La casa sul promontorio

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Antonio Ippoliti, giallo È una tranquilla sera di fine estate. I signori Bacciani, insieme ai loro ospiti, hanno appena finito di cenare sul terrazzo della loro splendida villa adagiata su un promontorio del Circeo. Mentre si godono il fresco della sera, tra una chiacchierata e l’altra, la loro figlia, Sabrina, si reca in camera sua. Non la vedranno più, nonostante le sollecite ricerche. Sembrerà sparita nel nulla. A indagare sul caso, oltre alla polizia, verranno chiamati due amici detective: Richard Green, ex funzionario di Scotland Yard, diventato ricchissimo grazie a una eredità, e Peppino Politi, un ex maresciallo dei carabinieri. Le indagini andranno a rovistare nel mondo torbido della gioventù ricca e annoiata. Quando ogni speranza di ritrovarla viva sembra ormai perduta, i due detective risolveranno il caso in modo rocambolesco, con l’involontario aiuto di... un cracker e uno stuzzicadenti!

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In uscita il 30/6/2016 (15,50 euro)

Versione ebook in uscita tra fine luglio e inizio agosto 2016

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Antonio Ippoliti

LA CASA SUL

PROMONTORIO

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LA CASA SUL PROMONTORIO Copyright © 2016 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-9370-000-9 Copertina: immagine Shutterstock.com

Prima edizione Giugno 2016 Stampato da

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Martedì 2 settembre. Sera

«Ancora niente?» Richard se ne stava comodamente sdraiato sul terrazzo al primo piano della villa e mi osservava divertito. Mi trovavo giù, in riva al lago, impegnato nel tentativo, ormai improbabile, di pescare una dignitosa spigola per la cena. «Neppure una toccata», confermai sconsolato, senza perdere di vista il galleggiante penosamente immobile sull’acqua. «Caro Peppino, la tua teoria sull’abbondante pastura col bigattino non mi sembra infallibile come dicevi…» L’accento inglese rendeva ancora più pungenti le frecciatine di Richard. «Hai dimenticato i tre chili di spigole dell’altro giorno!» cercai di difendermi. «E tu hai mai sentito parlare di… ehm… culo?» Lo immaginai sghignazzare sotto i suoi baffetti ordinati. Non usava mai termini volgari, perciò capii che questa volta intendeva rigirare il coltello nella piaga. Mi rifugiai dietro a un luogo comune. «C’è sempre l’eccezione che conferma la regola… ti ripeto che questo è il metodo seguito dalla gran parte dei pescatori del posto, con ottimi risultati di solito.» Fece un gesto di disappunto. «No, no! La spigola è cacciatrice, segue il movimento, il… guizzo. Dai retta a me: l’unica è l’esca viva, un bel pesciolino vispo attaccato delicatamente alla lenza. Come abbiamo sempre fatto, no?» Era un perfezionista e, come al solito, non capiva che a volte bisogna arrangiarsi. «In questo periodo torniamo spesso a casa dopo il tramonto: mi dici dove troviamo il tempo di pescare il pesciolino prima della spigola?» «Appunto: stasera bisognava rinunciare alla spigola!» «L’altra sera, però, ci è andata bene…»

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«Lo ammetto. Ma sono dieci giorni che butti quintali di bigattini in queste acque, roba che se ti beccano le guardie forestali ti sbattono in galera e buttano la chiave.» Feci una smorfia di disgusto. «Quintali?… Due manciate ogni sera.» «Sì, due chili vorrai dire!» Aveva ragione. Effettivamente stavo esagerando col bigattino. Ci sono regole di pesca che ne limitano l’uso. «Scendo giù a preparare la solita insalata di pomodori», disse lui alzandosi dalla sdraio. Per un po’ rimasi a osservare i riflessi rossastri del lago e a godermi la brezza settembrina che saliva dal mare, oltre le dune di sabbia. Poi sollevai la canna da pesca e, rassegnato, cominciai a richiamare la lenza ruotando il mulinello. Anche quella sera cenammo insieme, giù in giardino, come succedeva spesso durante l’estate. Richard era un ottimo cuoco, paziente e meticoloso, anche nel preparare una semplice insalata di pomodoro, che arricchiva con tanti ingredienti. Lo conoscevo da poco più di un anno. Una sera bussò alla porta del mio ufficio, al comando dei carabinieri di Latina. Mi trovai davanti un signore distinto, sulla cinquantina, alto e magro, vestito con un doppio petto blu, con pochi capelli, brizzolati, pettinati di lato, baffetti corti, ben curati. Nonostante il forte accento inglese, parlava correttamente l’italiano. «Il maresciallo Giuseppe Politi?» chiese. «Sono io», risposi. «In cosa possa esserle utile?» «Mi chiamo Green, Richard Green.» Avanzò verso di me porgendomi la mano. Mi alzai dalla scrivania e gliela strinsi. «Prego, si sieda signor Green.» Gli indicai la sedia davanti a me e mi sedetti anch’io. Mi guardò per qualche secondo senza parlare, con un sorriso emblematico sulle labbra. Lì per lì pensai che dovesse avere qualche rotella fuori posto. «Dunque?…» lo sollecitai. «Mi scusi, signor Politi, ma lei è esattamente come l’avevo immaginata…» Stavo per rispondere, ma lui mi precedette.

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«Abbiamo un amico comune. Il colonnello Altieri, se lo ricorda?» Eccome se lo ricordavo! Era stato il mio comandante fino a qualche mese prima, una persona amabile. «Mi ha fatto una sua descrizione così accurata che corrisponde perfettamente alla realtà.» «Stimo molto il colonnello Altieri», confermai in tono formale. «Dica pure mister Green, sarò lieto di esserle utile.» «Lo spero proprio, maresciallo Politi, date le ottime referenze che mi ha fornito il colonnello.» Cominciava a incuriosirmi e notai che nonostante il suo flemmatico atteggiamento, studiava attentamente le mie reazioni alle sue parole. Se ne stava immobile sulla sedia e sembrava che i suoi occhi esplorassero ogni angolo della mia scrivania, ma alla fine di ogni frase si piantavano, accorti, sul mio viso. Dopo pochi preamboli venne al dunque. «… Come le dicevo, sono un ex ispettore di Scotland Yard e negli ultimi anni ho lavorato spesso nel servizio di sicurezza dell’ambasciata inglese a Roma…» «Ah, questo spiega la sua perfetta padronanza della nostra lingua», osservai. «Non proprio, la conoscenza della vostra meravigliosa lingua mi viene da più lontano… vede, mia madre era italiana. Napoletana, per l’esattezza.» Stentai a crederlo, mi sembrava inglese dalla testa ai piedi. «In realtà mio padre», continuò, «fin da giovane ha frequentato molto l’Italia. Era un imprenditore e aveva numerosi interessi economici in questo Bel Paese. Un bel giorno, conobbe mia madre e poco dopo si sposarono. La loro esistenza trascorse tra Londra e Roma. Un amore durato tutta una vita. Solo la morte li ha separati.» Stavo per intervenire, ma lui mi fermò con un gesto della mano. «Tuttavia, tra me e mio padre non c’è mai stato molto… feeling. Fin da ragazzo non volli seguirlo nelle sue faccende di lavoro e, anzi, desiderai rendermi indipendente il prima possibile. Entrai nella polizia a diciotto anni e andai a vivere da solo. Mantenni contatti assidui solo con mia madre… fino a quando è morta, due anni fa. Mio padre l’ha seguita due mesi fa.» Abbassò lo sguardo, quasi volesse nascondere un’emozione. «Mi dispiace…» intervenni. Annuì. «Si starà chiedendo, giustamente, cosa c’entri tutto ciò con la mia visita.» Mi guardò con il solito sorriso cordiale. «L’accontenterò subito, cercando di essere breve e conciso. Da due mesi, quindi, sono diventato

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erede di una gran fortuna e, nonostante amassi il mio lavoro di detective, ho deciso di licenziarmi e di trasferirmi a Sabaudia, dove mio padre possedeva una villa sul lago. Della società ereditata si occupano con diligenza gli amministratori e a me, in pratica, non resta che godere del loro lavoro e della mia fortuna. Io vengo interpellato solo per le decisioni indispensabili.» «Beato lei!» non potei fare a meno di esclamare. «Ha ragione. Sono fortunato», riconobbe lui. «Ma non è l’ozio che vado cercando, anche se a cinquantacinque anni e con trentasette di carriera alle spalle, potrei desiderarlo… In realtà vorrei continuare a occuparmi del campo che, per una vita ormai, è stato il mio mestiere: l’investigazione. È una attività che mi attrae e mi emoziona sempre. Ma vorrei svolgerla da privato, con la possibilità di scegliere i casi più interessanti, dato che la parte economica, come può immaginare, non mi interessa più di tanto.» «Un investigatore privato…» precisai. «Sì, privato, ma non solitario: io e un altro socio che abbia la capacità, l’onestà e… la simpatia necessaria. Per trovare questo qualcuno mi sono rivolto al colonnello Altieri, con il quale ho spesso collaborato in passato per indagini a livello internazionale.» Cominciavo a capire e Richard, che sembrava leggermi nel pensiero, assentì. «Esatto. Il colonnello Altieri mi ha indicato lei, maresciallo. L’ha descritta come una persona onesta, leale e simpatica e devo dire che… seppure la conosca da pochi minuti, ritengo che mi abbia indicato la persona giusta.» Stavo per intervenire, ma lui mi precedette di nuovo. «Vede, io do molta importanza alle prime impressioni. Si sarà accorto che spesso la guardo negli occhi: è perché ritengo che gli occhi siano veramente lo specchio dell’anima e non possano mentire. E badi: io non cerco un segretario e neppure tanto un collaboratore. Cerco soprattutto un amico.» «Lei mi lusinga, mister Green», risposi, con un accento un po’ sornione. «Tuttavia mi sta facendo un discorso un po’… particolare. Se ho ben capito, lei vorrebbe assumermi in questa attività investigativa, ma, come vede, io ho già un lavoro.» «Già, ma il colonnello Altieri mi ha anche detto che lei sta pensando di andarsene… come dire… in pensione.»

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Era una confidenza che avevo fatto al colonnello e mi scocciava un tantino che l’avesse rivelata a una persona a me estranea. «Il colonnello vi ha detto proprio tutto di me», osservai. «Sì, ma non fategliene una colpa. Sono io che l’ho pregato di parlarmi dettagliatamente di lei quando ho capito che poteva fare al mio caso.» «Beh, la capisco», lo rassicurai. Mi appoggiai alla poltrona e sospirai. «… Ma per quando andrò in pensione, ho già dei progetti. A me fa senz’altro piacere che lei si sia rivolto a me per un compito tanto delicato e coinvolgente, ma se andrò via dall’Arma so già cosa fare.» «Naturale, signor Politi», disse Richard con l’aria di chi non si sente per nulla scoraggiato da ciò che ha appena sentito. «Ma i progetti si possono cambiare in presenza di altre possibilità ancor più favorevoli.» Si sporse in avanti col busto. «Dovete scusarmi per la mia insistenza, ma io vi illustrerò lo stesso la mia offerta, dopo di che lei non mi darà una risposta immediata, ma potremmo risentirci diciamo… tra una settimana.» Mi fissò col suo sorrisetto fiducioso e cocciuto e io mi sentii in dovere di acconsentire. «Va bene, mister Green, illustri pure, ma…» «Niente ma», mi interruppe. «La risposta tra una settimana.» Mi rilassai sulla poltrona invitandolo, con un gesto, a parlare. «Ascolti», mi disse, «a Sabaudia ho già comprato una villetta di fronte alla mia, dall’altra parte della strada. Non affaccia direttamente sul lago, ma è veramente graziosa e ha un bel giardino. Gliela cedo a uso gratuito e le darò anche le chiavi del cancello del mio giardino, in modo che possa utilizzarlo quando vorrà. Magari per pescare… hobby che abbiamo in comune, se ricordo bene quel che mi ha detto il colonnello. A proposito, possiedo anche uno yacht e, quando vorremo, potremo fare delle belle battute di pesca. Tra di noi non ci sarà alcun rapporto di subordinazione, perché la società di investigazione sarà al cinquanta per cento. Le passerò, tuttavia, uno stipendio per le… attività aggiuntive.» «Attività aggiuntive?» chiesi. «Esattamente. Le chiederò, magari, di accompagnarmi a Roma, di aiutarmi qualche volta, nei miei spostamenti, oppure di curarmi il giardino quando sarò assente, perché so che le piace il giardinaggio… insomma: un socio, non un dipendente.» Si appoggiò allo schienale della sedia. «Io non sono sposato e so che neppure lei lo è, quindi abbiamo la libertà di crearci le condizioni per una serena e gaudente vecchiaia.»

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Sorrise. «Io mi sono già iscritto a un club nautico di Sabaudia, lei potrà fare qualcosa di simile o cercarsi altri spazi di vita. Immagino che lei conosca bene quella città: è meravigliosa, tranquilla d’inverno e piena di vita d’estate.» Era la mia città preferita, con il suo lago e il suo splendido mare. Mister Green mi aveva descritto una prospettiva di vita che somigliava molto all’immagine idilliaca di un paradiso terrestre. Il mio progetto iniziale di congedarmi dall’Arma e mettermi ad aiutare mio fratello nella conduzione del suo negozio di ferramenta a Terracina impallidiva di fronte alla villa al lago, alle battute di pesca, al fiorente giardino e, non ultima, alla prospettiva di restare nell’ambito investigativo, senza neppure più gli obblighi di subordinazione e di comando. Richard mi stava invitando a entrare come protagonista in quel mondo che io gli invidiai subito, appena aveva cominciato a descrivermelo. Continuai a fissare il piano della scrivania per un po’ e deglutii nervosamente, ma cercavo di nascondere il mio interesse per la proposta. «Ma io ho già una casa a Terracina e anche un’attività che mi aspetta, mister Green…» «Può affittare la sua casa», mi interruppe lui con baldanza e con l’aria di chi sa che sta facendo breccia nella riluttanza altrui. «Sarà un’ulteriore entrata economica che, certo, non le dispiacerà! In quanto all’attività, forse quella che le sto proponendo le procurerà più soddisfazioni. Ci pensi, signor Politi… anzi, “Peppino”, se mi permetti. È così che ti chiamano gli amici, no?» Si alzò dalla sedia. Gli sorrisi anch’io, alzandomi a mia volta. «Certo… Richard, “Peppino” va bene, al di là della scelta che farò. La sua stima… anzi la “tua” stima, mi lusinga. Prometto che ci penserò bene.» Non aspettai una settimana per fargli conoscere la mia decisione e mai scelta fu più felice. Mi trovai subito in completa sintonia con Richard che cominciò a introdurmi anche nei suoi affari economici e tra la cerchia di persone che frequentava. Così, spesso, ci recavamo a Roma, fermandoci nel suo appartamento romano, o facendo la spola tra Sabaudia e la capitale quando non volevamo rinunciare per troppo tempo alla quiete del lago. Volli conservare, tuttavia, un mio spazio e non mi iscrissi al club nautico, un po’ troppo aristocratico per i miei gusti, ma cominciai a bazzicare il circolo dei bocciofili e pian piano mi scoprii un vero campione, vincendo più di un trofeo.

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Finita la cena, Richard si accese la sua Dunhill e si distese sulla sdraio, guardando verso il lago. L’ultima luce del giorno si specchiava nei mille riflessi dell’acqua. Davanti a noi c’era un solo ramo del lago. Sulla riva opposta, a circa duecento metri, si trovava l’antica chiesetta della Madonna della Sorresca, talmente bella che quasi ogni domenica vi si celebrava un matrimonio. Mi adagiai anch’io su una sdraio. «Dimenticavo… questo pomeriggio mi ha telefonato Altieri», mi disse Richard. «Ha un caso scottante tra le mani e vorrebbe parlarci.» «Sai di cosa si tratta?» chiesi. «Non ha voluto dirmi nulla per telefono. A quanto pare è una faccenda un po’ strana. Mi ha detto che sarebbe passato dopo cena.» Avrei rivisto volentieri il mio ex colonnello. Un tipo allegro e informale, nonostante il grado e l’età. Doveva ormai essere prossimo alla pensione. Mi aveva sempre trattato più da amico che da subalterno. «Dopo cena…» osservai. «Un orario un po’ insolito.» «Ha detto di avere troppi impegni. Gli ho proposto di venire a cena, ma non ha potuto.» “Meno male”, pensai. “Se gli avesse parlato delle spigole avrei fatto doppia figuraccia”. Richard mi guardò improvvisamente. «Stai pensando qualcosa?» Mi voltai dall’altra parte senza nemmeno rispondergli. Si divertiva un mondo a punzecchiarmi, ma dovevo riconoscere che io non ero da meno quando ne avevo l’occasione. Sentimmo il cancello che si apriva alle nostre spalle. «Ecco Anita», annunciò Richard, senza neppure voltarsi. «Stasera è in ritardo.» Anita era la donna che si occupava delle pulizie. Aveva più di sessant’anni, ma conservava un’energia e un umorismo dirompente. «Signori!» La sua voce acuta e stridula ruppe l’incanto della sera. «Si sta bene a pancia all’aria, eh?» A Richard piaceva scherzare con lei. «Anita! Perbacco: non provi rimorso a rompere questa magica atmosfera?» «Magica atmosfera? Questo posto è di una noia mortale!» ribatté lei. «C’è più silenzio qui che al cimitero!» «Non hai un animo poetico!» sentenziò il mio amico con la solita flemma.

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«Un animo poetico?» ripeté lei, sorridendo sorniona. «Cos’è? Roba che si mangia?» «Siediti su quella sdraio e goditi questa pace. Forse così capirai a cosa mi riferisco.» «Fossi matta! Tra un’ora inizia la mia telenovela preferita e non me la perderei per tutto l’oro del mondo! Il tempo di sparecchiare e di avviare la lavastoviglie e vi lascio volentieri alla vostra “magica atmosfera”.» Era una donna tenace, cocciuta e molto pettegola, ma aveva un gran cuore. La consideravamo una di famiglia. Di costituzione grassoccia, bassa di statura, aveva un visetto paffuto dall’espressione vispa. Era vedova da parecchi anni e abitava in una palazzina non distante dalla villa. «Ma… questa è insalata di pomodoro!» la sentii esclamare mentre liberava il tavolo. «Stasera non dovevate mangiare pesce fresco?» «Chiedilo a Peppino», mormorò Richard. Accennai solo un gesto di diniego. «Lo sapevo: pescatori della domenica», sentenziò Anita. «Avrei fatto bene a portarvi un po’ del mio spezzatino con le patate.» Richard sospirò per infierire sul mio orgoglio. «Ingrato!» borbottai tra me e me. «Di cosa dovrei esserti grato? Della spigola?» Stavo per ribattere, quando udimmo il citofono del cancello. Anita prese il ricevitore portatile e lo porse a Richard. «… Entra siamo in giardino» lo sentii dire. Si rivolse a me. «È il colonnello. E c’è altra gente.» Ci alzammo e vedemmo entrare Altieri insieme ad altre due persone. Man mano che si avvicinavano potemmo distinguerli nella luce debole della sera. Nel frattempo, Anita accese i restanti lampioni del giardino. Il colonnello era in borghese e gli altri due vestivano in modo molto elegante. Uno era anziano, doveva avere intorno ai settant’anni, piuttosto corpulento, portava capelli di un bianco candido, ma ancora folti e pettinati all’indietro. Vestiva elegante e tutta la figura era ben curata, ma appena ci fu vicino mi accorsi che aveva un’aria molto melanconica, anzi, quasi affranta. Avrei scommesso che i suoi occhi, poco prima, avessero pianto. L’altro individuo invece era ancora giovane, intorno ai trentacinque anni, poco più alto del normale. Aveva gli occhi di un grigio chiaro, molto in contrasto con la carnagione piuttosto scura del viso. Vestiva in modo elegante anche lui, un completo scuro e una cravatta

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grigia. I capelli un po’ lunghi e arruffati gli conferivano un’aria meno austera di quella del suo compagno, ma anche lui sembrava molto provato. Il colonnello ce li presentò. L’anziano si chiamava Alberto Bacciani ed era un finanziere romano. L’altro, Mauro Landolfi, era un suo consulente e amico. «Scusateci per l’ora insolita, ma dovremmo parlare di una questione grave e delicata», continuò Altieri. Richard fece un cenno d’intesa ad Anita che continuava a riordinare le sedie e la tavola, poi si rivolse a noi. «Andiamo nel mio studio. Prego, vi faccio strada.» Attraversammo il soggiorno al piano terra ed entrammo nell’ampio studio del mio amico. Era arredato in modo molto essenziale: grandi scaffali alle pareti, una larga scrivania con una piccola poltrona girevole e sedie con morbide sedute sparse un po’ ovunque. A Richard piaceva un tipo di arredamento senza tanti fronzoli , comodo e funzionale. Ci sedemmo attorno alla scrivania senza dire una parola. Che si trattasse di qualcosa di molto grave lo si capiva anche dall’atteggiamento del colonnello, di solito molto loquace e gioviale, mentre in quella circostanza non diceva una parola in più del necessario. Richard quasi certamente avvertiva quell’atmosfera pesante, ma non perse il suo sorriso cordiale. «Bene, signori. Qui possiamo parlare tranquillamente. Cosa possiamo fare per voi?» Il colonnello stava per rispondere, ma fu preceduto dal signor Bacciani. «Mi scusi, colonnello ma credo che il signor Green preferisca ascoltare la storia da un testimone diretto.» L’Ufficiale approvò con un gesto. L’anziano sospirò profondamente prima di parlare rivolto a Green e a me. «Possiedo una villa, su un piccolo promontorio del Circeo. Un’abitazione per le vacanze estive e per i fine settimana. Si trova in un luogo tranquillo e isolato. Il promontorio è alto una decina di metri rispetto al livello del mare. Ha una forma semicircolare ed è circondato da una scogliera. Alle spalle della villa c’è una parete rocciosa, alta una trentina di metri ed è quasi verticale.» Si fermò per respirare. «Insomma è un luogo di difficile accesso. Vi dico tutto questo perché è importante conoscere la natura del luogo per comprendere… la nostra vicenda. Per raggiungere la villa c’è una stradina scavata nella roccia che parte dalla

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spiaggetta accanto al porticciolo di San Felice. È talmente stretta che ci può passare solo un’auto per volta. Per questo ho fatto mettere una sbarra all’inizio della stradina, in modo che chi arriva alla villa deve citofonare per farsi alzare la sbarra e percorrere in auto la stradina. Dalla sbarra al cancello della villa ci sono un centinaio di metri.» S’interruppe per un attimo, fissando il pavimento, ma nessuno di noi osò intervenire. Sembrava facesse una fatica tremenda per parlare, cercando di soppesare ogni parola. «Tutti questi particolari dovrebbero servire a farvi capire quanto sia inspiegabile la scomparsa di… mia figlia…» Un singhiozzo gli spense la frase in gola. Il giovane al suo fianco gli mise una mano sulla spalla. «Dai, Alberto. Non farti prendere dallo sconforto… vedrai che tutto si risolverà per il meglio.» L’anziano si ricompose, prese un fazzoletto dal taschino della giacca, si asciugò gli occhi e se lo rimise in tasca. «Hai ragione, Mauro. Devo restare lucido e non farmi prendere dal panico.» Tornò a rivolgersi a noi. «Vedete, mia figlia, Sabrina, da ieri sera è scomparsa, svanita nel nulla. Avevamo appena finito di cenare sul terrazzo della villa. Lei si è ritirata in camera sua e… da quel momento non l’abbiamo più rivista. Per quella stradina di cui vi ho parlato non è mai passata, perché accanto al cancello di ingresso della nostra proprietà c’è una dependance dove vivono i custodi della villa, Franco e sua moglie, che non l’hanno vista passare. Anche loro cenavano all’aperto, ieri sera, proprio davanti al cancello.» Fece una breve pausa. «Quando ci siamo resi conto della sua sparizione, l’abbiamo cercata ovunque, in casa, in giardino, sul resto del promontorio… dappertutto. Finché, verso mezzanotte, abbiamo deciso di rivolgerci alla polizia.» «Dalla villa alla fine del promontorio c’è molta distanza?» chiese Richard. «Saranno poco più di cento metri, a partire dal muro di cinta del giardino», rispose l’anziano. «È un’area brulla, con poche macchie di vegetazione e un terreno sassoso.» «Parlagli della barca», gli suggerì il giovane. «Sì, la barca…» ripeté Bacciani. «Un mio ospite, durante la cena, ha notato una barca che si avvicinava alla scogliera del promontorio. Una barca a remi. Lì per lì non gli ha dato alcun peso, ma alla luce della scomparsa di mia figlia la cosa può essere importante.» «Non ha notato quante persone ci fossero sulla barca?» domandai.

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«No, è scomparsa subito sotto costa. La distanza e la luce scarsa impedivano di vederla bene, tanto che solo lui l’ha notata. Abbiamo pensato che quel procedere silenzioso, privo di motore, fosse dovuto alla volontà di avvicinarsi al promontorio senza essere visti.» «Capisco…» intervenne Richard. «Mi parli un po’ dei suoi ospiti.» L’anziano padre sospirò di nuovo prima di rispondere. «Da alcuni giorni ospitiamo i coniugi Gherardi, nostri amici di vecchia data. Lui, Giuseppe, è presidente di un istituto bancario. Sua moglie si chiama Marta. Ogni tanto si fa vedere alla villa anche il loro figlio, Nicola, una ragazzo poco più che ventenne.» «Ha ventisei anni», precisò Landolfi. Bacciani lo guardò con i suoi occhi spenti, poi riprese: «Ieri sera si trattava di una specie di cena di commiato, dato che oggi sarebbero dovuti tornare a Roma, ma dopo quel che è accaduto hanno deciso di restare per esserci vicini in questo momento difficile…» Deglutì ancora per recuperare il controllo di sé, poi indicò Landolfi. «Mauro era uscito prima di cena perché aveva un impegno e… basta, eravamo tutti noi.» «C’era anche Gianluca…» gli suggerì di nuovo il giovane. «Ah, Gianluca… non l’ho annoverato tra gli ospiti perché ormai lo considero uno di famiglia. È il fidanzato di Sabrina, un gran bravo ragazzo.» «Avete anche servitù?» chiese di nuovo Richard. «Sì… oltre a Franco e Lidia, i custodi, abbiamo anche Gina e Nora, si occupano delle faccende domestiche.» Seguì un momento di silenzio. «Dicevate che vi siete subito rivolti alla polizia…» riprese Richard. «Sì, non abbiamo voluto perdere tempo», rispose Bacciani. «Soprattutto dopo che il mio ospite mi ha rivelato il particolare della barca. È arrivato un certo commissario… Cantarutti, mi sembra di ricordare. Gli ho spiegato la situazione e gli ho chiesto di tenere sotto controllo la costa del Circeo, insomma, di fare qualcosa per rintracciare quella barca. Ho sentito che impartiva qualche ordine in proposito, ma… non mi sembrava molto convinto», aggiunse con una punta di stizza. «In questi casi, invece, so che la tempestività delle ricerche può rivelarsi determinante.» «Certo, quando si sa in quale direzione cercare», puntualizzò Richard. «Ma lasciamo perdere la barca, per il momento… mi diceva del fidanzato di sua figlia.» «Sì, Gianluca… sono quasi due anni che stanno insieme.»

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«Che lei sappia, vanno d’accordo?» «Oh, sì… penso proprio di sì. Le dicevo che Gianluca è un bravo ragazzo, un po’ timido e impacciato. Io e mia moglie ci siamo subito affezionati a lui. Ma perché me lo chiede?» «Beh, se Sabrina avesse avuto qualche problema, nessuno meglio di Gianluca avrebbe potuto saperlo.» «Capisco…» disse l’anziano, poi sembrò destarsi dal suo torpore. «Ma… lei non crede all’ipotesi del rapimento?» «Allo stato attuale mi sembra che non si possa escludere alcuna ipotesi, signor Bacciani. Bisogna raccogliere al più presto tutti gli elementi che ci possono dare un quadro preciso della situazione.» L’anziano si rivolse a noi quasi supplichevole: «Ci aiuterete, vero? Il colonnello mi ha assicurato che avete risolto molti casi difficili nella vostra carriera.» «Non si preoccupi di questo, signor Bacciani, faremo tutto il possibile», lo rassicurò il mio amico. «La ringrazio… domattina verrete alla villa?» «Sì, devo conoscere bene i luoghi e le persone. Dovrò fare domande e cercare di ricostruire dettagliatamente i momenti che hanno preceduto la scomparsa di sua figlia.» «Non avrà problemi, mister Green.» L’anziano sembrava già più rinfrancato. «Troverà persone disposte alla più completa collaborazione. Ieri notte per noi è iniziato un inferno e non vediamo l’ora che tutto ciò finisca con il riabbracciare nostra figlia.» Ci alzammo tutti, continuando a parlare di qualche dettaglio. Io e Richard li accompagnammo al cancello. Altieri uscì per ultimo ed ebbe così modo di fare alcuni gesti eloquenti al mio amico: “dopo ti telefono”. Richard annuì e chiuse il cancello. Ritornammo verso la villa. Anita era andata via senza disturbare: quando voleva, sapeva essere discreta. Chiesi a Richard il suo parere sulla vicenda. Ci pensò su, poi scosse la testa. «Non mi convince, è uno strano modo di sequestrare una persona, enormemente rischioso… in casa sua e in presenza di ospiti», sembrava ragionare tra sé e sé. «E nessuno si accorge di nulla… con una barca a remi, poi. No, mi sento quasi di escluderlo. Comunque, finché non vedremo il luogo non possiamo scartare nulla.» Si rivolse a me: «Tu che ne pensi?» «Anche a me sembra molto strano. Ci sono tanti metodi meno rischiosi se proprio si vuole portare a termine un sequestro di persona.»

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«Senza considerare che sono anni che non si sente più parlare di sequestri di persone a scopo di riscatto. Sono crimini troppo complessi da gestire e molto difficili…» «Già», convenni. «Eppure questa Sabrina sembra proprio sparita nel nulla.» Ci pensai ancora un po’ su. «Escluderesti un colpo di testa della ragazza? Non potrebbe essersi allontanata di sua spontanea volontà, per problemi suoi? Sai, i giovani di oggi sono imprevedibili. Forse tra un po’ si pente e farà avere sue notizie.» Richard appariva molto scettico. «Uhm… anche questa ipotesi mi sembra molto traballante. Per quanto potesse avercela con qualcuno, non credo che avrebbe gettato i suoi genitori e il suo fidanzato in questo sconforto. Diavolo! Rischia di far venire un accidente ai suoi. Non hai visto il padre com’è ridotto?» «Ma…» insistetti, «mettiamo che i genitori non le permettano di lasciare quel Gianluca del quale, magari, non è così innamorata…» «No, no… non regge», mi interruppe lui. «Penso siano affezionati al fidanzato perché ha l’affetto della loro figlia. Non credo che questa Sabrina abbia bisogno di azioni del genere per imporre la sua volontà ai genitori… Comunque sappiamo ben poco della faccenda, è troppo presto per parlarne.» «Domani mattina andiamo direttamente alla villa?» chiesi. «Sì, ti va di partire presto? Diciamo verso le otto?» «Per me va bene… questa faccenda mi incuriosisce parecchio.» Ci scambiammo ancora qualche battuta poi ci salutammo. Attraversai la strada e me ne andai a dormire nella mia piccola e incantevole casetta. Una ragazza sparita nel nulla, inghiottita dalla notte, in una calma serata di fine estate. Mi addormentai tardi. Intuivo già che non sarebbe stato semplice risolvere il caso.

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Mercoledì 3 settembre. Mattina

Non erano ancora le otto e trenta del mattino quando arrivammo all’imbocco della stradina che portava alla villa dei Bacciani. Nel porto vicino c’era già parecchio movimento. Ci trovavamo a bordo della Cinquecento blu del mio socio, un’utilitaria che lui usava per le indagini. “È discreta e non dà nell’occhio. Ottima per pedinare le persone”. Fermò l’auto davanti alla sbarra abbassata e io scesi a citofonare. Attesi un po’ prima di sentirmi rispondere. Spiegai chi eravamo e subito dopo la sbarra cominciò a sollevarsi. Risalii in macchina e ripartimmo. La stradina era veramente stretta, saliva ripida dalla spiaggetta sabbiosa. Dopo pochi metri faceva una curva oltre la quale appariva la villa, distante un centinaio di metri. Dalla curva in poi la stradina era scavata nella roccia. A destra avevamo la parete rocciosa, a sinistra lo strapiombo che dava sugli scogli. Un robusto guardrail in metallo delimitava la strada dalla parte del mare. Giungemmo davanti al cancello d’ingresso scorrevole che iniziò ad aprirsi per farci entrare. A destra notai un cancello più piccolo per il passaggio pedonale. Varcato il cancello, ci ritrovammo in un piccolo piazzale dove sostavano due auto della polizia. Richard parcheggiò accanto a esse e scendemmo. Un uomo uscì dalla casetta a ridosso del cancello e ci venne incontro. Era piuttosto anziano, basso e smilzo. Sul volto un sorriso cordiale. «Buongiorno, mi chiamo Franco, sono il custode della villa. Il signor Bacciani vi attende in casa, vi faccio strada.» «No, non occorre», rispose il mio amico. «Prima vorremmo osservare un po’ la zona. Da quassù si gode di una splendida vista.» «Ah, come volete», rispose l’omino. «Allora torno in casa. Se occorre qualcosa, chiamate.» Ci salutò di nuovo e ritornò sui suoi passi. Io e Richard ci avvicinammo al ciglio del piazzale e guardammo l’incantevole panorama intorno a noi. Il promontorio era una lingua di terra che si inoltrava per circa duecento metri verso il largo. Non era

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completamente piano, ma digradava dolcemente verso il mare, a partire dalla montagna. Tuttavia, anche la parte più bassa, laggiù in fondo, doveva trovarsi a diversi metri sopra il livello del mare. Il territorio era roccioso, con poche macchie di vegetazione sparse qua e là. La villa era stata costruita sulla parte più alta della penisola, proprio sotto una scarpata rocciosa alta almeno trenta metri. Era disposta su due piani, appariva piuttosto grande e ben integrata in quel contesto naturale, con le pareti in sassi a vista e le travi in legno che sporgevano dai solai. Il piano terra era parzialmente coperto dalla vegetazione del giardino. Si notavano, tuttavia, numerose vetrate, probabilmente porte-finestre che permettevano di accedere direttamente all’esterno dai vari locali. Al primo piano una bella e ampia veranda, coperta in legno, guardava verso il mare. Notai che vi si poteva accedere anche da una scala esterna. Il giardino, dalla parte del promontorio, era delimitato da un muro, anch’esso in sassi, alto un paio di metri. Era rigoglioso, dappertutto si notavano aiuole dai colori accesi, alberi, arbusti e pergole che ombreggiavano vialetti lastricati in porfido. Per qualche minuto godemmo di quella vista, poi sentii la voce di Richard al mio fianco. «Se tu fossi il proprietario, faresti a cambio con la mia?» Osservai la sua espressione malandrina, poi tornai a guardare la villa e stetti al gioco. «Beh, da un punto di vista economico, penso valga almeno il doppio della tua. È più grande e si trova in una posizione unica. Però… non lo so. Il paesaggio è aspro e il luogo troppo solitario. A lungo andare forse mi prenderebbe un po’ di inquietudine.» Feci finta di riflettere ancora. «Sì, a conti fatti, preferisco la tua… contento?» «Lo sapevo…» disse lui, gongolando. «Sì, sì», lo interruppi canzonandolo, e ci avviammo verso la villa. «Ieri sera ti ha telefonato Altieri?» continuai. «Sì, ma solo per dirmi che Bacciani è una brava persona e un suo grande amico», rispose. «Sulla vicenda neppure lui sa cosa pensare.» Superammo l’ingresso del giardino e vedemmo Bacciani che parlava con altri due individui. Ci avvicinammo, l’anziano ci vide e ci venne incontro. «Mister Green, signor Politi, sono felice che siate già qui.» Ci tese la mano e ci presentò i due che erano con lui. Il primo era Giuseppe Gherardi, il suo ospite, un uomo sulla sessantina, piuttosto alto e robusto, quasi calvo del tutto, con un volto paffuto, un naso grosso, a patata, e gli

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occhi piccoli e rotondi. L’altro era il commissario, Luciano Cantarutti, poteva avere una quarantina d’anni. Aveva una statura un po’ più bassa della media, ma il fisico era robusto e i tratti del viso un po’ tarchiati. Anche lui era quasi calvo e in quel momento pareva avere un’aria un po’ seccata. Ci salutò in modo sbrigativo e formale, tornando subito a parlare con Bacciani, voltandoci quasi le spalle. «… Dunque, tra poco arriverà la motovedetta e potremo ispezionare la costa intorno al promontorio, ma dubito fortemente che troveremo un qualche indizio.» «Lo so, commissario», ribatté il padre della giovane scomparsa. «Ma è meglio non lasciare nulla di intentato. È in gioco la vita di mia figlia, se ne rende conto?» «Certo, certo», ripeté il commissario in tono non troppo convinto. «Faremo tutto il necessario con il massimo impegno. Come vede stiamo utilizzando tutti i mezzi a nostra disposizione.» Guardò l’orologio. «Permettetemi adesso di allontanarmi: vado a dirigere le operazioni sulla scogliera.» Accennò un saluto e si avviò verso il vialetto che comunicava con il cancello aperto verso il promontorio. Probabilmente da lì partiva qualche viottolo che attraversava tutto quel terreno brullo e arrivava fino in fondo alla penisola. Bacciani lo guardò allontanarsi. Sembrava indeciso sul da farsi, poi si rivolse a noi. «Signori, vorrei assistere anch’io alle operazioni. Vi dispiace se…» «Non si preoccupi», lo rassicurò Richard. «Anche noi siamo interessati a questo controllo: la accompagneremo.» Il signor Gherardi si unì a noi. Percorremmo il vialetto coperto da una pergola di glicine fino al cancello. Da lì partiva infatti un sentiero che si dirigeva, in linea retta, fino in fondo al promontorio. «Mi ha fatto veramente piacere vedervi qui di buona mattina», iniziò Bacciani. «Questo significa che avete preso a cuore questa faccenda e ve ne sono grato. Il colonnello mi ha illustrato le vostre eccellenti credenziali e questo mi rallegra.» «Altieri è molto generoso», tentò di schernirsi Richard. «Piuttosto mi dica: l’idea di questa ricognizione con la motovedetta è stata del commissario?» Bacciani probabilmente aveva l’abitudine di sospirare quando si trovava in imbarazzo. «A dire il vero… beh, diciamo che gli ho forzato un po’ la

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mano. Lui voleva aspettare, penso che ancora non sia convinto che si tratti di un sequestro di persona.» Il suo ospite gli mise una mano sulla spalla. «Può darsi che abbia ragione, Alberto», gli disse. «Può darsi che la barca che ho visto non c’entri niente con tutto questo e che Sabrina si sia allontanata per qualche motivo che poi ci spiegherà. Questi giovani, lo sai, sono imprevedibili. Hanno i loro problemi e sono impulsivi.» «Ti ringrazio, Giuseppe, tu cerchi di farmi coraggio», gli rispose Bacciani guardandolo con gratitudine. «Ma ne abbiamo già parlato. Sabrina non avrebbe mai fatto una cosa del genere di sua spontanea volontà: sparire all’improvviso, di nascosto, sapendo quanto dolore avrebbe dato a noi genitori e a Gianluca… che ragioni avrebbe avuto?» Si rivolse di nuovo a Richard. «Le dicevo che ho forzato la mano al commissario… beh, per dirla tutta, mister Green, ho telefonato ad amici influenti per sollecitare le indagini della polizia, glielo dico senza pudore. In realtà io so che, per un estraneo, così come si sono svolti i fatti, l’ipotesi di un sequestro può non essere scontata. Ma io conosco mia figlia e so che non si sarebbe mai allontanata in questo modo. Mi deve credere, mister Green, e quando avrà parlato con chi la conosce, anche lei mi darà ragione.» «Non stento a crederle», lo rassicurò Richard. «Del resto lo stesso custode della villa, nonostante cenasse fuori dall’ abitazione, davanti al cancello, non l’ha vista uscire.» «Esatto», confermò Bacciani. «Ma il commissario sospetta anche che possa essere andata via con la stessa barca che ha visto il mio amico Giuseppe.» «Con la stesa barca?» ripeté Richard. «E perché mai? Non era libera di muoversi in libertà? Di uscire e tornare alla villa come voleva?» «Appunto», confermò Bacciani. «Che bisogno aveva di una barca? Il commissario forse pensa a una fuga romantica, a un gesto stravagante, da libro rosa. Non conosce Sabrina», ripeté. «Mia figlia non è una pazza!» Camminavamo verso il limite del promontorio, ma, a un tratto, il mio amico si voltò verso l’edificio alle nostre spalle. «È da tanto che possiede questa villa?» «Sono due anni. Quando l’ho acquistata era ridotta male. L’ho fatta subito ristrutturare e ampliare da una ditta specializzata… sa, noi viviamo in una palazzina al centro di Roma, quindi, come può facilmente

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immaginare, un luogo così bello e solitario ci è sembrato, all’istante, un angolo di paradiso.» Con le severe leggi sulla tutela ambientale che ci sono nella zona del Circeo, mi chiesi come avesse fatto a ottenere così presto l’autorizzazione all’ampliamento. Per il mio piccolo appartamento di Terracina non ero mai riuscito a ottenere il nulla osta per realizzare una misera veranda sul balcone. Sentii Richard che continuava. «Sa, appena arrivati, il mio amico è rimasto entusiasta della villa e del contesto, tanto da esprimere il desiderio di cercarne una simile in futuro.» Notai l’espressione un po’ sorpresa di Bacciani e rivolsi un’occhiataccia fulminante a Richard. Si divertiva un mondo a mettermi in imbarazzo. Il finanziere si rivolse a Richard. «Il colonnello mi ha detto che lei è investigatore solo per passione, perché ha altre rendite, ma non sapevo che anche il suo amico fosse nel mondo della finanza.» Mi guardò compiaciuto, io gli rivolsi un mezzo sorriso cercando disperatamente di trovare qualche parola per rispondere. Richard mi venne in soccorso. «Sta imparando. Spesso lo porto con me per introdurlo nel difficile mondo degli investimenti finanziari e ha già dimostrato buone attitudini.» Bacciani, con i suoi occhi tristi, mi rivolse uno sguardo compiacente. «Le faccio i miei auguri», mi disse. «Ma si ricordi che per una casa così occorrono almeno cinque milioni di euro. Tanto m’è costata, tra una spesa e l’altra.» «Ah, certo… un po’ tantino», risposi con un mezzo sorriso. Avevo capito il disegno criminale di Richard: aveva voluto conoscere il prezzo della casa, probabilmente anche per avere un’idea della ricchezza di Bacciani, e mi aveva tirato in ballo. «Prima di acquistare questa villa, frequentavate l’ambiente del Circeo?» continuò l’inglese perfido, riprendendo a camminare verso il mare. «Mah… raramente. Qualche volta siamo stati ospiti di amici, ma non abbiamo mai avuto legami con gente del posto. Di questa villa venni a sapere tramite agenzia. Si trattava di una vendita all’asta. Il proprietario era un imprenditore che, a causa dei debiti, era fuggito all’estero. Venimmo a vederla e sia mia moglie che Sabrina si innamorarono subito del posto. Anche a me piacque molto e così decisi di fare un’offerta che si rivelò vincente.»

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«Il fatto buffo», intervenne Gherardi, «è che anch’io avevo saputo dell’asta e avevo fatto un’offerta, senza sapere dell’interesse del mio amico Alberto.» «Già, questo è un motivo di rammarico», osservò Bacciani. «E perché mai?» rispose Gherardi con un’allegria che mi sembrò un po’ forzata. «Sono spesso tuo ospite, così mi godo la casa senza spendere un centesimo!» Anche Bacciani abbozzò un sorriso. Nel frattempo eravamo arrivati sul margine del promontorio. Guardai giù, la costa in quel punto era alta solo quattro o cinque metri e, nel posto in cui ci trovavamo, c’erano degli scalini scavati nella roccia che scendevano su una minuscola spiaggia pietrosa. Il commissario si trovava laggiù, insieme ad altri tre agenti. Bacciani ci indicò la spiaggetta. «Ecco, vedete? Quello è l’unico luogo, intorno al promontorio, dove si può approdare con una barca. Sempre che il mare sia calmo. Nel resto della costa ci sono solo pareti a picco e scogli.» «E l’altra sera il mare era calmo?» chiese Richard. «Una tavola!» rispose Gherardi. «Calmo e tranquillo, nonostante tirasse un leggero soffio di brezza.» In quel momento vidi la motovedetta che spuntò da dietro la costa che riparava il porto del Circeo. Si avvicinò lentamente nella nostra direzione, fermandosi a una cinquantina di metri dalla riva. Il commissario impugnava una ricetrasmittente con la quale, evidentemente, comunicava con l’imbarcazione. Lo udimmo chiedere a quelli della motovedetta se potessero avvicinarsi di più, ma uno dei marinai gli rispose con un megafono che c’erano troppi scogli sotto il pelo dell’acqua e sarebbe stato rischioso avvicinarsi. Aggiunse, tuttavia, che i sommozzatori si sarebbero serviti di un gommone per raggiungere la costa. Poco dopo, infatti, il gommone fu calato in mare e su di esso presero posto tre sommozzatori. Si avvicinarono alla spiaggetta, remando, e quando furono a pochi metri da questa, si lasciarono cadere in acqua, immergendosi. Uno di loro venne verso la riva, gli altri si mantennero un po’ più al largo. Noi rimanemmo lassù a osservare le operazioni. Bacciani sembrava abbastanza calmo, ma i suoi occhi tradivano una evidente inquietudine che cresceva ogni qualvolta un sommozzatore emergeva. Anche il suo amico dovette accorgersene, perché gli si avvicinò sussurrandogli qualcosa che, per un attimo, lo fece

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sorridere. Ogni tanto il commissario si sbracciava e gridava verso i sommozzatori che emergevano perché, evidentemente, non facevano esattamente quello che lui diceva. A volte se la prendeva con la ricetrasmittente che, probabilmente, non funzionava come avrebbe dovuto. A un certo punto, lo vidi agitare, spazientito, la ricetrasmittente in direzione di uno dei suoi agenti. «Le batterie, Calogero, le batterie!» Bacciani si voltò sconsolato verso Richard che cercò di rincuorarlo con un sorriso. Le ricerche proseguirono per più di un’ora e riguardarono un raggio di cinquanta metri intorno a quel punto della riva. Furono perlustrati i fondali e i vari scogli che affioravano nei dintorni. Nel frattempo ci aveva raggiunto un bel giovanotto, alto e ben piazzato, con i capelli rossicci pettinati ordinatamente di lato e fissati con abbondante gel. Doveva avere una trentina d’anni, vestiva un paio di jeans e una camicia marrone sbottonata al collo. Sul viso uno sguardo un po’ malinconico. Ci salutò in modo sbrigativo, poi si rivolse a Bacciani chiedendo novità. «Nulla figliolo», gli rispose il vecchio. «Penso che abbiano finito e non hanno trovato nulla.» Il giovane sembrò sollevato. «Meglio così», esclamò, forse anche per confortare l’anziano. «Se la barca non c’entra può anche darsi che si sia allontanata di sua volontà.» Bacciani lo ammonì bonariamente con uno sguardo. «Tu la conosci: pensi che fosse capace di farci una cosa del genere?» «No», ammise il giovane. «Ma questa vicenda mi sembra assurda. Alle volte penso di stare sognando.» Bacciani ce lo presentò: «Il mio futuro genero, Gianluca Davini.» Il giovanotto ci rivolse un sorriso forzato. Il commissario, intanto, mentre i sommozzatori tornavano a bordo della motovedetta, risalì dalla spiaggetta e si avvicinò a noi. Era tutto sudato e portava la camicia aperta fino all’ombelico. «Signor Bacciani, come avrà visto, abbiamo perlustrato tutto qui intorno: non c’è niente, neppure la minima traccia di un possibile approdo o altro. Niente di niente.» Si rese conto dello stato troppo informale dell’abbigliamento e si abbottonò la camicia fino al collo. «Mi creda signor Bacciani… abbiamo setacciato tutto.» «Ho visto», confermò lui. «Adesso cosa farete?» Il commissario alzò le mani. «Io quel che dovevo fare l’ho fatto, adesso spetta al magistrato prendere altre iniziative. Le foto di sua figlia sono

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state distribuite a tutte le pattuglie. La stiamo cercando dappertutto, abbiamo passato voce agli informatori, abbiamo chiesto alle persone che la conoscono… mi creda, allo stato attuale delle cose, di più non si può fare.» Lo scatto di Gianluca, alle mie spalle, mi sorprese. «Come sarebbe a dire?» gridò. «Non si può fare di più? Dovremmo rassegnarci alla scomparsa di Sabrina? Ma che sta dicendo!» Bacciani gli mise affettuosamente una mano sulla spalla. «Calmati, ragazzo mio, calmati! Il commissario ha ragione: cosa si può fare di più per il momento?» «Con tutti i mezzi che hanno a disposizione?» ribatté stizzito il giovane. «Calmati, accidenti!» lo apostrofò più duramente il vecchio. «Non sei più un ragazzino e in queste circostanza bisogna mantenere i nervi saldi… So che stai soffrendo, ma, credimi, il nostro dolore non è da meno.» Il giovane sembrò tornare in sé. «Hai ragione, papà, scusami… e anche lei commissario, accetti le mie scuse, sono sconvolto.» “Papà”, pensai: il giovane si considerava già della famiglia. Davvero un brutto colpo, per lui. Soprattutto se non era ricco come i Bacciani… ”Cavolo! Peppino”, mi dissi, “sei il solito, incallito, gelido materialista senza cuore!” L’anziano, intanto, s’era voltato per tornare verso la villa, tenendo una mano sulla spalla del giovane. Gherardi li seguì. Richard mi fece segno di aspettare e si avvicinò a Cantarutti che s’era rimesso a dare istruzioni agli agenti rimasti sulla spiaggetta. La motovedetta era già andata via. «Mi piacerebbe conoscere il suo pensiero su questa faccenda, commissario.» Il mio socio sfoderava uno dei suoi sorrisi più disarmanti. Il funzionario lo fissò per qualche istante, ancora nervoso. Probabilmente era indeciso tra il mandarlo a quel paese e il cogliere l’occasione per dare sfogo alla sua stizza. Scelse la seconda opzione. «Sono due notti che questa storia non mi fa dormire! Ecco cosa ne penso! Pressioni da tutte le parti: fai questo, fai quello, chiama questo, interroga quell’altro. E proprio questa mattina mi hanno informato che la notizia è giunta alle orecchie della stampa, e non solo di quella locale! Lei saprà che il Bacciani è un personaggio influente: beh, il suo peso me lo sta facendo sentire tutto sul groppone.» Riprese fiato. «E non siamo neppure sicuri che si tratti di un sequestro, anzi…»

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Richard, con calma, tirò fuori dalla giacca il suo porta sigarette dorato. Lo aprì e porse una Dunhill al commissario che sembrò tentennare. Poi si decise. «Non è questo il momento di smettere di fumare… dia qua!» Prese con risolutezza una sigaretta e l’ appoggiò alle labbra. Richard ne prese una per sé e, sapendo che io non fumo, si rimise il portasigarette in tasca, tirando fuori l’accendino. Il commissario aspirò profondamente due o tre boccate, poi si voltò verso gli agenti che erano risaliti dalla riva. «Andate ad aspettarmi in macchina, vengo subito.» Rimasti soli, il commissario si rivolse a Richard, con un’espressione finalmente più rilassata. «Mi scusi per lo sfogo, signor Green, io la conosco di fama e so che lei è una persona a posto, ma questo caso rischia di farmi impazzire e siamo solo agli inizi. Pensi che il magistrato mi ha confidato di aver ricevuto una telefonata direttamente da un sottosegretario al governo… Mi sento nell’occhio del ciclone!» «La capisco benissimo, commissario, anch’io sono stato per trentasette anni nella polizia di Scotland Yard e so cosa significa.» «Conosco un po’ la sua storia, signor Green, so molte cose di lei e del suo amico. Nel nostro ambiente siete già famosi. In fondo non mi dispiace che vi occupiate di questo caso, anche se mi rendo conto che è un’ulteriore pressione impostaci da Bacciani.» «Non la consideri una pressione», gli propose Richard. «Io non invaderò il suo campo e non le metterò bastoni tra le ruote nei suoi rapporti con Bacciani. Svolgerò indagini per conto mio senza intralciare le sue e se ci saranno novità gliele farò sapere senza necessariamente passare prima da Bacciani.» Il commissario colse il significato ammiccante dell’ultima frase e guardò il mio socio con gratitudine. Richard stava riuscendo nel difficile compito di renderselo non dico “alleato” ma almeno poco ostile. «Da parte mia», rispose Cantarutti, «le riferirò tutto ciò che non sarà coperto dal segreto istruttorio.» “Cioè non gli dirà quasi nulla”, pensai tra me e me, ma Richard sembrò soddisfatto di quella promessa. «Bene», rispose invitando me e il commissario a tornare verso la villa. «Adesso mi dica: lei non è convinto che si tratti di un sequestro, vero?» Il commissario tirò su un’altra boccata dalla sigaretta prima di rispondere.

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«Lei ce li vede questi sequestratori che arrivano dal mare, su una barca a remi, si arrampicano sulla scogliera, saltano il muro di cinta, aspettano il momento buono per bloccare la ragazza, la stordiscono, risaltano il muro di cinta, ripercorrono il promontorio e si calano di nuovo in barca… lei ce li vede?» ripeté impaziente. «Il tutto mentre sei o sette persone sono sul terrazzo che domina tutto il promontorio e che non si accorgono di nulla… ma dai! Siamo seri!» «Il cancello del muro di cinta era chiuso?» chiesi. «Franco, il custode, si ricorda con certezza di averlo chiuso, così come l’ho trovato io appena arrivato alla villa. E guardi che sopra il muro di sassi ci sono i frammenti di vetro per impedirne lo scavalcamento. È assurdo pensare che ci possano essere dei criminali così idioti da tentare un’azione così bizzarra. Sarebbero da prendere a calci nei denti in nome del buon senso.» Mi trovai completamente d’accordo con il commissario. Poveraccio: un po’ mi faceva pena. Era un caso inestricabile , incomprensibile, almeno a prima vista. «Quindi lei pensa ad altre possibilità…» lo incalzò Richard. «Guardi… lei sa come sono questi giovani di buona società. A volte si annoiano, si stancano della monotonia della vita. Va a capire cosa può passare nella loro mente.» «Potrebbe trattarsi di un colpo di testa?» «Al momento non mi sento di escludere nulla, signor Green.» Guardò preoccupato il mio amico. «Ma per favore non lo dica a Bacciani. Lui crede che sua figlia fosse un libro aperto, ma non è così, mi creda.» «Stia tranquillo», gli sorrise Richard. Poi continuò. «Lei crede che Sabrina non dicesse tutto ai suoi?» «Aveva i suoi segreti. La sera della scomparsa, ad esempio, disse che doveva uscire perché aveva appuntamento con una sua amica: mentiva.» «Avete interrogato quest’amica?» «Sì. E a quanto pare non aveva affatto un appuntamento con lei. Capisce? La dolce e innocente Sabrina diceva le sue belle bugie ai suoi genitori e al suo fidanzato.» Richard rifletté per un attimo. «Ha dato questa notizia al padre?» chiese al commissario. «No, volevo prima perlustrare la costa, ma ora dovrò dargliela. So cosa farà. Si preoccuperà di più e, magari, farà qualche altra telefonata…»

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«Già, non la invidio commissario», gli disse il mio amico che poi si fece pensieroso. La bugia dell’appuntamento sembrava dare a tutta la faccenda una nuova luce. Ancora più sinistra, a mio parere. «Bacciani non mi aveva parlato di questo appuntamento», sentii mormorare Richard, quasi stesse pensando ad alta voce. «Forse perché Sabrina è sparita prima di andarci. Ma se questo appuntamento era una bugia, allora qualcosa cambia.» Rifletté ancora per qualche attimo mentre continuavamo a camminare verso la villa. «Il cellulare della ragazza si trova?» chiese. «No, non sappiamo dove sia. Se l’ha portato con sé lo tiene spento. Il suo segnale non è stato catturato da nessuna cella telefonica.» Io, nel frattempo, guardai la parete rocciosa alle spalle della villa. «Ha già fatto controllare il terreno alla base di quella scarpata?» chiesi al commissario. «Sì, ieri mattina abbiamo controllato tutto il territorio qua intorno. Per salire da quella parte ci vorrebbe uno scalatore. Solo lì verso sinistra», indicò il punto con il dito, «la parete è leggermente meno verticale e c’è un po’ di vegetazione, ma bisogna comunque arrampicarsi e una volta giunti là, in alto, ci si ritroverebbe davanti a una parete ancora più ripida e quasi a picco sul mare… se lo tolga dalla testa, signor Politi, da quella parte non è passato nessuno… nessuno che stesse tirandosi dietro una ragazza.» «Sì, è impossibile», confermò Richard, continuando a perlustrare con lo sguardo gli angoli della montagna. Giungemmo davanti alla villa. Bacciani ci venne incontro e ci invitò a entrare nell’ampio soggiorno, ben illuminato da grandi vetrate. Era finemente arredato in stile etnico, quasi tutti i mobili avevano la struttura in bambù o in legni colorati e laccati. Alle pareti erano appese alcune armi d’epoca: fucili, pistole, archi, pugnali. Mi colpì il grande quadro dai colori vivaci appeso sopra il divano: ritraeva una ballerina orientale seminuda in una spiaggia ricca di palme e di capanne di paglia. Trovavo tutto forzatamente esotico, un po’ troppo per i miei gusti. Comunque l’ambiente era veramente grande: a occhio e croce quel soggiorno poteva contenere tutto il mio appartamento di Terracina. Io e il mio amico ci sedemmo sul divano ampio e comodo. Il commissario si appoggiò a uno sgabello alto. Si vedeva chiaramente che era impaziente, che avrebbe voluto scappare via. Ma doveva dare l’antipatica notizia al padre della ragazza che, nel frattempo, s’era

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fermato a parlare con Gherardi. Intanto, da una porta interna, entrò Gianluca e si avvicinò lentamente a noi e al commissario. Sembrava imbarazzato, si stringeva nervosamente le mani. «Io mi scuso ancora per prima, signori… non è nella mia natura fare scatti impulsivi di quel genere, ma, cercate di capirmi, questa storia mi fa impazzire.» «La comprendiamo benissimo», lo rassicurò Richard. Il commissario, però, mi sembrava ancor più innervosito dalla presenza del giovane e ne capivo il motivo. «Senta, signor Gianluca», gli disse, «noi dovremmo parlare a quattr’occhi con suo suocero di una questione delicata. Forse sarebbe meglio se lei non ci fosse…» Se voleva mandarlo via naturalmente ottenne l’effetto contrario. «Commissario, cancelli dalla sua mente la mia immagine di poco fa. Le ripeto: so controllarmi e… mio suocero non ha alcun segreto con me su questa vicenda, può parlare liberamente.» Cantarutti guardò nella nostra direzione e sorrise amaro. Bacciani terminò il colloquio con il suo ospite, che sparì oltre un’altra porta interna, e si avvicinò a noi. Il commissario prese subito la parola rivolgendosi a lui. «Prima di andare via devo comunicarle una cosa importante e non molto simpatica…» Il padrone di casa si irrigidì e guardò preoccupato Cantarutti che, di certo, non aveva il dono della delicatezza. «Sua figlia, l’altra sera, non aveva alcun appuntamento con quella tal amica che mi avete detto.» «Cosa?… Non ci credo!» tuonò quasi istintivamente Bacciani. «Sabrina non ci mentiva mai!» Si rivolse a Gianluca: «Tu sapevi qualcosa?» «No, nel modo più assoluto! Anche a me aveva detto che doveva andare da Noemi.» «Questa Noemi non ne sapeva niente», ribadì il commissario. «L’ho sentita ieri sera, ha detto che non vede Sabrina da alcuni giorni e, ultimamente, non ha mai preso appuntamenti con lei… mi dispiace signor Bacciani.» Il volto dell’anziano finanziere divenne talmente pallido che per un attimo temetti per la sua salute. Anche Gianluca sembrava non capacitarsi. «Non è possibile, a me dice sempre tutto!» Guardò il commissario. «Lei è sicuro?» «Che interesse ha quella ragazza a mentire?»

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Gianluca sembrò riflettere. «Andrò a parlarle io, forse a me dirà qualcos’altro…» «Come vuole, ma secondo me è inutile», cercò di dissuaderlo Cantarutti. «L’altra sera è uscita con il suo ragazzo, che ce l’ ha confermato.» «Perché non ce l’ha detto prima?» chiese Bacciani con una punta di biasimo. «Volevo condurre tranquillamente la perlustrazione della costa. Ora ha un quadro un po’ più completo.» L’anziano finanziere sembrò indispettito da quell’ultima frase. «Questo non cambia niente, Cantarutti, mia figlia è scomparsa e voi dovete cercarla!» «È quello che stiamo facendo, con tutti gli uomini e tutti i mezzi a nostra disposizione. Non abbasseremo la guardia se è questo che la preoccupa.» Bacciani si voltò, chinò il capo e prese a camminare lentamente per la stanza. Gianluca si era seduto su una sedia e si teneva la testa tra le mani. Sembrava piangesse. Il commissario cercò di approfittare di quella pausa. «Beh, io dovrei andare… ho tante cose da fare.» Aspettò speranzoso il commiato da parte dell’anziano che non tardò ad arrivare. «Vada, vada pure commissario, ma…» il suo tono si fece quasi supplichevole, «la prego ci tenga informati.» «Non ne dubiti», lo tranquillizzò Cantarutti e scappò via. Il vecchio uomo d'affari si avvicinò lentamente al nostro divano, prese una sedia e si sedette di fronte a Richard. Si piegò in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia, continuando a fissare il pavimento. Prima di parlare sospirò nuovamente. «Mi rendo conto che la notizia che ci ha dato il commissario getta un’ombra di dubbio sull’ipotesi del sequestro, ma questo fatto non riesce a consolarmi. Perché Sabrina ci ha mentito? Se si è allontanata di sua volontà, perché ci fa stare così in pena?» Guardò il mio amico negli occhi. «Lei capisce che, qualsiasi cosa sia successa, dietro questa vicenda ci deve essere qualcosa di grave. Non si fa soffrire così un padre, una madre, un fidanzato se non ci fossero dei motivi tali da impedirle, ora, di mettersi in contatto con noi. Sabrina sa che sua madre soffre di cuore ed è estremamente ansiosa. Ora è su, a letto, assistita dalla sua amica, la signora Gherardi… Lei pensa che Sabrina possa volere tutto questo? Guardi Gianluca, per il quale nutre un profondo affetto, e guardi me: lei pensa che mia figlia non sappia che noi siamo ridotti in questo stato?»

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Richard, a sua volta, piegò il busto in avanti e strinse delicatamente le mani dell’anziano padre. «Signor Bacciani», gli disse senza fronzoli, «io penso di essere in grado di dirle, tra poco, con un sufficiente margine di sicurezza, se sua figlia si sia allontanata da questa casa di sua volontà o meno.» L’affermazione perentoria ebbe l’effetto di destare Bacciani dalla sua prostrazione. «Ne è sicuro? Lei sarebbe in grado di darmi questa risposta?» «Penso di sì, devo prima parlare con il custode, con una domestica e infine recarmi sul terrazzo della cena.» Bacciani prese a sua volta le mani di Richard nelle sue. «Allora lo faccia al più presto», lo esortò. «Lo faccia e mi tolga questo grande dubbio dalla testa.» Richard si alzò e mise una mano sulla spalla di Bacciani. «So che in questo momento vede tutto nero, ma deve aver fiducia. Da parte nostra le prometto che faremo tutto il possibile.» Ci alzammo tutti. L’anziano e il giovane fecero l’atto di seguirci, ma il mio socio li fermò. «No, solo io e Peppino… fidatevi di noi.» Bacciani annuì a malincuore. Gianluca si lasciò cadere di nuovo sulla sedia. Uscimmo nel giardino e ci dirigemmo verso la dependance. «Tieni occhi e orecchi sempre spalancati, Peppino», mi disse Richard con un’aria insolitamente grave. «In questa casa c’è qualche grosso mistero. Ascolta e osserva tutto intorno a te. Dobbiamo riuscire a cogliere qualche indizio.» «È una sensazione o hai intuito qualcosa?» «Per il momento è solo una sensazione, qualcosa di impalpabile. Le cose, però, non sono così lisce come ce le presentano. Ne sono sicuro.» «Nei prossimi minuti speri davvero di arrivare a una certezza sui motivi della scomparsa della ragazza?» chiesi un po’ scettico. Richard sembrò riacquistare il suo buonumore. «Uomo di poca fede… ti ho mai deluso?» «Beh, sì…» insistetti io. «Ad esempio, quella volta che mi dicesti di aver fatto il pieno e rimanemmo a piedi. Oppure quell’altra, quando ti facesti scappare quel grosso tonno che aveva abboccato e…» Richard si portò la mano al petto e chiuse gli occhi. «Non me lo ricordare, ti prego… giuro che quella è stata la prima volta. Devo aver legato male la lenza, è l’unica spiegazione.»

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«E in questa circostanza sei sicuro di… ”aver legato bene la lenza”?» Gli rivolsi uno sguardo sardonico. Mi sorrise fiducioso. «Vedrai…» Arrivammo davanti alla casetta nei pressi del cancello. Era una costruzione a un unico piano, rifinita a tetto. La porta era chiusa e Richard bussò. Ci aprì Franco, con quella sua espressione sempre cordiale. «Entrate, signori, entrate… avete bisogno di me?» «Sì, vorremmo parlarvi», disse Richard. «Ma preferiamo restare qui fuori, perché dovrebbe darci qualche indicazione.» L’uomo si voltò, urlò alla moglie di uscire con lui, ma lei sembrò restia. «È molto timida e apprensiva», la giustificò. Uscì sul piazzale, chiudendo la porta alle sue spalle. «Lei, qui, oltre a quella di custode, ha altre mansioni?» iniziò Richard. «Sì, certo. Curo il giardino, insieme a mia moglie», rispose in fretta lui. «Signor Franco», continuò Richard, «lei sa che noi stiamo indagando sulla scomparsa di Sabrina, vero?» «Sì, sì, lo so», si affrettò a rispondere l’omino. «Me lo ha detto il signor Bacciani ieri sera, quando è tornato dopo il vostro incontro.» «Ecco, appunto.» Richard si mostrava ancor più calmo e flemmatico del solito, probabilmente per cercare di mettere a suo agio il custode che appariva, invece, molto nervoso. «Immagino che la polizia le avrà già rivolto un sacco di domande…» Franco non lo lasciò continuare. «Oh sì, certo, mi hanno rivolto un sacco di domande.» L’eccitazione gli impediva di stare zitto per più di cinque secondi. «Non ne dubito», rispose Richard senza perdere la calma. «Ma lei, per rendersi utile a questa causa, deve prima ascoltarmi bene e poi rispondermi con calma, d’accordo?» «D’accordo!» Dubitai che avesse capito bene. Il mio socio riprese. «Dunque, l’altra sera stavate cenando all’aperto, lei e sua moglie. Mi dica esattamente dove…» Come temevo, Franco partì in quarta anche questa volta. «Sì, sì… cenavamo fuori perché in casa faceva caldo e…» Richard gli mise delicatamente una mano sul braccio. «Si calmi, Franco. Si rilassi e ci pensi bene.»

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Il custode chiuse gli occhi e inspirò profondamente l’aria nei polmoni. Poi si rivolse a Richard con più calma. «Ha ragione. Mi scusi, sa sono un po’ ansioso.» Ringraziai il cielo che fosse solo “un po’” ansioso. «Ecco», riprese, «il tavolo si trovava esattamente qui.» Indicò un punto molto vicino alla porta d’ingresso della dependance. «E sul davanzale della finestra avevamo messo il televisore, come facciamo quasi sempre d’estate. Sa, dentro fa caldo e starsene fuori al fresco è piacevole. Guardavamo un film di Totò, molto divertente.» Richard si mise sul punto indicato dal custode e guardò verso il davanzale dove era stato messo il televisore. Sapevo cosa voleva stabilire e notai che il cancello pedonale stava quasi sulla stessa linea di visuale, a non più di venti metri da dove si trovava lui. Notai un’espressione soddisfatta sul suo viso. Poi si rivolse ancora al custode. «Adesso mi ascolti e ci pensi bene prima di rispondere: da che ora siete stati seduti qui fuori?» «Era appena cominciato il film… potevano essere le nove. Le nove e un quarto massimo.» «E fino a che ora?» «Fino a quando è venuto il signor Bacciani, sua moglie e Gianluca a chiedermi se la signorina Sabrina fosse uscita… ricordo che a un certo punto il signor Bacciani ha chiesto l’ora a Gianluca: erano le ventidue e quarantacinque. Lo ricordo benissimo.» «E lei, dall’inizio del film e fino all’arrivo di quei signori, è sempre stato qui a guardare la televisione?» «Sì, sempre», rispose sicuro Franco. «Mia moglie, ogni tanto, entrava in casa per prendere qualcosa… le posate, qualche bibita… ma io sono sempre rimasto qui fuori. I film di Totò mi piacciono tanto… e poi consideri che quel lampione», indicò il grosso lampione presso il cancello, «la notte rimane sempre acceso. Lo accendo io, all’imbrunire, e anche quella sera l’avevo acceso… mi creda, la signorina Sabrina non poteva uscire dal cancello senza farsi vedere da me.» Richard rimase pensieroso ancora per qualche istante, guardandosi intorno. Alla fine annuì e sorrise al custode. «Lei mi è stato di grande aiuto, Franco. La ringrazio di cuore.» L’ometto sprizzava soddisfazione da tutti i pori. «Per servirla, signore…» Si chinò come si faceva un tempo con le persone importanti.

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Io alzai il pollice nella sua direzione e mi beccai a mia volta l’inchino. Soddisfatto, seguii Richard che tornava verso la villa. «Che te ne pare?» mi chiese. «Beh, da quella parte la ragazza non è certo passata», risposi con sicurezza. «Franco guardava quasi costantemente in direzione del cancello e l’avrebbe vista.» «Lo penso anch’io. Ora rimane la barca.» «Pensi davvero che…» «No, non lo penso affatto, ma voglio esserne sicuro. Parlerò con una domestica e salirò su quel terrazzo.» Mi guardò. «Hai notato qualcosa di strano?» «Da Franco?… No, nulla. E tu?» «Uhm… no, neppure, io. Ma continua a tenere occhi e orecchie aperti. La faccenda credo sia complicata.» «Io ho “sempre” occhi e orecchi apert…» Sfortunatamente non riuscii a terminare la frase perché inciampai. Lui mi guardò sorpreso e accigliato. Scoppiammo in una silenziosa risata. «L’hai fatto apposta!» disse. «No, purtroppo no», ammisi. «Allora ti serva di lezione!» Gli detti una manata sulle spalle. «Agli ordini, capo!» Tornammo nel soggiorno della villa. Bacciani e Gianluca erano rimasti lì ad aspettarci. «Allora?» chiese impaziente il finanziere quando ci vide entrare. «Avete ricavato qualche elemento?» «Sì», rispose Richard. «Ma dovete avere ancora un po’ di pazienza. Devo parlare con la domestica che si occupa del guardaroba di sua figlia.» «Nora!» esclamò Bacciani. Si rivolse al giovane. «Gianluca, valla a chiamare.» «Non occorre che lo facciate subito», precisò Richard. «Vorrei visitare la camera di Sabrina, la domestica può raggiungerci là.» Bacciani si mise una mano sulla fronte, come se avesse ricordato qualcosa. «Ma che sbadato! Mi rendo conto solo adesso che non vi ho fatto visitare la casa. Penso sia importante per le indagini.» «In realtà non ne abbiamo avuto il tempo», precisò il mio amico. «Ma penso che ora sia opportuno. Vorrei rendermi conto soprattutto della disposizione dei locali.» «Seguitemi, ve li mostrerò… da questa parte.»

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Sul soggiorno si aprivano tre porte che davano verso l’interno della casa. Bacciani ci spiegò che quella di sinistra lo collegava con il suo studio, quella di destra con la sala da pranzo e quella centrale con un ampio disimpegno. Ci dirigemmo verso quest’ultima. Si apriva su un largo corridoio. A destra c’era l’altra porta della sala da pranzo e, più avanti, quella della cucina. In fondo, un’altra porta dava nell’alloggio del personale di servizio. A sinistra c’era l’altra porta dello studio di Bacciani, più avanti c’era la camera occupata da Gianluca e l’ultima, quella prima delle scale, era la camera occupata da Mauro Landolfi. Il finanziere ci disse che nella parete di fondo, nell’ampio sottoscala, oltre al bagno c’era la porta che dava verso l’esterno, nel parcheggio delle auto che era coperto da una tettoia. Salimmo al primo piano. Anche qui, sull’ampio corridoio, si aprivano le varie camere. Quella di Sabrina era la stanza più vicina alle scale. In fondo al corridoio c’era una grande porta finestra che dava sul terrazzo. Bacciani avrebbe voluto mostrarci l’interno di ogni stanza, ma Richard gli disse che per il momento voleva solo conoscere la collocazione dei locali e i vari occupanti. Si sarebbe accontentato di vedere la camera di Sabrina. Prima di farci entrare nella camera della figlia, l’anziano padre ci ricordò di non fare troppo rumore perché sua moglie dormiva ancora nella sua stanza, sotto l’effetto di sedativi. «Ieri sera il dottore le ha prescritto un robusto tranquillante, perché è molto provata… la notte precedente non ha chiuso occhio e io mi sto preoccupando anche per la sua salute.» Lo rassicurammo ed entrammo nella stanza di Sabrina, una bella camera dai colori pastello e profumata di lillà. Era tutto perfettamente in ordine: le tende tirate, il letto rifatto, gli armadi chiusi e i vari oggetti al loro posto. «La stanza è stata riordinata ieri mattina», ci disse Bacciani, «dopo essere stata perquisita dalla scientifica. Non hanno trovato nessun indizio, nessuna impronta sospetta, almeno a una prima analisi. Insomma pare che l’altra sera qui sia entrata solo Sabrina e nessun altro.» Richard annuì e uscì dalla stanza, poi, senza parlare, indicò la porta a vetri che dava sul terrazzo. Bacciani ci precedette e noi lo seguimmo. Gianluca ci veniva dietro, ma non diceva una parola. Sembrava chiuso nella sua angoscia e il dolore che prima lo aveva reso furente contro il commissario, ora sembrava averlo svuotato. Forse anche la notizia della bugia di Sabrina aveva contribuito ad accrescere il suo abbattimento.

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Certamente si sarebbe aspettato che, con lui, la ragazza non avesse segreti. Sul terrazzo c’erano i coniugi Gherardi. Appena ci videro si alzarono e la moglie ci venne incontro con un debole sorriso. Il padrone di casa fece le presentazioni. Si chiamava Marta, probabilmente aveva pressappoco la stessa età del marito, ma appariva più giovane poiché era snella e alta. I suoi capelli biondi erano tagliati corti e guardandola da vicino mi accorsi che la pelle era un po’ tirata: l’ignoto chirurgo estetico aveva fatto un buon lavoro. In passato doveva essere stata una bella donna. Bacciani le chiese notizie della moglie e lei rispose che era stata in camera sua qualche minuto prima e aveva visto che dormiva ancora. Alla camera padronale si accedeva anche direttamente dal terrazzo, perciò Bacciani ci ricordò ancora di parlare a bassa voce. Mi guardai intorno. Il terrazzo era ampio e il tetto in legno lo copriva in tutta la sua estensione. Oltre all’apertura che dava sul corridoio, che si trovava in mezzo, c’erano altre due porte. Quella alla nostra sinistra dava nella camera occupata dai Gherardi e quella a destra nella camera dei padroni di casa. Al centro del terrazzo faceva bella figura un elegante tavolo in ferro battuto mentre, sparse qua e là, c’erano comode poltroncine in vimini con cuscini dai colori vivaci. Il parapetto era costituito da colonnine in sassi e muratura che reggevano pali di legno orizzontali. Notai la scala esterna che portava giù, nel giardino. Richard, nel frattempo, si era avvicinato al parapetto del terrazzo e solo quando mi chiamò vicino a sé mi resi conto dello straordinario panorama che si godeva da lassù. Sotto di noi il giardino variopinto, con le sue aiuole, le pergole, gli alberi e, oltre il muro di cinta, che si trovava a meno di trenta metri da noi, la brulla penisola del promontorio, con il grigio dei suoi sassi e il verde delle poche macchie di alberelli e di arbusti sparse un po’ ovunque. Laggiù, in fondo, a circa centocinquanta metri, l’azzurro infinito del mare. «Un bel panorama, vero?» udii la voce triste di Bacciani al nostro fianco. «Incantevole», risposi. «Si domina tutto il territorio circostante…» Una voce di donna, alle nostre spalle, mi interruppe: «Il signore mi ha fatto chiamare?» Ci voltammo, vedemmo una giovane gracile e minuta vestita da domestica. «Sì, Nora», le rispose Bacciani. Gli indicò il mio amico. «Questo signore è un detective e vuole farti qualche domanda.»

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La ragazza sembrò un po’ imbarazzata. Richard fece un cenno a Bacciani e invitò la ragazza a seguirlo verso un angolo appartato del terrazzo, in prossimità della scala esterna. Parlarono per non più di cinque minuti, quasi sottovoce, l’uno di fronte all’altra. La domestica sembrava rispondere a Richard con una certa sicurezza. Intanto il finanziere mi invitò a sedermi, chiedendomi alcune cose sulla nostra attività investigativa. Poi il discorso scivolò pericolosamente sulle mie presunte doti finanziarie. Fortunatamente Richard mi aveva introdotto nelle regole di quel difficile mondo economico e penso che me la stessi cavando egregiamente quando Richard e la domestica, finito il loro parlottare, tornarono verso di noi. Prima di congedare Nora il finanziere le chiese di portare su qualche bibita. In realtà, nonostante fosse già settembre, il caldo si faceva sentire parecchio. Notai che la domestica scese giù passando per la scala esterna. Anche Richard prestò attenzione a questo particolare perché, subito dopo, si rivolse a Bacciani. «Quella scala, se ricordo bene la disposizione dei locali, scende proprio presso la cucina, vero?» «Esatto», confermò lui. «È molto comoda, perché spesso mangiamo quassù e la cucina ha una porta esterna che la collega direttamente con quella scala. L’architetto che ha curato la ristrutturazione della casa ha pensato anche a questo.» Richard accostò una poltroncina alle nostre e si sedette. Bacciani non gli chiese nulla, ma tutta la sua persona esprimeva un’evidente ansia. Si avvicinarono anche i coniugi Gherardi e Gianluca. «Dunque», iniziò Richard, «penso di avere tutti gli elementi per affermare che Sabrina non ha lasciato questa casa di sua spontanea volontà.» L’anziano finanziere deglutì nervosamente. «Cosa glielo fa credere?» chiese. «Ho parlato con il custode e mi ha confermato che l’altra sera cenavano all’aperto, ma, soprattutto, guardavano un televisore posto quasi sulla stessa linea di visuale del cancello. Franco mi ha assicurato che non ha mai smesso di guardare il film, fino a quando non siete arrivati voi a chiedere di Sabrina», disse indicando Bacciani e Gianluca. «A che ora Sabrina si è alzata dal tavolo ed è andata in camera sua?» Rispose Gherardi. «Io avevo guardato l’orologio qualche minuto prima… erano le ventuno e trenta.»

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«Bene», riprese Richard. «Tra le ventuno e trenta e le ventidue e quarantacinque, cioè l’ora in cui siete andati da Franco, nessuno è passato per il cancello della villa. Questo è certo.» «Ma rimane l’ipotesi della barca», osservò Gherardi. «Giusto», disse Richard. «Poniamo, per assurdo, che Sabrina avesse voluto prendere quella barca, per qualche motivo che nessuno di noi conosce.» Gianluca balzò in piedi, furioso: «È un’ipotesi assurda! Non potete prenderla in considerazione!» Bacciani lo redarguì irritato: «Gianluca smettila! Avevi promesso di non farti prendere più dal nervosismo… E ti ricordo che dietro quella porta c’è mia moglie che riposa.» «Ma papà… questa ipotesi sottintende che Sabrina volesse andarsene con qualcuno di sua spontanea volontà. E loro non sanno quanto ci amiamo io e lei.» «Se voleva andarsene con un altro uomo doveva per forza fuggire in barca con lui?» replicò calmo Richard. «Poteva farlo in mille altri modi più semplici. Il fatto è che questa vicenda è strana e abbiamo l’obbligo di esaminare tutte le possibilità.» Gianluca lo guardò ancora accigliato, ma poi sembrò capire e tornò a sedersi. «Avete ragione, sono uno stupido. Vi prego di scusarmi di nuovo.» Richard continuò: «Dunque, signor Bacciani, per raggiungere quella barca, sua figlia avrebbe dovuto percorrere il viottolo che dal cancello della villa raggiunge la spiaggetta di sassi là in fondo al promontorio e questo è impossibile perché voi l’avreste vista: il viottolo non è mai nascosto da macchie di vegetazione e, l’altra sera la luna era quasi piena e il cielo sgombero da nuvole. Tanto che il signor Gherardi ha potuto notare la barca a remi che si avvicinava. C’è però una seconda possibilità. O, meglio, c’era. Sabrina avrebbe potuto percorrere il tratto di promontorio più coperto dalla vegetazione, là sulla nostra sinistra. Come vedete ci sono macchie di arbusti e qualche albero, anche se sono piuttosto radi. È un’ipotesi remotissima, perché presso la spiaggetta, come vedete, il terreno è completamente privo di arbusti e la ragazza avrebbe dovuto percorrere almeno una trentina di metri su un terreno completamente sprovvisto di ripari. Tuttavia ho scartato completamente questa eventualità dopo aver parlato con Nora, la domestica. A lei ho chiesto, infatti, quale indumento e quale paio di scarpe mancano dal

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guardaroba di Sabrina. Mi ha parlato di un vestito di seta, lungo fino alla caviglia e di un paio di scarpe con i tacchi alti. Ebbene, se Sabrina indossava quel vestito e, soprattutto quelle scarpe, non poteva passare su quelle grosse pietre che coprono tutto il suolo del promontorio, a eccezione del viottolo.» Le parole del mio amico furono seguite da un lungo silenzio. Si percepiva appena il lontano infrangersi delle onde sugli scogli. Bacciani guardava il mare, laggiù, senza vederlo. Immaginai i pensieri che si accavallavano nella sua testa. Gianluca si nascose il viso tra le mani, scuotendo continuamente il capo. Gherardi incrociò lo sguardo preoccupato della moglie, strinse le labbra come a dirle che non sapeva cosa pensare. Fu la voce grave di Bacciani a rompere quel silenzio. «Dunque, l’ipotesi più probabile resta quella del sequestro.» L’arrivo della domestica con il vassoio delle vivande ruppe un po’ quell’atmosfera pesante. Ognuno di noi prese in silenzio quello che aveva richiesto e il finanziere congedò Nora. Cercai di gustarmi a fondo il mio tè freddo al limone, ma anch’io subivo la tristezza di quel momento. Mi dispiaceva soprattutto per Bacciani, mi sembrava un galantuomo d’altri tempi, sensibile e premuroso, alle prese con un dramma crudele e oscuro. Gianluca invece lo vedevo come un giovane passionale e impulsivo, uno di quei tipi che bruciano tutto e subito, capaci di fare pazzie in un momento per poi dimenticare in un baleno e ricominciare daccapo come se nulla fosse successo. Un padre, invece, non rimane mai indenne dalla perdita di un figlio… Mi rimproverai quasi subito per il mio scetticismo, ma da quel momento, probabilmente, cominciai a vedere la faccenda in modo molto pessimistico. Guardai il mio socio, il suo fare tranquillo, sereno, fiducioso. Gli invidiavo quella sua flemma, così antipatica in tanti suoi connazionali ma che lui sapeva rendere gradevole, da consumato attore qual era. Sapevo che con quel suo fare sicuro cercava di trasmettere fiducia e speranza agli altri. Me lo aveva confidato tante volte: parlano più gli atteggiamenti e i gesti che le parole, la gente valuta come ti comporti. Probabilmente in quel momento aveva il mio stesso stato d’animo, ma sapeva nasconderlo bene, come se volesse dire a Bacciani: “puoi contare su di me, farò l’impossibile per ritrovare tua figlia”. FINE ANTEPRIMA.CONTINUA...