Non si trattava di unmoto itinerante, nel vero senso della parola, in quanto gli adepti, una volta concluso il periodo di nove gior-ni previsto dalla devozione, e dopo averne diffuse le modalità nei vari paesi che riuscivano a raggiungere,tornavano alle loro case. Non erano tanto i devoti a spostarsi, quanto la devozione ad essere trasmessa at-traverso contatti con le Fraternite esistenti e una serie di processioni locali collegate tra loro. La devozio-ne aveva come mito di fondazione la famosa leggenda dei Tre Pani, secondo la quale Cristo - travestito dapellegrino - apparve ad un contadino a cui chiese del pane. Avendolo mangiato tutto, il contadino risposedi non averne; Cristo allora lo invitò a guardare dentro la bisaccia, nella quale - l’uomo stupito - trovò trepani. Il Pellegrino, allora, ordinò che i pani fossero bagnati in una fonte, cosa che il contadino stava per fa-re, ma presso la fonte trovò la Vergine che glielo impedì. L’uomo tornò dal Pellegrino che lo rimandò dinuovo alla fonte con l’incarico di donare due dei tre pani alla Madre e di gettarne nell’acqua solo uno. Ciòfatto, l’acqua si trasformò in sangue e l’uomo terrorizzato cadde a terra svenuto. La Vergine lo rianimò egli rivelò il significato di quel miracoloso evento, dandogli il seguente messaggio: «Cristo ha condannatol’umanità e l’unico rimedio per salvarsi è indossare l’abito bianco, pellegrinare per nove giorni, gridando“Pace e Misericordia”, fare pace e penitenza per non essere condannati a morte». In un’altra versione del-la leggenda, quella riportata da Ser Luca Dominici, la Madonna specificò anche il tipo di abbigliamento deiBianchi: «Si vestano di un panno di lino bianco a modo testé sono vestita Io, o vestano a modo de Battuti,coperto il capo con croce verniglia in testa le donne, e gli uomini con croce vermiglia su la spalla, e bat-tinsi, e battendosi vadano». Di qui deriva la denominazione dei “Bianchi” data al movimento.

Sagrestia: Crocifissione con San Francesco eSanta Chiara XV sec.

Il moto dei Bianchi

La chiesa inferiore (XIII secolo)

Si sviluppa per lo più al di sotto delle tre absidi ed èarticolata in due parti divise da un muro: quella di si-nistra, alla quale si accede dal Convento e quella didestra alla quale si accede da una rampa che scendedalla Piazzetta di Santa Croce. La parte più interes-sante è quella di destra (recentemente ripristinatagrazie alla generosità della famiglia Ettorre Domeni-co di Leonessa) che doveva costituire la chiesa origi-naria. Questa è stata individuata nel quarto dei 6 am-bienti, dalla caratteristica volta a crociera costolona-ta, con le pareti e la volta interamente affrescate conmotivi floreali e figure di Santi, riportati in luce rimo-vendo la coltre di fuliggine che vi si era formata so-pra, in quanto il locale era stato usato dai calderai.Anche questo ambiente presenta il caratteristicoorientamento Est-Ovest con l’abside e l’altare – di cuiè stato ritrovato il basamento - esposti tradizional-mente sul lato Est. Nell’arco che divide questo am-biente dal successivo vi sono degli affreschi raffigu-ranti tre Confratelli (probabilmente della Fraternitadi Santa Croce), inginocchiati, nell’atto della autofla-gellazione, accanto ad una croce rossa con i simbolidella Passione e i flagelli.11 Un Battiente reca in manol’incipit della lauda “Misericordia Virgo Pia”, moltodiffusa tra i Bianchi dell’Umbria. Ma l’ambiente che ha rivelato la sorpresa più interes-sante è quello ubicato al di sotto della Cappella delPresepe, anticamente adibito ad Oratorio della Con-fraternita di Santa Croce. Qui, al di là del muro di so-stegno della volta, è stato rinvenuto uno straordina-rio ciclo d’affreschi del XV secolo. Sulla parete di si-nistra è raffigurato l’inferno, con tratti che rimanda-no alla giottesca Cappella degli Scrovegni di Padova.Tra le varie figure dei dannati colpisce, per il valoredell’insegnamento etico e civico che vuole trasmette-re, la pena dello spiedo inferta “allo traditore de loComune”, come si legge dal cartiglio posto sopra ildannato.All’inizio della parete Sud è rappresentato il miraco-lo dell’apparizione della Madonna dell’u livo adun contadinello, avvenuto ad Assisi nel 1399, duran-te il passaggio e la diffusione del movimento peniten-ziale dei Bianchi. Nel grande affresco la Vergine è raf-figurata con il manto bianco sul quale sono effigiatedelle ostie e delle croci rosse, simbolo della devozio-ne dei Bianchi. La Madonna è rappresentata nell’attodi parlare al giovinetto inginocchiato, il quale ascoltail messaggio racchiuso in una didascalia, posta tra idue personaggi, che recita:

Vane tosto e no tardarealla citade anuntiare

tosto debano ripigiarel’abito che ao lassato.12

(La Madonna ingiunge al ragazzo di riferire agli as-

sisiani di riindossare l’abito Bianco e gridare “Mise-ricordia”, poiché non erano stati sufficienti i 9 pre-cedenti giorni di penitenza, per ottenere il perdonodi Cristo).Accanto all’affresco della Madonna dell’ulivo si tro-vano rappresentate, su due registri, undici scene del-la Passione e la Resurrezione di Cristo. Quelle del re-gistro superiore sono in parte andate perdute per lacostruzione del pavimento della cappella del prese-pe; mentre quelle del registro inferiore sono ben con-servate e vi sono raffigurate le drammatiche scenedella Crocifissione, della schiavellazione, della depo-sizione nel sepolcro, improntate ad un crudo reali-smo, rinvenibile nei volti deformati dal dolore e neicopiosi effluvi di sangue che sgorgano dal corpo diGesù, come se il pittore avesse voluto sottolineare la“fisicità” della Passione. Forse perché questi affreschidovevano svolgere una funzione pedagogica nei ri-guardi dei disciplinanti della Confraternita di SantaCroce, che in questo ambiente si ritiravano per pre-gare e purificarsi, come si può desumere dalle traccedi fumo lasciate dalle candele collocate su un altari-no situato proprio sotto la scena della Crocifissione.Il ciclo si conclude con la resurrezione e l’apparizio-ne alla Maddalena.Di più pregevole fattura sono gli affreschi della pare-te Ovest raffiguranti il Paradiso. In questi dipintisono rappresentati diversi personaggi, tra cui: unaclarissa, che guarda verso il pubblico, San Francesco,San Domenico e Sant’Agostino. Accanto a questiSanti si trovano tre personaggi coronati d’alloro chepotrebbero essere identificati con Dante, Petrarca e

61

S: Francesco - chiesa inferiore: Madonna dell’Ulivo XV sec.

Boccaccio. Tutti sono volti verso la scena successivanella quale si vedono due figure che guardano dalledue monofore di una torre, e un angelo che accogliesulla porta aurea un’anima, tra le note di altri ange-li. La rappresentazione del Paradiso come città for-tificata richiama alla mente il De Civitate Dei diSant’Agostino in cui il Santo di Tagaste contrappo-ne alla pagana Roma, la Gerusalemme Celeste ca-

ratterizzata in queste raffigurazioni dagli alberiorientali.13

Gli affreschi del Paradiso e dell’Inferno sono stati at-tribuiti dalla Dottoressa Elisabeth Bliersbach,l’esperta che ne ha curato il restauro, al Maestro Dor-mitio Virginis di Terni. Per gli altri, noi non escludiamo un coinvolgimentodel pittore locale Jacopo da Leonessa.

Come già accennato sopra, la costruzione del conven-to deve collocarsi tra il XIII e XIV secolo, per interes-samento degli Angioini, come sembra provare la pre-senza a Leonessa di un francescano, Padre FrancescoTomassuccio, morto nel 1283 e di due suoi altri con-fratelli deceduti nel 1285.14 Una conferma in tal sensoci viene anche dal Carbonara che ipotizza la costru-zione del loggiato del chiostro tra il XIV-XV sulla ba-se di confronti con l’analogo loggiato di Santa Mariadelle Grazie a Teramo e di San Francesco a Fontec-chio (1488). La struttura nel corso dei secoli ha subito diverse mo-difiche, tra cui quelle dovute alla costruzione dellanavata di sinistra della chiesa e alla realizzazione del-l’appartamento ducale, ottenuto negli ambienti del-

l’ala est, nel quale risedette nei suoi due soggiorni aLeonessa (1543, maggio-settembre 1569) Margheritad’Austria, realizzato verso la metà del XVI secolo. Inoccasione di questi lavori fu costruita anche la scalacosiddetta “Regia” che immetteva agli appartamentisuddetti, appartamenti che in parte crollarono con ilterremoto del 1703. Agli inizi del XIX secolo il con-vento era composto da un appartamento priorale, exducale, da alcuni dormitori per i frati, da una biblio-teca, da un refettorio (l’attuale Museo), da una sagre-stia interna dove venivano conservate le reliquie, dal-le cucine e da vari altri locali.15

Per ordine di Gioacchino Murat nel 1809 il conventofu soppresso, con il relativo passaggio della proprie-tà al Comune che lo adibì negli anni seguenti a diver-

si usi: caserma, scuole, carceri, deposito, salacinematografica e teatrino (il refettorio).Dopo i gravi danni del terremoto del 1979 èstato restaurato negli anni ‘90, con il ripristinodel loggiato a due piani con colonnine abbina-te, e dei diversi ambienti. Le lunette del piano inferiore del chiostro pre-sentano un ciclo di affreschi del XVII secolo, diignoto autore locale, raffiguranti alcuni episodidella vita di San Francesco: la nascita, il batte-simo, il dono del mantello al povero, il Sognopremonitore, il Sogno del Crocifisso di San Da-miano, la conferma della regola. Negli spazi in-termedi sono dipinti due ritratti di francescani:uno andato perduto, l’altro raffigurante il Bea-to Domenico da Leonessa (1420-1497).Su questo ciclo di affreschi è ancora leggibile ilnome dei committenti, tutti appartenenti adalcune delle più prestigiose famiglie leonessa-ne: Manlio Mongalli (1573-1633), Antonio Po-pulini (1587), Alendro Dionisi; Alessandro An-tonelli. Attualmente il complesso è sede delMuseo civico di Leonessa e vi si organizzanomostre, convegni, concerti e spettacoli vari,nonché una cena rinascimentale nel mese diagosto.

62

Chiostro del convento di S. Francesco XIV - XV sec.

Il convento XIII - XIV secolo

Intitolata agli originari Patroni della città, in anticoera la chiesa più importante di Leonessa, anche dalpunto di vista civile: in essa infatti avveniva, fino atutto il XVII secolo, il solenne giuramento dei Priori- all’atto del loro insediamento - nelle mani dell’aba-te degli Agostiniani. Come per la chiesa e il convento di San Francesco,anche in questo caso il complesso fu realizzato a piùriprese e nei secoli ha subito diversi restauri e rifaci-menti a causa soprattutto dei danni dei terremoti, trai quali il più dannoso fu quello del 1703. L’edificio è costituito da due chiese sovrapposte,orientate con l’abside a Sud-Est, e tra loro comuni-canti attraverso un’ampia scalinata ubicata al centrodella nave superiore. La chiesa inferiore, intitolata aSanta Maria delle Grazie, era presumibilmente costi-tuita da un unico ambiente con volte a crociera e conun proprio ingresso indipen-dente. Essa, considerando lanatura del terreno (più scosce-so in questo punto), sembre-rebbe essere stata edificata perfornire una sorta basamento alsovrastante presbiterio.Stando però alla tradizione edad alcuni documenti, la chie-sa inferiore sembra essere dimolto precedente a quella su-periore, se ad essa è riferita lacitazione “Plebem Sanctae Ma-riae in Cornu”, presente nellaBolla di Anastasio IV emessanel 1153 a favore della chiesareatina.16

Attiguo alla chiesa inferiore sitrova l’antico Oratorio dellaConfraternita “Pietà e Grazie”(fondata nel XV secolo), pres-so il quale nel 1594 fu eretto unmonte di pietà, dotato daglistessi Confratelli, con BollaPontificia di Nicolò V.La chiesa superiore origina-riamente doveva essere o a trenavate con sei campate per la-to, o a nave unica con cappellelaterali comunicanti tra loro(modello simile alle tre nava-

te), testimoniate dalla mezza cappella con volta a cro-ciera costolonata collocata in prossimità del transet-to, riportata in luce durante i lavori eseguiti nel 1960dalla Soprintendenza ai Monumenti di Roma. L’im-pianto era concluso da due cappelle pentagonali con-trapposte, più grandi e collocate nelle testate dellopseudotransetto, e da una grande absideGli stessi lavori hanno riportato in luce anche alcuniaffreschi del XIV-XV secolo (tra cui i più conservatiSan Nicola da Bari e San Nicola da Tolentino), che sitrovavano sulle pareti della cosiddetta “Cappella Go-tica”. Queste recenti acquisizioni ci consentono didatare la costruzione della prima parte della chiesasuperiore (chiesa più pseudotransetto, ma ancorasenza facciata) tra il XIII e il XIV secolo. (Per com-pletezza di informazione occorre aggiungere che nel-la chiesa fino al 1703 si conservava una statua di S.

63

Chiesa di S. Pietro, facciata XV sec.

CHIESA E CONVENTO DI SAN PIETRO DEGLI AGOSTINIANI, XIII-XV secolo

Caterina risalente al 1238. Il che lascerebbe presu-mere l’esistenza della chiesa anteriormente alla fon-dazione di Leonessa). Mentre tra il XIV e il XV seco-lo è da collocare la realizzazione della facciata (com-preso il campanile), a conclusione dei lavori, che disolito prendevano avvio dal coro. La data 1467, scol-pita sull’architrave del portale in lettere gotiche, in-sieme allo stemma di Leonessa, non va riferita allarealizzazione della facciata, bensì alla goticheggiantestruttura a “carena di nave”.Nei primi anni del XVII secolo la chiesa fu decoratacon una serie di nuovi altari e, sul finire del secolo,furono restaurate le parti alte della facciata con il ro-soncino, e fu costruita la scarpa sotto al campanile. Il terremoto del 1703 lesionò gravemente le navatelaterali e provocò il crollo della navata centrale e del-l’abside. I lavori di restauro si protrassero per diver-si anni e comportarono la demolizione dell’abside edelle due navate laterali, sostituite con otto cappelle,conferendo alla chiesa la tipica facies baroccheggian-te che ancora presenta. La volta in muratura fu sosti-tuita da una in legno a finti cassettoni dipinti. Nel1911 nel corso di alcuni nuovi lavori di restauro lavolta a cassettoni fu sostituita con quella attuale acapriata. Altri lavori di restauro e consolidamento sono statieseguiti dopo i terremoti del 1979 e del 1997.La facciata, in stile romanico, in conci di pietra ros-

sa locale, a coronamento orizzontale, non è allineatacon la navata, ma risulta ruotata di 10 gradi - proba-bilmente per esigenze estetiche relative al contestoarchitettonico della piazza - e non copre le cappelledella parte destra. Particolare che sta ad indicare“inequivocabilmente che si tratta di un più tardocompletamento, adattato forse ad una situazione ur-banistica evolutasi profondamente nel tempo.”17

Il Portale, con arco a tutto sesto, in stile gotico-ro-manico abruzzese, in pietra rossa locale, presentadelle colonnine alternate lisce e tortili con capitellicorinzi. La lunetta è affrescata con alcuni simboliagostiniani: la mitria, la Cintura con un libro, il baco-lo o pastorale Vescovile.L’archivolto, riprendendo un tema tradizionale del-l’ornamentazione del portale Romanico, è finemen-te decorato con vitigni e puttini nudi intenti alla ven-demmia (la vite nel nuovo Testamento simboleggiail Cristo: “Io sono la vite”, dice il Salvatore) ed è sor-montato da una postica struttura a chiglia di nave(simile a quelle dei portali delle chiese abruzzesi diSant’Agostino di Atri e di San Massimo, di Isola delGran Sasso) su cui poggia un’arcaica statua di Cristoin pietra bianca locale (XV secolo); mentre sui duepinnacoli laterali sono collocate, a sinistra la statuadi San Pietro con le chiavi in mano e a destra quelladi San Paolo con un libro in mano. La facciata e il portale sono stati recentemente re-staurati e puliti tornando così all’antico splendore.Il campanile è in elastica pietra sponga locale epresenta delle grandi bifore trilobate e finestroni se-stoacuti. L’alta cuspide ottagonale è decorata conmotivi a crochetes, ampiamente diffusi nel trecentoitaliano (si veda la chiesa di Santa Giuliana a Peru-gia) che si ispirano a moduli decorativi francesi delXIII secolo.Queste influenze transalpine trovano conferma in-nanzitutto nelle origini angioine di Gonessa e nellacontinua presenza di Capitani francesi nella città.

L’internoLa chiesa è a navata unica barocca con la volta a ca-priata e con una serie di cinque cappelle laterali, piùle ultime due, medievali, più profonde con le volte acrociera. Al centro della navata un’ampia scalinataimmette nella chiesa inferiore. Diverse e molto importanti sono le opere d’arte pre-senti sia nella chiesa superiore che in quella inferio-re. Nella prima, domina sull’altare maggiore l’impo-nente (m 4,55x2,70), quanto suggestiva, Pala del-l’Assunta (1543) di Giacomo Santori da Giu-liana (Palermo), detto Jacopo Siculo, nato in Siciliasul finire del XV secolo e morto a Rieti nel 1544.Il dipinto, olio su tavola centinata, raffigura la Vergi-ne assisa tra le nubi, contorniata da angeli festanti edaccolta da Dio a braccia aperte. Lo sguardo della Ma-donna è rivolto in basso, quasi ad accompagnare la

64

Chiesa di S. Pietro - Portale XV sec.

mano che lascia cadere verso l’Apostolo Tommaso,inginocchiato sopra un’altura, una cintura (episodiotratto dall’apocrifo del “Transito della Beata VergineMaria”) che diverrà poi uno dei simboli dell’OrdineAgostiniano.L’ampio paesaggio è illuminato dalla chiara luce delmattino ed è evidente l’allusione agli incontaminatipaesaggi della “Verde Umbria”, nelle cui chiese il pit-tore lavorò molto.In basso, al centro della scena, spicca il sarcofagovuoto della Vergine, ai lati del quale sono raffiguratiSan Pietro, in piedi con le chiavi, e San Paolo, anchelui come Pietro con lo sguardo rivolto verso il cielo eche si appoggia con le mani sulla grande spada, sim-bolo del suo martirio. Alla destra di Pietro – attornia-to da quattro apostoli - sono effigiati in ginocchio, inatteggiamento estatico, Sant’Agostino, con ai piedi ilpastorale e la mitria, mentre prega con le mani giun-te, vestito con un piviale dorato riccamente ricamatonello stolone e Santa Caterina d’Alessandria, con laruota del martirio.Nella predella della tavola sono dipinti l’Annuncia-zione, l’incontro di Sant’Agostino con il fanciullo, laliberazione di San Pietro dal carcere, la deposizionedi Cristo e la conversione di San Paolo.L’opera presenta evidenti suggestioni raffaellescherinvenibili, oltre che nella duplice ambientazionedella scena (terrestre e celeste) e nella studiata sim-metria della composizione, anche nella disposizionedei tre Apostoli (Pietro, Giovanni, Paolo) e nel pan-neggio dei quattro angeli librati in alto, facenti coro-na all’Assunta; tutti elementi che richiamano la Paladegli Oddi commissionate a Raffaello nel 1502 per lachiesa di San Francesco a Perugia e ora nella Pinaco-teca Vaticana.La prima attribuzione della Pala a Jacopo Siculo si de-ve all’erudito notaio leonessano Durante Dorio (Leo-nessa 1571, Foligno 1646), già nel lontano XVII seco-lo, come si può leggere nel suo scritto riguardante “Levite de’ più eccellenti architetti, pittori, scultori italia-ni, da Cimabue insino ai tempi nostri di Giorgio Vasa-ri”. Il Dorio afferma: «Di Giacomo Siciliano si vedeuna cappella in tavola nella chiesa di S. Pietro di Leo-nessa dove stanno li Frati Eremitani di S. Agostino,dove si rappresenta l’assunta in cielo». Prosegue poi la descrizione dell’opera in tutti i suoiparticolari, tra cui quello della consegna della cintura. L’attribuzione ufficiale dell’opera a Jacopo Siculo ri-sale sol al 1957, allorché in occasione di un restaurodella pala fu riportato in luce un cartellino, al qualeera stato raschiata l’iscrizione, che invece fu sicura-mente vista dal Dorio che poté così tramandarci ilnome dell’artista siciliano. Precedentemente il dipin-to era stato attribuito al Perugino o al Muziano.Un’ulteriore conferma ci viene dall’analisi compara-tiva con un’altra tavola del Siculo, l’Incoronazionedella Vergine, eseguita nel 1541 per la chiesa dell’An-

nunziata di Norcia. Ciò ci consente anche di datarel’opera di Leonessa al 1543, poiché presenta un piùsobrio equilibrio di masse e colori, frutto della fasematura dell’artista, che morirà l’anno seguente.Molto importante, sia dal punto di vista artistico chestorico-culturale, è la tela della Vergine con ilBambino tra i SS. r occo e Sebastiano (1605),collocata nella prima cappella di sinistra, dono deimastri Lombardi operanti a Leonessa già dalla finedel XV secolo e soprattutto nel XVI. Sotto il cagnoli-no di San Rocco figura l’iscrizione: “Ex devotionelongobardorum MDCV”. Il quadro presenta nell’im-pianto generale suggestioni Carraccesche, ma le figu-re sono di fattura stentata.Nella seconda cappella dello stesso lato si può ammi-rare una pregevole “Sacra f amiglia” (XVII secolo)di scuola Emiliana, attribuita a Simone Pignone.Nella tela sono raffigurati la Vergine con il Bambinotra i SS Gioacchino, Giuseppe, Anna. Quello che piùcolpisce è il forte contrasto tra ombre e luci a cui siaccompagnano la sobrietà del colore e la delicatezzaplastica dei lineamenti e del paesaggio.Nella cappella seguente si trova una delle più belle edimportanti opere d’arte di Leonessa: la Verginecon Bambino tra i SS. Agostino, Caterina d’Ales-sandria, Carlo Borromeo, firmata da GiovanniLanfranco da Parma (Parma 1582, Roma 1647).La tela fu dipinta dal pittore emiliano forse tra il 1616e il 1617, come lascia supporre sia la data incompleta

65

Chiesa di S. Pietro - Pala dell’Assunta di Jacopo Siculo XVI sec.

66

“161” scritta, unitamente alla firma, su un cartiglio inbasso a sinistra, sia la presenza dell’artista a Roma inquegli anni. Molto probabilmente fu commissionatadai Farnese di Parma che in quel periodo avevanoLeonessa ancora in feudo. Solo così si può spiegare lapresenza del dipinto in un centro ai margini dellegrandi committenze. Diversi sono gli influssi correggeschi presenti in que-sta tela, ravvisabili nel Bambino Gesù benedicenteSan Carlo e soprattutto nella figura di Sant’Agostino,nella quale il pittore sembra direttamente richiamar-si al San Geminiano della pala del Duomo Modena,del Correggio. Da quest’opera il Lanfranco ha ripresoanche la composizione fitta e la prossimità delle duesfere spaziali (quella celeste e quella terrestre), chesembrano quasi compenetrarsi.Per quanto attiene la struttura compositiva, l'artistaha separato i tre santi, collocandoli asimmetricamen-te ai lati della zona terrestre: due a sinistra (San Car-lo e Santa Caterina) e uno a destra (Sant’Agostino),lasciando così un vuoto nel mezzo che sfrutta per in-trodurvi la veduta di un paesaggio in lontananza, aintensificare il senso dello spazio.18

La Santa effigiata nella tela, in ginocchio con losguardo rivolto verso l’alto, avvolta in un ampio e de-

licatissimo panneggio dalle pieghe finissime e morbi-damente ondulate, è stata recentemente identificatadai critici con Santa Caterina d’Alessandria, per lapresenza della spada (versione colta del martirio, ve-di l’opera del Carvaggio) e di un frammento dellaruota della sua passio. Il popolo di Leonessa, invece, per svariati anni l’haidentificata con Santa Eurosia, forse per la vamparossastra del bagliore dell’orizzonte dipinta sullosfondo, scambiata per fornace. Ecco spiegato il moti-vo per cui a questa Santa spagnola - un personaggiodai contorni leggendari - si rivolgevano “li cargaroli”leonessani (i costruttori delle fornaci per la produzio-ne della calce, le “Cargare”), impetrando una buonacottura dei sassi, senza incidenti. Prima di dare fuo-co alla “cargara” si recavano nella chiesa di San Pie-tro a venerare la presunta Santa Eurosia della tela delLanfranco e chiedevano al Priore della Confraternitaun’immagine della Santa da gettare sulla fornace ascopo propiziatorio.Sant’Eurosia godeva - e gode tuttora – di una parti-colare venerazione presso gli abitanti di Villa Pulcini(di cui è Patrona) che la invocavano, con diversiscongiuri, contro i temporali e i fulmini.19

La tela del Lanfranco dovette essere particolarmenteapprezzata dai leonessani, tanto che la dotarono del-la ricca cornice lignea in cui fu incastonata, e ne fece-ro eseguire subito una copia di minori proporzioni,

Chiesa di S. Pietro: Vergine con il Battista e laMaddalena XVI sec. attribuita all’Orbetto

Chiesa di S. Pietro: Vergine con il Bambino tra i SS. Agostino,Caterina d’Alessandria, Carlo Borromeo, XVII sec.Giovanni Lanfranco da Parma

più sbiadita nei colori ma perfetta nei rapporti, cheora si trova nel museo della chiesa di San Francesco.Nel 1956 l’originale tela del Lanfranco fu ripulita erestaurata. Ad analogo trattamento fu sottoposta nel1981 ad opera del restauratore Antonio Liberti. Inquesta occasione fu rimosso l’angelo che sorreggevala Vergine a sinistra, vicinissimo alla testa di SanCarlo, in quanto posticcio.Una copia seicentesca del dipinto, delle stesse pro-porzioni ma di fattura modesta, è conservata anchenei depositi della Pinacoteca Vaticana.Nel 2002 la tela è stata esposta a Roma in un’impor-tante mostra dedicata al pittore parmense.Nella quarta cappella si trova una tela raffiguranteSan Tommaso di Villanova (XVII secolo).Nella cappella seguente vi è una copia del celebre di-pinto del Guercino, Eremi Cultores: i SS. GiovanniBattista, Benedetto e Girolamo (XVII secolo).Nella parete di destra dell’abside quadrangolare ècollocata una tela raffigurante una Madonna SalusPopuli r omani, tra i SS. Nicola da Bari, Carlo Bor-romeo e Luigi Gonzaca, già pala dell’altare maggioredella chiesa di San Nicola di Poggio, commissionatadai missionari Antonio Baldinucci, Antonio Mavilli eGiovanni Maragoni per la Venerabile Confraternitadegli Artisti, nel 1704. Sulla parete di destra della cappella gotica, dalla ca-ratteristica volta a crociera, vi sono alcuni affreschi(XIV-XV secolo) raffiguranti San Pietro Apostolo,San Ludovico da Tolosa (re di Francia), figlio di Car-lo II d’Angiò, San Nicola da Bari e San Nicola da To-lentino. Nello stesso ambiente è murato un altare ri-nascimentale in terracotta.Nella prima cappella di destra si trova una pregevoletela attribuita all’o rbetto raffigurante la Verginecon il Battista e la Maddalena (XVI secolo).Segue l’altare dell’Università di Valle Leonina conuna bella tela attribuibile ad Ercole Orfei da Fano, ef-figiante la Vergine con il Bambino tra i SS. Agostino,Egidio e Liberatore (fine XVI secolo).Nella terza cappella si trova una bella Annunciazionedel XVII secolo a cui segue una tela raffiguranteSant’o mobono (XIX secolo), patrono dei Sarti.Nella cappella successiva sono collocati l’altare dellaMadonna della Consolazione (XVIII secolo) e unasuggestiva tela di ignoto pittore locale raffigurante laVergine Incinta (XVII secolo). L’ignoto artistasembra essersi ampiamente ispirato all’affresco diBartolomeo Cesi che si trova nella chiesa della Ma-donna di Miramonte a Bologna, databile tra il 1595 eil 1610. Ma il prototipo è la famosa quanto aristocra-tica Madonna del Parto di Piero della Francesca.La tela di Leonessa, pur qualitativamente inferiore, èdi pregevole fattura: nella figura della Vergine l’auto-re è riuscito perfettamente a coniugare delicatezza eregalità, esaltate dalla luminescente aura gialla cheevidenzia il candore del velo.

Il dipinto presenta anche un alto valore teologico co-stituito dalla raffigurazione della Madonna intenta ameditare il Verbo (Vangelo) che tiene in mano e ilVerbo che porta in grembo e dall’invito a fare altret-tanto al passeg-gero che con-templi la tela,come si leggenell’iscrizione,in latino, nelcartiglio ai suoipiedi (che tradu-ciamo):

“O Passeggero

tu contempli

la Vergine Ma-

ria che porta in

grembo

il Verbo e medi-

ta il Verbo”.

La tela, forse,originariamenteera collocatanella chiesa diSan Carlo Bor-romeo, come la-scerebbe pre-supporre l’esi-stenza in questachiesa di un al-tare dedicato al-la “Beatissima Virginis pregnantis”, menzionato nel-la visita pastorale di Mons. Facchinetti del 1659.Da segnalare, infine, la presenza di un imponente or-gano del XVIII secolo, collocato nella cantorìa sovra-stante la porta di ingresso alla chiesa.Tra le opere d’arte della chiesa inferiore una menzio-ne a parte meritano una cinquecentesca maestosaPietà, di scuola abruzzese, ottima copia in legno (ca-stagno) policromo dell’originale michelangiolesco euna suggestiva Deposizione, in terracotta policro-ma (XVI secolo). Quest’opera è composta da unadozzina di personaggi, dai tratti tipicamente popola-ri: incarnati rosa denso, lineamenti marcati, chiomericciute o a grumi densi o a folte e pesanti ondulazio-ni. Al centro della composizione spicca la massicciacroce dalla quale Cristo viene lentamente e pietosa-mente calato da Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo: ilprimo indossa un turbante scuro e un giubbone tur-chino e si regge al patibolo con il braccio sinistro,mentre con il destro tiene un capo dello stretto e ro-busto panno avvolto intorno al torace del Cristo; ilsecondo, con un cercine attorcigliato intorno alla fol-

67

Chiesa di S. Pietro -Madonna IncintaXVII sec. (Anonimo)

ta chioma, sorregge da sinistra il corpo esangue delCrocifisso, appoggiando la guancia e la sua mano sulviso e sul corpo del Cristo. Ai piedi della croce siedela Maddalena, vestita a lutto, con la testa tristementechina, mentre alla sua destra una Pia donna e SanGiovanni Evangelista, in piedi, reggono il lenzuolocon il quale il corpo di Gesù fu collocato nel sepol-cro. Alla sinistra del gruppo centrale (la croce) un’al-tra Pia donna si abbandona al gesto sconsolato di al-largare le braccia, di fianco altre due pie donne sor-reggono la Vergine svenuta: tutte indossano abiti emanti di un cupo turchino.Quest’opera, ricca di patos e di drammatico realismo,è attribuibile a figuli abruzzesi, forse di Montereale.Della stessa scuola è la statua lignea di San Rocco ri-salente allo stesso periodo. Da segnalare sono, inoltre, due belle cantorie unadelle quali conserva un organo dei primi del XVII se-colo, da attribuire al famoso organaro leonessanoLuca Neri, unico esemplare rimasto della scuola “ori-ginaria” leonessana. Attiguo alla chiesa inferiore si trova l’antico o rato-rio della Confraternita Pietà e Grazie, ora adi-bito a sagrestia. La data di realizzazione dell’oratorionon si conosce, ma da un’iscrizione sappiamo che so-vrintendette ai lavori un mastro Lombardo “MastroTar..Bian..uni Lombardo”.La volta, restaurata nel 2001, è decorata con affreschivotivi raffiguranti alcuni episodi della vita della Vergi-ne, del nuovo e del Vecchio Testamento. Grandi cor-nici di colore rosso e altre più sottili in giallo, decora-zioni fantastiche di carattere esoterico, fogliami, ela-borate geometrie, figure immaginarie, stemmi di Leo-nessa, inquadrano le scene sacre. Al centro della voltatroneggia l’immagine della Vergine circondata da un

recante la scritta “IO BERNARDINUS DE JDICIBUS– I – VD”: Bernardino Giudici, il Priore della Confra-ternita. Sono effigiati nella volta anche altri nomi diConfratelli con i relativi stemmi di famiglia: Falconi,Antonelli, Garofano, Colandrea, Cicioni.Gli affreschi sono di pregevole fattura sia a livello didecorazione pittorica, sia per la qualità delle sceneraffigurate nei riquadri che presentano elementi affi-ni al Manierismo Romano e alla scuola degli Zuccari.Furono eseguiti, come si legge da un’iscrizione, nel1610, probabilmente dal pittore leonessano Gioac-chino Colantoni, che fu anche uno dei Priori di Leo-nessa, nonché adepto della Confraternita Pietà e Gra-zie, come dimostra la presenza del suo nome in unodei cartigli affrescati.Da notare che il pittore leonessano fu guarito da unagrave malattia agli occhi da San Giuseppe da Leones-sa, per cui è lecito ipotizzare che abbia eseguito gli af-freschi suddetti anche come ex voto.Sulla parete Sud-Est dell’Oratorio si trova l’altaredella Madonna del Soccorso, con una pregevole teladel XVI secolo, di ignoto pittore Umbro. Si tratta diun dipinto votivo fatto eseguire dalla Confraternita.La Vergine è Incoronata da due angeli ed è avvolta inun mantello stellato, chiuso sul petto da un fermaglioa forma di cherubino, che abbraccia quattro devoti inpreghiera. Sul petto di uno di essi è riprodotto in mi-niatura il quadro stesso.

68

69

In alto: Deposizione di Cristo XVI sec.Sotto: San Rocco XVI sec.A destra: Madonna della Pietà XVI sec.A lato: Oratorio della Confraternita Pietà e Grazie,particolare della volta, Adorazione dei Magi, 1610 -Altare dell’Oratorio, Madonna del Soccorso XVI sec.

Annesso alla chiesa era il convento di Sant’Ago-stino. Il primo documento scritto in cui probabil-mente è citato questo monastero risale al 1182 ed ècostituito dalla Bolla con la quale Lucio III confermaal Vescovo di Rieti il possesso delle chiese e dei con-venti della Diocesi reatina, tra cui due conventi “no-viter aedificati” intitolati a Sant’Egidio: uno ubicatonel castello di Ripa di Corno, proprio nei pressi del-l’antica chiesa di Santa Maria (probabilmente la chie-sa inferiore, di cui sopra), l’altro a Vallonina. Da que-sti documenti si evince che gruppi eremitici osser-vanti la Regola di Sant’Agostino erano presenti nel-l’altipiano di Leonessa almeno già da un secolo primadella fondazione della città e della costituzione uffi-ciale dell’Ordine Agostiniano.20

Quanto detto sopra sembra trovare riscontro anchein un’antica tradizione storica locale, secondo la qua-le il monastero fu edificato su un terreno concessodal convento di Vallonina, come starebbe a dimostra-re il fatto che i monaci di quest’ultimo trasferirononel nuovo complesso alcuni beni e suppellettili, non-ché il titolo abbaziale dell’antico insediamento. Insie-me ai monaci anche alcuni abitanti del villaggio diVallonina si trasferirono nel castello di Ripa di Corno

ed eressero un proprio altare nella chiesa di SantaMaria,21 da cui scaturì la mista giurisdizione dellachiesa (vi potevano officiare sia Agostiniani sia il cle-ro secolare), documentata in successive diverse Visi-te Pastorali.Tuttavia, di più certo vi è che nel XIV secolo esiste-vano già la chiesa e il convento chiamati promiscua-mente «Ecclesia S. Petri/Ecclesia S. Agustini» e«Conventus Santi Petri».Dopo la fondazione di Leonessa gli Agostiniani fece-ro del loro convento un potente e ricco centro mona-stico, con possedimenti sparsi nell’alta Sabina: Cit-taducale, Cantalice, Poggio Bustone, Amatrice, Ac-cumuli, Posta e nella stessa Leonessa. A confermadell’importanza del monastero basti dire che nel1423 vi si celebrò il Capitolo Provinciale della valleSpoletina. Da un documento del XVII secolo apprendiamo cheil convento “era formato da un chiostro assai capa-ce con loggia sotto e sopra e con un orto contiguo.Al piano terra vi erano il refettorio, la dispensa, lacucina, la cantina, il granaio, la legnaia, la stanzaper l’olio e la stalla, mentre al piano superiore vierano le 24 stanze, compreso l’appartamento delPriore e la biblioteca. Un corridoio disposto a croceimmetteva nel loggiato.”22 Il numero dei monaci va-riava tra gli otto e i dodici a seconda delle esigenzedella comunità.Nel 1584 l’Università di Leonessa affidò in custodiaal monastero di San Pietro il patrimonio librario rice-vuto in lascito dall’Agostiniano di Leonessa Manfre-do Giudici (m 1567) affinché, secondo le volontà delmonaco, vi si facesse una biblioteca pubblica. Fuquesto un provvedimento fuori dall’ordinario che di-mostra quanto elevato doveva essere il livello cultu-rale e civile della città.Nel 1809 il convento fu soppresso una prima voltacon Regio Decreto di Gioacchino Murat (cognato diNapoleone) ed affidato al Comune che dal 1814 loadibì a diversi usi tra cui prigione e sede della “giusti-zia di pace”.Nel 1820 il monastero tornò agli Agostiniani, ma nel1865, con l’unità d’Italia, lo Stato italiano lo vendetteinsieme agli orti ai fratelli Antonelli di Leonessa per1200 Lire, mentre la chiesa di San Pietro fu affidataall’antica Confraternita “Pietà e Grazie”, che ancorane cura validamente la gestione.Del convento sono rimasti alcuni ambienti adibiti acasa e a teatrino parrocchiale, due chiostri interni, ilsuggestivo panoramico loggiato (XIV-XV secolo),ed altri edifici di proprietà privata, con entrata neipressi di porta Aquilana.

70

Loggiato del convento di Sant’Agostino XIV - XV sec.

Il convento XIII - XIV secolo

Ubicato sul lato sinistro del Corso, venendo daPorta Spoletina, in prossimità di Piazza 7 Aprile,attualmente costituisce il cuore della vita reli-giosa di Leonessa. Nel Santuario, infatti, sonocustodite le venerate spoglie di San Giuseppe daLeonessa (Leonessa 1556, Amatrice 1612), all’in-terno di un imponente, neoclassico, mausoleocollocato posteriormente all’altare centrale.La costruzione dell’edificio sacro - realizzato in stilebarocco - è avvenuta in due periodi differenti. La pri-ma parte (quella che guarda al Corso) fu realizzatadove sorgeva la casa paterna di San Giuseppe – la-sciata alla Confraternita del Salvatore dallo zio e dalfratello del Santo - e quella contigua degli Ercolani,

suoi parenti, già a partire dal 1629, anno in cui fu po-sta la prima pietra dal vicario foraneo, l’abate GiovanBattista Ercolani di Leonessa. Secondo un’antica tra-dizione il Santo stesso apparve, minacciandoli, ad al-cuni suoi conterranei che non volevano erigere lachiesa in quel luogo, poiché era una sua precisa vo-lontà che ivi vi si dovesse “far chiesa oratorio”, comeebbe a scrivere al Superiore del convento dei Cappuc-cini di Leonessa. E ciò fu fatto: il nuovo edificio sacrofu denominato “Oratorio del Suffragio”, sia perchérientrava nelle volontà del Santo, sia in rispetto delledisposizioni Pontificie che vietavano il culto a perso-ne non ancora beatificate o canonizzate (il Santo losarà solo un secolo dopo). Tuttavia, i leonessani subi-

to chiamaronola chiesa “Ora-torio del BeatoG i u s e p p e ” ;tanto fu il lorofervore che lac o s t r u z i o n edella fabbrica,iniziata da Ma-stro GiorgioLombardinocoadiuvato daimuratori PetroLazzaro e An-tonio Caldera-ri, fu comple-tata nel tomodi un anno cir-ca. Ne conse-guirono effettibenefici anchele due Congre-gazioni: delSuffragio e delBeato Giusep-pe - che poi sifusero - aggre-

71

A lato: Facciatadel Santuario XXsec.Pagina seguente:Panorama di Leo-nessa, in primopiano campanilee cupola del San-tuario

SANTUARIO DI SAN GIU SEPPE DA LEO NESSA XVII-XVIII sec.

gate all’oratorio. Ad esse, infatti venne affidato il mon-te frumentario, fondato e dotato, nel 1630, da ManlioMongalli.Nel 1637 furono fatti realizzare da maestranze reatine glistucchi con le quattro colonnine degli altari laterali.La notte del 16 ottobre del 1639 alcuni impavidi leo-

nessani trafugarono il corpo del Santo custodito adAmatrice e lo nascosero in una nicchia ricavata al disotto del pavimento, sul lato sinistro dell’Oratorio dapoco eretto (oggi è visibile).Il terremoto del 1703 non provocò danni al Santua-rio, che anzi negli anni successivi fu oggetto di ri-

maneggiamenti ed abbelli-menti tra cui la realizzazio-ne degli affreschi della cu-pola minore, opera delpittore leonessano Giacin-to Boccanera (1666-1746), direttore dell’Acca-demia del Digno a Perugia,allievo di Giacinto Brandi edi Guido Reni. Nei quattro pennacchi sonoeffigiati i quattro Evangeli-sti, mentre la cupola è deco-rata con un grande affrescoraffigurante La Gloria deiSanti in Paradiso, tra i qualicompare San Felice da Can-talice canonizzato nel 1712 enon San Giuseppe da Leo-nessa che lo sarà nel 1746.

74

Mausoleo e urna del Santo XVIII sec.

Interno del Santuario

In occasione della beatificazio-ne, avvenuta nel 1737, il corpodel Santo fu prima posto nell’urna (tutt’ora esistente) e poitraslato sull’altare maggiore,“luogo del Deposito”. Tale fu il fervore dei devoti chesi manifestò l’esigenza di un ra-dicale ampliamento della chie-sa. I lavori ebbero subito inizio,su progetto dell’architetto ro-mano della Rev. Camera Apo-stolica, f ilippo Brioni, e siprotrassero fino al 1746. Perrealizzare la nuova struttural’Università di Leonessa decretòaddirittura l’interruzione di unastrada, “La Via di Mezzo” (l’at-tuale Via Durante Dorio) e lachiusura del vicolo ubicato trala chiesa e la casa degli Antonel-li, per costruire la sagrestia. Il Brioni senza intaccare lestrutture barocche della parteantica, la saldò alla nuova co-struzione con l’apertura di unarco, riportando - ripetuto - ilmotivo architettonico; sui quat-tro archi, poi, voltò l’ampia cu-pola. Nel 1759 fu commissiona-ta la costruzione dell’organo al-l’organaro tedesco CorradoWerlé e circa un trentennio do-po fu eretta una nuova torrecampanaria, nella quale furonocollocate le campane della Roc-ca, del Palazzo Priorale e dellachiesa di Sant’Egidio.23

Nel 1867 fu portato nella chiesail reliquiario con il cuore del Santo, donato nel 1646dal Cardinale Francesco Maria Farnese ai Cappucci-ni di Leonessa e conservato nel loro convento fino al-la soppressione di questo avvenuta nel 1866. Quasi due secoli dopo la canonizzazione del Santo(dal 1909 al 1912), il pittore romano Virginio Mon-ti decorò i pennacchi, le lunette e la cupola del Brio-ni, con figure bibliche ed allegorie delle Virtù, sucommissione di Mons. Mauro Nardi.Nel 1946, in occasione del bicentenario della Ca-nonizzazione, fu realizzata una nuova pavimen-tazione su disegno del pittore reatino ArduinoAngelucci.Di poco posteriore è la facciata in travertino biancoromano, realizzata su disegno e sotto la direzionedell’Architetto f rancesco Priori. La prima pietrafu posta il 12 settembre del 1950 dal Vescovo di RietiMons. Luciano Migliorini. I lavori, che comportaro-

no la rimozione dell’antico por-tale maggiore, e delle porte late-rali (il tutto poi murato nellafacciata secondaria del Santua-rio in via Mastrozzi), si protras-sero per 15 mesi, fino al 4 feb-braio del 1952, quando lanuova facciata fu solennementeinaugurata e benedetta dall’Ar-civescovo di Spoleto Mons. Raf-faele Mario Radossi. L’opera si presenta con un por-tale centrale sormontato da unfinestrone a lunetta e con dueporte laterali. Al di sopra deltimpano spezzato del portaletroneggia la statua di San Giu-seppe benedicente col suo tradi-zionale e inseparabile crocifis-so, opera della scultrice BredaO’ Donoghue Lucci (dono per-sonale dell’allora sindacoComm. Giuseppe Lucci).Sull’architrave una laconicaiscrizione latina recita “POPU-LUS MAGISTRATUSQUE FE-CERUNT AD MCMLII (fatta dalpopolo e dalle autorità nel 1952). Del 1971 sono le vetrate, realiz-zate dalla ditta Vitali di Foligno,raffiguranti alcuni motivi ico-nografici tradizionali della vitadel Santo.Diverse sono le opere collocateall’interno del Santuario.Quello che più immediatamentecolpisce il visitatore è il mauso-leo (prima metà del XIX seco-lo), collocato nel transetto, che

ospita al suo interno l’urna con le spoglie del Santoprive di artificiali rivestimenti. L’urna fu commis-sionata dai Priori di Leonessa nel 1737 ad alcuni ar-tigiani romani che avevano realizzato anche quellaper la beata Giacinta Marescotti di Viterbo, beatifica-ta nel 1726. L’opera, trasportabile, fu realizzata in le-gno dorato e poggia su quattro Leoni con la lettera Ptra le zampe, stemma del Comune di Leonessa.Altra pregevolissima opera d’arte è il reliquario inargento fuso e cesellato (XXVI sec.) che contieneil cuore incorrotto del Santo di Leonessa. È collocatoall’interno della nicchia del primo altare di sinistrachiamato appunto Altare del Cuore. Anche se fu formalmente donato al convento deiCappuccini nel 1646, giunse a Leonessa solo nel 1651,allorché il duca di Modena, esecutore testamentariodel Cardinal Farnese morto nel 1647, ve lo fece tra-sportare da due Cappuccini.

75

Reliquiario con il cuore del Santo XVI sec.

Si tratta di una pregevolissima opera di scuola toscana,tutta in argento, fusa e cesellata, di 95 cm d’altezza e delpeso di 10 kg. È costituita da un solido basamento trian-golare a forma di tronco di piramide recante inciso lostemma dei Farnese (sei gigli), che poggia su tre unicor-ni (animale che simboleggia la purezza e talvolta Cristo)in riposo, sormontati da tre angeli recanti in mano glistrumenti della Passione. Al di sopra sono collocate dueCariatidi velate, dal ricco panneggio, che sostengono ilmedaglione che custodisce il cuore, sul quale sono collo-cati tre angeli, di cui quello al centro sostiene la croce.Le caratteristiche formali del prezioso oggetto consento-no di datarlo al XVI secolo che originariamente non do-veva essere un reliquiario, bensì un “ostensorio” giuntoai Farnese per mezzo di Margherita d’Austria” - comescriveva già nel 1910 Mons. Luca Mariani - in occasionedel ritrovamento del reliquiario dopo il suo furto. Il pre-sule proseguiva affermando anche che l’opera era stataesaminata nel 1909 dal Prof. Rocchi di Roma, “personacompetentissima in materia d’arte”, il quale l’ aveva at-tribuita al “Cellini o alla sua scuola”.24

Di fronte all’altare, al di sotto del piano del pavimento,si possono ammirare la nicchia dove rimase occultato ilcorpo del Santo, dal 1639 al 1737, e i resti della sua casanatale che era ubicata sulla Via Recta, riportati in lucenel 1994.L’altare di destra è dedicato alla Madonna del Divino

Amore e presenta una tela su questo tema. Idue ovali collocati nelle pareti fanno parte diuna serie ex voto raffiguranti l’intervento di SanGiuseppe a favore dei leonessani contro le trup-pe giacobine, dipinte dal pittore leonessanoVenanzio Bisini verso la fine del XVIII se-colo. In queste due tele sono state immortalatedue vicende “miracolose” che vedono comeprotagonisti Lorenzo Zelli e Luigi Manzi, chepur essendo colpiti da armi da fuoco non ripor-tarono alcun danno per l’intercessione di SanGiuseppe, invocato dai due leonessani.Allo stesso pittore è attribuita la tela sistemataal di sopra della porta del campanile, raffigu-rante San Giuseppe benedicente Leonessa, di-pinto interessantissimo per la rappresentazio-ne realistica e particolareggiata della città.Sullo stesso lato della pars pòstica (come vienechiamata la seconda cappella) è collocato l’al-tare del Suffragio (1777) con una tela effi-giante la Madonna del Suffragio, opera del Bi-sini. Sul pilastro di destra, in un’urna, sono cu-stoditi alcuni cimeli del Santo: dei libri, una

76

In alto: Santuario olio su tela di Vincenzo BisiniA lato: Altare del suffragio, tela che raffigura laMadonnna del suffragio, opera del Bisini, 1777

Santuario: S. Giuseppe benedice Leonessa di P. Monaldi XVIII sec.

Santuario: Cupola minore di Giacinto Boccanera XVIII sec.

clessidra, un’ampolla con del sangue raggrumato, ilsaio, alcuni strumenti di flagellazione, il documentoPontificio che attesta la proclamazione di San Giu-seppe a Patrono di Leonessa nel 1967. A questo even-to è collegato il candelabro in ferro battuto, realizza-to dai maestri Labella di Vindoli, ove arde la lampa-da votiva alimentata con l’olio offerto dalla civica au-torità il 4 febbraio di ogni anno, in occasione della fe-sta del Santo.Sulla parete di fondo dell’abside, nascosta dal mau-soleo che contiene l’urna, si trova una grande telarettangolare raffigurante San Giuseppe che benediceLeonessa e i suoi abitanti, nel 1611, opera di PaoloMonaldi, risalente al 1752. Al di sotto di questa è col-locato un basso rilievo con lo stesso tema, eseguitonel 1988 dallo scultore reatino Italo Crisostomi.Sul lato sinistro si trova l’altare “dei Patroni” conuna tela raffigurante la Vergine con Bambino tra iSanti Giorgio ed Emido, patroni di Leonessa prima diSan Giuseppe. Il dipinto, della seconda metà delXVIII secolo, è attribuito a Giuseppe Viscardi(1720-1795), maestro del Bisini.Del Bisini sono anche i quattro ovali che raffigura-no: il prodigioso attraversamento del fiume Tron-to, la guarigione di un giovane malato di tisi (1780)e due miracoli post mortem raffiguranti la guari-

gione di una donna malata di cancrena e quella diun neonato. Degni di nota per il significato “ideologico” sono idue ex voto rettangolari (1799) collocati nell’ar-co di raccordo tra la pars antica e la pars postica delSantuario e di stile bozzettistico. In queste tavole ilBisini ha immortalato alcuni episodi della resistenzadel popolo leonessano nei confronti delle truppe gia-cobine, che videro il “prodigioso” intervento di SanGiuseppe. In uno dei dipinti sono raffigurati sette ar-dimentosi leonessani che, protetti dal Santo, respin-gono, sul ponte del Tascino, i soldati francesi; nell’al-tro, la “messa in fuga” della cavalleria giacobina daparte dei leonessani, dinnanzi a Porta Aquilana. Al di sotto di una di queste tele è collocato il pulpito,dal quale si legge la “Novena”, decorato con bassori-lievi di legno, raffiguranti alcuni episodi della vita diSan Giuseppe, eseguiti dall’artista leonessano Gof-fredo Rauco.Nella bella sagrestia, inoltre, vi sono i pregevoli spor-telli di legno dell’urna, dipinti con episodi della vitadel Santo ed alcune belle tele tra cui spicca un cin-quecentesco suggestivo San Giorgio a Cavalloche uccide il drago, con una ricca cornice dorata,proveniente dall’oratorio del Palazzo dei Priori.

78

Santuario: S. Giuseppe attraversa il fiume Tronto, Venanzio Bisini XVIII sec.

Santuario: S. Giuseppe guarisce un giovane dalla tisi, Venanzio Bisini XVIII sec.

Ubicata a metà di Corso San Giuseppe, è la terzachiesa di Leonessa che conserva intatti il portale,orientato ad Ovest, la facciata in stile romanico e latradizionale orientazione con l’altare a Est.Già menzionata negli Statuti di Leonessa del 1378, inorigine costituiva la chiesa del Sesto di Croce, comeindica lo stemma in pietra bianca posto sulla facciataoriginaria. Deve la sua denominazione al fatto che in essa, tra ilXV e il XVI secolo, confluirono tutti i parroci dei Se-sti, probabilmente per avere una loro più ampia “au-tonomia”, nei confronti dei numerosi Ordini mona-stici presenti a Leonessa. In breve divenne una dellechiese più importanti della città. In essa, infatti, nelXVI secolo conveniva il popolo e il Magistrato per lesolenni funzioni pubbliche, in essa si custodivanol’Eucaristia, gli oli santi e in essa venivano battezzatitutti i neonati di Leonessa, nello stupendo fonte bat-tesimale in pietra. Assurta a tale importanza nella vi-ta spirituale dei leonessani, si resero necessari dei la-vori di ampliamento e di ammodernamento che, ini-ziati nella seconda metà del XV secolo (1452 è la da-ta scolpita su una pietra dell’antica facciata), si pro-trassero per tutto il secolo successivo. I lavori com-

portarono la trasformazione della chiesa da un’unicanavata - come si può vedere dalle tracce di preceden-ti aperture sia del rosone che del portale, sul lato de-stro – a tre navate, con il conseguente ampliamentodella facciata, realizzata in continuità con quellaoriginaria, in pietra rossa locale, a terminazione oriz-zontale e con ampio rosone. I lavori di ampliamentosi conclusero nel 1598, grazie alla munificenza del Vi-cario Giovanni Cricchi, come si può leggere inun’iscrizione incisa su una pietra collocata in alto,sulla parte sinistra della facciata. Nel XVII secolo iniziò a celebrarvisi “otto giorni avan-ti alli 4 febbraro” quella che poi sarà chiamata la Sa-cra Novena in onore di San Giuseppe da Leonessa.25

Nella seconda metà del XVII secolo in questa chiesafiguravano tre altari dedicati ai Santi protettori dellecorporazioni più importanti (il primo e il terzo si so-no conservati fino ai primi anni del 1900): quello diSan Crispino e Crispiniano dei calzolai (di cui ancorasi conserva la tela), quello di San Filippo dei “Cappel-lari”, quello di Sant’Eligio dei “Fabbri ferrosi”.A seguito dei danni del terremoto del 1703, l’internofu completamente ristrutturato in stile baroccheg-giante.Nel 1736 fu canonicamente eletta in Collegiata, conben 12 canonici.Il portale è finemente decorato con motivi di diver-sa natura ricchi di simbolismo. È composto da tre co-lonnine per lato, alternate a torciglioni e lisce, termi-nanti con capitelli istoriati con palmette e foglied’acanto. Due leoni, simbolo di resurrezione, poten-za ed emblema di Cristo, sembrano sostenere le basidell’archivolto; sono raffigurati con la parte anterio-re del corpo che, secondo l’iconografia medievale,rappresenta la divinità di Cristo, mentre la parte po-steriore simboleggia la sua natura umana.Nella chiave d’arco è scolpito l’Agnello Mistico, sim-bolo del Cristo Crocifisso e al tempo stesso del CristoRisorto, secondo la regola romanica: il corpo, infatti,è rivolto a sinistra, verso settentrione - aspetto sacri-ficale e propiziatorio - mentre la testa e volta all’in-dietro a meridione, simbolo di resurrezione.Sulla lunetta troneggia un’arcaica statua della Ver-gine con Bambino (XV secolo) tra due chiericicon turibolo, il cui stile stride con la data scolpita sul-l’architrave “1514”. Pertanto ci sembra più verosimi-le collocare la costruzione del portale almeno al 1452,data scolpita sulla facciata originaria della chiesa.Del 1531 è la porta lignea, coeva a quella di San Pie-tro, su cui è leggibile la data e il nome del probabilecommittente: “Panaiolus F.F.”. Di pregevole fattura è anche il rosoncino del XV se-colo, in pietra rossa locale.

79

CHIESA SANTA MARIA DEL POPOLO O DEI PRETI - XIV-XVI sec.

Facciata della chiesa S. Maria XV sec.

80

A sinistra: Fonte battesimale, 1538Sopra: croce astile processionale di scuola Umbro-Toscana, XV sec.Sotto: interno della chiesaPagina successiva: portale della chiesa XV sec.

L’interno della chiesa è a tre navate più unacappella laterale sinistra dedicata al S.S. Sa-cramento. La volta in muratura, dopo il crollocausato dal sisma del 1979, è stata ricostruitaa capriate di legno negli anni ’80, e il presbi-terio adattato alle nuove disposizioni liturgi-che post Conciliari.Nella navata di destra si trovano l’altare dedi-cato a Sant’Antonio Abate, con una statua li-gnea del Santo risalente al XVIII secolo, e ilfonte battesimale in pietra bianca locale,realizzato nel 1538 (data incisa su di una dellafacce della vasca centrale), forse da lapicidilombardi. Il manufatto è composto da una ba-se ottagonale sulla quale si erge un fusto sago-mato e costolonato, su cui poggia la vasca an-ch’essa sagomata e ottagonale, simbolo di ri-nascita e di rigenerazione. E proprio sui riqua-dri della conca sono scolpiti alcuni simboli - iltrigramma di San Bernardino, rose a cinquepetali - che rimandano ad un analogo signifi-cato simbolico - e lo stemma del Sesto di Cro-ce, al quale apparteneva la chiesa di Santa Ma-ria: una croce pomata eretta su tre monti, so-vrastata dal lambello a quattro pendenti contre gigli, in segno di dominanza politica degliAngioini. La parte superiore del fonte è costi-tuita da una cupola ottagonale terminante apunta, sormontata da una sfera. Per i leonessani questo fonte ha un valore spi-rituale inestimabile poiché in esso, nel gennaio del1556, fu battezzato il piccolo Eufranio Desideri, chepiù tardi vestirà il saio cappuccino col nome di Giu-seppe da Leonessa. Lo asseriscono la sorella (Casto-ria) ed il nipote P. Francesco Chiodoli nel Processodi beatificazione del 1629, affermando di aver lettola notizia in un “Libretto” dello zio: “… nella qualpartita stava che fu battezzato nella chiesa de SantaMaria matrice de Leonessa, e postoli il detto nomedi Eufranio.”Originariamente il fonte era collocato a sinistra del-l’ingresso (come risulta da una Visita Pastorale del1567), il lato considerato degli “Impuri”, omologabilealla zona liminale delle basiliche paleocristiane, doveera situato il nartece. Agli inizi degli anni ’60 fu portato nella chiesa di SanFrancesco, dove è rimasto fino al 1990, allorché fu ri-portato nella sede originaria.Sulla parete di fondo dell’abside sono collocate la pa-la raffigurante L’assunzione della Vergine (XVIIsecolo) e due altre tele di scuola abruzzese effigian-ti la Vergine Annunciata (XVIII secolo) e l’AngeloAnnunciatore (XVIII secolo). Ambedue le tele pro-vengono dalla chiesa di San Salvatore.Sulla parete di destra dell’abside si trova il dipintoraffigurante San Crispino e Crispiniano (XVIIIsecolo), patroni della potente – un tempo - corpora-

zione dei calzolai. Di notevole fattura è anche il corocon gli scranni di legno risalenti al XVIII secolo.Un’altra tela da segnalare per l’originalità dell’impo-stazione è quella della Glorificazione del Croci-fisso (XVIII secolo), collocata al di sopra dellaporticina laterale d’ingresso. Ma il vero capolavoro custodito nella chiesa è unacroce a stile processionale di scuola u mbro-Toscana, d’argento e di rame dorato, usata dai ve-scovi per le visite Pastorali. Risalente alla fine delXV secolo, l’opera è a sbalzo e cesello, misura 75 cmx 45 e sul davanti presenta, quasi a tutto rilievo, ilCristo Crocifisso, mentre sui quattro estremi dellacroce sono raffigurati, in alto Dio benedicente, a sini-stra la Madonna, a destra San Giovanni Evangelista,in basso Sant’Agostino. Sul retro sono incise altre fi-gure: al centro la Vergine con il Bambino in una man-dorla fra quattro cherubini, in alto San Marco, a sini-stra l’angelo annunciante, a destra l’Annunciata, inbasso un Santo Domenicano. Il bulbo e i melogranifurono aggiunti nel XVII secolo.Nella bella ed ampia sagrestia si trovano altre teleprovenienti dalla chiesa di San Salvatore, tra cui: unapregevole Santa Margherita e Maddalena, conil drago (XVI secolo), di scuola toscana; un SanGiuseppe da Leonessa che medita sul Cristomorto (XVIII secolo), forse del Bisini.

81

Anche questa chiesa è ubicata a metà del Corso sul lato opposto diquella di Santa Maria. La sua edificazione risale ai primi del XVIIsecolo. In essa confluì la Confraternita di San Giovanni Decollato,detta della Misericordia, fondata nel 1609, proveniente dalla chie-sa di San Nicola, fondendosi con quella in situ di San Carlo.La chiesa subì gravi danni con il terremoto del 1703, ma fu pron-tamente restaurata ed abbellita con la realizzazione della cupolache sarà poi affrescata, probabilmente dal Viscardi. Della fine delXVIII secolo sono la pregevole e maestosa Gloria dell’altare mag-giore e le varie decorazioni baroccheggianti, realizzate dai Bisini. Attribuibili ad uno di essi, il pittore Lorenzo, sono i due medaglio-ni raffiguranti San Carlo Borromeo e San Giovanni Battista, col-locati ai lati dell’altare maggiore.La chiesa subì seri danni anche con il sisma del 1979 che tra l’al-tro provocò il crollo della parte terminale del campanile a vela. Ilavori di restauro si sono protratti per alcuni anni ed hanno com-

82

CHIESA S. CARLO BORROMEO XVII sec.

Chiesa di S. Carlo: Altare maggiore XVIII sec.

Chiesa di S. Carlo: Cupola XVIII sec.

83

portato il consolidamento e il restauro della cupola e la realizza-zione di una nuova pavimentazione.L’interno si presenta ad unica navata con una cupola e quattroaltari laterali: quelli di sinistra dedicati all’Annunciazione e alBattista, quelli di destra al S.S. Crocifisso e a Sant’Anna. Il primopresenta una pregevole Annunciazione del 1640, di un artistadi cultura francese; in cartiglio un si legge “Augustinus Ruscet-tus”, forse il nome del committente.26 Il dipinto è interessanteper la domesticità della scena in cui si volge l’importantissimoEvento e per presenza del gatto, che simboleggia il maligno – cherichiama la famosa Annunciazione Lorenzo Lotto del 1527. Nelsecondo altare di destra è collocata una statua di Sant’Anna(XVIII secolo, di autore locale ignoto), importante per il cultopopolare tributato a questa Santa protettrice delle partorienti edelle puerpere.27

Diverse sono le tele raffiguranti il Battista che attestano la cospi-cua presenza del suo culto a Leonessa. Tra quelle presenti in que-sta chiesa è da segnalare quella grande della Decollazione collo-cata sulla parete destra dell’abside, risalente al XVI e di autoreignoto. Sulla stessa parete si trova la tela raffigurante i SS. Giove-nale e Nestore (XVII secolo), proveniente dalla chiesa di SanMassimo. Sempre nell’abside si trovano una statua lignea dellaMadonna di Costantinopoli portata in processione in occasionedella festa (seconda domenica di luglio), organizzata dalla Con-fraternita della Misericordia (lo stendardo è appeso alla parete si-nistra) con sede nella chiesa.Di un certo interesse sono pure una Crocifissione con i Santi Agostino e Monica (XVII secolo, autore ignoto),collocata sulla parete di destra e una statua di Sant’Anna (XVIII secolo, di autore locale ignoto), importanteper il culto popolare tributato a questa Santa protettrice delle partorienti e delle puerpere.

Ubicata nella popolare Via della Ripa,di cui ne è la chiesa rionale, è già cita-ta in un documento della seconda delXIV secolo, nel quale si fa menzionedell’istituzione, nella chiesa, di unaConfraternita, detta di San Matteo,con lo scopo di gestire il nuovo ospeda-le di Sant’Anna, che nel 1420 fu affida-to dal Capitolo Lateranense, ai france-scani del Convento di San Francesco.Ciò comportò il trasferimento dellaConfraternita suddetta che si fonderàcon quella dei Battuti già presente nelnucleo francescano, dando origine alla“Confraternita di Santa Croce”, tut-t’ora esistente.Nel XVII secolo nella chiesa di SanMatteo si affermò una devozione alla“Madonna di San Matteo”, di cui si celebra ancora oggi la ricorrenza la seconda domenica di ottobre. Gli stuc-chi e l’altare sono della fine del XVIII secolo, realizzati dai Bisini. Nel 1976 la chiesa fu restaurata e affrescatadalla pittrice Luciana Pennesi Trincia, di Viesci. Vi si conserva un frammento di un ciclo di affreschi, effigian-te San Gerolamo, che originariamente decorava l'ambiente dietro l'abside.

Chiesa di S. Carlo: Annunciazione XVII sec.

Chiesa S. Matteo

CHIESA SAN MATTEO XIV sec.

84

È situata poco fuori il paese all’inizio dei giardinipubblici e dove il viale dei Cappuccini si interseca conVia di Villa Lucci. Di questa chiesa, detta L’Immagi-ne, si trova menzione in un documento del 1393. Pro-babilmente doveva trattarsi di un’edicola devoziona-le nella quale doveva essere venerata qualche “Im-magine” della Vergine. L’interno è a navata unica e conserva ancora l’origi-nale pavimentazione in lastroni di pietra rossa ebianca locale. All’inizio della parete di sinistra si tro-va un bell’affresco del XVI secolo, di scuola umbro-toscana, raffigurante la S.S. Trinità, secondo l’icono-grafia classica: Dio Padre che sorregge il Crocefisso,mentre in alto si libra la colomba dello Spirito Santo.Un altro pregevole affresco, effigiante la Madonna

o rante (XVI secolo), decora la parete opposta. Mail ciclo di pitture murali più interessante è quello ri-portato in luce negli anni ’90 del XX secolo, allorchéfu rinvenuta la cappella originaria con un ciclo di af-freschi quattrocenteschi, di scuola umbra, raffi-guranti l’Adorazione dei Magi, la fuga in Egitto,i SS. Pietro e Paolo. Da menzionare, per il suo carat-tere votivo e popolare, è un Cristo (XVI secolo), di-

pinto su quella che doveva essere nicchia esterna del-la cappella.I leonessani sono molto legati a questa chiesa ancheperché in essa San Giuseppe nel 1608 compì il mira-colo della risuscitazione di un bue morto men-tre trebbiava il grano – come ricorda una grande ce-ramica collocata all’interno della chiesa.

Chiesa dell’Immagine: Madonna con il Bambino XV sec.

Chiesa dell’Immagine: La Santa Trinità XVI sec.

Chiesa dell’Immagine: Madonna Orante XVI sec

CHIESA DI SANTA MARIA DELLA VISITAZIONE

O DELL’IMMAGINE XIV sec.

Si trova all’inizio di Via Durante Dorio venendo daPorta Spoletina.In questo imponente monastero all’inizio del XVIIsecolo vi si trasferirono le agostiniane del fatiscenteconvento di Sant’Antonio, presso Porta Aquilana.Nel 1703 subì gravi danni e fu restaurato dalla fami-glia Scattola. Pochi anni dopo il monastero fu am-pliato e dotato di un più ampio dormitorio, tanto chenel 1766 ospitava 21 monache.Nel 1809 fu soppresso per ordine Gioacchino Murat,ma nel 1820 tornarono le agostiniane che si erano ri-fugiate nel monastero di Cascia.Altra soppressione subì nel 1861, quando contava 22religiose, ma anche in questo caso fu riaperto e in es-so confluirono, agli inizi del XX secolo, le Clarisse deiconventi di Santa Chiara e di Santa Lucia, anch’essiprecedentemente soppressi, che vi rimasero fino al2003, quando è stato chiuso.Nel piccolo coro monacale si conservano due prege-voli opere provenienti dal soppresso monastero diSanta Lucia (ubicato nel Corso dove oggi sorgel’omonimo complesso): una realistica Flagellazione di

scuola caravaggesca, degli inizi del XVII secolo, e unprezioso, quanto poco conosciuto, Crocifisso con laVergine, San Giovanni Evangelista e San f ran-cesco, opera probabilmente di maestro Umbro delXIII-XIV secolo. Si tratta di una croce lignea sagoma-ta dipinta a tempera dalle dimensioni di cm 135 x 98,5.Il fondo della croce è nero, mentre dorati sono il tabel-lone e i profili modanati delle cornici. Il convento delle clarisse racchiude anche un’altraparticolarità: due dipinti, un affresco (fine XVII seco-lo) ed una tela (XIX secolo), che testimoniano l’esi-stenza a Leonessa del raro culto della Divina Pastora– la Vergine con Bambino tra le pecore – dalle chia-re ascendenze iberiche, e passato dai Cappuccini spa-gnoli a quelli del Regno di Napoli.Da segnalare sono anche: la bella pala dell’altaremaggiore, dal complesso simbolismo, raffiguranteuna Madonna con Bambino tra i SS. Giov. Battista,Agostino, Monica, Nicola da Tolentino e il Martiriodi San Giovanni Evangelista, firmato da PasqualeRigo da Montereale, 1604; una deposizione di Cristo(XVIII secolo); un San Gioacchino che insegna a leg-gere alla piccola Maria, di Venanzio Bisini; una Ve-ronica tra i SS. Francesco e Chiara (XVIII secolo).Chiesa e convento sono stati recentemente acqui-stati dal Vescovo di Rieti, che ne ha già stabilito ilrestauro.

85

Chiesa di S. Giovanni Evangelista: Crocifisso XIII-XIV sec.

Chiesa di S. Giovanni Evangelista: Martirio di S. Giovanni, 1604Pasquale Rigo da Montereale

CHIESA E MONASTERO DI S. GIOVANNI EV. XVI-XVII sec.

Chiesa e convento sono ubicati a circa un Km dallacittà lungo la Statale per Cascia, poco oltre il cimitero.Originariamente era una cappella votiva fatta erigerenel 1520 da Cristoforo Gizzi, ai margini della stradaper Spoleto. Alla sua morte, nel 1534, gli eredi la do-narono ai francescani Conventuali a condizione che“s’abitasse”, ma non lo fu mai dall’ordine del SeraficoPadre, che la cedette ai Cappuccini della ProvinciaUmbra. Intorno alla cappella P. Matteo Silvestri daLeonessa (1510-1553), medico leonessano fattosi Cap-

puccino, edificò con alcuni suoi compagni, delle cel-lette, che poi andarono ad abitare, dando origine alconvento dei Cappuccini di Leonessa.Tuttavia, la presenza dei frati divenne stabile e defini-tiva a Leonessa solo nel 1571, anno in cui fu ampliatala chiesa. E questa data è scolpita sull’architrave delportale, insieme al trigramma di San Bernardino daSiena. L’impianto della chiesa fu quello tipicamenteCappuccino, con tre cappelle laterali, altari lignei concancellate e iconostasi di separazione dal coro.

86

CHIESA SANTA MARIA DI LORETO E CONVENTO DEI CAPPUCCINI XVI sec.

Nello stesso periodo furono intrapresi i lavori di am-pliamento del convento, ai quali spesso assisteva ilgiovane Eufranio Desideri, che andava maturando lasua vocazione e che una volta preso il saio vi dimoròspesso. L’edificio fu ulteriormente ingrandito nel1615 e ebbe come padre guardiano Padre FrancescoChiodoli nipote di San Giuseppe, seppellito nellachiesa. Nel 1651 il convento ricevette in dono dal CardinaleFrancesco Maria Farnese un reliquiario per custodi-re il cuore di San Giuseppe. Nel 1769 Ferdinando IV, che non gradiva nel suo re-gno la presenza del clero dello Stato Pontificio, ema-

nò un decreto con il quale aggregò il convento di Leo-nessa alla Provincia Cappuccina d’Abruzzo, sotto laquale ancora si trova.Durante la soppressione napoleonica, sotto il governodi Gioacchino Murat, il convento rimase abitato da 16frati, non subendo danno alcuno. Totalmente diversifurono gli esiti della soppressione piemontese del1866: la chiesa fu chiusa, i frati furono costretti ad ab-bandonare il convento, che passò al Comune; le reli-quie del Santo, tra cui il cuore, furono trasferite delSantuario, i libri della biblioteca, tra cui le preziosecinquecentine dei classici di Aldo Manuzio, furonoammucchiati nei magazzini del Comune e venduti ai

pizzicagnoli per incartare le loro merci; l’orto fu tra-sformato in cimitero, di cui la chiesa ne divenne lacappella mortuaria. Per lo scopo l’apparato ligneodell’altare fu manomesso e il portichetto antistantedemolito (sarà poi ricostruito nel 1989).I frati ritornarono nel 1894, dopo aver riacquista-to il loro convento dal Comune, tramite terze per-sone e grazie all’intercessione di Padre MauroNardi.Negli anni la struttura ha subito diversi restauri econsolidamenti, che tuttavia non hanno grave-mente compromesso il suo impianto originale,che era quello tipico dell’essenzialità dell’architet-tura francescana. A questi dettami risponde ilsuggestivo, quanto semplice, chiostro internocon l’originale pavimentazione in pietra locale emattoni e l’antica copertura in travi di legno emattoni. Al centro è collocato il pozzo ancora fun-zionante, con un essenziale lastricato in pietra lo-cale, che raccoglie l’acqua piovana delle gronde.Sul tetto del chiostro si affacciano le piccole fine-stre delle altrettanto piccole cellette e delle porteche introducono negli ambienti al pianterreno, fracui, all’interno, il refettorio. Nella parete di fon-do si può ammirare un affresco della fine del XVIsecolo raffigurante la Vergine Immacolata conSan f rancesco e San f elice da Cantalice, at-tribuibile ad un pittore Cappuccino. Sul lato de-stro si apre la piccola porta che introduce alla ca-nova, mentre sul sinistro è affrescata una portadalle medesime fattezze. Al di sopra delle due por-te sono affrescati un cigno, con la scritta SILEN-TIUM e un pellicano (nel medioevo simbolo diCristo) con la scritta CARITAS.Nel refettorio sono conservati anche dei tavoli delXVI secolo, tra cui quello dove sedeva per man-giare San Giuseppe, l’ultimo sulla sinistra. Sulposto occupato dal Santo i Cappuccini non fannomancare mai un vaso di fiori. Al primo piano èubicata la celletta di San Giuseppe, la cui pa-rete frontale dello spartano giaciglio è affrescata

87

S. Maria di Loreto e Convento dei frati Cappuccini

con un’effigie del Santo nell’atto di riposare.Nel lato opposto è situata la biblioteca che racchiudediversi volumi di carattere teologico e delle pregevo-li cinquecentine.Sul finire degli anni ’70 all’antico convento fu ag-giunta una moderna struttura da adibire ad ostelloe in seguito fu ricostruito il portichetto antistantel’entrata della chiesa.Dal 1964 nel convento ha sede la redazione rivistaLeonessa e il suo Santo, ancora oggi una delle pochis-sime voci della cultura, della storia, della religione,del costume e delle tradizioni di Leonessa.La chiesa, pur avendo mantenuto l’assetto originalecon tre cappelle laterali per lato, ha subito anch’essadiversi lavori di restauro e di ammodernamento tracui la realizzazione di alcuni stucchi da parte del-l’aquilano Giulio Ciceroni nel 1921 e dell’altare inscagliola (1940) e il rifacimento del pavimento e la ri-mozione dell’iconostasi negli anni ’80. Tra le varie opere situate al suo interno sono degne dimenzione: un raffinato Tabernacolo ligneo, dora-to policromo (XVI-XVII secolo), tre tele dipinte daalcuni pittori Cappuccini, tra le quali spicca una De-posizione di Cristo firmata dal Cappuccino France-sco Brixiensis (XVII-XVIII secolo) e un anticomassiccio leggio collocato originariamente al centrodel coro.Un cenno a parte meritano i recenti graffiti (1997)realizzati da Padre u golino da Belluno, sulle pare-ti e sulla volta dell’abside, aventi per soggetto alcuniepisodi salienti della vita di San Giuseppe, compresii miracoli riconosciuti per la sua canonizzazione.

90

Celletta di San Giuseppe da Leonessa

ChiesaMadonnadi Loreto:tabernaco-lo XVI sec.

ChiesaMadonna diLoreto:Deposizionedel CristoXVII sec.F. Brixiensis

91

Chiesa Madonnadi Loreto - Abside:particolare deigraffiti di Ugolinoda Belluno 1997,miracolo del cieconato.

Refettorio del conventoXVI sec.

Ubicata a metà di Via Mastrozzi, fu fondata nel 1568dalla Confraternita del Salvatore. Il portale, in pietralocale, presenta un'incorniciatura rettangolare sormon-tata da un arco. Sull'architrave è scolpito il trigramma diSan Bernardino con la data 1568.Nell’oratorio di Sant’Anna adiacente alla chiesa e prospi-ciente su Via Durante Dorio si recava da ragazzoEufranio Desideri per partecipare ai riti penitenzialidella fraternita, guidata dai Cappuccini.La chiesa è a navata unica, il pregevole altare, gli stucchie le decorazioni sono opera dei Bisini. Fino a qualchedecennio fa vi si conservavano diverse tele, tra cui unapregevole Ascensione del XVI secolo, oggi a Santa Maria,e vari cimeli, tra i quali un’ampolla d’argento con il san-gue raggrumato di San Giuseppe da Leonessa.Negli anni ’80 la chiesa è stata adibita ad oratorio musi-cale e vi si sono svolti numerosi concerti di musica clas-sica tenuti da insigni musicisti.Attualmente la chiesa è in restauro.

92

Portale di S. Michele Arcangelo XVI sec.Portale di S. Maria extra Moenia XIV sec.

CHIESA SAN SALVATORE XVI sec.

Portale della chiesa S. Salvatore XVI sec.

93

Chiesa di Sant’Anna XIV sec. Comunicante con lachiesa di San Salvatore, di cui diverrà poi l’oratorio, sitrova all’inizio dell’attuale Via Durante Dorio (n° 46) aduna cinquantina di metri dell’arco che porta ancora il no-me di “Arco Sant’Anna”. Subì gravi danni a causa del ter-remoto del 1703 e nel 1900 fu adibita a teatrino parrocchia-le. Attualmente presenta ancora tale veste e sono visibili ilpavimento originale in mattoni (piuttosto mal ridotto) e iruderi dell’altare collocato sotto il palcoscenico.

Chiesa di Sant’Antonio Abate XIV sec. Era situata inCorso San Giuseppe, a 50 metri da Santa Maria, pressol’omonimo vicolo. Agli inizi del ‘900 era già fatiscente e co-sì fu venduta a Raffaele Falconi che la trasformò in’abita-zione. In essa aveva sede la congregazione dei Mulattieriche ne curavano la manutenzione.

Chiesa di Santa Barbara XII sec. Chiesa parrocchialedel Sesto di Ripa di Corno, era ubicata in Via delle Mole - “LaCosta”- tra la seconda mola e la casa di Ventura Coderoni,non molto distante da San Pietro.28 Rimangono alcuni rude-ri. L’ultima sua citazione risale alla fine del XVIII secolo.

Chiesa di San Cristoforo XII sec. È una delle chiese piùantiche di Leonessa; viene menzionata, infatti, nella Bolla diLucio III del 1182 come “monastero recentemente edifica-to”. Da questa chiesa, ubicata fuori Leonessa lungo la stra-da per l’Aquila, San Giuseppe nel 1611 impartì l’ultima toc-cante benedizione al suo paese natale. Nel 1922 divenneproprietà della Società del Tiro a Segno. Fino agli anni ’80del XX secolo erano ancora visibili alcune vestigia dell’edifi-cio, poi la nuova società di tiro a segno pensò bene di demo-lirle per erigervi un “conglomerato di cemento armato”.

Chiesa di Sant’Egidio di Corno XIII-XIV sec.An-ch’essa parrocchiale del Sesto di Corno, era situata in Viadella Ripa quasi di fronte alla chiesa di San Matteo: “Avevala facciata rivolta nord nord-ovest ed era attigua a palazzoFornari, già Mongalli. Ora a suo posto vi è un orto.”29

Chiesa di Santa Maria extra Moenia XIV sec.Si trovava di fronte a Porta Aquilana. Era la pieve del Sestodi Torre, subì gravi danni con il terremoto del 1703 che tut-tavia lasciò intatta la facciata e il bel portale romanico (og-gi murato a San Francesco). Era orientata Est-Ovest conl’altare ad est, secondo la tipica orientazione romanica. Nel1844 fu immortalata un disegno a china dall’eclettico pitto-re-viaggiatore Edward Lear. Rovinò di nuovo verso la finedel 1800 e le suppellettili furono trasferite nella chiesa diSan Carlo. In seguito, al suo posto furono edificati degli in-gloriosi bagni pubblici, purtroppo ancora esistenti. Sono ancora visibili due archi dell’antica struttura.

Chiesa di San Massimo XIV sec.Era situata lungo la Via Recta, a un centinaio di metri daPorta Spoletina, presso il Vicolo che ancora porta il suo no-me, e costituiva la pieve del Sesto di Forcamelone. Fu edi-ficata su un terreno appartenente al castello di Fuscello, ac-quistato dall’Università di Leonessa nel 1373. La chiesa, ri-

dotta in pessime condizioni, fu venduta nel 1887 a Giusep-pe Nicolai di Villa Lucci.

S. Michele Arcangelo XIV sec. Adibita, oggi, ad abita-zione privata, è ubicata in Via San Francesco tra i PalazziGiudici e Vanni. Questa chiesa è già citata in un documen-to del 1393 insieme ad altre aventi lo stesso titolo, testimo-nia l’esistenza di un diffuso culto tributato nell’altipiano aSan Michele Arcangelo, devozione dalle evidenti radiciLongobarde.Della struttura originale rimangono il portale (XVI-XVIIsecolo) e due finestrine in pietra locale, con stipiti scolpiticon figure arcaicizzanti (XV secolo).

Chiesa ed ospedale di Santo Spirito XIV sec.Il complesso, confinante con Porta Spoletina e le mura del-la città, costituiva un priorato dell’ordine di Santo Spiritoin Saxia di Roma.

Chiesa di San Venanzio XIV sec.Ubicata a metà di ViaSan Francesco, nei pressi dell’omonimo vicolo, era la chie-sa del Sesto di Terzone.

Convento di Sant’Antonio XIV-XV sec. Il complesso,chiesa più monastero delle agostiniane, era situato neipressi di Porta Aquilana. Poiché nel XVI secolo il conventosi era fatto angusto, le suore si trasferirono nel nuovo com-plesso di San Giovanni Evangelista. I locali del vecchio con-vento furono adibiti a locanda e a sede per la gabella. Tut-to rovinò con il terremoto del 1703.

Convento di Sant’Andrea Corsini XVI sec.Ubicato in Via Durante Dorio, il complesso era costituitodalla chiesa più il convento dei Carmelitani, trasferitisi nel1609 a Villa Carmine.

Convento di Santa Chiara XVII sec.Il complesso, chiesa più convento, apparteneva all’ordinedelle francescane Cappuccine. Si trova all’imbocco di ViaBrunori Bocarini, già Via Santa Chiara. Fu fondato nel 1618in esecuzione del testamento del medico Tullio Falconi. Fusoppresso nel 1806. Nei locali del monastero, ora adibitoad abitazione, si possono ancora ammirare colonne e capi-telli di pregevole fattura. La facciata della chiesa è in concidi pietra grigia.

Monastero di Santa Lucia fine XIII sec.Appartenuto alle Clarisse, è situato in Corso San Giu-seppe al n° 42 dove ora si trova l’omonimo complessopolivalente. La fondazione del complesso risale al 1295,e fu definitivamente soppresso nel 1866. Le clarisse ividimoranti si unirono alle sorelle Agostiniane del mona-stero di San Giovanni e il convento passò al Comuneche lo adibì a scuole pubbliche. Mentre la chiesa fu usa-ta prima come autorimessa, poi come palestra, attual-mente come auditorium. Numerosi sono i frammenti diaffreschi ancora visibili, risalenti al XV-VIII secolo, trai quali una presentazione della Vergine al Tempio, at-tribuibile al Bisini.

CHIESE E CO NVENTI NO N PIU ’ ESISTENTI

94

Chiesa di San Nicola da Bari XIV-XV sec.

Ubicata a metà del Corso, era la chiesa del Sesto di Poggioche aveva come protettore San Nicola da Bari. Risulta men-zionata in un registro del vescovado di Rieti, già nel 1398. Inessa aveva sede la Confraternita di San Giovanni Decollato(che prevedeva tra le sue varie opere pie anche la sepolturadei morti) alla quale fu aggregata nel XVII secolo quella del-la Misericordia; entrambe poi confluiranno in quella di SanCarlo. Nel 1705 in questa chiesa ebbe sede della Confraterni-ta degli Artisti (artigiani), che ne curò la gestione.Pregevole è il portale laterale (XIV-XV secolo), in stile goti-co-romanico e in pietra rosa locale. I capitelli sono istoriaticon foglie di palma stilizzate, simbolo del Cristo-Albero del-la vita e Resurrezione, mentre al centro dell’archivolto, sor-retto da due protomi leonine, troneggia l’effigie di San Nico-la da Bari.Negli anni ’70 fu ceduta dal Vescovo di Rieti alla Cassa di Ri-sparmio di Rieti, che l’ha adibita ad agenzia bancaria, restau-randone i due affreschi del XVI secolo – di stile quattrocen-tesco umbro-toscano - raffiguranti una Crocifissione con laVergine e San Nicola, e un Cristo portacroce, che versa san-gue dalle ferite in un calice posto sul pavimento. L’affresco èfirmato “Martuis Joannes Umutti 1539”.

Portale ex chiesa S. Nicola XIV-XV sec.

M o n a s t e r oSanta Lucia,at tua lmentesala per confe-renze: affrescodel XVII seco-lo, che raffigu-ra l’Assunzionedella Vergine

Le frazioni, o “Ville” storiche di Leonessa sono 36.Negli anni ’60 ne è nata una nuova: il nucleo alber-ghiero residenziale di Fonte Nova, ubicato all’undice-simo km della strada Panoramica per il Terminillo a1400 metri di altitudine.Tutte sono inserite in una stupenda cornice naturali-stica, con intorno distese di prati, campi e monti.Seguendo l’orografia dal territorio, possono esseresuddivise in due grandi gruppi: quelle del Piano diSopra, situate ad Est del Tascino e quelle del Piano diSotto, situate ad Ovest del fiume. Le prime sono: Ca-sanova, Piedelpoggio, Villa Immagine, Vallimpuni,San Clemente, Albaneto, Cumulata, Vallunga, Colle-verde, Volciano, Vindoli, Viesci, Sala, San Vito, San-t’Angelo, San Giovenale, Pianezza, Terzone. Le se-conde sono: Villa Zunna, Villa Climinti, Villa Gizzi,Casale dei frati, Ocre, Capodacqua, Vallefana, VillaMassi, Villa Alesse, Villa Lucci, Villa Berti, Villa Cia-

vatta, Villa Cordeschi, Villa Bradde, Villa Bigioni, Vil-la Colapietro, Villa Carmine, Villa Pulcini.L’origine di quasi tutte le frazioni del settore orienta-le può essere collocata nel periodo dell’affermarsidell’economia curtense (VII-VIII secolo d.C.), o im-mediatamente dopo la dissoluzione dei Castelli; si èverificato anche che alcuni di questi sono divenuti es-si stessi frazioni (Terzone, Pianezza). Mentre granparte di quelle del settore occidentale sono nate tra ilXV e il XVI secolo con la decadenza dei Castelli di Fu-scello, Forcamelone e Camporsentino (nei pressi diVilla Pulcini).Fanno eccezione Vallefana e Ocre, il cui toponimo èdi chiara origine Umbra: nelle Tavole Eugubine, in-fatti, spesso figura questo termine con il significato di“Rocca Sacra”.Le “Ville”, ab antiquo, sono state abitate da poche fa-miglie (patriarcali) derivanti da un capostipite (fra-

zioni del gruppo occidentale), o al mas-simo due o tre (gruppo orientale), equindi legate da vincoli di parentela,rinsaldati dalle comparanze. Costituiva-no una vera e propria comunità clanico-tribale autosufficiente, caratteristica chehanno conservato fino in tempi recenti.Ogni frazione ha la sua chiesa (talvoltaanche più di una), il suo fontanile, il suoforno comune, la sua piazza, la sua oste-ria e talvolta il suo piccolo emporio (og-gi scomparsi).Quasi tutte, con il tramonto della civiltàcontadina, hanno subito un massicciospopolamento, così che in inverno at-tualmente vi risiedono poche famiglie.Fa eccezione la frazione di Terzone, lapiù abitata, dove si è mantenuta unaprospera economia basata sull’alleva-mento, l’agricoltura e l’artigianato. Nona caso qui si è mantenuta anche una co-munità coesa, fortemente attaccata alletradizioni ed alle proprie radici.Prima di passare a parlare delle frazionie delle loro chiese, occorre far presenteche quasi tutte hanno subito diversi re-stauri, ristrutturazioni (non sempreineccepibili), ricostruzioni, a causa didiversi eventi sismici, ultimo dei qualiquello del 1979 e del 1997.

95

Leonessa - Fontenova: dagli anni ‘60 è unanuova Frazione di Leonessa . Nella foto: Ristorante - Albergo “Da Mosè”

LE FRAZIONI

È ubicata a 10 Km da Leonessa sulla strada pro-vinciale per Posta, che termina sulla Salaria. L’eti-mologia del suo nome potrebbe esser fatta risalirealla radice Ligure Alb/Alp che designa un’alturaadibita a pascolo, alpeggio. Incerto è l’anno dellasua fondazione, anche se alcuni studiosi locali

identificano ilnucleo origi-nario con ilcastello diP o g g i o l u p opreesistente aLeonessa.È una delle fra-zioni più gran-di e più ricche,come testimo-nia la presenzadi alcuni palaz-zetti signorili.Molto svilup-pata è semprestata la pasto-rizia, con di-verse famiglieproprietarie di greggi di medie dimensioni (i Barberini, gli Stocchi, i Giu-liani) e l’artigianato. Attualmente la più grande impresa armentizia èquella di Domenico Stocchi, che produce dei prelibati formaggi di peco-

ra. Vi si trovanoanche due alber-ghi con relativi ri-storanti. Partico-larmente sentitoè il culto di SanNicola da Bari

96

LE FRAZIONI DEL PIANO DI SOPRA

In alto: Albaneto,chiesa di S. NicolaXIV-XV sec., inter-no.Sopra a sinistra:chiesa S. Nicolaorgano “ad ala”XVII sec.A lato: Albaneto -PanoramaPagina seguente, inalto: chiesa “LaMadonnella” XIII-XIV sec.In basso: Frazionialtipiano di sopra

Albaneto

la cui festa si celebra la pri-ma domenica di settembre.E nella chiesa a lui dedicata(XIV-XV secolo), ubicatasulla parte alta del borgo, sitrova un gruppo ligneo cherappresenta il miracolo del-le tre palle d’oro donate dalSanto a tre fanciulle (XVIIIsecolo). Il giorno della festaufficiale del Santo, il 6 di-cembre, si usano distribuirei pani di San Nicola.Nella chiesa si trova ancheun piccolo organo posi-tivo (portatile) di prege-vole fattura, tipico stru-mento “ad ala” della scuo-la romana del ‘600 che facapo al maestro organaroFilippo Testa (della cuiscuola si conservano a Ro-ma solo quattro esempla-ri). Ma quella di San Nicola non è l’unica chiesa di Albaneto. Ve ne sono altre due: una dedicata all’Annun-ziata, ubicata al centro del paese, un’altra, di più modeste dimensioni, ubicata in fondo al borgo, dedicata al-la Madonna degli Angeli, in dialetto denominata “la Madonnella”, (già figura nella Bolla di Anastasio IV del1153). Nella chiesa dell’Annunziata vi si trovano alcune pregevoli sculture lignee policrome: una Santa Luciacon gesto aggraziato, un crocefisso ben modellato del tardo Cinquecento, un vigoroso San Giovanni Battista,un modesto Sant’Antonio Abate, del primo ‘600.Queste due ultime chiese sono state gravemente danneggiate dal terremoto del 1979: la “Madonnella” è statadi recente restaurata con il contributo di alcuni privati.

97

98

99

Casanova

Un tempo era una delle frazioni più popolate, oggi vi abitano alcune fami-glie per lo più dedite all’agricoltura, ma il villaggio torna a riempirsi inoccasione delle feste e delle vacanze estive, con gli oriundi che tornano.Dista da Leonessa 3 Km. Ed è ubicata ad Est del Tascino sulla strada checonduce a Terzone. Vi si trovano due chiese, una dedicata a San Giovanni Battista,un’altra alla Madonna della Pace. La prima, fondata per volontà diLallo di Nicola Scannolini nel 1364, in origine absidata, presenta un por-

tale del XVI secolo; vi si con-servano diverse tele settecen-tesche, tra cui una Madonnadel r osario tra i SS.Domenico e Caterina che siispira ad un’opera del Marattae una Sacra f amiglia delXVII secolo attribuita aVenanzio Bisini. Da menzio-nare un fonte battesimale delXVIII secolo e l’altare mag-giore proveniente dalla diruta chiesa di Santa Maria della Strada,fondata nel 1616, già adibita a lazzaretto durante il colera del 1911.Delle tre tele dell’altare sono originarie e dell’epoca solo le due late-rali raffiguranti i SS. Pietro e Paolo, mentre quella centrale, moder-na, ha sostituito l’Assunta originaria andata distrutta. Recentementeè stato scoperto un ciclo di affreschi datati 1576, tra cui spiccanouna Madonna con Santa Elisabetta e il Bambino, San Bernardino daSiena e Sant’Antonio da Padova.La chiesa di Santa Maria della Pace fu fondata nel 1633 ed è ubicata a

metà paese. Vi si trovano le statue moderne di un San Giorgio, dai tratti tipicamente popolari, e della VergineImmacolata. Più interessanti sono due tele - una Madonna con Bambino e Santi e una f uga in Egitto, XVIIIsecolo – attribuite al Bisini e un affresco raffigurante una Madonna con Bambino del XVII secolo. Secondouna tradizione locale questa effigie era dipinta su di una pietra nel luogo dove per la devozione dei fedeli fu edifi-cata, nel XVII secolo, la chiesa attuale. Fino a qualche decennio fa la chiesa era ornata da un pregevole soffittoligneo, con lacunari dipinti a fiorani (1790) dal leonessano don Giuseppe Rubimarca. A causa dei gravi danni delterremoto del 1979, la chiesa è stata restaurata ed è stato sostituito il soffitto ligneo con una volta a capriate.

In alto a destra:Casanova - ChiesaMadonna della Pa-ce, altare maggiorecon l’effigie dellaMadonna della PaceSopra, Casanova -Chiesa di S. Giovanni:Madonna, S. Elisabet-ta e il Bambino, XVIsec.A destra Casanova -PanoramaA lato: S. Clemente- Vallimpuni - Mon-te Cambio

Colleverde

Si trova sulla strada per Terzone a 7 Km da Leo-nessa, alle falde del monte la Croce sulla sommitàdel quale anticamente sorgeva il castello di ColleSecco. Da qui lo sguardo si perde nel suggestivopanorama della pianura e dei villaggi sottostanti(Colleverde, San Clemente, Vallimpuni, Vallungaetc.), circondati dai monti e vi sono piantate duecroci (una guarda verso Colleverde, l’altra versoViesci). Sono inoltre ancora visibili le vestigia diquello che presumibilmente fu il castello di Colle-secco. Al di sotto delle mura di cinta si possono ve-dere dei terrazzamenti approntati per gli orti e lacoltivazione del farro.Il castello di Collesecco, appartenente alla cor-te di Narnate, è citato in una lista di beni dell’ab-

bazia di Farfagià nel IX se-colo. In segui-to fu aggrega-to al Sesto diCroce.La chiesa diColleverde èdedicata aSanta Luciae fu restauratadopo il terre-moto del1703. Fino aqualche tem-po fa vi si con-servava unapregevole seicentesca statua lignea che raffigura la Santa Siciliana, oggiin custodia presso il museo Diocesano di Rieti.

Cumulata

Stando ad alcuni documenti del VIIIsecolo è una delle frazioni più anti-che. Viene citata, infatti, con il nome“Ulmum” in un elenco di beni donatidal Duca Teodorico al Vescovo diRieti nel 772. 1 Ubicata sulla stradache da Viesci conduce ad Albaneto, ècostituita da un gruppo di tipiche ca-se rurali. Nella piccola chiesa dedica-ta a San Pietro vi si trovano interes-santi affreschi votivi risalenti al XVIsecolo, tra cui una Madonna diLoreto.Durante la seconda guerra, in questafrazione il 5 aprile del 1944 i tedeschifucilarono quasi tutti gli uomini.

100

Colleverde

Cumulata

Statua d i S . Luc ia, XVII sec .

Pianezza

Si trova arroccata su di un monte a 1077 metri di al-titudine, lungo la strada che collega Leonessa conTerzone a 13 km dal capoluogo. È una delle frazionipiù antiche; del castello di Pianezza, infatti, si parlagià in alcuni documenti che risalgono alla domina-zione Longobarda. Tra il XII e il XIII secolo, per lasua posizione strategica, fu spesso oggetto di contesetra il ducato di Spoleto e alcuni feudatari Umbri.La frazione ha tutto sommato ben conservato le ca-ratteristiche urbanistiche originarie, tipiche del ca-strum fortificato: case alte, compatte e addossate,

poche finestre, piccole, alte rivolte all’interno, comelo sono le porte, strade strette e contorte, assenza diuna vera e propria piazza. Prima del terremoto del1703 vi erano tre chiese,la più antica e la più bel-la delle quali era dedi-cata a sant’Agabito, ubi-cata all’esterno del pae-se. Al suo interno, inve-ce, tutt’ora si trova la

chiesa di San Biagio (1475) ad unica navata conabside nascosta da un altare barocco in muratura,opera dei Bisini. Sulle pareti dell’abside sono visibilitracce di affreschi del XVI secolo, il più integro è unSan Biagio.2

Da menzionare sono anche una tela che raffigura laMadonna del r osario (XVII secolo) e alcunepregevoli sculture: una Madonna col Bambino eun Sant’Antonio Abate risalenti al XVI secolo;un lezioso Sant’Agapito, in legno policromo, risalen-te al XVIII secolo. Poco fuori l’abitato, attigua al ci-mitero, è ubicata la chiesa detta la Madonna costrui-ta, forse, al posto di un’altra, assai più bella, fondatanel 1509. Pianezza va menzionata anche perché vi sipuò ammirare lo stupendo panorama della sotto-stante piana di Terzone e Chiavano.

101

In alto a destra: Pianezza- Chiesa di S. Biagio -Altare della Madonna delRosario XVII sec.Sopra: chiesa di S. Biagio,statua lignea di S. AntonioAbate XVI sec. A destra: Pianezza -Panorama

Piedelpoggio

Ubicata ad un Km dall’anticastrada (oggi sterrata: Via deiPassanti) che collegava Leo-nessa con Posta, è una dellefrazioni più grandi del Co-mune di Leonessa; fino aqualche decennio fa era an-che molto abitata. Aveva lasua osteria, il suo emporio, ilsuo calzolaio, il suo ufficiopostale. Molto interessantedal punto di vista urbanisti-co, vi nacque nel 1801 il poe-ta pastore Angelo f eliceMaccheroni, autore dellafamosa Pastoral Siringa,opera in versi sulla vita deipastori. E la pastorizia èsempre stata l’attività principale dei suoi abitanti. La chiesa parrocchiale è intitolata a Santa Maria diCerreto (XV-XVI secolo) e vi si trovano un paio di sculture lignee: un Battista e Sant’Antonio Abaterispettivamente del XVI e del XVII secolo. Nella vicina frazione di Villa Immagine, all’interno dellachiesina si trova una Crocifissione con la Madonna e San Michele Arcangelo (XVIII secolo).

102

In alto: Villa Immagine. Sopra: Piedelpoggio

Sala

Si trova sulla strada per Terzone, poco dopo Vindoli,a 9 km da Leonessa.Secondo uno studioso locale questa frazione trae ilsuo nome da un toponimo prelatino, aggiungiamonoi, mediterraneo e che designa un’erba palustre. Ineffetti Sala è ubicata allo sbocco del pian diChiavano, un tempo palustre, come lascia intendereanche il toponimo “San Iuvimalis in lacu” (SanGiovenale), paese situato poco più a monte. Ma iltoponimo Sala è riconducibile anche al longobardoSala, che designava un grande edificio adibito allostoccaggio dei prodotti agricoli. Tuttavia, la prima citazione scritta risale al 1153 e sitrova nella Bolla di Anastasio IV, nella quale si fariferimento alla chiesa “Santa Maria de Sala”, comesede di una pievania.L’antica chiesa subì diversi restauri, finché nel 1509non venne portata a termine la facciata. Con il terre-moto del 1703 fu distrutta e sopra le sue fondazioniriedificata la chiesa attuale. In questa si trova unfonte battesimale del XV secolo, sul quale sonoscolpiti il trigramma di San Bernardino, la croce sutre monti e un giglio angioino, elementi, questi ulti-mi, che rimandano allo stemma del Sesto di Croce dicui faceva parte la frazione.Da ricordare, inoltre, che a Sala si sposò ed abitòCastoria, una delle sorelle di San Giuseppe daLeonessa, e che nel cimitero si custodiscono le spo-glie mortali del pluridecorato Costatino Palmieri,caduto sul fronte di San Marco di Gorizia il 1°novembre 1916.

103

In alto: Sala - chiesa di S. Maria XIII sec. e Fonte Battesimale XV sec. In basso: Panorama. Pagina seguente: Altipiano Est

In alto: Sant’Angelo in Trigillo - chiesa San Michele. Sopra: Sant’Angelo in Trigillo - Panorama

È ubicato sulla strada che tran-sitando per Sala conduce aTerzone, a 11 km da Leonessa.Secondo un’antica tradizionein questa frazione nacque nel1408 il famoso condottieroGentile Brunori Bocarini,detto “Il Magnifico”.Tre erano le chiese di questafrazione prima del terremotodel 1703: la Madonna del Gi-glio, San Silvestro e San Miche-le Arcangelo; l’unica superstiteè quest’ultima, posta poco al difuori del paese. Di un certo in-teresse è una piccola statua li-gnea, placcata d’oro, raffigu-rante la Madonna del Giglioche proviene dalla chiesa omo-nima (XVI secolo).

106

Sant’Angelo in Trigillo

107

San Giovenale

Si trova a pochi Km dalla strada per Ter-zone e a circa 13 km da Leonessa. Il vil-laggio appare citato in un documento ri-salente al 955, con il nome latino di SanIuvenalis. Nella Bolla di Lucio III del1182 viene menzionata la chiesa di San-ctus Juvenalis in Lacu, da cui possiamoanche dedurre che in quel periodo vifosse ancora il lago.3 Paese e chiesa an-darono distrutti con il terremoto del1703, ma furono subito ricostruiti. Pocodistante dal paese, tra l’ampia fiorita deiprati, si trova il Santuario della Ma-donna della Paolina, così chiamatodal nome della donna miracolata dallaVergine, Paolina Giovannoli, che ne pro-pagò la devozione nel XVII secolo. Con iltrascorrere dei secoli la venerazione po-polare si accrebbe ulteriormente per ef-fetto di alcuni altri prodigi attribuiti allaVergine della Paolina, tra cui la guari-gione di un bambino di Pianezza, Ga-briele Giamminuti, calpestato dallezampe del cavallo di un ufficiale durantel’occupazione militare francese (fine‘700) e quella di Benedetto Giamminnu-ti afflitto da gravi reumatismi nei con-fronti dei quali a nulla erano valse le cu-re dell’arte medica (entrambi i miracoliLeonessa - Chiesa Santa Maria del Popolo: Madonna della Paolina XIX sec.

San Clemente

È ubicato sulla stradaper Posta a 6 km daLeonessa. È un grazio-so borgo affacciatosulla vallata del MonteCambio: un paesaggiodavvero stupendo. La chiesa è dedicataal Santo che dà ilnome alla frazione edè citata in alcuni docu-menti del XV secolononché in diverse visi-te pastorali del XVIsecolo. In questa fra-zione nacque nel 1883P. Mauro Nardi mis-sionario in Eritrea,studioso della lingua edella cultura Tigray. San Clemente - Panorama

108

sono rappresentatisu alcune tele espo-ste nel santuario).Sotto l’eco di taliaccadimenti, nelXIX secolo la cap-pella fu ampliata etrasformata in san-tuario, il quale di-venne meta di cultoe di pellegrinaggi apiedi o con i carriprovenienti daipaesi e dai villaggivicini, soprattuttonel mese di maggioed in occasione del-la festa del 25 ago-sto. Non pochi do-vevano essere i pel-legrini che si reca-vano al santuarioanche per impetra-re qualche grazia alla Madonna, come attestano i numerosi ex voto appesi ancora alle pareti dell’altare dellaVergine. Tra questi sono da segnalare, per il loro carattere tipicamente popolare, quattro PGR (per grazia rice-vuta) dipinti a mano e risalenti al XIX secolo. Come in altri casi, la festa, parallelamente alla dimensione sa-cra, ne sviluppò una profana che trovò espressione sia nella caratteristica fiera del 25 agosto - fiera di merci edi bestiame - la cui istituzione ufficiale risale, probabilmente, agli inizi del XIX secolo, sia nell’organizzazionedi giochi, danze, etc., sia nei caratteristici pranzi sui campi approntati dai pellegrini, spesso accompagnati dalsuono dell’organetto.I pellegrinaggi e la fiera del bestiame, con i caratteristici tori e buoi infiocchettati per l’occasione, si sono man-

tenuti in vita fino agli ’60 del XXsecolo. Oggi sono stati soppian-tati da una fiera di macchineagricole e di merci e da una pro-cessione con un’icona della Ma-donna, posta su di un auto, cheva a fare visita alle chiese e ai fe-deli dei villaggi vicini la vigiliadella festa. Nel Santuario si tro-vano diverse tele, tra cui quattroovali di Virginio Monti (1911),raffiguranti San Francesco d’As-sisi; San Giuseppe da Leo-nessa, Santa Rita da Cascia eSanta Lucia; tre ex voto effi-gianti alcuni miracoli della Ma-donna, attribuibili a VenanzioBisini. Una grande tela raffigu-rante la Madonna della Paolinadel 1801 e una più piccola dellaGiovannoli che, pregando din-nanzi alla quale ebbe una grazia,furono rubate nel 1975.

San Giovenale - Panorama

Santuario “Madonna della Paolina”

Si trova sulla medesima strada di cuisopra, a 12 km da Leonessa.È una delle frazioni dal paesaggio piùsuggestivo, inserita in una stupendacornice di verdi e vasti pascoli ricchid’acqua. Del toponimo “Sanctum Vi-tum” si trova menzione già in una li-sta di beni del 924 ceduti da Campo,abate reatino, a suo figlio Giso dettoTakeprando.4

Con la fondazione di Leonessa San Vitofu accorpato al sesto di Croce, sotto lagiurisdizione ecclesiastica Reatina.La devozione popolare nei secoli ha at-tribuito a San Vito, patrono del villag-gio, il protettorato sulle serpi e sui mor-si di cani idrofobi, mutuandolo forse daanaloghi temi presenti in altri paesiabruzzesi (vedi Cocullo). Comunque aSan Vito per la festa del 15 giugno nonerano pochi i Leonessani e non che vi sirecavano in pellegrinaggio per impetra-re grazie e per assistere alla processionecon la statua del Santo, alla quale parte-cipavano i serpari con le serpi avvoltesul corpo. Ma quello che colpisce di piùè la singolare familiarità dei Sanvitanicon gli ofidi, dei quali non avevano pau-ra poiché quelli che vivevano nel territo-rio della frazione (“quelli buoni”) eranoinnocui: “le serpi de san Vito”. Si lascia-vano tranquillamente prendere anchedai bambini che ci giocavano, si intrufo-lavano nelle case, bevevano il latte dalleciotoline che spesso i sanvitani appone-vano fuori la porta di casa e, verso l’oradella mungitura, entravano nelle stalle,dove i contadini le lasciavano bere dalsecchio del latte appena munto.I serpenti si rifiutavano di abbandonare il paesinopoiché secondo una credenza, che trovava un certoriscontro nella realtà (nella frazione vi sono semprestati molti ofidi), “da secoli san Vito voleva che quel-le creature così docili ed innocue restassero nel pae-se a testimonianza della sua paterna protezione equando le serpi venivano allontanate incominciava-no a gonfiarsi e a soffiare.” Da qui quell’aurea di sa-cralità attribuita dagli abitanti del villaggio agli ofidibuoni, con il conseguente tabù della loro uccisione.Alle vipere, invece, come ai cani idrofobi, il Santo“proibiva l’ingresso nel territorio del paese).Tutto questo, che sembrerebbe frutto dell’immagi-nazione popolare e della leggenda, trova, invece,conferma nella relazione che il Vescovo di Rieti

Quintarelli stilò in occasione della Visita Pastoraledel 1908 alla frazione.6

Nella chiesa dedicata al martire siciliano, rammo-dernata e ubicata ora all’interno del paese, è con-servata una statua lignea del Santo e nell’altaremaggiore una Madonna con il Bambino tra iSanti Antonio Abate e Vito del XVIII secolo.Poco oltre l’abitato si trova la copiosa Fonte abbe-veratoio delle Scendelle, composta da ben diecigrandi vasche. Fu realizzata dalla creativa impresaedile Cricchi Validoro di Vindoli ed inaugurata nel1918. È ubicata in un’amena valletta ricca d’acquae di vegetazione.Interessante è il toponimo “Scendelle” (da CentumCellae), che rimanda a insediamenti eremitici. Nella

109

San Vito

vicina Valnerina ve nesono diversi: “Fossodelle Scentelle”, presen-te sia nella montagna diSanta Anatolia di Nar-co, nei pressi della chie-sa della Madonna delleScentelle; sia in Valca-sana (in prossimità diGavelli), nella dizione“Fosso delle Centelle”. Iltoponimo è presenteanche sui Monti Sibilli-ni, “Romitoria delleCentelle” (Cimamonte),riferito ad un piccolooratorio campestre de-dicato alla Madonna.

110

In alto: San Vito, abside della chiesa - Sopra: Fonte delle Scendelle

Ubicata a 13 km circa da Leonessa – al confine conl’Umbria - in posizione strategica all’incrocio di trevallate, a ridosso di antichi tracciati viari che si incu-neano l’uno per la valle Fuina o di Trimezzo e cheprosegue per Norcia, l’altro per il Pian di Chiavano,verso il capitolium romano di Villa San Silvestro delIII secolo a.C., sul bordo di un’ampia zona palustre,che prosegue per Cascia ed infine il terzo, pedemon-tano, verso la pianura di Leonessa.7 Dato le sue carat-teristiche geografiche, la vicende storiche del potentecastello medievale di Terzone si intersecano sia conquelle di Chiavano e Cascia che con quelle di Leones-sa. L’originario castrum fu edificato su una altura aguardia della valle sul lato orientale della medesima.Subì gravi danni con il terremoto del 1703, che ri-guardarono anche gli edifici di culto.Attualmente è la frazione più grande ed abitata delComune di Leonessa. Comprende alcuni agglomeratiattigui ed inglobati tra loro: Terzone San Paolo,Terzone San Pietro, Terzone Cisterna, CasaBuccioli, Corvatello.I suoi abitanti, fra cui molti giovani, sono molto labo-

riosi e impegnati soprattutto nei settori dell’alleva-mento e dell’agricoltura ma anche dell’artigianato.Dato queste caratteristiche non stupisce che sia an-che la frazione dove più si sono conservate alcune an-tiche tradizioni, come ad esempio: il falò della nottedi Natale che dura fino all’Epifania, la Pasquarella,l’uccisione comunitaria del maiale e soprattutto lapoesia a Braccio, che annovera tra le sue fila ancoraquattro bravi cantori.8

Vi si trovano tre chiese due delle quali ricostruite suiruderi di quelle crollate nel 1703.La chiesa di San Pietro in Cellis è già menziona-ta in un documento del 1390 ma il suo toponimo e lecaratteristiche costruttive ed architettoniche dellacripta-oratorio di Santa Caterina, lascerebbero sup-porre una pre-esistente cella benedettina. La chiesaera del tipo “a capanna”, molto frequente nella mon-tagne Umbro-Abruzzesi, a due navate, con due colon-ne in mezzo e tre archi. Sotto una delle quali si trova-va l’oratorio di Santa Caterina d’Alessandria, utilizza-to come cripta quadrangolare (ancora accessibile dal-la chiesa dopo il terremoto del 1703), con un fram-mento di un affresco della Santa, ancora visibile.La piccola pietra scolpita che attualmente si trova a

111

Piano di Terzone

Terzone

112

lato del portale faceva parte della costruzio-ne originaria e reca scolpita in caratteri goti-ci la data AD MCCCXXXIIII (1344): è la piùantica iscrizione conosciuta nel territorioleonessano.L’altare maggiore è dedicato a San Pietro,con la pala raffigurante il Santo salvato dal-le acque, fu commissionata nel 1706 - comeex voto per lo scampato pericolo dal terre-moto - dal parroco Gregorio Coccia al pitto-re leonessano Antonio Congiunti. L’epigrafedella tela ricorda i fatti di quel terribileevento che a Terzone provocò 214 vittime.Dello stesso autore sono anche le due tele ailati della pala raffiguranti i Santi protetto-ri Emidio e Giuseppe da Leonessa(XVIII secolo). Sul lato destro si trovano:una statua lignea di Sant’Antonio Abate, lacui nicchia è sormontata da un affresco, re-centemente riportato in luce, raffigurante –a detta degli esperti – lo stemma dei Farne-se, l’altare dedicato a Sant’Antonio da Pado-va e due tele raffiguranti la Vergine tra iSanti Pietro e Vincenzo Ferreri e San Giu-seppe da Leonessa, attribuite al Bisini.Sul lato sinistro si trovano una tela raffigu-

rante la Madonna di Loreto, gli altari dedicati a SantoStefano ed alla agostiniana Madonna della Cintura(opera dei Bisini, come tutti gli altri stucchi), al cultodella quale è annessa una Fraternita costituita nel1769. Il fonte battesimale risale al XVII secolo.La chiesa ha subito notevoli danni con il terremoto del1979, ma è stata recentemente restaurata. L’antica vol-ta in muratura, gravemente lesionata, è stata sostituitada un soffitto in legno.Nella chiesa di San Paolo, risalente al XV secolo, sitrovano un’interessante Madonna col Bambino ingrembo (1521) dello scultore Giovanni Frasca origi-nario di Cascia e un’altra scultura lignea raffiguranteSan Venanzio (XVIII secolo), attribuita al Bisini.Va menzionata anche la tela della Madonna del Rosa-rio risalente ai primi anni del XVII secolo.Un cenno, infine, merita la piccola chiesa dedicata allaMadonna della Cisterna, costruita agli inizi del 1700,subito dopo i lutti del terremoto.A Terzone la terza e la quarta domenica di agosto si svol-gono due importanti feste: una dedicata a San Giuseppeda Leonessa, l’altra alla Madonna della Cintura.

113

In alto a sinistra: Terzone - Chiesa di S. Pietro, S. Pietro salvatodalle acque XVIII sec., Antonio CongiuntiIn alto a destra: Terzone - Chiesa di S. Paolo, Madonna colBambino in grembo sec. XVI, Giovanni Frasca.A fianco in alto: Terzone - Corvatello - PanoramaA fianco in basso: Terzone - Panorama

Vallimpuni

Per la sua vicinanza con la frazione di San Clemen-te, a Leonessa si usa dire: «San Clemente e Vallim-puni só attaccate có le funi”. La sua origine è moltoantica; troviamo citata, infatti, una sua chiesa “San-t’Andrea di Valle Impuni”, già diruta in un docu-mento del XV secolo.9 Vi si trovano la chiesa di San-ta Margherita menzionata già in diverse visite Pa-storali del XVI secolo -nella quale si trova una te-la della Santa del XVIII secolo - e il piccolo Santua-rio della Madonna Grazie ubicato all’entrata ap-pena fuori dal paese. Questo, secondo un’antica tra-dizione, sarebbe stato eretto per volere di Marghe-rita d’Austria nella seconda metà del XVI seco-lo. A conferma di ciò sembrano concorrere la collo-cazione dello stemma dei Farnese sull’altare, e lasua citazione in una visita pastorale del 1574.10 L’edi-ficio sacro ha subito nei secoli diversi restauri e ri-maneggiamenti, fra i quali la costruzione della torrecampanaria (1934) a spese del parroco di San Cle-mente don Bernanrdo Nardi. Da segnalare l’affrescodella Madonna delle Grazie XVII secolo e ilfonte battesimale del XVI secolo. Fino agli ’60,l’otto settembre vi si celebrava la festa della Nativi-tà della Vergine, con una annessa grande fiera.

114

Vallunga

E’ situata sulla strada che collega Leo-nessa a Terzone, a circa 6 km dal capo-luogo, alle falde del Monte Pelato (oMonte la Croce). Qui sono visibili unachiesina e i ruderi della Rocca del castel-lo di Narnate, scandalosamente sormon-tati da alcuni ripetitori tv. La piccolachiesa, dedicata alla Santa Croce, fu eret-ta, in un epoca imprecisata, a protezionedi una croce piantata da San Giuseppe daLeonessa. Vi si celebrano ancora le festetradizionali della Croce del 3 maggio edel 14 settembre. Tutt’ora vi si trova unaCroce lignea, piantata sulla roccia dietrol’altare maggiore, con incastonato unAgnus Dei. Vallunga è una delle frazionipiù antiche e presenta un assetto urbani-stico che, pur nella sua crescita emotiva,rimanda a quello tipico dei borghi me-dievali. La chiesa, dedicata a San Ni-cola da Bari, fu ricostruita dopo il ter-remoto del 1703 sui ruderi di quella ori-ginaria risalente al XIV-XV secolo. Ope-re al suo interno degne di nota sono: unapopolare e nello stesso tempo goticheg-giante scultura lignea raffigurante San-t’Antonio Abate (XVI secolo), la palad’altare effigiante la Madonna del Rosa-rio tra i Santi Domenico e Caterina, attri-buita al pittore leonessano Giacinto Boc-canera (1666-1746) e una Crocifissioneattribuita al Bisini.

115

Sopra: Vallunga - Panorama A sinistra: Chiesina“Colle la Croce” e Leo-nessaA lato, sopra:Vallimpuni - Santuario,immagine Madonna del-le GrazieA lato, sotto:S. Clemente, Vallimpuni,Cumulata, Montagna diSantogna

Viesci

Situata a 9 km circa da Leonessa e ad un paio di km da Vin-doli, nei secoli trascorsi era una delle frazioni più popola-te: nel XVII secolo contava più di 500 abitanti. Nei docu-menti antichi compare anche con il nome di Blesum, o Vil-la Blesi.11 Secondo una antica tradizione riportata nel libroL’origine di Leonessa e delle sue ville, questa frazione fuuno dei nuclei che contribuirono alla fondazione di Leo-nessa nel XIII secolo. La notizia ci sembra verosimile se te-niamo anche conto del fatto che Viesci è ubicato alle pen-dici dell’altura dove sorgeva il castello di Collesecco.12 Lachiesa è intitolata a San Michele Arcangelo ed è già ci-tata in alcuni documenti risalenti alla fine del XIV seco-lo. Presenta una struttura piuttosto tozza ed è affiancatada una robusta torre campanaria. Vi si trova una statualignea del XVII secolo raffigurante la Vergine in tro-no placcata in oro, che rimanda agli stilemi Abruzzesi giàutilizzati da Mario di Giovanni Frasca per la sua Madonnain trono, di Terzone. Nella chiesa sono presenti anche di-verse altre sculture e tele del XVII-XVIII secolo, la campa-na della chiesa dell’antico convento di Sant’Egidio di Val-lonina e diversi ex voto dipinti a mano.

116

In alto: Chiesa di Viesci dedicata a San Michele Arcangelo. Sopra: Viesci, panorama

Vindoli

Il toponimo di questo grazioso paese, soprattutto nellasua antica forma latinizzzata “Vinuli”, pare denotareun’origine longobarda. Sembra, infatti, derivare dal ter-mine “Winnili” (combattenti) che designava le originarietribù longobarde. Ora, considerando alcuni dati storicicome la sua vicinanza al castello di Narnate d’origine lon-gobarda, e a Sala, l’ipotesi non sembra essere peregrina.Il villaggio è ubicato alle falde del Monte Tolentino a cir-ca 8 km da Leonessa, sulla strada per Terzone. Presentadelle caratteristiche urbanistiche che rimandano ai tipiciborghi medievali: strade in salita, strette e tortuose, edi-fici non molto alti, archetti ribassati, chiesa situata nellaparte più alta.Il toponimo Venuli già compare in un documento relativoai confini della Diocesi Reatina già nel 1182. Altra citazio-ne con la dicitura “Sanctus Joannes de Vinul” si trova inuna lista di chiese risalente al 1252.14 Quest’ultima infor-mazione unita alla posizione della chiesa – tutt’oggi dedi-cata a San Giovanni – lascia presupporre che, nel XIII se-colo, la collocazione del paese fosse la stessa di quella at-tuale. Secondo un’antica tradizione locale, invece, origi-nariamente il paese era ubicato nella spianata, di fronteall’attuale nucleo, attigua alla strada che conduce a Vie-sci. Comunque sia, si doveva trattare di un paese floridocome lasciano presupporre alcuni cinquecenteschi edifici

117

In alto: Vindoli - Chiesa S. Giovanni Battista. Sopra: Vindoli, panorama

con portali bugnati e riquadrature cordonate a punte didiamante. Rinomato era il paese per l’arte fabraria, nel-l’ambito della quale si producevano delle raffinate e robu-ste armi da guerra. La tradizione prosegue tuttora ad ope-ra degli eredi di quei Labella, artisti del ferro, che per se-coli hanno forgiato il duro metallo. Negli anni trascorsi i giovani del paese vi hanno organizza-to il presepe vivente, con ottimi risultati conseguiti ancheper merito della stupenda cornice scenografica fornita dalpiccolo borgo. Attualmente vi si celebra la festa del S.S. Sa-cramento, con una solenne suggestiva processione, laquarta domenica di Agosto. Vindoli è stata la frazione in cui più sviluppato di tutte èsempre stato il culto del Battista, eletto patrono del paese.In occasione della festa (24 giugno), parallelamente al ce-rimoniale ufficiale, i fedeli approntavano tutta una serie dirituali extra liturgici: accensione del falò e loro salto, rac-colta delle erbe medicinali e loro apposizione sulle fine-stre, abluzioni con la rugiada, stabilimento di comparanze.Nella chiesa dedicata al Precursore, particolarmente signi-ficative sono la bella pala d’altare raffigurante il Batte-simo di Gesù (XVI secolo) e la piccola settecentesca te-la effigiante la Madonna con il Bambino, tra i Santi Emi-dio, Giuseppe da Leonessa ed altri e un ritratto di S. Giu-seppe, opere di Vincenzo Bisini. Negli anni ‘70 di fronte alla chiesa è stata posta una statua del Cristo del-le Montagne realizzata dallo scultore Giorgio f iordelli.

118

In alto: Vindoli - Chiesa di S. Giovanni Battista, ritratto di S. Giuseppe da Leonessa XVIII sec. Vincenzo BisiniSopra: Vindoli - Cristo delle Montagne Giorgio Fiordelli XX sec.

Volciano

È situato a 7 km circa da Leonessa, sul lato destrodella strada per Terzone. Secondo alcuni studio-si locali il suo toponimo rimanderebbe a Vulca-no: luogo dove “erano le fucine”. In effetti, in al-cuni documenti del XII-XIII secolo figura il topo-nimo “Volcano” o “Vulcanis”, in riferimento allasua chiesa.Nella parte alta del piccolo borgo èben riconoscibile il nucleo originario, con edificidi armonioso impianto che rivelano un’ anticaagiatezza. Da segnalare una bella finestra, con gli stipiti or-nati di fregi, che si trova sulla facciata di una abi-tazione datata 1533. Di fronte al nucleo sulla sini-stra della strada vi sono i resti dei capannoni del-la Pinciara, dove - seppur tra alterne vicende -dal XVI secolo fino agli anni ’60 del XX secolo sisono fabbricati laterizi.Nel paese vi si trovano due chiese: una dedica-ta a San Michele Arcangelo, chiusa al culto, giàcitata in alcuni documenti del XII-XIII secolo;l’altra, di notevole interesse, intitolata alla Ma-donna delle Grazie, ubicata lungo la strada,con la bella facciata (1590) in conci di pietrabianca locale. Secondo un’antica tradizione, nondocumentata, l’edificazione di questa chiesa fuvoluta da Margherita D’Austria. Al suo internosi trovano alcune tele del XVII secolo tra cuispiccano una Madonna del Carmine tra i SS.Giovanni Battista e Giovanni Evangelista. Di mi-nore importanza sono le tele raffiguranti la Ma-donna del r osario (con scene dei misteri epersonaggi della battaglia di Lepanto), l’Arcange-lo Gabriele e la Vergine Annunziata, che accom-pagnano l’affresco dell’altare centrale. Questoraffigura una Madonna delle Grazie collocataall’interno di una grossa struttura lignea barocca,sormontata da quattro angeli dorati.16

Da segnalare, per il suo valore devozionale, an-che diversi Per Grazia Ricevuta dipinti su telatra cui l’affresco dipinto sul nicchione di destradell’altare maggiore, effigiante la Natività dellaVergine, ex voto di un certo “Michelangelo diCumulata”.Un cenno a parte merita il bel fontebattesimale rinascimentale collocato sulladestra dell’entrata della chiesa, trasferito in que-sta dalla parrocchiale di San Michele Arcangelo,probabilmente dopo gli inizi del XX secolo. Ilfonte è costituito da una vasca rettangolare dipietra bianca decorata con diverse iscrizioni ine-renti al battesimo, dallo schema di sapore rina-scimentale. Ad un intervento successivo si riferi-sce la data 1716 scolpita sulla mensola di soste-gno; posteriore è anche la piramide di pietra po-sta a copertura della vasca.

119

In alto: Chiesa di Volciano dedicata alla Madonna delleGrazie (1590)Sopra: Volciano - Chiesa Madonna delle Grazie - affresco che raffigu-ra la natività della Vergine.Pagina successiva: Altipiano delle Ville di Sotto

122

Come già accennato, questo gruppo di frazioni portail nome di un unico capostipite proprietario o colonodella proprietà terriera nella quale fu costruito il ca-sale originario: Cola Pietro ad esempio, era il casaledi Cola di Pietro; Colabucci (dal XVII secolo VillaCarmine) era il casale di Cola di Buccio, e così via.Ancora oggi nel dialetto leonessano il nome delle fra-zione viene preceduto dal prefisso «Ca’»= casa. Cosìabbiamo Ca’ Lucciu (Villa Lucci), Ca’ Cordeschi (Vil-la Cordeschi), Ca’ Massu (Villa Massi) etc.Dal punto di vista tipologico queste “Ville” sono assi-milabili al modello celtico di villaggio “ammucchia-

to”, dalla disposizione irregolare delle case attornoad un edificio di rilievo (palazzo del signore o del pro-prietario terriero, chiesa) e con una piazza, luogo del-le varie vicende della vita comunitaria.Le abitazioni rurali originariamente erano ad un pia-no. Al piano terra c’erano la stalla e il magazzino ocantina “vota”, al primo piano il fienile e l’abitazione.A questa si accedeva attraverso una scala esterna inmuratura coperta da tettoia. Dopo il sisma del 1979la maggior parte degli edifici sono stati restaurati, maspesso senza tener conto dell’impianto originale: ciòvale un pò per tutte le frazioni e anche per Leonessa.

123

LE FRAZIONI DELL’ALTIPIANO “DI SOTTO ”

A lato: Leonessa - Ville di Sotto - Altipiano nord. Sopra: Ville di Sotto, zona Gravare

Villa Alesse

È un tipico villaggio rurale ubicato a 3 km da Leones-sa sulla strada per Villa Lucci. La chiesa è dedicata a San Pietro e risale al XVIIIsecolo, anche se il portale presenta caratteristichedel XVI secolo; per cui è lecito supporre che proven-ga da altro edificio. All’interno della piccola chiesa si trovano una tela delXVIII secolo raffigurante l’Annunciazione tra i

Santi Pietro, Paolo e Francesco, attribuita al Bisini,ed altre opere del XIX secolo.

Villa Berti

Stando a due date scolpite su alcuni architravi la fon-dazione del villaggio risalirebbe al XVI secolo. La pic-cola chiesa è dedicata alla S.S. Trinità e vi si trovauna bella tela del XVII secolo raffigurante la Trini-tà con Sant’Agostino in estasi.

124

Villa Ciavatta - Panorama

Si trova ubicata a 3 Km da Leonessa sulla strada sta-tale che conduce a Rieti.Si tratta di una frazione grande ed importante, bastidire che tra il XVIII ed il XIX secolo fu sede della do-gana e sede parrocchiale titolata a san Vincenzo Fer-reri. La chiesa fu realizzata dagli abitanti di Villa Bi-gioni usufruendo, nel 1831, di un contributo econo-mico dell’arcivescovo di Spoleto Mastai Ferretti (chepoi diverrà papa col nome di Pio IX), su progettodell’architetto reatino Giuseppe Carloni. Negli anni‘20 del secolo scorsoalla sua parrocchiafurono unite le fra-zioni di Villa Cola-pietro, Villa Carminee Villa Pulcini. La facciata dellachiesa è arricchitada un rosone ed unportale in pietra ros-sa locale provenientidalla “cava rossa”del Monte Tilia –Villa Bigioni. Sul-l’angolo sinistro siinnalza il campanilea torre.All’interno si pre-senta ad unica nava-ta di forma rettango-lare con abside qua-drata: l’altare mag-giore la divide dallanavata e presentauna pala raffiguran-te i SS. Vincenzof erreri ed Anto-nio da Padova(XIX sec.). Gli altriquattro altari latera-li, due per parte, so-no dedicati alla Ver-gine Immacolata, al-la Madonna del Ro-sario, alla Verginedella Vittoria(rappresentata amezzo busto colBambino, di caratte-re votivo). L’altarealla destra dell’en-trata è dedicato aSan Fedele da Sig-maringen – primomartire Cappuccino,

canonizzato da papa Benedetto XIV nel giugno 1737– e San Giuseppe da Leonessa. Tutte tele del XIXsecolo.Da segnalare una acquasantiera risalente al XVIIsecolo in pietra rossa locale.La frazione dette i natali a Padre Giuseppe Massi(1878 - 1957), zelante missionario a Manaus inAmazzonia.A Villa Bigioni la grande festa in onore dell’Immaco-lata, con sagra, si celebrava la terza domenica di set-tembre, la domenica successiva alle feste settembri-ne in onore di san Giuseppe da Leonessa.

125

Villa Bigioni, Villa Massi, Villa Cordeschi, Casale dei Frati

Villa Bigioni

126

Villa CarmineÈ ubicata sulla strada per Villa Pulcini, a qualchecentinaio di metri da Villa Bigioni. Deve il suo nomealla presenza dei Carmelitani; precedentemente lafrazione si chiamava Villa Bucci. I religiosi vi si insediarono nel 1609, provenienti dalloro ormai fatiscente convento di Sant’Andrea Corsi-ni di Leonessa. I Carmelitani ampliarono la chiesapreesistente dedicata a San Domenico e custodita daun eremita, intitolandola a loro volta alla Madonnadel Carmelo. Il convento annesso, dopo diversesoppressioni e riaperture, fu definitivamente chiusonel 1903. La chiesa, più volte restaurata, presenta un tetto acapriata del XVIII secolo, con incisioni a torciglioni,interessante esempio del locale artigianato del legno.All’interno dell’edificio sacro vi trovano un altaremaggiore dedicato alla Madonna del Carmelo(XVII secolo) e sei altari laterali (tre per lato) in le-gno policromo - risalenti tra il XVII e il XIX secolo -opera di artigiani locali. Tra le tele di questi altari è da segnalare una pregevo-le Madonna del r osario tra devoti e i SS. Marcel-lino, Egidio, Domenico, Caterina (XVII secolo). Da

segnalare sono anche: un ritratto di San Giuseppeda Leonessa (XVIII secolo), recentemente attri-buito a Venanzio Bisini, un Crocifisso ligneo delXVII secolo ed un affresco raffigurante la Ma-donna con Bambino (XVI secolo).

Villa Ciavatta

In questa frazione da segnalare due date scolpite su ar-chitravi di alcune abitazioni civili (1512 e 1559) che fis-sano la sua fondazione al XVI secolo. Mentre del XIIIe del XIV secolo è un’acquasantiera collocata all’inter-no della modesta chiesa di San Lorenzo Martire.

Villa Gizzi

E’ situata a 4 km da Leonessa sulla Statale per Cascia.La frazione trae nome da un casato leonessano chenel XVI secolo godeva di ottima reputazione per cen-so e dignità. La chiesa è intitolata a San Bonaven-tura ed al suo interno sono conservati una tela raffi-gurante la Crocifissione tra la Madonna e San Bo-naventura (XVII secolo) e un Crocefisso ligneo(XVIII-XIX secolo) di autore locale ignoto.

Villa Carmine

È’ ubicata a 4 km da Leonessa e la sua fondazione è dacollocare tra il XV e il XVI secolo. Con il trascorreredei secoli, Villa Lucci ha inglobato anche il confinantenucleo Cataianni. Sull’architrave della porta di un edi-ficio privato ubicato a metà paese si trova scolpito lostemma del Sesto di Forcamelone a cui appartenevala frazione. Nella seconda metà del XIX secolo, con losmembrarsi delle antiche Pievanie Sestiere dentroLeonessa, tra cui quella di San Massimo di Forcame-lone, la chiesa di San Giovanni Battista di questafrazione divenne sede parrocchiale.Al suo interno visono cinque altari le cui tele risalgono al XVII-XVIIIsecolo. Nella pala dell’altare maggiore è raffigura-ta una Madonna in trono con il Bambino, ilBattista e Sant’Antonio da Padova (XVII seco-lo). Da segnalare sono anche: la tela del Crocifisso,attribuita al Bisini (XVII secolo); quella della Ma-donna della Cerqua (quercia), con i SS. Marco eGiuseppe da Leonessa, sempre del Bisini, quella raffi-gurante la Madonna del r osario (XVII secolo),tra i Santi Domenico, Chiara, attribuita alla clarissaleonessana suor Agnese Scagnoni, vissuta nel mo-

nastero di Santa Lucia di Leonessa tra il 1611 e il 1640.Negli anni ’70 del XX secolo, l’attiva Proloco di questopaesino ha per alcuni anni organizzato in importantecorsa podistica di rinomanza nazionale: il famoso“Gran premio Villa Lucci”.

Villa Massi

La piccola chiesa è intitolata a Santa Maria dellaNeve, al suo interno vi si trova una tela raffigurantela Madonna con alcuni Santi, tra i quali Giusep-pe da Leonessa, da attribuire al Bisini.

Casale dei f rati

Di recente è stata scoperta la chiesina del XV seco-lo dedicata a San Nicola da Bari con il titolo di SanNicola da Giufolone. Nell’edificio, ora adibito afondaco di un’abitazione privata, sono stati rinvenu-ti alcuni pregevoli affreschi del XV secolo, raffi-guranti la Passione e la Resurrezione di Cristo. Nel1993 è stata edificata una chiesina sulle rovine di unapiccola cappella dedicata a S. Antonio da Padovae distrutta dal terremoto del 1979.

127

Villa Gizzi

Villa Lucci

Questa frazione è ubicata a circa 6 km da Leonessa,quasi a ridosso di quella che un tempo era linea diconfine tra il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio. Sitratta di una grande e, una volta, popolosa frazionetipicamente rurale dove si è sempre praticata l’attivi-tà agropastorale. Molti erano i pastori di Villa Pulci-ni che in inverno partivano con la transumanza ver-so i pascoli della Campagna Romana e della Marem-ma Toscana (Capalbio), percorrendo l’antico trattu-ro per Polino. Parte di questo percorso veniva usatoanche per recarsi a Ferentillo, paese con il quale, sindalla fondazione, Leonessa ha avuto scambi com-merciali, soprattutto di prodotti agroalimentari co-me olio, frutta fresca, vino, assenti a 1.000 metri dialtitudine. Sulla stessa strada a qualche km da VillaPulcini si trovava il castello di Camporsentino - dicui restano alcune vestigia - che con la fondazione di

Leonessa fu annesso al Sesto di Forcamelone. Nei pressi della frazione fu ritrovato l’11 giugno del1910 il reliquiario del cuore di San Giuseppe rubatodal Santuario. In questo luogo gli Alpini di Leonessavi hanno eretto una cappella nel 1985. Tra le varietradizioni, particolarmente diffusa è sempre stataquella della poesia a Braccio, con numerosi cantoridella casata dei Pulcini. La chiesa, dalla facciata a capanna, sorge nellapiazza all’inizio dell’abitato dove sbocca la stradaproveniente da Leonessa ed è dedicata al S.S. Cro-cifisso. Non vi si conservano opere di particolarevalore.Vi sono due altari e nel concavo della pare-te di fondo (quasi un abside) è dipinto il Crocifis-so con accanto l’Immacolata (del Murillo) eSanta Eurosia, patrona della frazione, che la fe-steggia il 10 luglio. Nella chiesa è collocata ancheuna statua dell’Immacolata che viene portata inprocessione il 15 agosto, festa principale del paese.

Villa Zunna

Secondo uno studioso locale Villa Zunnaera il luogo dove si fabbricavano le pignat-te e le pentole di coccio17. La frazione èubicata a 3 km da Leonessa, lungo la stra-da che conduce ad Ocre. La piccola chiesa,dedicata a Sant’Anna e povera nella suastruttura, è stata in passato richiamo perun intenso culto della Madonna dellaConsolazione, di cui si conserva una po-polare statua lignea del XVIII secolo

Capodacqua

Deve il suo nome alla ricchezza delle suesorgenti (ancora vi è una copiosa fontedall’acqua cristallina), alle quali attinge-vano gli abitanti del castello di Narnateattraverso un acquedotto scavato nellaroccia, di cui sono state rinvenute alcunevestigia durante i lavori di ampliamentodella strada di accesso negli anni ’70. Dimodeste dimensioni, costituisce però lapiù tipicamente rurale delle frazioni del-l’altipiano. Ed è l’unica che conserva an-cora le staccionate realizzate con le fasci-ne, senza chiodi, e la strada sterrata, cheprende avvio da Ocre e si snoda, costeg-giando il Tolentino, in un panorama dav-vero suggestivo, fino ad arrivare, primaalla frazione e poi al Monte Pelato.

128

A sinistra: Villla Pulcini - Monte Aspra m. 1652A lato: alcune frazioni dell’Altipiano di Sotto

Villa Pulcini

o cre

Si trova su un’altura adagiata in amena posizione tra il fiume Corno-Tascino e le pendici del Monte Tolentino. Dista 7 km da Leonessa e,come abbiamo già detto, è la frazione più antica di Leonessa. Ben con-servate sono alcune abitazioni, l’antico forno comunitario recentemen-te restaurato dai volontari della Pro-Ocre, e alcune fontane. A loro sideve anche l’allestimento, nei locali dell’ex scuola, del “Museo dellanostra Terra”: una ricca raccolta di oggetti e di foto della civiltà agro-pastorale e non solo. In estate in questa struttura si organizzano con-ferenze con collegate visite guidate al museo. Nel paese vi si trovanodue chiese. La più antica intitolata a San Paolo, ora cimiteriale, fufondata – come quella di San Giovanni a Casanova – per volontà diLallo di Nicola Scannolini – nel 1364. La conca absidale di questachiesa è completamente decorata con affreschi votivi risalenti aiprimi anni del XVII secolo. Al centro domina una suggestivaCrocifissione con a sinistra della croce, San Pietro, la Madonna e laMaddalena che abbraccia i piedi del Cristo, a destra i SS. Paolo,Giovanni Evangelista e Giovanni Battista. Sotto quest’ultime tre figure si trova la seguente iscrizione: “Que(ste) tre figure la fata (fr)Abitio. D. Cobavino. P.S. Devotione. 1605”. Altri Santi sono dipinti ai lati dell’affre-sco centrale. L’opera, presumibilmente, è attribuibile al pittore Umbro Antonio di Benedetto da Usigni ed èdegna di nota per la compatta plasticità delle figure, per la limpidezza dei colori stesi armoniosamente e perl’espressività dei personaggi. La nuova chiesa, costruita nel XIX secolo, contiene due tele del XVII secolo: unapopolare Madonna del Carmelo con Bambino e una Madonna orante, di mano piuttosto fine. Da cita-re è anche una tela del XIX secolo raffigurante i SS. Pietro e Paolo.

130

In alto: Ocre - chiesa Santi Pietro e Paolo, MadonnaOrante XVII sec. Sopra: Ocre - Abside della chiesa del cimitero, XVII sec.A lato: Ocre, sullo sfondo i Monti Sibillini

132

Villa Lucci: altare del Crocifisso XVIII sec.

Villa Alesse: tela del XVIII sec. raffigurantel’Annunciazione tra i Santi Pietro, Paolo e Francesco, attri-

buita al Bisini

Villa Berti: tela del XVII secolo raffigurante la Trinità conSant’Agostino in estasi

Villa Massi: Madonna del Rosario tra S. Giuseppe da

Leonessa e S. Felice da Cantalice XVIII sec., BisiniARTE

ARTE N E L L E V I L L E D E L L ’ A L T I P I A NO D I SOTTO

133

Villa Bigioni: Altare maggiore con la tela che raffigura laMadonna, S. Vincenzo Ferreri e S. Antonio da Padova XIX sec.

Villa Ciavatta: Portale del XVI secolo

Villa Carmine: S. Giuseppe daLeonessa XVIII sec., Bisini

Villa Gizzi: Chiesa dedicata a S. Bonaventura- quadro che raffigura la Crocifissione con la

Madonna e S. Bonaventura XVII sec.

Casale dei Frati: Affresco del XV sec., raffigu-rante la Crocifissione di Cristo, chiesina di S.Nicola di Giufolone, adibito ora a magazzino

A r T E N E L L E V I L L E D E L L ’ A L T I P I A N o D I S o T T o

134

Villa Carmine - In alto: interno della chiesa. Sopra: alta-re maggiore XVII sec. con la tela raffigurante la Madonna delCarmelo tra i SS. Eliseo, Elia, Pietro e Domenico XIX sec.

Villa Pulcini - chiesa del S.S. Crocifisso, altare Maggiore:Crocifisso con l’Immacolata e Santa Eurosia XVI sec.

135

Casale dei Frati - Chiesa di S. Antonio da Padova:lapide ricordo

Villa Zunna - Chiesa diSant’Anna: Madonna dellaConsolazione XVIII sec.

Villa Bigioni- Chiesa di S. Vincenzo Ferreri XIX sec.

SSan Giuseppe da Leonessa nacque a Leonessa mercole-dì otto gennaio 1556 da Giovanni Desideri (famigliaoriginariamente appartenente al Sesto di Poggio) mer-

cante di lana, che aveva l’abitazione e il fondaco dove oggisorge il Santuario, e Francesca Paolini detta Zita, una donnapia e profondamente religiosa. Una tradizione vuole che lo ziopaterno di Eufranio, Giovan Pietro, singolar professored’astrologia, ebbe a consultare le stelle con favorevolissimoresponso per il futuro di suo nipote.Il piccolo fu battezzato (probabilmente lo stesso giorno dellanascita, come era costume) nella chiesa di Santa Maria delPopolo, nel fonte tuttora esistente, con il nome di Eufranio“portatore di gioia”. Ricevette un’educazione improntata allaspiritualità, ai principi ed ai valori cristiani. Terzo di otto fra-telli, rimase orfano giovanissimo prima della madre e poi delpadre. Fu allora preso in custodia dallo zio Giovan Battista De-sideri, professore di lettere a Viterbo, che lo portò con sé nel-la città dei Papi. Qui frequentò una scuola nella quale si distin-se per le sue doti intellettuali, tanto da essere adocchiato da unnotabile della città che pensava a maritare la figlia. Eufranio ri-fiutò la proposta: in cuor suo già stava maturando la vocazio-ne religiosa. Lo zio rimase profondamente deluso ed esercitòdelle pressioni sul giovane che alla fine cadde in un grave sta-to di prostrazione, tanto da indurre il suo tutore a farlo torna-re a Leonessa. L’aria del paese natio fu la migliore cura per ilgiovane, che in questo periodo (1570-71) prese a frequentarela Confraternita del Salvatore istituita dai Cappuccini ed ognitanto si recava fuori porta Spoletina ad osservare i frati chestavano ampliando il loro convento. Un ruolo determinantenella sua scelta di abbracciare il saio fu svolto anche dalla figu-ra di Padre Matteo Silvestri, il medico leonessano fattosi Cap-puccino e morto nel 1553 in odore di santità. Eufranio dovet-te sentirne parlare dalla mamma e dai Cappuccini. Lo zio, informato dai fratelli e dalle sorelle dello strano com-portamento del giovane, gli ordinò di trasferirsi a Spoletocon il pretesto di proseguire gli studi. Qui Eufranio, invece,maturò ulteriormente la sua decisione di abbracciare la vitareligiosa; senza avvertire nessuno si trasferì ad Assisi pressoil convento delle Carcerelle per iniziare il Noviziato, vesten-do il saio Cappuccino e prendendo il nome di fra Giuseppeda Leonessa. Dopo aver respinto l’assalto del cugino LelioErcolani di Leonessa, inviato da altri parenti che volevanodissuaderlo da quella scelta, Eufranio terminò il noviziato edemise la professione religiosa, l’otto gennaio del 1573, gior-no del suo 17° compleanno. Fu quindi avviato agli studi teo-logici ed umanistici, che coltivò con grande impegno e solle-citudine. Fu ordinato sacerdote il 24 settembre del 1580presso la cattedrale di Amelia.Combattuto dal dilemma vita-activa o vita-contemplativa, op-tò per la prima ed iniziò il suo apostolato rivolto alle classi piùumili del tempo. Portò la Parola di Cristo nei più sperduti vil-laggi ed a Arquata del Tronto convertì 50 briganti.Nel 1589 ottenne di andare in missione a Costantinopoli perportare una parola di conforto e il sollievo della carità ai 4000

schiavi cristiani nella prigione di Quassim-pacha. Tentò di av-vicinare il Sultano Murad III per chiedergli di concedere liber-tà di coscienza a chiunque si convertiva o tornava alla fedecristiana. Per tutta risposta fu arrestato e condannato al sup-plizio del gancio a cui rimase appeso per tre giorni. Liberato,grazie all’intercessione dell’ambasciatore di Venezia, tornò inItalia e riprese con maggior fervore la sua attività apostolicaper le contrade più povere dell’Umbria e dell’Abruzzo. Dovun-que portò il conforto della Parola di Cristo, ma anche un aiu-to materiale e concreto, secondo quella che era la caratteristi-ca del suo Ordine: fondò ospedali, ospizi che chiamava “casedi Dio”, monti frumentari e, letteralmente, divideva il panecon i poveri.Si prodigava anche per portare la pace sia tra le famiglie coin-volte in alcune faide che tra i paesi. Celebre è l’episodio dellapace che riuscì a far sancire tra Posta e Borbona. Piantava croci sui monti “per Amor di Dio e per far fare ricor-danza della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo ai pastori,ai lavoratori et ai viandanti e che quelli si eccitassero a faroratione, a produrre qualche atto di riverenza e di ringrazia-mento, di compassione e di amore”.Nell’ottobre del 1611, stanco ed ammalato, intraprese, con ilnipote Padre Francesco Chiodoli, il suo ultimo viaggio perLeonessa, dove rimase alcuni giorni. Al momento di ripartire,imboccata la strada per Posta, si fermò dinnanzi alla chiesa diSan Cristoforo ed impartì l’ultima benedizione al suo paesenatale: “O Leonessa dove ho avuto l’essere e l’educazione,questa è l’ultima volta che ti vedo. Vi benedico presenti, as-senti e futuri, bestiame e terre”.Tornato ad Amatrice morì in odore di santità il 4 febbraio1612 e fu sepolto in questa città. Ma i leonessani mal soppor-tarono la privazione delle spoglie del loro “Santo” concittadi-no e la notte del 28 ottobre del 1639, approfittando di un ter-remoto che sconvolse Amatrice, perpetrarono il “Sacro Fur-to” del suo corpo.Il 22 giugno del 1737 Clemente XII beatificò Giuseppe daLeonessa nella basilica di San Giovanni in Laterano; Bene-detto XIV lo canonizzò il 29 giugno del 1746 nella basilicadi San Pietro. Il Tiepolo immortalò in una famosa tela la glo-ria dei due Cappuccini Giuseppe da Leonessa e Fedele daSigmaringen. San Giuseppe da Leonessa è venerato come patrono minusprincipalis delle Province Cappuccine d’Abruzzo (1919) e del-l’Umbria (1935). Pio XII con lettera Apostolica del 12 genna-io 1952, lo nominò Patrono delle missioni dei Cappuccini inTurchia. Con analogo documento del 2 marzo 1967, Paolo VIlo proclamò Patrono principale della città e del Municipio diLeonessa. Caratteristica peculiare di questo Santo è l’aver saputo coniu-gare la semplicità e l’umiltà francescana con la sua grandecultura umanistica e teologica.

13

IL SANTO PATRO NO - GIUSEPPE DA LEONESSA

agina seguente: Santuario - Gloria di S. Giuseppe da Leonessadi Venanzio Bisini, XVIII sec.

139

STEFANO da GONESSA: maestro di scuola a Montolmo(=Corridonia) nel 1324.BERNARDO da GONESSA: ricordato verso la metà del sec. XIVcome rettore degli studenti citramontani dello Studio diPadova.Fra BIAGIO (STRINA ?): minore francescano, vescovo diVicenza dal 1335 al 1347, quindi di Rieti, ove morì nel 1378.Figura insigne per zelo, rigidezza e pietà: viene ancor oggiricordato per i suoi importanti Statuta Synodalia EcclesiaeReatine del 1352.PAOLO di Maestro FRANCESCO: insegnò diritto civile nelloStudio di Bologna alla fine del sec. XIV.AGOSTINO CAMPELLI: religioso agostiniano, predicatore escrittore, eletto, per i suoi meriti verso la S. Sede, vescovo diBova in Calabria. Morì a Roma nel 1435.GENTILE BOCARINI BRUNORI: nacque a Leonessa nei primianni del sec. XV da nobile famiglia oriunda di Montegioved’Orvieto: il padre, Antonio, fu capitano della Chiesa, cattura-to e ucciso nel 1419. Si arruolò assai per tempo nelle compa-gnie di ventura e fu alla scuola dei più rinomati capitani del-l’epoca, particolarmente di Erasmo da Narni detto ilGattamelata, del quale divenne cognato. Con il Gattamelata fual servizio di Venezia nel 1432, quindi dal 1437 in poi, nellalunga guerra contro i milanesi, e della Serenissima fu semprefedele e leale servitore. Creato governatore generale dell’eser-cito veneziano nel febbraio 1451, traendone per invidia acrerivalità con il Colleoni, combatté con abilità e coraggio controle truppe dello Sforza, finché, rimasto gravemente ferito duran-te l’assedio di Manerbio, morì il 1° aprile 1453. Fu sepolto nellachiesa di S. Alessandro a Brescia.GIACOMA BOCARINI BRUNORI: sorella di Gentile, andò sposaintorno al 1412 a Erasmo da Narni. Fece edificare a sue spesela cappella dei Santi Francesco e Bernardino, ora delSacramento, nella basilica del Santo a Padova ed ivi, morta nelsettembre 1466, fu sepolta accanto al marito e al figlio GianAntonio.JACOPO da LEONESSA: buon pittore di formazione abruzzesedella prima metà del sec. XV, cui si attribuiscono gli affreschidella cripta di San Francesco, a Monteleone di Spoleto, ed altridipinti isolati nel presbiterio di S. Salvatore a Campi (Norcia)e nel coro di San Francesco a Cascia.DOMENICO di JACOPO da LEONESSA: figlio del precedente,con uno stile suo proprio rude ed essenziale, operoso nellaseconda metà del secolo XV, in molte chiese di montagna:Campi, Cascia, Ancarano, Abeto, Todiano, Rocca Nolfi,Agriano, Valdonica, Norcia, S. Eutizio, Caso, Ferentillo.ANGELOTTO ANGELOTTI: dottore di leggi nato a Leonessa evissuto a Rieti, ove fu giudice delle cause civili e straordinariecon il governatore e podestà Galeotto Agnese, oratore pressoSisto IV, gonfaloniere di grande energia nella riforma dei costu-mi; fu ucciso da rivoltosi mentre era in carica il 30 settembre1483.Della famiglia ANGELOTTI, resasi illustre a Rieti nelle armi enelle lettere e spentasi all’inizio del sec. XIX, è anche quelPOMPEO ANGELOTTI, finito vescovo di Terracina ove morìnel 1667, cui si deve la prima Descrittione della città di Rietistampata nel 1635.BARTOLOMEO GIUDICI: medico condotto ad Aquila per circaun ventennio all’inizio del sec. XVI.

Beato DOMENICO da LEONESSA: minore osservante di santavita, nato (?) a Leonessa da famiglia oriunda di S. Severino(Marche). Ricoprì numerose cariche nella sua provincia mona-stica delle Marche e fu vicario della Bosnia e Dalmazia.Propagandò la istituzione dei Monti di Pietà, uno dei quali eglifondò ad Ascoli Piceno nel 1458. Fu dotto e zelante predicato-re, direttore spirituale della b. Camilla Battista da Varano. Morìad Urbino il 20 aprile 1497.Beato ANTONIO da LEONESSA: medico, fattosi minore osser-vante, assai venerato dalle popolazioni, morto nel convento diMonteodorisio (Chieti) nel 1511.GIACOMO ALFARABI: già arciprete di S. Rufo a Rieti, poi terzovescovo di Cittaducale, ove morì nel 1511.JACOPO da LEONESSA: insegnò retorica e poesia allaUniversità di Perugia verso la fine del sec. XV.Beato MATTEO SILVESTRI: da medico condotto nella suapatria, ove era nato nel 1510, passò alla riforma cappuccina nel1539. Fu uomo di austera vita, predicatore, scrittore ascetico,fondatore della provincia cappuccina d’Abruzzo. Morì aL’Aquila in fama di santità il 21 giugno 1553.Fra MANFREDO GIUDICI: zelante religioso agostiniano cui èdovuta la fondazione del convento di Vallonina, ove morì nel1567. I suoi libri furono destinati a formare la prima bibliotecapubblica ad uso della cittadinanza.GIOVANNI BATTISTA ATTI: notaio al servizio di Margheritad’Austria.GIOVANNI BATTISTA DESIDERI: zio paterno del santo cap-puccino Giuseppe, celebrato maestro di scuola a Rieti, Viterbo,Spoleto, morto negli ultimi decenni del sec. XVI.GIOVANNI BATTISTA CIUCCI: calligrafo, nel 1607 transuntòe trascrisse, in due grossi codici cartacei ancora esistenti, leleggi e i privilegi del comune di Leonessa.MANILIO MONGALLI (Leonessa 1573-1633): cavaliere geroso-limitano e proprefetto delle Milizie a Bologna durante il ponti-ficato di Paolo V.ANTONIO POPULINI: professore di ebraico nel Collegio deiNeofiti a Roma, verso la fine del secolo XVI.FLAVIO ATTI: per molti anni residente del duca di Parma pres-so la corte spagnola.GIOVANNI FRANCESCO ARGENTI: maestro di scuola aLeonessa, Norcia, Todi, della quale ultima città ebbe la cittadi-nanza; un suo opuscolo polemico fu edito a Todi nel 1627. Deisuoi figli: GIOVANNI fu uditore a Macerata e a Ferrara, quindia Firenze, ove morì e ALESSANDRO fu per molti anni segreta-rio del patrimonio di s. Pietro.LUCA NERI: maestro organaro del sec. XVII, cui si deve il pre-gevole organo della chiesa di S. Domenico in Perugia del 1640.DURANTE DORIO: notaio e poligrafo di grande erudizione.Nato a Leonessa intorno al 1571, esercitò la professione inmolte città dell’Umbria e delle Marche, ma soprattutto aFoligno, ove morì il 23 dicembre 1646. Diede alle stampe unaHistoria de Trinci e lasciò manoscritti un buon numero di codi-ci miscellanei concernenti la storia umbra.GIOACCHINO COLANTONI: modesto pittore, nato a Leonessanel 1574 e lungamente operoso a Rieti, ove morì nel 1658. Suofiglio GIUSEPPE, parroco di S. Giovanni in Statua a Rieti, scris-se un accurato Ragguaglio sulle peste scoppiata a Rieti nel 1656.GIOVANNI BENEDETTO SINIBALDI (Leonessa 1594 – Roma1658): medico pratico salito a grande rinomanza, eclettico ed

140

LEONESSANI ILLUSTRINel corso dei secoli molti leonessani si sono distinti nell’insegnamento, nell’esercizio delle varie digni-tà ecclesiastiche in Italia e nei territori di missione, nell’amministrazione della giustizia e nel governodelle città, nelle più diverse attività di artigianato artistico (orafi ed argentieri, intagliatori, organari,fonditori). Tra essi ne indichiamo alcuni tra i più significativi, seguendo un certo ordine cronologico.

insieme ricercatore sperimentale, professore per molti anniall’Archiginnasio di Roma e protomedico generale nell’anno delgiubileo 1650. Buon fisiologo e ginecologo, scrisse opere in for-bito latino, più volte ristampate.GIACOMO SINIBALDI (1630-1704): figlio di GiovanniBenedetto, del quale seguì le orme. Botanico rinomato, fisiolo-go e medico pratico, accolse il metodo sperimentale sia nellericerche che nei lunghi anni d’insegnamento all’Archiginnasio.Fu primario dell’ospedale “ad Sancta Santorum” in S. Giovannial Laterano, archiatra di Innocenzo XII, protomedico generale,accademico di S. Lucia e membro di numerose società scienti-fiche italiane e straniere, animatore dei congressi medici roma-ni insieme con Giovanni Maria Lancisi. Scrisse molte opere dibotanica e di medicina teorico-pratica.BENEDETTO RITA: medico di grande abilità e scienza. Insegnòper molti anni logica e medicina teorica all’Archiginnasio inRoma e successe al compatriota Gio. Benedetto Sinibaldi comeprotomedico generale della città, tenendo più volte l’incarico.Fu archiatra di Clemente IX (1667-1669), che lo ebbe moltocaro. Nel 1672 fece parte della commissione esaminatrice chelaureò Giovanni Maria Lancisi.NESTORE RITA: fratello di Benedetto, dottore in legge, cano-nico della basilica di S. Pietro in Roma, auditore di ClementeIX (1667-1669), arcivescovo titolare di Sebaste dal 1670. Morìa Roma nel 1687.CARLO SILVESTRI: maestro orefice ed argentiere, gioiellieredi Innocenzo XI, morto a Roma nel 1681. Suo figlio PIETROcontinuò a servire la Sede Apostolica fino alla morte di papaOdescalchi (1689), eseguendo numerosi lavori.MASTROZZI: popolosa dinastia di orafi ed argentieri romanioriundi di Leonessa, tra i quali vanno ricordati GIOVANNIBENEDETTO, morto ricchissimo nel 1697 (la sua eredità, checomprendeva pure una statua antica e ben 90 quadri d’autore,tra cui Michelangelo, Salvator Rosa e Maratta, si aggirava sui71.000 scudi) e FILIPPO II, buon orefice, morto camerlengodella università degli orafi nel 1709. Altri orafi di questo cogno-me emigrarono a Rieti, Terni, Todi.GUARNIERI: altra dinastia di argentieri ed orafi romani oriun-di di Leonessa, tra i quali emerge per valore artistico CARLOII, che nel 1750-51 eseguì quattro grandi reliquiari d’argentomassiccio dorato per il re del Portogallo, ora al Museo di ArteSacra di Lisbona.PIETRO VISCARDI: orafo leonessano, operoso a Rieti. Qui nel1720 gli nacque il figlio GIUSEPPE, buon pittore ed architettoche lasciò opere anche a Leonessa, morto a Rieti nel 1795.CONCEZIO CAROCCI: gesuita, diresse per 37 anni l’oratorioromano di Caravita e pubblicò volumi di panegirici; morì aRoma nel 1753.GIOVANNI FRANCESCO DE NICOLAIS: minore riformato,missionario in Cina dal 1684, vicario generale del vescovo diNanchino, quindi vescovo titolare di Beyrut e vicario apostoli-co di Hu Kuang. Tornato a Roma nel 1700, fu nominato vicarioperpetuo della basilica di S. Pietro e nel 1712 arcivescovo tito-lare di Myra. Ebbe una parte di rilievo nella grossa questionesui riti liturgici cinesi. Morì a Roma nel 1737.CELESTINO CIAVARRONE: professore di diritto civileall’Università di Roma nella prima metà del sec. XVIII.GIOVANNI ANTONIO CONGIUNTI: modesto pittore operosonei primi decenni del ‘700 (Terzone, 1706).GIACINTO BOCCANERA: pittore leonessano nato nel 1666,formatosi alla scuola di Giacinto Brandi e di Guido Reni, vissu-to per molti anni a Perugia, ove morì nel 1746. Eccellente neldisegno, nella prospettiva e nell’anatomia, eseguì molti lavoriper le chiese e per le case private di Perugia. Alcune sue operesi trovano nella pinacoteca di quella città.BERNARDINO PASQUA: medico e priore a Perugia, ove morìnel 1759. Suo figlio GIUSEPPE (1726-1797) fu professore dimedicina in quella Università.

VENANZIO BISINI: pittore che nell’ultimo trentennio del sec.XVIII ha firmato numerose tele nelle chiese di Leonessa (S.Giuseppe, S. Maria, S. Giovanni).LORENZO BISINI: pittore documentato a Spoleto (chiesa deiCappuccini) nel 1772.LUIGI VANNI: marchese, vice presidente della Gran CorteCriminale di Capua, morto a Napoli nel 1825.ANGELO BOCCANERA: medico – chirurgo allievo delCotugno, primario degli eserciti del re di Napoli, dell’Ospedaledegli Incurabili, dell’Accademia Militare, ecc.; professore dichirurgia all’università di Napoli, ideatore e direttore dellaprima clinica cerusica di quella città. Era soprannominato “laleonessa”. Morì a Napoli nel 1829.GIOVANNI BENEDETTO BOCCANERA: fratello di Angelo,medico primario in molte città dell’Italia centrale, tra cuiFabriano (1792) e Macerata (1797).MAURO PULCINI: missionario cappuccino in Asia Minore, pre-fetto apostolico di Costantinopoli dal 1841 al 1846, morto aPerugia nel 1852.FILIPPO FALCONI: Ispettore della polizia borbonica, parteggiòapertamente per le idee liberali dopo i moti del 1848.Processato e condannato all’ergastolo, scontò la pena nelle pri-gioni di Porto S. Stefano insieme con il Settembrini ed ilPoerio. Esiliato in America nel 1859, poté raggiungere con glialtri condannati l’Inghilterra, donde ritornò in patria per esser-vi nominato prefetto di Caserta nel 1860, dove morì nel 1863.ANGELO FELICE MACCHERONI: poeta autodidatta, cantoredelle tradizioni del mondo della pastorizia, nato a Piedelpoggiodi Leonessa nel 1801 e morto a Roma nel 1882.GIANSANTE FELICI: filosofo, studioso di problemi della rina-scenza italiana della riforma, laureatosi in Germania con unatesi sul Campanella. Nacque a Casanova di Leonessa nel 1861e morì a Schiavi d’Abruzzo nel 1897. Alle sue opere manoscrit-te furono interessati Benedetto Croce e Giovanni Gentile.MAURO BERNARDO NARDI: teologo e scrittore cappuccino,postulatore generale delle cause di beatificazione e canonizza-zione dell’Ordine, vescovo titolare di Tebe e ausiliare di OppidoMamertina, munifico benefattore del santuario di S. Giuseppea Leonessa, morto a Roma nel 1911.CESARE BOCCANERA: vescovo di Narni ove costruì il semina-rio e fondò il periodico L’eco del Nera, quindi arcivescovo tito-lare di Nicosia, morto a Roma nel 1915.COSTANTINO PALMIERI: sergente di fanteria della I guerramondiale, pluridecorato con medaglia d’argento e due medaglied’oro al valor militare, caduto sul colle S. Marco di Gorizia il 1°novembre 1916, riposa a Sala.DOMENICO ETTORRE: vice assistente nazionale dellaGioventù di Azione Cattolica, ausiliare di Sabina e PoggioMirteto, quindi vescovo di Nocera Umbra e Gualdo Tadino,morto a Sassoferrato nel 1943.MAURO VINCENZO NARDI: religioso cappuccino nipote delvescovo Nardi, nato a S. Clemente di Leonessa nel 1883, fumissionario ad Aden e in Eritrea esperto internazionale per iproblemi del meticciato, africanista studioso di problemi stori-ci, giuridici e linguistici dell’Etiopia, decorato dal Negus con la“Stella d’Etiopia”, docente di lingua tigray allo IstitutoOrientale di Napoli. Ha dato alle stampe numerose opere. Morìa L’Aquila nel 1946.GIUSEPPE MASSI: zelante missionario cappuccino nell’AltoSalimoes (Brasile), ove costruì edifici per l’assistenza socialedegli indigeni, chiese e cappelle in gran numero. Nacque a VillaBigioni il 26 marzo 1878. Alla sua morte, avvenuta a Manaus il27 gennaio 1957, i giornali lo salutarono o santo de Leonessa,tanta era la stima che godeva.BIXIO CHERUBINI: n. 24-3-1899, grande compositore di famo-sissime canzoni di musica leggera tra cui “Mamma son tantofelice” (1939) e Vola Colomba bianca (1952). E’ morto a Milanoil 14/12/1989.

141

142

Natale-Epifania. Per le feste di Natale quasi tuttigli oriundi tornano al paese nativo per trascorrere laricorrenza con i parenti e gli amici rimasti. E propriola forte carica aggregativa, ravvisabile nel ritrovarsicon i famigliari e i parenti nel Cenone e per i vari gio-chi, unitamente ad un autentico sentire religioso,culminante con la tradizionale Messa di mezzanottenella suggestiva chiesa di San Francesco e nell’accen-sione dei falò “pe scallà lu Bambinello” in alcune fra-zioni, costituiscono la caratteristica fondamentale diqueste feste. Sulle quali, però, accanto a questi ele-menti arcaici, vanno innestandosi nuovi costumi co-me il consumistico scambio di doni sotto l’albero, fi-no a qualche decennio or sono sostanzialmenteestraneo alla tradizione locale, l’organizzazione di se-

rate gastronomiche (“La polentata”, tra natale e ca-podanno), l’allestimento di spettacoli, concerti etc, ascopi essenzialmente turistici. Una ricorrenza che conserva pressoché immutate leantiche usanze, ancora particolarmente sentite, èl’Epifania. La vigilia della festa, gruppi di giovani gi-rano per le abitazioni del capoluogo e delle frazioni,in costume fokloristico, cantando la Pasquarella(antichi canti augurali di questua annuncianti la na-scita di Gesù). Il termine Pasquarella deriva dall’an-tica usanza di far precedere dal sostantivo Pasqua lefeste più importanti. Gli strumenti tipici più usati - ascopo apotropaico - sono: l’organetto, il tamburello, isonagli, i campanacci, ecc.Per tradizione ogni famiglia fa un’offerta - “Li zuffi”-ai cantori, oggi in denaro, un tempo in doni in natu-ra. I testi dei canti più antichi sono, per lo più, operadi poeti a braccio ed alcuni presentano dei contenutiveramente arcaici, come nella strofa di un canto chefa riferimento al Battesimo di Cristo, ricorrenza chela chiesa Bizantina celebrava il 6 gennaio congiunta-mente al Natale e al miracolo delle nozze di Cana.

Giovanni poi là nel Giordanoa un Dio sovrano i piedi lavò

Al potere straordinario delle acque ad esse conferitodal Battesimo di Gesù, rimanda l’usanza della distri-buzione, al termine della Messa del 5 Gennaio, del-l’acqua benedetta ai fedeli che la bevono a scopi pro-tettivi.Un’altra bella usanza è quella che consiste nel porredavanti al camino acceso, la sera della vigilia del-l’Epifania, tre sedie con un asciugamano, un bacileed una brocca, per far scaldare, riposare e lavare laSacra Famiglia che, secondo la tradizione, la nottepassa a visitare la casa, bisbigliando benedizioni dipace e di amore. Al mattino parte dell’acqua vienebevuta per proteggersi dalle malattie.Le tradizioni antiche relative all’Epifania terminano

FESTE E TRADIZIONI Le tradizioni non sono un elemento statico dell’identità culturale di una comunità, ma si evolvono, si adattano, ripla-smano situazioni, configurano nuovi scenari su antichi temi: in poche parole mutano con il mutare della società. Così,nella fattispecie delle tradizioni Leonessane, stiamo assistendo da un lato, al mantenimento di alcuni temi tradizionali ealla scomparsa di alcuni di essi (dovuta essenzialmente all’affermarsi della società capitalistica, con i conseguenti feno-meni dell’urbanizzazione e dell’abbandono delle campagne), dall’altro all’invenzione di nuove tradizioni (la Sagra dellapatata; la Rassegna delle Regioni a Cavallo) e al ripristino di alcune di esse a scopo culturale-turistico, come il “Paliodel Velluto”, riscoperto dopo circa 500 anni dall’ultima edizione. Un cenno a parte merita il fenomeno della enorme dif-fusione del culto di San Giuseppe tra gli oriundi egregiamente veicolato dal bimestrale Cappuccino “Leonessa e il suoSanto”; fenomeno esperito, oltre che come dato religioso, anche come bisogno di identità e di appartenenza alla comu-nità d’origine. Fatta questa debita premessa, iniziamo a delineare il profilo delle tradizioni relative alle feste del ciclo del-l’anno, tuttora in uso, avvertendo che esse presentano numerose analogie con quelle dei paesi confinanti.

A sinistra: Leonessa Santuario: tradizionale bacio della“Bambina”, gesto che ricorda l’adorazione dei Magi.A lato: Fontenova - Strada per il Terminillo

143

con la Messa della “Bambina” che si svolge la mat-tina del 6 gennaio alle 8,30 presso il Santuario.È così denominata perché la cerimonia prevedeva, ed

ancora prevede, l’Adorazione di un simulacro di ceradel Bambinello, dai lineamenti vagamente femminili evestito con un manto regale, simile ad una lunga ve-ste. Il rituale risale a più di due secoli fa, era riservatoagli Artisti (artigiani) e forse per questo precluso alledonne, come ancora oggi lo è. Ma non è più riservatoagli artigiani, visto il declino di tale attività, e seguel’antico cerimoniale. Inizia con la confessione dei par-tecipanti a cui segue un piccolo corteo formato dal sa-cerdote che porta la statua del bambino in trono, pre-ceduto da due uomini con dei ceri accesi; il corteoavanza solennemente dalla sagrestia, dove è custodita

la statua, fino alla chiesa. Qui la “Bambina” viene po-sta davanti all’altare maggiore su un piano adornatoda un drappo rosso. Dopo l’omelia gli uomini si di-spongono in devota processione per l’Adorazione, os-sia per il bacio del piedino sinistro del simulacro; ge-sto che ricorda l’Adorazione dei Magi immortalata daGiotto e che il pittore assunse dalla cultura popolare.Durante l’Offertorio tutti gli uomini cantano l’arcaicanenia in latino del Laetamini. Riservata ai bambini èinvece la “Befana” organizzata dalla Proloco alle 11,00,al termine della S. Messa, con distribuzione di doni edolciumi vari ai piccoli. Il 14 gennaio nella chiesa diSan Francesco si svolgono le funzioni votive dette “delGesù” in suffragio dei morti del terremoto del 1703,alle quali partecipano le autorità.

La festa di S. Antonio Abate(17 gennaio), un tempo partico-larmente sentita per il patrona-to del Santo sugli animali, haperso molti dei suoi caratteritradizionali e si riduce alla cele-brazione di un triduo; in alcunefrazioni (Casanova, Villa Cor-deschi, Villa Pulcini), invece,ancora si usa accendere i falò ebenedire le stalle.

La festa di San Giuseppe a Leonessa e a r oma.Il 26 gennaio nel Santuario dedicato a San Giusep-pe da Leonessa inizia la Novena in onore del Santo,tradizione che affonda le sue radici più antiche al-l’indomani della morte di San Giuseppe (1612),quando nella chiesa di Santa Maria del Popolo ini-ziò a celebrarvisi la memoria della sua morte per ot-to giorni. Ancora oggi una grande folla di fedeli as-siste commossa alla lettura della vita del Santo (unlibricino dal titolo “Novena in onore di S. Giuseppeda Leonessa”). Al termine di ogni Funzione, i devo-ti intonano l’antico inno “Lodiamo Giuseppe”. Il 2febbraio avviene la tradizionale distribuzione dellefave, in ricordo di un miracolo operato dal Santo adOtricoli, dove moltiplicò un pugno di fave per sfa-mare i poveri. I legumi saranno poi mangiati neltradizionale austero pranzo della vigilia. La sera del3 febbraio si svolge la veglia dinanzi all’urna delSanto presso il Santuario, alla quale partecipano al-cune delegazioni di fedeli provenienti da Otricoli e

da altri paesi che conobbero l’apostolato del Santo.La mattina del 4 il Vescovo di Rieti celebra la SantaMessa, dopo la quale si forma una processione con ilcuore del Santo, che dal Santuario si dirige verso lapiazza per la benedizione – con le parole che il Santopronunciò in occasione della sua ultima visita a Leo-nessa - impartita dal Municipio. La festa si concludenel primo pomeriggio con la celebrazione del “BeatoTransito” e il bacio di una reliquia, presso la chiesadei Cappuccini. Dopo questa cerimonia, il parroco sireca a Rieti per celebrarne una analoga per i Leones-sani residenti nel Capoluogo di Provincia. Celebra-zioni in onore di San Giuseppe avvengono in diversipaesi d’Italia dove c’è una nutrita colonia di Leones-sani. Ma la più importante di esse è quella che avvie-ne a Roma, la domenica seguente al 4 febbraio, pres-so la chiesa di San Lorenzo al Verano, dove conflui-sce l’ imponente folla dei Leonessani residenti nellacapitale. Sono presenti, oltre quelle leonessane, an-che alcune autorità capitoline.

144

In alto: Villa Cordeschi - Falò nella festa di Sant’Antonio Abate. Sopra: Leonessa - Festa di S. Giuseppe - momento della benedizioneA lato: Valle del Tascino - Collecollato

Quaresima e Pasqua. Ogni venerdì di Quaresimaalle 15,00 il campanone della chiesa di San France-sco “sona l’agunìa”, scandisce cioè trentatré rintoc-chi (corrispondenti all’età in cui il Cristo fu crocifis-so) per ricordare la morte di Gesù. Su tutto il paesescende un silenzio carico di cordoglio e commozio-ne; il tempo sembra fermarsi, diradarsi: i fedeli so-spendono le attività e in ginocchio meditano suldramma della Passione. Recentissimamente la Con-fraternita di Santa Croce ha reintrodotto l’anticafunzione della Corda Pia cantata su antiche monodiedei francescani conventuali. La quarta domenica di Quaresima la confraternita diSanta Croce e quella “Pietà e Grazie” effettuano “libussuli”, cioè l’estrazione dei nomi dei Confratelliche dovranno portare a spalla - “pe’ ‘ncollà” - il Ve-nerdì Santo il Cristo morto e, il Sabato Santo, il pe-sante simulacro della Pietà. La domenica delle Palme ha luogo “lu bussulu de leMarie”: l’estrazione dei nominativi delle adolescentiche nelle processioni rivestiranno il ruolo delle treMarie (Confraternita Pietà e Grazie) e della Veronica(Confraternita di Santa Croce). Il Mercoledì Santo le donne preparano le caratteristi-che pizze “lèvìte” e altri dolci consumate poi nel gior-no di Pasqua.Il Giovedì Santo, in numerose frazioni (Vindoli, Sa-la, Sant’Angelo, Terzone etc.) le donne allestiscono itradizionali Sepolcri che consistono nel porre dei va-si con piccole piantine di cereali e legumi (seminateil primo giorno di Quaresima e fatte crescere al buio)a forma di Croce, ai piedi degli altari delle chiese,unitamente a dei lumini. L’effetto scenografico è ve-ramente suggestivo. Questa usanza affonda le sue radici più remote nelculto precristiano di Adone, dio greco della vegeta-zione, anch’esso morto e risorto. In suo onore ledonne greche, per propiziare la rinascita della vege-tazione, e poi tutte quelle del bacino del Mediterra-neo, preparavano dei vasi o dei cesti nei quali semi-

navano piante a rapida fioritura: il grano, in partico-lare, veniva fatto crescere al buio (che simboleggia-va il sepolcro del dio) in segno di lutto per la mortedel dio Adone.A Leonessa, per motivi liturgici i Sepolcri non ven-gono più allestiti, si celebra invece, la tradizionaleMessa in Coena Domini con la caratteristica lavandadei piedi.Nel pomeriggio del Venerdì Santo, nella chiesa disan Francesco, i Confratelli della Congrega di San-ta Croce approntano il rito della deposizione dellacinquecentesca statua lignea del Cristo dalla crocealla bara, con la quale sarà trasportato in proces-sione la sera. Appena fa buio prende avvio la ViaCrucis che si snoda per tutte le vie del paese, illu-minate con fiaccole e varie luminarie. Il corteo ef-fettua diverse soste (“posate”) per permettere ilcambio dei portatori. Dinnanzi alla Bara con il Cri-sto Morto procedono in duplice fila i Confratelli,che indossano un camice bianco con una mozzettaverde, guidati da una grande croce portata da unodi loroi. Seguono i chierichetti che portano varilampioni e alcuni segni della Passione, le tre Mariescalze, vestite a lutto, con velo nero, affiancate dadue confratelli con dei ceri accesi, e la Veronica chereca un panno sul quale è impresso il volto di Ge-sù. Quindi c’è il parroco che scandisce le varie lita-nie. Guida la bara col Cristo morto il Priore dellaConfraternita di Santa Croce, scandendo il ritmo(bussando sulla bara) del passo e i cambi dei variportatori. La maggior parte della gente si collocadietro il simulacro, lasciando le prime file alle au-torità civili, militari e religiose. Nella chiesa di SanPietro (penultima tappa del corteo), dove i confra-telli hanno allestito un monumentale Calvarioi, av-viene il suggestivo incontro del Cristo Morto con laMadre. La Bara viene posta ai piedi del monte, do-po di che si procede “a la sallita de la Matonna”; lapesante statua della Pietà viene portata a spalladalla cripta, prima fino al simulacro del Cristo, e

poi in cima al Calvario. Terminato il ri-to, il parroco pronuncia una breveomelia che conclude con delle preghie-re, alle quali fa seguito il canto comu-nitario dello “Stabat Mater”. Quindi laprocessione si rimette in cammino perrientrare definitivamente nella chiesadi San Francesco da dove era partita.Terminata la cerimonia, il direttivodella Confraternita offre ai portatoriun panino con il tonno che viene con-

146

Leonessa - Venerdì Santo: solenne processionedel Crisot Morto.A lato, Leonessa - Domenica di Pasqua: proces-sione delle Confraternite che vanno a far visitaai “Sacramenti rinnovati”.

sumato comunitariamente, tra vari commenti sulla pesantezzadel simulacro. Il Sabato Santo è il giorno in cui c’è una grande affluenza di turi-sti che si confondono con gli oriundi che in massa ritornano perle vacanze di Pasqua. Al mattino vengono stabilite, in base allastatura, le coppie e le otto squadre dei Confratelli che dovrannoportare la pesante statua lignea della Pietà (XVI secolo) nella pro-cessione del pomeriggio (prima della riforma del Vaticano II que-sta processione si svolgeva il giovedì): si tratta di un’operazionemolto importante e delicata visto l’ingente peso (7 qt. circa) del si-mulacro, portato a spalla da otto confratelli per ogni sosta. Laprocessione prende avvio alle 15,00 dalla chiesa di san Pietro e sisnoda per tutte le vie del paese; si ripete con le stesse modalità elo stesso apparato coreografico della Via Crucis del Venerdì. Il ri-to si protrae per circa tre ore e si conclude nella chiesa dalla qualeha preso l’avvio. Al termine della processione la Confraternita orga-nizzatrice offre ai portatori il classico panino con il tonno.Storicamente parlando, un ruolo fondamentale nella diffusione del-le processioni suddette - alle quali partecipavano i anche i Flagel-lanti - ebbero nel XVI secolo i Francescani, le Confraternite e i Cap-puccini. Questi ultimi usavano anche la flagellazione al termine del-la recitazione del Mattutino delle tenebre; rituale (quello della fla-gellazione) praticato anche dai Confratelli della Congrega di SantaCroce già nel XV secolo. La sera del Sabato Santo si celebra la Ve-glia Pasquale con la connessa liturgia dell’acqua e della luce. É tra-dizione portare in chiesa, per la benedizione, i cibi (salami e uova)che saranno consumati nell’abbondante colazione della mattina diPasqua. Prima della riforma liturgica la sera del Sabato Santo si fa-ceva (come in altre zone dell’Umbria) una veloce processione con lastatua del Cristo Risorto.Durante la veglia Pasquale si celebra la liturgia della Luce edell’acqua, e il mistero della Resurrezione del Cristo, atto difede fondante del cristianesimo. La Domenica di Pasqua, alle

6,00 del mattino,si svolge la pro-cessione delleC o n f r a t e r n i t eche vanno a farvisita, di corsa, ai“Sacramenti rin-novati”, presso lechiese principali:un Confratellosull’uscio offre lanuova acqua be-nedetta ai fedeliche entrano inchiesa. Il modello miticodi questa “corsa” si riferisce all’episodio delle due Marie cheall’alba del terzo giorno trovarono il Sepolcro di Gesù vuotoed un angelo ingiunse loro di correre ad annunciare ai disce-poli la “Notizia” (Matteo, 28,1,8).Al termine della processione il parroco celebra la Santa Mes-sa, quindi, in un clima di festa e di gioia si consuma la cola-zione a base di uova sode, salame, frittata con la coratella,ciambellone e pizza lievita.

147

≡Leonessa - Venerdì Santo: processione del CristoMorto, le tre Marie scalze

Leonessa - Sabato Santo: solenne processione conla statua della Pietà

La r assegna delle r egioni a cavallo. Da alcunianni il terzo fine settimana di giugno si svolge questaimportante manifestazione nazionale organizzata dalComune di Leonessa e dalla FISE. Consiste nell’ese-cuzione di alcune coreografie ippiche, in genere di ca-rattere storico-folkloristico, da parte di alcune squa-dre di cavalieri provenienti da diverse regioni (Lazio,Toscana, Piemonte, Calabria, Campania, Sardegna,Marche, Puglia, Liguria, Veneto). Il sabato sera unagiuria seleziona le Regioni che disputeranno la finalela domenica mattina, in una Piazza 7 Aprile ricopertadi sabbia e con le gradinate stracolme di folla.

Il Palio del Velluto. Nell’ultimo fine settimana digiugno si svolge il Palio del Velluto. La manifestazio-ne è stata riportata in vigore nel 1997 dal Comune diLeonessa dopo 450 anni. Per l’occasione la città vie-ne tutta imbandierata e le insegne dei negozi e i car-telli stradali vengono coperti con teli di iuta, le chie-se aperte.Il prologo della festa si ha il venerdì sera, con l’aper-tura delle taverne ambientate nel XVI secolo e conballi, coreografie e spettacoli in piazza, ispirati al‘500. Il sabato mattina ha luogo la lettura del Bandodel Palio per le vie della città, mentre il pomeriggio sisvolgono concerti di musica dell’epoca e la corsa del-l’anello, una delle tenzoni valide per l’assegnazionedel Palio, a cui partecipano i cavalieri dei sei Sesti. La sera c’è il grande corteo storico-allegorico chevuole rievocare la visita di Margherita d’Austria aLeonessa, nel 1547. Vi prendono parte più di trecen-to figuranti con rappresentati dei Sesti, delle Autori-tà Comunali e dalla corte di Margherita d’Austria.

La domenica pomeriggio si svolgono le altre duecoinvolgenti gare valide per l’assegnazione del Palio:la corsa con la tavola del pane e il tiro della fune. Altermine avviene la proclamazione del Sesto vincitore.La manifestazione si chiude la sera con suggestivispettacoli d’arte di strada.Da cinque anni la complessa organizzazione è affida-ta all'Ente Palio del Velluto, associazione di volonta-riato che si occupa di studiare, valorizzare e far rivi-vere la storia e le tradizioni locali.

Il Palio del Velluto, cenni storici. I primi docu-menti scritti relativi al Palio del Velluto risalgono alXVI secolo e sono costituiti dai resoconti di spesa deilibri del Camerlengo. Considerando, tuttavia, che lagara si svolgeva nell’ambito della festa dei Santi Apo-stoli Pietro e Paolo, Patroni di Leonessa, istituita daFerdinando I d’Aragona nel 1464 con la relativa fiera,è lecito supporre che il palio si sia cominciato a cor-rere sul finire del ‘400.Il Calligrafo Leonessano Giovan Battista Ciucci, vis-suto tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII, nelSecondo Volume delle sue trascrizioni, precisamentenei “Capitula et ordines nundirarum seu ferie cele-brandum in terra Leonisse”, scrive che la festa dura-va otto giorni, dal 25 giugno al 3 luglio. La ricorrenzaera allietata da “timpanari, trombetti ed altri sonato-ri”, molti dei quali leonessani; venivano sospese tut-te le cause civili e penali e si correva il Palio del Vel-luto “Pallium Sancti Petri”.Il giorno più importante era il 29 giugno. Al mattino,durante la solenne Santa Messa celebrata nella chie-sa di San Pietro, avveniva l’offerta dei ceri da parte

delle corporazioni delleArti e dell’Università. In base a quanto stabili-to negli Statuti della cit-tà, il cero dell’Universitàdoveva pesare cinquelibbre. Sempre in matti-nata aveva luogo la no-mina e il giuramento deinuovi Consoli dell’Artedella Lana, da parte diquelli uscenti. Seguiva la dichiarazione,sotto giuramento presta-to nelle mani dei nuoviConsoli, “assignazione”dei quantitativi di lanaprodotti da ogni ditta dilanaioli. L’importante giornata siconcludeva, il pomerig-gio, con la gara per l’asse-gnazione del Palio delVelluto, gara che non tut-

148

149

ti gli anni era la stessa. Dai vari libri del Camerlengo,infatti, sappiamo che più frequentemente si svolgevala corsa dell’anello “cursa annulum”, e che talvolta ve-niva sostituita da altre tenzoni (corsa dei cavalli, degliasini, tiro con la balestra o con l’archibugio, corsa deiragazzi) o affiancata da alcune di esse; soprattutto dal-la gara del tiro con la balestra e dalla corsa dei cavalli,secondo il modello tradizionale dei ricchi Palii di alcu-ni paesi Umbro-Abruzzesi.Alle gare probabilmente partecipavano i rappresen-tanti dei sei Sesti, i rioni nei quali fu suddiviso l’alti-piano di Leonessa sin dalla fondazione della città. Alvincitore andava un Pallium (drappo) di velluto rossopanno “rubei”.Va sottolineato che la qualità del tessuto del drappodenotava l’importanza della manifestazione: più lastoffa era pregiata, più importante era il palio. Ed unodei tessuti più pregiati era proprio il velluto, di solitodi colore rosso. Troviamo questo tessuto nei palii diPisa, di Perugia, di Terni, di Verona, dell’Aquila e dialtre città.Il Palio del Velluto toccò il suo massimo splendore dal1540 al 1557, in concomitanza con quello dell’Arte del-la lana e con l’accorto governo di Margarita d’Austria. Che si trattasse di un Palio ricco si evince dai bilancidi spesa che figurano nei libri del Camerlengo, daiquali risulta che venivano assoldati una ventina dimusici: pifferai, citaristi, trombettieri, ciarammellari etimpanari per allietare la manifestazione. Il Palio era

talmente sentito dai leonessani che spesso scoppiava-no gravi tafferugli tra il pubblico. Particolarmentegravi furono quelli del 1557, che costarono la vita adalcune persone. L’Uditore Generale Alessandro Oliva,che assistette personalmente all’accaduto, fu costrettoa sospendere definitivamente la manifestazione.

In alto: “Palio del Velluto”, sbandieratori.A destra: gara del pane A lato: Rassegna delle Regioni a Cavallo

La festa della Croce. La prima domenica di lu-glio molti leonessani, devoti del loro Santo cittadi-no, salgono in pellegrinaggio sul Monte “La Croce”,dove San Giuseppe, tra 1608 e il 1609 piantò unacroce (l’asse maggiore era lungo tre metri e mezzo),dopo averla portata sulle sue spalle per i 4 km del-l’impervia mulattiera. Fu accompagnato nell’impre-sa da un suo confratello, fra Gregorio che, secondotradizione, durante l’ascesa al monte, a causa dellafatica e del gran pregare, fu colto da un’inestingui-bile sete. Siccome nel sentiero non vi era acqua, SanGiuseppe provvide a farla sgorgare miracolosamen-te da una roccia: quella che oggi è chiamata “Lo sco-glio di San Giuseppe” e che è ubicata a 3\4 del sen-tiero. Nel 1628 quella sorgente era ancora attiva,come risulta da una testimonianza relativa al pro-cesso di beatificazione del Santo. Tutt’ora i pellegri-ni vi fanno una sosta di preghiera.Secondo un’altra tradizione il Santo, per fissare a ter-ra la croce, ridiscese a prendere i sassi nel Tascino, insegno di purificazione. Da qui l’usanza per la qualetutti i leonessani che il giorno della festa salgono sul-la Croce raccolgono un sasso nel Tascino e lo depon-gono in cima al monte. Sin dal periodo della beatificazione di San Giuseppe(XVIII secolo) numerosi furono i pellegrinaggi, pro-venienti anche da paesi confinanti (Favischio, Posta,Borbona, Bacugno, Sigillo ecc.), organizzati in occa-sione di particolari festività (Ascensione, Assunzio-ne, Ognissanti, prima domenica di luglio), secondol’antica usanza popolare che concepiva le celebrazio-

ni liturgiche “dell’Ascesa” nel senso letterale del ter-mine. La festa, organizzata sin dall’inizio da un grup-po di Festaroli riuniti in una Confraternita che procu-rava anche un adeguato servizio religioso, cominciavail sabato con una dura astinenza, acuita dalle fatichedella salita mattutina, in preghiera, al monte; e nonerano pochi coloro che per devozione al Santo o perun voto, affrontavano l’impervio sentiero a piedi scal-zi. All’alba veniva celebrata la S. Messa, dopo la qualela vigilia veniva rotta con un’abbondantissima cola-zione.Nel 1911 Leone XIII emanò un Breve nel qualeconcedeva l’indulgenza plenaria a chi avesse visitatola chiesa di Colle Collato nelle feste dell’ Ascensione,dell’Assunzione, di Ognissanti e della prima domeni-ca di luglio o nel sabato precedente.Attualmente la festa è organizzata da un comitato co-stituito ad hoc che appronta, nel rifugio attiguo allachiesa, anche un rustico servizio di ristorazione per ipellegrini che salgono in preghiera il sabato pome-riggio e la notte. Il pellegrinaggio è spontaneo e i de-voti salgono a piccoli gruppi in orari diversi, facendodelle soste di preghiera dinnanzi alle sette edicolette.La maggior parte di essi attende la Messa delle 23,00e poi ridiscende. Ma non sono pochi coloro che, pro-seguendo l’antica tradizione, bivaccano tutta la nottenella Valle sottostante la chiesa, aspettando la S.Messa dell’aurora.Fino a qualche decennio fa molte donne percorreva-no la mulattiera scalze; era costume attingere l’acquapiovana alla cisterna posta dietro la chiesa, che poiveniva fatta bere ai malati.

Sopra: Chiesa di Collecollato, momento della Comunione nel giorno della festa Sotto: il sorgere della luna a Collecollato

Pagina seguente: Leonessa - altipiano Est - Gran Sasso d’italia

La festa della Madonna di CostantinopoliQuesta ricorrenza, che si celebra la seconda domeni-ca di luglio, dal punto di vista storico-religioso è unadelle più importanti del calendario festivo di Leo-nessa ed affonda le sue radici nella religione cristia-na d’Oriente. Il culto della Madonna di Costantino-poli, infatti, prese avvio dal dogma della divina Ma-ternità della vergine proclamato ad Efeso nel terzoConcilio Ecumenico (431). Per tramandare il dogmaai posteri furono fatti costruire tre templi, il piùgrande dei quali a Costantinopoli, capitale del sacroRomano Impero d’Oriente. Durante l’assedio dellacittà da parte degli Aragheni, gli abitanti si rifugiaro-no nella basilica, pregando e miracolosamente Co-stantinopoli fu salva.Durante il periodo iconoclastico (VIII secolo. d.C.),i padri Basiliani portarono la sacra icona della Ma-donna di Costantinopoli a Bari. Da qui, nei secoli, ilculto si diffuse nell’Italia centromeridionale, so-prattutto per il fatto che Maria di Costantinopoli funominata dai regnanti spagnoli protettrice delle“Reali Confraternite di San Giovanni, Cavalieri diMalta ad Honorem”. In seguito fu Carlo III che,prendendo possesso del Regno di Napoli nel

1735, conferì il titolo di “Reali” alle confraterni-te suddette.A Leonessa la fiera relativa alla festa fu istituita daFerdinando IV nell’aprile del 1777, ma il culto era giàpresente come si evince dalla descrizione della statuadella Madonna di Costantinopoli, fatta dal vescovoLascaris nel 1712 parlando della chiesa di San Carlo.Nella storia del culto di Maria di Costantinopoli, del-la sua conservazione e della sua propagazione, unruolo di primo piano ha sempre svolto la Confrater-nita (oggi detta di Maria S.S. della Misericordia odella Buona Morte, che fa capo alla chiesa di S. Car-lo), che ancora organizza la festa. Questa si articolain due parti: una religiosa, che comprende una nove-na e una processione e una civile che comprende lafiera Franca (libera, in antico, da gabelle) popolar-mente detta fiera dell’aiju (poiché è il periodo mi-gliore per comprare l’aglio), dei giochi e degli intrat-tenimenti musicali, culminanti con il Ballo della Ma-rianna. Il finanziamento delle varie attività avvieneattraverso “l’accatto” (questua) a cui non si sottraenessun leonessano.Recentemente la Confraternita leonessana si è ge-mellata con l’omonima congrega di Cantalice.

154

Sopra: Leonessa - processione della Madonna di CostantinopoliA lato: Casanova - Leonessa

155

Agosto Leonessano Durante il mese di agosto Leonessa e le sue frazioni si riempiono di oriundi e di turisti.Tutte le abitazioni tornano provvisoriamente ad essere abitate. Gli alberghi registrano il tutto esaurito e la stes-sa cosa avviene per gli appartamenti in affitto. Per dare un’idea del fenomeno basti solo dire che dai circa 2.800abitanti si passa ai 40.000. L’Amministrazione Comunale e la Proloco cercano di rendere il soggiorno dei turi-sti il più possibile gradito, con l’organizzazione di diverse manifestazioni di vario carattere: teatrale, musicale,cabarettistico, culturale. In questo periodo, inoltre, sono concentrate quasi tutte le feste delle varie frazioni.

156

157

La f esta della Madonna della Paolina Tutta la ricorrenza è incentrata sul Santuario, che deve il suo no-me ad una donna di San Giovenale, Paolina Giovannoli, che ottenne una miracolosa guarigione, pregando din-nanzi ad un dipinto della Madonna delle Grazie che custodiva in casa. In segno di gratitudine la donna fece co-struire, probabilmente nel 1665, “una modesta cappelletta”, esponendovi il quadro.È forse la festapiù importantedelle frazioni.Si svolge il 25agosto nel San-tuario omoni-mo a poca di-stanza dallafrazione di SanGiovenale, e siarticola in dueparti: una reli-giosa che com-prende unap r o c e s s i o n enotturna per ipaesi vicini conle auto guidateda quella conissata sopraun’immaginedella Madonna(un tempo era-no i fedeli cheandavano inpellegrinaggioal Santuario), en u m e r o s eMesse; una ci-vile che com-prende unagrande fieracampestre dimerci, e spet-tacoli di variotipo.

A destra: San Gio-venale - Madonnadella Paolina: gran-de spettacolo piro-tecnico nella seradella festa.A lato: Leonessa - Panorama

158

La festa settembrina di S. Giuseppe. La secon-da domenica di settembre si celebra quella che puòessere definita la Festa Nazionale dei Leonessani,ossia la festa in onore di San Giuseppe da Leonessa.L’origine di questa seconda festa è da ricercare nelladata di Beatificazione del Santo avvenuta il 19 giugnodel 1737 nella basilica di San Giovanni in Laterano aRoma.A Leonessa i primi festeggiamenti per il grande even-to si svolsero soltanto due mesi dopo (la secondadomenica di settembre del 1737), essenzialmente perdue motivi: uno di carattere socio-economico relati-vo alle attività agricole (i mesi luglio ed agosto eranodedicati alla mietitura ed alla trebbiatura); un altrodovuto al ritardo - 31 agosto del 1737 - con il qualegiunse l’autorizzazione della S. Congregazione per la

traslazione del corpo del Santo, dalla sua collocazio-ne originaria (in una nicchia ricavata al di sotto delpavimento della chiesa, dove fu nascosto all’indoma-ni del “Sacro Furto” operato dai leonessani adAmatrice nel 1639) nell’altare maggiore. A queste motivazioni è da aggiungerne una terza dicarattere climatico che ha continuato a spingere i leo-nessani a celebrare la festa “civile” a settembre anzi-ché a febbraio.Attualmente la festa religiosa è limitata ad alcuneSante Messe, alla grande processione con la reliquiadel Cuore del Santo ed alla benedizione con la stessain Piazza 7 Aprile. Mentre più nutrito è il calendariocivile con una fiera e spettacoli vari, organizzati dalComune e dalla Proloco; scomparso sembra essere ilruolo organizzativo della Confraternita.

159

A destra: Leonessa-Festa settembrina diS. Giuseppe: proces-sione con il Cuoredel Santo attraversoil paese.Sotto: Leonessa - Pel-legrinaggio della con-fraternita di S. Giu-seppe di Otricoli.A lato: Leonessa -Santuario

160

La festa di San Matteo e la Sagra della Patata.La festa della Madonna di San Matteo si svolge la se-conda Domenica di Ottobre e chiude la stagione del-le feste all’aperto. Fino a qualche anno fa era la ri-correnza che più di tutte presentava caratteristichetipicamente popolari sia nell’organizzazione, ap-prontata comunitariamente dagli abitanti di Via del-la Ripa, sia nei giochi: tiro della fune, della pignatta,corsa con i sacchi, gara degli spaghetti, corsa conl’uovo etc. Attualmente questa ricorrenza è stata lar-gamente obliterata dalla Sagra della Patata che sisvolge lo stesso giorno e che nacque nei primissimianni ‘90, quasi per scherzo, nell’ambito degli orga-nizzatori della festa della Madonna di San Matteo.Questa idea successivamente fu accolta e sviluppatadalla Proloco di Leonessa che nel tomo di pochi an-ni ha portato la manifestazione ad elevati livelli, con

risvolti positivi soprattutto per l’asfittica economialeonessana, in particolare per il settore agroalimen-tare. La produzione delle patate infatti è enorme-mente aumentata ed è stata seguita da alcuni agro-nomi dell’università di Perugia. Gli agricoltori ven-dono direttamente il loro prodotto nell’ambito dellaSagra con buoni ricavi. La qualità delle patate, per lepeculiari caratteristiche climatiche, ambientali egeologiche dell’altipiano, è ottima. Per la manifesta-zione vengono approntati numerosi stand di prodot-ti tipici, provenienti anche dai paesi vicini. Alle13,00 di domenica, in Piazza 7 Aprile, inizia la distri-buzione di cibi a base di patate. Nel pomeriggio lestrade pullulano di turisti che affollano gli stand eviene premiato l’agricoltore che ha raccolto la pata-ta più grande. La festa si conclude con i fuochi d’ar-tificio e il Ballo della Marianna.

Sopra: la valle del Fuscello. A lato: Leonessa - Panorama

161

“Le porte del morto”. Sono così denominate alcu-ne strette porte murate ubicate di solito a fianco di unfondaco o dell’entrata principale di un'abitazione, adun’altezza variabile tra 100 e 120 cm. Si tratta dimanufatti di origine medievale particolarmente diffu-si in alcune regioni dell’Italia Centrale: Toscana,Umbria (Gubbio, Orvieto), Marche, Lazio (Tivoli). ALeonessa ve ne sono diverse, riaffiorate con alcunilavori di restauro. Due sono ubicate in Piazza 7 Aprile,ai numeri 53 e 58, una in Corso San Giuseppe al n°114, due in Via Mastrozzi ai numeri 88 e 125, benquattro in Via San Francesco ai numeri 38, 36, 23, 46e 91, una, la più bella, in Piazza Garibaldi già piazzaSan Francesco al n° 2.Due sono le interpretazioni che gli esperti danno ditali porte. La prima, forse la meno attendibile, è quel-la che attribuisce a queste aperture la funzione prati-ca di ingresso più sicuro all’abitazione sovrastante lebotteghe: ritirata di notte la scaletta di legno appostadi giorno, l’entrata della casa rimaneva isolata da

terra e, quindi, non facilmente accessibile. La secon-da, rifacendosi alla tradizione ed alla denominazionedi tali manufatti “Porte del morto", attribuisce loro unsignificato essenzialmente simbolico. Queste porte,infatti, erano sempre murate e venivano aperte soloper far passare la bara con il morto, e subito doporichiuse. Simbolicamente tale operazione rituale veni-va approntata per facilitare l’uscita dello spirito dallacasa e così agevolargli l’entrata nell’altro mondo. Nonveniva utilizzata l’entrata principale per non "conta-minare" la soglia della porta principale, resa puradalla presenza del genius protettore della casa, spessorappresentato da immagini sacre affisse sull’architra-ve della porta - come ad es. il Trigramma di SanBernardino da Siena. Per estensione di questo suosignificato simbolico, per la "Porta del Morto" potevapassare anche una persona della famiglia caduta indisgrazia per diversi motivi e perciò simbolicamenteconsiderata morta: ad Assisi, ad esempio, per questaporta passarono San Francesco e Santa Chiara.

162

ALCUNE CURIOSITA'

Sopra - Leonessa:“porta del morto”. A lato: “porta della vita”

163

Questo simbolo si trova scolpito sugli architravi di di-versi portali di fondachi, di abitazioni, di chiese, di fi-nestre e su quello di alcuni fonti battesimali. Le lette-re che lo costituiscono sono le prime tre del nome diGesù, in greco. Ma si sono date anche altre due inter-pretazioni: la prima, basandosi sull’etimologia delnome “Gesù”, che in ebraico significa «Dio Salva»,cioè Salvatore (Mt. I,21-25), vede nelle tre lettere deltrigramma l’abbreviazione di: I(esus) H(ominum)S(alvator). La seconda lo concepisce come abbrevia-zione del motto costantiniano In Hoc Signo – vinces.Di certo vi è che Bernardino lo chiamò Nome di Ge-sù e che fu egli stesso ad inventarlo nel 1420 a Bolo-gna, per diffonderne la devozione e per combattereogni male: “Questo Nome di Gesù è il brieve dei brie-vi santi; portalo adosso, o scritto o figurato e non po-trai capitare male”. Il prototipo originale fu dipintodal Santo stesso (perciò è il patrono dei pubblicitari),su una tavola. Era costituito dalle tre lettere YHS po-ste su un sole giallo, con12 raggi fiammeggianti edotto raggi dritti a mo’ dicanne d’organo, su campoazzurro; il tutto circonda-to da una fascia esternanella quale erano scrittealcune parole in latino della lettera ai Filippesi diPaolo, tradotta in italiano: “Nel nome di Gesù ogniginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti che dei ter-restri e degli inferi.”Il Santo era solito esporre la tavoletta all’adorazionedei fedeli al termine delle sue severe quanto coinvol-genti omelie. In un secondo momento, Bernardino,perché non si dimenticasse la Passione di Nostro Si-gnore, aggiunse al simbolo originale una croce sor-montante la lettera H. Il trigramma, nei suoi vari ele-menti, presenta un complesso simbolismo esplicitatodal Santo stesso: il Sole rappresenta il Cristo che dala vita come l’astro giallo e suggerisce anche l’ideadella Carità, i 12 raggi fiammeggianti rimandano agliapostoli, gli 8 raggi più piccoli rappresentano le ottobeatitudini del Vangelo di Matteo, il colore giallosimboleggia l’amore, l’azzurro la fede.La devozione al Nome di Gesù con l’annesso simbolofu diffusa da Bernardino e dai suoi seguaci in Europae nell’Italia centrosettentrionale.A Leonessa probabilmente furono i francescani apropalarla – unitamente al culto per il Santo - già nelXV secolo, come lasciano presupporre i quattrocen-teschi affreschi della chiesa di San Francesco raffigu-ranti San Bernardino con la caratteristica tavoletta. Itrigrammi scolpiti in pietra sui portali, invece, risal-gono tutti al XVI secolo. Il più antico è quello scolpi-to sull’architrave di una finestra di un’abitazione ubi-

cata al n 21, in Via San Francesco. Infatti, se interpre-tiamo le ultime tre lettere dell'iscrizione “YHS SER:MARCO: ISo ...” come data, e non come il nome del-la famiglia committente, abbiamo 150...; il che collo-cherebbe lo stemma nel primo decennio del XVI se-colo. Ciò è giustificato dal fatto che nelle altre iscri-zioni leonessane di questo periodo, il numero 5 è pre-sentato sempre con la forma di una S, ed anche dallapresenza della lettera Y, e non la semplice I, seriore.Quest'ultima caratteristica la ritroviamo anche nel-l'iscrizione posta sull'architrave della porta di un fon-daco, ubicato al numero 165 di Corso San Giuseppe,MCCCCC Y h S XXXII, e considerato finora il più an-tico. Sulla stessa strada lo stemma si trova scolpitoanche sull’architrave del portale di altri quattro fon-dachi, ai numeri 115, 92, 31, 8, raffigurato con i carat-teristici raggi fiammeggianti e a canna d’organo; suquello di due porte di abitazioni al numero 148 – conla data 1577 e il nome committente P. S.- e al nume-ro 18; su quello di una finestra, al numero 102, con ladata 1547 e iniziali del nome del committente IO. PA.Quello, in pietra bianca, collocato sulla facciata di Pa-

lazzo Antonelli (n 115) è ilpiù grande di tutti: oltre icaratteristici raggi fiam-meggianti presenta trechiodi (simbolo della Pas-sione) scolpiti al di sottodelle tre lettere IHS. An-

che in Via Mastrozzi vi è una cospicua presenza distemmi bernardiniani. Uno è scolpito sull’architravedel portale della chiesa di San Salvatore, costituitodalle semplici lettere IHS racchiuse in un rettangolo,con la data MDLXVI; un altro, in pietra bianca, sitrova sulla facciata dell’abitazione, anticamente adi-bita ad hospizio, attigua a San Salvatore; un altro èapposto sull’architrave di una finestra di un palazzet-to al n 74; altri due – analoghi a quello del n 92 diCorso San Giuseppe - sono collocati sugli architravidelle porte, ai numeri 90 e 105; l’ultimo si trova alcentro dell’architrave del portale di una chiesa (pro-babilmente di San Massimo del Sesto di Forcamelo-ne), murato sulla facciata posteriore del Santuario.Altri trigrammi abbiamo in Via Delle Mole al n 33, inVia Brunori Bocarini, sull’architrave di un portale delXVI secolo, ubicato al n 40 e sul portale della chiesadi Santa Maria di Loreto dei Cappuccini. Lo stemmabernardiniano lo troviamo infine in alcune frazioni eanche sui fonti battesimali della chiesa di Santa Ma-ria del Popolo a Leonessa, datato 1538, di quella diSanta Maria a Sala, fine XV secolo e di quella dellaMadonna delle Grazie a Volciano, risalente al XV-XVI secolo.

164

Sopra: Trigramma sull’architrave della porta di un fon-daco in Corso S. Giuseppe.A lato: Leonessa - Loggiato del Convento di S. Pietro

Il trigramma di San Bernardino da Siena I H S.

Sopra: Leonessa - Convento di S. PietroA lato: Leonessa - Valle MaddalenaPagina seguente: Leonessa - Altipiano Ville di Sotto -Sullo sfondo MonteVettore e Monti Sibillini

Altre immagini Altre immagini

per desiderare, esplorare, scoprire per desiderare, esplorare, scoprire

la bellezza incomparabile dila bellezza incomparabile di

Leonessa Leonessa

e del suo altipianoe del suo altipiano

170

171

Sopra: Leonessa, pen-dici di Monte CambioA destra: Leonessa,Valle MaiolicaA lato: Leonessa,piano di Terzone

172

Sopra: Leonessa - Colle-collato - Torre angioinanel plenilunio di LuglioA destra: Leonessa -Strada per Capodacqua,sullo sfondo MonteCambioA lato: Leonessa - Loggia-to di S. Pietro XV sec.

174

Leonessa - Riofuggio Leonessa - Panorama

Leonessa - Strada Panoramica per il Terminillo

175

Leonessa - Nuove costruzioni

Leonessa - Torre Angioina - Collecollato Leonessa - Selvapiana - Collecollato

Sopra: Leonessa - Collecollato - Monte CambioSotto: Leonessa - Monte Iacci - TerminilloA lato: Leonessa - Fontenova

Leonessa - Monte Cambio

Leonessa - Panorama

Leonessa - Panorama

180

Leonessa - Torre Angioina - Leonessa - Panorama

181

Leonessa - Panorama

Leonessa - Collecollato - Gran Sasso d’Italia

182

183

Sopra: Leonessa - Via Santa Chiara - Pagina seguente: Monte Tilia da Colle Centopezze

186

Leonessa - Viesci

187

Leonessa - Via della Ripa

188

Leonessa - Campanile di S. Pietro

Leonessa - Monte Tilia - Gran Sasso d’Italia

189

Sopra: Leonessa - Collecollato. Pagine succcessive: Leonessa - Panorama, Leonessa - Selvapiana

Leonessa - Panorama con le tre torri campanarie: S. Pietro, S. Giuseppe e S. Francesco

192

No TE

AMBIENTE 1 - Sarrocco S. in Terminil-lo anno Zero, Vol. I, Big Ri19882 - Sarrocco, ibidem.

CENNI STORICI1 - Il culto di questa deapassò dai Celti agli Umbri,ai Piceni e ai Romani; nelleantiche stalle romane (lo af-ferma Plinio) Umbre, Celti-che, e Picene, nel pilastrocentrale c’era sempre unapiccola nicchia con la statuadi Epona.2 - Zelli M., Narnate, L’Er-ma, Rm, 1997.3 - Zelli, ibidem. p. 264 - Costantini, Labella, Del-l’origine e fondazione diLeonessa e delle sue Ville,p. 18, ed “Leonessa e il suoSanto”. Il libro si basa su unmanoscritto risalente alme-no alla fine del XVI secolo enon al XVII come comune-mente si ritiene. Prova ne èla citazione della leggendadei Sette Baroni in essocontenuta, fatta nel 1593 daSebastiano Marchesi nelsuo Sommario e descrizio-ne della terra di Leonessa.

CENTRO STORICO1 - Nel XVIII secolo, con lacostruzione del Santuariodedicato a San Giuseppe daLeonessa, fu chiusa Via Du-rante Dorio, che confluivanella Piazza principale.2 Anticamente le Porte era-no tre, vi era infatti anchePorta Romana che sorgevanel lato ovest delle Mura,presumibilmente vicino aVia Della Ripa.3 - AA. VV. Leonessa, Sto-ria di un centro di confine.4 - L’opera, di alta ingegne-ria idraulica, serviva nonsolo per l’approvvigiona-mento idrico della città, masoprattutto per le gualchie-re utilizzate nel ciclo dellalavorazione della lana, e permuovere le pale dei settemulini ubicati lungo il pen-dio della montagna.5 - AA. VV. cit. p. 108-109.6 - Chiaretti, cit.7 - Chiaretti G. cit. 8 - Dionisi E. La fontana diPiazzza, in “Leonessa e ilsuo Santo”.9 - In merito ai due PalazziMongalli, è da aggiungereche secondo alcuni docu-menti, originariamente era-no tre - il terzo “faceva an-golo con la Via Recta”- e chei Mongalli erano una dellefamiglie più in vista di Leo-

nessa. Appartenenti al Se-sto di Poggio erano mer-canti di panni lana e grandiproprietari armentizi. UnMongalli, Manlio, vissutoverso la fine del XVI seco-lo, fu cavaliere Gerosolo-mitano e protoprefettodelle truppe pontificie diBologna.10 - AA. VV. Leonessa: cen-tro di confine, pp. 85-90.11 - Si tratta dello stemmadella Confraternita di SantaCroce che si trova anchenell’intradosso della mono-fora del secondo ambiente.12 - Le parole sono riprese,con alcune varianti, dallalauda XIX del Codice Casa-tense.13 - AA.VV. Sulle orme deiBianchi, p. 400-01. Assisi2001.14 - Arch. Vat. Reg. Vat. 31.Zelli, M. Cit.15 - Zelli M. Leonessa e ilsuo Santo, 95.16 - Zelli M. Narnate, L’Er-ma, Roma, 1997.17 - Carbonara, Lo spaziodell’Umiltà18 - Catalogo mostra Lan-franco, Roma 2002.19 - Per ulteriori dettagli ve-di Nicoli, cit. 2001, p. 21-22.20 - La costituzione ufficia-le dell’Ordine risale al 1243,con la Bolla Incumbit nobisemessa da Innocenzo IV,con la quale il papa invitavale numerose comunità dellaTuscia a riunirsi in un unicoOrdine religioso con la Re-gola di Sant’Agostino. Tut-tavia le primissime tracce diquesta tradizione monasti-ca risalgono a subito dopola conversione del Santo diTagaste quando Agostino,insieme ad alcuni suoi com-pagni, iniziò una vita comu-nitaria di preghiera. In Eu-ropa la Regola agostiniana,nell’XI secolo, costituì labase per la riforma di mo-nasteri e capitoli cattedrali. 21 - AA. VV. Leonessa, sto-ria e cultura..cit p. 47.22 - Zelli M. Leonessa e ilsuo Santo, 175/94.23 - Zelli M. chiese di Leo-nessa, in “Leonessa e il suoSanto” 1996.24 - Mariani L. Sacrilegofurto, in “Leonessa e il suoSanto”, 1995.25 - Chiaretti, G. ArchivioLeonessano.26 - Non sappiamo se è unacoincidenza, ma un certoAgostino Ruscitti nella suatestimonianza al Processodi beatificazione di SanGiuseppe tenutosi nel 1628,riferisce di aver fatto dipin-

gere un ex voto e di averlodonato al convento dei fratiCappuccini (D’Agostino, O.vita di S. Giuseppe secondole testimonianze, p. 57).27 - Nicoli, L. Le cose deprima.28 - “Vicaria di Leonessa,1902”. Manoscritto colloca-to presso la biblioteca delconvento dei Cappuccini.29 - Ibidem.

LE FRAZIONI1 - Zelli M. Narnate, p. 412 - Chiaretti G. Guida diLeonessa 1995.3 - Morini, Madonna dellaPaolina4 -Zelli, 97, op. cit., p 17.5 - Nicoli L. Leonessa e ilsuo Santo, 20026 - Per ulteriori notizie vediNicoli 2005.7 - Chiaretti G. Guida diLeonessa.8 - Vedi Nicoli, L’aratru, lasubbia... 20019 - Ibidem, Zelli, p. 75.10 - Di Flavio, Leonessa e ilsuo Santo, Visite Pastorali.11 - Zelli M. cit. p.7212 - Nicoli Luigi, Andar perSesti, ed. proloco di Leo-nessa, 2005.13 - Jarnut J. Storia deiLongobardi, il Giornale2006.14 - Zelli M. Cit. p. 75, 91.15 - Zelli, M. Gonexa, Leo-nessa 197416 - Chiaretti G. Guida diLeonessa.17 - Zelli M. , Gonexa, 1974p. 16

LEONESSANI ILLUSTRI1 - Ricordiamo che dal XVIsecolo fino al 1967 - seppu-re con la breve parentesi delprotettorato di Sant’Emidiodopo il terremoto del 1703 -il Patrono di Leonessa eraSan Giorgio.

BIBLIo Gr Af IA

A.AVV. Terminillo anno ze-ro, BIG Rieti, 1988.AA:VV. Lo spazio dell’umil-tà, Centro francescano, Fa-ra Sabina, 1984.AAVV. Leonessa, San Giu-seppe, i Giacobini, Comunedi Leonessa, 1999.AAVV. Sulle orme dei Bian-chi, p. 400-01. Assisi 2001.AAVV. Leonessa: storia ecultura di un centro di con-fine, La nuova Italia scienti-fica, 1991AA. VV. Leonessa e il suoSanto, rivista bimestraledei PP Cappuccini i Leones-sa; 1964-2005

Ancillotti, A., Cerri R. Letavole di Gubbio, JamaPG, 1996.Cardini F. L’alba della mo-dernità, Il Cerchio, Rimi-ni, 2002.Cardini F. L’apogeo delmedioevo, Il Cerchio, Ri-mini, 2001.Chiaretti Giuseppe, Guidadi Leonessa, ed. Leonessa eil Suo Santo, 1995 II ed.Chiaretti Giuseppe, Guidadi Leonessa, EPT, Rieti,1968, I ed.Chiaretti Giuseppe, VII,centenario, Leonessa 1978.Chiaretti G. Archivio leo-nessano, Roma, 1965.Chiaretti G. La cultura ar-cheologica...in Umbria at-traverso l’opera di DuranteDorio, Pg , 1969.Confraternita di Santa Cro-ce, La chiesa di San France-sco, Leonessa 1999.Crollalanza, Stemmario ita-liano, Forni Bo.Cultrera G., Pasquali F. Sta-tuti di Leonessa, Leonessa eil Suo Santo, 2002.Devoto G. Le tavole di Gub-bio, Sansoni ’77.Devoto G. Gli antichi Italici,Vallecchi, Fi, 1957.Di Flavio Vincenzo, Spedal-li, lebbrosari in Sabina.Di Nicola A. Lanaioli...nellaLeonessa del ‘500, Secit,Leonessa 1989Diacono P. Storia dei Lon-gobardi, Mondatori, Mi,2001.Jörg Jarnut, Storia dei Lon-gobardi, Mondadori, MI,2006.Marchese, G. Jacopo Sicu-lo, Ila Palma, PA, 1998.Morini, La Madonna dellaPaolina.Mosca Giulio, Posta nell’al-ta Valle del Velino, Prov. DiRieti, RI, 1999.Nicoli L .Andar per Sesti,Proloco di Leonessa, 2005.Nicoli L. De Concini E. Eu-franio delle sommità, Nicoli L. L’aratru, la subbia,lu fusu, la mandria, Leones-sa e il suo Santo 2001Nicoli L. Le cóse dé prima,Leonessa e il suo Santo,1999.Plinio, Naturalis historia.Polia Mario, Mio padre midisse, Rimini, 2002Zelli M. Gonessa nel XIVsecolo, Museo città di Leo-nessa, 2003.Zelli M., Narnate, L’Ermaedizioni.

Riproduzione:La riproduzione parziale o to-tale in qualsiasi forma, tipo-grafica, fotografica, magneti-ca, elettronica o con qualsia-si altro sistema è vietata.

Progetto grafico:Alberto PaolettiAnavio Pendenza

Edizione:“Leonessa e il suo Santo” Convento Padri CappucciniViale Crispi, 3102016 Leonessa - RITel. e Fax 0746/922154C.C.P. n. 14309025e-mail:[email protected]

Stampa:Arti Grafiche San MarcelloViale Regina Margherita,17600198 Roma Tel.06/8553982

• in questa pagina: Leonessa- Campanile di S. Pietro• in prima di copertina:Chiostro del Convento deifrati Cappuccini• in quarta di copertina: mu-ra della chiesa S. Cristoforo,demolite nel 1981 - Loggiatodel convento di S. Pietro

❇❇

Impara dalla

natura

l’adorazione e

sarai il più

felice degli

uomini.

Non lasciare che

passi un solo

giorno senza che

sia levato un

raggio di felicità

su un cuore triste.

Chi, nel cammino

della vita, ha

acceso anche

soltanto una

fiaccola nell’ora

buia di qualcuno

non è vissuto

invano. In ogni

avvenimento

passa un sentiero

che porta a Dio.

Sii felice delle piccole

cose: esse danno alle

grandi gioie

l’opportunità di

insinuarsi nel tuo

animo con

tranquillità.

Viviamo in un mondo

che comunica con i più

svariati mezzi

telematici; la

comunicazione e

l’ascolto diventano

sempre più difficili. Le

parole e il modo con cui

le diciamo favoriscono

la felicità o l’infelicità

della persona.

scoprire Leonessa attraverso parole ed immagini

LeonessaLeonessala c i t tà natale d i San Giuseppe la c i t tà natale d i San Giuseppe