LA CGIL DIRITTI UNIVERSALI DEI LAVORATORI · dente della Coop, sostiene che pacta non sunt...

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SANITÀ NON C’È PACE TRA GLI ULIVI [pag. 2] CONDUOCENTE [pagg. 3] IL DISEGNO DI LEGGE BOSCHI [pag. 4-5] LA DIVINA COMMEDIA DI DANTE E FOLIGNO NEL 1472 [pagg. 7] USCENDO DAL CINEMA [pag. 8] SOMMARIO FOLIGNO – Marzo 2016 20 Avremmo voluto continuare a titolare su Nando che balla. Sarebbe stata un’anafora, figura retorica sopportabile solo a piccole dosi. Ma proprio di questo si tratta. Il sin- daco di Foligno ad ogni passaggio si trova di fronte a difficoltà amministrative che lo costringono a contorcimenti e piroette. È il caso dello dell’ex Zuccherificio e del progetto “Il Campus”. La mozione del sindaco Mismetti il 27 ottobre 2015 propone una mozione che prevede la divisione in due comparti del Piano attuativo. In primo luo- go si prospetta “la demolizione e ricostru- zione dell’edificio di proprietà Gabrielli, con l’individuazione di un comparto autonomo del Piano attuativo”. In altri termini Gabrielli demolisce e ricostruisce più lontano dalle mura e dalla Torre dei Cinque Cantoni, ma deve ricalcolare gli standard per il suo intervento. Non basta. Si tratta anche di diminuire “nell’area dell’ex Zuccherificio, [la] superficie commerciale per la quota parte in capo a Gabrielli [che non trove- rebbe più nell’area la sua collocazione] e di un’ulteriore quota in misura da definire”. Ancora. La proposta prevede “il ricalcolo di tutti gli standard; l’eventuale atterrag- gio altrove di superfici appartenenti a va- rie destinazioni d’uso [gli edifici destinati a residenze?]; l’eventuale rinegoziazione delle opere di urbanizzazione da realizza- re (anche in considerazione dell’assenza di oneri di esproprio per l’area Gabrielli); l’inserimento, previa rivisitazione, del pro- getto del Parco delle scienze e delle arti. Tale ipotesi configurerebbe la necessità di una variante al Piano attuativo in variante al PRG, per il mancato spostamento della superficie commerciale Gabrielli nell’a- rea ex Zuccherificio; una diminuzione del carico urbanistico ed incremento delle condizioni di sicurezza idraulica. Ma non è ancora sufficiente. Il sindaco avverte che “Il Piano attuativo in oggetto è stato convenzionato in data precedente all’ap- provazione del P.A.I (Piano Assetto Idro- geologico), secondo il quale, in base alla normativa attualmente vigente, è possibile fare varianti al Piano attuativo che interessi l’ambito “Il Campus” purché non ci siano un incremento del carico urbanistico e un aggravio delle condizioni di rischio”. Chie- de, infine, al Consiglio comunale di essere delegato a trattare con la proprietà. Questa la mozione, che salva naturalmente l’idea del Parco della scienza, per il cui proget- to sono stati spesi 212 mila euro (42.000 del Comune e 170.000 del Miur). Ma che significa fuori di chiave? In sintesi una ri- duzione dei volumi previsti sia della parte commerciale che di quella residenziale. Coop Centro Italia non ci sta Naturalmente Coop Centro Italia dissente, non tanto perché ansiosa di realizzare il progetto, quanto perché una riduzione dei volumi potrebbe mettere a rischio la stessa vendita dell’area. Non a caso Raggi, presi- dente della Coop, sostiene che pacta non sunt servanda, dapprima in una nota con cui dichiara di non dare nessuna validità alla mozione del sindaco, che provvede a ritirarla, poi di recente con una lettera aperta ai consiglieri comunali a cui alle- ga la memoria presentata al Tar, che do- vrebbe essere discussa il 6 giugno 2016. L’opposizione principale è la riduzione dell’area da costruire, si afferma: “ci risul- ta difficilmente comprensibile il motivo per il quale si vogliano ridurre le autorizzazioni già concesse anche in modo superiore alla stessa superficie del concorrente”; e si ag- giunge: “non c’è, da parte nostra, alcuna condivisione sulla impostazione della deli- bera e tantomeno sui punti che verrebbero posti alla nostra attenzione”. Si sostiene che “risulta per noi difficilmente compren- sibile come sia possibile attuare una va- riante di Piano Regolatore Generale in pre- senza di atti abilitativi alla realizzazione di circa 24.000 mq già concessi di cui 6.600 commerciali nonché 4.300 di pubblici esercizi per la realizzazione in totale di una struttura commerciale di 11.000 mq. Sia- mo peraltro in presenza anche di un’au- torizzazione amministrativa al commercio per una struttura di 5.500 mq di vendita. Sia le autorizzazioni edilizie che quelle al commercio hanno scadenza 2019”. Inol- tre, “l’impostazione della suddivisione in due comparti del Piano attuativo richiama in realtà la nostra contestazione iniziale di ormai oltre 10 anni fa, quando facemmo ricorso proprio avverso la non suddivisione dei comparti: non è certo per noi di gran- de soddisfazione il fatto che si riconosca, dopo tanti anni, l’errore compiuto da chi oggi propone la modifica. Nel frattempo i capitali sono rimasti immobilizzati, l’espro- prio contrattualmente previsto [dell’area Gabrielli] non si è attivato e i danni risul- tano ingenti”. Si aggiunge, infine, che “In assenza di dialogo e di proposte concrete, nella propria autonomia Coop Centro Italia deciderà se alienare o realizzare quanto già concesso nei tempi previsti”. Quanto concesso sono le autorizzazioni a costru- ire dell’8 maggio 2013, affidate a Futura società consortile a responsabilità limitata di cui legale rappresentante è Domenico Metelli e soci la Luigi Metelli spa e la Tofi impianti srl. Dai documenti allegati nel ri- corso al Tar risulta che i lavori dei blocchi 6 e 7 e 5 e 9 sarebbero dovuti iniziare il 9 maggio 2013, ma già nel 2014 la Coop dichiarava di essere pronta a vendere. Giochi di teatro Abbiamo riportato ampi brani della mozio- ne del Sindaco e della risposta della Coop, non tanto per completezza di informazio- ne, ma per rendere evidente come ci si trovi di fronte ad uno scarica barile in cui www.alquadrivio.wordpress.com foto Studio Troncone, Napoli Negli ultimi anni sono state promosse dalla CGIL / FIOM, campagne di mobilitazione e contrasto nei confronti di tutte le leggi ini- que che hanno cancellato i diritti di tutti i lavoratori. La politica governativa in atto, ha cercato e sta cercando tutt’ora di giocare sulla poca conoscenza della Costituzione e delle leggi che regolano il lavoro di tutti gli italiani. I vari governi, e soprattutto l’attuale, hanno iniziato un attacco denigratorio, discrimi- nante e di abbattimento sociale verso chi si è eretto ad argine contro questa retro- cessione dei diritti e dei valori democratici. I nostri governanti stanno basando le loro azioni pseudo riformistiche su due principali metodi: l’ignoranza generalizzata e il divide et impera. La precarietà e la contrapposizione tra la- voro pubblico e privato sono stati usati per ridurre le tutele dei lavoratori. L’indifferenza del popolo, leggi ben mirate e appoggiate da sondaggi sul gradimento po- polare e sul grado di reazione dell’opinione pubblica hanno determinato una limitazione della contrattazione e l’aumento dei poteri unilaterali dei capitalisti privati e pubblici. È quindi giusto far conoscere la storia del- lo Statuto dei Lavoratori o per meglio dire della legge 300 del 1970, in modo da far capire realmente che cosa è e perché si è dovuto ricorrere a ricreare questa Carta dei diritti universali dei lavoratori. Lo statuto dei lavoratori o legge 300/70 nasce dalle lotte che i nostri predecessori padri, nonni, hanno iniziato sin dalla fine dell’ottocento per far valere i propri diritti ed avere condizioni di vita migliori. Nel 1952, Di Vittorio, segretario generale della CGIL, membro del parlamento italia- no, propose al governo una legge quadro in materia di lavoro, giustappunto lo Statuto dei Lavoratori. Gli anni ‘50 e ‘60 furono caratterizzati da cambiamenti radicali nel mondo del lavoro con migrazioni di massa dal sud al nord e dalle campagne alle fabbriche. Le lotte sindacali si inasprirono nel 1970, con manifestazioni collettive sul riconosci- mento del salario unico, contro il licenzia- mento senza giusta causa, per la parteci- pazione della forza lavoro nella program- mazione produttiva, per la sicurezza sul lavoro. Con la legge 300/70, “finalmente la demo- crazia entra nelle fabbriche”. Lo Statuto sancisce vari diritti tra cui la libertà di opinione, il diritto di sciopero, la regolamentazione della perquisizione indi- scriminata alla fine del turno di lavoro che viene limitata da regole rigorose a favore del lavoratore, l’art. 18 e pone così le basi per tutta la giurisprudenza futura del lavoro. Questo per sommi capi è lo Statuto dei lavoratori che la maggior parte dei nostri padri ha conosciuto. Ora è giusto chiedersi, perché c’è la neces- sità di riproporlo? Il mondo del lavoro, anche per la crisi glo- bale, è cambiato radicalmente e quindi è necessario modernizzarlo, attualizzarlo ed adeguarlo; un anno fa il Jobs Act ha cancellato lo statuto, spiegando che così si cancellava la precarietà, si abbatteva la disoccupazione e la povertà. La precarietà, invece, è aumentata, la di- soccupazione è altissima, soprattutto quel- la giovanile, il lavoro si è impoverito ed è privo di diritti, meno libero e più precariz- zato. Dopo il varo del Jobs Act la CGIL / FIOM ha manifestato e scioperato contro questi provvedimenti perché i diritti non vanno cancellati ma allargati a tutti. In questi anni la legge 300/70 è stata com- promessa, svuotata e smantellata dai vari e troppi interventi legislativi. C’è quindi il bisogno di ripristinare una giu- risprudenza del lavoro che sia degna. È in questo ambito che la CGIL ha riunito i migliori giuristi, che recependo le imposta- zioni sindacali dettate dai lavoratori, hanno redatto la carta dei diritti universali del la- voro ovvero la proposta del Nuovo Statuto dei lavoratori. Questa Carta vuole diventare una iniziativa di legge popolare. Il nuovo Statuto vuole ricostruire il diritto del lavoro, estendendolo a tutti i lavoratori, indipendentemente dalle tipologie contrat- tuali. Nei 90 articoli di cui è composto, si cerca di garantire il diritto alla maternità, a una pensione dignitosa, alla formazione, ad LA CGIL E LA NUOVA CARTA DEI DIRITTI UNIVERSALI DEI LAVORATORI uno stipendio equo e dignitoso, al reintegro per licenziamenti illegittimi ripristinando ed allargando il “famigerato” art. 18, esten- dendolo anche alle aziende sotto ai 15 dipendenti, universalizzandolo (tutti diritti eliminati dalla riforma Fornero e dal Jobs Act di Renzi). La Carta propone di ridurre la precarietà attraverso l’unificazione e la riduzione so- stanziale delle quarantasette tipologie di contratti precari che comprendono anche il Jobs Act che non è altro che la legaliz- zazione di una categoria di “stabilmente precari”. La Carta dei diritti universali del lavoro af- fronta i cambiamenti del mondo del lavoro riscrivendone un «nuovo» diritto per cancel- lare e ridurre vecchie e nuove diseguaglian- ze, discriminazioni e divisioni tra lavoratrici e lavoratori; per ripristinare ed estendere a tutti il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa; per garantire la rappre- sentanza sindacale applicando l’articolo 39 della Costituzione, la contrattazione nazio- nale, il diritto di voto su contratti e accordi. In questi giorni sono in atto assemblee pubbliche e varie consultazioni referendarie indette dalla CGIL sulla Carta dei diritti uni- versali e sulla possibilità di indire referen- dum abrogativi per le leggi inique e poter quindi trasformare la proposta in legge. In alcune di queste assemblee, svoltesi nei comuni umbri capofila del progetto, le isti- tuzioni locali sono sembrate addormentate in un beato e mistico torpore che le obbliga a non attivarsi; sarebbe invece opportuno, che le istituzioni, per troppo tempo lontane dal mondo operaio, tornino a lottare e coa- diuvare i lavoratori e i cittadini. Alcune domande da porci noi tutti sono d’obbligo: l’Italia è una Repubblica fonda- ta sul lavoro? Il problema di posti di lavoro dignitosi ci interessa o è stata e resta solo propaganda partitica? Ci interessano e vo- gliamo risolvere i problemi delle famiglie dei disoccupati? Non è ora di iniziare a cambia- re e svegliarsi? Certo ad oggi e con un governo sordo alla piazza e aggiogato ai poteri forti, sicura- mente non sarà una battaglia facile ma si- curamente uniti e coalizzati la spunteremo. Vivere il mondo del lavoro iniziando dal par- tecipare alla riaffermazione dei diritti negati non può che portare verso un futuro miglio- re sia per noi che per i nostri figli. Leonardo Moretti ognuno dei protagonisti cerca di addos- sare all’altro le responsabilità dello stato dell’area. Il progetto prevedeva un’ope- razione complessa che coinvolgeva tanto l’ex consorzio agrario (il “Tigre) che la “bu- ca” di Prato Smeraldo per un investimento di 100 milioni. Non solo. Si ipotizzava di chiudere via IV novembre e trasformarla in spazio verde, con riflessi evidenti sulla viabilità della zona di non facile soluzione, i cui costi non potevano non ricadere sul Comune. Infine, l’ipotesi delle due torri risultava da subito difficilmente percorribi- le. Le torri da 78 metri si abbassavano a 36, recuperando le cubature da realizzare in orizzontale. Ci sono 100 milioni di in- vestimenti? Dove trova il Comune i soldi per costruire il Parco della scienza e per realizzare la nuova viabilità zonale? Siamo sicuri che alla Coop Centro Italia conven- ga avere in quell’area un punto vendita? Quanti esercizi commerciali si pensa che si dislocheranno nella zona? Infine esiste domanda per quanto riguarda l’acquisto dell’area? Detto brutalmente in una fase di crisi del ciclo edilizio appare difficile ri- strutturare e riqualificare l’area e nessuno se ne vuole assumere la responsabilità. Ne sono segno le difficoltà riscontrate per costruire una commissione speciale politici-tecnici per aprire il dialogo con la Coop. Ebbene, il centro destra e i 5 Stelle se ne sono tirati fuori, come si sono sfilati il Psi ed il Movimento per Foligno (l’ex Udc). Della commissione fanno parte Mariani e Falasca del Pd, Matarazzi dissidente Pd, Graziosi già Pd oggi gruppo misto e per le opposizioni Elisabetta Piccolotti di Sel e Stefania Filipponi che, in splendida so- litudine, rappresenterebbe il centro destra. Cosa ne possa venire fuori è un mistero, probabilmente nulla con il consueto stra- scico di recriminazioni. Forse l’unica pro- posta saggia l’ha fatta l’associazione dei cittadini del centro storico: imporre alla proprietà le bonifiche ed utilizzare l’area come spazio verde, almeno fino a quando non si troverà una soluzione percorribile e soprattutto i finanziamenti necessari per realizzarla. ***

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SANITÀNON C’È PACE TRA GLI ULIVI

[pag. 2]

CONDUOCENTE[pagg. 3]

IL DISEGNO DI LEGGE BOSCHI

[pag. 4-5]

LA DIVINA COMMEDIA DI DANTE E FOLIGNONEL 1472

[pagg. 7]

USCENDO DAL CINEMA[pag. 8]

SOMMARIO

FOLIGNO – Marzo 2016 20

Avremmo voluto continuare a titolare su Nando che balla. Sarebbe stata un’anafora, figura retorica sopportabile solo a piccole dosi. Ma proprio di questo si tratta. Il sin-daco di Foligno ad ogni passaggio si trova di fronte a difficoltà amministrative che lo costringono a contorcimenti e piroette.È il caso dello dell’ex Zuccherificio e del progetto “Il Campus”. La mozione del sindacoMismetti il 27 ottobre 2015 propone una mozione che prevede la divisione in due comparti del Piano attuativo. In primo luo-go si prospetta “la demolizione e ricostru-zione dell’edificio di proprietà Gabrielli, con l’individuazione di un comparto autonomo del Piano attuativo”. In altri termini Gabrielli demolisce e ricostruisce più lontano dalle mura e dalla Torre dei Cinque Cantoni, ma deve ricalcolare gli standard per il suo intervento. Non basta. Si tratta anche di diminuire “nell’area dell’ex Zuccherificio, [la] superficie commerciale per la quota parte in capo a Gabrielli [che non trove-rebbe più nell’area la sua collocazione] e di un’ulteriore quota in misura da definire”. Ancora. La proposta prevede “il ricalcolo di tutti gli standard; l’eventuale atterrag-gio altrove di superfici appartenenti a va-rie destinazioni d’uso [gli edifici destinati a residenze?]; l’eventuale rinegoziazione delle opere di urbanizzazione da realizza-re (anche in considerazione dell’assenza di oneri di esproprio per l’area Gabrielli); l’inserimento, previa rivisitazione, del pro-getto del Parco delle scienze e delle arti. Tale ipotesi configurerebbe la necessità di una variante al Piano attuativo in variante al PRG, per il mancato spostamento della superficie commerciale Gabrielli nell’a-rea ex Zuccherificio; una diminuzione del carico urbanistico ed incremento delle

condizioni di sicurezza idraulica. Ma non è ancora sufficiente. Il sindaco avverte che “Il Piano attuativo in oggetto è stato convenzionato in data precedente all’ap-provazione del P.A.I (Piano Assetto Idro-geologico), secondo il quale, in base alla normativa attualmente vigente, è possibile fare varianti al Piano attuativo che interessi l’ambito “Il Campus” purché non ci siano un incremento del carico urbanistico e un aggravio delle condizioni di rischio”. Chie-de, infine, al Consiglio comunale di essere delegato a trattare con la proprietà. Questa la mozione, che salva naturalmente l’idea del Parco della scienza, per il cui proget-to sono stati spesi 212 mila euro (42.000 del Comune e 170.000 del Miur). Ma che significa fuori di chiave? In sintesi una ri-duzione dei volumi previsti sia della parte commerciale che di quella residenziale. Coop Centro Italia non ci staNaturalmente Coop Centro Italia dissente, non tanto perché ansiosa di realizzare il progetto, quanto perché una riduzione dei volumi potrebbe mettere a rischio la stessa vendita dell’area. Non a caso Raggi, presi-dente della Coop, sostiene che pacta non sunt servanda, dapprima in una nota con cui dichiara di non dare nessuna validità alla mozione del sindaco, che provvede a ritirarla, poi di recente con una lettera aperta ai consiglieri comunali a cui alle-ga la memoria presentata al Tar, che do-vrebbe essere discussa il 6 giugno 2016. L’opposizione principale è la riduzione dell’area da costruire, si afferma: “ci risul-ta difficilmente comprensibile il motivo per il quale si vogliano ridurre le autorizzazioni già concesse anche in modo superiore alla stessa superficie del concorrente”; e si ag-giunge: “non c’è, da parte nostra, alcuna condivisione sulla impostazione della deli-

bera e tantomeno sui punti che verrebbero posti alla nostra attenzione”. Si sostiene che “risulta per noi difficilmente compren-sibile come sia possibile attuare una va-riante di Piano Regolatore Generale in pre-senza di atti abilitativi alla realizzazione di circa 24.000 mq già concessi di cui 6.600 commerciali nonché 4.300 di pubblici esercizi per la realizzazione in totale di una struttura commerciale di 11.000 mq. Sia-mo peraltro in presenza anche di un’au-torizzazione amministrativa al commercio per una struttura di 5.500 mq di vendita. Sia le autorizzazioni edilizie che quelle al commercio hanno scadenza 2019”. Inol-tre, “l’impostazione della suddivisione in due comparti del Piano attuativo richiama in realtà la nostra contestazione iniziale di ormai oltre 10 anni fa, quando facemmo ricorso proprio avverso la non suddivisione dei comparti: non è certo per noi di gran-de soddisfazione il fatto che si riconosca, dopo tanti anni, l’errore compiuto da chi oggi propone la modifica. Nel frattempo i capitali sono rimasti immobilizzati, l’espro-prio contrattualmente previsto [dell’area Gabrielli] non si è attivato e i danni risul-tano ingenti”. Si aggiunge, infine, che “In assenza di dialogo e di proposte concrete, nella propria autonomia Coop Centro Italia deciderà se alienare o realizzare quanto già concesso nei tempi previsti”. Quanto concesso sono le autorizzazioni a costru-ire dell’8 maggio 2013, affidate a Futura società consortile a responsabilità limitata di cui legale rappresentante è Domenico Metelli e soci la Luigi Metelli spa e la Tofi impianti srl. Dai documenti allegati nel ri-corso al Tar risulta che i lavori dei blocchi 6 e 7 e 5 e 9 sarebbero dovuti iniziare il 9 maggio 2013, ma già nel 2014 la Coop dichiarava di essere pronta a vendere.Giochi di teatroAbbiamo riportato ampi brani della mozio-ne del Sindaco e della risposta della Coop, non tanto per completezza di informazio-ne, ma per rendere evidente come ci si trovi di fronte ad uno scarica barile in cui

www.alquadrivio.wordpress.com

foto Studio Troncone, Napoli

Negli ultimi anni sono state promosse dalla CGIL / FIOM, campagne di mobilitazione e contrasto nei confronti di tutte le leggi ini-que che hanno cancellato i diritti di tutti i lavoratori.La politica governativa in atto, ha cercato e sta cercando tutt’ora di giocare sulla poca conoscenza della Costituzione e delle leggi che regolano il lavoro di tutti gli italiani.I vari governi, e soprattutto l’attuale, hanno iniziato un attacco denigratorio, discrimi-nante e di abbattimento sociale verso chi si è eretto ad argine contro questa retro-cessione dei diritti e dei valori democratici.I nostri governanti stanno basando le loro azioni pseudo riformistiche su due principali metodi: l’ignoranza generalizzata e il divide et impera.La precarietà e la contrapposizione tra la-voro pubblico e privato sono stati usati per ridurre le tutele dei lavoratori.L’indifferenza del popolo, leggi ben mirate e appoggiate da sondaggi sul gradimento po-polare e sul grado di reazione dell’opinione pubblica hanno determinato una limitazione della contrattazione e l’aumento dei poteri unilaterali dei capitalisti privati e pubblici.È quindi giusto far conoscere la storia del-lo Statuto dei Lavoratori o per meglio dire della legge 300 del 1970, in modo da far capire realmente che cosa è e perché si è dovuto ricorrere a ricreare questa Carta dei diritti universali dei lavoratori.

Lo statuto dei lavoratori o legge 300/70 nasce dalle lotte che i nostri predecessori padri, nonni, hanno iniziato sin dalla fine dell’ottocento per far valere i propri diritti ed avere condizioni di vita migliori.Nel 1952, Di Vittorio, segretario generale della CGIL, membro del parlamento italia-no, propose al governo una legge quadro in materia di lavoro, giustappunto lo Statuto dei Lavoratori.Gli anni ‘50 e ‘60 furono caratterizzati da cambiamenti radicali nel mondo del lavoro con migrazioni di massa dal sud al nord e dalle campagne alle fabbriche.Le lotte sindacali si inasprirono nel 1970, con manifestazioni collettive sul riconosci-mento del salario unico, contro il licenzia-mento senza giusta causa, per la parteci-pazione della forza lavoro nella program-mazione produttiva, per la sicurezza sul lavoro.Con la legge 300/70, “finalmente la demo-crazia entra nelle fabbriche”.Lo Statuto sancisce vari diritti tra cui la libertà di opinione, il diritto di sciopero, la regolamentazione della perquisizione indi-scriminata alla fine del turno di lavoro che viene limitata da regole rigorose a favore del lavoratore, l’art. 18 e pone così le basi per tutta la giurisprudenza futura del lavoro.Questo per sommi capi è lo Statuto dei lavoratori che la maggior parte dei nostri padri ha conosciuto.

Ora è giusto chiedersi, perché c’è la neces-sità di riproporlo?Il mondo del lavoro, anche per la crisi glo-bale, è cambiato radicalmente e quindi è necessario modernizzarlo, attualizzarlo ed adeguarlo; un anno fa il Jobs Act ha cancellato lo statuto, spiegando che così si cancellava la precarietà, si abbatteva la disoccupazione e la povertà.La precarietà, invece, è aumentata, la di-soccupazione è altissima, soprattutto quel-la giovanile, il lavoro si è impoverito ed è privo di diritti, meno libero e più precariz-zato.Dopo il varo del Jobs Act la CGIL / FIOM ha manifestato e scioperato contro questi provvedimenti perché i diritti non vanno cancellati ma allargati a tutti.In questi anni la legge 300/70 è stata com-promessa, svuotata e smantellata dai vari e troppi interventi legislativi.C’è quindi il bisogno di ripristinare una giu-risprudenza del lavoro che sia degna.È in questo ambito che la CGIL ha riunito i migliori giuristi, che recependo le imposta-zioni sindacali dettate dai lavoratori, hanno redatto la carta dei diritti universali del la-voro ovvero la proposta del Nuovo Statuto dei lavoratori.Questa Carta vuole diventare una iniziativa di legge popolare.Il nuovo Statuto vuole ricostruire il diritto del lavoro, estendendolo a tutti i lavoratori, indipendentemente dalle tipologie contrat-tuali.Nei 90 articoli di cui è composto, si cerca di garantire il diritto alla maternità, a una pensione dignitosa, alla formazione, ad

LA CGIL E LA NUOVA CARTA DEI DIRITTI UNIVERSALI DEI LAVORATORI

uno stipendio equo e dignitoso, al reintegro per licenziamenti illegittimi ripristinando ed allargando il “famigerato” art. 18, esten-dendolo anche alle aziende sotto ai 15 dipendenti, universalizzandolo (tutti diritti eliminati dalla riforma Fornero e dal Jobs Act di Renzi).La Carta propone di ridurre la precarietà attraverso l’unificazione e la riduzione so-stanziale delle quarantasette tipologie di contratti precari che comprendono anche il Jobs Act che non è altro che la legaliz-zazione di una categoria di “stabilmente precari”.La Carta dei diritti universali del lavoro af-fronta i cambiamenti del mondo del lavoro riscrivendone un «nuovo» diritto per cancel-lare e ridurre vecchie e nuove diseguaglian-ze, discriminazioni e divisioni tra lavoratrici e lavoratori; per ripristinare ed estendere a tutti il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa; per garantire la rappre-sentanza sindacale applicando l’articolo 39 della Costituzione, la contrattazione nazio-nale, il diritto di voto su contratti e accordi.In questi giorni sono in atto assemblee pubbliche e varie consultazioni referendarie indette dalla CGIL sulla Carta dei diritti uni-versali e sulla possibilità di indire referen-dum abrogativi per le leggi inique e poter quindi trasformare la proposta in legge.In alcune di queste assemblee, svoltesi nei comuni umbri capofila del progetto, le isti-tuzioni locali sono sembrate addormentate in un beato e mistico torpore che le obbliga a non attivarsi; sarebbe invece opportuno, che le istituzioni, per troppo tempo lontane dal mondo operaio, tornino a lottare e coa-

diuvare i lavoratori e i cittadini.Alcune domande da porci noi tutti sono d’obbligo: l’Italia è una Repubblica fonda-ta sul lavoro? Il problema di posti di lavoro dignitosi ci interessa o è stata e resta solo propaganda partitica? Ci interessano e vo-gliamo risolvere i problemi delle famiglie dei disoccupati? Non è ora di iniziare a cambia-re e svegliarsi?Certo ad oggi e con un governo sordo alla piazza e aggiogato ai poteri forti, sicura-mente non sarà una battaglia facile ma si-curamente uniti e coalizzati la spunteremo.Vivere il mondo del lavoro iniziando dal par-tecipare alla riaffermazione dei diritti negati non può che portare verso un futuro miglio-re sia per noi che per i nostri figli.

Leonardo Moretti

ognuno dei protagonisti cerca di addos-sare all’altro le responsabilità dello stato dell’area. Il progetto prevedeva un’ope-razione complessa che coinvolgeva tanto l’ex consorzio agrario (il “Tigre) che la “bu-ca” di Prato Smeraldo per un investimento di 100 milioni. Non solo. Si ipotizzava di chiudere via IV novembre e trasformarla in spazio verde, con riflessi evidenti sulla viabilità della zona di non facile soluzione, i cui costi non potevano non ricadere sul Comune. Infine, l’ipotesi delle due torri risultava da subito difficilmente percorribi-le. Le torri da 78 metri si abbassavano a 36, recuperando le cubature da realizzare in orizzontale. Ci sono 100 milioni di in-vestimenti? Dove trova il Comune i soldi per costruire il Parco della scienza e per realizzare la nuova viabilità zonale? Siamo sicuri che alla Coop Centro Italia conven-ga avere in quell’area un punto vendita? Quanti esercizi commerciali si pensa che si dislocheranno nella zona? Infine esiste domanda per quanto riguarda l’acquisto dell’area? Detto brutalmente in una fase di crisi del ciclo edilizio appare difficile ri-

strutturare e riqualificare l’area e nessuno se ne vuole assumere la responsabilità. Ne sono segno le difficoltà riscontrate per costruire una commissione speciale politici-tecnici per aprire il dialogo con la Coop. Ebbene, il centro destra e i 5 Stelle se ne sono tirati fuori, come si sono sfilati il Psi ed il Movimento per Foligno (l’ex Udc). Della commissione fanno parte Mariani e Falasca del Pd, Matarazzi dissidente Pd, Graziosi già Pd oggi gruppo misto e per le opposizioni Elisabetta Piccolotti di Sel e Stefania Filipponi che, in splendida so-litudine, rappresenterebbe il centro destra. Cosa ne possa venire fuori è un mistero, probabilmente nulla con il consueto stra-scico di recriminazioni. Forse l’unica pro-posta saggia l’ha fatta l’associazione dei cittadini del centro storico: imporre alla proprietà le bonifiche ed utilizzare l’area come spazio verde, almeno fino a quando non si troverà una soluzione percorribile e soprattutto i finanziamenti necessari per realizzarla.

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N. 20 – MARZ0 2016SOCIETÀ E POLITICA22

Nei giorni 4-5-6 marzo 2016 si è tenu-ta la prima edizione del “Festival della Legalità” organizzato dal Presidio di Libera di Foligno, intitolato a Cateri-na Nencioni, in collaborazione con il coordinamento regionale di Libera Umbria e il Comune di Foligno. Incontri, presentazioni di libri, proie-zioni e testimonianze per affermare i valori della legalità e della lotta alla mafia. Tanti i temi affrontati: “Capora-lato e schiavitù”, “La minaccia al diritto alla cronaca e all’informazione”, “La-vorare nell’Antimafia”, “Un giornalista sotto scorta”, “Le mafie internaziona-li”, “La forza della denuncia”. Molti gli ospiti presenti: Hervè Faye, Danilo Chi-rico, Angela Corica, Agostino Pantano, Fausto Cardella, Paolo De Chiara, don Aniello Manganiello, mons. Gualtiero Sigismondi, don Luigi Filippucci, Toni Mira e Lucio Musolino, Tonio dell’Olio, Tiberio Bentivoglio, Gaetano Saffioti. I temi trattati meriterebbero molto spazio, qui -per ora- ci limitiamo ad alcune citazioni tratte dagli interventi.

Per esempio, Tonio dell’Olio, respon-sabile del settore internazionale di Libera, ha sottolineato che: “Esiste un agire mafioso esteso globalmente. La caratteristica che rende forte, seppur non invincibili davvero le mafie, è la capacità di essere contemporanea-mente presenti a Brancaccio e nello stesso tempo nella City di Londra” tanto che si possono “vedere le mafie presenti contemporaneamente nel traffico illecito e poi altrettanto massi-vamente presenti nelle attività econo-miche assolutamente lecite, attraver-so il sistema del riciclaggio”.Molto coinvolgenti le parole di Tibe-rio Bentivoglio, contattato telefoni-camente, al quale “Tra la notte del 28 e 29 febbraio - come ha spiegato Alessandra Moreschini del presidio di Libera di Foligno - hanno incendiato il deposito del suo negozio per l’enne-sima volta” e che per questo motivo non è potuto essere presente a Foli-gno: “sono un po’ preoccupato per questo ultimo evento – ha detto Tibe-

Sono note le vicende della sanità um-bra e i contraccolpi che hanno provo-cato sulla giunta regionale, nella mag-gioranza e nel Pd. In sintesi. Sono stati nominati i direttori delle Aziende sani-tarie e di quelle ospedaliere e quello al comparto in Regione, l’ex “apicale” del Silvestrini Walter Orlandi. Le no-mine le ha fatte la giunta su proposta della presidente con la significativa assenza di Luca Barberini, assessore alla sanità, che successivamente si è dimesso ed ha accusato Catiuscia Marini di autoritarismo e di aver no-minato quel direttore della sanità re-gionale, per metterlo sotto tutela (il cane da giardia). A tale accusa si è aggiunta quella di non voler innovare e risolvere i problemi che si pongono nel settore: le liste d’attesa, le ineffi-cienze, le rendite di posizione, lo snel-limento della rete ospedaliera, ecc. In realtà dietro le nomine della sanità si evidenziano i molteplici problemi che attraversano la politica umbra e se-

gnatamente il partito di maggioranza che ormai governa pressoché da so-lo la Regione. La sanità rappresenta quasi l’80% della spesa regionale, coinvolge come utenti la totalità dei cittadini umbri, impiega migliaia di persone, ha un indotto rilevante di co-operative, di centri convenzionati, ecc. Controllarlo significa avere un bacino di riferimento, anche elettorale, di tut-to rispetto. Ma per farlo è necessario porre nei ruoli chiave uomini di fidu-cia. Non solo: questi debbono, grazie alla loro conoscenza della macchina, essere le ciambelle di salvataggio di fronte a possibili incidenti di percorso (qualche scandalo, qualche malversa-zione, qualche concorso manovrato). È questo il punto del contendere a cui si aggiungono altri due elementi. Il primo è rappresentato dal fatto che è in atto un contenzioso non detto tra l’onore-vole Bocci e la direzione del suo par-tito che non lo vorrebbe – così si dice – ricandidare alle prossime politiche. In tale quadro qualunque elemento tolga potere e smalto alla sua compo-nente, che nel gruppo consiliare conta cinque membri su undici, è destinato a provocare reazioni, specie nel mo-mento in cui il gruppo dell’ex Marghe-rita può contare su un’entente cordia-le con la minoranza di centro destra.

Il secondo dato è il fatto che mentre gli ex Ds, ormai spappolati, vengono, sia pure impropriamente, considerati come un residuo del vecchio Pci - su questo insistono sia da una parte che dall’altra le retoriche interne - ; per altro verso gli ex popolari, poi marghe-riti, hanno mantenuto una propria or-ganizzazione e solidarietà antiche e si sono espansi territorialmente. Al di là di questo esiste, tuttavia, un dato co-mune a tutti rappresentato dalla scelta di un ruolo di controllo e di indirizzo dato alle istituzioni, mentre la gestio-ne viene delegata agli amministratori del servizio. È la logica che attraversa tutti i settori (dai rifiuti, ai trasporti, alla sanità): concentrare le strutture come soluzione dei problemi e delle disfun-zioni, provocare un dimagrimento dell’intervento pubblico. Nel caso specifico, in nome della sussidiarietà e della maggiore efficienza, si tratta di dar vita ad un sistema sanitario in cui cresca il peso del privato. Il punto del contendere è come e chi debba realiz-zare questo progetto, chi controlla la macchina, con quale velocità debba andare avanti il processo. La presi-dente vuol muoversi con cautela. Sa che il percorso è minato, che rischia di mettere in moto sensibilità zonali e municipali e che, quindi, la questione

La retorica della responsabilità. Si discute della commissione speciale sui destini dell’ex Zuccherificio, otto consi-glieri (di tutti gli schieramenti) decreta-no, non a torto, che è sostanzialmente inutile e chiedono un Consiglio straordi-nario. Si dovrebbe pensare che risponda loro il sindaco e invece no, lo fa l’ex capo dell’opposizione, Stefania Filipponi, che commenta “risiamo alla farsa” e doman-da “è questo il ruolo dell’opposizione che aspira a governare Foligno?”.

Al buio e con le buche. Le 41 famiglie residenti in via Maestà Donati, la stra-da interna che collega Foligno a Spello, hanno firmato una petizione di protesta contro il dissesto della strada, chieden-do che venga messo fine al disagio che ciò provoca. Non basta: la strada non è illuminata. Non solo si rischia l’inciden-te, ma anche che esso avvenga al buio. Francamente non è una bella prospettiva.

Ponte condominiale. È stato, dopo due anni, riattivato il ponte che collega Scanzano e San Giovanni Profiamma, l’intervento è costato 180 mila euro. Con orgoglio l’assessore al ramo ha dichia-rato “ancora una volta abbiamo tenuto fede a nostri impegni”, Il ponte potrà essere usato dai residenti delle frazioni della zona, data la larghezza, a senso alternato.

Tariffa puntuale. Si pagherà, per quanto riguarda l’organico, per quello che si produce di rifiuti. Verranno a tal proposito consegnati sacchetti con co-dici individuali che consentano di misu-rare la produzione di monnezza. Come questo verrà fatto è ancora oscuro, ma assicurano che la procedura è stata già adottata altrove. In questo consiste la ta-riffa puntuale. Quello che è certo è che puntualmente arriva la Tari, sempre più elevata.

Processionarie. In via Lodovico Ariosto (Prato Smeraldo) i residenti denunciano

foto di Alice Porcu

la presenza di processionarie, insetti i cui peli provocano disturbi dermatologici a uomini ed animali. Non si compren-de l’allarme: esistono tutti gli strumenti tecnici e gli operatori capaci di risolvere il problema. Un consiglio: perché non vanno in Comune a protestare energica-mente, semmai portandosi dietro un po’ d’insetti?

Fare e disfare è sempre lavorare. Ora si scopre, dopo aver sconvolto la valle con la quattro corsie, che il territo-rio attraversato dal Menotre ha un valore strategico dal punto di vista culturale e paesaggistico, addirittura si propone - lungo il percorso del quadrilatero - una pista ciclabile che dovrebbe portare – speriamo a tappe – i folignati al mare. Naturalmente la nuova Val di Chienti do-vrebbe essere il volano di questo revival turistico, ecologico e paesaggistico. Non è una resipiscenza degli amministratori, ma deriva dal fatto che sono disponibili 800 milioni per i piani rurali. Come avve-niva per alcune imprese petrolifere prima si inquina e poi si costituiscono aziende specializzate nel disinquinamento. L’im-portante è far girare soldi.

Orgoglio cittadino. Giancarlo Baronti, antropologo di vaglia, in una assemblea perugina rampognando l’idea balzana dell’amministrazione civica di promuove-re una festa per celebrare la signoria di Braccio da Montone su Perugia, ha avu-to l’ardire di affermare, per inciso, che le rievocazioni storiche inventate vanno bene per piccole città come Bastia, Foli-gno, ecc. Non l’avesse mai fatto! Subito l’assessore Belmonti ha rampognato lo studioso. Come si permette, la Quintana è una rievocazione storicamente testata e Foligno non è una città di provincia. Baronti si scusi. Ha naturalmente rin-carato la dose Domenico Metelli, pre-sidente dell’Ente giostra. Lo studioso ha dichiarato che non deve scusarsi di nulla e ha proposto come soluzione della disputa o una sua decapitazione barocca o una sfida a singolar tenzone con opportuna scenografia. Chi si pro-pone come cavaliere folignate: Belmonti o Metelli?

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rio, con tono ironico seppur angoscia-to – affittare un bene confiscato avrà dato fastidio! Comunque io ce la met-terò tutta, per me, per la mia famiglia. Io ci sarò fino alla fine e combatterò.E per concludere le parole di Gaetano Saffioti, imprenditore, nato a Palmi. “La mia vita - ha dichiarato - è in venti passi, tutti i giorni uguali. Io sono un testimone di giustizia, che ha scelto di rifiutare il puzzo del compromesso morale, e anche se sono chiuso qui dentro e mi manca l’aria che tutti re-spirano, spero che questo sacrificio possa servire un domani a chi verrà dopo di me per respirare l’aria che mi manca”. Infine che dire? La Legalità è forte-mente legata alla Costituzione scaturi-ta dai valori della Resistenza e perciò si sarebbero dovute tutelare entrambe, affinché l’una avesse rinforzato l’altra ... L’impressione è che in generale, in questo momento, non ci sia una con-sapevolezza sufficientemente diffusa al riguardo, ma la speranza è che ai prossimi appuntamenti elettorali i ri-sultati siano comunque confortanti.

Alice Porcu

di un’unica azienda sanitaria e di un solo polo ospedaliero va maneggiata con cura. Più semplicemente vuol es-sere lei a dettare la road map e ge-stirla con uomini suoi. Dall’altra parte si vuole accelerare e cambiare uomini. L’ipotesi è disarticolare gli assetti della sanità, velocizzando il passaggio a un sistema pubblico-privato. Allo stato dei fatti la presidente ha creato un punto di non ritorno: ha nominato gli apicali della sanità e prima di un anno non è possibile, a suo dire, fare sostituzioni. Barberini non può rientrare in giunta senza almeno qualche scalpo (quello di Orlandi) che attesti che non ha mol-lato, che ne è uscito in modo onorevo-le. Entrambi (ma soprattutto la Marini) non possono arrivare alla rottura, pena la caduta della giunta e nuove elezio-ni con un Pd divenuto un coacervo di gruppi e con forti possibilità di scon-fitta. La soluzione più probabile è un sordo scontro destinato a durare e alla fine frammentare ancora di più quel che resta del partito umbro di Renzi.Abbiamo parlato dell’allargamento territoriale dell’area ex Margherita ed ex popolare. In questo quadro si collo-ca il caso di Foligno dove gli iscritti e il gruppo dirigente del Pd a più riprese si sono schierati con Barberini e per una suo ritorno in giunta. Le motivazioni

sono due. La prima è legata alla rap-presentanza territoriale. Barberini rap-presenterebbe in giunta un’area vasta che comprenderebbe Foligno, Spoleto e la Valnerina. La seconda è che in-torno all’ex assessore alla sanità (e al suo patron il sottosegretario Bocci) si è saldato un gruppo di interessi e un blocco elettorale dove sono prevalenti i ceti dominanti cittadini, dai commer-cianti agli industriali, dagli artigiani ad ambienti ecclesiastici, fino a giungere ad umori “intellettuali” contrari a quelli che vengono considerati gli eredi del Pci, ormai ridotti al lumicino, residuo del passato più che presenza nel pre-sente.Fatto sta che la rappresentanza dei ceti popolari e dei loro interessi non c’è più e che il gioco politico si svi-luppa a geometrie variabili, come uno scontro tra diversi moderatismi e tra gruppi dirigenti cittadini l’un contro l’altro armati, che si alleano e si con-trappongono secondo le convenienze. La battaglia sulla sanità è, da questo punto di vista, emblematica dell’im-plosione dell’Umbria e prefigura nuovi scontri su altri temi a cominciare dalla riforma delle regioni. Così è, se vi pare.

Re.Co.

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N. 20 – MARZO 2016SOCIETÀ E POLITICA 33

Il corpo docente italiano sta ormai da tem-po subendo una profonda crisi di identità professionale, sopportando sempre più a stento il sovraccarico di richieste di respon-sabilità che arriva da ogni parte della socie-tà. Viene scaricata sulla scuola ogni attesa per la risoluzione del “ male di vivere” del mondo moderno, dall’alimentazione, alle droghe, dall’affettività al bullismo, dalla sicu-rezza stradale alla diversità di genere. La scuola è diventata il capro espiatorio dell’incapacità dello Stato di compiere le sue funzioni fondamentali, prima tra tutte quella della sicurezza, così che il Governo camuf-fando la propria incapacità amministrativa e decisionale, elude le norme contrattuali a tutela dei lavoratori. Il culmine, o meglio il fondo, si è toccato con la recente disposizione, in materia di visite guidate e viaggi d’istruzione, emanata dal Miur, di concerto con il Dipartimento di Pub-blica Sicurezza del Ministero dell’Interno, la Nota Miur 03/02/2016 , prot. N. 674. Le palude normativa in cui si agita il sistema della Pubblica Istruzione viene ingrandita con questa iniziativa ministeriale, che si pro-pone di segnalare l’importanza della consu-lenza e del coinvolgimento del personale

della Polizia Stradale nell’organizzazione dei viaggi d’istruzione, tramite attività dirette ad accrescere i livelli di sicurezza stradale. Nulla ci sarebbe da obbiettare se la norma avesse solo lo scopo di migliorare la sicurez-za del trasporto scolastico e degli alunni, ma paradossalmente crea una nuova figura di docente accompagnatore “tuttofare” non più solo con l’obbligo e la responsabilità di vigilanza sui minori, ma anche con la ri-chiesta di possedere competenze di natura meccanica , tecnica o sanitaria, aumentando la mole di responsabilità personali e profes-sionali del docente accompagnatore. In materia di viaggi d’istruzione il riferimen-to normativo è stato fino ad ora la C.M. 291/1992 che prevede obblighi per la scelta dell’agenzia, la vigilanza sugli alunni, la co-pertura assicurativa, la dirigenza scolastica. La successiva nota Miur n.2209/2012 ha defi-nito i compiti del Collegio dei docenti e del Consiglio d’Istituto nel deliberare i “criteri per la programmazione e l’attuazione delle attività parascolastiche, interscolastiche, extrascolasti-che, con particolare riguardo … alle visite gui-date e ai viaggi di istruzione”. La responsabilità nella scelta dell’agenzia viene trasferita poi al dirigente con la D.I. 44/01, dichiarando la completa autonomia della scuolaCon la Nota 674/2016 i dirigenti scolastici e gli organizzatori devono porre attenzione, non solo alla fase preparatoria ma anche

durante il viaggio, “su taluni aspetti relativi alle scelte delle aziende cui affidare il servizio di tra-sporto, verificando quindi l’idoneità e condotta del conducente”, nonché sull’ “idoneità del veicolo e le altre misure di sicurezza” illustrate nell’allegato Vademecum per viaggiare in si-curezza della Polizia Stradale. Con tale Nota si delineano nuovi e com-plessi profili di responsabilità ed ulteriori obblighi di vigilanza a carico dei docenti accompagnatori, che sono invitati a con-trollare che l’autista rispetti il periodo di guida giornaliero ed il riposo giornaliero (o settimanale o bisettimanale). Inoltre “nel cor-so del viaggio gli accompagnatori dovranno prestare attenzione al fatto che il conducente di un autobus non può assumere sostanze stupefacenti, psicotrope (psicofarmaci) né be-vande alcoliche, neppure in modica quantità. Durante la guida egli non può far uso di ap-parecchi radiotelefonici o usare cuffie sonore, salvo apparecchi a viva voce o dotati di auri-colare”. I docenti accompagnatori sono poi sollecitati a “prestare attenzione alla velocità tenuta, che deve sempre essere adeguata alle caratteristiche e condizioni della strada, del traffico e ad ogni altra circostanza prevedibile, nonché entro i limiti prescritti dalla segnaletica e imposti agli autobus: 80 km fuori del centro abitato e 100 km in autostrada”. A questo si aggiunga che il Vademecum richiede che “in maniera empirica si dovrà prestare atten-

Nichi Vendola e il suo compagno Ed Testa sono stati al centro di una polemica violen-tissima. La loro colpa, è quella di aver “affit-tato” l’utero di una donna per dare al mondo un bambino, che si chiama Tobia Antonio. Oltre alle accuse provenienti da chi pensa che la genitorialità gay sia contro natura, o pericolosa per lo sviluppo psichico del bebè, stavolta è emerso un nutrito coro di critiche da “sinistra”. Queste voci dichiaratamente “marxiste” hanno accusato Vendola di es-sersi reso complice della mercificazione del corpo femminile e dello sfruttamento irrefre-nabile dell’essere umano. Due caratteristi-che innegabili di un “sistema capitalistico avanzato” che l’ex presidente della Regione Puglia, in quanto sedicente uomo di sinistra, dovrebbe combattere invece di foraggiare. Piuttosto che prendere le difese di Vendola e del suo compagno, e invece di disquisire sulle aggressioni verbali subite dai due neo-genitori, credo sia più interessante dare uno sguardo analitico alle accuse in se stesse. Accuse apparentemente lineari, semplici, efficaci, e che inoltre sembrano presenta-re un grande merito, oggi sempre più raro: tenere insieme l’analisi teorica e il sentire popolare, la testa e le viscere, la genera-lizzazione astratta e il caso particolare, il saggio scientifico e il pamphlet giornalistico. Due sfere spesso separate e distanti, per una volta unite in un unico giudizio critico. Davvero un evento storico per il marxismo e la sinistra contemporanei.Ma in cosa consiste esattamente questa accusa? Aldilà delle varie formulazioni, la sua forma tipica può essere riassunta gros-somodo così: Vendola è incoerente e politicamente immo-rale in quanto ha comperato il corpo di una donna che viene da un paese povero per realizzare un proprio capriccio. In questo modo, si è reso complice del processo ca-pitalistico, che consiste nel trasformare tutto in merce, anche ciò che per sua natura è inalienabile e invendibile.Come tutte le formulazioni sintetiche, que-sta accusa sottintende un vario numero di assunzioni teoriche e argomentative. Par-tiamo dal punto principale, ossia la defini-zione dell’atto sociale in esame nei termini di “compravendita” e “sfruttamento”. Non serve essere scienziati sociali di primo ran-go per notare un fatto piuttosto curioso. È interessante infatti come in questa definizio-ne non svolgano alcun ruolo ciò che i prota-gonisti della vicenda pensano della vicenda stessa. Poiché la mamma naturale ha do-

nato il suo bebè in cambio di soldi, allora lo scambio in questione è una compravendita, e quindi è un caso di sfruttamento. Punto e basta. Nessuno ovviamente si è preso la premura di sapere cosa pensi la donna stessa di quanto accaduto. La sola presen-za di un compenso economico – tra paren-tesi non precisato in alcun modo, né nella sua entità, né nella sua natura: rimborso per le spese di gestazione? Salario? Rega-lo? - trasforma la mamma surrogata in una venditrice del suo corpo e dei suoi “frutti”, impegnata in una transizione commerciale finalizzata al soddisfacimento dei capricci di una ricca coppia gay. La completa sottovalutazione dei punti di vista soggettivi è un antico vizietto del mar-xismo più rudimentale. Nei decenni passati, moltissimi autori marxisti hanno lavorato al fine di superare questa debolezza e di co-struire una modalità di comprensione del comportamento umano più complessa e più realistica - un esempio su tutti: il testo di Thompson sulla formazione della classe operaia inglese del 1963. Un altro autore per certi versi vicino al marxismo come Pierre Bourdieu ha criticato l’attitudine dello scienziato sociale che forza le dinamiche e lo sviluppo delle pratiche sociali all’interno di una logica esteriore, costruita a tavolino, alla quale gli attori sociali dovrebbero obbe-dire ciecamente. Come dimostra il caso in esame, l’ignoranza volontaria dei punti di vi-sta soggettivi e della singolarità del caso in esame comporta infatti gravi conseguenze a livello conoscitivo e, se permettete, mora-le. È bizzarro che nel 2016 una donna non possa in linea di principio partecipare alla definizione di un atto che la vede come pro-tagonista. Perché mai interessarsi del suo punto di vista, quando un editorialista de “Il Fatto Quotidiano” o un blogger “marxista” ci hanno già spiegato “scientificamente” quel-lo che è successo? Cosa può significare l’e-sperienza di una donna e il suo resoconto, se paragonata alle dinamiche inesorabili e impersonali del capitalismo? Il più noto dei blogger di ispirazione marxi-sta che nei giorni scorsi hanno svolto il ruolo dell’accusa nel processo mediatico a Ven-dola, ossia il filosofo Diego Fusaro, ha tutta-via richiesto che la donna fosse intervistata da giornalisti finalmente all’”altezza della situazione”, per capire se la venditrice abbia agito per spirito di “filantropia a pagamen-to”, oppure perché “non riesce ad arrivare alla fine del mese”. Si tratta forse del rico-noscimento del fatto che la madre naturale

di Tobia Antonio ha un qualche potere nel definire l’atto sociale che la vede protagoni-sta? Non proprio. In primo luogo, l’atteggia-mento sondaggista di Fusaro – un pizzico in contraddizione con la sua esigenza di “giornalismo serio” - lascia alla mamma sol-tanto due possibilità di interpretazione del suo comportamento: opzione a) filantropia a pagamento; opzione b) povertà estrema. Ma su quali basi è fondato questo aut-aut? Non ci è dato saperlo. Inoltre, non è chiaro a cosa possa servire un’intervista-sondaggio del genere, visto che il breve post di Fusaro da cima a fondo definisce senza accenno di dubbio la vicenda in esame come un ca-so plateale di sfruttamento. In soldoni, alla donna indonesiana si chiede soltanto di ri-spondere “sì” o “in parte” alle inattaccabili formulazioni dell’accusa. Più in generale, queste argomentazioni ispirate a Marx rischiano di confondere le acque in modo piuttosto pericoloso. Assu-mendo una posizione apparentemente im-parziale e oggettiva nei confronti degli even-ti sociali, simili accuse finiscono per mettere sullo stesso piano situazioni in cui la “madre surrogata” dichiara di essere stata mossa dal desiderio di far partecipare altre perso-ne alla gioia della paternità e della maternità – vedi il seguente articolo riguardante il Ca-nada – , con altre ipotetiche situazioni in cui imprenditori della natalità fanno da mediato-ri tra occidentali capricciosi e povere donne costrette economicamente e moralmente a vendere la propria forza lavoro. Se nel primo caso c’è stata intenzionalità, gioia, felicità e soddisfazione, e nell’altro terrore, rabbia, delusione e impotenza, non conta niente. Un osservatore esterno e imparziale ha già definito, commentato e giudicato i due casi includendo entrambi sotto un’etichetta comune: “compravendita”, “sfruttamento”. Anche perché – e qua interviene la secon-da assunzione arbitraria – come fa a non essere sfruttamento, visto che la mamma è indonesiana? In questo caso, l’accusa a Vendola è appesantita da un’aggravante: il colonialismo. Non solo il politico gay ricco di sinistra ha comprato un bambino, ma ad-dirittura lo ha comprato da un’indonesiana. Se già è difficile pensare che una donna sia dotata del potere epistemologico di definire una sua propria azione, figuriamoci cosa succede nel caso di una donna proveniente dal sud est asiatico, che in quanto tale dovrà per necessità teorica essere povera, sotto-messa, muta e incapace di influire attraver-so le sue idee e i suoi convincimenti nella definizione del corso degli eventi. Tuttavia, alla madre è perlomeno risparmiata l’onta dell’accusa morale. Essendo incapace di intendere e di volere, può essere chiamata in causa come testimone, forse come “com-plice” – così l’ha chiamata Vittorio Sgarbi

in un post del 2 marzo - più probabilmente come semplice mezzo per la soddisfazione del desiderio di due ricchi gay viziati. La sua inesistenza teorica la rende per definizione “non colpevole”. In un certo senso, l’accusa morale sarebbe stata preferibile, in quanto accusare moralmente una persona implica quanto meno una forma minima di ricono-scimento. Invece neanche quello. In terzo luogo, credo sia dovuta una parola sulla questione dello “sfruttamento”. In molti hanno chiamato in causa questo termine, rifacendosi alla definizione marxista del termine e utilizzando così il dibattito per scavalcare Vendola a sinistra. “Noi siamo più comunisti di lui: noi denunciamo lo sfrut-tamento capitalistico e la mercificazione to-tale, lui ne è complice diretto comprando un bambino – bene inalienabile – e sfruttando una donna”. Sarò sincero: io non capisco davvero cosa si intenda in questo caso per “sfruttamento”. In Marx il termine ha infatti un significato ben preciso: il padrone sfrut-ta l’operaio, in quanto il valore della merce prodotta attraverso il lavoro di quest’ultimo è superiore al salario corrisposto. Poiché nella prospettiva marxiana il valore equivale al valore di scambio, e poiché quest’ultimo coincide con le ore di lavoro impiegate per la produzione di una certa merce, lo sfrut-tamento consiste in breve nel fatto che la merce prodotta dall’operaio vale 8 ore, ma il padrone gliene paga solo 4. Le quattro ore avanzate costituiscono il cosiddetto surplus, che poi verrà re-investito al fine di accresce-re il capitale. Anche ammettendo che nello scambio tra la coppia Nichi Vendola - Ed Testa e la mam-ma vi sia stata una componente economica, davvero non capisco in che senso si tratti di sfruttamento nel senso marxiano del ter-mine, Forse i due ricchi occidentali hanno sottopagato la “lavoratrice” indonesiana, re-investendo il capitale accumulato rivenden-do il bambino a un prezzo più alto? Forse hanno intenzione di vendere degli scoop a “Chi” e “Gente” in modo tale da accumu-lare ulteriore capitale, come vorrebbe una lettura rigorosa del termine “sfruttamento”? Ammetto di aver selezionato degli esempi disgustosi, ma sono gli unici che mi ven-gono in mente a partire dalle assunzioni teoriche dei difensori marxisti della sacralità della natalità, tanto ossessionati dalla “mer-ce” e dalla “mercificazione” da dimenticare una delle definizioni più semplici proposte dal povero Marx. Qualcuno risponderà: “si, ma come la met-tiamo con i casi in cui un’agenzia transna-zionale fa da mediatrice tra donne povere e ricchi occidentali, che magari si scelgono il figlio desiderato sul catalogo?”. Ma è proprio questo il punto: la definizione del caso, del contesto, della situazione. Com’è possibile

zione alle caratteristiche costruttive, funzionali” ed a dispositivi di equipaggiamento, tra cui si elencano: “usura pneumatici, efficienza dei dispositivi visivi, illuminazione, retrovisori, esi-stenza di cartelli-pittogrammi o sistemi audio visivi che informano i passeggeri dell’obbligo di utilizzo dei sistemi di ritenuta-cinture”.Risulta evidente dalla lettura della Nota 674/16 che le implicazioni, anche legali, di tali adempimenti sono rilevanti, soprattutto in caso di contenzioso, configurando profili di responsabilità per gli accompagnatori, senza tener conto a che titolo essi possano, ad esempio, prestare attenzione e/o impe-dire l’assunzione di alcol o altre sostanze, specie se di modica entità. Diventano quin-di legittime le preoccupazioni, le proteste e le perplessità manifestate dai docenti, dal personale amministrativo e dai dirigenti, che hanno portato molte istituzioni scolastiche

a rinunciare all’organizzazione dei viaggi d’i-struzione ed a scoraggiare definitivamente quegli insegnanti spesso indecisi se parteci-pare o meno alle gite scolastiche. I docenti in occasione delle visite didattiche si assumono un impegno a tempo pieno, garantendo la sicurezza dei propri studenti, senza vedere riconosciuto il loro lavoro (an-che oltre l’orario contrattuale) con alcun tipo di indennità. Gli insegnanti non hanno bisogno di essere caricati di ulteriori responsabilità che esu-lano dal principale profilo lavorativo della docenza, quello educativo, hanno bisogno di veder riconosciuto il loro valore professio-nale, senza rischiare di affondare sempre più nelle sabbie mobili dell’incapacità e dell’i-nefficienza dello Stato.

Angela Figoli

definire un determinato atto sociale, senza un riferimento a tutto ciò che lo determina e lo caratterizza: il contesto sociale specifico, le esperienze delle persone coinvolte, le lo-ro giustificazioni, le loro valutazioni? Come insegna il già citato Thompson, gli operai in-glesi non sarebbero mai diventati una clas-se, se non avessero provato l’esperienza di essere oppressi “in quanto operai”. Senza tutto questo, possiamo certamente parlare di “sfruttamento”, ma con la stessa vaghez-za terminologica con la quale posso affer-mare che chi utilizza la paternità di Vendola per guadagnare stima sociale attraverso i li-kes di Facebook, lo fa “sfruttando” il piccolo Tobia. Un po’ poco, per chi si dichiara soste-nitore di un’analisi “scientifica” della società.In breve, il fatto che lo scambio tra Vendola- Ed da un lato, e la madre naturale dall’altro sia necessariamente una relazione capitali-stica di sfruttamento deriva da una serie di assunzioni arbitrarie e, ripeto, pericolose. Pericolose, perché non permettono di fare distinzioni fondamentali ai fini dell’inter-pretazione e del giudizio che diamo su ciò che accade nel mondo. Se pensiamo che ogni relazione di scambio sia una relazione di sfruttamento capitalistico, parole come “sfruttamento” e “capitalismo” diventano indistinte, confuse, finendo così per non significare più niente. Il capitalismo diventa così un sistema totale, senza crepe, che non permette la formazione e l’esistenza di forme di scambio e relazione alternative e irriducibili alla sua logica – pensiamo al dono, ad esempio. Se non teniamo in con-siderazione il punto di vista delle persone coinvolte, continueremo ad aspettare che arrivi la rivoluzione perché l’abbiamo tro-vato scritto in un blog o in un libro dell’800. Se pensiamo che il marxismo sia stato e sia ancora un foglietto Ikea che spiega come si montano le persone e come le si conduco-no al trionfo dell’umanità, facciamo cattiva pubblicità a una delle correnti intellettuali più importanti degli ultimi secoli. Ma questo ai “marxisti” duri e puri – che tut-tavia inciampano sulle definizioni elementa-ri del primo libro del “Capitale” - non importa niente. A loro basta una frasetta strappata da “Il Manifesto”, e la solita cattiva pubbli-cità a una corrente di pensiero grande e importante. Tanto poi alla fine del romanzo della storia il capitalismo si auto-annienta da solo. Nel frattempo però con la macchietta del marxismo si guadagnano tanti likes e tante condivisioni. Forme contemporanee e quantificabili di remunerazione simbolica che, nel tanto odiato capitalismo contempo-raneo, si trasformano spesso in remunera-zione pecuniaria diretta.

Matteo Santarelli

SECONDO CERTI

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GLI APPROFONDIMENTIN. 20 – MARZO 201644

Con il disegno di Legge Boschi il Governo sta cercando di cambiare la Costituzione in senso sostanzia-le, modificando l’assetto del Parla-mento con il depotenziamento del Senato, sostanzialmente “ridotto” ad una assemblea non elettiva ed avente funzioni differenti rispetto a quelle attuali. Un Senato di soli “nominati”, consiglieri regionali e sindaci, ma che comunque potrà far sentire il suo peso nei procedi-menti di formazione delle leggi e continuerà ad avere un costo per il bilancio dello Stato (alla faccia della tanto sbandierata riduzione dei costi della politica) e a svolgere qualche funzione rilevante (come l’approvazione delle leggi costitu-zionali e di quelle elettorali) e altre di tipo consultivo. Il vulnus princi-pale che opera questa riforma co-stituzionale sta nella sottrazione di sovranità dalle mani dei cittadini, in nome della governabilità (altro topos del Governo) e del decisioni-smo spinto (prodromo di un presi-denzialismo velato), poiché il corpo elettorale non sarà più chiamato a scegliere i propri rappresentanti nel Senato, lasciando tale decisione ai piani alti della politica, alle segre-terie dei partiti e alle pressioni più o meno palesi dei gruppi di pote-re. Alcuni poteri verranno sottratti alle Regioni e attribuiti alla potestà legislativa dello Stato, depoten-ziando le funzioni delle assemblee regionali. Il Governo potrà imporre l’approvazione di gran parte dei suoi disegni entro 70/85 giorni, strozzando se vuole il dibattito par-lamentare e impedendone la mo-difica. Il tutto è poi completato dal-la legge elettorale cosiddetta “Itali-cum”, che non si discosta molto dal precedente “Porcellum” e concede un premio di maggioranza abnor-me e sovradimensionato al partito risultato primo alle elezioni (anche con una esigua minoranza di voti), con l’effetto di distorcere le scelte del corpo elettorale e colpire in ul-tima analisi la democrazia rappre-sentativa e la partecipazione po-polare. Ciò avviene in nome della

governabilità, dell’efficientismo, del decisionismo. Ad oggi la legge co-stituzionale deve ancora attendere il secondo passaggio alla Camera, dopo aver ricevuto l’approvazione dal Senato, in quanto per i disegni di revisione costituzionale è previ-sta una doppia lettura. Ma l’appro-vazione appare scontata e la legge sarà approvata entro la metà di aprile.

LA NECESSITA’ DEL REFERENDUM

Da subito è nato in Parlamento e tra le forze politiche il dibattito sull’opportunità di ricorrere al re-ferendum sulla riforma costituzio-nale, convinzione annunciata in prima battuta anche dal Governo e dalla maggioranza che ha elabora-to e approvato la riforma. È perciò necessario chiarire alcuni concetti tecnici, che hanno un’importanza fondamentale per la comprensio-ne del funzionamento democrati-co del nostro Paese. Il referendum svolge una funzione di garanzia, così come il procedimento stabilito per modificare la Costituzione. Le garanzie indicate nel testo costi-tuzionale, che rendono il procedi-mento di revisione costituzionale più complesso di quello legislativo ordinario, danno al Parlamento la possibilità di operare senza fretta e di ponderare gli interessi e le di-verse posizioni in gioco, e soltanto quando si sia raggiunto un sostan-ziale consenso intorno all’impianto della revisione, tale da determinare l’approvazione della maggioranza assoluta (la metà più uno dei com-ponenti) delle Camere. La richiesta di referendum è una garanzia costi-tuzionale concessa alle minoranze per contrastare il progetto di rifor-ma. L’art. 138 della Costituzione sta-bilisce che il referendum costituzio-nale può essere richiesto nel caso in cui, dopo il secondo passaggio alle Camere, il disegno di legge di revisione costituzionale sia stato approvato solo con la maggioranza assoluta di ciascuna Camera, ma in-feriore ai due terzi dei componen-ti. Può essere richiesto da 500mila elettori, da un quinto dei membri di una Camera o da cinque Consigli Regionali. La richiesta può essere presentata nell’intervallo di tre me-si dalla data di pubblicazione della legge di revisione costituzionale approvata dal Parlamento nella Gazzetta Ufficiale. Si tratta in que-sto caso di una pubblicazione che non produce l’entrata in vigore del-la legge ma serve a farla conoscere ai soggetti che possono essere in-teressati a chiedere il referendum. Il procedimento del referendum

costituzionale è stato disciplinato dettagliatamente con la legge n. 352 del 1970; fino a quella data ogni legge di revisione costituzionale doveva essere necessariamente ap-provata dalla maggioranza dei due terzi di ciascuna Camera. L’art. 138 della Costituzione si limita a stabi-lire l’intervallo di tempo massimo entro il quale può essere richiesto il referendum e i soggetti legittimati a prendere l’iniziativa. A differenza del referendum abrogativo delle leggi ordinarie previsto dall’art. 75 Cost., che è valido solo se partecipa al voto la maggioranza degli elet-tori, per quello costituzionale non è previsto un quorum di validità. La richiesta deve essere depositata entro tre mesi dalla pubblicazione all’Ufficio centrale per il referen-dum costituito in seno alla Corte di Cassazione, il quale dovrà verificare la legittimità della richiesta entro trenta giorni dalla presentazione. Se l’esame di legittimità risulta po-sitivo il Presidente della Repubblica può emanare il decreto di indizione del referendum, previa deliberazio-ne del Consiglio dei Ministri, entro sessanta giorni dalla comunicazio-ne di ammissione da parte della Cassazione.

I TEMPI DEL REFERENDUM

Secondo le previsioni della legge 352 il referendum deve aver luogo in una domenica compresa tra il 50° e il 70° giorno dalla emanazio-ne di questo decreto. La tempistica quindi è piuttosto chiara così come i passaggi successivi dell’iter. Se al contrario la richiesta di referendum è considerata illegittima, e nei tem-pi utili non ne viene presentata un’altra, la legge di revisione costi-tuzionale può essere promulgata ed entrare in vigore. La legge 352 nulla specifica in merito all’obbliga-torietà del rispetto del periodo di tre mesi dalla data di pubblicazio-ne per il deposito delle richieste di referendum, né se queste possano essere più di una, da parte dei tre soggetti istituzionali che hanno titolo a presentarle. Ciò detto, vi sono alcuni problemi delicati. Una questione rilevante era già stata sollevata in occasione dell’iter par-lamentare della legge costituzio-nale del 2001 (la richiesta venne effettuata sia dai parlamentari della maggioranza politica che dell’op-posizione sulla legge costituzionale che completava la riforma del titolo V relativa alle Regioni e agli Enti lo-cali) riguardante l’esatta tempistica dell’indizione del referendum e la possibilità di richiesta da parte di più soggetti, contemporaneamen-

te o successivamente (cosiddetta “cumulatività” di richieste) sempre entro i tre mesi. In sostanza ci si era chiesti se il decreto di indizione do-vesse essere emanato immediata-mente dopo l’ammissione della pri-ma richiesta pervenuta, oppure se bisognava comunque far trascorre-re i tre mesi canonici dalla data di pubblicazione della legge, anche per permettere la presentazione di ulteriori proposte di referendum successivamente alla prima depo-sitata in ordine cronologico. Le ri-chieste successive non cambiano la sostanza del quesito referendario né la sua legittimità, ma consen-tono ad altri soggetti di interveni-re nella discussione referendaria e hanno una rilevanza politica in quanto consentono ai promotori (ad esempio un comitato popola-re che ha raccolto le 500mila firme necessarie) di accedere agli spazi garantiti nella campagna per il re-ferendum a sostegno del “No”. Nel 2001 il Governo ha considerato l’in-tervallo di tre mesi come una con-dizione necessaria che garantisce le minoranze e quindi come un prin-cipio democratico. Recentemente il Governo, nell’intento di indire rapi-damente il referendum, senza con-sentire un’adeguata informazione degli elettori e permettere che chi si oppone possa organizzarsi, ha ventilato l’ipotesi che il referendum possa essere indetto appena arrivi la richiesta di un quinto dei com-

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ponenti di una Camera. L’obiettivo è quello di accelerare i tempi di in-dizione del referendum per finalità politiche. Con questa operazione il Governo e la maggioranza fautrice della riforma intendono affrettare i tempi del referendum bloccan-do di fatto la possibilità di altre ri-chieste da parte di altri soggetti (il popolo e le Regioni), intendendo quest’ultime come inutili. Il Gover-no usa il referendum come se aves-se natura ratificatoria della volontà della maggioranza. Al contrario il referendum ha natura di controllo e oppositiva come dimostrano la sua collocazione fra le garanzie costitu-zionali (Titolo VI, Parte II) e i titolari della iniziativa. Con la tesi ventilata da Palazzo Chigi si vorrebbe impe-dire la raccolta delle firme e quindi l’iniziativa popolare. Altra finalità del Governo è quella di confondere le idee agli elettori “spezzettando” le diverse votazioni (referendum contro le trivellazioni nell’Adriatico il 17 aprile, elezioni amministrative a maggio, referendum costituzio-nale subito dopo), nella convinzio-ne implicita che la vittoria dei Sì è più probabile se parteciperà al voto il minor numero possibile di elettori.

LA COSTITUZIONE DEI COMITATI PER IL NOPer opporsi alla controriforma co-stituzionale e per impedire al Go-verno di abbreviare i tempi del re-ferendum il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, nato un anno fa, sta costituendo Comitati per il No in tutta Italia. Tali Comitati

nascono dall’incontro fra associa-zioni attive nella società civile sui temi della democrazia, alcuni sog-getti politici e sindacali e una parte importante del mondo della cultu-ra e del diritto. Tali comitati adem-piranno alle formalità necessarie per la raccolta delle firme per il re-ferendum costituzionale (insieme ai referendum abrogativi della leg-ge elettorale cosiddetta “Italicum”). Siamo tutti chiamati, cittadini elet-tori, a dare una decisa risposta de-mocratica a chi vuole svuotare di contenuto la nostra Costituzione, e a rivendicare un futuro più demo-cratico e più partecipato per il fun-zionamento delle nostre istituzioni. In tutta Italia è stato avviato un grande lavoro per la formazione di una rete di Comitati locali sulla ba-se dell’appello che il Comitato per la Democrazia Costituzionale ha di-ramato il 2 dicembre 2015 (è tempo di passare all’azione, costituiamo i Comitati locali del Coordinamento). A Perugia nel maggio 2015 è nato il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale per contrastare la deriva verso una riduzione degli spazi di democrazia e di partecipa-zione che deriverebbe dalle rifor-me, elettorale e costituzionale. Es-so aderisce alla campagna lanciata a livello nazionale dal Comitato per il NO. Il Coordinamento invita tutte le forze sociali, politiche, sindacali regionali, le associazioni, i singoli cittadini impegnati nella difesa dei valori costituzionali, messi a repen-taglio dalle riforme, a partecipare. Il Comitato per il coordinamento re-gionale, che è il referente dei Comi-

IL DISEGNO DI LEGGE BOSCHI

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GLI APPROFONDIMENTIN. 20 – MARZO 2016 55

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ponenti di una Camera. L’obiettivo è quello di accelerare i tempi di in-dizione del referendum per finalità politiche. Con questa operazione il Governo e la maggioranza fautrice della riforma intendono affrettare i tempi del referendum bloccan-do di fatto la possibilità di altre ri-chieste da parte di altri soggetti (il popolo e le Regioni), intendendo quest’ultime come inutili. Il Gover-no usa il referendum come se aves-se natura ratificatoria della volontà della maggioranza. Al contrario il referendum ha natura di controllo e oppositiva come dimostrano la sua collocazione fra le garanzie costitu-zionali (Titolo VI, Parte II) e i titolari della iniziativa. Con la tesi ventilata da Palazzo Chigi si vorrebbe impe-dire la raccolta delle firme e quindi l’iniziativa popolare. Altra finalità del Governo è quella di confondere le idee agli elettori “spezzettando” le diverse votazioni (referendum contro le trivellazioni nell’Adriatico il 17 aprile, elezioni amministrative a maggio, referendum costituzio-nale subito dopo), nella convinzio-ne implicita che la vittoria dei Sì è più probabile se parteciperà al voto il minor numero possibile di elettori.

LA COSTITUZIONE DEI COMITATI PER IL NOPer opporsi alla controriforma co-stituzionale e per impedire al Go-verno di abbreviare i tempi del re-ferendum il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, nato un anno fa, sta costituendo Comitati per il No in tutta Italia. Tali Comitati

nascono dall’incontro fra associa-zioni attive nella società civile sui temi della democrazia, alcuni sog-getti politici e sindacali e una parte importante del mondo della cultu-ra e del diritto. Tali comitati adem-piranno alle formalità necessarie per la raccolta delle firme per il re-ferendum costituzionale (insieme ai referendum abrogativi della leg-ge elettorale cosiddetta “Italicum”). Siamo tutti chiamati, cittadini elet-tori, a dare una decisa risposta de-mocratica a chi vuole svuotare di contenuto la nostra Costituzione, e a rivendicare un futuro più demo-cratico e più partecipato per il fun-zionamento delle nostre istituzioni. In tutta Italia è stato avviato un grande lavoro per la formazione di una rete di Comitati locali sulla ba-se dell’appello che il Comitato per la Democrazia Costituzionale ha di-ramato il 2 dicembre 2015 (è tempo di passare all’azione, costituiamo i Comitati locali del Coordinamento). A Perugia nel maggio 2015 è nato il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale per contrastare la deriva verso una riduzione degli spazi di democrazia e di partecipa-zione che deriverebbe dalle rifor-me, elettorale e costituzionale. Es-so aderisce alla campagna lanciata a livello nazionale dal Comitato per il NO. Il Coordinamento invita tutte le forze sociali, politiche, sindacali regionali, le associazioni, i singoli cittadini impegnati nella difesa dei valori costituzionali, messi a repen-taglio dalle riforme, a partecipare. Il Comitato per il coordinamento re-gionale, che è il referente dei Comi-

Piero Calamandrei

tati a livello provinciale, ha eletto lo scorso 7 marzo 2016 il prof. Mauro Volpi come referente. Anche a Terni è stata presa un’analoga iniziativa e l’auspicio è che essa si estenda a tutti i territori dell’Umbria. A livello locale ed in particolare a Foligno lo scorso 17 febbraio si è costituito il comitato per il NO della Valle Um-bra Sud e Valnerina. Il CDC territo-riale aderisce al CDC Nazionale. I re-sponsabili del coordinamento della Valle Umbra Sud e Valnerina sono: Manlio Marini presidente, France-sco Giannini coordinatore, Danilo Santi e Ilaria Fiaoni responsabili del-la comunicazione, Piero Dosi di “Al Quadrivio”, mensile promotore del Coordinamento. I prossimi impegni saranno: a fine marzo dovranno es-sere vidimati i moduli in arrivo da Roma, individuare i certificatori, ri-chiedere l’occupazione di spazio di suolo pubblico, inviare i moduli alle segreterie comunali, predisporre la raccolta che verrà inviata il 9/10 aprile. Occorrono dei volontari, dei rappresentanti delle associazioni per coadiuvare l’operato dell’intera macchina promotrice. Il 19 marzo si è svolto a Spoleto presso la Bi-blioteca comunale di Palazzo Mau-ri (Sala Convegni secondo piano) un evento alla presenza del prof. Mauro Volpi e del prof. avv. Siro Centofanti con l’intervento dello studente universitario Riccardo Co-langeli e il coordinamento dell’avv. Ilaria Fiaoni, nel quale si è discusso ampiamente delle ragioni del No al referendum costituzionale.

Ilaria Fiaoni

Il 17 Aprile prossimo ci sa-rà un referendum abrogati-vo per fermare le trivelle in Adriatico; il cosiddetto NO-TRIV. Il referendum è impor-tante in quanto si voterà per dare un segnale definitivo su quale indirizzo energetico i cittadini vogliono si spenda lo Stato italiano. Non è quin-di solo la problematica delle tante criticità prodotte da im-pianti di estrazione di idro-carburi in mare aperto che sono vicini alle nostre coste, che potrebbero avere la con-cessione fino ad esaurimen-to scorte, ma anche quella di fare da lobby sociale in fa-vore di future politiche ener-

getiche alternative e rinno-vabili che produrranno, con opportuni investimenti pub-blici, migliaia di nuovi posti di lavoro. Di qui l’importanza fondamentale di questo refe-rendum. Il 17 Aprile si voterà in tutta Italia.

L’obiettivo del referendum è chiaro e mira a far sì che il divieto di estrazione entro le 12 miglia marine sia assolu-to. Qualora però non si rag-giungesse il quorum previsto perché il referendum sia vali-do (50% più uno degli aventi diritto al voto), il Parlamento potrebbe fare ciò che vuole: anche mettere in discussione la zona che impone dei limiti di distanza dalle coste italiane.

Prima che il Parlamento intro-ducesse la norma sulla quale gli italiani sono chiamati alle urne il prossimo 17 aprile, le concessioni per estrarre ave-vano normalmente una dura-ta di trenta anni (più altri ven-ti, al massimo, di proroga). E questo ogni società petrolife-ra lo sapeva al momento del rilascio della concessione. Oggi, di fatto, non è più co-sì: se una società petrolifera ha ottenuto una concessio-ne nel 1996 può – in virtù di quella norma – estrarre fino a quando lo desideri o non

si esaurisca il bacino petro-lifero. Se, invece, al referen-dum vincerà il “Sì”, la società petrolifera che ha ottenuto una concessione nel 1996 potrà estrarre per dieci anni, ancora e basta, e cioè fino al 2026. Dopodiché quello specifico tratto di mare inte-ressato dall’estrazione sarà libero per sempre.

Inoltre un’eventuale vittoria del “Sì” non farebbe perdere alcun posto di lavoro: nep-pure uno. Un esito positivo del referendum non farebbe cessare immediatamente, ma solo progressivamente, alla naturale scadenza, ogni attività petrolifera in corso. Come ampiamente previsto dalle società petrolifere.

Nel dicembre del 2015 l’Ita-lia ha partecipato alla Confe-renza ONU sui cambiamenti climatici tenutasi a Parigi, impegnandosi, assieme ad altri 194 Paesi, a contenere il riscaldamento globale en-tro 1,5 gradi centigradi e a seguire la strada della de-carbonizzazione. Fermare le trivellazioni in mare è in linea con gli impegni presi a Pari-gi e contribuirà al raggiungi-mento di quell’obiettivo.

Danilo Santi

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GUALDO CATTANEO e GIANO DELL’UMBRIAN. 20 – MARZO 201666

Il Pastificio Bianconi ha una lunga tradi-zione, produce pasta dal 1947 ma pren-de forma come società indipendente nel 2008 quando Giulio e Maurizio decidono di separare il proprio business dal cugino Francesco il quale resta a capo dell’o-monimo mangimificio. Fino alla chiusura dello scorso anno, le cinque linee (pasta lunga, corta, minestre, nidi e all’uovo) hanno lavorato sempre ininterrottamente: circa centocinquanta tonnellate al giorno piazzati per lo più all’estero (65% del fat-turato) con marchio proprio, attraverso la produzione di “Private Label” per un

gruppo commerciale tedesco o per conto terzi di altri produttori italiani. I lavoratori spesso sopperivano a lacune organiz-zative (si narra di camionisti di mezza Europa fermi anche giorni ad aspettare prima di poter caricare o scaricare) o, a veri e propri deficit strutturali come le continue rotture degli obsoleti macchinari (solo una linea è di recente acquisto) e la mancanza di luoghi idonei dove stoc-care i prodotti finiti. Condizioni di lavoro dure, turni sette giorni su sette per alcuni anche senza riposo e straordinari infiniti, caratterizzavano le giornate sia degli “in-terni” direttamente dipendenti della Bian-coni (una quarantina compresi gli uffici) sia delle decine di operai dipendenti di cooperative che da anni operavano più o meno con continuità all’interno del pasti-ficio. Nel 2014 alle strutturali debolezze si sono aggiunte le condizioni di “crisi

alimentare globale”: scarsità d’offerta dei principali prodotti agricoli e speculazioni finanziarie che hanno fatto schizzare al-le stelle il prezzo della semola da grano duro. Ad aprile dello scorso anno i prezzi d’acquisto delle materie prime sempre più alti, alcune contestazioni e addebi-ti che diminuivano costantemente i già bassi margini, hanno portato la Famiglia Bianconi a comunicare ai propri lavorato-ri l’imminente chiusura. Da qui l’apertura di un tavolo di trattativa con i sindacati prima, per tutelare nell’immediato i di-pendenti attraverso la cassa integrazione straordinaria e poi, per guidare la fase di transizione verso un nuovo acquiren-te: una società composta per il settanta per cento dal gruppo De Matteis-Agro-alimentare di Avellino di cui il pastificio Bianconi era già fornitore e, per il restan-te trenta dalla vecchia proprietà. Affitto di

ramo d’azienda con proposta di acquisto dopo ventiquattro mesi è stata la mossa avallata dal tribunale di Spoleto. De Mat-teis ha presentato un progetto industriale nel quale il sito produttivo di Bastardo dovrebbe diventare un centro per la pro-duzione di pasta a farine speciali, ad oggi comunque i quindici dipendenti rientrati al lavoro continuano con la produzione tradizionale. Le divisioni coltivate con cura in passato riaffiorano e sono difficili da superare: i lavoratori delle vecchie co-operative sono senza nessuna prospet-tiva di rientro e stanno per terminare la disoccupazione, la riassunzione degli ex dipendenti diretti di Bianconi, a causa di un sistema di selezione poco trasparente, provoca dissapori e dubbi tra chi rimane fuori. Il sindacato coinvolto all’occorrenza è relegato al ruolo di comprimario mentre le istituzioni tacciono.

Nell’Italia dei campanili, l’esperien-za dell’Unione dei Comuni “Terre dell’olio e del sagrantino” sembrava una vera favola: 8 piccoli comuni che mettono insieme sforzi e risorse per intessere una rete di collaborazione intorno a una serie di servizi fonda-mentali, così da far fronte ai continui tagli imposti dal potere centrale. Ri-duzione dei costi, qualità del servizio senz’altro migliore di quanto non sa-rebbe stata se ognuno fosse rimasto per sé, insomma, una bella prova di lungimiranza da parte della pubbli-ca amministrazione. Peccato però, che il lupo perda il pelo ma non il vizio e questo piccolo capolavoro di politica territoriale a “chilometro ze-ro” rischi di non riuscire a celebrare il suo 15° anniversario, che cadrà pro-prio il 29 settembre di quest’anno. A quanto pare infatti, le cupe nubi del separazionismo hanno cominciato già da qualche mese ad addensarsi sopra i cieli dell’Unione e all’interno di più di un consiglio comunale so-no emersi rumorosi mal di pancia. E pensare che, se andiamo a stringere, il passo più concreto e significativo di tale intesa ha preso forma solo nel 2013, quando i comuni di Gualdo Cattaneo, Giano dell’Umbria, Massa Martana, Montefalco e Castel Ritaldi hanno deciso di unificare il servizio di polizia locale. Iniziativa alla quale hanno aderito in un secondo mo-mento anche i restanti tre membri del raggruppamento: Campello sul Clitunno (2014), Trevi e Bevagna (2015). A ben vedere dunque, è ba-stato che dopo anni di slogan e iniziative per lo più legate all’ambi-to della promozione turistica si sia provato a passare all’azione, perché potesse emergere in tutta chiarezza quanto in realtà sia difficile program-mare un futuro insieme agli altri. Do-po pochi mesi dall’adesione al siste-ma di una polizia unificato infatti, il comune di Bevagna ha già espresso il desiderio di uscire non solo dal ser-vizio, ma dall’intero progetto di col-laborazione a causa della troppa ete-rogeneità dei territori e dei rispettivi bisogni. Sulla sua scia inoltre, anche il comune di Montefalco ha solleva-to perplessità sul servizio in questio-

ne, mentre il consigliere del comune di Giano dell’Umbria, Barbarito, non ha perso tempo a lanciare il proprio anatema sull’intero progetto, a suo dire un disastro completo. Lungi dall’esprimere giudizi affret-tati, ciò che occorre è non perdere di vista l’intento di fondo che pre-siede a tutto questo. Che ci piac-cia o no siamo in un periodo di forte deprivazione economica per quanto riguarda gli enti locali, i più colpiti, insieme alla sanità e all’istru-zione, dalle continue sforbiciate di un governo che le prova tutte per ritrovare il bandolo di una matassa che pare farsi via via sempre più sfuggente. Al punto che sempre più spesso le piccole realtà sono co-strette a valutare fusioni e accorpa-menti nel tentativo di risollevarsi da condizioni economiche a dir poco complicate; si pensi ai servizi del-lo scorso numero dedicati proprio all’accorpamento dei comuni di Gualdo Cattaneo e Giano dell’Um-bria. In uno scenario come questo, esperienze di collaborazione come quella avviata nel 2001 costitui-scono non solo una straordinaria opportunità, ma anche un segnale molto forte per il potere centrale. Se le piccole amministrazioni danno prova di saper collaborare, di saper accettare l’inevitabile mole di com-promessi che esige, non dico ogni esperienza condivisa, ma più intrin-secamente ogni disegno politico degno di tal nome, gli sforzi fatti negli anni passati genererebbero frutti ben più preziosi di quanto immaginato. Perché salvaguardare l’efficienza dei servizi senza trovarsi a restringere gli spazi per esercita-re il potere politico dei cittadini, di questi tempi, sarebbe una conqui-sta straordinaria. Sarebbe l’oppor-tunità per dimostrare ancora una volta che a ridurre le istituzioni si ot-tiene solo una maggiore possibilità di controllarle, dall’alto nel bene e nel male che questo comporta, ma soprattutto, che non è unificando le prospettive in maniera forzata che si forma una comunità coesa.

Andrea Cimarelli

San Giuseppe…il Padre Putativo di Gesù… il Patrono degli artigia-ni… Il falegname che si è meri-tato l’appellativo di “Santo”…per tutto quello a cui è dovuto anda-re incontro. Nei Santini, nelle raf-figurazioni appare sempre con lo sguardo imbambolato come chi non ci ha capito proprio niente. Perché? Perché è un povero fale-gname, una brava persona, sen-za tanti grilli per la testa….che si è innamorato e sta per sposarsi con Maria….anche lei una brava ragazza. Duemila anni fa l’anal-fabetismo era pressoché totale e non c’erano tanti mezzi per istruirsi e aggiornarsi. Non c’era-no giornali, radio, televisione… il Mondo di Quark, La Macchina del tempo, Ulisse… il Grande Fratel-lo o l’Isola dei Famosi… Questo pover’uomo deve esserci restato di stucco perché un Angelo, e di-co un Angelo e non un postino qualsiasi, si rivolge a lui, che non è nessuno, né un patriarca, né un profeta. “Come? Incinta? Ma se ancora non abbiamo…” L’angelo senza stare tanto ad ascoltarlo gli comunica che la Vergine partori-rà un figlio per opera dello Spiri-to Santo… che nessuno conosce (forse uno straniero) e che tutto questo avviene per volere del Pa-dre. Ma Padre di chi? Boh! L’intromissione di questo Padre di tale Spirito Santo non gli pia-ce affatto perché la considera una “ruffianata” bella e buona e a lui, uomo semplice e pulito queste cose non piacciono. In-tanto ingoia il boccone, poi, in seguito, vedremo di capirci qual-cosa. Passano i giorni…La pancia cresce e ormai si avvicina l’ora di… Giuseppe, però, che è sì un semplice ma non uno stupido con la scusa del censimento por-ta Maria a partorire lontano dal suo paese dove non li conosce nessuno. Lui d’altronde questo Spirito Santo non l’ha mai visto e nemmeno la Donna sembra l’ab-bia mai visto (?) Poniamo il caso che nascesse un bambino nero di carnagione, o con gli occhi

a mandorla… come la mettiamo con i suoi conoscenti, coi suoi pa-esani? Le malelingue ci sono sem-pre state, meglio non dare adito a pettegolezzi. Si ritrova così in una capanna abbastanza isolata presso Betlemme con dentro un bue tran-quillo che sta masticando…alquan-to disinteressato. Gli pone vicino il suo asinello e stanco morto si siede in attesa dell’evento soddisfatto di aver protetto la privacy della sua fa-miglia. Ma appena nasce il Bambino, suc-cede un bailamme che non vi dico. Cominciano ad arrivare dei pastori al completo di pecore, capre, agnel-li, montoni, e poi una lavandaia, un legnaiolo, due pastorelli abruzzesi con lo zufolo e la zampogna, l’ad-detto all’accensione dei lampioni (?) il fabbro del paese; ed ancora un pizzaiolo, Totò, la Regina Elisabet-ta, il Papa, Berlusconi insieme ad Apicella, Pupo…Barbara d‘Urso…. Lele Mora…Un presepe intero. Tut-ti a curiosare davanti alla capanna. Mentre gli Angeli grandi e piccoli, arrivati chissà come, iniziano a can-tare a squarciagola… e così pure il Premier, Apicella e Pupo… alla fac-cia della privacy! Il falegname è fra-stornato: “Chi può aver fatto la spia? Che vuole tutta questa gente?” Ma poi si calma perché vede in lonta-nanza il sopraggiungere di tre Re Magi… “Finalmente qualcuno che non arriva a mani vuote! Ma queste facce mi sono familiari…Renzi, Sal-vini, Grillo…” Nel portarsi incontro a loro fuori dalla capanna viene in-vestito da un gran fascio di luce: “E spegnete questi riflettori! L’elettricità non vi costa niente?” esclama. Ma no è una stella cometa di passaggio. Illuminazione gratis. Lo stordimen-to è completo, ma per fortuna ci pensa il solito Angelo, quello delle cattive notizie a scuoterlo: “Prendi

È comprensibile che la nuova società tenti di cambiare il sistema di gestione fin qui avuto: la sostituzione del vecchio management che si è dimostrato prota-gonista di un fallimento è cosa ovvia ed auspicabile. È normale che si cerchi la diminuzione dei costi indiretti attraverso lo svolgimento di alcune mansioni (ufficio e manutenzione) da parte di dipendenti che arrivano dagli stabilimenti di Avellino, dall’altro però è opportuna una riflessione sul ruolo che le maestranze vogliono ave-re nella gestione della fase di transizione. Nella vertenza Bianconi è necessario che i lavoratori creino un corpo unico e com-patto capace di edificare un’alternativa al sistema padronale fino ad oggi esistito, in grado di dettare un punto di vista pro-prio sia sulle condizioni di lavoro sia sulle politiche industriali. Il male di fondo della società attuale, l’individualismo e l’illusio-ne di poter uscire da soli dalle difficoltà, sembra aver contagiato chiunque. La cri-si di quest’azienda, così come la crisi glo-bale, ci pone davanti ad un’alternativa: o coloro che ne subiscono le conseguenze tentano insieme di costruire una fabbrica e una società più equa e giusta, oppu-re si prosegue nel si salvi chi può con la certezza che a trarne vantaggio saranno sempre i soliti.

Alessandro Placidi

su baracca e burattini e parti…che c’è un Re malvagio che vuole uccidere il Bambino!” “Ma come, adesso che si cominciava a star bene…che ci han-no portato dei bei regali…a parte la mirra che non so che farmene… Vo-glio il mio avvocato! Farò denuncia ai Carabinieri!” sono le prime sue reazioni, ma poi ci ripensa. Forse è meglio non andare a smuovere tan-to le acque e così via di corsa senza più lasciare tracce e continuando sempre a non capirci niente!Giuseppe torna a casa, le acque si sono chetate e tutto sembra cadu-to nel dimenticatoio. Si immerge nel lavoro aiutato, qualche volta, da questo bimbetto che non gli dà alcun pensiero e che più cresce e più sembra che gli somigli (meglio così). Ma un giorno che porta Maria e l’ormai ragazzetto a Gerusalemme, a fare delle compere, che cosa ti succede? Gesù, questo è il nome dato al bambino, sparisce e dopo un’affannosa ricerca te lo ritrova nel Tempio che sta discutendo coi Dottori, coi luminari del sapere di allora. Lui e la Madre vanno per dirgli qualcosa ma il ragazzo candi-do, candido risponde loro: “Perché vi siete preoccupati? Dove volete che fossi se non a casa del Padre mio?” Giuseppe lo fissa sbalordito ed ingenuamente interroga Maria: “Conosci il padrone di questo palaz-zo?” continua a non capirci nien-te. Si rivolge allora semidistrutto a Gesù: “Ma che figura mi fai fare? Qui, davanti a tutti… non si era poi detto che ero io tuo padre?… Sono le ultime parole pronunciate da Giuseppe… San Giuseppe. In seguito di lui non si saprà più nulla.Una vita veramente sofferta…forse per questo gli vogliamo bene.

Luciano Brunelli

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NOTE E RIFLESSIONIN. 20 – MARZO 2016 77

La Comune di Parigi. Luigi Molinari (1866-1918), di Crema, militante del Partito Operaio Italiano, incontrò Pie-tro Gori (1865-1911) in Pisa, ne lesse i Pensieri ribelli (1889), si votò all’anar-chismo. Nel 1917, Molinari tenne in Milano sei conferenze sulla Comune di Parigi, e nel 1918, le pubblicò con il titolo Il dramma della Comune 18 marzo-28 maggio 1871 (Milano, Edi-zioni de L’Università Popolare). Gramsci ne scrisse una recensione molto pun-tuta, intitolata La Comune su “Il Grido del Popolo” periodico socialista tori-nese del 16 marzo ’18 (n. 718). L’apertura del testo gramsciano fu drastica: «Dobbiamo essere schietti con i nostri lettori: l’opuscolo è perfettamen-te inutile»; Molinari fa «una ricostruzio-ne retorica degli avvenimenti», vi espri-me il «peggior borghesismo, che ma-nipola un fatto proletario»; «manca di ogni senso storico». Dopo aver letta la dura critica, l’anarchico replicò con l’articolo Per una maligna recensione (“L’Università Popolare”, 1918, 4-5) nel quale definiva il proprio opuscolo un «riassunto popolare» della vicenda comunarda, un «racconto epico» senza ambizioni di completezza, difensivo di quella grande esperienza proletaria, intenzionato, peraltro, a coglierne le somiglianze con i fatti rivoluzionari di Russia. Gramsci, allora, mandò sul “Grido” del 15 giugno ’18 (n. 725) l’articolo Libero pensiero e pensiero libero. (Forse Molinari lo lesse, ma non poté replicare: morì l’11 luglio.) Quello dell’anarchico, scrisse Gramsci, era un approccio «sbagliato (..) per il modo di concepire e di scrivere la sto-ria in genere e quella della Comune in ispecie». E aggiungeva: Molinari conce-pisce la storia «come pura teatralità (.. ma) così non dovrebbero concepire la storia gli scrittori di libri e opuscoli per i proletari. (..) La Comune fu un dramma, indubbiamente, un terribile dramma so-ciale. Ma non fu un dramma per il san-gue che vi fu sparso (..) questo dramma si ripete in tutta la storia degli uomini (.. che) è tutta un susseguirsi di tragici lavacri sanguinosi, è ricca di episodi di eroismo o di vigliaccheria. La Comune è dramma sociale per l’immanente disfatta che noi, ora, possiamo cogliere nel susseguirsi dei suoi momenti, per il dissidio incolmabile tra le forze di cui si disponeva e il fine che si voleva raggiun-gere, per l’immaturità delle condizioni storiche, e la tragica audacia di un ma-nipolo che continuava la battaglia aven-do già sconfinato nel dominio dell’im-possibile e della morte. Noi possediamo i documenti di questa necessaria di-sfatta, possediamo i documenti di due necessità contrastanti tragicamente: la necessità spirituale del proletariato pa-rigino di fare l’esperienza; la necessità storica borghese di tutta la Francia che avrebbe (e così fu) schiacciato i ribelli, con inaudita ferocia, non paragonabile neppure alla ferocia della guerra, perché (..) la rivoluzione è guerra senza quartie-re, senza limiti né leggi».Il contesto del dramma comunar-do: la guerra tra Francia e Prussia del 1870, la sconfitta di Napoleone III a Sedan (1° settembre), la caduta (con lui) del Secondo Impero, l’insurrezione degli operai parigini (il 4), la proclama-zione della Terza Repubblica e la na-scita del Governo di Difesa Nazionale, l’assedio di Parigi da parte dei Prussia-

ni, la resa di Metz, la sconfitta france-se a Le Bourget, la rivolta capeggiata da Blanqui per contrastare l’avvio di negoziati con la Prussia (31 ottobre), il massacro da parte del Governo di Difesa Nazionale dei lavoratori pari-gini che ne volevano il rovesciamento e reclamavano la Comune ovvero la municipalità eletta da loro (22 gennaio 1871), la resa di Parigi (28 gennaio), le elezioni farsa dell’8 feb-braio, l’inaugurazione di una nuova Assemblea Nazionale largamente conservatrice (in Bordeaux) e succes-siva elezione di Adolphe Thiers a capo del nuovo governo (il 16), i preliminari di pace con l’impero tedesco appe-na autoproclamatosi tale a Versailles (18 gennaio), il rifiuto del trattato da parte degli operai parigini e delle forze democratico-repubblicane più conseguenti. L’insurrezione operaia e popolare del 18 marzo contro Thiers, e l’elezione del Consiglio Municipale di Parigi, ovvero della Comune, il giorno 26 davano ini-zio al dramma comunardo. Con l’Appello al popolo francese del 19 aprile e con l’attività di governo amministrativo nei due mesi di vita, la rivoluzione comunarda esplicitò i principi di una repubblica demo-cratica fondata sull’autogoverno del popolo, internazionalista; sul controllo sull’elettività e sulla revo-cabilità di tutte le funzioni pubbliche; antiautoritaria e federalista, che si richiamava alla Prima Repubblica del 1792-’93; decisamente laica (la reli-gione? un fatto privato), pluralistica quanto alle opzioni politico-culturali, garante della libertà individuale e della libertà di coscienza. Una repub-blica che non poté dirsi socialista, ma seminò germi di anticapitalismo. Una repubblica che non poteva dirsi femminista ma vide la combattiva partecipazione delle donne sprez-zantemente dette dai reaziona-ri les pétroleuses, le incendiarie. Con la “settimana di sangue” del maggio ‘71 (21-28), la Repubblica Comunarda fu stroncata dal governo di Thiers e dai tedeschi: 30 mila Co-munardi e operai vennero sommaria-mente giustiziati, 38 mila imprigionati, 7 mila deportati. «Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno, come l’araldo glorioso di una nuova società». Così si concludeva l’Indirizzo scritto da Karl Marx per conto del Consiglio genera-le dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori e pubblicato il 30 maggio all’indomani della tragica sconfitta. A quasi centocinquant’anni di distan-za, tuttora c’è chi si reca a visitare il Muro di Federati al cimitero Père La-chaise. Io vi andai nel 1983.

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I due articoli di Gramsci sono stati ripub-blicati in A. G., Scritti giovanili (1914-1918), Torino, Einaudi, 1972, pp. 192-193, 260-263. I riferimenti ai testi di Molinari li ho tratti da schede che compilai in bibliote-che fuori di Foligno. Va ricordato che nel 1895 i repubblicani di Domenico Roncalli Benedetti, i liberali progressisti di Serafi-no Frenfanelli Cibo e i socialisti appena costituitisi in sezione del Psi, inserirono Molinari, che era in galera per i moti della Lunigiana (1894), nella lista dell’Unione dei Partiti Popolari quale “candidato protesta” alle elezioni amministrative di quell’anno.

LIBRI

Tè danzanteFoligno negli anni Cinquanta del Novecento

PIER GIORGIO LUPPARELLI

Dimensione Grafica Editrice

Talvolta ci si imbatte in libri che ti fanno ritornare con la mente al passato. Rivivi giorni, momenti che avevi dimenticato, ricordi persone che avevi incontrato e luoghi in cui eri stato, scomparsi entro la parte più profonda della tua memo-ria. Non erano neanche più ricordi, era come se avevi dimenticato tutto. Leg-gendo le belle pagine di “Tè danzante - Foligno negli anni Cinquanta del Nove-cento”, di Pier Giorgio Lupparelli, rivedi quei luoghi, rivivi le situazioni, incontri i personaggi che appartenevano alla Foligno di metà Novecento. Attraverso un linguaggio scorrevole e poetico, si conosce e si riscopre la vita quotidia-na di allora. Questi ricordi ci consen-tono di comprendere le modifiche del tessuto urbano avvenute tra gli anni Sessanta e Ottanta, il grande cambia-mento nei rapporti sociali, nelle attività commerciali e artigianali, che si verifi-ca proprio con il boom economico. La pubblicazione è ricca di notizie spesso tratte dai quotidiani locali dell’epoca e con l'aggiunta di testimonianze dirette, grazie ai ricordi di protagonisti della vi-ta del tempo. Si fa rivivere nei ricordi il mercato strapieno di gente in piazza del Grano, le suore “cappellone” all'o-spedale, i soldati della caserma Gon-zaga, lo strillone che vende i giornali. La Foligno placida e calma delle dome-niche in bicicletta, e la città mondana del Gran Caffè Sassovivo. Nel titolo la tradizione delle feste da ballo al po-meriggio: i tè danzanti organizzati di sabato o domenica nei vari locali: alla Conchiglia, alla Montagnola, al par-co dei Canapè e al Circolo Cittadino, all'hotel Posta. Momenti trascorsi tra danze, elezioni di miss e l’offerta di ric-chi “cotillon” alle giovani partecipanti. Ci sono poi le manifestazioni politiche in piazza, i burattini, l'arrivo della tele-visione, il casottino dei gelati a Porta Romana. Una città diversa dall'attuale, ma non troppo. Racconti che possono interessare tutte le generazioni: dai meno giovani, che conservano i ricordi; ai giovanissimi, a cui si vuol lasciare la testimonianza della Foligno e dell'Italia del secolo passato. Buona lettura.

Marina Renzini

Nota bibliografica:Pier Giorgio Lupparelli Tè danzante – Foligno negli anni Cinquanta del No-vecento, Dimensione Grafica Editrice, Spello, 2014.

Dopo l’articolo La legge di Pareto e i li-bri della Fondazione Carifol, pubblicato nel numero 18 del mensile Al Quadrivio, sono arrivate alcune mail alla Redazione della rivista, chiedendo informazioni su chi si nasconde dietro gli pseudonimi di Orfini e Numeister. Anzi, alcuni lettori hanno tro-vato da ridire sul comportamento di cattivo gusto di qualche pseudo imbrattacarte che si nasconde dietro dei nomi così importanti e illustri che non dovrebbero essere sco-modati per affermazioni così risibili, che possono solamente danneggiare l’imma-gine della città di Foligno. Ciò mi costringe a dimostrare che gli Orfini e i Numeister, che firmano gli articoli di questa rubrica, sono proprio i tipografi rinascimentali, an-che se per farlo dovrò procurare qualche mal di pancia ai miei cari concittadini. Per prima cosa, non sappiamo il motivo per il quale ci è stata offerta una nuova possibilità di vita e ad entrambi. Sappiamo che qualche volta accade. Cioè che ogni qualche miliardo di casi, per non si sa quale motivo, legge naturale o divina, ad alcuni uomini o donne decedute viene of-ferta, non si sa neppure da chi, una nuova vita in un tempo successivo a quello della prima esperienza. Non solo. Non sappiamo neppure in quale luogo e in quali condi-zioni abbiamo passato questi sei secoli che sono trascorsi. Non abbiamo nessun ricordo e nessuno ci ha dato qualche in-formazione.Fantascienza? Siamo dei burloni che si vogliono divertire alle spalle dei folignati?Niente di tutto ciò. Per dimostrarlo sono costretto a raccontare la vera storia della stampa della prima edizione della Divina Commedia. Solo noi siamo in grado di fornire le risposte agli interrogativi che si sono posti, nel corso del tempo, i vari stu-diosi dell’opera suddetta. La nuova e grave notizia, che dobbiamo dare e dimostrare, riguarda l’editio princepes della Divina Comedia: dove è stata stampata e da chi.Che cosa è accaduto? Conviene espellere al più presto il rospo. E che rospo! Lo sap-piamo tutti, la carne è debole, soprattutto quando è giovane, la tentazione è sempre in agguato e solo i santi e gli eroi riescono a resistervi. Quando conobbi il Numeister, tipografo di Magonza, fummo entrambi felici di collaborare in questa nuova arte della stampa con i caratteri mobili e io mi occupai di incidere le lettere (i punzoni).Gli esordi furono incoraggianti.Nel 1470 stampammo il De bello Italico adversus Gothos di Leonardo Bruni e nel 1471 le Epistolae ad familiares di Cice-rone, come è dimostrato dai rispettivi co-lophon. Queste notizie sono note a tutti. Andiamo ora al punto. Finito il lavoro delle lettere di Cicerone iniziammo a progettare il lavoro per il quale la città di Foligno si è attribuito l’onore della “primizia”: pur-troppo ciò è la conseguenza di quando si decide di percorrere la scorciatoia del pre-stigio riflesso, che non è frutto di un lavo-ro duraturo e programmato. Un elemento

che caratterizza l’appartenenza alla specie umana è quello del tradimento. Ora non voglio fare un excursus storico-filosofico su questa caratteristica umana, anche per non dare l’impressione che sono restio a raccontare come sono andate veramente le cose. Così, per farla breve, in un caldo pomeriggio primaverile del 1472, il Numei-ster mi sorprese mentre partecipavo ad un congresso carnale con il nostro garzone di bottega e anche suo amante. Ci scappò quasi il morto. In sintesi, la conseguenza di quella scappatella, di quel piccolo ce-dimento a un desiderio naturale irrefrena-bile, fu la rottura del nostro rapporto, sia sul piano dell’amicizia che in quello degli affari. Io, Emiliano Orfini, ci persi anche dei soldi, la mia parte del saldo del lavoro delle Epistolae. Provai inutilmente a con-testualizzare e storicizzare l’accaduto. Ho ricordato, al mio ex socio, che il cosiddetto tradimento è un elemento costitutivo delle nostre società occidentali. Per esempio, è solo grazie al tradimento degli Apostoli (di chi denunciò il proprio Maestro e di tutti gli altri che se la diedero a gambe levate), che un Profeta ebreo è diventato la principale radice culturale-religiosa del nostro Conti-nente. Un altro esempio, anche se succes-sivo, per tentare di dimostrare a Voi cari lettori l’elemento positivo insito in ogni tra-dimento, è che solo grazie a quello dell’8 settembre del 1943 che ci fu la Resistenza e il conseguente riscatto degli italiani dal-la dittatura, dalle leggi razziali e la nascita della vostra Repubblica democratica.Purtroppo, come ho già scritto, non ci fu nulla da fare, il nostro sodalizio terminò e il Numeister proseguì da solo quello che era un nostro progetto editoriale. Subito dopo l’accaduto io mi sono trasferito nella Marca Anconetana, per lavorare a delle monete su commissione della Camera Apostolica. Quanto raccontato spiega perché i punzoni usati per i caratteri tipografici della Com-media sono diversi da quelli utilizzati per le altre opere: non sono i miei. Non a caso nel colophon del libro è riportato solamente il nome del Numeister. La rabbia covata in sé dal mio ex-collega è anche la causa dei molti errori di stampa: tipografici, trasposi-zioni e salti dei versi (ben tre terzine solo nei canti del Paradiso), refusi, ripetizioni. Dovrei parlare anche della qualità dell’ar-chitettura delle pagine e dei disegni dei tipi, dei difetti di allineamenti, di fusione, ecc. In poche parole è mancata la mia revisione della stampa, il tocco del mio saper fare. Perciò, essendo costretto - il Numeister - ad usare altri punzoni e un altro torchio, questi vennero trovati in una bottega sita in un vicolo romano (la tipografia romana di Giovanni Filippo de Lignamene), nei pres-si di quella piazza che successivamente sarà conosciuta come Fontana di Trevi. Ora rimane da spiegare il perché e il si-gnificato della presenza nel colophon della scritta El fulginato Evangelista mei (unico riferimento alla città di Foligno). Ma dopo quello che ho raccontato dovrebbe essere ora lampante il significato: il mio ex collega ha voluto, con quanto scritto, garantirsi la proprietà, il possesso totale sul suo nuovo amante, perlomeno sulla carta: Evangelista mei.Ci sarebbero tutti gli elementi per costru-ire un romanzo storico di sicuro succes-so: ambientazione rinascimentale, l’inizio dell’avventura della stampa dei libri, l’omo-sessualità, anche se nel mio caso si trat-tava di bisessualità, l’avidità nell’accumulo senza fine delle monete, intrighi politici, tradimenti di ogni tipo, ecc. Se uno dei let-tori vorrà cimentarsi in questa operazione, sono disponibile sin da ora a raccontare e descrivere nei dettagli il nostro tempo che fu.

Emiliano Orfini

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CULTURAN. 20 – MARZO 2016

MENSILE DI MILITANZA CIVILE FONDATO DA PIERO FABBRI

MENSILE DI MILITANZA CIVILE FONDATO DA PIERO FABBRI

Modalità di SOTTOSCRIZIONE annuale “AL QUADRIVIO” Versamento su conto corrente intestato a “il Formichiere, Via Cupa n. 31, 06034 Foligno”, indicando in modo chiaro cognome e nome, indirizzo e causale del versamento: “abbonamento al periodico Al Qua-drivio”. Iban FinecoBank Spa: IT91W0301503200000003370093. Dall’estero: Swift: UNCRITMM FE-BIITMI7. Iban Poste italiane:IT16H0760103000000003360810. Conto Corrente Postale: n. 3360810, intestato a “Il Formichiere di Marcello Cingolani”.

Sottoscrizione normale, per un anno: 30 euro; sostenitore, 50 euro; benemerito, 100 euro.IN OMAGGIO per ogni sottoscrizione

una copia del libro Annuario Folignate 1911, a cura di Fabio BETTONI.

Direttore Responsabile: Cinzia Gubbini.

Periodico iscritto al REGISTRO PERIODICI del TRIBUNALE DI SPOLETO n. 4 del 19/11/2013Editore: Il Formichiere di Marcello Cingolani, Via Cupa n. 31, 06034 Foligno (Pg), cell. 331 2664217, tel./fax 0742 67649, P. Iva: 03018580542, Cod. Fisc. CNGMCL53P17D653Y, [email protected], REA PERUGIA N. 257926, Codice Inps 24861719719RF, www.ilformichiere.it.Grafica: Vania Buono – Impaginazione: Dimensione Grafica – Spello (PG) – Tel. 0742/450500. Chiuso in redazione: il 18 marzo 2016. Tiratura: n. 1.500 copie. Stampa: Dimensione Grafica snc – Tel.: 0742/652677. Caporedattore: Piero Dosi. In redazione: Fabio Bettoni, Vania Buono, Renato Covino, Alessandro Placidi, Alessandro Porcu, Alice Porcu, Roberto Tavazzi. Hanno collaborato a questo numero: Luciano Brunelli, Carlo Cappotti, Andrea Cimarelli, Luciano Falcinelli, Ilaria Fiaoni, Angela Figoli, Roberto Lazzerini, Leonardo Moretti, Emiliano Orfini, Marina Renzini, Matteo Santarelli, Danilo Santi. Pagina Web: Alice Porcu.Stampato su carta riciclata al 100% sbiancata senza cloro. DISTRIBUZIONE GRATUITA

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Giorni fa (il 27 e il 28 febbraio) ero im-pegnato a Roma, come rappresentante del centro interregionale Toscana-Um-bria-Marche, al direttivo della FICC (Fe-derazione Italiana dei Circoli del Cine-ma), che non è stato un direttivo ordi-nario, ma un direttivo con un suo mo-mento drammatico, che ha occupato l’intera scena delle nostre discussioni, restando sul proscenio delle prossime venienti, prolungando la sua eco anche dopo il termine stabilito. La Federazio-ne è una vecchia associazionale nazio-nale - fondata al Festival di Venezia nel 1947, il suo primo presidente fu il cine-asta Antonio Pietrangeli - che ha nella sua ragione principale la salvaguardia del patrimonio culturale cinematografi-co. Di seguito, nel tempo, ogni presiden-te: da Franco Antonicelli a Cesare Za-vattini, da Callisto Cosulich a Carlo Liz-zani e Virgilio Tosi, da Filippo Maria De Santis a Riccardo Napolitano (la più lunga presidenza - un vizio di famiglia - dal 1972 al 1993), fino a Paolo Minuto (ora ottimo distributore cinematografi-co con la sua casa Cineclub Internazio-nale) e a Marco Asunis (l’attuale, già formatore della cineteca sarda), ha per-seguito gli stessi obiettivi, imprimendo ad essi, come è ovvio, la sua personale inclinazione personale, la propria storia culturale. La FICC è una delle nove principali organizzazioni associative ita-liane, riconosciuta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBACT) e condivide con le altre il sostegno finan-ziario ministeriale per le sue attività, senza scopo di lucro. Il cineclub Astr/azioni di Foligno (via Mazzini, 47), fon-dato nel 2012 (ne sono da allora il pre-sidente), è affiliato alla FICC, ne condivi-de l’impianto culturale, usufruisce tal-volta in modesta (non uso il superlativo

perché lo detesto) misura di qualche finanziamento legato ad attività di inte-resse interregionale. Il suo nome deriva dal semplice fatto che, nell’attuale Li-breria Carnevali, gode dello schermo e della galleria dell’ex cinema Astra, già Minerva, che chiuse la sua attività sulla soglia del nuovo millennio. Tutto questo preambolo per informare i lettori ignari, se ci fossero, di cosa sto parlando. Per-ché ho definito drammatico l’ultimo direttivo della FICC? Ogni anno, a feb-braio, secondo i decreti attuativi dell’an-cora vigente decreto legislativo 22 gen-naio 2004, n. 28 riguardante la riforma della disciplina in materia di attività ci-nematografiche, a norma dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 - che riorganizza a sua volta tutta una discipli-na legislativa che corre dal 1949 al 1996 - in ottemperanza degli art. 18 e 19 riferentisi a Associazioni nazionali e circoli di cultura cinematografica e a Pro-mozione delle attività cinematografiche - la FICC, come le altre associazioni, pre-dispone e presenta alla Direzione Ge-nerale del Ministero un piano di attività con la previsione di spesa per l’anno corrente, senza il quale cesserebbe ogni possibilità di programmazione. Ebbene, quest’anno, la Direzione Generale ha sospeso l’accoglimento delle domande, adducendo il fatto che giungerà presto a destinazione una nuovo decreto legi-slativo. Un colpo di mano, che introdu-ce uno stato di eccezione, sospenden-do, con una decisione illegale, una nor-mativa vigente con una veniente. Il gar-buglio è che dal marzo dello scorso anno giace in Senato per la discussione una legge firmata dai senatori Rosa Ma-ria Di Giorgi e Sergio Zavoli (entrambi del PD) e da altri senatori, che non pre-vedeva alcun richiamo normativo alle associazioni nazionali, ma l’Ufficio di Presidenza, dopo le proteste di queste, per ovviare alla lacuna, il 2 febbraio scorso aveva convocato, tra gli altri, an-che tutte le nove associazioni (con due rappresentanti delegati per tutte), pro-cedendo a fruttuose audizioni e rece-pendo con interesse le proposte for-mulate. Nel frattempo, come in ogni

arte teatrale borghese, il coup de thea-tre: il Presidente del Consiglio, con il suo Ministro Preposto (entrambi del PD), invita a colazione (il nostro pranzo) quattro registi italiani, ormai famosi ed insigniti di premi (Bernardo Bertolucci, Roberto Benigni, Giuseppe Tornatore e Paolo Sorrentino), che non stanno per tutti, perciò, ma come singoli e simboli della Nazione Fortunata ed Artistica, a cui annuncia l’approvazione da parte del governo della nuova legge del cine-ma e dell’audiovisivo, notizia che, come sempre in questo governo, viene ampli-ficata con la velocità della luce, tanto che spesso il fatto scompare alla vista prima della sua percezione. Nelle more di questo conflitto legiferante, interno al PD (il Senato procede alla discussio-ne di un testo di legge e il ministro pre-posto ne ha pronto un altro), le Asso-ciazioni si dividono: la FICC procede ad un comunicato di singolare fermezza, rivolto alla Direzione Generale, le altre associazioni tacciono in attesa di tempi più miti e chiari, Roberto Roversi, presi-dente dell’UCCA (ARCI) invia una let-tera alla FICC in cui si dissocia dal tono del comunicato (anche se non dalla sostanza), invocando una unità associa-tiva nelle posizioni e un lavoro più sot-tile nel corpo dei testi da legiferare, confidando cioè nella bontà della Me-moria scritta e depositata sul sito del Senato (VII Commissione) e quindi del-la sua ricezione. Tutte unite però conse-gnano i loro programmi, con spedizio-ne postale. Torniamo indietro. Dopo quella festosa colazione a palazzo Chigi, la foto di (piccolo) gruppo. Lo studium della posa nel set affrescato della stanza è ovvio: in primo piano, al centro, Ber-nardo Bertolucci con la sua inseparabi-le carrozzella ormai (helas!), ma impo-nente e sguardo in macchina in tralice; di spalle ridenti gli altri ospiti (a dire “Era ora!” secondo la Gazzetta di Parma, “Grazie, Presidente”, secondo le altre gazzette nazionali): discosto appena il Ministro Preposto e il Presidente volta a volta, in più pose (che fanno togliere le mani in tasca a Sorrentino nell’imba-razzo o nella disinvoltura della prima) sorridente a Bertolucci, al divano, all’u-scita, a un punto di fuga: la cerimonia di questi Felici Pochi è conclusa, l’oligarchia artistica e politica attuale è consegnata all’Album della (Im)Permanenza. Il pun-ctum invece è più insinuante, per sua natura, rimanda ad altro. Mi punge al primo sguardo la lunga sciarpa purpu-rea cardinalizia di Bernardo Bertolucci, mi rimane impressa a lungo nella rètina. L’angustia festosa dello spazio e la sciar-pa che dalle spalle cade ai lati della car-rozzella, lunga e inutile. Ci vorrebbe per Rodolfo, anche per Rodolfo Bisatti (1960) e per molti altri cineasti, Infelici Molti, questo Ornamento Apotropaico, questa Reliquia Purpurea: terrebbe lon-tano gli spiriti maligni dell’Impresa, atti-rerebbero le masse all’Occorrenza ci-nematografica. Chi è Rodolfo Bisatti? È un esemplare diffuso e poco conosciu-to di cineasta: ritaglia lo spazio filmico tra rappresentazione ed esistenza reale, promuove ricerca sociale in laboratori, fonda case di produzione per il cinema indipendente, realizza film a basso co-

sto. Lo abbiamo conosciuto a Foligno, due anni fa: era presente alla 1ª edizio-ne del Festival per le città accessibili nell’aprile del 2014, organizzato da Giorgio Raffaelli e Daniela Zipeto. In quell’occasione lo abbiamo invitato a presentare il suo film “Voci nel buio” (2013) al Cineclub Astr/azioni: una fa-miglia triestina, piegata dal dolore per la cecità del figlio, ritorna a sentire la vita alla presenza inquietante di un diserto-re serbo, fuggito ai combattimenti del ‘99 nel Kossovo. Ci ha lasciato in visione, con gentilezza ed amicizia, anche il suo film precedente “La Donna e il Drago” (2010): la decisione drammatica di una donna che deve scontare una pena di 6 anni in carcere (tenere con sé il bambi-no di pochi mesi o affidarlo). Ci aveva parlato, allora, di un suo nuovo proget-to: “Al dio ignoto”, un film realizzato in una clinica per malati terminali, con una storia potente di rinascita. Ora ci scrive perché ha avviato la raccolta crowfun-ding per finanziare il film: a quota 5000 euri raggiunti, potrà chiedere al Ministe-ro. Poco fa ha superato la cifra fatidica: le pratiche potranno essere istruite. Chi vuole, lo contatti, cliccando il suo nome o il titolo del film. Molti cineasti impren-dono così. La nuova normativa dovreb-be reinquadrare tutte le nuove situazio-ni di ricerca e di produzione. Sembra che si guardi più al paradigma del 1938 (centralità dell’impresa e dell’incasso) invece che estendere quello del 1965 (effetti economici meno diretti e aper-tura a nuovi spazi di impresa). Avrei bi-sogno di un libèrcolo, per raccontare più e meglio? Assolutamente sì. Vedete come si esce dai gangheri anche nelle proprie predilezioni grammaticali.

Roberto Lazzerini

Omaggio a Tullio Maggiolinie Ruggero Cantoni

Due libri di poesia dialettale allietano le ve-trine delle librerie cittadine; due mondi che si toccano e si accavallano; due mondi che insieme formano la spina dorsale del no-stro verseggiare in vernacolo. Con premu-rosa cura ce li porge la prof. Elena Laure-ti e, in un caso, con la collaborazione dell’e-sperto Franco Bosi. Mi preme dire subito che l’impianto critico di Elena è giusto e invitan-te e, ancor prima delle prefazioni, nei fronte-spizi, rileva e sottolinea la dolce umanità dei due poeti, il senso di appartenenza alla cit-tà, lo sguardo bonario che posano su tutto e su tutti. Tullio Maggiolini toccato dalle pia-ghe; quelle vere della malattia; quelle sociali del vivere in orfanotrofio; quelle assurde del-la grande guerra, non ha mai permesso che attraverso esse penetrassero nella sua esi-stenza il risentimento, la rabbia o il disprez-zo. Fu buono! E la sua bontà si esplicò in soccorso degli altri, in ciò sorretto e coadiu-vato dalla moglie Lisetta, infermiera anche lei, buona anche lei. Anche lo Stato riconob-be l’altruismo di Tullio conferendogli la nomi-na di Cavaliere della Repubblica. Ruggero è vissuto in modo più “normale”; ferroviere del-le grandi officine, amante dell’arte, esplicò la sua creatività nel campo della musica, del-la scultura, della pittura e della poesia. Chi vi scrive abitava nello stesso quartiere e nel-lo spazio comune dei fondi dei palazzoni tira-ti su in fretta e furia dopo la guerra, il figlio di Ruggero, Alberto, di tanto in tanto recitava le poesie del padre; è stato, alla buona, il mio primo contatto con il teatro, seminando il ger-me di quella passione che ha accompagnato e significato tutta l’esistenza. Non so proprio dirvi se i due poeti si frequentassero e quali fossero i loro reali rapporti; è certo che, ben-ché vivessero le stesse situazioni, lo sguar-do di Tullio tendesse a spaziare di più, men-tre Ruggero rivolgeva la sua penna con mag-giore continuità verso la cerchia dei parenti, degli amici, del suo mondo lavorativo. In que-sta rubrica non ho lo spazio per rappresen-tarvi in modo puntuale gli aspetti che acco-munano o che differenziano i due poeti; com-pito di questa rubrica è di segnalare con po-chi tratti il nuovo e il vecchio poetare intorno alla nostra città. Lo fa, invece, di certo, Ele-na Laureti, con sapiente chiarezza nelle due prefazioni, con acute osservazioni anche sul piano linguistico, correlandoli anche ai nuovi, insorgenti, mezzi di comunicazione. I due li-bri, ben presentati anche nella veste grafica, ci forniscono un gustoso spaccato della vi-ta cittadina fra le due guerre e agli albori del “miracolo economico”. Vi propongo un picco-lo assaggio.

Pe’ li sposiSemo celli chiappati co’ la rete,/ a tradimen-to da lu cacciatore,/ e archiusi ndò na gabbia capirete,/ senza più libbertà, senza più amo-re./ Ma prestu Ddio cià data l’occasione,/ de portà da li sposi sta rimetta,/ per dacce ap-presso la liberazione/ che salutannoce squa-iamo in fretta./ Ma se la libbertà émo artroa-ta,/ non è cuscì per vui spusitti vèlli,/ che dije pangrattatu, ossia frittata/ éte fatto la fine de li célli, e tra li testimoni e co’ lu prete, vonno schiaffato drento da la rete.

Tullio Maggiolini Lascia o raddoppiaUna ragazza ‘npo stacionatella,/ pe’ paura de rimané zitella,/ trovò nu scartarellu de ma-ritu/ un seccafienu mezzu striminzitu./ Sulla capoccia cia sett’otto pili,/ vestitu non pesaa cinquanta chili,/ tantu era siccu, tantu allam-panatu/ che dopo manco un mese era spira-tu./ La vedova che male se rassegna,/ tanto se dà da fa, tanto se ingegna/ che dopo man-co un mese,/ s’artrova ‘n trippaccione che jé spiana/ e senza stacce un attimo a pensà/ corre su lu comune e va a sposà./ Lu sinda-cu, se sa, pe distrazione/ smiccia da capu a funnu quella coppia/ e forse pensanno alla televisione/ domanna alla signora: “ che rad-doppia?”/ “è tacito, risponne, è naturale,/ lu sposu de sta vorda fa un quintale”.

Ruggero Cantoni

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oppure“[email protected]”.

Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta-si ai piedi di Gesù, ascoltava la sua pa-rola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia so-

rella mi ha lasciata sola a servire?Dille dunque che mi aiuti». Ma Gesù le ri-spose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta».Sul viaggio di Gesù verso Gerusalem-me, s’apre una porta dal respiro fami-liare: lì il Figlio dell’uomo ha dove posa-re il capo, per un momento, lì il povero è accolto da “poveri”.Due millenni dopo.- Marta, c’è qualcuno che bussa. Vedi chi è. Mi si sono inceppate le pantofole.- C’è qualcuno che? E che ci importa?

- Spegni la TV, c’è qualcuno che bussa, ti dico, stasera ceniamo con chi bussa.- La TV non la spengo e la porta non la apro; l’ufficio mi ha spremuto anche oggi, con cura certosina, ho bisogno di un bel pezzo di quel nulla, che satolla.Insomma, non voglio fare Marta.- Ma puoi fare la sorella; ricordi quel passo del Vangelo in cui si raffigu-ra Maria acquattata ai piedi dell’ospi-te Gesù con atteggiamento di ascol-to docile?- Sì, sì, ma lasciami almeno l’attivismo arroccato, il sudore a gocce dure, il li-vore che non muore. Domattina, poi

MARTEDÌ AL CINEMAun altro cinema è possibile

6 OTTOBRE 2015 - 31 MAGGIO 2016

Politeama Clarici - Foligno

Intero € 6 - Ridotto € 5 - (per i soci della Casa dei Popoli) - € 3 (under 30)

Rassegna promossa dall’associazione Casa dei Popoli

con il patrocinio e il contributo del Comune di Foligno - Assessorato

all’Associazionismo e Cooperazione sociale - Regione dell’Umbria (L.R.

18/90) a cura di Roberto Lazzerini

alle prime luci esco e pazza corro.- Alle prime luci? Marta, se qualcuno ti insidia e ti rincorre, dimmelo che io come marito e capofamiglia, ti giuro che ne prendo atto.- Ma che dici? Chi mi rincorre, deficien-te! Corro per la fede nella Fretta io, per questo liberamente mi tuffo nel recin-to sovrano della scrivania. Così, dolce consorte, ceniamo anche domani; alla luce elettrica, però, perché, mi dicono in ufficio, che quella spirituale, alla lun-ga può far male.

C.C.

CINECLUB ASTR/AZIONIGalleria ex cinema Astravia Mazzini, 47 – Foligno

[email protected] logica della poesia corrisponde maggiormente alle possibilità del cinema, la più veritiera e la più

poetica delle arti

Ingresso ai film riservato ai soci 2016 (tessera annuale FICC

2016: € 10,00 - under 30: € 5,00 - contributo: € 2,00)

È online il nuovo sito di “al Quadrivio”puoi trovare tutti gli articoli e i numeri precedenti

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