LA CITTÀ ABBANDONATA Dove sono e come cambiano le periferie italiane

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Indice INTRODUZIONE di don Roberto Davanzo...........................................................................................5 QUADRO COMPLESSIVO DELLA RICERCA .......................................................................................7 1 SCELTA DEL QUARTIERE 1.1 Scelta del quartiere .............................................................................................................................37 1.2 Breve analisi storica e sua identità nella città...................................................................... 1.2.1 Il quartiere Bonfadini-Taliedo........................................................................................... 1.2.2 Il quartiere Forlanini-Monluè............................................................................................ 1.2.3 Il quartiere Ponte Lambro ................................................................................................... 1.2.4 Il quartiere Zama-Salomone .............................................................................................. 2 I FUTURI DEL QUARTIERE 2.1 Area dell’ex Caproni................................................................................................................................. 2.2 Area ex Montedison................................................................................................................................. 2.3 Il contratto di Quartiere II Ponte Lambro ............................................................................... 2.4 L’inserimento della popolazione immigrata ......................................................................... 2.5 L’impatto delle novità sugli abitanti ........................................................................................... 3 STRUTTURA URBANISTICA E CONDIZIONI ABITATIVE 3.1 L’immagine del quartiere ..................................................................................................................... 3.2 L’immagine del quartiere imposta dai mass-media......................................................... 3.2.1 Rassegna stampa sul quartiere Forlanini-Taliedo-Ponte Lambro tratta dal Corriere della Sera – Cronaca Milano nel periodo 1.7.2005-30.3.2006......................................................................................... 3 Milano, ex zona 13: il territorio come arcipelago

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É cominciato così un ampio progetto, denominato «Aree Metropolitane» esostenuto dalla Conferenza Episcopale Italiana con i fondi derivanti dall’otto permille. Si tratta principalmente di un’indagine vissuta sul campo dai ricercatori edagli operatori delle Caritas diocesane; un viaggio nella «città abbandonata» cheè dentro le nostre città, per progettare e cominciare ad agire percorsi di umanizzazione e cambiamento.»http://www.caritas.it/Documents/39/2754.pdf

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Indice

INTRODUZIONE di don Roberto Davanzo...........................................................................................5

QUADRO COMPLESSIVO DELLA RICERCA .......................................................................................7

1 SCELTA DEL QUARTIERE

1.1 Scelta del quartiere.............................................................................................................................37 1.2 Breve analisi storica e sua identità nella città......................................................................

1.2.1 Il quartiere Bonfadini-Taliedo...........................................................................................

1.2.2 Il quartiere Forlanini-Monluè............................................................................................

1.2.3 Il quartiere Ponte Lambro ...................................................................................................

1.2.4 Il quartiere Zama-Salomone ..............................................................................................

2 I FUTURI DEL QUARTIERE

2.1 Area dell’ex Caproni.................................................................................................................................2.2 Area ex Montedison.................................................................................................................................

2.3 Il contratto di Quartiere II Ponte Lambro ...............................................................................

2.4 L’inserimento della popolazione immigrata .........................................................................

2.5 L’impatto delle novità sugli abitanti ...........................................................................................

3 STRUTTURA URBANISTICA E CONDIZIONI ABITATIVE

3.1 L’immagine del quartiere.....................................................................................................................

3.2 L’immagine del quartiere imposta dai mass-media.........................................................

3.2.1 Rassegna stampa sul quartiere Forlanini-Taliedo-Ponte Lambro tratta dal Corriere della Sera – Cronaca Milano nel periodo 1.7.2005-30.3.2006.........................................................................................

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4 STRUTTURA DELLA POPOLAZIONE E SOCIALITÀ INTERNA

4.1 Alcuni indicatori statistici .....................................................................................................................

4.1.1 La popolazione.............................................................................................................................

4.1.2 Gli immigrati ..................................................................................................................................

4.1.3 La scuola e gli adolescenti...................................................................................................

5 PRINCIPALI PROBLEMATICHE

5.1 I bisogni..............................................................................................................................................................

5.2 I dati dei Centri di ascolto Caritas .................................................................................................

6 LE RISORSE

6.1 Associazioni, cooperative, volontariato....................................................................................

6.1.1 Risorse a Ponte Lambro.........................................................................................................

6.1.2 Risorse al Forlanini.....................................................................................................................

CONCLUSIONI .................................................................................................................................................................

BIBLIOGRAFIA ..............................................................................................................................................................

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Introduzione

Questa ricerca sulle periferie non ci ha trovato impreparati, nè sorpresi. Già da

tempo quanti hanno a cuore il volto e le sorti della nostra città avevano intuito

che il futuro di Milano doveva passare obbligatoriamente attraverso lo snodo di

quei quartieri che rappresentano il nervo scoperto di un abitare incapace di

generare appartenenza e sicurezza.

In questi anni in diversi hanno provato a “metterci la testa” per scoprire anzi-

tutto che il concetto di periferia non è più confinabile in termini geografici, ma

possono sussistere sacche di grave disagio anche a pochi minuti dal centro della

città. Si è poi scoperto che periferia non fa solo rima con esclusione e degrado,

ma che in diverse di queste aree difficili esistono realtà umane ricchissime capa-

ci di fare da collante in situazioni frantumate e disgregate. Ci siamo inoltre con-

frontati con la debolezza di progetti di riqualificazione che, malgrado la tanta

declamata “progettazione partecipata”, si sono rivelati come promesse non

mantenute. Infine – ma l’elenco potrebbe continuare – lo stesso Card.

Tettamanzi nel Discorso di sant’Ambrogio del 2006 ha voluto porre sotto i riflet-

tori il dramma di un degrado abitativo che è contemporaneamente radice e frut-

to di un uomo che, smarrendo il suo “centro”, diventa periferia a sè stesso.

Ecco perchè la proposta di Caritas Italiana ci ha trovati entusiasti sostenitori

della ricerca e di quello che portava con sè. La ricerca è stata infatti l’occasione

di incontrare un quartiere valorizzandone le risorse, ma anche l’opportunità per

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una riflessione di più ampio respiro da riconsegnare a chi amministra questa

città. Desideriamo infatti auspicare che la politica non si accontenti di giocare un

ruolo solo passivo nei processi di trasformazione che riguardano le zone più pro-

blematiche di Milano, bensì che sappia e voglia governare in prima persona tali

processi rifiutando la logica della delega al privato che realizza le opere ed assu-

mendo il ruolo di coordinamento e di prevenzione del rischio di nuove disugua-

glianze sociali.

In tutto questo processo la comunità cristiana e, al suo interno, la Caritas

Ambrosiana è presente e coinvolta con passione e competenza. Lo è sempre

stata e non si tirerà indietro. Ma nel farlo non può venir meno alla sua funzione

di advocacy, di pungolo istituzionale, forte di una sapienza che le viene dall’e-

sperienza maturata sul campo e dall’idea di uomo che dalla Rivelazione riceve e

di cui è al servizio.

Don Roberto DavanzoDirettore Caritas Ambrosiana

Introduzione6

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Il quadro complessivo della ricercaA cura di Caritas Italiana e dell’équipe di ricerca del progetto “Aree Metropolitane”

PREMESSA

« Da tempo le Caritas diocesanehanno posto a servizio della Chiesae della società luoghi particolari diaccoglienza e dialogo con i poveri: iCentri di Ascolto. Progressivamentediffusi su tutto il territorio naziona-le –se ne contano oggi circa 3.000 –i Centri di Ascolto rappresentano,con gli Osservatori delle Povertà edelle Risorse, uno dei più capillari edettagliati sistemi di osservazione emonitoraggio delle dinamichesociali di povertà ed impoverimen-to, e soprattutto un presidio di rela-zione costante con le personecostrette a vivere in tali condizioni.

È attraverso i Centri di Ascoltoche, negli ultimi anni, sono arrivati

dalle grandi città segnali inequivocabili di un mutamento sensibile e preoccu-pante delle forme del disagio in aree della metropoli coincidenti in parte con letradizionali “periferie”, in parte con zone non ritenute periferiche ma sottopo-ste comunque a forti transizioni.

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Donne e uomini, intere famiglie, anziani e giovani che sino a pochi anni fa nonerano considerati potenziali destinatari per i Centri di Ascolto ed i servizi delleparrocchie hanno cominciato ad affacciarsi con le proprie storie, i bisogni,domande sempre più complesse e incalzanti.

Per le Caritas delle aree metropolitane assumere la cura di queste persone hasignificato anche farsi carico del loro disorientamento dinanzi alla «città difficile»- come l’ha definita il Card. Carlo Maria Martini - che è diventata la metropoli glo-balizzata contemporanea.

Un disorientamento divenuto presto anche nostro, da cui è maturata l’esigen-za di ricorrere alle scienze sociali per capire e discernere. Non è sufficiente, infat-ti, abbandonarsi alle sole suggestioni. È necessario provare ad indagare i fenome-ni e a strutturare con competenza e serietà percorsi e proposte che possano inci-dere sul loro corso, specie se si tratta di contrastare povertà materiali ed esisten-ziali che costringono le persone in situazioni di progressiva dis-umanizzazione.

La capacità di svelamento della sociologia, con l’affidabilità garantitadall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è parsa la chiave di letturamigliore per affrontare la «questione delle periferie». Un problema non certorecente, ma che assume forme e modi che richiedono approcci e risposte nuove.Alla base, il radicamento in un’antropologia precisa, qual è il personalismo cristia-no, e in un metodo di ricerca e azione che ha nel Magistero Sociale della ChiesaCattolica la sua guida fondamentale.

É cominciato così un ampio progetto, denominato «Aree Metropolitane» esostenuto dalla Conferenza Episcopale Italiana con i fondi derivanti dall’otto permille. Si tratta principalmente di un’indagine vissuta sul campo dai ricercatori edagli operatori delle Caritas diocesane; un viaggio nella «città abbandonata» cheè dentro le nostre città, per progettare e cominciare ad agire percorsi di umaniz-zazione e cambiamento.»1

Come bene mette in evidenza Mons. Nozza, Direttore di Caritas Italiana, nellasua postfazione al volume “La città abbandonata”, che raccoglie il frutto com-plessivo del lavoro svolto, Un lungo viaggio ci ha portato dentro quartieri con-trassegnati da molti problemi e molte assenze, posti sotto tensione dalle spintecontraddittorie tra il globale e il locale. Si tratta di quartieri non omogenei, comepotrebbe sembrare a prima vista guardandoli dall’esterno: periferie geografichee sociali, collocate talvolta ai margini della città, talaltra prossime al suo centro,eppure marginali rispetto a quest’ultimo.

Il lavoro sui quartieri di periferia ha preso le mosse dalla constatazione del con-densarsi, nei contesti urbani, dei risvolti maggiormente problematici delle trasfor-mazioni globali in atto, nei termini di una crescita delle forme di povertà, dell’a-

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1 Vittorio Nozza, Dentro la città abbandonata, postfazione in “La città abbandonata”, Bologna, IlMulino 2007 pagg 503-504

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cutizzarsi del processo di frammentazione dei territori con spazi e popolazionisempre più eterogenee, dell’incrinarsi dei legami sociali, del rafforzarsi di margi-nalità di vario tipo. Si tratta di processi che contrassegnano le periferie, ma cheriguardano, più in generale, la stessa città e che ritroviamo con sorpresa anche neiquartieri più centrali.

Begato (Genova), Zen (Palermo), Scampia (Napoli), Librino (Catania), SanPaolo (Bari); e ancora, Barriera di Milano (Torino), Isolotto e le sue nuove zone diespansione (Firenze), Esquilino (Roma), ex-zona 13 di Milano con le aree diForlanini-Taliedo-Ponte Lambro, Navile (Bologna): questi sono i nomi dei quartie-ri oggetto di un impegnativo lavoro di ricerca che rappresenta il frutto di una feli-ce collaborazione tra Caritas Italiana e Università Cattolica di Milano. L’intero per-corso di ricerca – della durata di due anni - è stato messo a fuoco e condiviso, oltreche da Caritas Italiana e dall’équipe dei ricercatori dell’Università Cattolica2, dalleCaritas diocesane delle città interessate3 insieme ai ricercatori locali4.

L’équipe dell’Università Cattolica e i ricercatori locali hanno svolto insieme leripetute visite etnografiche in ogni periferia, utilizzando contemporaneamentediverse tecniche di ricerca: lunghe osservazioni e interviste in profondità agli abi-tanti dei quartieri e ai rappresentanti di enti, gruppi sociali e istituzioni locali;innumerevoli dialoghi informali nei luoghi meno consueti e nei tempi più impen-sati; interviste mobili per ascoltare la descrizione del quartiere da chi ci abita ericostruire il legame tra gli spazi del proprio contesto e le esperienze soggettive;raccolta di materiale statistico e documentario su ogni area; focus group congruppi diversi; attraversamenti del territorio realizzati in orari diversi e in modidiversi.

Per ogni realtà è stato successivamente redatto un Rapporto di Ricerca daparte dei ricercatori locali.

Sulla base di questi elaborati e delle ricognizioni sul campo è stata inoltre ela-borata una analisi comparativa da parte dell’èquipe di Milano5.

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2 L’équipe dell’Università Cattolica è composta da Mauro Magatti, che ha diretto e coordinato illavoro scientifico della ricerca, Patrizia Cappelletti, Chiara Giaccardi, Monica Martinelli, SimoneTosoni.

3 La ricerca è stata infatti accompagnata anche dai lavori interni a Caritas Italiana del “Tavolo AreeMetropolitane” composto dai Direttori delle Caritas diocesane.

4 I ricercatori locali sono: Tiziana Ciampolini (Torino), Francesca Angelini e Lucia Foglino (Genova),Meri Salati (Milano), Elena Rossini (Bologna), Annalisa Tonnarelli (Firenze), Fabio Vando (Roma),Giuseppe Vanzanella (Napoli), Fausta Scardigno e Francesca Bottalico (Bari), Giuliana Gianino(Catania), Giuseppe Mattina (Palermo).

5 Il volume che presenta l’analisi nazionale nel suo insieme è curato da Magatti M., La città abban-donata. Dove sono e come cambiano le periferie italiane, Il Mulino, Bologna, 2007. Al volume è alle-gato un Cd-Rom che contiene i testi dei dieci Rapporti di Ricerca locali completi di un’ampia selezio-ne di grafici, tabelle e del materiale fotografico raccolto nei quartieri visitati.

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L’IMPORTANZA DI OCCUPARCI DELLA CITTÀ

Il lungo viaggio che abbiamo compiuto stimola alcune riflessioni che cerchia-mo di sintetizzare in queste pagine ripercorrendo, a grandi linee, i temi di fondoemersi dalla ricognizione sul campo. Si tratta di riflessioni che possono aiutare adefinire modi di presenza e linee di azione.

Anzitutto ci sembra utile sottolineare che guardare le periferie significa guar-dare la città: la vita urbana sta subendo un profondo mutamento. La città – inte-sa come luogo in cui si incontrano e si confrontano le macro trasformazioni conla vita delle persone e dei gruppi – costituisce oggi la nuova questione sociale.Se guardiamo poi a molti paesi del mondo, i processi di trasformazione dellecittà appaiono così radicali da creare aggregazioni urbane, come le megalopoli,che palesemente contraddicono l’idea stessa di città, almeno nel senso in cui èstata pensata nella tradizione occidentale.

In Italia, la situazione rimane ben diversa. Nei centri storici delle città delnostro paese sono ancora ben riconoscibili le tracce (anche materiali) di un pas-sato nel quale la città è stata un luogo di incontro e di scambio, un grande labo-ratorio nel quale si sono create condizioni favorevoli alla convivenza e alla con-vivialità. Tracce che danno ancora oggi un contributo essenziale per sostenereelevati livelli di socialità e qualità della vita.

Concentrandosi sulle dieci città più grandi del nostro paese, la ricerca ha presoavvio proprio dalla preoccupazione circa il futuro di questa storia: il destino checi aspetta è quello di una radicalizzazione delle disuguaglianze e di una spacca-tura sempre più profonda tra ricchi e poveri, tra aree residenziali e zone impe-netrabili – come sta avvenendo in molte realtà urbane del pianeta - oppure pos-siamo sperare in una evoluzione differente che fa leva sulla capacità integrativadella città e sulla sua storia? Nel momento in cui si è andata concretizzando l’i-potesi di un lavoro di ricerca nelle periferie di dieci grandi città italiane, non eraancora scoppiata la nuova ondata di rivolte giovanili nelle banlieue parigine e,di conseguenza, non si erano ancora accesi i riflettori sulle periferie italiane:queste ultime, al pari del caso francese, possono divenire dei focolai di tensionee conflitto al di fuori di ogni controllo?

Come ricercatori abbiamo cercato di prendere sul serio tali interrogativi, apartire dall’ipotesi che se, da un lato, la situazione italiana è meno esplosiva diquanto avviene altrove, dall’altro, essa non è certamente meno preoccupante: le“città-mondo” del nostro tempo – città che riflettono cioè al loro interno lecaratteristiche di quanto avviene su scala più ampia - sembrano riprodurre con-tinuamente al loro interno processi di periferizzazione che dividono i quartieri egli interi contesti urbani. Tali dinamiche ridisegnano disuguaglianze e divarica-zioni sociali, formano nuove dipendenze, acuiscono l’incrinarsi della socialità,rafforzano marginalizzazioni e impoverimento di pezzi di società.

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Certe tendenze interessano sia le periferie che il centro delle città, tanto cheil termine “periferia” è inadeguato per cogliere quanto sta accadendo. La ricer-ca ha dimostrato che la scelta di non limitarsi a studiare le periferie in senso clas-sico – ossia le aree che sono geograficamente distanti dal centro - si è rivelatafertile: facendoci entrare nel corpo vivo della città contemporanea, questa scel-ta ha consentito di confrontarsi con l’intensità e multidimensionalità dei muta-menti in atto e, in alcuni casi, la loro drammaticità. Si tratta infatti di processitrasversali alla città stessa, che si possono ritrovare un po’ ovunque. Tuttavia èproprio nei quartieri che abbiamo definito “sensibili” – come diremo tra breve -che quanto non riesce a salire sul treno veloce dei flussi globali viene raccolto edammassato ed è qui, pertanto, che tutti gli effetti e le contraddizioni si fannopiù evidenti e leggibili.

DALLE “PERIFERIE” AI “QUARTIERI SENSIBILI”

Le trasformazioni che attraversano le città contemporanee possono essere,più in particolare, sintetizzate con riferimento a due grandi processi: crescentemobilità (di persone e di informazioni, di capitali e di merci) e crescente connes-sione con l’esterno. Di conseguenza, alcune aree urbane che sono maggiormen-te collegate con altre città e altri contesti si trovano ad essere giustapposte adaltre zone che rimangono invece isolate. Alcune aree, cioè, vedono cambiare lefunzioni esercitate in passato: in certi casi, per esempio, le vecchie fabbriche,ormai dismesse e collocate perlopiù nelle periferie, divengono oggetto di ingen-ti investimenti che collocano all’interno dei vecchi capannoni nuove funzioni(centri commerciali, show-room di moda, alberghi, centri congressi, ecc.) e atti-rano nuove popolazioni che transitano nel quartiere senza tuttavia sostarvi.Altre aree, magari attigue, subiscono al contrario un impoverimento e vengonoancor più marginalizzate, finendo per essere dei concentrati di gruppi proble-matici, di categorie che sono disfunzionali rispetto alla vita sociale contempora-nea e come tali scarsamente o per nulla integrate.

Tutto ciò modifica, a poco a poco, il volto della città. L’aspetto forse più impor-tante è, come abbiamo già evidenziato, la crisi del tradizionale schema “centro-periferia”. Con tale affermazione non si vuole dire che non esistano più centri oche le periferie non siano più ben riconoscibili. Basta fare un giro dentro una qua-lunque realtà urbana per rendersi conto quanto sarebbe azzardato sostenere unatale tesi. Ma il punto è che nei centri come nelle periferie si sperimentano le stes-se patologie. Inoltre, l’idea di un centro socialmente integrato e di una periferiapericolosa e disgregata coglie con sempre minore precisione la realtà contempo-ranea. Quest’ultima è sempre più fatta di isole, disordinatamente messe una difianco all’altra a pochi metri di distanza, in una totale incomunicabilità.

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Per questo sarebbe sbagliato limitarsi a studiare “le periferie”, cioè quellezone costruite ai margini della città moderna sulla base di programmi di svilup-po urbanistico più o meno viziati dalle proiezioni utopistiche dei decenni ’60-‘70.Capire cosa accade in questi quartieri è senz’altro importante, soprattutto perverificare se essi sono destinati ad essere soltanto dei contenitori di popolazioniresiduali e di problemi.

Ma, detto questo, occorre essere consapevoli che i processi di marginalizzazio-ne, impoverimento, segregazione, disgregazione, si stanno verificando anchealtrove, in quartieri “più centrali”, dove non ci aspetteremmo di incontrare que-sto tipo di dinamiche.

Nell’insieme, abbiamo quindi definito questi quartieri come “quartieri” o“aree sensibili” che si caratterizzano, a prescindere dalla loro collocazione topo-grafica sulla pianta della città di appartenenza, per la presenza simultanea,anche se variabile, di una molteplicità di fattori di debolezza: dal punto di vistaabitativo, con quote elevate di edilizia popolare; da quello sociale, con un’altaincidenza di gruppi deboli e collocati al margine per il grado di disagio esperito;da quello culturale, con la concentrazione di popolazione a basso titolo di stu-dio; da quello infrastrutturale, con una scarsa dotazione di strade, trasporti eistituzioni pubbliche; da quello economico, con la diffusione di economia infor-male e illegale.

Per condurre la ricerca sono stati quindi individuati dieci quartieri sensibili inaltrettante città italiane, a loro volta raggruppati in due sottoinsiemi: il primocostituito da periferie in senso classico – aree situate lontane dal centro, svilup-patesi tra gli anni ’60 e ’70 sulla base di un progetto insediativo unitario6; ilsecondo costituito da aree più diversificate, meno caratterizzate dal punto divista spaziale, ma considerate particolarmente problematiche nella fase storicacontemporanea7.

Nello studiare queste realtà ci si è sforzati di non dimenticare l’importanzadella storia delle singole città, delle loro culture, delle politiche messe in attodalle istituzioni pubbliche, del contributo dei vari attori sociali. In particolare, siè tenuto conto del fatto che sul campo le persone che vivono in questi quartie-ri cercano di trovare delle strategie di mediazione tra le trasformazioni che acca-dono intorno e la vita concreta, strategie che possono dar vita a forme di auto-organizzazione sociale (come le forme associative, i comitati di quartiere, leforme di auto-aiuto, la presenza delle comunità ecclesiali) oppure a momenti diaggregazione (quali la festa o la protesta).

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6 Si tratta dei quartieri di Begato, Genova; Scampia, Napoli; San Paolo, Bari; Librino, Catania; Zen,Palermo.

7 Barriera di Milano, Torino; ex-zona 13, Milano; Navile, Bologna; Isolotto, Firenze; Esquilino, Roma.

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Obiettivo della ricerca è stato quello di verificare se, al di là delle tante diffe-renze, siano riscontrabili delle tendenze generali che interessano tutte questearee e soprattutto se è possibile riscontrare una convergenza tra i vari quartierisensibili attorno ad un modello comune.

CENNI DI STORIA: DALL’UTOPIA RAZIONALISTA ALLA CITTÀ A PROGETTO

La costruzione delle nuove periferie in Italia, nei decenni del secondo dopo-guerra, è stata influenzata da progetti che concepivano la pianificazione urba-na sulla base di un’utopia, quella di realizzare nuovi quartieri modello, autosuf-ficienti, simbolo di un progresso che avrebbe dovuto scalzare tutti i segni di arre-tratezza economica e tutte le tracce di tradizionalismo culturale.

Lo stato nazionale, attraverso il suo potere di indirizzo e di azione, gestivaquesta pianificazione secondo una logica che dal governo centrale distribuivarisorse e compiti agli enti locali e agli istituti delle case popolari allo scopo di rea-lizzare i nuovi insediamenti urbani in tempi brevi e a costi il più possibile conte-nuti. Ma un tale approccio ha progressivamente mostrato segnali di debolezzaa motivo di contraddizioni interne e trasformazioni esterne.

Internamente, la realizzazione dei grandi progetti degli anni ’60 e ’70 hainfatti tradito le promesse: la pretesa utopica di plasmare la realtà a partire daun modello ideale ha spesso prodotto dei mostri, con i quali peraltro si dovràfare i conti ancora per molti anni: le idee passano, i palazzi rimangono. Tantopiù che, in Italia in modo particolare, la regia istituzionale forte del governo cen-trale è spesso rimasta poco più di una pia aspirazione; il che ha generato ampispazi vuoti divenuti campo di conquista per poteri illegali contrapposti allostato. Ma, al di là dei risvolti più deteriori, rimane il fatto che quel periodo lasciauna pesante eredità: quelli che avrebbero dovuto essere quartieri-modello, fun-zionali e autosufficienti, pensati per popolazioni socialmente integrate, con iltempo hanno visto invece concentrarsi popolazioni accomunate solo dal disagio.

Esternamente - anche in reazione a tali fallimenti - gli ultimi due decennihanno visto il ridimensionamento del ruolo della politica del governo centrale avantaggio di altri attori, soprattutto economici che hanno trovato, in diversi con-testi periferici, interessi ad investire per trasformare vecchie aree industriali ozone vuote in bacini per nuove forme di economia non legate al contesto ma areti globali. Ciò ha provocato, tra le altre, due conseguenze.

La prima è che l’indirizzo e il controllo di quanto avviene nella città non ven-gono più dati dal governo centrale, ma passano nelle mani di una pluralità disoggetti: si diffonde l’ipotesi che il sistema urbano possa funzionare megliosuperando le relazioni di tipo gerarchico e rendendo flessibili le collaborazionitra vari attori, stimolando così la diversità e la creatività. E, infatti, sono diversi

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gli attori che entrano in scena per governare la città: oltre ai comuni (che gua-dagnano centralità, come diremo tra breve), vi sono imprese e multinazionali,società private e singoli imprenditori, con il risultato che le decisioni sono spes-so solo debolmente coordinate e non sempre prese da coloro che rappresenta-no democraticamente i cittadini, ma appunto dislocate in altri contesti e sullabase di calcoli e interessi di altro genere.

La seconda conseguenza è che le città vedono crescere i loro compiti e le lororesponsabilità: se prima era lo stato a dover mediare tra il livello sovralocale (glo-bale o nazionale) e quello locale - soprattutto mediante la distribuzione dellerisorse dal centro alla periferia – sono ora i municipi a guadagnare autonomia.In questo quadro, agli amministratori locali è chiesto di rilanciare la propria cittàposizionandola dentro uno scacchiere internazionale e, per far ciò, di diventareimprenditori capaci di stringere alleanze per attirare capitali pubblici, ma soprat-tutto privati (collegandosi ad attori economici extralocali), di formare agenzieper stimolare la riqualificazione delle aree dismesse, di costruire nuove infra-strutture o ristrutturare il patrimonio immobiliare.

Dalla pianificazione razionalista e centralizzata, con pochi e ben definiti attori,si è passati così ad una logica più fluida e negoziale. In questo nuovo scenario, leistituzioni perdono il loro ruolo di guida per divenire meri facilitatori dell’intera-zione flessibile e temporanea tra attori sovranazionali (in primis, l’Unione Europeacon i suoi programmi di sostegno allo sviluppo locale), governi nazionali, entiregionali e locali, imprenditori tradizionali e nuovi attori economici flessibili (inse-riti in reti internazionali), associazioni e organizzazioni non governative.

Finita l’epoca della pianificazione urbana e delle periferie immaginate comecittà-satellite imponenti e autonome, la fase contemporanea si caratterizza perinsediamenti che divengono disorganici, pensati secondo la logica del progetto.Questa logica immagina realizzazioni puntuali, diversificate e disorganiche, pen-sate non tanto a partire dalle esigenze di una località ma con riferimento a col-legamenti esterni (per esempio, i nodi globali del consumo o dell’economia, ecc.)e a esigenze contingenti, legate agli interessi emergenti dell’uno o dell’altrointerlocutore che intende investire in una area urbana per riqualificarla.

Quello che accade all’interno della città oggi non è quindi né pianificato nériconducibile ad una logica unitaria. Per definizione, la “città per progetti”rinuncia ad ogni disegno integrato, divenendo la sommatoria di tante decisioniplurali, orientate da scopi e interessi variegati. A diventare centrale per lo svilup-po urbano è la sua capacità di connessione nei sistemi della produzione della ric-chezza globale, cioè la capacità di un territorio di stabilire legami funzionali conaltri contesti.

Per i temi di cui ci siamo occupati nella ricerca, ci sono almeno due implicazio-ni che meritano di essere sottolineate.

La prima è che l’idea stessa di connessione sposta il baricentro fuori dalla città

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e ne lega i destini ad attori e interessi che la trascendono. La seconda è che leconnessioni attuali, legate a funzioni particolari (es. produzione di servizi, con-sumo, ecc.), prescindono da un luogo e quindi non favoriscono la costruzione dilegami sociali dentro una località, mentre tendono a mobilitare flussi di popola-zione mobile e differenziata che transita senza radicarsi. Il che significa che taliconnessioni stabiliscono una scarsissima relazione con il territorio in cui sorgono.

Il risultato è – lo ribadiamo ancora - l’indebolimento del tradizionale schemacentro-periferia, che – per alcuni aspetti almeno – appare troppo rigido per darconto di quanto sta accadendo nelle città contemporanee. Ci sono pezzi di peri-feria che diventano dei nuovi centri e ci sono aree centrali che rischiano la mar-ginalizzazione. Per questa ragione, i quartieri studiati non hanno potuto essereconsiderati territori semplicemente “satellitari” nei confronti del rispettivo cen-tro-città. In qualche caso – come a Begato (Genova) – questo collegamento sem-bra non esserci addirittura più, quasi che il quartiere sia lasciato andare alla deri-va, senza legami né sociali né funzionali con il resto della città; in altri casi, ilpunto di gravità rispetto al quale il quartiere ruota non è più il centro, ma realtàgeograficamente distanti, che stanno in altre parti del mondo: si pensi alla ex-zona 13 di Milano, dove le trasformazioni di alcune porzioni del quartiere sonoil portato del loro collegamento con i circuiti dell’economia globale, o aScampia, la cui vita quotidiana è plasmata dalle reti criminali con alleanze escambi su scala internazionale.

E tutto ciò nel quadro di un più generale processo di disgregazione dei terri-tori e delle loro comunità che, pur se in forma lieve rispetto ad altri contesti geo-grafici, tende a manifestarsi anche in Italia.

TIPI E RAGGIO DELLE CONNESSIONI CON L’ESTERNO

Il bilancio di questa nuova fase, almeno per i territori che abbiamo preso inconsiderazione, risulta essere problematico.

In termini generali, l’evoluzione recente si traduce per lo più in una semplicedislocazione dei processi decisionali in sedi lontane dalla negoziazione pubblica:come abbiamo già messo in luce, le decisioni sul destino di quei pezzi di città chesono le periferie e i quartieri sensibili vengono prese spesso altrove rispetto alcontesto politico tradizionale. Di fatto, a guadagnare spazio d’azione sonosoprattutto gli attori economici, gli unici in grado di mettere in circolazionequelle risorse di cui le amministrazioni locali vanno in cerca. Il che vuol dire chediventa più difficile rappresentare gli interessi delle popolazioni e delle aree piùfragili e marginali. Peraltro, nei confronti di molti dei quartieri che abbiamo con-siderato, rischia di non esserci mai un interlocutore interessato ad investire, per-ché non esiste un interesse economico capace di sostenere la trasformazione. E

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d’altra parte, da sola, l’iniziativa pubblica rischia di non avere risorse sufficientiper impostare programmi adeguati di riqualificazione urbana.

In questo modo, nella maggior parte dei casi, se da una parte ciò proteggequeste aree dalle spinte disgregative che attraversano le periferie ove tali inte-ressi invece si condensano, dall’altra le condanna ad una marginalità sempre piùspinta. Questa tendenza si aggrava laddove molte zone dopo il declino dell’in-dustria stanno subendo uno svuotamento delle funzioni svolte un tempo (quan-do erano periferie operaie) e delle popolazioni che le abitavano, senza che, nellamaggior parte dei casi, si sviluppino nuove opportunità legate all’individuazio-ne di una qualche nuova funzione che il territorio potrebbe svolgere.

In effetti, la ricerca mostra chiaramente che alcuni dei quartieri studiati – spe-cie le periferie classiche – stanno perdendo progressivamente contatto rispettoalle zone più dinamiche della città. Quanto più elevato è il grado di disconnes-sione con la città, tanto più alto è il rischio di assumere le sembianze di quartie-ri-ghetto. Forse il quartiere che più si avvicina a questa realtà è quello di Begatodove la separazione dal resto del mondo produce una realtà totalmente disgre-gata all’interno e dove persino la violenza è puramente casuale: non vi sonomotivi per andare a Begato e da Begato si esce poco, per cui questa intransiti-vità interna ed esterna sembra determinare l’impoverimento di qualunqueforma di socialità.

Tuttavia, si deve sottolineare che, anche quando le cose vanno meglio e que-sto effetto di esclusione non si produce – con l’integrazione, almeno parziale,dei quartieri nei processi di mutamento – affiorano altri tipi di problemi.

Vi sono prima di tutto connessioni di segno negativo: un caso emblematico èsoprattutto quello di Scampia, al quale si possono aggiungere però anche il SanPaolo, lo Zen e il Librino, dove la connessione garantita dai gruppi criminaliall’interno dei circuiti internazionali della droga genera mondi illegali che ten-dono a produrre una propria organizzazione autonoma e impenetrabile dall’e-sterno.

Vi sono poi connessioni che non incidono sul territorio circostante. Non è raroaver trovato nuovi insediamenti che non producono nulla sulla vita del quartie-re, cattedrali nel deserto che potrebbero essere dislocate ovunque: come nelcaso degli studi (di moda, high tech, strutture convegnistiche) di via Mecenate aMilano (nella ex-zona 13), che costituiscono un mondo a parte rispetto alla zonadi edilizia popolare della Trecca, situata a poche decine di metri, ove si concen-trano i casi di marginalità e disagio. In situazioni di questo genere, la nascita dinuove funzioni si limita a punteggiare il territorio di presenze estranee.

Le cose vanno peggio quando i quartieri sono investiti da ristrutturazioni chehanno un effetto disgregativo sulle comunità abitative, con una sistematica sotto-valutazione del loro impatto sociale. Il problema in questi casi è che gli abitantisono semplici recettori passivi, oltre che, in buona parte, impreparati a beneficia-

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re delle opportunità che si vengono a creare. Questo effetto è visibile soprattuttonei cinque quartieri meno segregati, nei quali l’individuazione di nuove funzionitendono a determinare proprio una forte disgregazione culturale e sociale.Abbiamo rilevato ciò a proposito delle trasformazioni indotte dall’esterno e che sisono prodotte nelle varie parti della già richiamata ex-zona13 di Milano, trasfor-mazioni che hanno determinato lo smembramento dell’identità del quartieresenza alcun lavoro di ricucitura. O a quanto sta accadendo a Bologna, Firenze oTorino, dove i quartieri studiati sono investiti dalla riorganizzazione urbana senzaun’adeguata mediazione tra le ragioni di tali decisioni e la vita delle comunità abi-tative. Il che finisce col generare incertezza e perdita di identità.

Anche laddove le politiche urbane si sforzano di adottare un approccio inte-grato, che espressamente coinvolge i gruppi della società civile locale e i singolicittadini nelle decisioni sul quartiere, si incontrano comunque molte difficoltà. Eciò non solo perché le forme comunicative volte a collegare i vari settori interes-sati risultano spesso inefficaci, ma anche perché le procedure di rappresentanzavengono di solito avviate in ritardo rispetto agli interventi urbanistici, economi-camente più allettanti (come è avvenuto nel caso dei diversi forum sociali o labo-ratori di quartiere, costituiti dopo l’avvio di azioni di ristrutturazione su immo-bili o di costruzione di nuove aree nel quartiere). Il che sfilaccia la già precariafiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni.

Il quadro si complica ulteriormente tenendo conto che la disponibilità di unadeterminata risorsa di connessione non si traduce immediatamente e automati-camente in un coinvolgimento di tutte le popolazioni del quartiere. Si pensi, adesempio, a Palermo e a Catania. Il quartiere Zen, da un punto di vista logistico,è oggi connesso al centro città attraverso un’ampia arteria stradale a scorrimen-to veloce, ma al tempo stesso poveramente servito dal trasporto pubblico: inquesta situazione, la disponibilità di un’automobile di proprietà è l’elementoche definisce concretamente il livello di connessione dei residenti rispetto allacittà, mentre la cattiva fama del quartiere deprime qualunque flusso dal centrodella città verso questa zona. Allo stesso modo, al Librino di Catania la disponi-bilità di un lavoro fisso (che distingue gli occupanti di case di proprietà, localiz-zate in aree riconoscibili del quartiere, rispetto agli inquilini delle case popolario agli abusivi) disloca in modo opposto queste due popolazioni: la prima proiet-tata all’esterno del territorio (non solo per il lavoro o lo studio, ma anche per lereti di socialità, tanto che il quartiere viene utilizzato solo come dormitorio); laseconda popolazione segregata al suo interno, quasi incatenata ad un luogosenza possibilità e prospettive di uscita.

Se vogliamo leggere i quartieri sensibili delle nostre città e le dinamiche chesi producono al loro interno è dunque necessario tenere presente il tipo e il rag-gio delle connessioni che esistono tra il quartiere, il resto della città e altri cen-tri dislocati nel mondo e la composizione interna tra le diverse popolazioni.

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Nell’insieme, la ricerca giunge alla conclusione che i quartieri considerati sem-brano soffrire di una deprivazione di spazialità (e relative opportunità): tanti glispazi vuoti e anonimi, senza verde o luoghi in cui incontrarsi; pochi gli spazi concui ci si riconosce e si possa identificarsi; allontanamento dai luoghi di origine;scarse opportunità di mobilità fisica e sociale; confinamento nella località; sensodi segregazione.

L’ARRETRAMENTO DELLA MEDIAZIONE ISTITUZIONALE E LA PERCEZIONE DELL’INSICUREZZA

Le deboli e incerte connessioni di cui dispongono i quartieri studiati non sonol’unico fattore di debolezza. Il quadro infatti sarebbe incompleto se non si pren-desse in considerazione anche l’arretramento della capacità di mediazione offer-ta dalle istituzioni pubbliche.

Persino nelle periferie che presentano una storia di partecipazione e collabora-zione tra cittadini e istituzioni politiche, lo spazio pubblico scarseggia e più che inluoghi specifici (come la piazza ove ci si incontrava e si facevano le assemblee diquartiere, le sedi del partito o del sindacato, i circoli del dopo-lavoro, i luoghiaggregativi, ecc.) si colloca in alcune relazioni, ossia nella capacità di mediazionepolitica di alcuni personaggi “storici” che hanno incarnato l’istituzione dentro ilquartiere. La loro uscita di scena, legata al ricambio generazionale, genera unsenso di incertezza e il timore di uno sgretolamento delle conquiste del passato.

Al di là di questi casi, la situazione è persino peggiore. Su questo tema la ricerca ci dice che gran parte degli abitanti dei quartieri stu-

diati non ha l’idea di vivere in un contesto strutturato attorno a una rete di isti-tuzioni presente nel territorio, bensì in un luogo in cui tutto viene invece desti-tuito: persino quando viene nominato uno spazio (per esempio, un palazzo, eri-gendolo a sede del comando delle forze dell’ordine, o a una piazza, destinando-la al mercato settimanale) non sempre vi è la corrispondenza tra il nome dato aquello spazio e la realtà, rafforzando quindi l’assenza delle istituzioni, del lororuolo di guida e orientamento alla vita collettiva, e la percezione, da parte degliabitanti, della loro distanza.

In queste zone, la debolezza delle istituzioni pubbliche – a partire da quelledeputate alla sicurezza - ha un’implicazione precisa, e cioè che la propria vita èesposta all’ignoto, senza alcuna mediazione o protezione istituzionale.L’indebolimento dell’intermediazione istituzionale ha diverse conseguenzenegative, tra cui il fatto che chi vive in questi quartieri ha la sensazione di esse-re superfluo, cioè privo di interlocutori e quindi privo di voce.

La debolezza delle agenzie e dei soggetti di mediazione istituzionale compor-ta inoltre una caduta di interesse per il bene comune e la vita pubblica, caduta

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alimentata dalla assenza di luoghi pubblici dove ci si possa riconoscere come cit-tadini. In questa situazione non stupisce che la partecipazione politica sia prati-camente nulla, tenuto conto che tra la popolazione è molto forte la convinzio-ne che i politici si occupino di periferie solo in campagna elettorale e che le loropromesse siano regolarmente disattese. Ciò alimenta prima di tutto la disillusio-ne, il che rende più difficile l’attuazione di qualunque azione positiva: primaancora di costruire la fiducia occorre, infatti, contrastare la diffidenza degli abi-tanti, ormai abituati a essere illusi da promesse, annunci, operazioni di immagi-ne e strumentalizzazioni elettoralistiche.

Inevitabilmente, questa crisi di fiducia alimenta un diffuso senso di insicurez-za che costituisce uno degli aspetti più evidenti della vita nei quartieri studiati.La paura degli altri si accentua in un contesto nel quale si ritiene che le istituzio-ni non sappiano o non vogliano fare il loro dovere. Come dimostra l’ambivalen-te atteggiamento verso le forze dell’ordine, viste come l’ultimo baluardo di fron-te al degrado che avanza e insieme entità enigmatiche, di cui sfugge la logicad’azione, alle quali quindi contrapporsi.

In questo panorama deprimente, merita di essere sottolineato il fatto che lascuola venga in molti casi segnalata come una realtà positiva, che riesce ancoraa creare forme di aggregazione allargata e a promuovere iniziative che coinvol-gono gli abitanti. Avvantaggiandosi del suo diffuso radicamento nel territorio,la scuola è spesso l’unico punto di tenuta e l’unico anello di collegamento tra lepopolazioni rinchiuse nel quartiere e le istituzioni pubbliche. Anche se non sem-pre riesce ad assolvere questo difficile compito, la ricerca mostra che, nelle areepiù diseredate del paese, proprio questa è considerata l’istituzione pubblica pereccellenza. Da questo punto di vista, la scuola continua a costituire una risorsapreziosa sulla quale occorre contare e dalla quale è comunque indispensabilepartire per qualunque progetto che voglia davvero prendere a cuore i destini dichi vive nei quartieri sensibili.

In alcune aree, il ritiro dello stato è arrivato al punto da creare le condizioniideali per il rafforzamento di vere e proprie contro-istituzioni che si fondano sulpotere illegale e la violenza organizzata che si esprime in tante forme.Soprattutto nelle periferie del Sud, segnate dalla grave questione della mancan-za del lavoro, le reti dell’illegalità costituiscono un mondo istituzionalizzatoparallelo e sostitutivo rispetto a quello ufficiale, capace di fornire anche garan-zie di sicurezza, opportunità di “carriera” e di miglioramento delle condizioniesistenziali, e perfino una sorta di “welfare sociale alternativo” in grado di prov-vedere, anche economicamente, al sostentamento degli orfani, delle vedove,delle famiglie di chi è in carcere.

E’ triste dover riconoscere che nei quartieri dominati da organizzazioni mala-vitose regna un certo ordine, per quanto criminoso, capace di assicurare qualchetipo di garanzia a chi vi si sottomette.

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VERSO UN MODELLO COMUNE ALLE DIVERSE REALTÀ

La ricerca ha constatato che tra periferie tradizionali e quartieri storici c’è unaconvergenza verso un modello che è caratterizzato dalla crescita dell’eteroge-neità della popolazione e dell’illeggibilità del territorio.

Dentro qualunque realtà - tanto quelle dure di Genova, Palermo, Catania,Napoli, Bari, quanto quelle dotate di maggiori risorse e per certi versi meno cri-tiche come Torino, Milano, Firenze, Bologna, Roma - è possibile osservareprofonde differenziazioni interne. In quasi tutti i quartieri studiati, esistono dif-ferenze legate al tipo di abitazione di cui si dispone (da un lato, vi sono gli abi-tanti delle case popolari e, dall’altro, quelli delle case private o costruite dallecooperative), alla fascia generazionale (giovani, anziani, adulti), alla provenien-za territoriale d’origine e alla appartenenza etnica.

Uno dei principali risultati della ricerca è la crisi dell’omogeneità interna aivari quartieri che, pur se in modo problematico, era stata storicamente un ele-mento distintivo delle periferie del secondo dopoguerra. Al contrario, quello cheemerge è il dissolvimento delle culture omogenee e la giustapposizione delleculture dei diversi gruppi che si spartiscono il territorio: anziani, giovani, comu-nità etniche, zingari, gruppi criminali.

Gli effetti di questa eterogeneizzazione si vedono più chiaramente nei quar-tieri che dispongono di una loro storia e di una loro identità, da sempre quartie-ri “di passaggio” e quindi compositi e plurali (soprattutto il Navile e l’Isolotto),ma non per questo incapaci di comporre questa pluralità attorno a centri diaggregazione forti (la fabbrica e la chiesa). Oggi la caduta dei tradizionali fatto-ri di integrazione, l’innesto di nuovi elementi funzionali (come ad esempio unatangenziale, un centro commerciale, una stazione), l’ingresso di popolazioni“estranee” (gli stranieri, chi viene da fuori solo perché i prezzi sono bassi, lenuove generazioni che non sanno raccogliere l’eredità e l’identità storica), ren-dono difficile la riproduzione del modello integrativo consolidato, facendoesplodere l’eterogeneità.

Ciò spinge anche questi quartieri in spirali di degrado impressionantementesimili a quelle registrate nelle periferie che hanno un retroterra storico molto piùdebole: il venir meno dei luoghi e delle risorse per la produzione o riproduzio-ne di un capitale culturale locale, i processi di disintegrazione delle culture, ilrapido mutamento e l’irriconoscibilità del quartiere sotto la spinta dell’arrivo dipopolazioni straniere insieme al senso di esproprio del territorio da parte deiresidenti storici, sono tutti fenomeni che fanno convergere le aree studiate versocomuni processi di marginalizzazione e invisibilizzazione.

La seconda componente del modello emergente consiste nella crescente illeg-gibilità interna dei quartieri. Da un lato, i quartieri studiati risultano poco leggi-bili, perché totalmente immanenti a loro stessi, iperlocali: si sa muovere al loro

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interno solo chi ci vive; difficile per chi viene da fuori capire il territorio, attra-versarlo con disinvoltura (in alcuni casi non esistono nemmeno i nomi delle vie,i numeri civici, una piazza di riferimento, ecc.). Questi territori sono come deitesti che nascono già prevedendo di non avere lettori. Dall’altro lato, essi rap-presentano “frammenti dispersi”, sempre più isolati e tendenzialmente alla deri-va, o comunque disomogenei e disconnessi persino al proprio interno.

Tale mancanza di leggibilità e la deriva dell’autoreferenzialità sono visibili inuna serie di aspetti evidenti a chi percorre i quartieri (quando è possibile farlo).Nelle aree osservate, lo spazio urbano è pieno di segni che ne scoraggiano la let-tura o che la indirizzano verso significati negativi. Per esempio, in molti quartie-ri, soprattutto quelli più connessi funzionalmente e storicamente meno proble-matici, sono sempre più evidenti i segni della progressiva estraneità del quartie-re a se stesso: lingue estranee e sconosciute, insegne rivolte solo a chi le sa legge-re, comportamenti e usanze esotiche - tutti segni che accrescono la percezione diuna violazione del proprio spazio vitale da parte degli abitanti. In altri quartieri,ossia nelle periferie classiche, i segni di una deriva crescente sono visibili nell’ab-bandono di molte aree, utilizzate a discariche di oggetti di ogni tipo, assenza dispazi in cui incontrarsi, impersonalità dei luoghi, difficoltà ad orientarsi.

LA QUESTIONE DELLA POVERTÀ: STRATI DI DEPRIVAZIONE E SENSO DI INGABBIAMENTO

La ricerca ci ha consentito di approfondire l’analisi su un altro aspetto che vienesempre enfatizzato quando si parla di periferie, e cioè la questione della depriva-zione e della povertà. Essa ha mostrato il peso delle variabili di contesto, permet-tendo in particolare di distinguere cinque diverse dimensioni della povertà, varia-mente combinate nelle realtà indagate: povertà economica (scarsità di lavoro rego-lare, di un reddito sicuro, ecc.), urbanistica (assenza di abitazioni adeguate o inbuono stato, assenza di spazi urbani comuni, ecc.), istituzionale (assenza o scarsapresenza delle istituzioni sul territorio e/o una presenza invece di reti mafiose divario genere), socio-culturale (livelli di istruzione bassa, dispersione scolastica diffu-sa, arretratezza culturale e riproduzione di schemi ormai superati), relazionale(assenza di un capitale sociale fatto di relazioni di fiducia su cui poter contare, soli-tudine esistenziale, disgregazione famigliare o legami famigliari opprimenti, ecc.).

Nascere e crescere in un contesto dove si concentrano tutti questi fattori pro-blematici non è solo un obiettivo svantaggio dal punto di vista delle opportu-nità, ma espone anche a conseguenze significative sul piano più personale, inci-dendo sul sistema delle percezioni e delle aspettative.

Il riconoscimento dell’importanza del contesto presenta alcune implicazioniche meritano di essere sottolineate.

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Un primo aspetto riguarda la dimensione economico-materiale che, per quan-to rilevante, non può essere mai considerata isolatamente. L’analisi etnograficaci ha condotto a vedere la presenza di situazioni gravissime di miseria e abban-dono. Ma l’osservazione ha anche mostrato che ampie quote di queste popola-zioni riescono, per una strada o per l’altra, ad avere accesso ai consumi. In tuttii casi, l’aspetto economico non può essere considerato a prescindere dalle altredimensioni; e questo perché, nei quartieri studiati, la povertà assume la formadel nodo: essa si presenta come una combinazione negativa che, per essereaffrontata, deve essere sciolta, cioè rimessa in movimento mediante un interven-to che tocchi contemporaneamente diversi aspetti.

Questa affermazione trova conferma nella varietà delle condizioni di vita edei livelli di povertà che la ricerca ha rilevato, con la compresenza di strati dipovertà di diversa gravità che sembrano convivere anche a pochi metri di distan-za senza nessuna relazione l’uno con l’altro. Tali strati sono:

• i “respinti”, ossia gruppi che occupano nicchie di povertà estrema, che assom-mano un po’ tutte le dimensioni della deprivazione: da quella economica aquella socio-culturale; da quella relazionale a quella abitativa sino a quella isti-tuzionale, il tutto aggravato da un contesto ambientale debole e sfrangiato;

• i “viaggiatori di seconda classe”, quote di popolazione marginale che, da unlato, dispongono di risorse economiche e relazionali tali da poter avere undiscreto accesso ai consumi, grazie soprattutto alla combinazione di opportu-nità offerte dall’attività informale, precaria, irregolare e in qualche caso delin-quenziale; e che, dall’altro, hanno un capitale culturale e istituzionale cosìlimitato da essere confinato all’interno di questi circuiti, con una crescenteseparatezza dal contesto circostante;

• gli “eredi del welfare”, gruppi ad elevata vulnerabilità, costituiti da anziani, dapercettori di rimesse pubbliche (pensioni di anzianità o di invalidità, sussidi,ecc.), adulti disoccupati. Si tratta di persone che dispongono di risorse limitatedal punto di vista economico (di solito la combinazione famigliare di lavoro pre-cario e pensioni pubbliche), abitativo (con disponibilità di casa popolare), socio-culturale (con problemi di accesso all’istruzione) e una calante protezione istitu-zionale. Questa condizione di precarietà non impedisce la ricerca di equilibri esi-stenziali sensati, che però restano costitutivamente fragili, anche a causa di uncontesto ambientale negativo e della riduzione delle protezioni pubbliche;

• gli “alloggiati”, gruppi solo relativamente deboli dal punto di vista economi-co e socio-culturale e che cercano di sfruttare la deprivazione del territorio –come, ad esempio, i minori costi della casa - per seguire strategie individualio famigliari di benessere economico o mobilità sociale. Spesso questi gruppitendono a isolarsi dal contesto verso il quale si sentono solo debolmenteobbligati, utilizzando il quartiere perlopiù solo come dormitorio.

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La povertà di chi abita nei quartieri sensibili si acuisce per il fatto di essereassociata con l’immobilità, che costituisce un vero e proprio moltiplicatore dideprivazione. In alcuni casi – si pensi agli anziani – si tratta di vera e propriaimmobilità fisica; più spesso, di immobilità sociale, cioè dell’impossibilità di usci-re dalla situazione nella quale ci si trova intrappolati. La concentrazione spazia-le di tutta una serie di condizioni negative, unitamente alla modificazione ditutta una serie di condizioni istituzionali intervenuta nella società nel suo insie-me (si pensi prima di tutto alla flessibilizzazione del mercato del lavoro e alla pri-vatizzazione del mercato della casa), fanno sì che il quartiere spesso si trasformiin una sorta di prigione, un destino dal quale non si può scappare. L’ipotesi diemigrare avrebbe bisogno di disporre di appoggi esterni – come, ad esempio, unlavoro regolare e a tempo indeterminato - che sono sempre più difficili da tro-vare soprattutto per una popolazione che soffre di una grave debolezza costitu-tiva. Il risultato è il diffondersi di un cinismo adattivo, che esprime il senso diimprigionamento che molti abitanti così fortemente avvertono.

LA VIA DI FUGA IMMAGINARIA: I CONSUMI E I MEDIA

E’ interessante osservare che, rispetto alla diffusa percezione di immobilità,l’unica dimensione che sembra capace di attenuare – ancorché in modo soloapparente e ambivalente – lo stato di disagio è quella dei media e dei consumi.

Si tratta di ambiti che più diffusamente consentono l’accesso al mondo ester-no, con la definizione di un qualche tipo di legame e senso di appartenenza. Achi vive in quartieri difficili, questi due canali danno inoltre la sensazione dipoter colmare la distanza che li separa dagli altri.

In effetti, nella vita quotidiana delle persone che abbiamo incontrato, il mer-cato e (soprattutto) i centri commerciali sono due luoghi essenziali per la socia-lità e la riproduzione culturale. Ma sono solo i secondi che riescono a infonderein chi li frequenta un senso di sicurezza e a produrre, per il solo fatto di sentirsicircondati da persone (per quanto sconosciute) con cui si condivide uno stessotipo di azione, una pur tenue idea di collettività e appartenenza. Per chi puòpermetterselo, poi, l’atto del consumo contribuisce alla gratificante duplice sen-sazione dell’azione individuale (l’acquisto è comunque una forma di azione) edella partecipazione a un’attività collettiva, per quanto svolta individualmente,favorita dalla simultaneità e dalla compresenza di altri consumatori.

In mancanza di spazi pubblici che favoriscano una partecipazione basata sul-l’azione collettiva finalizzata a un bene comune, l’accesso ai luoghi di consumoè un surrogato di un riconoscimento sociale che su altri piani è completamenteassente: come dire che è solo nel momento in cui si è consumatori che è davve-ro possibile sentirsi uguali agli altri.

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Un analogo discorso può essere svolto per la televisione, uno spazio pubblicovirtuale che produce l’illusione di essere comunità. La televisione scandisce iltempo vuoto delle periferie più deprivate e fornisce risorse simboliche accessibi-li e in un certo senso consolatorie. I programmi più seguiti (come i reality show)riproducono, su un palcoscenico più grande e in forma più accattivante, quellestesse condizioni di segregazione che gli abitanti dei quartieri più isolati vivonoquotidianamente sulla propria pelle: “pubblico” è, in questo caso, ciò che ampli-fica i vissuti individuali (compreso il desiderio di diventare protagonisti di queglistessi programmi) e li rappresenta su un palcoscenico illuminato, facendoli usci-re dall’invisibilità e, soprattutto, trasformando lo stigma del recluso in apprezza-mento e in motivo di interesse per altri.

Nell’insieme, i consumi e i media offrono una via di fuga (virtuale più chereale) dal quartiere. Via di fuga dalle sue brutture e dall’immobilità sociale cheproduce. Il che, da un lato, permette di ridurre la tensione e creare una qualcheparvenza di integrazione e legame sociale con l’esterno. Al contempo, però,questi stessi canali erodono le culture locali, che pure, in molti casi, hanno costi-tuito e costituiscono ancora un fattore di integrazione.

Ma media e consumi hanno anche un altro effetto sui quartieri sensibili, acausa della stigmatizzazione dei loro abitanti che di continuo riproducono. Nelsistema dei media, i quartieri sensibili sono stati, in qualche caso, messi sotto iriflettori con fine spregiativo: le parti negative e problematiche del quartieresono state presentate come il tutto, a discapito quindi di chi, al suo interno,cerca di sollevare la testa. Nel regime dei consumi, invece, i quartieri appaionoanche agli occhi dei propri abitanti come luoghi dell’assenza e dell’arretratezza,perché mancanti appunto di possibilità in grado di mettere nelle condizione didisporre di beni di consumo ad ampio raggio. Tutto ciò costringe gli abitanti adoversi confrontare con un dilemma: o negare la propria identità (come, ineffetti, molti cercano di fare) oppure esagerarla e radicalizzarla, rendendola unacattiva identità. Paradossalmente, il misurarsi con un tale dilemma rischia didiventare l’unica risorsa culturale con cui confrontarsi.

GLI ESITI INTERNI: SOFFERENZA ANTROPOLOGICA E ESILIO DELLA SOCIALITÀ

L’esclusione dai processi di connessione funzionale e strutturale, la crescentedebolezza delle istituzioni, la concentrazione di deprivazione e povertà, l’evasio-ne surrogatoria attraverso i media e i consumi, contribuiscono a spiegare il col-lasso della socialità, dei legami sociali, che la ricerca ha registrato in molte dellerealtà osservate.

Storicamente, la forza e la specificità della città europea sono derivate dalla sua

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capacità di articolare le diverse sfere della vita personale e collettiva – politica, reli-giosa, economica, artistica, abitativa ricreativa – all’interno di un humus comuneche rendeva possibile la partecipazione e rafforzava la socialità. E’ per questaragione che i contesti urbani sono sempre stati un terreno particolarmente fertileper la produzione e la riproduzione delle relazioni sociali, pubbliche oltre che pri-vate: al di là dei tanti problemi, la città ha generato forme stabilizzate ed integra-tive di prossimità e di solidarietà. Forme che divenivano poi riferimenti per lacostruzione dell’identità, nonché concreti sostegni nei momenti di fragilità e cana-le di formazione dei gruppi sociali della società civile (di natura religiosa e laica) ingrado di raccogliere le esigenze individuali in una domanda collettiva.

All’interno dei quartieri studiati, la dinamica della frammentazione, di cui si èdetto nei paragrafi precedenti, erode questa tradizionale funzione di habitatdella socialità tipica della città.

La mobilità di beni, persone, capitali, idee, progetti, che transitano in alcunearee osservate, senza tuttavia creare benefici per chi vive in quelle aree; la trasfor-mazione, in altri quartieri, della sedentarietà in una chiusura che cerca riparo dal-l’illeggibilità dell’ambiente esterno; gli effetti della globalizzazione che scaricanoproprio nei contesti urbani le contraddizioni sistemiche (ad esempio, migrazionedi popolazioni in eccesso, pluriuniversi culturali che si trovano semplicemente giu-stapposti senza possibilità di comunicazione e comprensione reciproca, trasforma-zioni del mondo del lavoro che concentrano nelle città gli eccessi di povertà e ric-chezza), sono tutti fattori che concorrono ad ostacolare la possibilità dell’incontrotra persone e a complicare la convivenza, soprattutto in assenza di una mediazio-ne istituzionale in grado di costruire dei percorsi di integrazione per i gruppi chevivono in un territorio. Il che si traduce in una sofferenza antropologica, di cuimolte delle persone che abbiamo incontrato portano evidenti segni.

Tutto ciò contribuisce a determinare una sorta di “collasso della socialità”. Difronte ad un contesto illeggibile e minaccioso, sul quale non si ha alcun poteree verso il quale si è completamente esposti senza istituzioni in grado di offrirequalche protezione, è forte la tentazione di sprofondarsi in un microcosmoregolato da codici conosciuti, un universo ristretto dentro il quale ci si immerge,accettandolo così com’è.

Traditi dalle istituzioni tradizionali che avevano garantito percorsi di vita pre-vedibili, legge e ordine, coesione e solidarietà sociale; isolati in un contesto divita respingente, in un orizzonte di precarietà crescente e di dipendenza dainterventi assistenziali altrettanto precari; privati della prospettiva di una qua-lunque mobilità sociale e in molti casi anche fisica, si sopravvive ricreando micro-climi di socialità tra uguali, dove la complessità e l’eterogeneità del mondo ven-gono escluse dalle proprie esperienze di vita. Quando ciò accade si assiste allanascita di vere e proprie isole ad alta densità simbolica e relazionale, incapaci,tuttavia, di relazionarsi con l’esterno.

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Un tale adattamento nasce anche dal non riuscire più a condividere il propriomondo vitale con quello di coloro che vivono sullo stesso territorio, con i qualiormai c’è ben poco in comune. Di fronte ad un contesto altamente problemati-co, l’adattamento più diffuso è quello dell’estraneamento, che porta a evitarequalunque coinvolgimento con l’ambiente circostante. L’obiettivo è quello dinon venire contaminati: quando si può, si lavora fuori, si mandano i figli a scuo-la in un altro quartiere, ci si barrica nel proprio condominio recintato. Il cheporta fino a negare di abitare nel quartiere che ha uno stigma negativo – comela ricerca ha documentato, è assai diffusa la tendenza a nascondere il propriodomicilio o semplicemente a usare strategie comunicative volte alla dissimula-zione – oppure a rifiutare di vedere i problemi presenti nella situazione in cui sivive, come è capitato incontrando abitanti che si stupivano dell’immagine nega-tiva del quartiere o della presenza di ingenti sacche di povertà nelle vie o neipalazzi poco distanti da casa propria o dalla propria parrocchia.

La logica dell’estraneamento produce due possibili esiti che si ricollegano avere e proprie strategie di suddivisione in micro-zone del territorio, fino a chequest’ultimo rischia di frammentarsi ancora di più e di spezzarsi su se stesso.

La prima strategia tende a creare una differenziazione interna per blocchi, peraree di grande o medio taglio percepite come omogenee e i cui confini, rinforza-ti simbolicamente dagli abitanti, sembrano separare i destini di chi è chiamato adabitarvi: tipicamente, si tratta del tentativo di definire “zone riconoscibili” chepossono essere tali per la diversa natura proprietaria degli immobili – ad esempio,con la netta distinzione tra i blocchi ad edilizia privata o convenzionata, le areefunzionalmente connesse con il mondo esterno, i nuclei insediativi originari (doveesistenti), nettamente differenziati anche a livello architettonico rispetto al restodel quartiere dove sono diffuse le abitazioni popolari o abusive – oppure per lapresenza di gruppi della criminalità organizzata in grado di controllare intere por-zioni di territorio – con la netta distinzione, in questo caso, di zone non penetra-bili, considerate come ricettacolo di tutti i mali del quartiere.

La costruzione di tali blocchi porta a tracciare una mappa cognitiva condivisa,lungo confini invisibili ma perfettamente operanti, che segmenta il quartiere eche arriva sino a definire percorsi personali – di vita quotidiana e di destinosociale – del tutto separati e tra loro incompatibili: chi vive nelle case private oa edilizia convenzionata prende le distanze da chi vive nelle case popolari; chi hala possibilità di connettersi con il mondo esterno (attraverso un lavoro, un impe-gno, reti amicali, ecc.) non si identifica né con il quartiere né con il suo destino.

In alcuni casi, ciò dà luogo ad una “contiguità disconnessa”, con “isole” di dif-ferenza (come gli spazi impenetrabili dei portici a Bari, per esempio) o di estra-neità totale (come i campi Rom un po’ ovunque, con la parziale eccezione diFirenze; la comunità cinese con le sue attività a Roma, Torino, Bologna; le villecon piscina subito fuori lo Zen 2).

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La seconda strategia consiste, invece, in una vera e propria polverizzazioneche tende a spezzare il territorio in zone a grana ancora più fine, con tagli chevanno dalla via ad un angolo di strada, da un palazzo alla presenza di particola-ri luoghi di incontro sul territorio.

Il senso di isolamento, l’estraneità per ciò che sta intorno, la percezione diun’insicurezza o, talvolta, il desiderio di sottrarre alla visibilità i propri traffici(leciti o illeciti), producono molteplici segni di auto-segregazione e sfiducia:inferriate, filo spinato, cancelli e lucchetti sui pianerottoli, citofoni dietro grigliemurate (in particolare a Bari, Palermo, Genova, Napoli).

In generale, si registra un progressivo ritrarsi della socialità, i cui spazi, quan-do ci sono, appaiono come sprofondati in micro contesti locali, privi di legami siarispetto alla vita sociale (al lavoro, alla scuola, ecc.) sia rispetto al mondo piùampio (tutto ciò che sta fuori dal quartiere). I rapporti tra le persone – comun-que difficili e avvelenati dalla diffidenza - si riducono per lo più in spazi intersti-ziali (il privato, l’informale) e tendono a diventare quasi superflui.

Così, contrariamente ad alcune fasi del passato, quando la solidarietà di vici-nato e la cultura di quartiere erano in grado di rappresentare una scialuppa disalvataggio nei momenti difficili dell’esistenza, oggi per gli individui che vivononei quartieri sensibili sembrano venire meno anche queste risorse: l’atomizzazio-ne e la solitudine pervadono tutte le pieghe della vita quotidiana e in modomacroscopico intaccano il benessere e la qualità della vita.

Nelle situazioni più gravi, l’esito è la completa residualità, con quartieri chearrivano a diventare zone morte, di pura sopravvivenza, dove persino la socialitàquotidiana del faccia-a-faccia fatica a radicarsi e a riprodursi, tanto ostile è ilcontesto in cui si dovrebbe sviluppare.

SULLA RELAZIONE DENTRO FUORI: SOSPENSIONE, RISENTIMENTO, VIOLENZA

Allo stato attuale, i quartieri sensibili delle città italiane più che contenitori dirabbia e disperazione – da cui possano emanare conflitti urbani violenti e orga-nizzati – sembrano depositi di sfiducia e depressione, nei quali il rischio è quel-lo di una deriva di microconflittualità interna e violenza diffusa. Il tessuto socia-le appare così sfilacciato e i mondi di vita così poveri da rendere improbabile ilsorgere di qualche conflitto organizzato.

Lo sfaldamento dei territori e la loro disconnessione con l’esterno – costantidell’intera ricerca – espongono chi vive nei quartieri di periferia a una situazio-ne di sospensione dove diventa difficile riuscire a disporre di qualche tipo diancoraggio o di riferimento. Questa condizione di sospensione significa starecontemporaneamente in due regimi diversi: con un piede nel disagio del mondo

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reale nel quale si vive la propria vita quotidiana e con l’altro nello spazio esteti-co dei media e dei consumi, i quali peraltro contribuiscono a ributtare addossoun’immagine stigmatizzata del quartiere e dei suoi abitanti che imprigionaancora di più in una situazione senza via d’uscita.

La ricerca ha anche messo in luce la presenza di condizioni di vita che supera-no l’immaginabile e, più in generale, un’evidente difficoltà di interi gruppi socia-li a pensarsi dentro una comunità più ampia della quale sentirsi parte. Questacondizione tende a creare una frattura che chiede di essere ricomposta se non sivuole accettare di imboccare una strada che rinnega la nostra storia e che rischiadi essere senza ritorno.

Rispetto a queste contraddizioni, a prevalere è un diffuso risentimento neiconfronti sia di coloro con cui si condivide la sorte – specchio della condizioneprecaria e impresentabile da cui si vorrebbe fuggire - sia della società nel suoinsieme – luogo di un desiderio che non potrà mai essere soddisfatto. Tale risen-timento si manifesta sotto una duplice modalità.

La prima è quella protettiva e nostalgica: anche se deprivato, il quartiere diven-ta un piccolo nido, il mondo accogliente nel quale si può sopravvivere, in contrap-posizione al mondo esterno, verso il quale si sviluppa un atteggiamento di crescen-te distanza e strumentalità. Quando ciò accade, nel quartiere sensibile si può svi-luppare una cultura della marginalità che fa del localismo la sua bandiera.

La seconda assume invece i tratti dell’esibizione provocatoria di un’identitànegativa che, in mancanza di altre risorse, diventa un mezzo di auto-affermazio-ne. E ciò sia all’interno del quartiere – con l’adozione di comportamenti provo-catori che cercano di stabilire un ordine locale alla realtà – sia all’esterno – conla contrapposizione tra gli abitanti del quartiere e il resto del mondo.

A partire da tutto ciò diventa poi possibile spiegare anche gli scenari della vio-lenza che possono essere associati a tre dinamiche principali.

La prima ha a che fare con la chiusura del rapporto con l’esterno e la forma-zione e il radicamento di poteri criminosi, di solito collegati a traffici internazio-nali, in grado di controllare il territorio e di detenere una sorta di monopoliodella violenza. Quando ciò avviene – come nel caso esemplare di Scampia – ilquartiere tende a produrre un’organizzazione autonoma, con una propria cul-tura, una propria economia, una propria protezione sociale. La violenza in que-sto quadro è controllata e per lo più rivolta verso l’esterno (le organizzazioni cri-minose hanno tutto l’interesse a tenere tranquillo il territorio dove comandano),salvo nel momento in cui si scatena una lotta di potere.

La seconda dinamica è anch’essa segno di una distanza crescente tra il dentroe il fuori, distanza che si traduce in una disgregazione del tessuto e dei suoi rap-porti così radicale da generare una violenza casuale, priva di qualunque logica.Quando ciò avviene, ci si ritrova di fronte a una situazione che genera un sensodi terrore, dato che si vive in un territorio dove non si sa che cosa ci si possa

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aspettare. Si esce di casa e si può incappare in una guerra tra bande, in un attodi bullismo, in una rissa occasionale. Begato, a Genova, è l’esempio più impres-sionante di questa situazione.

La terza dinamica ha a che fare con una improvvisa connessione con i flussi suscala globale, siano essi di persone, di informazioni o di culture. Di fronte a ciò,anche laddove vi è una storia alle spalle che è stata capace di integrare, a certecondizioni, le popolazioni locali provenienti da contesti eterogenei, ci si trovasenza risorse sufficienti per affrontare la nuova condizione. Il più recente arrivodi portatori di una storia diversa, di culture altre o di interessi che nulla hanno ache fare con il quartiere genera pertanto disagio e smarrimento insieme alla sen-sazione di una violazione del proprio territorio e della propria identità.L’eterogeneizzazione culturale diviene un ingombro quotidiano impossibile daignorare, cosicché – come mostra il caso emblematico dell’Esquilino a Roma – alsentimento di invasione segue quello della paura da cui un allarme, non semprerealmente giustificato, per la sicurezza: se il conflitto non è palese, ciò non signi-fica assenza di violenza, costellata da atteggiamenti e gesti di indifferenza,costruzione di confini, non riconoscimento e negazione dell’altro che - occupan-do vie, piazze, case e scuole - spinge alla periferia del proprio spazio vitale.

In tutte queste dinamiche, i punti spaziali e simbolici di contatto tra il dentro ilfuori producono specifiche forme di violenza. Tra questi punti di contatto che uni-scono i quartieri sensibili al mondo circostante, vi sono soprattutto la scuola – chemette in relazione i criteri di giudizio esterni con la realtà dei quartieri - e i mezzidi trasporto - che fisicamente uniscono questi mondi a parte con il resto della città.Questi punti hanno la caratteristica di essere confini, soglie che rendono visibili ledifferenze, ma al tempo stesso ambienti che confermano la distanza tra il dentroe il fuori: la scuola perché rende manifesta l’inadeguatezza dei ragazzi rispettoalle richieste del mondo circostante; i mezzi di trasporto perché ricordano che, seda un lato i media e i consumi sembrano abbattere la distanza con l’esterno, dal-l’altro, la realtà concreta mostra invece che tale distanza è tutt’altro che inesisten-te. In quanto soglie, questi luoghi permettono altresì di imporre, anche se solo perun attimo, la propria esistenza al mondo circostante che sistematicamente ignoragli abitanti delle periferie. Tutto ciò può spiegare perché la violenza che si concen-tra in questi luoghi ha la caratteristica della rabbia e dell’esibizione. Il San Paolo diBari è il quartiere dove questa dinamica si manifesta più nitidamente.

LA SPIRALE DELL’ABBANDONO

Se la natura e l’impatto delle connessioni con l’esterno sono elementi centra-li della vita urbana contemporanea, la ricerca ci dice che, nei quartieri sensibili,quello che viene fatto in tale direzione è insufficiente.

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La gran parte dei quartieri studiati mostra, infatti, uno scarso livello di inte-grazione nei circuiti funzionali sulle diverse scale spaziali (che sia quella cittadi-na, quella nazionale o quella internazionale). Dagli aspetti infrastrutturali (stra-de, metropolitane, ecc.) a quelli strutturali (lavoro e economia) siamo di frontea mondi che rimangono molto marginali, a volte esclusi. L’eredità del passatopesa come un macigno, perché la lontananza dal centro e la povertà urbanisticae sociale rendono queste aree scarsamente attrattive e precludono quella tran-sitività e bidirezionalità – in uscita e in entrata - dei flussi di popolazione che èuno dei principali indicatori della vitalità urbana.

Il fossato tra chi vive nelle zone più evolute e chi è bloccato nei contesti degra-dati tende ad allargarsi. Ciò finisce con l’alimentare quella che possiamo definireuna spirale di abbandono. Per capire di cosa si tratta occorre andare per un atti-mo alla radice di questo termine che, come ci ricorda Nancy, è contenuta anchenella parola francese banlieue. Giocando sul fatto che in francese la radice deltermine banlieue è la stessa di banal (banale), il filosofo francese ci dice che ladisgregazione dei quartieri rimanda all’idea di banalizzazione del luogo chediviene cioè luogo senza alcuna originalità, luogo della frammentazione, dell’in-differenza, ove mettere al bando – abbandonare - intere categorie sociali.

La spirale dell’ab-ban-dono è quella in cui sono avvitate tante città nel mondoe nella quale rischiano di avvitarsi le grandi città italiane.

Da una parte, l’ab-ban-dono è soggettivamente vissuto da chi vive in questeenclave come il sentirsi prigionieri, nel non avere via di scampo, nel coglieredallo sguardo esterno l’idea che si è solo un problema, nel vedere concretamen-te che le istituzioni hanno sempre minore interesse nei confronti di chi vive neiquartieri difficili. Nell’indebolirsi dei legami istituzionali, nella immobilità fisicae sociale degli abitanti, nell’irrilevanza dei propri mondi vitali rispetto ai con-temporanei, diventa difficile conservare un minimo senso della propria vita oltreche di appartenenza ad una comunità politica più grande; ma questo non puònon erodere il fondamento di qualunque senso di lealtà, di responsabilità, dibene comune.

Dall’altra parte, per chi è esterno (sia dal punto di vista abitativo che dell’in-vestimento soggettivo), l’ab-ban-dono significa la presa di distanza e la separa-zione dei destini propri da quelli altrui. Un atteggiamento che alla fine determi-na indifferenza e indisponibilità a farsi carico dei problemi della vita comune ea porre le questioni sociali nell’unica chiave di lettura della sicurezza. Anche daquesto punto di vista si genera una crisi dell’idea di spazio pubblico e una sot-trazione alla responsabilità del bene comune.

Quando queste due dinamiche si combinano l’una con l’altra, esse danno vitaad una spirale negativa che fa sì che l’ab-ban-dono si traduca in una vera e pro-pria “messa al bando” di questi quartieri e soprattutto dei gruppi che vi abita-no, a prescindere dalla loro effettiva condizione.

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Ma ciò costituisce un boomerang, perché ban-dire interi gruppi e intere areeurbane significa accettare di creare dei ban-diti, cioè persone che agiscono al difuori di un sistema di riconoscimento e di obbligazione reciproche. Assottigliareil substrato di significati e valori comuni non può che peggiorare le condizioni divita di tutti. E’ proprio la distanza crescente tra chi sta dentro e chi sta fuori chespiega l’ampliarsi del risentimento e il diffondersi della violenza. Il fatto che, inquesta situazione, venga messo sotto scacco l’idea di città come luogo dellasocialità e della cittadinanza ha come conseguenza la messa in discussione anchedel senso di ciò che è o non è umano.

LEGATURE CHE TENGONO

Il grado di avvitamento nella spirale dell’abbandono dei vari quartieri è natu-ralmente diverso. Ci sono differenze nei percorsi storici, nel patrimonio cultura-le, nella capacità delle istituzioni di svolgere comunque una funzione, nella pre-senza di connessioni funzionali con altri contesti esterni al quartiere.

Inoltre, ci sono risorse interne e esterne che concretamente contribuiscono a“tenere” queste zone e, faticosamente, a ricostituire il senso di uno spazio pub-blico e di bene comune. Ci sono ancora legature che contrastano la spirale del-l’abbandono: pezzi di istituzione pubblica, come la scuola, che funzionano;amministrazioni locali che attivamente combattono il degrado; gruppi socialiche mantengono un forte radicamento nei territori e lavorano al suo interno perun riscatto e una valorizzazione; segmenti dell’opinione pubblica che rimango-no attenti ai problemi dei quartieri sensibili.

Sempre presente, anche se con forza e significati diversi, è la chiesa cattolica,l’unica realtà che conserva un suo radicamento capillare e che, proprio per que-sto, riesce a garantire una qualche forma di intervento significativa in tutti iquartieri.

La ricerca mette in luce come la religione costituisce, in realtà, forse l’unicolinguaggio – insieme a quello dei media e dei consumi - ancora in grado di inter-cettare le popolazioni che vivono in questi quartieri. Riproponendo le questionifondamentali dell’esistenza, ricollegando gli elementi della tradizione alla vitaquotidiana, indicando valori e norme di comportamento, offrendo la vicinanzae la testimonianza di persone dedicate e disinteressate, la chiesa costituisce spes-so l’unico concreto segno di speranza in una realtà disperata. Da questo puntodi vista, essa svolge un ruolo fondamentale perché garantisce una vicinanza chespesso è l’unico elemento di aggancio con il mondo esterno.

E, tuttavia, anche questa preziosa presenza non è esente da debolezze.In primo luogo, vi sono difficoltà di ordine organizzativo, a causa della fragi-

lità del tessuto parrocchiale e soprattutto della scarsa abitudine a lavorare in

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rete, sia a livello orizzontale – tra i vari operatori pastorali presenti sul territorio– sia a livello verticale – con gli uffici e le risorse che la diocesi potrebbe mette-re a disposizione. La valorizzazione di questi legami è essenziale per rafforzarela capacità della chiesa di essere presente nei quartieri sensibili e di riuscire asvolgere in modo adeguato la propria opera.

In secondo luogo, di fronte ad una realtà così disgregata, la stessa chiesaincontra serie difficoltà a continuare ad essere un fattore universalistico capacedi ri-stabilire legami sociali al di là del microcosmo locale della parrocchia o delsingolo gruppo. L’isolamento nel quale talora si trovano le comunità religioseattive sul territorio rischia di provocare il rifugio consolatorio nella dimensioneemozionale di uno spiritualismo e di un ritualismo disincarnati o il cedimentoalle strumentalizzazioni dei sistemi di potere radicati nei territori locali. Quandociò accade, la chiesa perde se stessa e rinuncia alla propria missione.

In terzo luogo, il discorso religioso deve misurarsi con la forza disgregatricedei media e dei consumi, forza che, da un lato, sgretola le tradizioni culturali eche, dall’altro, le recupera in forma strumentale, considerandole come merarisorsa per soddisfare un’ansia di identità che offre l’impressione di dare dellerisposte placando però solo momentaneamente quelli che sono in realtà bisognipiù radicali. Anche in questo caso, è difficile per la chiesa trovare una misura chele permetta di difendersi dagli opposti estremismi di un relativismo radicale e diun fondamentalismo reattivo.

Il discorso sulla chiesa introduce quello sugli altri soggetti della società civilee del terzo settore, spesso emanazione proprio del mondo ecclesiale.

Una prima osservazione è che la debolezza delle istituzioni e la precarietàdelle condizioni di vita si traducono in una fragilità anche della società civile. Ineffetti, la ricerca mostra che le forme di auto-organizzazione (che si esprimonoin associazioni, cooperative, gruppi di volontariato, movimenti, ecc.) sono ingenere fragili, eccezione fatta per i residui di precedenti forme sociali (come aFirenze e Bologna, dove il tessuto associativo riflette la fase storica precedente)o per le espressioni del mondo cattolico (Caritas parrocchiali o gruppi di volon-tariato).

La ricerca mostra altresì che anche i soggetti del terzo settore riflettono la stes-sa debolezza ed estemporaneità che caratterizza queste aree. Se è vero, infatti,che il privato sociale riesce ancora a creare luoghi e iniziative vicine ai bisognisociali inascoltati o insoddisfatti, d’altro canto, la frammentazione diffusa deprivaqueste risorse della potenziale forza delle reti collaborative e le trascina in azionicontingenti e improvvisate. Risucchiate in forme di collaborazione prevalentemen-te verticale - in cui il pubblico è il solo interlocutore per via dei finanziamenti –queste realtà non sono sempre immuni da una logica di puro accomodamento checonsente al pubblico di giustificare il proprio arretramento dalle politiche di lottaalle povertà e alle organizzazioni non-profit di operare in grande autonomia, fino

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- in qualche caso - alla completa discrezionalità nell’utilizzo delle risorse pubblicheerogate. D’altro canto, le forme di collaborazione orizzontale tra gli stessi attoridella società civile sono ancora poche, il che riduce la capacità di trovare soluzionicooperative ai problemi comuni.

In questo modo, il potenziale interno alla stessa società civile diminuisce note-volmente, disperdendo energie preziose dentro azioni particolaristiche e difensi-ve, che rischiano di divenire non solo socialmente irrilevanti, ma anche poco civili.

Peraltro, la debolezza del lavoro di rete, che accomuna organizzazioni didiversa ispirazione, impedisce alla società civile di avere una qualche influenzasul sistema politico e quindi di contribuire a innescare percorsi duraturi di cam-biamento sociale.

FERMARE LA SPIRALE DELL’AB-BAN-DONO

Se la situazione è quella che abbiamo cercato di delineare nel lavoro di ricer-ca condotto, occorre allora un salto di qualità nell’impostare gli interventi e lapresenza nei quartieri sensibili.

Per affrontare i problemi che abbiamo riscontrato occorre ri-creare connessio-ni e rifondare la socialità: per questo, il quadro che affiora ci porta a parlare del-l’emergere di una questione antropologica. Non cambiano solo gli aspetti mate-riali delle città e delle periferie, ma viene messo in discussione anche il sensodella vita personale e la natura dei rapporti sociali. C’è dunque bisogno di lavo-rare per ricostruire quel tessuto relazionale, istituzionale e culturale che appare,almeno in parte, compromesso dal processo di mutamento in atto. Inoltre, anchese la trasformazione che abbiamo registrato è solo all’inizio, non è da sottovalu-tare il fatto che, in quanto diretta espressione delle forze sistemiche che muovo-no il nostro tempo, il suo impatto potenziale è molto grande.

Di fronte a realtà sociali già infragilite e con poche risorse, il processo di ricu-citura dentro e fra i quartieri delle grandi città è un compito urgente che va peròrealizzato con gradualità, costanza e attenzione. Tenendo conto che, come l’e-sperienza del passato insegna, sarebbe sbagliato invocare interventi rigidi, impo-sti dall’alto, debitori della pretesa di modellare il reale.

Concretamente, nel quadro storico in cui viviamo, occorre disporsi a utilizza-re al meglio – in relazione alle questioni sollevate – la logica del progetto. E que-sto perché, di fronte alla complessità e alla frammentazione, la ricomposizioneche il progetto è in grado di realizzare – temporanea e parziale - può rappresen-tare una strada percorribile, forse l’unica, soprattutto se si intende mobilitare lediffuse, anche se disperse, risorse esistenti. Tuttavia, come documenta la ricerca,se lasciata a se stessa, la logica del progetto determina tutta una serie di conse-guenze negative, soprattutto nelle aree più fragili.

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Per evitare, o almeno attutire, tali effetti negativi, è essenziale che l’idea diprogetto non sia ridotta a logiche meramente private o attente ai soli aspettimateriali, che non fanno altro che aggravare il problema della frammentazione,ma divenga uno strumento di ricomposizione della dimensione collettiva, anchese in forma dinamica e relativa. Per muoversi in questa direzione occorre rispet-tare alcune condizioni.

Prima di tutto, è essenziale la capacità di definire obiettivi chiari e condivisi,in grado di adattarsi agli sviluppi che via via si definiscono. Il che significa, da unlato, evitare di prefissarsi obiettivi irrealistici o eccessivamente limitati, di solitoriflesso degli interessi degli attori più potenti o esterni al quartiere. Dall’altro,evitare di irrigidire troppo i programmi, in modo tale da ridurre la possibilità chegli esiti siano diversi da quelli previsti. Si tratta piuttosto di individuare questio-ni unificanti che possano fungere da lente comune mediante cui filtrare esigen-ze e aspettative diverse e mobili.

In secondo luogo, per potere raggiungere i suoi obiettivi, ma soprattutto perpotere attivare dinamiche di partecipazione, il progetto deve riuscire a coinvol-gere diversi tipi di attori – pubblici e privati, locali e extralocali, economici esociali. L’elemento fondamentale per contrastare sia la marginalizzazione sia laframmentazione è la mobilitazione dei gruppi che vivono o che sono interessa-ti ad un territorio o ad una sua parte: dato che la solidarietà di luogo non si dàpiù come fatto spontaneo, essa va ricreata di continuo ricostruendo le ragioniche possano giustificarla nel contesto attuale. Particolarmente importante è ilruolo giocato dai soggetti organizzati e, soprattutto, la loro capacità di esseremediatori tra più sfere istituzionali, flussi economici e luoghi sociali, al fine diricomporre i mezzi e le risorse con la storia e le esigenze dei quartieri e dei suoiabitanti.

In terzo luogo, occorre rifuggire progetti monotematici (incentrati su un soloobiettivo, vuoi la protezione sociale o la sicurezza, il lavoro, gli interventi urbani-stici, ecc.), definiti solo dalla loro dimensione tecnico-funzionale o materiale.Nelle realtà che abbiamo studiato è impossibile stabilire la priorità logica di unadimensione (economica, abitativa, infrastrutturale) rispetto alle altre; così come èfuorviante assecondare esclusivamente i saperi esperti a scapito di quelli comuni.La scelta di fondo deve essere invece a favore di progetti che introducano ele-menti di connessione tra i diversi aspetti senza dimenticare la necessità di lavora-re per ricucire la trama sociale, culturale, relazionale e istituzionale dei territori.

Per ridurre i loro effetti disgregativi, i progetti vanno fatti dialogare con leagenzie e i luoghi della produzione del senso, che rimane un orizzonte ineludi-bile della vita sociale. Ecco perché va sottolineata in modo particolare l’impor-tanza della dimensione simbolica nella definizione e realizzazione del progetto.Si tratta di cogliere l’importanza di riuscire a trasmettere, a partire da azioni con-crete, simboli in grado di sostenere identità in movimento e un clima adatto alla

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cooperazione. Questo aspetto è fondamentale, perché la trasformazione incorso, come si visto, tende a lacerare qualunque realtà: per combattere tali esitinegativi occorre usare sapientemente le risorse simboliche, accompagnando lepopolazioni a dotarsi, prima di tutto, dei criteri di comprensione di quello chesta accadendo e dei suoi significati e, in secondo luogo, ad acquisire le compe-tenze sufficienti per far parte di una nuova dinamica sociale.

Secondo quello che abbiamo cercato di mostrare in tutto il lavoro, la questio-ne dei quartieri sensibili in Italia coincide, insomma, con la capacità di interrom-pere la spirale che tende a radicalizzare il senso reciproco di ab-ban-dono, ilquale implica crisi della socialità, indebolimento dello spazio pubblico, perditadell’idea di bene comune, confusione dei significati.

La ricostituzione delle condizioni di una socialità positiva e l’impegno conti-nuo volto a riconnettere i quartieri sensibili alla vita delle nostre città sembranole due condizioni perché questo obiettivo possa essere raggiunto.

Ci è parso utile premettere a ciascuno dei report locali queste considerazionigenerali, che tentano di sintetizzare i contenuti emersi dal percorso di ricerca epossono essere utili per meglio inquadrare il lavoro di ciascun ricercatore locale,dai materiali prodotti dal quale l’elaborazione è dipesa.

Il lettore, specie ove abbia a disposizione anche il volume de “La città abban-donata”, potrà trovare in questo rapporto locale non solo l’occasione diapprofondire e comprendere meglio le dinamiche qui descritte entro un territo-rio particolare, ma, se avrà la bontà di considerare l’esperienza di ascolto e pre-senza diretta compiuta dai ricercatori, potrà anche provare ad “entrare” nelquartiere con una prospettiva nuova e particolare.

Caritas Italiana ha intrapreso questo percorso per motivi essenzialmentepastorali, ed il progetto in cui la ricerca si colloca prosegue da essa con la realiz-zazione di opere segno ed azioni concrete per promuovere un cambiamento nei“quartieri sensibili”. E’ un’azione in cui Caritas e la Chiesa nel suo complesso nonpossono e non debbono essere sole, ma ricercare la compagnia di donne e uomi-ni di buona volontà per camminare insieme a chi vive il disagio nelle tante “peri-ferie” della contemporaneità.

L’auspicio è quindi che con questo rapporto locale non termini un viaggio, mane cominci uno ancora più ricco, articolato e partecipato, che le CaritasDiocesane certamente sapranno assumere ed animare come loro compete.

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CAPITOLO 1

SCELTA DEL QUARTIEREBreve analisi storica e sua identità nella città 8

1.1 SCELTA DEL QUARTIERE

In uno studio sulla povertà a Milano9, utilizzando un indice di risorse-disagiosociale10, è stata costruita una tabella che attribuisce il maggior disagio alleseguenti quattro zone di Milano (il numero corrisponde a quello delle 20 ex zonedi Milano, prima del nuovo accorpamento a 9 circoscrizioni).

• zona 15: Chiesa Rossa-Gratosoglio,• zona 13: Forlanini-Taliedo-Ponte Lambro,• zona 8: Affori-Bruzzano-Comasina,• zona 18: Baggio-Forze Armate.

Al secondo posto, quindi troviamo l’ex zona 13 di Forlanini-Taliedo-PonteLambro.

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Milano, ex zona 13: il territorio come arcipelago

8 Il presente rapporto è il frutto di una ricerca svolta da Caritas Italiana, all’interno del Tavolo di Lavoro dedica-to alle Aree Metropolitane, in collaborazione con il Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milanosullo stato delle periferie in Italia. Si tratta di un’indagine nazionale svolta in dieci città capoluogo (Milano, Torino,Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo e Catania). Per la città di Milano, la rilevazione è stata affi-data ad un’équipe di ricerca mista composta da una ricercatrice della Caritas Ambrosiana, da ricercatori delDipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano e da due ricercatori junior Carlotta Donati eSebastiano Citrini. Si desidera a questo proposito ringraziare tutte le persone che con il loro contributo hanno resopossibile la realizzazione del presente lavoro di ricerca, innanzitutto i parroci e la Caritas dell’Unità PastoraleForlanini e tutte le associazioni e gli operatori istituzionali e volontari, gli abitanti del quartiere che hanno accon-sentito a essere incontrati e intervistati nel corso delle visite etnografiche.

9 Zajczyk F. (a cura di), La povertà a Milano. Distribuzione territoriale, servizi sociali e problema abitativo, Angeli,Milano 2003. In particolare nel cap. 3 intitolato “La mappa territoriale della vulnerabilità e del disagio sociale”.

10 Gli indicatori selezionati per costruire l’indice sono i seguenti (segue pagina successiva):

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Collocata tra alcune fondamentali infrastrutture della mobilità cittadina – l’ae-reoporto di Linate, la tangenziale Est, la ferrovia, la Paullese - secondo ilCensimento del 2001 la ex-zona 13 conta 22.809 abitanti, con una densità per abi-tanti per Kmq. pari a 2.368 e una superficie di Kmq. 9,630.

L’aspetto interessante – che ci ha spinto ad occuparci di quest’area - è che il cat-tivo posizionamento dell’ex-zona 13 nella classifica sociale di Milano merita diessere meglio approfondito. A prima vista, infatti, quest’area non appare in unostato di particolare degrado e, d’altro canto, la zona non presenta delle specificitàtali da renderla un caso particolare. Al contrario, pur con tutte le sue specificità,l’ex-zona 13 può essere considerata un ottimo esempio di processi che si vanno dif-fusamente producendo in una città come Milano.

Inoltre, la scelta della ex zona 13 è stata motivata anche dalla coincidenza dellacircoscrizione amministrativa con la suddivisione pastorale, ossia il decanato (diForlanini-Monluè), denominato Unità Pastorale per sottolineare che si tratta di uninsieme di parrocchie molto unite, che lavorano in rete suddividendo le responsa-bilità e i “bacini d’utenza” (ad es. una parrocchia si occupa maggiormente dellapastorale giovanile, un’altra degli anziani, ecc.).

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Milano, ex zona 13: il territorio come arcipelago

10 (segue):La vulnerabilità economica

1) Reddito familiare2) Famiglie con reddito minore di 12 milioni annui3) Numero e importo annuo pensioni per anzianità contributiva4) Numero e importo annuo pensioni per classi di importo5) Numero e importo annuo pensioni per tipologia di pensione6) Numero e importo annuo pensioni sociali (donne/uomini)7) Numero e importo annuo assegni sociali (donne/uomini)

L’esclusione dal mondo del lavoro8) Tasso di disoccupazione9) Andamento avviamenti tipici

10) Iscritti Ufficio di collocamento11) Totale ore Cassa Integrazione Guadagni (CIG)

Povertà e asistenza12) Numero utenti interventi economici Ufficio Adulti in Difficoltà13) Numero utenti interventi economici Servizio Sociale della Famiglia14) Numero utenti interventi economici anziani15) Servizio rimborsi ticket indigenti: numero utenti16) Servizio rimborsi ticket indigenti: importo relativo ai medicinali17) Servizio rimborsi ticket indigenti: importo relativo alla diagnostica18) Servizio rimborsi ticket indigenti: spesa totale19) Numero anziani ricoverati con il contributo del Comune di Milano20) Numero utenti assistenza domiciliare anziani21) Utenza e stanziamenti relativi all’assegno terapeutico

Il disagio abitativo22) Andamento provvedimenti di sfratto emessi e fratti eseguiti23) Andamento delle procedure di rilascio di immobili ad uso abitativo24) Erogazioni Fondo Sociale25) Erogazione Fondo Sociale per categoria di beneficiari26) Richieste di contributo a carico del Fondo Sociale in fase istruttoria al 30/12/2000, totale proprietà

ALER e Comune di Milano.

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CARTINA EX ZONA 13

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1.2 BREVE ANALISI STORICA E SUA IDENTITÀ NELLA CITTÀ

La ex zona 13, dal punto di vista urbanistico-residenziale, comprende quattroquartieri: Bonfadini-Taliedo, Forlanini-Monluè, Ponte Lambro e Zama-Salomone11.

Si tratta di rioni assai differenziati tra loro, ben circoscritti, divisi da stradoni eex industrie, aree dismesse. Ciascuno di questi quattro quartieri presenta una suaidentità di storia, cultura e tradizione, come traspare immediatamente già dalleprime interviste.

Insediamenti nati con la loro caratteristica di autonomia, quindi: (…) con lescuole, la sua chiesa i suoi negozi12.

In questa zona c’è dentro tutto, dove abito io [N.d.R. Forlanini] c’è una mediaborghesia con i suoi problemi, poi c’è il quartiere Ungheria-Salomone, c’ePonte Lambro e poi c’è lo sviluppo [la zona dove sorgerà Montecity e la zonadell’ex industria Caproni - N.d.R.] (volontario).

1.2.1 Il quartiere Bonfadini-Taliedo

La storia del quartiere è legata alle vicende della vecchia località di Morsenchiodi cui si ha notizia dai primi acquisti avvenuti, nel 1200, da parte dei frati dell’or-dine degli Umiliati. Nel ‘Liber Notitiae’ di Goffredo da Bussero, redatto nel 1250,viene ricordata la chiesa minore di Santa Maria in Morsenchio. Il primo nucleo diMorsenchio come quello di Monluè e di Linate, è sorto ad opera degli Umiliati chefondarono una grangia, cioè un complesso di edifici destinato non solo a granaioe a deposito di prodotti agricoli, ma anche a cicli di lavorazione di tali prodotti, asedi di qualche piccola attività artigianale e a dimora per i monaci che vi vivevano.Fu così che dal 1261 al 1284 tutti i prati e le vigne di Morsenchio divennero di pro-prietà della sede generalizia degli Umiliati di Brera. La grangia di Morsenchiodivenne molto estesa. I frati contribuirono a renderla fertile perfezionando il siste-ma delle marcite, rendendo razionali le strade di accesso e canalizzando i corsid’acqua. Dopo il 1433 subentrarono altri ordini religiosi nell’amministrazione deiterreni di Morsenchio. Ai primi del 1500 il fondo di Morsenchio passò dai frati aGiovanni Porro.

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11 Tutte queste informazioni sono state tratte (e successivamente aggiornate) dal volume: Iosa A. (acura di) (1985), I quartieri della zona 13, Comune di Milano, Milano.

12 Poiché la ricerca è stata effettuata seguendo il metodo etnografico, questo ci ha portato ad effet-tuare circa 40 interviste tra testimoni privilegiati e residenti che vivono nella zona prescelta. L’esperienza,il vissuto dei soggetti emerge in maniera molto “viva” dalle interviste. Per questo, nel corso della tratta-zione, saranno riportati alcuni brani di questi colloqui, lasciati volutamente nella forma di esposizione ori-ginale, per conservarne tutta la freschezza e spontaneità.

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Successivamente vasti apprezzamenti di campi passarono in proprietà alla fami-glia Borromeo. La vita di queste campagne seguì le sorti della regione, passandoattraverso le dominazioni francesi, spagnole, austriache, subendo a volte anchedevastazioni. Nel 1859, nel corso della guerra tra il Piemonte di Carlo Alberto e glioccupanti austriaci, tutti i cascinali tra Chiaravalle e Morsenchio vennero distrutti.Morsenchio divenne comune nel 1800. Dopo l’unità d’Italia, nel 1870 il paese persela sua autonomia amministrativa e fu aggregato al comune di Mezzate, che avevasede municipale a Linate. Con il 1° gennaio 1925 Morsenchio e Ponte Lambro ven-nero distaccati e accorpati al Comune di Milano.

Venendo alla storia più recente, negli anni ’30 venne costruito lo stabilimentodella Montecatini (che divenne poi Montedison) e sorsero in via Bonfadini-Morsenchio alcune villette per accogliervi i dipendenti. Era presente in zona anchela Caproni, nota industria bellica, chiusa dopo il 1945 che, con i suoi capannonioccupava tutta l’area non solo dell’attuale quartiere Bonfadini-Taliedo, ma diquasi tutta la ex zona 13.

Nell’immediato dopo guerra iniziò lo smembramento sistematico dei capanno-ni dell’ex Caproni, si resero disponibili aree che vennero date in concessione adattività private e il quartiere cominciò la sua lenta trasformazione. Dal 1954 si mol-tiplicarono nuove abitazioni private, ma soprattutto un vasto insediamento di sta-bilimenti per attività industriali, artigianali e commerciali.

In questo periodo nacque anche la parrocchia della B.V. Addolorata inMorsenchio (1958). Dal 1958 al 1960, sotto la spinta del boom dell’immigrazionedal Meridione d’Italia, il comune di Milano e l’IACPM (Istituto Autonomo CasePopolari Milano) effettuarono interventi sempre più ingenti nel settore dell’edili-zia economica e popolare. Più precisamente, sorsero nel 1958, il Bonfadini, ad ini-ziativa del comune di Milano, e nel 1960/61 il Taliedo per intervento dell’IACPM. Ilquartiere è stato localizzato quasi tutto lungo viale Ungheria dove insistono ilmaggior numero di lotti fabbricati.

1.2.2 Il quartiere Forlanini-Monluè

Il quartiere Forlanini-Monluè ha una complessa e vasta delimitazione geografi-ca. Il territorio si estende da via Mecenate (lato dispari) alle vie Fantoli, Monluè,viale dell’Aviazione, viale Forlanini. Confina con la frazione di Linate (dov’e collo-cato l’aeroporto) nel comune di Peschiera Borromeo e con quella di Novegro (dovesi trova l’idroscalo) nel comune di Segrate.

Viale Forlanini e via Mecenate costituiscono le più grandi arterie di scorrimen-to della ex zona 13 per l’intensità del traffico in entrata e in uscita dalla città siaper la presenza dell’aeroporto, sia per la presenza dello svincolo della tangen-ziale Est.

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Milano, ex zona 13: il territorio come arcipelago

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Il quartiere si può perciò dividere in due parti geografiche ben distinte: a sud ea nord di Viale Forlanini. La parte sud interessa il nucleo residenziale del Forlanini-Monluè che, come dice il nome, oltre ad un consistente nucleo abitativo, compren-de l’antico borgo della Cascina Monluè.

La parte nord abbraccia la vasta area del Parco Forlanini dove sorgono vecchiecascine agricole, il verde pubblico attrezzato e alcuni impianti sportivo-ricreativiper l’intera città di Milano (es. Centro Sportivo Saini che pur avendo l’ingresso invia Corelli, che appartiene all’ex zona 12, ha però tutti i suoi impianti sportivi sulterritorio della ex zona 13).

La cascina Monluè rappresenta il più antico insediamento abitativo della zonae la sua chiesa (S. Lorenzo in Monluè) è un importante punto di riferimento nellastoria dell’intera città di Milano7.

La Cascina Monluè risale aiprimi anni del XII secolo e succes-sivamente venne affiancata dallachiesa di San Lorenzo, datata1267. La parrocchiale, in realtà,esisteva già nel 1244 ma l’aspettoattuale deriva dalla ricostruzioneoperata dai monaci dell’ordinedegli Umiliati, appunto nel 1267.La cascina si sviluppò negli stabiliche originariamente costituironoil complesso monastico connessoalla chiesa di San Lorenzo.

Riguardo all’attuale configura-zione del cosiddetto quartiereNuovo Forlanini-Monluè, esso sisuddivide in tre fasce.

La prima corrisponde al nucleoinsediativo di Monluè che è a suavolta costituito da cinque agglo-merati residenziali:

1. il primo si riferisce all’insediamento storico della Cascina Monluè: una strutturache pone il problema del suo recupero e mantenimento per salvaguardarne lecaratteristiche monumentali ed ambientali. La grangia di Monluè attualmenteè sede di un Centro di Prima Accoglienza per richiedenti asilo. Si tratta soprat-

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Milano, ex zona 13: il territorio come arcipelago

S. LORENZO IN MONLUÈ

13 Tutte le foto riportate sono di Sebastiano Citroni.

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tutto di uomini adulti inviati dal SAI (Servizio Accoglienza Immigrati) dellaCaritas Ambrosiana e in parte dai servizi del Comune di Milano. La ex scuola ele-mentare attigua alla cascina e alla chiesa ospita la Centesimus Annus, un Centrodi Seconda Accoglienza, sempre per stranieri che devono essere in possesso delpermesso di soggiorno e avere un lavoro.

2. il secondo agglomerato abitativo è sorto fra il 1950 e il 1952, ad iniziativadell’Istituto Autonomo Case Popolari. Questi appartamenti rappresentano oggila parte più vecchia dell’edilizia pubblica e sono abitati, in prevalenza, da unapopolazione anziana;

3. il terzo nucleo residenziale si innesta strettamente al precedente ed è sorto nel1967/68 ad iniziativa dell’IACPM che ha edificato i fabbricati compresi fra le vieDalmazia (dove ha sede l’istituto comprensivo Francesco d’Assisi), Pecorini,Zante, Cossa, Meleri e Petri;

4. il quarto insediamento si configura con l’espansione urbanistica lungo tutto illato dispari di via Mecenate dove si registra una commistione tra piccole indu-strie ormai in dismissione e residenze private;

5. il quinto agglomerato è a se stante ed è costituito dal Villaggio Areonautico inViale dell’Aviazione, in cui vivono gli addetti del vicino aeroporto di Linate.

La seconda fascia del quartiereè denominata “Nuovo Forlanini”.Le case sono sorte inizialmentenel 1958 ad iniziativa dell’exErario, che costruì uno stabile coni primi 20 alloggi e 50 locali, chefurono poi acquistati dall’IstitutoAutonomo case Popolari e cedutia riscatto agli assegnatari. Taleintervento dell’edilizia pubblica siè poi intensificato dal 1960 al1965. Questa possibilità concessaai cittadini di divenire proprietaridel proprio appartamento nelcorso del tempo, con una ragione-vole spesa, ha fatto sì che, comeafferma Iosa,14 “si può dire chequesta porzione di quartiere è abi-tata da famiglie del ceto medio-

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14 Iosa A. (a cura di) (1985), I quartieri dellazona 13, Comune di Milano, Milano, p. 102. QUARTIERE FORLANINI

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borghese. Si differenzia nettamente rispetto agli altri quartieri della zona sia perla razionalità nella distribuzione dei servizi, sia per l’accuratezza con cui vengonomantenuti sia il patrimonio edilizio che gli spazi di verde”.

Anche dalle interviste è emerso che si tratta della

zona “bene”. Poiché le case erano “a riscatto” oggi sono tutte di proprietàdagli ex impiegati dei tempi e sono tenute bene.

Sin dalla sua nascita, questa è una delle zone di Milano più belle di edilizia ex-popolare […] quando è nato il quartiere è nato come esempio, tanto è veroche sono venute delle delegazioni dalla Germania per studiarlo (volontario).

Con la realizzazione della tangenziale Est nel 1972 il quartiere ha subito unaprofonda divisione, in quanto la cascina di Monluè e la chiesa sono state separate,tagliate fuori dal resto del quartiere. Le due parti sono unite solo da un piccolosottopassaggio pedonale, male illuminato e ritenuto insicuro.

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QUARTIERE FORLANINI

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SOTTOPASSAGGIO MONLUÈ-FORLANINI

SCORCIO DELLA TANGENZIALE EST DA MONLUÈ

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Questa scissione, oltre ad isolare fisicamente Monluè, - che rimane in questomodo una piccola oasi di verde separata dal resto della città - ha imposto l’esigen-za di costruire una nuova parrocchia più centrale e vicina agli abitanti del resto delquartiere. Infatti, in concomitanza con l’ultimazione del quartiere NuovoForlanini, è stata costruita la parrocchia di San Nicolao della Flue.

La terza fascia è costituita dal vasto territorio destinato prevalentemente aparco pubblico, in mezzo al quale sono immerse alcune vecchie cascine in condi-zioni di conservazione molto diverse.

Di recente quest’area è divenuta oggetto di attenzione della stampa a proposi-to del progetto della cosiddetta green belt, ossia cintura verde che dovrebbe sor-gere in futuro attorno a Milano. Si tratterà - secondo la spiegazione fornita daStefano Boeri, direttore di Domus, sul Corriere della Sera dello scorso 15 novem-bre - di “un anello continuo di alberi pieno di occasioni di vita. Potrebbe nasceresulle aree del Parco Sud e poi estendersi anche alla parte settentrionale della città,unendo il parco di Trenno, il Parco Nord, il Parco Lambro e il Parco Forlanini”.

1.2.3 Il quartiere Ponte Lambro

Ponte Lambro è connotato da una posizione geografica caratterizzata da uncerto isolamento. I confini fisici del suo territorio sono netti e sono i seguenti: anord si trova la strada che collegava il borgo di Linate con il fiume Lambro (l’at-tuale Via Vittorini), a sud la strada Paullese, importante arteria di comunicazione,a est il fiume Lambro e a ovest la tangenziale Est di Milano. Si tratta di limiti dallecaratteristiche tali da costituire una sorta di confini naturali.

A nord, oltre alla via Vittorini, si estende un prato abbandonato con nel mezzo unimponente edificio fatiscente (il famigerato eco-mostro: nei progetti doveva diventareun albergo per i mondiali del 1990 ma di fatto non è stato mai terminato), a sud laPaullese è un limite invalicabile, così come a est il fiume Lambro (ora non più chiara-mente visibile come in passato perché costretto entro argini rialzati al fine di evitarestraripamenti del corso d’acqua nelle sue fasi di piena), per non parlare dell’imponen-te barriera (visiva e sonora) costituita dalla sempre trafficata tangenziale Est. Intorno aPonte Lambro, dove non ci sono le strade citate, c’è una zona verde con insediamentiagricoli ormai in disuso e un sistema di rogge tipico del territorio della bassa padana.

Venendo da Milano c’è un’unica strada di accesso al territorio, ossia la viaMecenate che attraversa la tangenziale Est mediante un sottopasso che immettein via Vittorini. Quest’ultima via è percepita dagli abitanti come il centro simboli-co del quartiere (anche perché un centro o una piazza nel senso proprio del ter-mine non esistono): in essa sono presenti la maggior parte dei negozi e il centrocardiologico Monzino, inoltre da questa strada si diramano diverse vie che costi-tuiscono lo scheletro del quartiere.

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La storia del territorio di Ponte Lambro risale a tempi molto remoti, delle tribùgalliche prima e dei conquistatori romani. Il terreno era coperto di boschi ed acqui-trini che costituivano la caratteristica naturale della valle del Lambro a oriente diMilano. Il fiume, infatti, rendeva fecondi i prati e i campi della “bassa milanese”bene irrigata da una mirabile rete di rogge e canali.

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“ECO-MOSTRO”, HOTEL MAI TERMINATO, RISALENTE AI TEMPI DI ITALIA ’90

FIUME LAMBRO

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Ponte Lambro deve la sua importanza storica alla strada principale che l’attra-versava, la Linate-Paullo, risalente all’epoca imperiale dei romani e al ponte dilegno, più volte distrutto e ricostruito, che costituiva il guado del fiume. Per que-sta via giunsero gli eserciti invasori per assediare e saccheggiare Milano. Sino allafine del secolo XII queste terre appartenevano ai Longobardi e, successivamen-te, passarono alla giurisdizione ecclesiastica con l’affidamento ad enti religiosi ecaritativi. Tra tutti, l’ordine degli Umiliati seppe fare un sapiente ed ordinato usodelle acque che resero fertili queste terre. Il podere detto della Canova, sul qualeè sorto tutto l’abitato di Ponte Lambro, apparteneva infatti agli Umiliati di Brerache avevano chiesa e convento a Monluè. Tutte le terre di Ponte Lambro, diLinate e di Morsenchio furono amministrate dagli Umiliati sino al 1433 e, succes-sivamente, da altri enti e ordini religiosi. Il podere della Canova passò allora alVenerando Pio Luogo delle Quattro Marie, un ente che da tale fondo ricavavarendite per opere di carità a favore dei poveri della città e che vi fece costruireun fontanile e scavare un canale per meglio irrigare e rendere fertili i campi. Ilnome della località “Quattro Marie” è importante ai fini della storia di PonteLambro perché è in tale luogo che nel 1963 sorse l’omonima casa di cura, volu-ta dal dottor Giuseppe Gerosa15, insigne personaggio nato a Ponte Lambro,divenuto appunto fondatore e primo direttore della nuova Clinica. La casa dicura Quattro Marie cambiò gestione e trasformò completamente il suo indirizzoclinico nel 1982 diventando il Centro Cardiologico Monzino, istituto di ricono-sciuta eccellenza e fama.

Tornando alla storia di Ponte Lambro, esso conobbe un primo sviluppo edilizionel 1900-1915. Più precisamente fu nel 1905 che venne costruita l’osteria del PonteLambro, la quale fu uno dei primi edifici di quel grosso agglomerato che ha presopoi tale nome16.

Il signor Luigi Verganti costruì subito dopo la prima casa, cioè la lavanderiaMoro sul cosiddetto argine del Lambro – ora via Camaldoli – ed acquistò il fondodella Canova.

Il periodo dei lavandai è molto importante per comprendere l’evoluzione delquartiere di Ponte Lambro. Infatti, fu proprio dall’insediamento di queste lavan-derie artigianali ai primi del secolo scorso che nacque Ponte Lambro. Esse sorse-ro in questo luogo per alleggerire il congestionato Vicolo dei Lavandai di PortaTicinese, anche perché i panni potevano essere lavati in acque più pulite e messiad asciugare al vento e al sole su stenditoi in aperta campagna. Più precisamen-

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15 Leondi S. (a cura di) (2001), Un grande milanese, un grande italiano. Ricordo di Giuseppe GerosaBrichetto (1910-1996). Colonnello, medico e scrittore.

16 Questa informazione, riportata nel succitato libro di Iosa, è a sua volta tratta dagli scritti deldottor Gerosa.

17 De Biaggi (a cura di) (2004), Panni al sole e al vento. Storia dei lavandai milanesi, Milano, p. 62.

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te, furono costruite trenta lavanderie, dove nell’arco di alcuni decenni, sessantafamiglie di lavandai svolsero il loro lavoro17. La struttura di queste abitazioniconsisteva infatti in villette con i lavatoi al piano terra e ampi spazi per gli sten-ditoi esterni.

In quel periodo Ponte Lambro faceva parte del comune di Mezzate. Divenne poiLinate al Lambro a partire dal 1915.

Nei decenni successivi aumentò la popolazione operaia, richiamata dallevicine attività industriali presso i nuclei storici di Morsenchio e Taliedo (indu-strie Caproni, Montecatini e Redaelli). Intorno al 1920 vi abitavano circa 500persone.

L’espansione edilizia fino al dopoguerra gravitò intorno alla Paullese (vieMontecassino, Monte Oliveto, Parea, Vittorini e Camaldoli). La via degli Umiliaticostituiva l’asse principale del quartiere, su cui si affacciavano le attività com-merciali e artigianali. Dal 1925 Ponte Lambro venne a far parte del comune diMilano, in concomitanza con la progettazione del “Porto di Mare”, nuovoporto fluviale nel sud-est della città, mai realizzato. Tuttavia il suo svilupporestò al di fuori di qualsiasi disegno urbanistico; rimase soprattutto residenzia-le (in prevalenza villette).

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PONTE LAMBRO: CASA DEL TEMPO DEI LAVANDAI

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Negli anni ‘60 la popolazione si connotò per una notevole coesione sociale.Circa 1000 persone, in prevalenza del ceto operaio, risiedevano a Ponte Lambro.L’aggregazione era forte, legata alla diffusa attività associazionistica: nel borgostorico trovarono sede sezioni di partito, Arci, Acli, numerose cooperative, tra cuispicca la storica Cooperativa di Consumo attiva fin dal 192112.

Per quanto riguarda il quartiere di Ponte Lambro con le caratteristiche con cuilo conosciamo oggi, sono gli anni ’70 a costituire il vero punto di svolta nella sto-ria del quartiere: nel 1973-74, il Comune di Milano affida all’IACPM un massicciointervento di edilizia economica e popolare nelle vie Ucelli di Nemi e via Serrati.Nacquero così due file di case popolari (le “stecche” o “case bianche”), del tuttoidentiche fra loro per tipologia urbanistica, che vennero parzialmente occupatenei due anni successivi da famiglie di immigrati dal Meridione (in gran parte pro-venienti dalla Calabria e dalla Campania) richiamati dai parenti residenti a Milano.

Le nuove case popolari sorsero alle spalle del nucleo storico, senza alcuna rela-zione spaziale e tipologica con esso.

Scelta del quart iere50

Milano, ex zona 13: il territorio come arcipelago

PONTE LAMBRO: VILLETTE DI VIA UMILIATI

18 Questa parte è tratta da Comune di Milano-Politecnico di Milano (a cura di) (2004), Muovere PonteLambro, Milano, p. 23.

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Scelta del quart iere51

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PONTE LAMBRO: LE “STECCHE”

PONTE LAMBRO: LE “STECCHE” - FACCIATA

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Negli anni ‘70-’80 il quartiere mutò radicalmente, vennero realizzati i servizicollettivi, innanzitutto le strutture scolastiche (il primo comparto della scuolaelementare risaliva al 1954). Le scuole erano concentrate in un settore di quar-tiere che per la maggior parte del giorno si rivelò poco frequentato, non essen-do presenti altre attività.

Nel 1984 venne chiusa la scuola media, di lì a poco trasformata in aula bunker,

Scelta del quart iere52

Milano, ex zona 13: il territorio come arcipelago

PONTE LAMBRO: LE “STECCHE” – RETRO

PONTE LAMBRO: AULA BUNKER

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distaccamento del Tribunale dove vennero celebrati molti dei processi milanesidi mafia.

Sulla linea di confine tra vecchio borgo e nuove espansioni residenziali siattestano la chiesa, il mercato rionale, il Centro Civico: “quello che dovrebbeessere il centro del paese non riesce a diventarne l’elemento unificante, restan-do semplicemente la zona dove due realtà insediative si fronteggiano” (dallaRelazione di progetto del Laboratorio di Quartiere).

Nel 1981 vennero realizzate le case popolari di via Rilke (le “case gialle”)che chiudono la prospettiva della storica via degli Umiliati, costruite ingloban-do due villette pre-esistenti. All’interno di questo caseggiato, già nel 1994,ben il 40% degli inquilini era abusivo. Tuttora c’è un elevato turn-over abita-tivo e la percentuale degli abusivi rappresenta circa il 20% degli inquilini. Lecase di via Rilke vengono chiamate “case parcheggio”, perché questa sarebbedovuta essere la loro funzione, ossia dovevano essere abitate per periodibrevi, in realtà sono anch’esse state assegnate (o occupate abusivamente) invia definitiva.

(PONTE LAMBRO: CORRIDOIO “CASE PARCHEGGIO 1”)

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Milano, ex zona 13: il territorio come arcipelago

PONTE LAMBRO: CORRIDOIO “CASE PARCHEGGIO 1”

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Come ci spiega un testimone,abitante del quartiere ed exconsigliere di zona:

Nell’idea originale di quegli anni –che non era neanche sbagliata – […]Alcuni quartieri dove venivanocostruite queste case dal Comuneche - se andate a vederle - anchenella tipologia costruttiva, dannol’idea di un albergo: corridoio moltolargo […] poi adesso è diviso in tre,mentre prima era tutto collegato. Inun corridoio uno incontrava 20-25famiglie e i bambini correvano, ditutto facevano. L’obiettivo era:quando io faccio la manutenzionein alcuni stabili, le famiglie se devofare interventi pesanti io li possospostare lì però poi, nella realtà, lafame di alloggi fece sì che fosseroassegnate anche quelle. La funzionedi casa di parcheggio non è maistata esercitata.

La popolazione continuò ad aumentare, Ponte Lambro attirò dalla città abitan-ti dei ceti più bassi, gli esclusi dal mercato abitativo oltre che del lavoro: in un quar-tiere di piccole dimensioni si concentrò un numero molto elevato di persone conproblemi di ogni natura. Sfruttandone le caratteristiche ambientali (fisiche e socia-li) si stabilirono gruppi di famiglie di tipo mafioso che nel giro di pochi anni arri-varono a detenere il controllo del territorio, condizionando pesantemente la vitadi chi abitava e lavorava in quartiere19.

Come si vede questo sviluppo insediativo ha determinato la nascita di un con-testo sociale fortemente problematico. Come afferma lo stesso testimone di prima,in una efficace sintesi:

Questo luogo che nasce come un vecchio borgo della Milano del passato, dove poinegli anni ’70 c’è stata questa realizzazione del quartiere ALER in via Ucelli diNemi-Serrati e poi anche il Comune ha fatto queste costruzioni Ucelli di Nemi 58e la casa-parcheggio di via Rilke che hanno portato in quartiere una presenza, unatipologia di persone diversa rispetto a quella che abitava il borgo di prima. Il

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PONTE LAMBRO: CORRIDOIO “CASE PARCHEGGIO 2”

19 Comune di Milano-Politecnico di Milano (a cura di) (2004), Muovere Ponte Lambro, Milano, p. 24.

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borgo di prima era di persone profondamente indigene anche dal punto di vistadella tradizione familiare, gente “milanese”. Sono arrivati tutta una serie di fami-glie, dal Sud molto spesso con una cultura diversa, con un livello di istruzione, direddito più basso e quindi s’è creata un po’ – come molti dicevano – una frattura,cioè il quartiere diviso un po’ in due, due parti che non si sono mai integrate.

A metà degli anni ‘80 risale l’apertura presso il Centro Civico del CentroTerritoriale Sociale e del Centro di Aggregazione Giovanile. A partire dal 1996-97negli alloggi più fatiscenti del nucleo storico e nelle case popolari hanno comincia-to a giungere sempre più numerosi immigrati extracomunitari, attirati dai bassiprezzi degli alloggi in vendita e in affitto. Alla fine degli anni ‘90 il Comune diMilano ha iniziato ad elaborare una serie di progetti per la riqualificazione delquartiere, dietro la spinta delle iniziative nate dal basso intorno al 1995 per “riap-propriarsi del quartiere” via via che importanti operazioni di Polizia contribuivanoa sgominare gruppi criminali presenti a Ponte Lambro20. Ebbe molto risalto sullastampa del tempo ed è tuttora viva nella memoria degli abitanti del quartiere lanotte del 1995 in cui avvenne il famoso blitz “dei veli bianchi”.

Il blitz del ’95 […] è stato un momento drammatico: il capo della Polizia, l’at-tuale questore Scarpis, è intervenuto con gli elicotteri e con tantissime pattu-glie della polizia, hanno bloccato tutto il quartiere e hanno catturato una ses-santina di persone, in quaranta famiglie ci sono state persone incarcerate,comunque giudicate. Moltissime famiglie erano coinvolte, è stato un momen-to davvero di sconvolgimento totale (operatore ecclesiale).

Ci sono stati interventi di stato d’assedio che a un certo punto, quando sonointervenuti negli anni pesanti, hanno bloccato tutte le strade, l‘elicottero chegirava, il quartiere circondato, tipo rastrellamento (ex Presidente del Consigliodi Zona nel periodo 1975-85).

Tornando al discorso delle case popolari, in sintesi, oggi a Ponte Lambro sonopresenti quattro diversi comparti di Edilizia Residenziale Pubblica, per un totale di451 alloggi:

– le cosiddette case bianche di proprietà ALER di via Ucelli di Nemi e di viaSerrati; due stecche bianche, una lunga circa 300 metri e le altre due di dimensio-ni più ridotte;

– le case minime, di proprietà comunale, di via Ucelli di Nemi 58; un blocco dialloggi (35) di dimensioni molto ridotte;

– la casa-parcheggio, di proprietà comunale, di via Rilke 6-10; un edificio che ospi-ta 117 alloggi, caratterizzato da una particolare forma non lineare, dovuta alla neces-sità di disegnare l’intervento attorno a due piccolissime lottizzazioni preesistenti;

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20 Ibid., p. 25.

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– l’edificio di proprietà comunale di via Montecassino, un complesso a corte chetrovandosi all’interno del nucleo storico e sulla via principale di collegamento conla città, risulta più integrato di altri con il resto del quartiere.

Tutti i comparti ERP (tranne quello localizzato in Via Montecassino, già ristrut-turato in anni recenti) presentano un marcato livello di degrado dovuto a causediverse:

– problemi dovuti all’obsolescenza delle strutture, alla qualità di partenza deimateriali costruttivi, e alle caratteristiche architettoniche dei manufatti;

– degrado dovuto alla mancanza di manutenzione costante negli anni;

– degrado dovuto ad un uso improprio degli spazi.

Infine, Ponte Lambro è attualmente oggetto di un nuovo piano di ristrutturazionein quanto rientra nel progetto Contratti di Quartiere II promossi dal Comune di Milano.

1.2.4 Il quartiere Zama-Salomone

Il quartiere Zama-Salomone è attualmente racchiuso a nord dal tratto iniziale divia Forlanini e lungo il rilevato ferroviario della Milano-Rogoredo con le vie Zama,Berlese, Norico e Numidia; ad ovest da piazza Cartagine e da via A. Regolo sino apiazza Ovidio, ad est da via Mecenate numeri pari, a sud dalle via Dione eSalomone.

Riguardo all’origine storica del quartiere si sa che il territorio apparteneva, sinoa 50 anni fa, a Monluè che, con la sua antica chiesa, era il centro di tutto il com-prensorio.

I punti di riferimento della popolazione erano costituiti da tre chiesette sussi-diarie di Monluè: una a Morsenchio della Montecatini, un’altra allo smistamentodell’Ortica-Lambrate e una terza, negli anni ’30 in via Zama. Due grandi fabbriche,la Montecatini e la Caproni, davano lavoro a migliaia di operai che le raggiunge-vano a piedi, in bicicletta o con il vecchio tram 35 che allora partiva da piazzaFontana (centro di Milano) e faceva capolinea all’altezza di via Fantoli e aveva unosvincolo in piazza Ovidio.

Le prime abitazioni che sorsero in zona erano le cosiddette “case Minime”,lungo tutta la via Zama, negli anni 1933-34, durante il regime fascista. Il quartieresi chiamava “Alberto Villasanta” e successivamente divenne noto con il nome di“Trecca”, perché le case sorgevano lungo l’omonima roggia che scorreva allo sco-perto e che è stata ricoperta alla fine degli anni ’70. Il complesso delle case mini-me fu terminato nel 1937 ed accolse 500 famiglie di proletariato e sottoproletaria-to urbano che il regime fascista confinava ai margini della città. Le 500 famiglieerano assai fertili tanto che il quartiere “Villasanta” raggiunse nel 1939 circa 3.000

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abitanti. Gli adulti, come in parte già detto, trovavano lavoro per lo più allaCaproni, alla Montecatini e al Verzè (mercato ortofrutticolo) di Porta Vittoria.

Il quartiere subì la tragedia della guerra, prima nel 1943 con la deportazione inGermania da parte dei tedeschi di una cinquantina di abitanti e successivamente,nei mesi di marzo e di settembre del 1944, a causa di due bombardamenti: nelprimo gli ordigni esplosivi danneggiarono la scuola, dove erano accasermati i tede-schi e il muro di cinta dell’oratorio; nel secondo, gli ordigni sventrarono la chiesa,la scuola e alcune case di via Norico dove si ebbero anche delle vittime civili. Il ricor-do di tali episodi è ancora vivo e struggente tra gli anziani.

La Trecca era un quartiere di “case di ringhiera” tipiche della Milano storica coni ballatoi e i servizi in comune, ma anche con uno spirito di appartenenza e di con-divisione. Tuttora, nonostante l’abbattimento delle case minime e l’edificazionedel nuovo quartiere, questo luogo nel parlare comune viene ancora chiamato “laTrecca”: tale nome porta due significati, da un lato negativo per ricordare l’origi-ne dei primi inquilini, in prevalenza braccianti dell’ortomercato, ambulanti, disoc-cupati, pensionati, emarginati, dall’altro positivo perché tuttora molti anziani sidicono orgogliosi di provenire dalla Trecca.

Nel corso della visita in quartiere la nostra guida ci ha, infatti, detto:

Tra di loro, diciamo i vecchi, si chiamano quelli della ex Trecca. Trecca era viaZama, vedete queste viuzze qua, che oggi sono state ricostituite con la nuovaedilizia, che tra l’altro sono tutte cooperative, quindi sono tutte di proprietà,allora qui esistevano le case minime, le famose case minime che Milano avevanel periodo fascista, che poi nel dopoguerra hanno assorbito i senza tetto,quelli che sono rimasti senza casa. Storicamente venivano messi qui, va beh,tutti i politici, ma soprattutto la malavita, la prostituzione e roba del genere.

Continuando con la storia del quartiere, nel 1976-77 vennero demolite le fami-gerate “case minime” dell’ex quartiere Trecca e furono sostituite dai nuovi fabbri-cati detti “case bianche” che ospitano circa 400 nuclei famigliari.

Hanno costruito queste “case bianche” e non hanno fatto nient’altro che spo-stare la situazione in case migliori rispetto alla casa a due piani a ringhiera,aggravato dal fatto che se prima era comunque un nucleo che viveva la suarealtà di solidarietà alla loro maniera, (…) che pur nel loro disagio c’era la lorosolidarietà, un po’ come nei paesi, per cui se succedeva qualcosa.. tutti a dife-sa. Costruendo queste case hanno preso tutto questo, in più ci hanno buttatodentro l’edilizia popolare, tutto quello che nel frattempo nella città c’era biso-gno di sistemare (volontario).

Anche una signora molto anziana incontrata al centro anziani di via Salomoneci dice:

Nelle case minime si stava meglio, ci si conosceva tutti, ci si fidava, mica comeadesso, qui ora tutti abbiamo le porte blindate... quelli delle case minime sono

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venuti tutti di qui, ma il problema sono gli altri che sono arrivati dopo, primai terùn che piano piano si sono civilizzati, adesso sono arrivati anche queimarocchini lì […] con quei veli lì e […], può essere benissimo un uomo sotto,loro qui devono rispettare le nostre leggi, la nostra cultura, si devono adegua-re, e invece c’è molta prepotenza.

La costruzione delle nuove case popolari e l’abbattimento delle case minime,sempre secondo Iosa, “si sono realizzati attraverso le lotte degli abitanti delle casestesse, organizzati dal S.U.N.I.A.. Gli inquilini hanno anche difeso, nei primi anni,gli appartamenti dalle occupazioni abusive, rischiando anche personalmente”21.

Quest’ultimo intervento di ricostruzione dell’ex quartiere Trecca ha contribuitonotevolmente a cambiare il volto della zona. A trent’anni dalla loro costruzione lecase popolari presentano un evidente stato di grave incuria ed abbandono.Recentemente, per esempio, è apparso su Il Corriere della Sera un articolo22 inti-tolato “Case ALER a pezzi, viviamo con rifiuti e topi in cortile”, dove lo spunto delpezzo era derivato dall’ennesimo guasto all’impianto centrale dell’acqua e delriscaldamento in questi caseggiati.

Nel corso di una visita, una signora italiana, madre di quattro bambini hadichiarato che “i principali problemi delle case bianche sono tre: l’oratorio

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“CASE BIANCHE” DI VIA SALOMONE

21 Iosa A. (a cura di) (1985), I quartieri della zona 13, Comune di Milano, Milano, p. 298.22 Ravizza S., Case ALER a pezzi, viviamo con rifiuti e topi in cortile, in “Corriere della Sera” del 20.XI.2005.

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[intendendo la sua mancanza e la mancanza di luoghi di aggregazione in gene-re per i più giovani N.d.R.], i topi, gli stranieri”.

Tuttavia, l’intera area oggi presenta alcuni tentativi di bonifica e sistemazione dapiù parti. Dal punto di vista ambientale, si sta procedendo con la bonifica dei vecchicapannoni industriali, ormai dismessi e fatiscenti, e la loro sostituzione con nuovicaseggiati di edilizia residenziale e sistemazione di aree di verde pubblico attrezzato.Dal punto di vista sociale è recentissimo l’arrivo presso le case bianche di via Salomonedella portiera sociale dell’ALER – Azienda Lombarda Edilizia Residenziale (da ottobre2005) e della custode sociale della Fondazione e Associazione Fratelli di S. Francescod’Assisi Onlus convenzionata con il comune di Milano (luglio 2005).

Infine, è importante ricordare un’altra particolarità del quartiere, ossia la pre-senza di ben due campi nomadi: uno di antica data collocato in via Zama e l’al-tro in via Bonfadini. Come spiega un testimone privilegiato che ci ha fatto daguida nel quartiere:

Ora anche lì la situazione si è evoluta perché nel frattempo, negli anni ottan-ta, il Comune ha costruito il campo comunale al di là della ferrovia. Però anchequi in maniera molto improvvisata, non tenendo presente che erano di etniediverse, che non erano disposti ad andare via. Per cui cosa è successo? Che nelvecchio campo sono comunque rimasti, una parte sono andati di là. Il campocomunale si è riempito di nomadi che venivano da altre situazioni, mentre quinel vecchio campo è rimasto il nucleo storico stanziale.

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CAMPO NOMADI

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CAPITOLO 2

I FUTURI DEL QUARTIERE

Dopo aver accennato alla storia del quartiere di Forlanini-Taliedo-PonteLambro ci sembra utile descrivere quale sarà il futuro. Infatti, sia percorrendo ilquartiere a piedi e notando i numerosi cantieri aperti, sia parlando con le perso-ne risulta evidente che l’intero quartiere è oggetto di grandi trasformazioni,alcune avviate, altre solo annunciate, che nell’insieme sono destinate a cambia-re profondamente la configurazione dell’intera area. Ciò che è importante sot-tolineare è che tali mutamenti da un lato sono espressione di interessi, proget-ti, logiche che prescindono completamente non solo dal quartiere ma anchedalla città; e dall’altro, essi si danno su porzioni territoriali anche limitate, secon-do logiche molto diversificate.

Il risultato è quello di una rapida e profonda eterogenizzazione del territorio,che dà molto bene il senso dell’impatto della globalizzazione sul tessuto urbano.

Le principali trasformazioni di cui si cercherà di render conto riguardano: 1) l’a-rea dell’ex Caproni; 2) l’area dell’ex Montedison denominata S. Giulia-Rogoredo,3) Ponte Lambro, oggetto dei contratti di quartiere.

2.1 AREA DELL’EX CAPRONI

Percorrendo la via Mecenate, sia dalla parte dei numeri pari sia di quelli dispa-ri, ci si imbatte nei capannoni della ex fabbrica di aeroplani Caproni, non a casonei pressi del primo campo di aviazione di Milano. La zona attorno agli enormicapannoni, la cui produzione cessò dopo la seconda guerra mondiale, ha conosciu-to prima un periodo di declino e abbandono per poi presentare a metà degli anni

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’80 – secondo le informazioni di Iosa23- “un’edilizia con prevalenza di insediamen-ti industriali o di autotrasporti merci ubicati soprattutto nelle vie Dione,Prudenzio, Quintiliano, ove insistono le sedi di alcune note aziende come Bertolini,Mantra, Resinelli-Colletta, Italfrigor, Messaggerie Musicali ‘Suvini-Zerboni’, IstitutoItaliano marchio di qualità IMO, Dr. Ciccarelli-Pasta del Capitano, autofficine e car-rozzerie varie”.

Recentemente, i capannoni sono stati quasi completamente ristrutturati perospitare gli ‘East End Studios’ che, come recita il sito di presentazione omonimo

è oggi la più grande struttura convegnistica privata in Italia. Un event pointall’avanguardia, risultato di un attento restauro degli edifici un tempo adibitialle storiche Officine Aeronautiche Caproni. Il complesso si sviluppa su unasuperficie lorda di 22.000 mq, con 15.000 mq. netti coperti di spazi attrezzatie polifunzionali che possono ospitare eventi di ogni dimensione dalle 50 alle2.200 persone oppure articolare in più spazi uno stesso evento per un totaledi 9.000 persone24.

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ZONA EX CAPRONI 1

23 Iosa A. (a cura di) (1985), I quartieri della zona 13, Comune di Milano, Milano, p. 26.24 Cfr. www.eastendstudios.it

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ZONA EX CAPRONI 2

ZONA EX CAPRONI 3

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Come ci spiega la nostra guida, quando iniziamo a percorrere la zona degli excapannoni ristrutturati:

E poi c’è quello che noi chiamiamo il ‘mondo sommerso’, l’area Mecenate - exCaproni. Nell’area Mecenate c’era l’area Caproni. L’area Caproni c’era ai tempidi guerra. Tutta quest’area qui è vincolata [in quanto N.d.R.] strutture diarcheologia industriale. Silenziosamente si restaurano, si alzano e si ricopronodi mattoni rossi. Adesso abbiamo dentro un centro congressi, due centri regi-strazioni dove [c’è stato anche N.d.R.] Celentano, sono lì. Lì stanno venendofuori loft a tutto spiano. Questo è un mondo di cui nessuno parla, ma cresce.[…] Dieci anni fa era tutta roba che andava in degrado, al massimo era occu-pato da piccoli artigiani. Pian piano se ne sono andati e arrivano le immobilia-ri, mi dicono che addirittura ci sono dentro studi di architetti di fama interna-zionale, di quelli legati anche ai grandi concorsi, alle grandi opere di Milano.È interessante. Questo in Mecenate che è il centro del territorio.

Oltre agli East End Studios, ormai attivi, dalla parte dei numeri dispari di viaMecenate è previsto il progetto chiamato appunto ‘Mecenate 79’. Tale progetto, pre-sentato il 10 maggio 200525, è promosso da Unior spa, amministratore unico l’immo-biliarista Nicolò Fabris e dagli architetti dello Studio + Arch, quattro ex collaboratoridi Vittorio Gregotti (Francesco Fresa, Germàn Fuenmayor, Gino Garbellini, MonicaTricario) che hanno al loro attivo, tra l’altro, la vittoria del concorso per la ‘Città delleCulture’ all’ex fabbrica Ansaldo di via Borgognone (con David Chipperfield) e il nuovoquartiere generale milanese degli stilisti Dolce & Gabbana. Il progetto ‘Mecenate 79’è particolarmente ambizioso sia per la vastità dell’area – 36 mila metri quadrati – siaper il valore economico: 150 milioni di euro a lavori conclusi.

Gli elementi più vistosi del progetto di riqualificazione saranno tre torri di vetroche ospiteranno un albergo e tre residence.

Nei capannoni degli inizi del ‘900 con facciate a mattoni e tetto a sched, monu-menti di archeologia industriale, come il gigantesco hangar dove venivano assem-blati gli aeroplani, troveranno spazio negozi, centri commerciali, uffici e palestre.

Il nuovo quartiere sarà attraversato da una strada pedonale alberata e dotatodi parcheggi sotterranei. Il progetto è già stato approvato dal Comune, i lavoridureranno un triennio.

Nella passeggiata per il quartiere arrivati in questo luogo, ossia presso i vecchicapannoni della ex Caproni vediamo stand, nomi di studios, uno stile che ricorda unpo’ il Docklands di Londra, c’è uno spaccio della Kickers (scarpe), uno show roomdella Esprit ancora in allestimento (“sarà destinato alla vendita all’ingrosso” ma nonci dicono di più), ci sono automobili sportive e lussuose parcheggiate nei paraggi;guardando le finestre in alto si intravedono palme all’interno, stucchi sui soffitti

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25 Le informazioni sono tratte da: A. Besio, Decolla oggi Mecenate, il progetto di riqualificazioneche trasformerà le storiche officine Caproni in quartiere di servizi, in “La Repubblica”, 10.5.2005 e dalsito www.mecenate79.com.

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abbassati; leggendo i cartelli affissi veniamo a sapere che hanno qui sede: agenziefotografiche, di comunicazione, hi-tech, media, centro studi di cultura audiovisiva edigitale, officina dell’immagine, un pub in stile americano, con bellissimi quadri,tavolini alti, luci soffuse, finestre con arcate ristrutturate. Dappertutto si legge “pro-prietà privata”. Ci sono grate alle finestre, e in cima alle cancellate, ci sono punteacuminate. Si intravedono loft e un magazzino di giocattoli cinesi.

2.2 AREA EX MONTEDISON

Il progetto ‘Milano Santa Giulia’ noto anche come Montecity-Rogoredo è il piùvasto progetto di riqualificazione in atto a Milano. Esso è promosso daRisanamento S.p.A. – Gruppo Zunino26.

Il progetto architettonico è stato affidato a uno dei nomi più autorevoli dell’ar-chitettura contemporanea: Norman Foster, il cui studio, a Londra, ha già progetta-to il faraonico Parlamento tedesco a Berlino e il gigantesco aeroporto di Hong

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INGRESSO AREA MECENATE 79

26 Le informazioni sono tratte dai siti www.conosceremilano.it, www.comune.milano.it/urban_center,www.aim.milano.it. L’Urban Center del Comune di Milano e l’AIM – Associazione Interessi Metropolitani hanno,infatti, di recente attivato una serie di iniziative, pubblicizzate dai principali quotidiani, per far conoscere i cam-biamenti che interessano la città di Milano e i succitati siti contengono alcune informazioni a riguardo.

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Kong. Il disegno di massima è stato realizzato dagli architetti, coordinati da Foster,Paolo Caputo (professore del Politecnico di Milano) e Giovanni Carminati.

A partire dalla chiusura dello stabilimento Montedison e delle AcciaierieRedaelli (le attuali aree Montecity e Rogoredo) ci fu un susseguirsi di piani urbani-stici di riqualificazione del territorio che consideravano però interventi separatiper le due aree. Con l’accesso alla proprietà da parte di Zunino, le due aree ven-nero unificate e ripensate in modo unitario ed omogeneo, in particolare dopo l’ac-quisto della Nuova Immobiliare da parte della società Risanamento. Il 16 marzo2005 è stata stipulata la Convenzione per l’attuazione del Programma Integratod’Intervento del progetto tra il Comune di Milano e la Risanamento S.p.A. La sti-pula della Convenzione rappresenta il passaggio che dà il via alla realizzazione delprogetto, comprese le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, gli standardqualitativi e il Centro Congressi.

L’area di Milano Santa Giulia si estende su una superficie di 1.200.000 mq. Ancheper queste dimensioni si parla di una “città nella città”. Secondo quanto promes-so dai progettisti, l’area sarà perfettamente collegata con il centro cittadino e conl’esterno. È infatti servita dai principali assi che connettono la città con il territo-rio: la tangenziale Est, le Autostrade A1 e A4, la linea ferroviaria e la stazione diMilano Rogoredo (“stazione di porta” della linea dell’alta velocità), la fermataRogoredo della linea metropolitana MM3, la Strada Statale Paullese, lo scalo aero-portuale di Linate e quello dei voli privati dell’Ata. Milano Santa Giulia sarà unadelle “nuove porte” nel sistema del passante ferroviario.

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INGRESSO AREA MONTECITY-ROGOREDO

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All’interno del Parco di Santa Giulia le aree verdi saranno vaste e attrezzate, leautomobili seguiranno percorsi dedicati, i pedoni potranno usufruire di ampiearee a loro riservate. Foster ha progettato una promenade esclusivamente pedo-nale, lunga circa 600 metri, in cui si troveranno tutti i negozi e i servizi utili.

Sarà, quindi, “un quartiere evoluto e perfettamente servito” con le scuole, laChiesa, il servizio sanitario, il Centro Congressi, i Centri sportivi. Secondo le primestime, Milano Santa Giulia sarà un quartiere popolato da circa 50/60.000 cittadini.

Le funzioni urbane di Milano Santa Giulia previste sono:– Superficie totale area 1.200.000 mq– Centro Congressi 32.000 mq– Parco urbano 333.000 mq– Residenza 270.885 mq– Terziario 162.785 mq– Ricettivo 80.780 mq– Commercio 30.000 mq– Funzioni compatibili 70.450 mq– Asilo nido/scuola materna 1.500 mq– Chiesa 1.200 mq– Centro per disabili RSD 5.600 mq– Residenza temporanea “di affitto” (studenti universitari,

giovani coppie e lavoratori temporanei) 52.500 mq– Centro Civico 1.400 mq.

La ‘città ideale’, come viene chiamata Santa Giulia nelle pubblicità che stannoriempiendo Milano in questi mesi, ospiterà il quartier generale del gruppo televi-sivo di Sky. La decisione è stata presa il 16 marzo 2006. Sky ha così preferitoMontecity al comune di Sesto san Giovanni dove, in un’altra area dismessa - quel-la dell’ex Falck - si parlava di costituire il nuovo polo televisivo milanese.

Per quanto riguarda lo stato di avanzamento dei lavori di Santa Giulia, sia lanostra visita diretta del territorio dalla parte del Forlanini, sia un’intervista rivoltaad un operatore immobiliare incaricato della vendita di una parte dei futuri appar-tamenti, ci confermano che non è ancora chiaro in che misura essi siano effettiva-mente iniziati.

Secondo l’agente immobiliare interpellato, sono cominciati i lavori al livello diurbanizzazione primaria.

Vuol dire costruire strade, fognature... L’urbanizzazione secondaria invece sonogli accessori, quindi i pali per la luce…le strutture inizieranno agli inizi dell’an-no prossimo [2006 N.d.R.], dopo l’Epifania […] I lavori iniziano nel 2006 e fini-ranno all’inizio del 2008.

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Insieme ad un cittadino molto impegnato nel volontariato e profondo conosci-tore del quartiere, abbiamo tentato di entrare nella zona del cantiere, provenen-do dalla parte di viale Ungheria, ma alla cancellata d’ingresso due vigilantes cihanno impedito di entrare. La guardia ci ha anche ricordato che la proprietà pri-vata iniziava dal principio della via e che quindi non potevamo neanche stare lì aparlare dove eravamo, né fare foto.

La diffidenza pare sia giustificata, tra l’altro, dal fatto che, come ci ha detto unintervistato:

questo progetto è stato oggetto di forti polemiche ambientaliste, perché si erapartiti con il “facciamo” senza calcolare il discorso del territorio […] ora dico-no che la bonifica è stata fatta.

Questo discorso della bonifica, sia dei residui dell’attività chimica dellaMontedison, iniziata già dagli anni ’80, sia delle bombe lanciate durante la secon-da guerra mondiale sulla ex Caproni e sul vicino aeroporto, è accennata anche dal-l’agente immobiliare.

Bisogna partire dal fatto che quella è un’area soggetta nel periodo bellico abombardamenti, quindi a maggio abbiamo fatto lo sfollamento: io personal-mente sono stato sfollato perché hanno recuperato una bomba della SecondaGuerra Mondiale…quindi c’è quell’handicap lì che può continuare ad esserciperché continuando a scavare si può anche trovare […]. Tutta la zona 13 sorgenell’ex area Caproni, che non è altro che, facendo dei cenni storici, voluta eideata da Italo Balbo nel periodo del Fascio che aveva deciso all’incirca deglianni Venti di dotare l’Italia di una flotta aerea e aveva scelto la zona di Taliedoper creare varie società che costruivano aeroplani. Quindi durante il conflittobellico è stata un’area sempre soggetta a bombardamenti. Può capitare quin-di che nell’arco di due anni, nello scavare, se ne trovino delle altre…o di pic-cole o di grosse dimensioni.

2.3 IL CONTRATTO DI QUARTIERE II PONTE LAMBRO

• Premessa

I Contratti di Quartiere27 sono programmi innovativi in ambito urbano, finalizzatialla riqualificazione di quartieri urbani a prevalente presenza di edilizia residenzialepubblica, caratterizzati da degrado ambientale, scarsa coesione sociale, diffuso disa-gio abitativo ed occupazionale e carenza di servizi (vedi legge 23/12/1996, n. 662 –Legge 08/02/2001, n. 21 – DM 27/12/2001, n. 2522 – DM 30/12/2002).

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27 Le informazioni ai Contratti di Quartiere e a quello in particolare di Ponte Lambro sono tratte daisiti: www.comune.milano.it/periferie/index.html e www.alersistemamilano.it.

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Questi programmi, promossi con bando attuativo pubblicato il 13 ottobre 2003e finanziati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dalla RegioneLombardia per complessivi 240 milioni di euro, sono stati destinati a co-finanziareproposte di Contratti di Quartiere, elaborate dalle Amministrazioni Locali e com-prendenti interventi ed azioni di:

– riqualificazione, valorizzazione e incremento del patrimonio di edili-zia residenziale pubblica,

– sviluppo delle soluzioni costruttive innovative,

– incremento della funzionalità del contesto urbano;

– miglioramento della qualità delle abitazioni e del contesto urbano,

– dotazione e incremento di infrastrutture e servizi,

– sviluppo sociale,

– promozione della partecipazione e del coinvolgimento degli abitanti,

– promozione di progetti integrati per la risoluzione delle problemati-che sociali (Sviluppo del Piano di Accompagnamento Sociale qualestrumento per la promozione della partecipazione e del coinvolgi-mento degli abitanti).

I quartieri prescelti a Milano, a conclusione di un articolato percorso di valuta-zione e selezione sono risultati i seguenti: Gratosoglio, Mazzini, Molise, Calvairate,Ponte Lambro e San Siro.

Venendo al caso specifico di Ponte Lambro, gli edifici oggetto del Contratto diQuartiere sono quelli delle cosiddette “stecche” o “case bianche” (2 edifici linearidi 6 piani fuori terra). Esse sono il risultato della ripetizione di un unico sistemadistributivo che prevede al piano terra gli accessi ai vani scala e alle cantine: ciò hadeterminato la mancanza di servizi e negozi al livello di “fruizione della città”, conconseguente progressivo processo di degrado e abbandono degli spazi stessi.Pertanto, le esigenze del quartiere cui far fronte sono di due ordini sostanziali:riqualificazione edilizia e tecnologica e frazionamento delle unità abitative.

• Obiettivi / strategie del Contratto di Quartiere II Ponte Lambro

Nell’ambito del “Contratto di Quartiere II” Bando Regionale D.G.R. n.7/14845del 31/10/2003, cofinanziato dalla Regione Lombardia, ALER intende operare sulpatrimonio E.R.P. del Quartiere Ponte Lambro in via Ucelli di Nemi civ. 11 ¸ 36(Fabb. 1 via Ucelli di Nemi dal civ. 11 al 35 e Fabb. 2 via Ucelli di Nemi dal civ. 12 al36) attraverso due diverse tipologie d’intervento :

1. Intervento di Riqualificazione Edilizia Tecnologica sugli edifici di via Ucelli diNemi civ. 11¸ 36.

2. Intervento di frazionamento di alloggi negli edifici in via Ucelli di Nemiciv. 11¸ 36.

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La prima tipologia d’intervento riguarda la riqualificazione complessiva deglistabili attraverso un intervento di Manutenzione Straordinaria, adottando soluzio-ni progettuali tese ad assicurare la qualità del manufatto edilizio, una adeguataprogettazione ed utilizzazione degli spazi comuni, del servizio residenziale offer-to, del risparmio delle risorse energetiche.

La seconda tipologia riguarda invece il frazionamento di n. 22 unità abitativeesistenti di ampia metratura (circa 96 mq e 81 mq), utilizzati da nuclei familiari di1, 2 utenti o sfitti, in alloggi di taglio minore, rispondendo pertanto alle esigenzee richieste abitative del quartiere e all’obiettivo di valorizzare e incrementare ilpatrimonio di edilizia residenziale pubblica.

Alla progettazione delle nuove funzionalità e immagine del quartiere è statochiamato Renzo Piano, architetto italiano di fama internazionale.

Lo schema seguente indica gli interventi previsti dal progetto definitivo:

• Infrastrutture e servizi Ridefinizione mercato comunale Nuovo sistema spazi pubblici fra mercato comunale e centro civico

• Riqualificazione quartiere e rinnovo viabilità Riqualificazione Via Ucelli di Nemi Passaggi pedonali, connessioni

• Riqualificazione edilizia Valorizzazione e incremento patrimonio Riqualificazione impiantistica, energetica, architettonica (diversa articolazione delle superfici di facciata e introduzione del colore). Riqualificazione e riorganizzazione ambito urbano e piano terra (spazi esterni, nuova articolazione portico).Riqualificazione tecnologica, adeguamento funzionale e riorganizzazione degli spazi esterni dei due edifici (fabbricato 1 e 2) ALER per complessivi 220 alloggi.

I soggetti coinvolti sono: ALER, Comune di Milano, Regione Lombardia, altrisoggetti del privato-sociale.

Per quanto concerne l’ ambito economico rimangono confermate in fase di pro-gettazione definitiva (progetto definitivo approvato nel Comitato Tecnicodell’8/09/2005) gli importi di spesa deliberati nella seduta consigliare del 2/04/2004riferiti al precedente progetto preliminare. Il costo complessivo è stato stimato in11.101.360,27 euro.

La fine dei lavori è prevista per dicembre 2009.

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2.4 L’INSERIMENTO DELLA POPOLAZIONE IMMIGRATA

Tra gli scenari futuri da considerare c’è l’impatto che avrà l’inserimento dellanuova popolazione immigrata (questa volta straniera, non italiana), già comincia-to negli ultimi tempi e destinato con ogni probabilità a continuare nei prossimianni. Fino ad oggi l’insediamento è stato selettivo, con la capacità degli immigra-ti di sfruttare alcune nicchie presenti all’interno del quartiere.

2.5 L’IMPATTO DELLE NOVITÀ SUGLI ABITANTI

A questo punto ci si potrebbe chiedere quali sono gli atteggiamenti e le aspet-tative degli abitanti del quartiere di fronte a queste grandi trasformazioni chestanno cambiando la zona.

Dalle visite svolte in loco e dalle interviste effettuate possiamo dire che almomento, le persone più sensibili e informate, da un lato sono caratterizzate daun atteggiamento di attesa, di vedere “come va a finire”, dall’altro temono l’im-patto di questo stravolgimento nel caso in cui esso non venga condotto bene. Cisono poi alcuni abitanti, come nel caso di Ponte Lambro, che sono decisamentecontrari ai cambiamenti prospettati.

Atteggiamento di attesa

Invece qui nella zona abbiamo un’area dove una volta c’era lo stabilimentoMontedison che si chiama Montecity che sta lì di fronte nel quale c’è un pro-getto megagalattico di fare iper, super, più, abitazioni e naturalmente quellaroba lì non la puoi fare con i servizi che hai oggi dal punto di vista delle stra-de e della viabilità e quindi la dovrai attrezzare. […] C’è l’idea di prolungarela Paullese che quindi riverserà ulteriore traffico e in più questa Paullese finiràdalle parti di piazzale Cuoco o piazzale Bologna. Allora c’è da dire è come seio ho già un problema di acqua alta e in più faccio arrivare altri affluenti (exPresidente del Consiglio di Zona 13 nel periodo 1975-85).

Io sa, gliel’ho detto, a me la politica non piace, e non mi voglio immischiare inquelle cose.. è un gioco sporco la politica.. […] ma vede, gliel’ho detto, sentopuzza di marcio, perché c’è comunque la politica dentro…le opportunità cisono con questo laboratorio di quartiere, è da vedere però cosa poi realizze-ranno effettivamente.. io non ho tanta fiducia, ma vedremo... (ex operaioMontedison, ex cuoco dell’ospedale, ex presidente di associazione).

Camminiamo su una lama di rasoio perché adesso ci saranno i lavori, se inizie-ranno, per esempio se una scala iniziasse a diventare elegante e funzionantee diventasse un’attrazione per tutte le altre, facciamo fatica ma vediamo conconcretezza qual è il futuro che ci attende, ma se questi lavori al contrariodiventassero problematici, non fossero curati, si otterrebbe l’effetto contrario(operatore ecclesiale di Ponte Lambro)

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[Parlando a proposito di Santa Giulia N.d.R.] Quindi il rischio è che avrai unquartiere nuovo, giovani coppie di livello medio alto - perché secondo me que-sti quartieri hanno questa caratteristica - e sono quartieri dove l’accessibilità…Sì, c’è tutta la parte convenzionata delle cooperative, però non sono più abuon mercato (ex presidente Consiglio di Zona).

Io ho questo timore, non vorrei che si crei una zona dei ricchi e poi di fianco c’èviale Ungheria che è quella della periferia operaia, ormai anziana. Bisognalavorare anche lì, perché molte funzioni di Santa Giulia sono utili, forse ci vole-va un mix anche lì proprio per favorire anche l’interazione. Anche su Rogoredo:ha già subito una serie di trasformazioni, pian pianino si stanno integrandoperché il vecchio borgo, le case basse, che è un po’ il vecchio borgo legato allaRedaelli la vecchia ferriera, adesso c’è già questo blocco di case. Cioè, pian pia-nino anche grazie alla società sportiva, alla cooperativa. Però bisogna lavorarebene su queste cose qui se no rischi che ognuno come qua sta a casa sua, inve-ce queste iniziative qui il loro segreto non è solo riqualificare ma far convivere,mettere in relazione, far interagire i residenti nuovi e vecchi. Però bisogna stareattenti perché […] magari rischiano di scontrarsi. A parte quello che contesta-no quelli di Viale Ungheria è che i servizi previsti tutti di là, qui non è che c’ègià granché e comunque uno dovrà andare di là. Questo può essere positivoperò appunto il rischio è che si vada di là e di qua non venga nessuno. Questisono dettagli che bisognerà affrontare con calma, per la realizzazione ci saran-no sette o otto anni (ex presidente Consiglio di Zona 13).

Atteggiamento negativo

Quella zona […] è molto interessante perché qui creeranno una città dellacomunicazione, con gli studi televisivi. Ma questa città con il tessuto del quar-tiere cosa centra? […] Vedete lì i capannoni! Tutta l’area da qui fino ad arriva-re a Via Salomone, questa era tutta zona Caproni. Ora facciamo un giro den-tro per vedere come si sta trasformando quest’area: questi sono gli edifici sto-rici, e quello è il famoso palazzo che stanno costruendo con i loft: hanno man-tenuto il mattone rosso a vista […] C’è il vincolo dell’architettura però non socome siano riusciti a fare l’altezza comunque...questi sono tutti studi televisi-vi: c’è dentro RAI, Mediaset, sono delle società esterne...solo 10 anni fa questiedifici erano fortemente degradati, e in alcuni c’erano piccole carrozzerie, arti-giani, ora sono andati via tutti...[…] Sono costretti a ristrutturare, sventranotutto e dentro ci fanno di tutto, però fuori rimane come era, è bello eh? Credoche a Milano non ne siano rimaste di zone così... qui hanno fatto un grossopub.. dove evidentemente la sera... qui siamo legati un po’ al discorso dellemostre.., questi sono tutti studi; a me non piace questa cosa del silenzio, quinessuno sa niente, è giusto che il quartiere dica la sua, qui ad esempio manca-no parcheggi...[…] ripeto solo 10 anni fa si veniva qui a cercare l’artigiano, poisono arrivate le grandi società immobiliari e hanno acquistato tutto. Questo èil famoso palazzone dei congressi che hanno fatto. Gli edifici sono sopra, sonoi famosi loft, che sono enormi..; in realtà non c’è più un mattone di quelli vec-chi, sono rossi ma non sono quelli originali (volontario).

Secondo me non riusciranno a fare tutto quello che vogliono, ho sentito cheloro vogliono interrare la tangenziale e fare una strada che colleghi Mecenate

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a Ponte Lambro, e anziché andare sotto la tangenziale, passare sopra, sareb-bero costi esosi; per fare cosa? Per dare un’idea di inglobamento di PonteLambro (vigile di quartiere).

Ci si aspetta che venga fatto qualcosa, ma ho un po’ i miei dubbi. Manca tuttocome zona. Dovrebbe essere il sindaco ad intervenire, non lasciare tutta que-sta gente, fare una bella pulizia…[L’intervistatrice le chiede se ha sentito par-lare del progetto di riqualificazione di Ponte Lambro N.d.R.] Avevo sentitoqualcosa, ma chissà fra quanto…progetti ci sono ma i finanziamenti no, me loha detto una persona che lavora a Palazzo Marino. Passeranno chissà quantianni…non sarà una cosa facile (parrucchiera di Ponte Lambro).

Io sono quello che il forum l’ha difeso in tutte le salse, però non ha avutoun’importanza da tenere insieme le persone. Non risolve, ci voleva altro, piùpersone che lavorassero con le famiglie, contatto, capire i problemi. Non hasenso che mi scrivono e gli do una riposta. Io so che per quella persona checonosco quella risposta non è quella giusta. Io so già con chi ho che fare, è 40anni che son qua, è un paesino, le cose si sanno. E poi il primo impatto è chequesto progetto è caduto dall’alto, non puoi fare una cosa traumatica. Lagente aveva paura di essere spostata di forza. Bisogna entrare nella famigliaper capire se la risposta che ti ha dato è giusta si o no. [...] Poi hanno comin-ciato a contattarli uno a uno: è questo il lavoro da fare (presidente di coope-rativa, persona molto impegnata in quartiere).

Il Progetto Piano, secondo me, ha avuto... questa è la critica che faccio ioall’amministrazione, dove, forse, a parte Del Debbio tanti non ci credevano aquesta operazione, perché Piano la chiamava “omeopatica”, nel senso che sifaceva qualcosa di omeopatico, quindi non si interveniva con gli “antibiotici”ma si interveniva con qualcosa, perché secondo me ci voleva proprio una capa-cità di gestione di questo progetto che è stata portata avanti con fatica cioèalcune cose sono state fatte molto in ritardo […] però così com’è questa cosacalata così dall’alto, invece bisogna coinvolgere gli abitanti, e allora hannocominciato a fare il giro di incontri con gli abitanti poi finalmente si sono deci-si a mettere qualcuno qui che avesse un po’ il compito di tenere i rapporti,quindi i “laboratori di quartiere” (che è in via Ucelli di Nemi). Diciamo che èstata una cosa che forse se fosse partita sin dall’inizio così probabilmenteavrebbe funzionato meglio. Io non so se sarebbero già partite le cose, perchéc’era un problema non secondario, visto che prima abbiamo parlato di mobi-lità. Il progetto Del Debbio-Piano cosa prevedeva nella sostanza? Di cambiarel’utilizzo di 40 alloggi residenziali, il che significa spostare 40 nuclei familiari eallora, se tu sei convinto, allora queste cose qui, se la macchina è un po’ così,il risultato è che siamo ancora qui. Io adesso non so se sono riusciti a spostarlitutti, credo quasi. Perché il laboratorio prevede, io sono andato proprio gio-vedì scorso a vedere il progetto esecutivo, definitivo. Mi hanno fatto vedere ilplastichino e si prevedono tutta una serie di funzioni: i rapporti di quartiere,gli incubatori di impresa, lo spazio per i vigili, i mini-alloggi per gli anziani, lospazio per il no profit, sì però il requisito di base è che quei 40 spazi sianodisponibili, sennò come fai a fare i lavori? Quello che è mancato è la volontàin alcuni pezzi dell’amministrazione in queste cose qui […] Io ho notato que-sto: secondo me c’è ancora difficoltà, guardando un po’ le persone che vengo-

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no al laboratorio, sono ancora poche quelle che vengono dai quartieri (ex pre-sidente Consiglio di Zona 13).

Un gruppo, il nuovo comitato di Ponte Lambro è legato alla destra al poterecosì, anche politicamente, ha contestato questa impostazione, l’impostazionedel progetto e del laboratorio, e ha detto occorre che il problema di PonteLambro sia preso nella sua interezza e sia trasformato l’ambiente in modoradicale. Per cui questa trasformazione era soltanto un palliativo, era soltantouna mistificazione. Loro hanno in pratica ridisegnato la città, loro hanno pen-sato ad un disegno del quartiere molto più ampio, hanno coinvolto altri archi-tetti che hanno fatto progetti diversi […] certo credo che dalla polemica biso-gna passare alla collaborazione (operatore sociale).

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CAPITOLO 3

STRUTTURA URBANISTICAE CONDIZIONI ABITATIVE

Come abbiamo visto nelle parti precedenti il quartiere oggetto d’indagine ossiaForlanini-Taliedo-Ponte Lambro, pur avendo una sua unitarietà dovuta alla parti-colare conformazione geo-fisica (non a caso nella vecchia suddivisione amministra-tiva tale parte del territorio costituiva una particolare zona della città, la ex 13) ealla coincidenza con la ripartizione ecclesiale (decanato Unità Pastorale Forlanini)dal punto di vista urbanistico-residenziale, esso comprende quattro quartieri:Bonfadini-Taliedo, Forlanini-Monluè, Ponte Lambro e Zama-Salomone con carat-teristiche differenti.

In questa molteplicità di geografie, due sono gli insediamenti più critici.Il primo è costituito dalla famosa Trecca – che costituisce un punto nevralgico

nella vita dell’intera zona – che oggi risulta abitata quasi interamente da anzianisoli e da stranieri, il che rende le cosiddette ‘case bianche’28 di via Salomone (lotto64) un microcosmo a parte, separato dal contesto circostante, dove si concentranocasi di povertà estrema.

Il secondo Ponte Lambro, dove, a partire dal 1996-97, negli alloggi più fatiscenti delnucleo storico e nelle case popolari, hanno cominciato a giungere sempre più nume-rosi lavoratori stranieri attirati dai bassi prezzi degli alloggi in vendita e in affitto.

Questo ci pone nella necessità, nel corso del presente rapporto, di suddivideretalvolta la trattazione parlando della situazione del quartiere in generale e talvol-ta approfondendo queste due realtà separatamente.

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28 Si chiamano “bianche” anche queste case, come quelle di Ponte Lambro, (probabilmente per il colo-re delle facciate) anche se si tratta di nuclei di edilizia residenziale pubblica collocati in due punti benseparati del territorio.

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3.1 L’IMMAGINE DEL QUARTIERE

Nel parlare dell’oggi del quartiere di Forlanini-Taliedo-Ponte Lambro non si puòprescindere dall’immagine del quartiere. Il quartiere (e più in generale il temadelle periferie), come qualsiasi altro fenomeno sociale, oltre che da un punto divisto oggettivo – che fa riferimento a fattori quantificabili e osservabili dall’ester-no - può essere, infatti, analizzato a partire da un punto di vista soggettivo, quin-di considerando l’immagine che il soggetto si è formato. L’immagine del quartie-re è altrettanto importante quanto la sua struttura reale dal momento che costi-tuisce una precondizione dell’azione del soggetto, ne influenza gli orientamenti,le valutazioni, le decisioni29. Opinioni, atteggiamenti e stereotipi costituiscono,infatti, modi di esprimere le rappresentazioni sociali che individui e gruppi costrui-scono durante l’interazione. In pratica, il singolo soggetto costruisce insieme aglialtri l’immagine del quartiere e gli atteggiamenti che ne derivano.

3.2 L’IMMAGINE DEL QUARTIERE IMPOSTA DAI MASS-MEDIA

Importantissimo nella costruzione dell’immagine del quartiere è il ruolo svoltodai mass-media. La periferia viene quasi sempre stigmatizzata dalla stampa, dallanarrativa, dalla filmografia, dai mass-media in genere. La periferia viene descrittacome “l’altra città, in cui valgono più le assenze che le presenze, non sa ostentareservizi culturali o attrazioni di qualche genere, non sa vantare valori naturalistici oapprezzabili spazi pubblici; […] pare ovunque identica, […] vi manca sempre qual-cosa o meglio non presenta quasi nulla oltre a un persistente stato di degrado,traffici particolari, rifiuti in eccesso e violenza gratuita”30.

Con questo non si vuole dire che, effettivamente, le periferie non contenganotutte le problematicità, i disagi loro attribuiti o che questi ultimi siano solo unacostruzione dei mass-media, ma certo è che i quartieri periferici stanno cambian-do e di questo spesso i media più distratti e superficiali non si accorgono, ripropo-nendo sempre punti di vista, soprannomi (Bronx, Far West) e letture scontate, rian-dando a collegare nuovi episodi isolati con quelli molto più numerosi accadutianche vent’anni prima quando realmente le periferie milanesi erano sedi delleattività illegali della malavita organizzata.

Questo atteggiamento mostra tutta la sua criticità se si considera: 1. che rara-mente viene dato lo stesso spazio al nuovo volto del quartiere periferico, al con-

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29 Il riferimento è alla nozione di rappresentazione sociale di Moscovici. Cfr. Moscovici S. (1988), Le rap-presentazioni sociali, in Ugazio V. (a cura di), La costruzione della conoscenza, Il Mulino, Bologna.

30 Davico L., Boccazzi Varotto C., (2003), Il ruolo della stampa, in Mela A. (a cura di), La città ansioge-na, Liguori, Napoli, p. 215, citato in Zajczyk F., Borlini B., Memo F., Mugnano S., (2005), Milano. Quartieriperiferici tra incertezza e trasformazione, B. Mondatori, Milano, p. 65.

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trario si tacitano o si strumentalizzano le dichiarazioni di associazioni, partiti,movimenti d’opinione; 2. la grande responsabilità dei media nel creare e alimen-tare un clima di insicurezza e di paura. “Sono i media, infatti, che selezionano leinformazioni, scelgono le tecniche e gli strumenti narrativi più adeguati ad ampli-ficare o minimizzare i fatti”31 facendo sì che si verifichi “una sproporzione tra rea-zione sociale e forme di devianza e criminalità effettivamente presenti in quei luo-ghi”32.

Le persone più impegnate nel quartiere e con maggiore sensibilità sono moltoconsapevoli di questo rischio tant’è che nel corso del lavoro di ricerca nel quartie-re i testimoni privilegiati all’inizio di ogni colloquio si dicevano preoccupati perl’uso che avremmo fatto delle loro parole: troppe volte il quartiere è stato stigma-tizzato e questo “finisce per condizionare negativamente la vita del quartiere, equindi la vita delle persone che lo abitano”33.

Un intervistato, ex operaio Montedison ed ex presidente ACLI denuncia moltochiaramente il ruolo negativo della stampa.

In secondo luogo la colpa dei mali di Ponte Lambro è dei giornalisti [e qui siarrabbia particolarmente N.d.R.]: loro scrivono peste e corna del quartieresenza saperne niente.. , scrivono le porcherie più grosse, ma come vedi nonè vero, e io te lo posso assicurare... io lo conosco molto bene il quartiere..sono stato diversi anni presidente ACLI, sono stato dentro tutti i comitati diquartiere, e posso dirti che i problemi di Ponte Lambro sono quelli comuni,quelli che qualunque posto ha.. e questo ai giornalisti non interessa, loro sene fregano in realtà.

Il mio problema è questo, io temo che la questione non quaglia, ricerche nesono state fatte a bizzeffe. Molte persone non si sciolgono, non si aprono, c’èmolta diffidenza. C’è un po’ di disattenzione degli osservatori e degli intervi-statori che mettono ricerche in campo. […] Va spiegato che comunque questaricerca non produrrà nessun articolo su giornali, e non bisogna promettere dirisolvere problemi (operatore sociale).

Perché poi succede questo, che un quartiere dopo che ha preso la nomea èdura, dopo tutti quanti diventano delinquenti, invece io e lui [indica il parro-co] che lavora qui da tanti anni può testimoniare che mica sono tutti delin-quenti o gente cattiva […] (ex presidente Consiglio di Zona 13).

Si rischiava la vita. Qui eravamo sulla bocca di tutta Italia. Erano venuti deigiornalisti da Roma e da Bologna (presidente di cooperativa, persona moltoimpegnata in quartiere).

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31 Zajczyk F., Borlini B., Memo F., Mugnano S., (2005), Milano. Quartieri periferici tra incertezza e tra-sformazione, B. Mondatori, Milano, p. 66.

32 Ibid.33 Ibid., p. 67.

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Viene espresso, inoltre, il timore che un’unica parte in cui può essere circoscrit-to il fenomeno criminoso possa discreditare l’intera zona che, come abbiamo visto,è invece costituita da sotto quartieri molto vari e differenti tra di loro. Infatti,come constatato in altre periferie, i “residenti circoscrivono spesso il fenomeno cri-minoso a una zona particolare, come singole scale, numeri civici, parti di isolati”34.

Il nostro problema è di non essere confusi con Ponte Lambro e viceversa. Vifaccio un esempio: non so se avete presente i due ragazzi che il 19 maggio2005, durante un tentativo di rapina ad un distributore di benzina sono statigravemente ustionati dal gestore perché questi, essendosi spaventato nelvedere l’arma, ha deviato il getto della benzina verso i due? Ebbene, i dueragazzi erano di un’altra parte dell’ex zona 13, ma i giornalisti hanno scritto‘Ponte Lambro’ (operatore sociale).

Non è detto che Ponte Lambro è brutto. Ai giornalisti ho detto che qui uno siinnamora del posto, perché siamo tutti una famiglia, ci si chiama per nome.Anche per la parte diciamo più disagiata (…) Bisogna un attimo distinguere,se no si squalificano tutti, se succede una cosa si punta subito il dito (presiden-te di cooperativa, persona molto impegnata in quartiere).

[Il nome di Ponte Lambro pesa sull’acquisto della casa? N. d. R.] Un pochinopesa, per colpa dei giornalisti, hanno rovinato Ponte Lambro (amministratoree venditore di immobili a Ponte Lambro).

3.2.1 Rassegna stampa sul quartiere Forlanini-Taliedo-Ponte Lambro tratta dal Corriere della Sera – Cronaca Milano nel periodo 1.7.2005-30.3.2006

Per valutare l’impatto della stampa sul quartiere, abbiamo realizzato una rasse-gna nel periodo in cui svolgevamo le visite etnografiche, ossia da luglio 2005 amarzo 2006 (eccettuato il mese di agosto). Il quotidiano scelto è stato quello piùdiffuso a Milano, ossia il Corriere della Sera, nello specifico l’inserto dedicato alcapoluogo, denominato “Cronaca di Milano”.

I principali risultati emersi da questa analisi sono i seguenti.Innanzitutto, dal punto di vista prettamente quantitativo, in 243 giorni dispo-

nibili, 54 articoli sono stati dedicati a qualche fatto, evento, notizia che riguardas-se la ex zona 13 Forlanini-Taliedo- Ponte Lambro.

Dal punto di vista qualitativo, esaminando il contenuto degli articoli emergeche su 54 articoli, 24 esprimono una rappresentazione negativa del quartiere, 11ne offrono una lettura positiva, 4 sono neutri nel senso che si limitano a fornireun’informazione per lo più di servizio (es. “Marciapiedi più piccoli in quattro

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34 Zajczyk F., Borlini B., Memo F., Mugnano S., (2005), Milano. Quartieri periferici tra incertezza e tra-sformazione, B. Mondatori, Milano, p. 67.

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nuove strade”) e ben 15 sono dedicati al nuovo quartiere di Santa Giulia che sor-gerà nel territorio di Rogoredo-Montecity. In realtà, gli articoli dedicati a descrive-re il futuro quartiere di Santa Giulia con un’unica eccezione35, potrebbero essereinseriti nel numero dei pezzi in cui si esprime un apprezzamento positivo del quar-tiere, perché si dilungano a sottolineare l’eccellenza del nuovo insediamento resi-denziale, del parco, di come questa iniziativa vada collocata nel rilancio della cittànel suo complesso, ecc.

Abbiamo, tuttavia, deciso di considerarli a parte perché è vero che parlano delfuturo progetto che interesserà il quartiere, ma in essi quasi mai viene esplicitatoil legame con i quartieri pre-esistenti; al contrario si parla di Santa GiuliaMontecity-Rogoredo come se si trattasse già di una nuova zona, separata e connessun legame con quelle attualmente riconosciute dal Comune di Milano, per cuil’immagine di Forlanini-Taliedo-Ponte Lambro non ne risulta toccata, né in positi-vo né in negativo.

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35 Cfr. articolo del 22.09.2006 “Grandi progetti: quando la scelta è solo economica” in cui EmanueleFiano, capogruppo DS in Comune, esprime il rammarico che opere di interesse pubblico, come il cen-tro congressi che sorgerà a Montecity-Rogoredo, non siano oggetto di concorsi di architettura pub-blici, ma siano stati incaricati direttamente dalla proprietà. “Insomma, ha prevalso a Milano in questianni la forza dei capitali investiti sulla qualità dei progetti, sull’indirizzo pubblico e sul coinvolgimen-to delle energie creative.”

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CAPITOLO 4

STRUTTURA DELLA POPOLAZIONEE SOCIALITA’ INTERNA

4.1 ALCUNI INDICATORI STATISTICI

4.1.1 La popolazione

Secondo i dati dell’ultimo censimento 200136, la ex zona 13 Forlanini-Taliedo-PonteLambro conta 22.809 abitanti. Rispetto al 1991 ne ha persi 2.890 pari all’11,2%. Inquesti dieci anni sono aumentati gli anziani di 60-74 anni (+9,7%) e soprattutto i“grandi anziani” con più di 75 anni (+54,1%). Sono, invece, calati drasticamente gliadolescenti (-51,6%), i giovani (20-39 anni: -17,8%) e gli adulti (40-59 anni: -31,2%).Si segnala comunque una ripresa della fascia d’età 0-4 anni (+17,7%) contributo, pro-babilmente, dovuto soprattutto alle famiglie extra-comunitarie.

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36 Cfr. Tutti i dati riportati, dove non diversamente indicato, sono tratti da questa fonte: SICE - Comunedi Milano. Settore Statistica. Servizio Studi, anno 2001, in www. statistica.milano.comune.it.

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Confrontando, invece, la popolazione della zona Forlanini-Taliedo-PonteLambro con quella della città di Milano nel complesso, si nota che la popolazionedei quartieri oggetto d’indagine è un po’ più vecchia di quella milanese nel com-plesso: infatti, registra una quota minore di giovani e giovani adulti (-6,7%) e, vice-versa, una maggiore di ultrasessantenni (+6,8%).

Ponte Lambro fa eccezione. Infatti, se si prendono i dati elaborati ad hoc 37 siha che l’andamento della popolazione è in controtendenza rispetto alla città:essa è, infatti, passata dai 3.640 abitanti del 1991 ai 3.807 del 2002 registrandoin tal modo un aumento del 4,6%, mentre a Milano la popolazione è diminuitadel 5,1%. Infine, se si confronta la distribuzione della popolazione rispettoall’età, si nota come a Ponte Lambro il 22% degli abitanti abbia meno divent’anni, mentre nella città, tale quota non supera il 14%.

Se si esamina la popolazione della ex zona 13 rispetto al sesso e all’età, sinota che fino ai 59 anni c’è una situazione di quasi parità tra maschi e femmi-ne - anche se si segnala una maggioranza di giovani uomini nella fascia d’età20-39 anni (M 53,6%, F 46,4%) - dopodiché le donne sono sia in valore assolu-to che in percentuale più numerose degli uomini sia nella fascia d’età 60-74anni dove abbiamo 3.305 donne contro 2.479 uomini (42,9% F contro 57,1%M) sia in quella degli ultra 75 enni: 1.712 signore contro 941 coetanei (64,5%contro 35,5%).

Lo stato civile degli abitanti di Forlanini-Taliedo-Ponte Lambro più diffuso èquello di coniugato/a (47,7%), seguono i celibi/nubili (35,9%), i vedovi/e (11,5%) e

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37 Rispetto a Ponte Lambro disponiamo di elaborazioni approntate ad hoc dall’Anagrafe e presenta-te in: Comune di Milano-Politecnico di Milano (a cura di) (2004), Muovere Ponte Lambro.

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in uguale percentuale i divorziati/e (2,1%) e i separati/e legalmente (2,1%).Rispetto al genere, le vedove sono molto più numerose (18,8%) degli uomini chesi trovano nella stessa condizione (3,4%). Probabilmente quest’ultima informazio-ne è uno dei motivi che spiegano il dato in base al quale la percentuale di fami-glie unipersonali sul totale delle famiglie con capo-famiglia femmina è pari al61,1%, mentre il dato corrispondente con capo-famiglia maschio è pari al 15,7%.

La speranza di vita alla nascita38 è 76,9, valore leggermente più basso di quellocalcolato per il Comune di Milano nel complesso che è pari a 78,2. Viceversa, iltasso di mortalità39 è più alto: 13,5 nella ex zona 13 e 10,2 nel Comune di Milano.

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38 Speranza di vita alla nascita= media aritmetica ponderata delle età delle persone residenti decedu-te nel 2004. Fonte: Comune di Milano. Settore Statistica - Servizio Statistiche Sociali.

39 Tasso di mortalità = (morti/pop media)*1000. Popolazione media 2003/2004. Fonte: Comune diMilano. Settore Statistica - Servizio Statistiche Sociali.

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4.1.2 Gli immigrati

Secondo l’ultimo censimento 2001 gli stranieri residenti nella ex zona 13 sono1.233 ossia il 5,4 % della popolazione complessiva. Si tratta un’incidenza maggiorerispetto al dato registrato nello stesso periodo in provincia di Milano (4,5%) e inLombardia (3,4%),40 ma inferiore a quello calcolato nell’intera città di Milano(7,4%)41. I primi 5 paesi di provenienza degli stranieri sono: Egitto (18,2%), Perù(11,4%), Filippine (11,1%), Ecuador (7,8%), Marocco (7,5%) e Romania (4,5%). Se siesamina la distribuzione degli stranieri per età, si evidenzia che si tratta di una popo-lazione giovane: il 16,2% ha 0-9anni, il 9,7% appartiene alla fascia 10-17, il 19,5% aquella 18-29. La maggioranza si concentra nella fascia attiva (30-59 anni): 52%, men-tre gli anziani raggiungono solo il 2,6%. Se si confrontano questi dati con quelli del-l’intera città si ha che nella zona di Forlanini-Taliedo-Ponte Lambro si ha una popo-lazione straniera più giovane: a Milano, infatti, i bambini figli di immigrati di 0-9anni raggiungono il 13%, viceversa gli anziani over 60 sono il doppio (5%).

Anche a proposito della popolazione straniera Ponte Lambro sembra distin-guersi: secondo le elaborazioni ad hoc, su 3.807 abitanti, ben 687 sono stranieri,pari al 18%42.

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40 Caritas-Migrantes (2002), XIII Dossier Statistico Immigrazione, Nuova Anterem, p. 456.41 Ns. elaborazioni dati SICE. Comune di Milano. Settore Statistica. Servizio Studi, anno 2001, in

www.comune.milano.it.42 Comune di Milano-Politecnico di Milano (a cura di) (2004), Muovere Ponte Lambro, p. 28.

PONTE LAMBRO: DONNE IMMIGRATE ALLA FERMATA DELL’AUTOBUS

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In conclusione, i dati sulla popolazione straniera ci dicono che gli stranieri stan-no diventando una parte sempre più rilevante della popolazione, anche se per ilmomento non si può parlare di un’invasione, ma semmai di un graduale inseri-mento (con eccezione di Ponte Lambro). Certamente, come avviene in altre peri-ferie di Milano, molti stranieri regolari si stanno trasferendo in zona sia perché icosti delle abitazioni (in acquisto e in affitto) sono inferiori rispetto ai quartieri piùcentrali della città, sia perché un numero sempre maggiore di immigrati si vedeassegnare la casa popolare in questo quartiere, a volte rifiutato dagli italiani, comesuggeriscono le seguenti interviste.

Comincia ad esserci una presenza ma una presenza di stranieri integrati, chehanno una professione, che possono comprarsi una casa, mentre invece lo stra-niero che ha bisogno di una casa in affitto, i polmoni di edilizia pubblica sonoSalomone e Ponte Lambro e una minima parte di Ungheria (volontario).

Io vedo due tipi di presenza: quella legata un po’ alle persone che sono venu-te ad abitare, vuoi l’assegnazione alloggi, ecc.. Probabilmente fino ancoraalcuni anni fa succedeva che, quando una famiglia in graduatoria gli propone-vano Ponte Lambro scattava la rinuncia, quindi fino a un po’ di anni fa gli uniciche accettavano magari erano nuclei stranieri (eritrei ..) (ex presidenteConsiglio di Zona 13).

I dati riportati sono relativi solamente ai residenti iscritti in anagrafe, ma non sisa nulla di preciso sugli irregolari.

Un contributo in questo senso ci può venire dai due Centri di ascolto dellaCaritas Ambrosiana presenti in zona. Si tratta del Centro di Ascolto S. Galdino divia Salomone e quello di viale Ungheria. Rimandando ai prossimi paragrafi unalettura più approfondita dei dati raccolti da questi centri, a proposito delle perso-ne straniere che si sono rivolte nel corso dell’ultimo anno ai suddetti centri, sap-piamo che su un totale di 172 utenti, 127 sono stranieri, pari al 73,8%. Di questi127, 96 sono regolari, nel senso che hanno o il permesso o la carta di soggiorno,mentre 26 sono irregolari (il 21,3%43).

Gli intervistati sollecitati a parlare di immigrazione, tendono a distinguere ilfenomeno in due gruppi: il primo è formato dagli stranieri regolari, con un lavo-ro, che abitano in famiglia in alloggi assegnati dal Comune, i loro figli sono beninseriti a scuola e addirittura in parrocchia benché musulmani: questi non fannoproblema e nei loro confronti non c’è alcuna ostilità o diffidenza; il secondo, inve-ce, è costituito dagli stranieri irregolari, clandestini o comunque privi del permes-so di soggiorno, maschi single che disturbano la quiete notturna in prossimità deiphone center in occasione di feste rumorose (i sudamericani), che si ubriacano, che

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43 Questa percentuale è al netto dei dati mancanti, in quanto è disponibile l’informazione relativa aldocumento di soggiorno solo su 122 persone, non su tutti i 127 stranieri. Fonte: Caritas Ambrosiana(2006), Osservatorio delle povertà e delle risorse, Milano.

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danno fastidio alle ragazzine italiane, che spacciano (gli albanesi e i marocchini),che occupano abitazioni fatiscenti privi di servizi attingendo acqua alla fontanellapubblica (i rumeni).

[C’è] un discorso di stranieri, però di stranieri che hanno un lavoro quindi….Però è minimo per me il problema stranieri (operatrice scolastica).

Quindi c’è questo gruppo di nuclei familiari che sono quelli che abitano e chetutto sommato hanno un certo livello di integrazione, nel senso che andandoa scuola, cioè sono in relazione un po’ coi servizi, insomma, c’è un gruppo unpo’ esterno che, invece, è un po’ comune in tutta la città e che è quello cheanche qui, come in tante zone della città, hanno aperto questi benedettiphone center che diventano luoghi, per una serie di ragioni, che richiamanotanta gente, che quindi, dentro nel numero, può avere anche persone che nonsono proprio dei modelli di comportamento e quindi queste situazioni sonopoi quelle che poi determinano magari problemi di disagio, nel senso che quiin via degli Umiliati molti problemi sono sollevati dalla presenza di moltiphone center. Un sacco di persone che arrivano, arriva di tutto, rimane apertofino a tardi, fino alle dieci, magari oltre e questi creano dei problemi. Poi inalcuni casi siccome nella vecchia Ponte Lambro c’è anche qualche stabile fati-scente, qualche roggia, in alcuni casi ci sono state anche delle occupazioni poimagari la polizia negli ultimi anni è anche intervenuta però. Tutti fenomenigenerati dal fatto che arrivava questa presenza in quartiere perchè c’eranoquesti...Queste cose qui accadono anche in piazza Machiachini, in via Padova,non accadono solo qui (ex presidente Consiglio di Zona 13).

Alla domanda dell’intervistatore sulle eventuali difficoltà di fronte agli immi-grati, una signora anziana di via Salomone risponde nel seguente modo:

Nessuna, io per esempio ho parlato con una signora per un bambino, bastache si capisce quando si parla per me va bene istess [lo stesso N.d.R.], per metutto il mondo è paese. Io rispetto loro e loro rispettano me.

[Domanda: degli immigrati cosa ci dite?] Ce n’è uno lì nella scala dove abito io ma è gente tranquilla, è brava gente,penso che sia un filippino, quella che vive in questa zona è tutta brava gente.Io ne vedo due che vengono sempre a fare pulizia, sono extracomunitari peròè brava gente (due anziani del Centro ricreativo di via Zante).

Io percepisco che l’immigrazione di queste persone ha delle chance di produt-tività notevoli, queste persone che nella prima fascia che si stabiliscono, cheriescono anche a superare un po’ le difficoltà di impatto, nel lavoro in modostabile, sono persone capaci, che hanno dei figli che hanno certamente deinumeri. […] Quindi io vedo che è una chance in più l’oratorio, i miei ragazziextra comunitari che sono presenti sono quelli a cui mi affido di più, perfinonel discorso religioso, quasi. [Uno di loro mi ha detto]: “io vengo da lei perimparare a pregare” (operatore parrocchiale).

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Tuttavia, se ancora non esiste una questione immigrati, ci sono delle avvisaglieche questo potrebbe diventare un nuovo problema, una nuova spaccatura tra vec-chi e nuovi abitanti. Il problema è avvertito soprattutto dalle persone più disagia-te, che di fronte a una carenza generale di risorse sentono gli immigrati comefuturi concorrenti, come emerge chiaramente dalla dichiarazione di una signoraitaliana che occupa abusivamente un appartamento.

Si, si, io non sono razzista, ti ci fanno diventare gli altri razzista, quando io hooccupato qui è venuto fuori il signore dell’ALER, gli ho chiesto come maihanno dato la casa ad una signora egiziana prima che a mia sorella, e lui miha risposto che loro hanno precedenza, allora rispondendoti così ti ci fannodiventare razzista, o no?.

Il timore, anche tra le persone più aperte e impegnate socialmente è che, nel-l’assegnazione delle case popolari, non si rispetti un criterio di inserimento gra-duale, ma si ecceda nel numero di abitazioni assegnate agli stranieri. Questo pro-blema è analogo a quello che, cambiando ambito, si manifesta nelle scuole quan-do la percentuale di alunni stranieri inseriti supera quello degli italiani: questodetermina una situazione per cui anche istituti e docenti favorevoli all’integrazio-ne e ben attrezzati didatticamente alla lunga rischiano il burn out.

Nei vari incontri io ho dettoche non vorrei che a PonteLambro l’80 % delle case fossedato agli stranieri così si ripro-pongono le dinamiche…Allora sto lavorando..[…] Nonbisogna confondere l’extraco-munitario che spaccia conquello che lavora: quasi tutti inegozi sono di extra comuni-tari (presidente di cooperati-va, persona molto impegnatain quartiere).

Inoltre, quello che dà fastidioè l’occupazione abusiva, noncontrollata e regolamentata, distabili fatiscenti.

Di notte qui c’è un via-vai ditutto … questa gente che arri-va all’ultimo momento e siaccampa dove capita, lì c’è ilbuco dal quale sono entrati, edentro c’è di tutto, immagino,

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CASA FATISCENTE OCCUPATA DA EXTRACOMUNITARI

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qui è pericoloso per le malattie.. questa via era tranquilla, è zona di campagna,lì c’è il Lambro che a volte esonda nonostante l’argine alto (operatrice sociale).

Infine, si segnala l’atteggiamento di fastidio provato da alcuni adolescenti egiovani nei confronti dei coetanei stranieri, vissuti come un nuovo problema per ilquartiere. A volte si ha l’impressione che si cerchi un capro espiatorio per gli ende-mici problemi di disoccupazione e esclusione.

Gli stranieri qui ti rompono: Hei, bella ragazzina! […] Io non sono razzista, peròse devono stare qui e dare fastidio alle ragazzine o fare tornare il quartierecom’era prima, allora che tornino a casa loro.. (un’adolescente di Ponte Lambro).

Pochissimi [stranieri frequentano il Centro Giovani - N.d.R.], perché per vecchiestorie non possono entrare: tipo tre anni fa c’è stata una disputa per delleragazze. Ragazze italiane si sono messe con ragazzi stranieri e c’è stato undiscorso dei ragazzi del tipo “questo è il nostro territorio, questo è il vostro…”però hanno degli atteggiamenti diversi: loro [i ragazzi italiani – N.d.R.] cono-scono ragazzi stranieri e ci parlano, però poi ti fanno discorsi razzisti. E alloragli chiediamo “ma perché con lui parli?” [e rispondono – N.d. R.] “perché luilo conosco”: la loro spiegazione è questa. È una cosa che si sente molto in que-sta fascia d’età. Ma per i ragazzini delle medie e delle elementari è già diver-so perché nelle classi la loro presenza è già più radicata e quindi è molto piùsemplice l’integrazione. È questa fascia d’età la più problematica. […] Moltilavorano, molti, come i ragazzi italiani, purtroppo no. E molti abitanti, anchepiù grandi dicono: “da quando sono arrivati è ricambiato tutto” (educatrice).

Tale atteggiamento non ancora di razzismo, ma di sicuro pregiudizio nei con-fronti degli immigrati, è stato manifestato anche dai ragazzi del Forlanini, comeemerge dai risultati di una ricerca condotta su una scuola media, un CFP, un CAGe due società sportive della zona. Infatti, in una sezione del questionario rivolto ai140 ragazzi del campione per valutare l’interesse per il proprio ambiente e cono-scere le loro idee per migliorarlo, ben il 20% ha risposto che avrebbe tolto gliextracomunitari. E’ significativo l’accostamento con le altre “cose da togliere”:droga (30%), malavita (22%), sporcizia (18%). Un 10%, invece, ha risposto che nonsaprebbe cosa eliminare44.

4.1.3 La scuola e gli adolescenti

Le principali scuole presenti nella ex zona 13 sono, a livello dell’obbligo, i dueIstituti Comprensivi45 Francesco d’Assisi di via Dalmazia e Madre Teresa di Calcutta

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44 Tale ricerca è descritta in: Simonsini C.I. (2006), Metodologie di recupero e intervento sul disagio gio-vanile attraverso attività ricreative organizzate, Tesi di laurea dell’Università degli Studi di Milano. Facoltàdi Scienze Motorie, a.a. 2004-05.

45 Gli Istituti Comprensivi uniscono in un unico percorso formativo i plessi di scuola elementare e quel-li di scuola media.

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di Largo Guerrieri Gonzaga e a livello di scuola secondaria, l’Istituto Professionaleper i Servizi Commerciali Oriani-Mazzini di via Zante.

Secondo i dati del Centro Servizi Amministrativi (CSA), ossia l’ex Provveditoratodegli Studi, aggiornati all’anno scolastico 2005-200646, l’Istituto ComprensivoFrancesco d’Assisi è frequentato da 541 alunni distribuiti su 27 classi, di cui 19 pres-so le scuole elementari e 8 presso la scuola secondaria di primo grado. Sono pre-senti 22 alunni disabili. Gli alunni stranieri iscritti sono 58 (39 alle scuole elemen-tari e 19 alle medie) con un’incidenza sulla popolazione scolastica complessiva parial 10,7% e provengono soprattutto dall’America Latina (17 unità El Salvador,Ecuador e Venezuela), dall’Africa (16 Egitto, Marocco, Etiopia), ma anche dall’Asia(11 Filippine, Cina, Sri Lanka, Pakistan e Iran) e dall’Europa Centro Orientale (7Russia, Albania, Romania e Lettonia), nonché dai paesi a sviluppo avanzato (7Belgio, Svizzera, Australia).

All’Istituto Madre Teresa di Calcutta, gli studenti iscritti sono 642 distribuiti su35 classi (24 nelle scuole elementari e 11 alle medie). Gli alunni disabili sono 43. Siregistra un’alta incidenza di alunni stranieri (29,7%) rispetto alla popolazione sco-lastica complessiva, in quanto risultano iscritti 191 immigrati (126 alle scuole ele-mentari e 65 alla scuola media). Si tratta di un’incidenza notevole sia nei confron-ti dell’altra scuola in zona, sia nei confronti dell’incidenza di alunni stranieri sultotale studenti del comune di Milano, pari al 16,2%47.

Le principali aree di provenienza degli alunni stranieri sono: Africa (46,6%),America Latina (33%), Asia (12%) e Europa Centro Orientale (7,9%). I primi cinquepaesi di provenienza sono: Egitto (44 unità), Marocco (29), Ecuador (23), Perù (22)e Filippine (16). Si segnalano anche El Salvador (7) e la Romania (7).

I minori rom che abitano nel campo nomadi di via Bonfadini (tot: 42) e in viaSalomone (1), frequentano l’IC Francesco d’Assisi (9), l’ICS Madre Teresa di Calcutta(8) e l’IC Grossi, una scuola collocata fuori zona, oltre il rilevato ferroviario (26)48.

L’Istituto Professionale per i Servizi Commerciali Oriani-Mazzini ha 1.305 iscrittie 57 classi. I disabili sono 103.

Infine, per concludere la parte statistica sulla scuola nel quartiere Forlanini-Taliedo-Ponte Lambro, la distribuzione dei titoli di studio sulla popolazione resi-dente, secondo l’ultimo Censimento 2001, è la seguente: il 7,3% non ha comple-tato le scuole elementari (e sono soprattutto gli anziani ultrasessantenni), il 24,9%ha la licenza di scuola elementare, 32,8% la licenza di scuola media o di avviamen-to professionale, il 27,5% il diploma di scuola secondaria superiore (soprattutto di

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46 Cfr. http://www.milano.istruzione.lombardia.it47 Gli ultimi dati disponibili, relativi agli alunni delle scuole dell’obbligo del Comune di Milano, sono

quelli dell’a.s. 2004-05. Gli stranieri registrati dal Comune di Milano in tale anno sono 13.379 su 82.626alunni nel complesso. Cfr. Comune di Milano. Settore Statistica (2006), in www.comune.it.

48 Centro Servizi Amministrativi Milano (2005), Minori nomadi nelle scuole di Milano e provincia,Milano.

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istituto tecnico: 12,8%), il 6,3% la laurea49. Confrontando questi dati con quelli delComune di Milano si osserva che nel capoluogo si registra quasi la stessa percen-tuale di cittadini privi di titolo di istruzione (6,2%), una minore percentuale di per-sone che hanno ottenuto al massimo la licenza elementare (17,6%), una minorequota di chi si è fermato dopo la licenza di scuola media o di avviamento profes-sionale (27,8%), una maggiore quantità di persone che hanno conseguito il diplo-ma di scuola secondaria superiore (31,5%) e più del doppio di coloro che hannoconseguito una laurea (15%). In conclusione, la ex zona 13 mostra un livello diistruzione inferiore a quello dell’intera città.

Dopo aver affrontato la questione scolastica dal punto di vista quantitativo estatistico, si ritiene utile soffermarsi sugli aspetti qualitativi ossia sulle principaliproblematiche riguardanti gli alunni/studenti e, quindi, gli adolescenti in genera-le. Esse sono emerse dalle interviste effettuate alle diverse figure educative: ope-ratori scolastici, religiosi, educatori, volontari.

Famiglia d’origine

Innanzitutto, un buon numero di ragazzi incontra difficoltà dovute soprattuttoalla famiglia d’origine. Sono famiglie che abitano per lo più nelle case popolari eche hanno un basso livello economico, sociale e culturale; sono famiglie che hannoun elevato numero di figli, sono disgregate, hanno problemi di disoccupazione odi legalità, qualche volta occupano abusivamente gli appartamenti; in generale,hanno modelli educativi o inesistenti (spesso la microcriminalità dei figli viene tol-lerata e i figli non ricevono in merito nessun insegnamento) o antiquati (le figliefemmine vengono cresciute in maniera diversa dei fratelli e con aspettative diver-se) o aggressivi.

Il problema grosso è che questi fanciulli dal punto di vista educativo sono unpochino abbandonati a se stessi (operatrice scolastica).

[Le loro famiglie N.d.R.] sono peggio di loro, perché il vero problema è la fami-glia, ma le mamme a volte non ce la fanno a stargli dietro perché hanno tantifigli, tante cose da fare, i padri spesso sono assenti e quando ci sono l’unicasoluzione che conoscono sono le botte (educatrice).

Questi genitori nei confronti della scuola e degli educatori in genere hanno unatteggiamento opposto: o sono molto protettivi, molto giustificativi nei confrontidei figli o delegano completamente la scuola, l’oratorio, il centro di aggregazio-ne, ecc.

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49 Il totale non dà 100 perché i dati non comprendono tutti i diplomi di scuola secondaria superiore eperché sono stati trascurati titoli scarsamente presenti, come i diplomi universitari.

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Ci sono diversi tipi di famiglie: da quella di tipo tradizionale, separati(parecchi), molte deleghe ai nonni a volte per motivi di lavoro, altre volteper difficoltà di tipo educativo delle giovani coppie; deleghe da una partee atteggiamenti molto protettivi dall’altra per cui noi abbiamo fenomeni discontri tra ragazzini della scuola media, scontri tra di loro, in cui spesso ilgenitore chiedeva: ma l’altro cos’ha fatto? Nel senso di atteggiamentimolto protettivi, molto giustificativi, inaccettabili (operatrice scolastica 2).

Uno abitava alla Trecca e aveva il padre uscito dal carcere, era stato in car-cere quando lui era piccolo e il fratello anche, quindi è una famiglia in cui ilmodello maschile è di questo tipo; la madre con le figlie femmine, è unamadre che ha avuto due mariti, uno beveva e la picchiava; questo è un uomo- 12 anni più giovane di lei - una famiglia comunque un po’ particolare (ope-ratrice scolastica).

Io vedo già con i bambini fuori da scuola, sono bambini di 7 anni, ma chenon hanno più le famiglie dietro, io lo vedo con la famiglia: lo stesso com-portamento che hanno in casa ce lo hanno fuori. In casa la famiglia non c’èpiù... vuoi perché composta da elementi che non sono stati eccelsi prima equindi non possono diventarlo poi, come puoi insegnare qualcosa di buonoad un bambino? (vigile di quartiere)

Mancanza di regole

Il problema è che loro non hanno regole, cioè se si va alle 11 e mezza (di seraN.d.R.) in Viale Argonne, anche i piccolini di quarta e di quinta sono a saltaresui tappeti elastici, perché tanto non c’è più scuola, tanto sono in vacanza, farcapire ai genitori invece che c’è un discorso di regole è difficile, soprattutto poiloro sono abituati a ribellarsi a queste regole, e allora ci sono i genitori chemenano (operatrice scolastica).

[Gli adolescenti] sono andati un’estate in piscina con loro e sono sparite unatrentina di ciabatte e gli educatori hanno aperto gli zaini e le hanno trovate,allora hanno convocato i bambini e dicendogli quello che era successo hannodeciso il giorno dopo di non andare in piscina. I genitori prima hanno reagitomalissimo dicendo perché voi vi siete permessi di aprire gli zaini dei nostrifigli? Erano sconcertanti. Come possiamo fare se dalla parte dei genitori nonc’è una linea educativa, anzi sempre a difendere il figlio anche quando è evi-dente che sbaglia? Allora questa piccola banda ha creato un po’ di problemi,poi non aveva più materia si è spostata all’oratorio vicino, a San Nicolao doveha creato problemi. Poi li hanno arginati e loro si sono spostati al di là delponte e al di là del ponte hanno presentato le proteste di qua. Questo è statol’estate scorsa (religiosa).

Devianza e illegalità

Dalla mancanza di regole e di uno stile educativo improntato ai valori deri-vano anche alcune forme di disagio-devianza quali il tabagismo e l’uso di dro-ghe leggere, nonché il furto di cellulari, motorini, il non rispetto delle regole

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del codice della strada, ecc.Credo anche - noi non li abbiamo mai beccati al livello di scuola media - macredo ci sia un fenomeno di spinelli (operatrice scolastica 2).

Per cui il discorso di come rubare, come rimpiazzare le cose rubate, soprat-tutto loro, intendo i fanciulli della Trecca, perché gli altri sanno e non sannoo fanno quelli che sanno, però tra loro già ci sono stati dei problemi di cel-lulare sparito (operatrice scolastica).

Diciamo che per l’80% siamo riusciti a far mettere il casco, il 20% non metteil casco ma non mi passa davanti, non solo per il casco ma perché sanno chec’è qualcosa che non va sul loro mezzo (vigile di quartiere).

Sessualità precoce

Il problema è la noia e che magari ti scontri con la cultura del quartiere:anche il fatto che la donna viene concepita in un certo modo, comunque c’èl’idea che la ragazza rimane a casa e accudisce i figli. Non per tutti è così.Ed è proprio la mentalità che c’era più al Sud. Oppure cerchi di dare deivalori ai ragazzi, cerchi di far capire che avere i rapporti troppo presto… emagari i loro genitori a casa dicono “ma no figurati, io alla tua età…” (edu-catrice).

Veramente non sanno come passare i loro pomeriggi. Oppure si trovano insituazioni più grosse di loro: alcuni di loro hanno avuto dei figli e hannomagari 17 – 18 anni. Diciotto anni, che non hai un lavoro e ti ritrovi unfiglio…non sei molto pronto a fare il papà (educatrice).

Aggressività

L’aggressività dei ragazzini si manifesta tra di loro, noi non abbiamomai avuto atteggiamenti... di vandalismo nei confronti della scuola,o aggressività nei confronti degli insegnanti; come dire, se la “smaz-zano” tra di loro, si menano tra di loro, e a volte per cose stupidis-sime, “tu mi guardi male”, con dinamiche preoccupanti, c’è unacerta difficoltà a contenere la rabbia o a tradurla in atteggiamentiverbali, passano spesso e volentieri a menarsi tranquillamente (ope-ratrice scolastica 2).

Baby gang e fenomeno delle bande in genere

Tra di loro chi è più grande domina il più piccolo in ogni caso, però se tu seipiccolo ma hai fratelli grandi ti puoi quasi permettere tutto... perché se nodopo ci sono i fratelli e non conviene, le leggi sono un po’ queste, fratelli eanche la famiglia […] il gruppo c’è nei confronti dell’esterno, la Trecca sidefinisce come gruppo nei confronti dell’esterno..e alcuni di questi nonhanno rispetto per nulla e per nessuno...neanche per le suore figurati, equa il problema è delle famiglie (educatrice 2).

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Consumi mediatici

A proposito di questo argomento, un aiuto ci può venire da una ricerca condot-ta nel quartiere sul rapporto esistente tra adulti ed adolescenti, sotto la supervi-sione della Cooperativa Comunità Progetto del servizio di Educativa di strada dizona 4 del Comune di Milano50. La ricerca è suddivisa in due parti: nella prima sonostate effettuate 7 interviste a persone, che a vario titolo e quotidianamente, sonoin stretto contatto con gli adolescenti; nella seconda sono stati somministrati 70questionari, di cui 55 a ragazzi di II e III media e 15 ad alcuni ragazzi e adolescen-ti che frequentano un CAG. Il questionario ha cercato di indagare varie aree: dacome i ragazzi vivono il tempo libero, a come si sentono percepiti dagli adulti e,viceversa, come loro percepiscono gli adulti.

Rispetto a come i ragazzi vivono il tempo libero, le attività svolte dagli adole-scenti sono soprattutto le seguenti: il 25,5% ha risposto di giocare alla Playstation,il 23,6% di leggere o guardare la televisione, il 14,5% rimane a casa, il 7,3% gioca(il 3,6% di questi in particolare gioca a basket), il 5,4% ha risposto di non saperequel che fa. Infine, a parte un 10,9% che non ha risposto alla domanda, gli altri siparcellizzano in una varietà di attività (ascoltare musica, conoscere nuove personee comunque non rimanere mai solo, andare in giro, disegnare).

Alla domanda che indagava che cosa fanno gli adolescenti in compagnia degliamici, i ragazzi hanno risposto soprattutto di “andare in giro” (31%) e di “chiac-chierare/giocare” (31%), il 21,8% “si diverte”, il 10,9% gioca a calcio.

Dalle interviste da noi condotte emerge, in particolare, che la fruizione dei massmedia è molto elevata tra i ragazzi e gli adolescenti del quartiere, anche se vi sonoalcune differenze tra le varie zone. Si va da un abuso di televisione all’utilizzo delcomputer. Ci si diverte con i video-giochi (Playstation), ma è diffusa anche la navi-gazione su Internet e l’uso di posta elettronica e un sistema di messaggistica imme-diata (Messenger).

[La televisone N.d.R.] Purtroppo sì, molti ce l’hanno in camera e stanno sufino a tardi, il giorno dopo ti dicono: prof mi lasci in pace che sono andatoa letto alle due, purtroppo questo controllo i genitori non ce l’hanno, inve-ce è importante, direi che almeno sul 40% dei ragazzi questo problema c’è[…] la sera, guardano di tutto e di più, loro dal punto di vista sessuale sonoinformatissimi e abbiamo anche fatto dei corsi per chiarirgli alcune idee(operatrice scolastica).

Alla domanda su Internet e la sua diffusione, l’intervistata ci dice:

Caspita, loro usano il computer benissimo, cioè uno di loro è riuscito a farmisaltare la password del docente… assolutamente sì (operatrice scolastica).

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50 Cooperativa Comunità Progetto (2005), Risultati della ricerca condotta nel quartiere Trecca e neisuoi dintorni sul rapporto esistente tra adulti ed adolescenti.

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Perché il tragico di molte famiglie è che la televisione o il computer i ragazzice l’hanno in camera, quindi non c’è controllo sulla fruizione di spettacoli divario genere e a ore anche avanzate. Internet non è molto diffuso, perchévista la situazione socio economica .... però insomma loro acquisiscono moltorapidamente le competenze per entrare in Internet, dove ce l’hanno (opera-trice scolastica 2).

Però per esempio qui in questa parrocchia [N.d.R. in zona Forlanini]- ancheperché il tenore di vita è diverso - molti adolescenti più che la tv passano molteore davanti al computer, su Messenger, studiano con Messenger acceso (ope-ratore parrocchiale)

Rendimento scolastico

Sebbene non sia stato possibile reperire dati quantitativi sugli esiti scolastici egli abbandoni dei ragazzi frequentanti la zona di Forlanini-Taliedo-Ponte Lambro,dalle interviste emerge l’esistenza di questo disagio, come indicano i richiami siaal problema dei pluriripetenti, sia a quello della dispersione scolastica.

Dall’altro mi viene da dire che la fase più costruttiva è quella delle medie,dopo le medie quasi tutti si iscrivono alle scuole superiori alcuni anche al liceo.La difficoltà è poi sulla tenuta: magari vedi il tuo amico che magari non va piùallora non vado più neanche io…poi una grossa fetta di loro ha una forte esi-genza di lavorare per avere dei soldi propri e non dover pesare magari sullafamiglia che magari ha già difficoltà. Sicuramente è un problema quello dellascuola, questo sì (educatrice).

La scuola superiore seleziona drasticamente, perché qui l’impegno è poco eappena escono di qui si prendono delle belle legnate: il rischio di dispersionescolastica è semplicemente rimandato (operatrice scolastica 2).

[D. dell’intervistatore: “qui è alta la dispersione?”] No qui non è alta, noi riu-sciamo a tenerli dentro, anche perché dentro la scuola media il rapporto tradocenti e ragazzi è comunque un rapporto ancora positivo, di accudimento travirgolette, tant’è vero che loro non se la prendono con la scuola, però da quia dire “sono motivato a studiare”, no! Sto lì, faccio le cose minime necessa-rie...E rimanda a dopo un percorso che porta, per una buona fetta di loro, alladispersione scolastica (operatrice scolastica 2).

Carenza di progettualità per il futuro

Una caratteristica di questi adolescenti sembra essere quella di scarsa tenutadell’impegno nel tempo, sia per quanto riguarda la scuola e il lavoro, ma anche ildivertimento e, soprattutto, di mancanza di progettualità per il futuro.

L’anno scorso avevamo iniziato a fare pallavolo e le ragazze hanno iniziatobenissimo “ah, ci facciamo la squadra, ci comprate le maglie”, però poi nonsono venute: quindi sono cose tutte al momento. Per loro è difficile tenere

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questi impegni. Anche il laboratorio hip hop che abbiamo fatto abbiamo deci-so di tenerlo tre mesi; anche quello di percussioni è durato tre mesi. Non rie-sci a tenerli di più nel senso che il loro interesse diminuisce: uno inizia a nonvenire e così anche l’altro, “allora non vengo più neanche io”. È una cosaovviamente generale, poi dipende dal ragazzo (educatrice).

Non vedono molto al di là dell’oggi, cioè fatica che hanno un po’ tutti i giova-ni oggi, nel senso che è difficile riuscire a proiettarsi nel futuro, perché vivereal presente oggi è un po’ la caratteristica dei giovani, loro però ancora meno(operatrice scolastica 2).

Vabbè finita la scuola se trovo un lavoro bene, se non trovo un lavoro comun-que va bene: sto a casa a dormire e a non fare niente (operatrice scolastica).

Mancanza di servizi sociali per minori

Un altro grande problema segnalato dai testimoni privilegiati, riguarda la man-canza di servizi sociali in zona a cui ricorrere per le problematiche connesse aiminori.

La grave, ma molto grave situazione, è la quasi totale ormai assenza di servizipubblici sul territorio; noi dovremmo passare direttamente alla denuncia al tri-bunale dei minori, manca tutta quella rete di supporto alla famiglia che sono gliassistenti sociali, che ormai il comune di Milano ha tolto (operatrice scolastica 2).

Noi e loro

Un’ultima difficoltà, che non ci è stata segnalata dagli operatori, ma che è emer-sa molto chiaramente dai loro racconti è la spaccatura che si avverte tra la normaleutenza scolastica e quella proveniente dalle zone più disagiate del quartiere, sianoesse Ponte Lambro o via Salomone (la Trecca). E’ interessante il caso di un’operatri-ce scolastica che, pur essendo molto aperta e costruttiva, parla dei ragazzi contrap-ponendo un “noi” e un “loro”, anche se il bacino d’utenza è ormai lo stesso.

Si, ‘loro’ sanno benissimo come muoversi con i mezzi […] E’ una cosa strana perché il discorso di essere periferia lo sentono di più iragazzini del quartiere Forlanini e le loro famiglie… perché i ragazzi dellaTrecca e di Ponte Lambro si spostano con i mezzi, vanno e non li ferma nessu-no… mentre quelli del quartiere con i genitori, iper protettivi quasi ne risen-tono di più, sembra un’assurdità però è così insomma: fare il lavoro sulla pian-tina della città e vedere come muoversi è un lavoro in cui ‘loro’ sono eccellen-ti, perché sanno benissimo come muoversi (operatrice scolastica).

Sì, assolutamente. Anche quando vengono qua, per esempio, difficilmente siintegrano con gli altri. Se tu entri nel bar ti accorgi se ci sono quelli della Treccae quelli no. Questo è abbastanza visibile e credo faccia parte delle dinamicherelazionali di tutti, anche degli adulti (operatore parrocchiale).

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Concludendo, riteniamo utile ribadire che tra i ragazzi, comunque, non ci sonosolo delle figure negative, anzi, ci sono anche persone che crescono bene. Comedappertutto la realtà è molto più varia di come appare.

Ci sono vari tipi di ragazzi; c’è il gruppo positivo, tra virgolette, e quello nega-tivo, tra virgolette: quelli “positivi” perché hanno un atteggiamento di voler-ti conoscere, di cercare una relazione e quelli un po’ “negativi” che hanno unamodalità di esprimere un loro disagio che è quella di sfasciare, di rompere lecose, di avere dei modi molto bruschi (educatrice).

La voce dei ragazzi

Fino a qui abbiamo cercato di raccontare come gli adulti intervistati vedono gliadolescenti di Forlanini-Taliedo-Ponte Lambro, ma qual è l’opinione dei ragazzisugli adulti con i quali si rapportano? A questo proposito ci torna ancora utile lasuccitata ricerca condotta nel quartiere sul rapporto esistente tra adulti ed adole-scenti51 che affronta anche questo tema specifico.

Innanzitutto, la domanda diretta “Cosa pensi degli adulti?” ha suscitato un evi-dente imbarazzo nei ragazzi, tanto che il 20% non ha riposto e il 24% ha dichia-rato di non pensare niente al riguardo. Tra quelli che, invece, si sono aperti, pre-valgono i giudizi negativi (71%), anche se non manca qualche apprezzamento.Alcuni hanno detto che gli adulti sono gentili (10%), ma molto più interessantisono risultate le altre dichiarazioni in cui si riconosce e allo stesso tempo si preten-de un ruolo educativo da parte degli adulti che “devono dare consigli” (12%)anche se questo non sempre fa piacere perché sono anche “monotoni e rompisca-tole” (7%), “devono dare più libertà” (7%), “non capiscono nulla” (4%) e, addirit-tura, “sono più delinquenti” dei ragazzi (3%).

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51 Cooperativa Comunità Progetto (2005), Risultati della ricerca condotta nel quartiere Trecca e neisuoi dintorni sul rapporto esistente tra adulti ed adolescenti.

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CAPITOLO 5

PRINCIPALI PROBLEMATICHE

5.1 I BISOGNI

Cercando di dare un quadro dei principali bisogni del quartiere oggetto d’inda-gine, ossia Forlanini-Taliedo-Ponte Lambro, saranno innanzitutto forniti alcunidati statistici e, laddove siano mancanti, informazioni su alcune questioni signifi-cative, quali: condizione lavorativa e situazione abitativa, situazione familiare,numero di persone in carico ai servizi sociali, problematiche psichiatriche, serviziper disabili, problemi legati all’economia locale, degrado e sicurezza, droga eAIDS, nuovo azzonamento.

In secondo luogo, ci sembra, molto utile riportare i dati rilevati dai due centri diascolto e dal centro di prossimità gestiti dalla Caritas Ambrosiana presenti in zona.

• Condizione lavorativa e situazione abitativa

Il 41,1% del totale della popolazione del quartiere è occupato, il 31,3% è ritira-to dal lavoro, il 14,4% è casalinga, il 5% è disoccupato o in cerca di prima occupa-zione, il 4,6% è nella condizione di studente52.

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52 Tutti i dati riportati in questo paragrafo, dove non diversamente indicato, sono tratti da questafonte: SICE - Comune di Milano. Settore Statistica. Servizio Studi, anno 2001, in www.statistica.milano.comune.it.

53 Il tasso di disoccupazione è stato calcolato utilizzando la definizione Istat: rapporto tra le personein cerca di occupazione e le corrispondenti forze lavoro. Sono state considerate persone in cerca di occu-pazione le persone non occupate tra 15 e 74 anni, ossia quelle “in cerca di prima occupazione” e i disoc-cupati, mentre le forze lavoro comprendono le persone occupate, quelle disoccupate, quelle in cerca diprima occupazione e quelle “in attesa di inizio lavoro trovato”.

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Nella zona Forlanini-Taliedo Ponte Lambro il tasso di disoccupazione53 è più altodel dato cittadino in quanto se nella ex zona 13 esso è pari al 10,6%, nella città diMilano arriva al 7,6%. Rispetto al sesso, è leggermente più alto per le donne (11,1%)che per gli uomini (10,3%). E’, tuttavia, rispetto all’età che esso raggiunge livellipreoccupanti: 33% per i giovani di 15-24 anni (contro il dato cittadino pari a 30,5%)e 11% per la fascia d’età 56-74 anni (a Milano: 5,7%). Questo 11% è probabilmenteformato soprattutto da quelle persone che a seguito di chiusura o crisi del settorelavorativo dove erano inseriti, si ritrovano disoccupati, allontanati dal lavoro prima diraggiungere l’età pensionabile, difficilmente reinseribili nel mondo produttivo, contutti i disagi e le problematiche economiche e psicologiche che ciò comporta.

La percentuale di abitazioni in proprietà sul totale di abitazioni occupate èpari al 63,4%.

Le abitazioni in affitto nella ex zona 13 sono soprattutto di proprietà dell’entepubblico: ALER/IACP (44,2%), Comune (19%), Stato, Regione, Provincia (3,8%). Il24,9% delle case in affitto sono di proprietà di persone fisiche, il 3,1% di impresee società, il 3% di enti previdenziali, lo 0,4% di cooperativa edilizia e di altro nonspecificato (1,6%).

• Situazione familiare

La percentuale di famiglie unipersonali sul totale delle famiglie è pari al 31,8%.Come già emerso in precedenza, c’è una forte differenza fra le famiglie uniperso-nali con capofamiglia femmina che sono il 61,1% del totale e quelle con capofa-miglia maschio che raggiungono appena il 15,7% del totale. Il gruppo più nume-roso (35,6%) vive in coppia (che può essere formata sia dai coniugi sia da due fami-liari come madre e figlio), il 18,3% abita in una famiglia di almeno 3 componenti,il 10,7% di almeno 4, il 2,8% di 5 e lo 0,7% di 6 o più. Ogni 100 coniugati ci sono4,4 divorziati, ma se ai divorziati aggiungiamo i separati legalmente e quelli difatto, la percentuale di persone con un rapporto troncato alle spalle sale al 10,3%.

• Numero di persone in carico ai Servizi Sociali

Per conoscere l’entità e le caratteristiche dei bisogni delle persone residentinella ex zona 13 Forlanini-Taliedo-Ponte Lambro ci siamo, ovviamente, rivolti aiServizi sociali dell’attuale zona 4 del Comune di Milano nel tentativo di ottenereil numero delle persone prese in carico e di effettuare delle interviste alle assisten-ti sociali per cogliere i principali aspetti qualitativi del fenomeno, ma purtroppo,nonostante nel corso delle varie visite i testimoni privilegiati ci avessero riferito unbuon livello di collaborazione e di rete tra gli operatori pubblici e quelli del terzosettore, non c’è stata disponibilità in tal senso, per cui la presente parte è lacuno-sa. Di seguito si riportano solo i dati riferiti nel corso delle interviste da parte deglioperatori più disponibili.

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Gli unici dati pubblici relativi ai Servizi Sociali sono quelli fornitici dal SettoreStatistica – Servizio Statistiche Sociali, relativi al numero di utenti in carico al servi-zio di assistenza domiciliare in zona 4 nel corso dell’anno 2004. Sappiamo, quindi,che risultano 763 utenti in assistenza domiciliare, 214 ricevono pasti a domicilio, a83 è stato dato un ‘buono pedicure curativo’ e 22 sono in carico per prestazioniinfermieristiche.

Le caratteristiche di questo servizio e le collaborazioni che esso mette in atto,sono ben descritte da una sua operatrice. Tra l’altro è interessante notare come ilvolontariato sia una risorsa anche in questo caso.

L’A.D.I. si rivolge maggiormente agli anziani, ma non peraltro…è che sono piùgli anziani che chiedono assistenza domiciliare perché è più facile che sianoloro ad ammalarsi e ad avere bisogno di un sostegno. L’A.D.I. può benissimointervenire in caso di bisogno per persone più giovani, potremmo seguireanche dei bambini se ci fossero delle richieste [… ]. [L’ADI collabora con l’ente pubblico, in particolare con il CMA (CentroMultiservizi Anziani) N.d.R.] In particolare collaboriamo con il CMA perchésiamo due servizi molto collegati: con loro spesso programmiamo visite domi-ciliari perché qualche volta il paziente può avere sia un bisogno assistenzialeche socio-sanitario, li curiamo insieme e poi ognuno valuta i bisogni.Collaboriamo anche con l’ufficio H perché qualche volta assistiamo anche por-tatori di handicap e quindi gestiamo il paziente assieme a loro. Oppure anchecon la Psichiatria perché si può trattare di pazienti psichiatrici che hanno unbisogno sanitario, poi anche sicuramente con i volontari di zona che possonoessere i centri di ascolto oppure le suore di Ponte Lambro. […].

Rispetto alla domanda in cui si chiedeva quale fossero i problemi della zona, dalsuo punto di vista, l’operatrice risponde menzionando esplicitamente PonteLambro e via Salomone.

Rispetto agli anziani è più facile che lì [Ponte Lambro e via Salomone N.d.R.] cisiano degli anziani qualche volta soli perché erano già persone con una situazio-ne socio-ambientale difficile. Se devo pensare a persone che non hanno familiaridi riferimento, sono sole, soprattutto in via Salomone e secondo me è una cosavecchia che deriva dai tempi in cui venivano date queste case a persone che giàallora avevano dei problemi. Poi, ovviamente, queste persone diventando vecchiesi portano sempre dietro dei problemi con qualcosa in più per esempio la saluteche diventa sempre più deficitaria.

• Problematiche psichiatriche

In zona, secondo un’operatrice, il numero di utenti è 400-420.C’è una componente socio-culturale ed economica dei problemi psichiatrici

come viene ben sottolineato nella seguente frase.

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Diciamo che è un’equazione: più disagio sociale c’è, più ovviamente si acuisco-no questi problemi. Se ci sono famiglie con un solo reddito, la persona perdeil lavoro, non riesce più ad integrarsi, si deprime eccetera. È tutto un circolovizioso. Sicuramente ci sono zone in cui, a parte le separazioni, proprio anchenella vita quotidiana è sempre molto difficile. La zona è poi molto caratteriz-zata da persone anziane ormai sole, anche in stato di abbandono (operatricesocio-sanitaria).

Un altro grande problema consiste nel sottodimensionamento degli organici dipersonale nei servizi e nel progressivo calo di finanziamenti pubblici che limitan-do le risorse pongono delle restrizioni anche nel numero di interventi da realizza-re. Non è mancanza di volontà degli operatori (sia pubblici che del volontariato)che, quando possono, collaborano tra di loro per far fronte alle emergenze in unprogetto comune, ma “impotenza” per carenza di fondi.

I servizi comunali, debbo dire tra l’altro che noi abbiamo un ottimo rappor-to con il CMA, che è in via Zante, però il problema è che anche loro sono sottoorganico: c’è una popolazione con un bisogno estremo e loro fanno quello chepossono in base al numero di persone che… si adoperano e, secondo me,anche loro, come il nostro servizio, hanno dei problemi di bilancio e quindiuna volta che hai finito i soldi non è che ti puoi inventare gli interventi, se sonofiniti sono finiti […]

Sì, sì, spesse volte ci sentiamo però insomma è sempre più difficile sia perloro [la Caritas N.d.R.] che per noi perché se fino a qualche anno fa si riuscivaa supportare di più certi tipi di interventi oppure qualche cosa davano loro equalche cosa davamo noi, adesso, una volta che sono finiti i soldi, noi non pos-siamo utilizzare un bel niente (operatrice socio-sanitaria).

Infine, è interessante il commento dell’operatrice di un’altra associazione inzona che si rivolge ad adulti e ragazzi disabili. Alla domanda se il quartiereForlanini-Taliedo-Ponte Lambro è ricca di associazioni, risponde:

Direi proprio di sì, anche che operano su diversi fronti: associazioni che si occu-pano di disagio minorile, altre che si occupano di extracomunitari, altre che sioccupano di persone in difficoltà. Credo che forse il bisogno più scoperto sia ildisagio psichiatrico. […] Non ci sono associazioni nella zona 13 [che si occupa-no di questo disagio N.d.R.], o meglio ne conosco una legata alla parrocchiama è molto sola. E questo bisogno scoperto rispecchia un po’ la realtà milane-se (operatrice di associazione).

• Servizi per disabili

Quantificare il numero di disabili che vivono o, almeno, che sono seguiti dai ser-vizi pubblici e privati nella ex zona 13 è molto difficile. Come ci dice un’assistentesociale, la causa principale di questa mancanza di dati risiede nell’insufficienza diorganico del personale.

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[Non abbiamo dati aggregati N.d.R.] No, niente. Il problema che come perso-nale siamo in poche: noi due riusciamo a malapena a star dietro a tutti, quin-di riusciamo a raccogliere i dati relativi all’assistenza domiciliare, a chi ci telefo-na. Però per il resto sarebbe molto interessante fare questa mappatura diquello che abbiamo fatto. Ci vorrebbe del personale in più.

Possiamo solo riferire alcuni dati stimati dagli operatori intervistati. L’Area Adulti in difficoltà e handicap, che ha sede in via Romilli 30, ha circa 130

persone che percepiscono un contributo economico e circa 200 casi presi in carico.L’Associazione La Nostra Comunità ha 62 utenti suddivisi nei diversi servizi. Più

precisamente: 20 sono seguiti nei servizi per gli adulti (SFA e Progetto Vita AdultaIndipendente che offre momenti di convivenza per giovani-adulti); altri 25 chesono seguiti soprattutto nelle scuole medie del territorio tramite il Progetto diIntegrazione scolastica, 10 frequentano il centro diurno; l’assistente sociale ha,oltre ai casi precedenti, altre 7 famiglie che segue esclusivamente come serviziosociale, e quindi con interventi di assistenza sul territorio. Sono tutti disabili intel-lettivi e l’età media, non considerando i ragazzi della scuola (di 10-13 anni), è com-presa tra i 25 e i 35 anni.

La Cooperativa Lo Specchio, che è stata fondata dall’Associazione La NostraComunità per dare spazio ad alcuni ragazzi che erano utenti di questa associazio-ne per offrire loro una possibilità nel mondo lavorativo, ha 4 dipendenti (di cui duedisabili) e 15 lavoratori impegnati a turno.

Gli operatori di servizi, associazioni, cooperative per disabili sono concordi nelriconoscere l’esistenza di una buona rete e collaborazione tra i diversi enti.

La nostra cooperativa non collabora solo con l’associazione La NostraComunità ma anche con altri enti sia pubblici che privati, i CSE di questa zona(quello di Largo Maria Gonzaga e Viale Puglie), con l’associazione KOLBE e conalcune scuole CFP e con il CAPAC che è l’ex politecnico del commercio per farfare tirocini ad alcune persone (operatore di cooperativa).

Collaboriamo un po’ con tutti: il C.P.S. per quanto riguarda gli psichiatrici,per quanto riguarda i minori con handicap abbiamo contatti con l’UONPIA,il servizio sociale della famiglia del Comune di Milano perché molte volte,quando il nostro minore con handicap ha un decreto del Tribunale, noi lopassiamo di competenza all’Ufficio minori e quindi collaboriamo anche conloro. Diciamo che siamo messi bene in rete, perché collaboriamomolto…poi c’è la cooperativa Lo Specchio che è inserita nel progetto de LaNostra Comunità, perché questa associazione ha la possibilità di attuare deiprogetti individualizzati su alcuni dei nostri utenti e all’interno di questiprogetti c’è la possibilità di far fare dei tirocini all’interno della cooperati-va. Abbiamo quindi rapporti anche con loro. Dove si può appoggiarsi, cer-care di avere o almeno mettere comunque in rete tutta una serie di risorselo si fa (assistente sociale).

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Infine, coloro che lavorano con i disabili concordano con gli operatori impegna-ti in altri campi nel riconoscere una maggiore criticità - anche per quanto riguar-da il problema della disabilità e dell’invalidità - in due parti specifiche della zona,ossia via Salomone e Ponte Lambro.

Diciamo che il quartiere, pur essendo piccolo, ha 30.000 abitanti, ha diversissi-me realtà: il quartiere dove io vivo che è qui, è il Forlanini ed è la zona più“fortunata”, sia per le abitazioni, c’è il bel verde, è più tranquilla, con duezone più problematiche, via Salomone e Ponte Lambro, sono la vera periferiadi cui spesso si parla con problemi di quartiere dormitorio, di poca sicurezza.Qui abbiamo un altro problema: c’è un bel gruppo di rom, anche tanti stranie-ri (operatore di cooperativa).

Tu attraversi la strada dall’Esselunga, all’inizio del Parco Galli, lì in Salomoneraggiungiamo veramente il peggio, le case bianche di via Salomone…io ne hoin carico una buona parte. Io penso, della gente che abita lì, in tutti i numeri,cioè dal 36 al 66 là in fondo più o meno ho avuto in carico tutte le famiglie inun modo o nell’altro io li conosco tutti lì. E qui la situazione dal punto di vistaeconomico è veramente disperata, anche perché hanno pochi rapporti con lerealtà del territorio, anche perché è molto difficile lavorare lì dentro. […]Quindi le case bianche sono un discorso di difficoltà dove si può trovare vera-mente di tutto, nella maggior parte tossicodipendenti, tantissimi alcolisti einnesti psichiatrici sopra la patologia fisica […]Nella zona, la situazione si collega al contesto abitativo: in piazza Ovidio,Zante io conosco 2 o 3 utenti che vivono in famiglie, passami il termine, nor-modotate, che hanno il loro lavoro e quindi si gestiscono tranquillamente laloro vita; in Salomone per le persone che ho lì, per utenti, la maggior parte deimiei sono disoccupati, anche perché, occupandoci di invalidi civili, hannoun’invalidità che non permette loro di andare a lavorare...e quindi poca gentelavora. E lo stesso a Ponte Lambro…io dei miei che ho in carico li conto sulledita le persone che lavorano (assistente sociale).

• Problemi legati all’economia locale

Le uniche attività economiche di tipo tradizionale che permangono in zona con-sistono in piccole imprese commerciali e artigianali. Le storiche, vecchie grandiindustrie che hanno fatto la storia del quartiere e dato lavoro a generazioni di resi-denti, ossia la Caproni, la Montedison, la Redaelli sono ormai state completamen-te smantellate e, come si è detto all’inizio, vengono mano a mano sostituite daattività di terziario avanzato quali studios televisivi, centri congressi, show room,studi di grandi architetti, pub, bar e ristoranti che, però, non portano lavoro loca-le ma impiegano per lo più operatori della comunicazione e dell’immagine cheprovengono da fuori zona. A questo proposito è molto indicativo il seguente dia-logo svoltosi tra una ricercatrice e un barista di un nuovo pub collocato all’internodei capannoni della ex Caproni appena ristrutturati.

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I..: Chi frequenta solitamente questo pub? Gente del quartiere? Di fuori?B.: Gente da fuori Milano, dai 25-30 anniI.: Circola molto denaro?B: Sì, abbastanza, quando ci sono le feste qui di sera ne circola parecchio; noipoi facciamo anche i pranzi per la gente che lavora qui.I: Da quanto tempo siete aperti?B: Da circa 3 mesi.I: Lavorate bene?B: Si, si, siamo soddisfatti.I: Tu sei di qui del quartiere?B: No, io sono della Brianza.

A parte la Standa di viale Ungheria, gli abitanti lamentano la carenza di eserci-zi commerciali facilmente raggiungibili e a prezzi contenuti. Il problema è avverti-to soprattutto dagli anziani delle zone più isolate e disagiate (via Salomone ePonte Lambro) che hanno problemi fisici a spostarsi o che non dispongono diun’auto per recarsi presso i centri commerciali.

[Domanda: al supermercato va a piedi?N.d.R.] Allora se vedo che c’è l’autobus,lo aspetto e faccio una fermata se no è dura arrivare là per le mie gambe.Qualche volta mi carico più del normale (anziana di via Salomone).

Gli abitanti del Forlanini possono, invece, contare ancora su un discreto nume-ro di negozi sotto casa (portici di via Zante).

A Ponte Lambro l’attività lavorativa di maggior rilievo è costituita dal CentroCardiologico Monzino, per il resto è evidente un’oggettiva carenza di attività com-merciali sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Ultimamente ha chiusoanche l’unica edicola presente. Le poche attività commerciali che sopravvivonofaticano a stare aperte. Negli anni ’60, gli anni del boom economico, c’era unacerta attività sia commerciale che artigianale rivolta sia all’interno del quartiere siaall’esterno, ossia ai pendolari che raggiungevano Milano provenendo dallaPaullese, ma dagli anni ’80 è iniziato il declino. Da questo punto di vista oggi PonteLambro è decisamente un “quartiere-dormitorio”. L’unica novità è costituita dallarecente apertura di punti vendita di tipo etnico (ma non solo) a opera dei nuoviresidenti extracomunitari.

In tutta la zona sono pochissimi i bar o i locali che aprono nelle ore notturne equesto è un disagio avvertito soprattutto dai giovani.

[I. Adesso come attività commerciali non c’è nulla. N.d.R] La clinica, qualcheartigiano (presidente di cooperativa, persona molto impegnata in quartiere).

Sì, prima avevamo anche una segheria, ci lavoravano diverse persone. Neglianni ‘60, gli anni del boom economico, si lavorava tanto, poi negli anni ‘80 dimeno (amministratore e venditore di immobili a Ponte Lambro).

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Io sono titolare di questo negozio da un anno e mezzo […] allora io sono sposa-ta, ho due bambini, e ho preso quest’attività perché lavoravo già qui e quandola titolare di prima ha deciso di vendere, io ho deciso di provare […] io comprogli abiti dai grossisti e li rivendo e spesso sono da accorciare, stringere e faccioqueste cose (titolare di una merceria di Ponte Lambro originaria delle Seychelles).

• Degrado e sicurezza

Come non perdono occasione di sottolineare periodicamente gli articoli di gior-nali, ogni periferia presenta situazioni di deterioramento delle strutture pubbli-che, degrado dell’ambiente, manifestazioni di inciviltà. Anche alcune parti della exzona 13 non fanno eccezione. Se si percorrono certe vie di Ponte Lambro (ViaUcelli di Nemi, via Rilke) o ci si addentra sotto i portici dei caseggiati delle casebianche di via Salomone si notano scritte sui muri, sporcizia, porte delle scale coni vetri rotti, caselle della posta e pulsantiere dei citofoni divelte, automobili vec-chie o incidentate abbandonate nei cortili, ecc. Nel corso della prima visita in viaSalomone, abbiamo visto rifiuti ingombranti abbandonati in alcuni angoli (un seg-giolone, una rete di un letto, mobili, materassi, un palo della luce abbattuto, ecc.);nel corso della seconda abbiamo subito notato un miglioramento dovuto quasisicuramente all’arrivo della portiera sociale che, oltre ad esercitare un maggiorecontrollo, ha proprio tra i suoi compiti quello di segnalare all’ALER gli interventiper preservare il patrimonio abitativo e la sua funzionalità.

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Milano, ex zona 13: il territorio come arcipelago

VIA SALOMONE: PORTA D’ENTRATA VIA SALOMONE: PORTA D’ENTRATA-PARTICOLARE

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Visitando queste zone è forte la percezione della mancanza di senso civiconei confronti del bene pubblico da parte dei residenti, ma alcuni studi sottoli-neano come questa incuria sia anche dovuta alla presenza di “particolari con-figurazioni dello spazio urbano – come spazi vuoti, parchi, parcheggi, sotto-passi – che, pur non contenendo immediati segnali di minaccia, offrono unavisione quotidiana non rassicurante, e possono perciò indurre ‘paure potenzia-li’, evocare sensazioni di disagio, inquietudine, mancanza di controllo sul ter-ritorio da parte del soggetto”54.

C’è incuria e una buona dose di violenza che esplode nei palazzi, dei bam-bini, i genitori non gli insegnano niente e poi subiscono delle sorti di vio-lenza, verbali sicuramente e poi loro sfogano così, non sono sicuramenteascoltati (volontaria).

Al degrado si associa perciò la percezione di insicurezza e questo viene benesottolineato da alcuni abitanti del quartiere:

sia a Ponte Lambro, come ci dice un nuovo residente immigrato:

No, non mi piace l’ambiente in cui vivo, ci sono tante cose, ma la gente nonrispetta niente, il posto è bello, ma non c’è rispetto: sputano, sporcano,buttano la spazzatura sulla scala, lasciano la porta aperta dell’ascensore.[…] Sai perché rompono i citofoni? Perché quando fanno casino e intervie-ne la polizia, se la polizia citofona si apre la porta, se togli tutta la scatola,nessuno citofona e la polizia non può entrare.

sia in via Salomone, come racconta una signora anziana residente di vecchiadata:

[Domanda: il problema dell’incuria c’è sempre stato? È sempre stato così?] Anche peggio. Perché non sono esseri civili. Adesso hanno la scusa degliextracomunitari. Danno la colpa a loro. Ma quando sono venuta ad abita-re qui di extracomunitari non ce ne erano. Ma addirittura che una ragaz-za aveva chiesto a tutti se davano qualche soldo per comprare dei detersi-vi, perché avevamo il muro esterno marrone, ci avevano scritto di tutto edi più. E questa ragazza con altri è andata a pulire tutti i muri. Roba breve,perché dopo era uguale. Poi l’ALER ha fatto l’imbiancatura chiara, figuria-moci, lo stesso giorno che avevano finito ci avevano già messo su l’impron-ta dello scarpone. Proprio perché sono dei maleducati. Ma rompono anchegli specchi, avete visto no? Fanno dei buchi nelle cabine dell’ascensore,hanno bruciato anche la tastiera.

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54 Amendola G.D. (a cura di) (2004), Il governo della città insicura. Politiche, esperienza e luoghi comu-ni, Liguori, Napoli, citato in Zajczyk F., Borlini B., Memo F., Mugnano S., (2005), Milano. Quartieri perife-rici tra incertezza e trasformazione, B. Mondatori, Milano, p. 64.

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Milano, ex zona 13: il territorio come arcipelago

PORTICI DI VIA SALOMONE

VIA SALOMONE

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Si segnala anche un “effettodiscarica” per cui se c’è un inizio diincuria, di degrado, sporcizia, lì ven-gono portati altri rifiuti. Il vigile diquartiere ci ha, infatti, raccontato:

C’è gente che viene da fuori aimbrattare: ultimamente c’ègente che viene lì ad abbando-nare il veicolo, è diventato ilnuovo sport, noi gli facciamo 200euro di verbale e l’obbligo diportarlo via […], ma passanodagli 8 mesi all’anno finché allafine le dobbiamo portare via noi.[…] Purtroppo Ponte Lambroviene considerata da alcune per-sone come un immondezzaio enoi non ci possiamo fare niente,è tutta una cosa sbagliata dall’i-nizio, bisognerebbe cambiare lamentalità.

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VEICOLO ABBANDONATO NEL QUARTIERE 1

TELEFONO DANNEGGIATO

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(VEICOLO ABBANDONATO NEL QUARTIERE 1)

Fenomeno confermato da un’altra intervista rilasciata da una commerciantestraniera:

Io non conosco troppo il quartiere, è un po’ sporco, ecco quello sì, si potrebbemigliorare, ma io ho visto che non è solo la gente del quartiere a sporcare, chipassa in Via Vittorini con la macchina spesso e volentieri svuota il suo posace-nere per terra.

Contro il degrado sono, comunque, in molti ad essere impegnati. La svolta diPonte Lambro è partita proprio da lì, dal riappropriarsi degli spazi pubblici, resti-tuendoli alla cittadinanza.

La prima festa del quartiere significava la scoperta dei giardini, riprendiamoci igiardini, riprendiamoci lo spazio che era occupato dagli spacciatori e quindihanno organizzato attività di pulizia, di preparazione della festa […] Da lì èstata proprio una risurrezione del quartiere nel senso che molta gente diceva: iosono qui da 10 anni e non sono mai sceso in questi prati, non sapevo, adessovedo che ci sono. […] Prima tutto era lasciato abbandonato, incolto, le siringheda tutte le parti, poi c’erano i tossici che si facevano, c’era il dominio loro. A que-sto punto un po’ di pulizia, il taglio dell’erba è stato sufficiente per dire: maguarda un po’ che cosa abbiamo, abbiamo celebrato la messa proprio lì e abbia-mo visto che era proprio bello, fresco, c’era la gente (operatore ecclesiale).

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Milano, ex zona 13: il territorio come arcipelago

VEICOLO ABBANDONATO NEL QUARTIERE 2

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Questa idea, che era nata all’interno di un’iniziativa interessante, denominata“Insieme per Ponte Lambro”, voluta dal Consiglio di zona insieme ai cittadini, hapreparato il terreno al progetto Renzo Piano sponsorizzato dall’allora assessorealle periferie Del Debbio.

Il recupero degli spazi pubblici, in particolare dei giardini, era espressione didiverse cose: innanzitutto il desiderio di comunicare ai clan mafiosi e agli spaccia-tori che spadroneggiavano nel quartiere, che la gente voleva voltare pagina, quin-di il desiderio di socializzare, di uscire dalla propria solitudine e di aprirsi ai vicinidi casa, per conoscersi meglio e superare le divisioni.

Si tratta di considerazioni molto importanti e ancora attuali non solo a PonteLambro, ma ovunque.

Bauman, ad esempio, fa un accorato appello perché gli amministratori e gliarchitetti non sacrifichino nelle loro costruzioni gli spazi pubblici (privilegiandoquelli privati), ma anzi li valorizzino. E’ negli spazi pubblici che si può realizzarel’incontro con le differenze e senza questo incontro si rischia di conoscersi sempremeno e conoscendosi meno di ignorarsi o, peggio di diffidare sempre di più, e viavia in un crescendo, di segregare-escludere il “diverso”, con esiti pericolosi di con-flittualità. “I luoghi pubblici sono i punti cruciali in cui proprio adesso si sta deci-dendo il futuro della vita urbana, e (dato che la maggioranza della popolazioneplanetaria è formata da cittadini) anche della coabitazione planetaria”55.

Non a caso Bauman mette anche in guardia dalla tendenza oggi molto di modadei costruttori di creare aree residenziali che tengano “fuori” (con tutta una seriedi dispositivi per la sicurezza) tutto ciò che è sconcertante, turbolento, confuso perchiudersi “dentro” un’oasi tranquilla e sicura. Ma attenzione, conclude, il famososociologo che “più a lungo si sta in un ambiente uniforme – in compagnia di altri‘come noi’, con cui si può ‘socializzare’ superficialmente, senza correre il rischio difraintendimenti e senza dover affrontare la seccatura di tradurre da un mondo disignificati ad un altro – tanto più è probabile che si ‘disimpari’ l’arte di negoziarei significati e un modus convivendi”56.

• Droga e AIDS

Quello della tossicodipendenza è un problema cronico, soprattutto a PonteLambro, ma anche in via Salomone e persino in quelle parti della zona caratteriz-zate da un livello socio-culturale ed economico più elevato, come il NuovoForlanini.

Il blitz della polizia del 1995 a Ponte Lambro è diventato famoso come “nottedei veli bianchi” e i veli bianchi erano, appunto, le polveri fuoriuscite dalle busti-

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55 Bauman Z. (2005), Fiducia e paura nella città, B. Mondatori, Malino, p. 57.56 Ibid., p. 31.

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ne che gli spacciatori e i consumatori buttavano fuori dalla finestre delle case neltentativo di liberarsi delle sostanze stupefacenti.

Negli anni ’80 Ponte Lambro era un luogo di consumo e spaccio molto cono-sciuto che attirava clienti, oltre che da tutta la città, anche da altre province(ad es. Bergamo) data la sua comoda posizione in prossimità della tangenzia-le Est di Milano.

Qui sa c’era il più grande spaccio di droga negli anni 80 in Italia. L’abbiamodebellato con una lotta. Poi anche la repressione (presidente di cooperati-va, persona molto impegnata in quartiere).

Lo spaccio avveniva sia di notte sia di giorno, favorito anche da due caratte-ristiche architettoniche e urbanistiche: I. la presenza di portici vuoti, privi diattività commerciali, sotto le “stecche” (le case bianche) che coprivano a occhiindiscreti le vendite; II. la particolare condizione di isolamento del quartiereche era attraversato da un’unica strada chiusa per cui, non essendovi passag-gio, esisteva un controllo completo da parte dei malavitosi nei confronti diqualunque estraneo che si avvicinasse, polizia compresa. Molto opportuna-mente, in anni recenti, questa strada è stata aperta e permette a chiunque diattraversare il quartiere liberamente sia in entrata sia in uscita.

Le conseguenze di questo consumo e spaccio, assai diffusi, sono statepesantissime: moltissime le famiglie che hanno perso almeno un figlio o perle conseguenze della droga o per essere stati coinvolti in sparatorie, per nonparlare poi dei giovani che hanno avuto guai con la giustizia e che sono fini-ti in carcere.

Noi abbiamo avuto generazioni di giovani morti, questo adesso non c’èpiù. C’è ancora qualche cosa, ma allora era proprio un fenomeno, colpitoanche il quartiere per bene. [...] Quindi ragazzi con famiglie per bene.Negli anni settanta-ottanta è stata pesante, abbiamo pagato un grossoprezzo (volontario).

Un altro triste lascito del periodo è l’elevato numero di malati di AIDS incarico ai servizi sociali.

Abbiamo tanti [in carico N.d.R.] della fascia 35-45 anni. Soprattutto inquella fascia lì abbiamo i malati di AIDS, che sono i vecchi tossicodipenden-ti ed eroinomani, che hanno sviluppato tutti la malattia e si trovano ades-so a 45 anni a gestire il virus (assistente sociale).

Negli ultimi anni il fenomeno, secondo i testimoni intervistati, è molto cala-to o, comunque, è molto meno visibile, probabilmente anche a causa delladiversa forma con cui si presentano le nuove droghe: non più sostanze dainiettare, ma pasticche sintetiche.

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In ogni caso attualmente i portici di Ponte Lambro, almeno di giorno, sonopercorribili tranquillamente e l’occhio estraneo non coglie nulla di anomalo.

Nonostante ciò diversi operatori, volontari, residenti dicono che qualche formadi consumo persiste, anche se non evidente come in passato.

Consumo avveniva e avviene anche in via Salomone, come afferma la seguentetestimonianza.

Qua c’era e non sappiamo bene se c’è ancora - il consumo di droga - c’era per-ché volavano fuori le siringhe dalla finestra del bagno. E poi nella scala sonostati visti. C’è stato un periodo in cui questo fenomeno era abbastanza visibi-le, probabilmente anche adesso continua. Coinvolge i ragazzi giovani e anchegli stranieri. […] C’è stato il periodo in cui è dilagata la droga, i primi anni chesono venuta ad abitare qua, negli anni ottanta, è stato un disastro, consumo,morti, poi c’è stato l’AIDS. E poi si è come un po’ smorzato (volontaria).

Infine, come nel resto della città, è diffuso il consumo delle cosiddette drogheleggere, anche tra i giovanissimi.

Qualche sfumacchiatina secondo me qualcuno se la fa, c’era stato soprattuttol’anno scorso il problema di un gruppo che prima o dopo scuola si ritrovava lìdietro però non siamo mai riusciti a mettere a fuoco esattamente chi erano(operatrice scolastica)

• Nuovo azzonamento

La città di Milano, a partire dal 1999, è stata suddivisa in 9 spicchi che partendodal centro accorpano le storiche vecchie zone semi-centrali con quelle più perife-riche. Le conseguenze sono state:

– le macrozone così ottenute hanno perso la vecchia riconoscibile identità (CittàStudi-Argonne, Lorenteggio-Inganni, ecc.)

– dal punto di vista statistico, le informazioni raccolte uniscono zone con caratte-ristiche differenti, fornendo dati “medi” poco utili. Ad es. la nuova zona 4 com-prende sia le aree semicentrali, come p.zza Cinque Giornate sia Ponte Lambro.Questo è, tra l’altro, il motivo per cui nella presente trattazione si è preferito,quando possibile, utilizzare il dato riferito alla vecchia suddivisione;

– le sedi dei consigli di zona, nonché quelle dei servizi socio-assistenziali e dei pre-sidi di pubblica sicurezza sono stati accorpati e spostati creando problemi all’u-tenza abituata ai vecchi servizi “sotto casa” indubbiamente più facilmente rag-giungibili, specialmente da parte delle persone anziane;

– questo allargamento del decentramento ha causato anche un calo della parte-cipazione politica attiva a livello locale e una dispersione dell’attenzione degliamministratori e decisori politici.

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Il fatto delle vecchie zone aveva questo vantaggio dove i territori erano più cir-coscritti e quindi l’istituzione era più vicina ai quartieri: il consiglio di zona eraqui in viale Ungheria e quindi più vicino. Questa vicinanza fisica secondo me eraimportante perché Ponte Lambro era un problema “primario” - per dire – per ilconsiglio di zona 13, non si può dire lo stesso per la zona 4 di oggi. La zona 4 èuna zona di 150.000 abitanti con tanti quartieri e quindi Ponte Lambro diventa“uno” dei tanti problemi che ci sono (ex presidente Consiglio di Zona 13).

5.2 I DATI DEI CENTRI DI ASCOLTO CARITAS

Una fonte primaria di informazioni sulle povertà e i bisogni in zona ci vienedalla Caritas locale. Infatti, la Caritas Ambrosiana gestisce all’interno dell’unitàpastorale Forlanini due centri di ascolto (S.Galdino e viale Ungheria) e unCentro di Prossimità Domiciliare. Per dare un’idea quantitativa del valore del-l’opera della Caritas, i due centri di ascolto hanno incontrato nell’ultimoanno57 172 persone in stato di bisogno, mentre il Centro di prossimità, sempre

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CARTINA CITTÀ DI MILANO CON NUOVO AZZONAMENTO (Fonte: www.comune.milano.it)

57 Rispetto ai due centri di ascolto, l’ultimo anno di cui si dispongono i dati completi è il 2004. Fonte:Caritas Ambrosiana, Osservatorio delle povertà e delle risorse.

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nell’ultimo anno58, ha ricevuto 603 richieste da 105 cittadini anziani che hannocomportato 1.123 interventi di risposta (dall’accompagnamento in auto pressoospedali e presidi assistenziali, al disbrigo pratiche, alla spesa, all’assistenza pasti);sono stati impegnati una trentina di volontari, venti dei quali con proprio auto-mezzo per un totale di 6.825 km e di 2.000 ore. Dal punto di vista qualitativo emer-ge chiaramente il valore della Caritas in zona, da quanto dichiarato nella premes-sa della Relazione attività 2005, dove si ricordano le ragioni di tale servizio: “[…]poter contribuire ad alleviare almeno alcune delle innumerevoli situazioni di disa-gio causate dal venire meno dell’autonomia dell’anziano in condizione di fragilità[…] nel contempo di costituire l’Osservatorio dei Bisogni, utile strumento chepossa aiutare a riflettere le coscienze della Comunità, in particolare quella cristia-na chiamata a vivere con coerenza l’insegnamento evangelico del condividere(dividere con) i bisogni dei fratelli, con concrete azioni di servizio”.

L’analisi dei dati raccolti dai due centri di ascolto Caritas (s. Galdino e di vialeUngheria) ha consentito di delineare un “identikit” delle persone che si sono lororivolte nel corso del 2004.

Le caratteristiche più frequenti dei soggetti dell’indagine sono: l’essere stranie-ro (73,8%), donna (83,1%), in età lavorativa (il 76,1% ha dai 25 ai 54 anni), coniu-gato/a (43,6%), con livello di scolarità medio (medie inf., qualifica professionale,diploma: 73,9%), disoccupato/a (57%), con nessun reddito o con un reddito insuf-ficiente a soddisfare le esigenze normali e straordinarie (33,8%).

Prevalgono le femmine: oltre i tre quarti (83,1%) dell’universo considerato sonoinfatti rappresentati da donne. La composizione per genere è uguale sia tra gli ita-liani che tra gli immigrati, registrando in entrambi i casi una maggioranza di fem-mine. Ciò è dovuto, oltre al fatto che le donne si recano al centro di ascolto peroffrirsi come badanti - professione più di tipo femminile -, al ruolo di care giveresercitato sempre e comunque dalla donna: è la moglie e la madre che si rivolgeal centro per portare i problemi della famiglia.

Le principali nazionalità di provenienza degli extracomunitari sono: Perù(18,6%), Ecuador (15,7%), Ucraina (6,4%), Romania (5,8%) e Marocco (5,2%).Sono leggermente diverse da quelle registrate nella ex zona 13 dal Censimento del2001, ma quasi completamente sovrapponibili a quelle rilevate nell’intero territo-rio della diocesi ambrosiana nello stesso periodo59. In particolare, si nota che i cen-tri d’ascolto della zona hanno incontrato una maggiore percentuale di immigratidai paesi dell’Est di quanto risulti dai dati ufficiali, dove ad esempio l’Ucraina risul-ta molto meno rappresentata al punto da collocarsi in 35° posizione. Questo dato

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58 I dati del centro di prossimità domiciliare si riferiscono al 2005. Fonte: Caritas Unità PastoraleForlanini (2006) Prossimità domiciliare. Relazione attività 2005.

59 Caritas Ambrosiana. Osservatorio delle povertà e delle risorse (2005), Quarto rapporto sulle povertànella diocesi di Milano, Oltre-In dialogo, Milano.

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conferma il ruolo di “sentinella” del volontariato che incontra in anticipo i nuovidisagi sociali, prima che questi arrivino alle istituzioni.

Sempre tra gli stranieri, come già si diceva, si rileva la presenza di persone privedi permesso di soggiorno (21,3%).

La classe di età dove si concentra il maggior numero di persone è 25-34 anni(33,1%), poiché risente della prevalenza di stranieri proprio in questa fascia di età.La presenza di persone che hanno 65 o più anni è abbastanza bassa (7,1%) e si con-centra esclusivamente tra gli italiani (28,6%) in quanto gli stranieri hanno al mas-simo 64 anni. Viceversa, il 52,7% degli stranieri ha un’età inferiore ai 35 anni.

Il 49,4% del totale (italiani e stranieri) non vive una relazione di coppia stabileo perché non ha ancora costituito una famiglia propria o perché ha vissuto la rot-tura o la perdita di un legame precedente.

In generale, le persone che si sono rivolte ai centri hanno problemi di occupa-zione (68,6%), di reddito (33,8%) e di abitazione (14,6%).

Inoltre, i dati dei due centri di ascolto della Caritas Forlanini confermano quan-to già rilevato a livello di diocesi, ossia l’esistenza di una dicotomia tra povertàmanifestate dagli italiani e dagli stranieri: il bisogno dell’occupazione è avvertitosoprattutto dagli stranieri (81,9% contro il 27,9% tra gli italiani); viceversa il biso-gno di reddito è maggiormente avvertito tra gli italiani (44,2% contro il 29,8% tragli stranieri). Infine, per quanto riguarda le problematiche abitative esse sonomaggiormente rilevate tra gli italiani (27,9%) che non tra gli stranieri (10,3%).Quest’ultimo dato non significa che gli immigrati non abbiano problemi abitativi,ma che la loro urgenza, al momento, è quella del lavoro, mentre per l’abitazionesi accontentano di soluzioni anche precarie e disagevoli.

Infine, tra i vari dati raccolti fa riflettere l’informazione che 6 persone senzadimora, pari al 3,5% del totale, (3 italiani e 3 stranieri) si siano rivolte ai due cen-tri di ascolto Caritas. Sono la spia di un fenomeno a cui alcuni intervistati hannoaccennato quando ci hanno raccontato che diverse persone vivono nei sottoscalao nelle case e fabbriche abbandonate e fatiscenti, a volte anche con conseguenzemolto gravi, come riferisce questo testimone.

Una settimana fa [è stato] fatto un funerale di un immigrato morto in unoscantinato. Vengono sub affittate le cantine. Bisognava intervenire prima (pre-sidente di cooperativa, persona molto impegnata in quartiere).

Per completezza, si ricorda che nella ex zona 13 esiste un altro servizio socialevolontario (con guardaroba) gestito dai Gruppi del Volontariato Vincenziano pres-so la Parrocchia Sacro Cuore a Ponte Lambro. Secondo una sua operatrice, le richie-ste che vengono più frequentemente rivolte al servizio sono le seguenti.

I problemi più frequenti sono la casa e il lavoro. Chiedono di trovare casa, lavo-ro, vestiti, di aiutarli per pratiche varie, necessitano di assistenza sanitaria,vogliono imparare la lingua. Gli aiuti alle famiglie dai servizi sociali si sono

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molto ridotti […] Gli utenti stranieri sono la maggioranza, circa il 70%. Sonosoprattutto arabi e sud americani: tra questi ultimi adesso stanno arrivandotantissimi boliviani perché il Paese non chiede il visto di uscita. Prima è statol’Ecuador e prima ancora il Perù.

Infine, ci sembra utile sottolineare come il vero problema sia la concentrazionedi tutti questi disagi in un’unica area e sulle stesse persone. Si tratta di un fenome-no, già rilevato in letteratura, presente nelle periferie milanesi come in quelle delresto d’Europa, causato da una strategia politica che realizza Large Housing Estate(LHE) “sistemi abitativi omogenei costruiti su larga scala (almeno 2.000 alloggi) econ materiali di bassa qualità, falansteri pensati per alloggiare i ceti medi e medio-bassi localizzati nelle zone più periferiche della città”60. Questi LHE vengonocostruiti nei quartieri della cintura e assegnati a persone multiproblematiche inbase a graduatorie basate sul bisogno. Si tratta, infatti, di persone che hanno dif-ficoltà, che vivono quella che viene definita “vulnerabilità sociale”61, ossia unasituazione problematica derivante dalla necessità di svolgere compiti sociali crucia-li in mancanza di set adeguato di risorse, di capacità e di relazioni d’aiuto. Proprioper le loro caratteristiche queste persone necessiterebbero di un maggiore accom-pagnamento e di un ambiente facilitante, ricco di servizi sociali e assistenziali einvece vengono messi in un contesto disagiato, con barriere e ostacoli fisici che nerendono difficile il raggiungimento, talvolta abbandonato dall’amministrazionepubblica e con un’immagine stigmatizzante, imposta dai mass media in primis, chene aumenta il senso di abbandono e di insicurezza. Gli abitanti del quartiere vivo-no, infatti, questo duplice sentimento: da un lato vedono amplificata la propriaauto-percezione di insicurezza e dall’altro sono causa della stessa nei confrontidegli altri cittadini.

Per dare un’idea della multiproblematicità delle persone che abitano in quartie-re, riportiamo alcuni brani tratti dall’intervista a una signora anziana abitante invia Salomone.

Abbiamo avuto molti bassi e pochi alti perché purtroppo se parliamo di salu-te io non ne ho mai avuta, mio marito a 38 gli hanno diagnosticato un tumo-re, da un anno di vita che gli avevano dato è arrivato a settanta, certo più cheavanti e indietro dagli ospedali non si faceva. Ero in incinta quando me lohanno detto e si immagini un po’. A parte gli altri figli che erano piccoli, lacosa si presentava molto male, non poteva andare a lavorare, faceva moltachemioterapia, lo usavano come cavia, come usciva una nuova chemio glielafacevano a lui. Siamo andati avanti, si faceva qualche lavoro in casa. [La fami-

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60 Mugnano S. (2005), Le traiettorie dei quartieri periferici milanesi in Zajczyk F., Borlini B., Memo F.,Mugnano S., (2005), Milano. Quartieri periferici tra incertezza e trasformazione, B. Mondatori, Milano, p. 33.

61 cfr. Castel R. (1997), “Disuguaglianze e vulnerabilità sociale” in Rassegna Italiana di Sociologia, n. 1,pp. 41-56; Ranci C. (2001) in Irer, Rischio e vulnerabilità in Lombardia, pp. 261-332.

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glia era composta da 2 figlie e 3 maschi, un figlio è morto in un incidente, unosi è sposato e separato N.d.R.] Siamo rimasti solo io e mio nipote. Mio nipotelavora qua a Milano, mio nipote con la scuola è sempre stato una frana, l’han-no anche buttato fuori dalle medie, perché non ne potevano più, si drogava,ha avuto problemi con la giustizia, ma per fortuna adesso ha un buon lavoro.Io pago adesso fino a Dicembre quasi 250 euro però la spazzatura è extra.Prima era tutto compreso ma adesso è un po’ di anni che è extra. Quest’annonon è ancora arrivata o pago l’affitto o pago l’immondizia. Perché io prendola reversibilità e di invalidità prendevo 240 euro, quando ho preso la reversibi-lità 580 euro, mi hanno tolto sei euro perché superavo la cifra. E quindi nonposso scialacquare. Oggi ho ricevuto una telefonata che aspettavo tanto, cheil trenta di questo mese, fino a domenica prendo una pastiglia, da lunedì nien-te più e il trenta devo essere al San Paolo perchè mi danno una cura radioat-tiva da fare. Se venivate dopo il trenta non potevate entrare.

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Milano, ex zona 13: il territorio come arcipelago

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CAPITOLO 6

LE RISORSE

6.1 ASSOCIAZIONI, COOPERATIVE, VOLONTARIATO

6.1.1 Risorse a Ponte Lambro

Partendo dalla sintesi realizzata dal documento Muovere Ponte Lambro62, pos-siamo dire che Ponte Lambro è oggetto di diverse forme di mobilitazione dall’al-to e dal basso.

Tra le forme di mobilitazione dall’alto bisogna evidentemente considerare il“Progetto di riqualificazione Ponte Lambro” a cura di Renzo Piano.

Tre le azioni previste nell’ambito della fase attualmente in atto63:

- Il laboratorio di quartiere: consiste in un ufficio con il compito di promuo-vere la sensibilizzazione, l’informazione, la formazione e la comunicazione tragli abitanti e tra gli abitanti e le istituzioni, lavorando a ridurre in questomodo la distanza che attualmente li separa. Gestito dal personale del SettorePeriferie del Comune di Milano, oggi si colloca all’interno di uno degli appar-tamenti delle case bianche di via Ucelli di Nemi. E’ destinato a trasformarsi inuna struttura che attraverserà trasversalmente le “stecche” dell’ALER da partea parte includendo al suo interno diversi servizi alla comunità, tra i quali ancheil servizio di portierato sociale.

- Il piano di accompagnamento sociale: si tratta di un programma di azionifinalizzato ad avvicinare gli abitanti ai processi decisionali relativi ai temi del

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62 Comune di Milano-Politecnico di Milano (a cura di) (2004), Muovere Ponte Lambro, Milano.63 Ibid., p. 40-41

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progetto. Esso è stato affidato dal Comune in passato alla Martini Associati eda febbraio 2006 all’IRS - Istituto per la ricerca sociale e ha portato alla costi-tuzione del Forum, e cioè di una sistematica occasione di messa in relazionedegli abitanti. In particolare oggi il Forum è frequentato da una ventina di per-sone, tra cui spicca un numeroso gruppo di anziani e/o pensionati da anniimpegnati nel quartiere a livello di volontariato (Cooperative, Acli, Arci, ecc.).

Accanto a questi interventi del pubblico, esiste un’attivazione da parte deisoggetti privati: si tratta della Fondazione Monzino, del proprietario dell’ex-falegnameria Besia e della società Prato magro s.r.l. responsabile del progettoper la realizzazione di una Residenza Sanitaria Assistita in quartiere.

Per quanto riguarda la mobilitazione dal basso, bisogna ricordare che PonteLambro, oltre a tanti problemi, ha avuto da sempre anche tante risorse di cit-tadini e associazioni attorno alle quali ruota la vita sociale e comunitaria. Essesono:

- la Cooperativa di Consumo, la cui fondazione risale al 1921, che da allorasvolge una funzione aggregativa nel quartiere: è sede della Valentia–calcio,società sportiva con 40 iscritti tra i 20 e i 35 anni, che partecipa al campionatodi seconda categoria; ospita la società ciclistica “Esposito”; offre quotidiana-mente un servizio di ristorazione; in primavera e in estate durante i fine setti-mana organizza serate danzanti con musiche dal vivo che richiamano moltissi-ma gente sia del quartiere sia di fuori;

- la chiesa e il relativo centro parrocchiale che, realizzate tra gli anni ’70 egli anni ’80 in concomitanza con lo sviluppo residenziale del quartiere, hannosempre assolto e tutt’ora assolvono un’insostituibile funzione di accoglienza,ascolto e servizio rivolti a ogni fascia della popolazione;

- i comitati locali che si sono sviluppati nell’ambito dei processi di risana-mento del quartiere, a partire dalla seconda metà degli anni 80, con l’obietti-vo di coinvolgere gli abitanti e aggregare i rispettivi interessi per contribuirealla formazione di scelte inerenti il quartiere: all’esperienza di “Insieme perPonte Lambro” oggi si sono sostituite quella del Forum e del Nuovo Comitatoche, per quanto originate in maniera diversa (nell’ambito del Piano di accom-pagnamento sociale la prima e su spinta di tipo partitico/politico la seconda),lavorano oggi parallelamente alla riaggregazione locale degli interessi degliabitanti. Il luogo fisico che ne ospita le attività è il Centro Civico, struttura delConsiglio di Zona 4 che ha rappresentato negli anni e continua a rappresenta-re un punto di riferimento importante per la comunità locale.

Inoltre a Ponte Lambro sono attivi numerosi soggetti del volontariato e delprivato-sociale che con modalità e scopi diversi offrono un prezioso contribu-to al quartiere, dotandolo di servizi e attività importanti.

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Tra questi:

• l’Associazione Alice, associazione di ispirazione laica e democraticache, a seguito di un accordo con i servizi sociali, opera in quartiereoffrendo un servizio di doposcuola per minorenni problematici;

• il Gruppo di Volontariato Vincenziano, che opera a Ponte Lambro dal1976 e che costituisce la struttura attraverso cui vengono organizzatele diverse attività che si svolgono nella parrocchia: il centro di ascolto,il servizio di mediazione familiare, l’ambulatorio medico, e corsi di cul-tura e lingua italiana per stranieri;

• il Centro evangelico Oikos, che (di recente apertura) si propone didiventare un nuovo punto di riferimento per il quartiere attraversol’organizzazione di eventi, iniziative, attività e servizi rivolti alla comu-nità locale;

• le Guardie ecologiche volontarie, che hanno una sede in quartiere trala via Parea e la via Vittorini e sono stati spesso partner di iniziative dipromozione dell’educazione ambientale in loco;

• le scuole del territorio che spesso collaborano a diversi progetti messiin atto dai soggetti locali;

• lo spazio “Tempo per le famiglie” che si occupa di fornire sostegno aigenitori dei bambini piccoli;

• diversi commercianti e ristoratori;

• Cooperativa sociale La Strada, è proprietaria in quartiere di una ampioedificio a corte recentemente ristrutturato e ospita una comunità-alloggio per malati terminali di AIDS;

• C.A.G. - Centro di Aggregazione Giovanile di Ponte Lambro, che sirivolge alla fascia adolescenziale e preadolescenziale con attività ludi-che, didattiche e di formazione che è gestito in appalto per conto delComune dalla cooperativa Mosaico;

• Cooperativa sociale Comunità Progetto, che dal febbraio 2002 èresponsabile a Ponte Lambro di un progetto di educativa di strada;

• Cooperativa sociale Diapason, che con il progetto Azimut offre perconto del Comune un servizio di orientamento ad personam e di valo-rizzazione delle capacità personali rivolto alla popolazione giovanile diPonte Lambro;

• Sicet (Sindacato Inquilini Casa e Territorio) e l’Unione Inquilini, che, purnon avendo (più) una sede a Ponte Lambro, seguono costantemente levicende locali;

• Gruppo Missionario, via Parea 18.

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6.1.2 Risorse al Forlanini

I. Elenco Associazioni o iniziative presenti sul territorio dell’Unità Pastorale Forlanini,collegate o comunque operanti con Caritas dell’Unità Pastorale Forlanini:

• Caritas U.P. Forlanini, via Salomone 23- Centro di Ascolto- Centro Prossimità Domiciliare- Gruppo Volontari c/o RSA “Gerosa Brichetto”- D.A.I. (Domenica Anziani Insieme)- Doposcuola del Sabato

• Area Disabili- Associazione “La Nostra Comunità”, via Zante 36- Cooperativa “Lo Specchio”, via M.Bruto 24/26

• Area Stranieri- Associazione “La Grangia”, via Monluè 87- Associazione “Centesimus Annus”, via Monluè 65

• Area Giovani- C.A.G. “Tempo e poi”, via Salomone 23

• Aree Varie- S. Vincenzo (distribuzione viveri), v.le Ungheria 32- Centro Ascolto S.Vincenzo (ambulatorio), via Parea 18- Assistenza Malati (infermieristica) S. Lorenzo Monluè, via Monluè 87- Assistenza Malati (infermieristica), S. Galdino, via Salomone 23- Banco Alimentare, via Parea 18

II. Elenco altre associazioni attive al Forlanini:

- Centro Anziani “Zante”, via Zante 36

- Centro Anziani “Salomone”, via Salomone 28

- Arci “Mecenate”, via Mecenate

- Al-Anon (offre supporto psicologico agli alcolisti, loro familiari e amici), via Fantoli 10

- Centro Umanista “La Svolta”, viale Ungheria 20.

- CSE - Centro Socio educativo per handicap “Gonzaga”, l.go Guerrieri Gonzaga 4.

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CENTESIMUS ANNUS

LA GRANGIA DI MONLUÈ

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CAG-CENTRO DI AGGREGAZIONE GIOVANILE

CASE BIANCHE DI VIA SALOMONE, VISTE DALLA PARROCCHIA S. GALDINO

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CONCLUSIONI

In realtà, quanto è stato detto finora coglie solo alcuni degli aspetti di unarealtà molto più complessa e dinamica. L’elemento centrale è che l’intero quartie-re è oggetto di grandi trasformazioni, alcune avviate, altre solo annunciate, chenell’insieme sono destinate a cambiare profondamente la configurazione dell’in-tera area. Quello che interessa sottolineare è che tali mutamenti da un lato sonoespressione di interessi, progetti, logiche che prescindono completamente nonsolo dal quartiere ma anche dalla città; e dall’altro, essi si danno su porzioni terri-toriali anche limitate, secondo logiche molto diversificate.

Il risultato è quello di una rapida e profonda eterogeneizzazione del territorio,che dà molto bene il senso dell’impatto della globalizzazione sul tessuto urbano.

Oggi non si può più prescindere dalle conseguenze della globalizzazione. Comeammonisce Bauman, “tutte le località (comprese segnatamente quelle altamentemodernizzate) devono sopportare le conseguenze del trionfo globale dellamodernità. Si trovano ora di fronte all’esigenza di cercare (invano, a quanto pare)soluzioni locali a problemi prodotti globalmente” (Z. Baumann, 2004, p. 9).

L’aspetto che ci interessa qui rilevare è che, già oggi, si può notare la fortissi-ma spinta alla frammentazione che si va producendo sull’intera zona, i cui ele-menti sono sottoposti a sollecitazioni del tutto diverse e soprattutto incomuni-canti tra loro.

Intanto, i processi avvengono per via del combinarsi dell’azione di una pluralitàdi attori privati: attori finanziari – come nel caso di S. Giulia -, attori economici –come in via Mecenate -, sociali – come gli immigrati della Trecca – istituzionali –come a Ponte Lambro. Per certi aspetti si va riproducendo quello che è avvenutoin altre epoche storiche, con la sostituzione di alcune popolazioni con altre, di

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alcune funzioni con altre. Quello che è specifico è la grande varietà nello spettrodelle connessioni che tali processi presuppongono e determinano, con effetti tuttida verificare sul territorio. Grande varietà che vede tra l’altro la debolezza dell’am-ministrazione comunale, secondo uno schema che si sta verificando in tutta la cittàdi Milano.

Per quanto riguarda l’impatto di queste trasformazioni sugli abitanti, esso sem-bra esprimersi nei seguenti punti:

1) in generale, la gente comune, pur rendendosi conto dei cantieri, non conosce iprogetti in atto che interesseranno il quartiere, solo le persone più impegnatesia a livello politico, che sociale sanno qualcosa ma non tutto, tant’è che si parladi “mondo sommerso” e si lamenta la mancanza di coinvolgimento della zonache, invece, avrebbe “diritto a dire la sua”, a esprimere i propri desideri e preoc-cupazioni. L’impressione è che stia tutto accadendo di nascosto e che gli uniciinformati siano gli addetti ai lavori. L’unica eccezione è rappresentata da PonteLambro, dove, grazie al Laboratorio di quartiere qualcosa si sa di più e se nonaltro si fa uno sforzo di coinvolgere le persone per informarle dei cambiamen-ti, anche se a questo proposito, bisogna ammettere che, anche quando vienedata alla popolazione l’opportunità di informarsi, la partecipazione e il con-fronto sono sempre scarsi e difficoltosi: manca ancora la coesione, non c’è ilsenso della città, bisogna cercare di lavorare su questo, è chiaro che in questomomento la strada [da percorrere è quella N.d.R.] del confronto (ex presidenteConsiglio di Zona 13).

2) Non conoscendo bene i programmi e, al di là delle dichiarazioni teoriche, la loroeffettiva realizzazione, c’è molta diffidenza e un atteggiamento di attesa; pur-troppo però questo potrebbe essere molto negativo, potrebbe essere del temposprecato. Gli attori sociali, politici e i semplici cittadini riuniti in comitati potreb-bero, infatti, cercare di conoscere meglio i progetti, dovrebbero esigerlo daicostruttori e avviare un confronto, una “presa in carico” del proprio futuro perproporre anche modifiche rilevanti, prima che i lavori diventino definitivi. Unruolo di promozione di questa nuova sensibilità potrebbe essere attribuitoall’associazionismo e al volontariato.

3) Quello che sembra mancare è, soprattutto nel caso della ex Caproni e di SantaGiulia (Ponte Lambro anche in questo caso rappresenta un’eccezione), un ruolodi coordinamento dell’amministrazione comunale. Manca una strategia delsoggetto pubblico. Quello che sta avvenendo nella ex zona 13 di Forlanini-Taliedo-Ponte Lambro, si sta verificando in tutta la città di Milano: “Ampie zonedella città, precedentemente occupate da aree dismesse (sette milioni di mq),vengono ora lasciate in mano all’attore privato, che le trasforma in prestigiosearee residenziali, in luoghi della nuova economia culturale, in punti nevralgicidella grande distribuzione o in enormi spazi espositivi rivolti al mercato inter-

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nazionale. Nell’ambito di questi grandi progetti, il soggetto pubblico conservaspesso un ruolo sostanzialmente passivo, limitato all’approvazione formale deiprogetti, o comunque poco propenso alla promozione di processi di coinvolgi-mento degli altri attori portatori d’interesse sul territorio”64.

4) Il rischio che consegue dalla delega totale all’iniziativa degli imprenditori priva-ti è, evidentemente, che l’indubbia potenzialità di questi grandi progetti, inve-ce di portare un valore aggiunto al quartiere sia un ulteriore fattore di divisio-ne, di aumento delle disuguaglianze tra i vecchi e nuovi abitanti, di innesco dinuove dinamiche di marginalità, da cui, tra l’altro, deriveranno inevitabilmenteproblemi di sicurezza. Da questo rischio ci mette bene in guardia il sociologoBauman quando ci ricorda che “nelle città un po’ ovunque nel mondo, stannocominciando ad evidenziarsi certe zone, certi spazi – fortemente correlati adaltri spazi ‘di valore’, situati nel paesaggio urbano, nella nazione o in altri paesi,anche a grandissima distanza – nei quali d’altra parte, si avverte spesso un tan-gibile, crescente senso di distacco dalle località e dalle persone che sono fisica-mente vicine ma socialmente ed economicamente distanti”65. Si formano, inquesto modo due mondi-di-vita separati, segregati. I nuovi arrivati “benché sitrovino, proprio come gli altri, ‘sul posto’ non sono ‘di quel posto’ […] Quellidella “prima fila” non appartengono al posto in cui abitano, dal momento chei loro interessi stanno (o meglio, fluttuano) altrove. Si può supporre che nonabbiano acquisito altri interessi, per la città in cui si trovano ad abitare, se nonquesti: essere lasciati in pace, liberi di dedicarsi completamente ai propri svaghie di assicurarsi i servizi indispensabili (comunque si voglia definirli) alla necessitàe ai comfort della vita quotidiana”66. Come saranno i rapporti tra i vecchi e inuovi abitanti? Tra questi ultimi ci sarà il nuovo Gerosa? Un medico che ha vis-suto il privilegio mettendo la sua vita a servizio degli ultimi e riqualificandoPonte Lambro fondando proprio lì il Centro Cardiologico Monzino, istituto diriconosciuta eccellenza e fama? Oppure, saranno persone che vivranno separa-te dagli altri, senza alcun desiderio di integrarsi e nessun interesse per il quar-tiere, pronte a trasferirsi alle prime difficoltà di convivenza?

5) In zona va aumentando la sensazione di una lontananza fisica e simbolica delleistituzioni, manca una qualche forma di mediazione perché troppo grande è ladistanza tra i progetti dichiarati e la realtà del quartiere. Anche a PonteLambro, - che come già detto è un’eccezione grazie al Laboratorio di quartie-

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64 Zajczyk F., Borlini B., Memo F., Mugnano S., (2005), Milano. Quartieri periferici tra incertezza e tra-sformazione

65 Fiducia e paura nella città66 Bauman Z. (2005), Fiducia e paura nella città, B. Mondatori, Milano, p. 13.

Ibid., pp. 14-15.

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re – le cose non sono così facili, perché i continui stop-and-go imposti al pro-gramma e i continui tagli ai finanziamenti determinano un diffuso malumoreche sconfina poi in un senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni. E questoè tanto più probabile quanto più il quartiere vede perdere quelle figure dimediazione con la realtà che nel passato hanno avuto invece una grande rile-vanza. Ci sarebbe bisogno di una mediazione tra popolazione e governo dellacittà più incisiva, più pressante.

In effetti, dal punto di vista della socialità, la ricerca registra già alcuni cambia-menti su cui forse varrebbe la pena di riflettere approfonditamente.

In primo luogo, pur essendo un’area che è oggetto di grandissimi investimenti,colpisce la presenza di disuguaglianze radicali, con il formarsi di microcosmi degra-dati che concentrano persone in una situazione problematica.

In secondo luogo, la perdita di leggibilità del territorio, l’aumento dell’eteroge-neità della popolazione, i mutamenti nella stessa organizzazione della vita quoti-diana – dovuti per esempio al traffico mutevole in base ai ritmi e agli orari dellediverse parti del quartiere o all’organizzazione di eventi particolari in una datazona in grado di determinare flussi anche consistenti di auto o persone – associa-ti alla formazione di un’immagine stigmatizzante di alcune aree imposta dai massmedia – tende a far crescere tra la popolazione il senso di abbandono e di insicu-rezza. Il che minaccia uno dei dati distintivi di quest’area, che ha invece fatto dellasocialità di quartiere una risorsa importante per affrontare i diversi passaggi dellasua storia. Il timore è che si stia creando un mondo frammentato, fatto di logiche,tempi, velocità, orientamenti diversi, destinati a non incontrarsi perché tra loroincompatibili.

Tuttavia, vogliamo concludere in maniera più ottimista, con le seguenti conside-razioni.

Come si è visto, l’ex zona 13 è un impasto complesso di tanti elementi giustap-posti: forte presenza industriale e operaia, peso dell’immigrazione dal Sud, inten-si processi di insediamento abitativo pubblico, arrivo di immigrati extracomunita-ri. Il risultato è stata sì la concentrazione dei problemi tipici di tutte le periferie -ossia povertà economica e culturale, bassi livelli di istruzione, disoccupazione, crisidell’economia e del commercio locale, carenza di modelli educativi, difficoltà diintegrazione tra abitanti autoctoni e immigrati provenienti dal Sud d’Italia, pro-blemi di rapporto tra culture diverse, solitudine degli anziani, degrado delle abi-tazioni, abusivismo, illegalità, isolamento sociale e fisico. Ma, nonostante tuttoquesto, nel quadro di un contesto dinamico dal punto di vista economico, socialee culturale, questo mix, oltre a determinare problemi anche acuti, ha altresì gene-rato importanti risorse di auto-organizzazione. Intere parti del quartiere si sonotrasformate in maniera profonda nel corso degli anni dal punto di vista urbanisti-co e della composizione sociale, ma l’organizzazione interna rimane buona e ladotazione infrastrutturale più che accettabile.

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Un tale risultato si spiega grazie al mix di risorse presenti in questa zona.Innanzitutto, risorse istituzionali. Certamente, gli intervistati si lamentano della

carenza di servizi in zona, sia pubblici (socio-assistenziali, di pubblica sicurezza,sportivi, trasporti, biblioteche) sia privati (edicole, luoghi di commercio al detta-glio, di aggregazione e divertimento per i giovani). Ma rimane vero che, anche inrapporto ad altri contesti, la ex zona 13 conserva una straordinaria dotazione diinfrastrutture di base, con una buona rete scolastica, di trasporto e di sicurezza.

A ciò si deve aggiungere una buona capacità dell’ente pubblico di impostareazioni di contrasto e di promozione sociale. Basti ricordare l’intervento che è statorealizzato a Ponte Lambro - con l’azione di repressione delle infiltrazioni mafiose- e, più di recente, l’avvio del processo per la definizione di un nuovo contratto diquartiere. Alla Trecca, invece, si deve ricordare l’avvio di alcuni interventi di riqua-lificazione: dal punto di vista ambientale, con la bonifica dei vecchi capannoniindustriali, ormai dismessi e fatiscenti, e la loro sostituzione con nuovi caseggiatidi edilizia residenziale e di aree di verde pubblico attrezzato; dal punto di vistasociale, con l’arrivo presso le case bianche di via Salomone della portiera socialedell’ALER - Azienda Lombarda Edilizia Residenziale (da ottobre 2005) e della custo-de sociale della Fondazione e Associazione Fratelli di S. Francesco d’Assisi Onlusconvenzionata con il comune di Milano (luglio 2005).

Indubbiamente, l’azione delle istituzioni pubbliche può avvantaggiarsi dellapresenza di un vivace terzo settore. Abbiamo già ricordato il ruolo che il comitatodi quartiere ha avuto nel richiamare l’attenzione su Ponte Lambro. Ma più ingenerale, l’area dispone di numerose risorse dal punto di vista delle cooperative edelle associazioni di volontariato di ispirazione sia cattolica che laica, con interessiche spaziano dagli stranieri (Grangia di Monluè, Centesimus Annus), agli anziani(centro ricreativo e socio culturale di via Zante e di via Salomone), ai disabili (coo-perativa Lo Specchio), ai malati di AIDS e terminali (Cooperativa sociale La Strada),per citare solo alcuni casi.

Altre iniziative, in convenzione con il comune o con altri enti pubblici, sviluppa-no importanti iniziative quali i due CAG - Centri di Aggregazione Giovanile – diPonte Lambro, gestito dalla cooperativa Mosaico e quello di S. Galdino “Tempo epoi” (proprio di fronte alle case bianche di via Salomone).

La risorsa dei CAG - Centri di Aggregazione Giovanile è molto importante siaperché è una delle pochissime proposte che vengono fatte ai ragazzi e agli adole-scenti in zona sia perché ha una forte valenza educativa e può contare su coordi-natrici ed educatori molto giovani e molto motivati, come è stato riconosciutospontaneamente dai minori intervistati.

Un ruolo di grande rilievo lo hanno avuto le realtà ecclesiali, sia per la storicapresenza di importanti realtà religiose, sia per la grande attenzione che la chiesamilanese ha da sempre riservato alle periferie, attenzione dimostrata con la tempe-stiva creazione delle nuove parrocchie che hanno accompagnato il loro sviluppo.

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Più di recente, la chiesa ambrosiana ha sperimentato, proprio in questa zona,alcune forme innovative dal punto di vista organizzativo, con l’introduzionedell’Unità Pastorale Forlanini che istituzionalizza la collaborazione tra parrocchie.D’altra parte, si conferma ancora una volta che i due parroci intervistati sonoprofondi conoscitori della zona e sono, a loro volta, ben conosciuti dagli abitanti,dalle istituzioni e dagli operatori.

Oltre alla presenza delle parrocchie, va poi ricordato il lavoro delle suore vin-cenziane, che svolgono un insostituibile compito di assistenza sanitaria nei con-fronti delle persone anziane e più emarginate (ruolo riconosciuto anche dagli ope-ratori pubblici), e delle Piccole sorelle di Charles de Foucauld, che abitano in unappartamentino collocato all’interno delle case popolari di via Salomone e svolgo-no un ruolo molto apprezzato di condivisone e di apertura ecumenica soprattut-to nei confronti delle famiglie di immigrati extracomunitari, anche di religionemusulmana.

Risulta ben radicata e attiva anche la Caritas locale, che gestisce due centri diascolto (S. Galdino e viale Ungheria) e un Centro di Prossimità Domiciliare.

Infine, non va dimentica la risorsa umana: nel corso dell’indagine abbiamoincontrato tantissime persone piene di amore per il proprio quartiere e desidero-se di migliorarlo sempre più, dall’adolescente che vuole rimane a vivere in zona,all’educatrice che si spende per i propri giovani, al volontario profondo conoscito-re delle dinamiche sociali, al presidente di cooperativa molto attivo in quartiere.

E’ proprio su queste risorse che bisogna puntare per evitare che questo territo-rio diventi sempre più un arcipelago, fatto di isole che fanno fatica a comunicaretra di loro e la cui popolazione rischia di non incontrarsi mai.

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