La Carta Del Carnaro - Testo Definitivo Di Gabriele D'Annunzio

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1 LA CARTA DEL CARNARO 1920 TESTO DI GABRIELE D’ANNUNZIO Della perpetua volontà popolare Fiume, libero comune italico da secoli, pel voto unanime dei cittadini e per la voce legittima del Consiglio nazionale, dichiarò liberamente la sua dedizione piena e intiera alla madre patria, il 30 ottobre 1918. Il suo diritto è triplice, come l’armatura impenetrabile del mito romano. Fiume è l’estrema custode italica delle Giulie, è l’estrema rocca della cultura latina, è l’ultima portatrice del segno dantesco. Per lei, di secolo in secolo, di vicenda in vicenda, di lotta in lotta, di passione in passione, si serbò italiano il Carnaro di Dante. Da lei s’irraggiarono e s’irraggiano gli spiriti dell’italianità per le coste e per le isole, da Volosca a Laurana, da Moschiena ad Albona, da Veglia a Lussino, da Cherso ad Arbe. E questo è il suo diritto storico. Fiume, come già l’originaria Tarsàtica posta contro la testata australe del Vallo liburnico, sorge e si stende di qua dalle Giulie. È pienamente compresa entro quel cerchio che la tradizione la storia e la scienza confermano confine sacro d’Italia. E questo è il suo diritto terrestre. Fiume con tenacissimo volere, eroica nel superare patimenti insidie violenze d’ogni sorta, rivendica da due anni la libertà di scegliersi il suo destino e il suo compito, in forza di quel giusto principio dichiarato ai popoli da taluno dei suoi stessi avversari ingiusti. E questo è il suo diritto umano. Le contrastano il triplice diritto l’iniquità la cupidigia e la prepotenza straniere; a cui non si oppone la trista Italia, che lascia disconoscere e annientare la sua propria vittoria. Per ciò il popolo della libera città di Fiume, sempre fiso al suo fato latino e sempre inteso al compimento del suo voto legittimo, delibera di rinnovellare i suoi ordinamenti secondo lo spirito della sua vita nuova, non limitandoli al territorio che sotto il titolo di «Corpus separatum» era assegnato alla Corona ungarica, ma offrendoli alla fraterna elezione di quelle comunità adriatiche le quali desiderassero di rompere gli indugi, di scuotere l’opprimente tristezza e d’insorgere e di risorgere nel nome della nuova Italia. Così, nel nome della nuova Italia, il popolo di Fiume costituito in giustizia e in libertà fa giuramento di combattere con tutte le sue forze, fino all’estremo, per mantenere contro chiunque la contiguità della sua terra alla madre patria, assertore e difensore perpetuo dei termini alpini segnati da Dio e da Roma.

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Fiume, libero comune italico da secoli, pel voto unanime dei cittadini e per la voce legittima del Consiglio nazionale, dichiarò liberamente la sua dedizione piena e intiera alla madre patria, il 30 ottobre 1918. Il suo diritto è triplice, come l’armatura impenetrabile del mito romano. Fiume è l’estrema custode italica delle Giulie, è l’estrema rocca della cultura latina, è l’ultima portatrice del segno dantesco. Per lei, di secolo in secolo, di vicenda in vicenda, di lotta in lotta, di passione in passione, si serbò italiano il Carnaro di Dante. Da lei s’irraggiarono e s’irraggiano gli spiriti dell’italianità per le coste e per le isole, da Volosca a Laurana, da Moschiena ad Albona, da Veglia a Lussino, da Cherso ad Arbe. E questo è il suo diritto storico. Fiume, come già l’originaria Tarsàtica posta contro la testata australe del Vallo liburnico, sorge e si stende di qua dalle Giulie. È pienamente compresa entro quel cerchio che la tradizione la storia e la scienza confermano confine sacro d’Italia. E questo è il suo diritto terrestre. Fiume con tenacissimo volere, eroica nel superare patimenti insidie violenze d’ogni sorta, rivendica da due anni la libertà di scegliersi il suo destino e il suo compito, in forza di quel giusto principio dichiarato ai popoli da taluno dei suoi stessi avversari ingiusti. E questo è il suo diritto umano. Le contrastano il triplice diritto l’iniquità la cupidigia e la prepotenza straniere; a cui non si oppone la trista Italia, che lascia disconoscere e annientare la sua propria vittoria. Per ciò il popolo della libera città di Fiume, sempre fiso al suo fato latino e sempre inteso al compimento del suo voto legittimo, delibera di rinnovellare i suoi ordinamenti secondo lo spirito della sua vita nuova, non limitandoli al territorio che sotto il titolo di «Corpus separatum» era assegnato alla Corona ungarica, ma offrendoli alla fraterna elezione di quelle comunità adriatiche le quali desiderassero di rompere gli indugi, di scuotere l’opprimente tristezza e d’insorgere e di risorgere nel nome della nuova Italia. Così, nel nome della nuova Italia, il popolo di Fiume costituito in giustizia e in libertà fa giuramento di combattere con tutte le sue forze, fino all’estremo, per mantenere contro chiunque la contiguità della sua terra alla madre patria, assertore e difensore perpetuo dei termini alpini segnati da Dio e da Roma.

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LA CARTA DEL CARNARO 1920

TESTO DI GABRIELE D’ANNUNZIO

Della perpetua volontà popolare

Fiume, libero comune italico da secoli, pel voto unanime dei cittadini e per la voce legittima del

Consiglio nazionale, dichiarò liberamente la sua dedizione piena e intiera alla madre patria, il 30

ottobre 1918.

Il suo diritto è triplice, come l’armatura impenetrabile del mito romano.

Fiume è l’estrema custode italica delle Giulie, è l’estrema rocca della cultura latina, è l’ultima

portatrice del segno dantesco. Per lei, di secolo in secolo, di vicenda in vicenda, di lotta in lotta, di

passione in passione, si serbò italiano il Carnaro di Dante. Da lei s’irraggiarono e s’irraggiano gli

spiriti dell’italianità per le coste e per le isole, da Volosca a Laurana, da Moschiena ad Albona, da

Veglia a Lussino, da Cherso ad Arbe.

E questo è il suo diritto storico.

Fiume, come già l’originaria Tarsàtica posta contro la testata australe del Vallo liburnico, sorge

e si stende di qua dalle Giulie. È pienamente compresa entro quel cerchio che la tradizione la storia e

la scienza confermano confine sacro d’Italia.

E questo è il suo diritto terrestre.

Fiume con tenacissimo volere, eroica nel superare patimenti insidie violenze d’ogni sorta,

rivendica da due anni la libertà di scegliersi il suo destino e il suo compito, in forza di quel giusto

principio dichiarato ai popoli da taluno dei suoi stessi avversari ingiusti.

E questo è il suo diritto umano.

Le contrastano il triplice diritto l’iniquità la cupidigia e la prepotenza straniere; a cui non si

oppone la trista Italia, che lascia disconoscere e annientare la sua propria vittoria.

Per ciò il popolo della libera città di Fiume, sempre fiso al suo fato latino e sempre inteso al

compimento del suo voto legittimo, delibera di rinnovellare i suoi ordinamenti secondo lo spirito della

sua vita nuova, non limitandoli al territorio che sotto il titolo di «Corpus separatum» era assegnato

alla Corona ungarica, ma offrendoli alla fraterna elezione di quelle comunità adriatiche le quali

desiderassero di rompere gli indugi, di scuotere l’opprimente tristezza e d’insorgere e di risorgere nel

nome della nuova Italia.

Così, nel nome della nuova Italia, il popolo di Fiume costituito in giustizia e in libertà fa

giuramento di combattere con tutte le sue forze, fino all’estremo, per mantenere contro chiunque la

contiguità della sua terra alla madre patria, assertore e difensore perpetuo dei termini alpini segnati

da Dio e da Roma.

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Dei fondamenti

I Il popolo sovrano di Fiume, valendosi della sua sovranità non oppugnabile né violabile, fa

centro del suo libero stato il suo «Corpus separatum», con tutte le sue strade ferrate e con

l’intiero suo porto.

Ma, come è fermo nel voler mantenere contigua la sua terra alla madre patria dalla parte di

ponente, non rinunzia a un più giusto e più sicuro confine orientale che sia per essere

determinato da prossime vicende politiche e da concordati conclusi coi comuni rurali e

marittimi attratti dal regime del porto franco e dalla larghezza dei nuovi statuti.

II La Reggenza italiana del Carnaro è costituita dalla terra di Fiume, dalle isole di antica

tradizione veneta che per voto dichiarano di aderire alle sue fortune; e da tutte quelle

comunità affini che per atto sincero di adesione possano esservi accolte secondo lo spirito

di un’apposita legge prudenziale.

III La Reggenza italiana del Carnaro è un governo schietto di popolo – «res populi» – che ha

per fondamento la potenza del lavoro produttivo e per ordinamento le più larghe e le più

varie forme dell’autonomia quale fu intesa ed esercitata nei quattro secoli gloriosi del

nostro periodo comunale.

IV La Reggenza riconosce e conferma la sovranità di tutti i cittadini senza divario di sesso, di

stirpe, di lingua, di classe, di religione.

Ma amplia ed inalza e sostiene sopra ogni altro diritto i diritti dei produttori; abolisce o

riduce la centralità soverchiante dei poteri costituiti;

scompartisce le forze e gli officii,

cosicché dal gioco armonico delle diversità sia fatta sempre vigorosa e più ricca la vita

comune.

V La Reggenza protegge difende preserva tutte le libertà e tutti i diritti popolari; assicura

l’ordine interno con la disciplina e con la giustizia;

si studia di ricondurre i giorni e le opere verso quel senso di virtuosa gioia che deve

rinnovare dal profondo il popolo finalmente affrancato da un regime uniforme di

soggezioni e di menzogne;

costantemente si sforza di elevare la dignità e di accrescere la prosperità di tutti i cittadini,

cosicché il ricevere la cittadinanza possa dal forestiero esser considerato nobile titolo e

altissimo onore, come era un tempo il vivere con legge romana.

VI Tutti i cittadini dello Stato, d’ambedue i sessi, sono e si sentono eguali davanti alla nuova legge.

L’esercizio dei diritti riconosciuti dalla costituzione non può essere menomato né

soppresso in alcuno se non per conseguenza di giudizio pubblico e di condanna solenne.

VII Le libertà fondamentali di pensiero, di stampa, di riunione e di associazione sono dagli

statuti guarentite a tutti i cittadini.

Ogni culto religioso è ammesso, è rispettato, e può edificare il suo tempio; ma nessun

cittadino invochi la sua credenza e i suoi riti per sottrarsi all’adempimento dei doveri

prescritti dalla legge viva.

L’abuso delle libertà statutarie, quando tenda a un fine illecito e turbi l’equilibrio della

convivenza civile, può essere punito da apposite leggi;

ma queste non devono in alcun modo ledere il principio perfetto di esse libertà.

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VIII Gli statuti guarentiscono a tutti i cittadini d’ambedue i sessi:

l’istruzione primaria in scuole chiare e salubri;

l’educazione corporea in palestre aperte e fornite;

il lavoro remunerato con un minimo di salario bastevole a ben vivere;

l’assistenza nelle infermità, nella invalitudine, nella disoccupazione involontaria; la

pensione di riposo per la vecchiaia;

l’uso dei beni legittimamente acquistati;

l’inviolabilità del domicilio;

l’habeas corpus;

il risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario o di abusato potere.

IX Lo Stato non riconosce la proprietà come il dominio assoluto della persona sopra la cosa,

ma la considera come la più utile delle funzioni sociali.

Nessuna proprietà può essere riservata alla persona quasi fosse una sua parte; né può esser

lecito che tal proprietario infingardo la lasci inerte o ne disponga malamente, ad esclusione

di ogni altro.

Unico titolo legittimo di dominio su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio è il lavoro.

Solo il lavoro è padrone della sostanza resa massimamente fruttuosa e massimamente

profittevole all’economia generale.

X Il porto, la stazione, le strade ferrate comprese nel territorio fiumano sono proprietà

perpetua incontestabile ed inalienabile dello Stato.

È concesso – con un Breve del Porto franco – ampio e libero esercizio di commercio, di

industria, di navigazione a tutti gli stranieri come agli indigeni, in perfetta parità di buon

trattamento e immunità da gabelle ingorde e incolumità di persone e di cose.

XI Una Banca nazionale del Carnaro, vigilata dalla Reggenza, ha l’incarico di emettere la carta

moneta e di eseguire ogni altra operazione di credito.

Una legge apposita ne determinerà i modi e le regole, distinguendo nel tempo medesimo i

diritti gli obblighi e gli oneri delle Banche già nel territorio operanti e di quelle che fossero

per esservi fondate.

XII Tutti i cittadini d’ambedue i sessi hanno facoltà piena di scegliere e di esercitare industrie

professioni arti e mestieri.

Le industrie iniziate e alimentate dal denaro estraneo e ogni esercizio consentito a estranei

troveranno le loro norme in una legge liberale.

XIII Tre specie di spiriti e di forze concorrono all’ordinamento al movimento e all’incremento

dell’università:

i Cittadini

le Corporazioni

i Comuni.

XIV Tre sono le credenze religiose collocate sopra tutte le altre nella università dei Comuni giurati:

la vita è bella, e degna che severamente e magnificamente la viva l’uomo rifatto intiero

dalla libertà;

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l’uomo intiero è colui che sa ogni giorno inventare la sua propria virtù per ogni giorno

offrire ai suoi fratelli un nuovo dono;

il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se sia bene eseguito, tende alla bellezza

e orna il mondo.

Dei cittadini

XV Hanno grado e titolo di cittadini nella Reggenza tutti i cittadini presentemente noverati

nella libera città di Fiume;

tutti i cittadini appartenenti alle altre comunità che chiedano di far parte del nuovo

Stato e vi sieno accolte;

tutti coloro che per pubblico decreto del popolo sieno di cittadinanza privilegiati;

tutti coloro che, avendo chiesta la cittadinanza legale, l’abbiano per decreto ottenuta.

XVI I cittadini della Reggenza sono investiti di tutti i diritti civili e politici nel punto in cui

compiono il ventesimo anno di età.

Senza distinzione di sesso diventano legittimamente elettori ed eleggibili per tutte le

cariche.

XVII Saranno privi dei diritti politici, con regolare sentenza, i cittadini condannati in pena

d’infamia;

ribelli al servizio militare per la difesa del territorio;

morosi al pagamento delle tasse;

parassiti incorreggibili a carico della comunità, se non sieno corporalmente incapaci di

lavorare per malattia o per vecchiezza.

XVIII Lo stato è la volontà comune e lo sforzo comune del popolo verso un sempre più alto grado

di materiale e spirituale vigore.

Soltanto i produttori assidui della ricchezza comune e i creatori assidui della potenza

comune sono nella Reggenza i compiuti cittadini e costituiscono con essa una sola sostanza

operante, una sola pienezza ascendente.

Qualunque sia la specie del lavoro fornito di mano o d’ingegno, d’industria o d’arte, di

ordinamento o di eseguimento, tutti sono per obbligo inscritti in una delle dieci

Corporazioni costituite che prendono dal comune l’imagine della lor figura, ma svolgono

liberamente la loro energia e liberamente determinano gli obblighi mutui e le mutue

provvidenze.

XIX Alla prima Corporazione sono inscritti gli operai salariati dell’industria, dell’agricoltura,

del commercio, dei trasporti; e gli artigiani minuti e i piccoli proprietarii di terre che

compiano essi medesimi la fatica rurale o che abbiano aiutatori pochi e avventizii.

La corporazione seconda raccoglie tutti gli addetti ai corpi tecnici e amministrativi di ogni

privata azienda industriale e rurale, esclusi i comproprietarii di essa azienda.

Nella terza si radunano tutti gli addetti alle aziende commerciali, che non sieno veri operai;

e anche da questa sono esclusi i comproprietarii.

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La quarta corporazione associa i datori d’opra in imprese d’industria, d’agricoltura, di

commercio, di trasporti, quando essi non sieno soltanto proprietarii ma – secondo lo spirito

dei nuovi statuti – conduttori sagaci e accrescitori assidui dell’azienda.

Sono compresi nella quinta tutti i pubblici impiegati comunali e statuali di qualsiasi ordine.

La sesta comprende il fiore intellettuale del popolo: la gioventù studiosa e i suoi maestri:

gli insegnanti delle scuole pubbliche e gli studenti degli istituti superiori; gli scultori, i

pittori, i decoratori, gli architetti, i musici, tutti quelli che esercitano le arti belle, le arti

sceniche, le arti ornative.

Della settima fanno parte tutti quelli che esercitano professioni libere non considerate nelle

precedenti rassegne.

L’ottava è costituita dalle Società cooperatrici di produzione, di lavoro e di consumo,

industriali e agrarie; e non può essere rappresentata se non dagli amministratori alle società

stesse preposti.

La nona assomma tutta la gente di mare.

La decima non ha arte né novero né vocabolo. La sua pienezza è attesa come quella della

decima Musa. È riservata alle forze misteriose del popolo in travaglio e in ascendimento.

È quasi una figura votiva consacrata al genio ignoto, all’apparizione dell’uomo novissimo,

alle trasfigurazioni ideali delle opere e dei giorni, alla compiuta liberazione dello spirito

sopra l’ànsito penoso e il sudore di sangue.

È rappresentata, nel santuario civico, da una lampada ardente che porta inscritta un’antica

parola toscana dell’epoca dei Comuni, stupenda allusione a una forma spiritualizzata del

lavoro umano:

«Fatica senza fatica».

XX Ogni corporazione svolge il diritto di una compiuta persona giuridica compiutamente

riconosciuta dallo stato.

Sceglie i suoi consoli;

manifesta nelle sue adunanze la sua volontà;

detta i suoi patti, i suoi capitoli, le sue convenzioni;

regola secondo la sua saggezza e secondo le sue esperienze la propria autonomia;

provvede ai suoi bisogni e accresce il suo patrimonio riscotendo dai consociati una

imposta pecuniaria in misura della mercede, dello stipendio, del profitto d’azienda, del

lucro professionale;

difende in ogni campo la sua propria classe e si sforza di accrescerne la dignità;

si studia di condurre a perfezione la tecnica delle arti e dei mestieri;

cerca di disciplinare il lavoro volgendolo verso modelli di moderna bellezza;

incorpora lavoratori minuti per animarli e avviarli a miglior prova;

consacra gli obblighi del mutuo soccorso;

determina le provvidenze in favore dei compagni infermi o indeboliti;

inventa le sue insegne, i suoi emblemi, le sue musiche, i suoi canti, le sue preghiere;

instituisce le sue cerimonie e i suoi riti;

concorre, quanto più magnificamente possa, all’apparato delle comuni allegrezze, delle

feste anniversarie, dei giochi terrestri e marini;

venera i suoi morti, onora i suoi decani, celebra i suoi eroi.

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XXI Le attinenze fra tra Reggenza e le Corporazioni, e fra l’una e l’altra Corporazione, sono

regolate nei modi medesimi che gli statuti definiscono nel regolare le dipendenze fra i

poteri centrali della Reggenza e i Comuni giurati, e fra l’uno e l’altro Comune.

I socii di ciascuna Corporazione costituiscono un libero corpo elettorale per eleggere i

rappresentanti al Consiglio dei Provvisori.

Ai consoli delle Corporazioni e alle loro insegne è dovuto nelle cerimonie pubbliche il

primo luogo.

Dei Comuni

XXII Si ristabilisce per tutti i Comuni l’antico «potere normativo», che è il diritto d’autonomia

pieno: il diritto particolare di darsi proprie leggi, entro il cerchio del diritto universo.

Essi esercitano in sé e per sé tutti i poteri che la Costituzione non attribuisce agli officii

legislativi esecutivi e giudiziarii della Reggenza.

XXIII A ogni comune è data amplissima facoltà di formarsi un corpo unitario di leggi municipali,

variamente derivate dalla consuetudine propria, dalla propria indole, dall’energia trasmessa

e dalla nuova coscienza.

Ma deve ogni comune chiedere per i suoi statuti la mallevadoria della Reggenza, che la concede:

quando essi statuti non contengano nulla di palesemente o copertamente contrario allo

spirito della Costituzione;

quando essi statuti sieno approvati accettati votati dal popolo e possano essere riformati

o emendati dalla volontà della schietta maggioranza cittadina.

XXIV Ai Comuni è riconosciuto il diritto di condurre accordi, di praticare componimenti, di

concludere trattati fra loro, in materia di legislazione e di amministrazione.

Ma è fatto a essi obbligo di sottoporli all’esame del Potere esecutivo centrale.

Se il potere stima che tali accordi componimenti trattati sieno in contrasto con lo spirito

della Costituzione, li raccomanda per il giudizio inappellabile alla Corte della Ragione.

Se la Corte li dichiara illegittimi e invalidi, il Potere esecutivo della Reggenza provvede a

romperli e disfarli.

XXV Quando l’ordine interno di un comune sia turbato da fazioni, da soprafrazioni, da

macchinazioni, o da una qualunque altra forma di violenza e d’insidia,

quando l’integrità e la dignità di un Comune sieno minacciate o lese da un altro Comune

prevaricante,

il Potere esecutivo della Reggenza interviene mediatore e pacificatore,

se richiedano l’intervento le autorità comunali concordi,

se lo richieda il terzo dei cittadini esercitanti i diritti politici nel luogo stesso.

XXVI Ai Comuni segnatamente si appartiene fondare l’istruzione primaria secondo le norme

stabilite dal Consiglio scolastico dello Stato;

nominare i giudici comunali;

instituire e mantenere la polizia comunale;

mettere imposte;

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contrarre prestiti nel territorio della Reggenza, o anche fuori del territorio ma con la

mallevadoria del Governo che dimandato non la concede se non nei casi di manifesta

necessità.

Del potere legislativo

XXVII Esercitano il potere legislativo due corpi formati per elezione:

il Consiglio degli Ottimi

il Consiglio dei Provvisori.

XXVIII Eleggono il Consiglio degli Ottimi, nei modi del suffragio universale diretto e segreto, tutti

i cittadini della Reggenza che abbiano compiuto il ventesimo anno di età e che sieno

investiti dei diritti politici.

Ogni cittadino votante della Reggenza può essere assunto al Consiglio degli Ottimi.

XXIX Gli Ottimi durano nell’oficio tre anni.

Sono eletti in ragione di uno per ogni migliaio di elettori; ma in ogni caso non può il loro

numero essere di sotto al trenta.

Tutti gli elettori formano un corpo elettorale unico.

L’elezione si compie nei modi del suffragio universale e della rappresentanza proporzionale.

XXX Il Consiglio degli Ottimi ha potestà ordinatrice e legislatrice nel trattare

del Codice penale e civile,

della Polizia,

della Difesa nazionale,

della Istruzione pubblica e secondaria,

delle Arti belle,

dei Rapporti fra lo Stato e i Comuni.

Il Consiglio degli Ottimi per ordinario non si aduna se non una volta l’anno, nel mese di

ottobre, con brevità spiccatamente concisa.

XXXI Il Consiglio dei Provvisori si compone di sessanta eletti, per elezione compiuta nel modo

del suffragio universale segreto e con la regola della rappresentanza proporzionale:

Dieci Provvisori sono eletti dagli operai d’industria e dai lavoratori della terra;

dieci dalla gente di mare;

dieci dai datori d’opra;

cinque dai tecnici agrarii e industriali;

cinque dagli addetti alle amministrazioni delle aziende private;

cinque dagli insegnanti delle scuole pubbliche, dagli studenti delle scuole superiori, e

dagli altri consociati della sesta corporazione;

cinque dalle professioni libere;

cinque dai pubblici impiegati;

cinque dalle Società cooperatrici di produzione, di lavoro e di consumo.

XXXII I Provvisori durano nell’officio due anni.

Non sono eleggibili se non appartengano alla corporazione rappresentata.

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XXXIII Per ordinario il consiglio dei Provvisori si aduna due volte l’anno, nei mesi di maggio e di

novembre, usando nel dibattito il modo laconico.

Ha potestà ordinatrice e legislatrice nel trattare

del Codice commerciale e marittimo;

delle Discipline che conducono il lavoro continuato;

dei Trasporti;

delle Opere pubbliche;

dei Trattati di commercio, delle dogane, delle tariffe, e d’altra materie affini;

della Istruzione tecnica e professionale;

delle Industrie e delle Banche;

delle Arti e dei Mestieri.

XXXIV Il Consiglio degli Ottimi e il Consiglio dei Provvisori si riuniscono una volta l’anno in un

sol corpo, sul principio del mese di dicembre, costituendo un grande Consiglio nazionale

sotto il titolo di Arengo del Carnaro.

L’Arengo tratta e delibera

delle Relazioni con gli altri Stati;

della Finanza e de1 Tesoro;

degli Alti Studii;

della riformabile Costituzione;

dell’ampliata libertà.

Del potere esecutivo

XXXV Esercitano il potere esecutivo della Reggenza sette Rettori partitamente eletti

dall’Assemblea nazionale, dal Consiglio degli Ottimi, dal Consiglio dei Provvisori.

Il Rettore degli Affari Esteri, il Rettore delle Finanze e del Tesoro, il Rettore dell’Istruzione

pubblica sono eletti dall’Assemblea nazionale.

Il Rettore dell’Interno e della Giustizia, il Rettore della Difesa nazionale sono eletti dal

Consiglio degli Ottimi.

Il Consiglio dei Provvisori elegge il Rettore dell’Economia pubblica e il Rettore del Lavoro.

Il Rettore degli Affari esteri assume titolo di Primo Rettore, e rappresenta la Reggenza al

cospetto degli altri Stati «primus inter pares».

XXXVI L’officio dei sette Rettori è stabile e continuo. Delibera di ogni cosa che non competa

all’amministrazione corrente.

Il Primo Rettore regola il dibattito, e ha voto decisivo in caso di parità.

I Rettori sono eletti per un anno, e non sono rieleggibili se non per una volta sola. Ma, dopo

l’intervallo di un anno, possono essere nuovamente nominati.

Del potere giudiziario

XXXVII Partecipano del potere giudiziario

i Buoni uomini

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i Giudici del Lavoro

i Giudici togati

i Giudici del Maleficio

la corte della Ragione.

XXXVIII I Buoni uomini, eletti per fiducia popolare da tutti gli elettori dei varii comuni in misura

del numero, giudicano delle controversie civili e commerciali sino al valore di cinquemila

lire e sentenziano delle colpe che cadano sotto pene di durata non superiore a un anno.

XXXIX I Giudici del Lavoro giudicano delle controversie singolari fra i salariati e i datori d’opra.

Essi costituiscono collegi di giudici nominati dalle Corporazioni che eleggono il Consiglio

dei Provvisori.

In questa misura:

due dagli operai d’industrie e dai lavoratori della terra;

due dalla gente di mare;

due dai datori d’opra;

dai lavoratori della terra;

uno dai tecnici industriali ed agrarii;

uno dalle libere professioni;

uno dagli addetti alle amministrazioni delle private aziende;

uno dagli impiegati pubblici;

uno dagli Insegnanti, dagli studenti degli Istituti superiori e dagli altri socii della sesta

Corporazione;

uno dalle Società cooperatrici di produzione, di lavoro e di consumo.

I Giudici del Lavoro hanno facoltà di dividere in sezioni i loro collegi per sollecitare i

giudizii, servitori pronti d’una giustizia leggera ed espeditissima. Alle sezioni ricongiunte

compete il giudizio d’appello.

XL I Giudici togati giudicano di tutte quelle questioni civili commerciali e penali in cui i Buoni

uomini e i Giudici del Lavoro non abbiano competenza, eccettuate quelle spettanti ai

Giudici del Maleficio.

Costituiscono il Tribunale d’appello per le sentenze dei Buoni uomini.

Sono dalla Corte della Ragione scelti per concorsi fra i cittadini addottorati in legge.

XLI Sette cittadini giurati, assistiti da due supplenti e presieduti da un giudice togato, compongono

il Tribunale del Maleficio, che giudica tutti i delitti di colore politico e tutti quei misfatti che

sieno da unire con la privazione della libertà corporale per un tempo superiore al triennio.

XLII Eletta dal Consiglio nazionale, la Corte della Ragione si compone di cinque membri

effettivi e di due supplenti.

Dei membri effettivi almeno tre, dei supplenti almeno uno saranno scelti fra i dottori di legge.

La corte della Ragione giudica

degli atti e decreti emanati dal Potere legislativo e dal Potere esecutivo, per accertarli

conformi alla Costituzione;

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di ogni conflitto statutario fra il Potere legislativo e il Potere esecutivo, fra la Reggenza

e i Comuni, fra Comune e Comune, fra la Reggenza e le Corporazioni, fra la Reggenza

e i privati, fra i Comuni e le Corporazioni, fra i Comuni e i privati;

dei casi di alto tradimento contro la Reggenza per opera di cittadini partecipi del Potere

legislativo e dell’esecutivo;

degli attentati al diritto delle genti;

delle contestazioni civili fra la Reggenza e i Comuni, fra Comune e Comune;

delle trasgressioni commesse da partecipi dei poteri;

delle questioni di competenza fra i varii magistrati giudiciali.

La Corte della Ragione rivede in ultima istanza le sentenze, e nomina per concorso i Giudici

togati.

Ai cittadini costituiti in Corte della Ragione è fatto divieto di tenere alcun altro officio, sia

nella sede in altro Comune.

Né possono esercitare professione o industria o mestiere per tutta la durata della carica.

Del Comandante

XLIII Quando la Reggenza venga in pericolo estremo e veda la sua salute nella devota volontà

d’un solo, che sappia raccogliere eccitare e condurre tutte le forze del popolo alla lotta e

alla vittoria, il Consiglio nazionale solennemente adunato nell’Arengo può nominare a viva

voce per voto il Comandane e a lui rimettere la potestà suprema senza appellazione.

Il Consiglio determina il più o men breve tempo dell’imperio non dimenticando che nella

Repubblica romana la dittatura durava sei mesi.

XLIV Il Comandante, per la durata dell’imperio, assomma tutti i poteri politici e militari,

legislativi ed esecutivi.

I partecipi del Potere esecutivo assumono presso di lui officio di segretarii e commissarii.

XLV Spirato il termine dell’imperio, il Consiglio nazionale si raduna e delibera di riconfermare

il Comandante nella carica, oppure sostituire in suo luogo un altro cittadino, oppure di

deporlo, o anche di bandirlo.

XLVI Ogni cittadino investito dei diritti politici, sia o non sia partecipe dei poteri nella Reggenza,

può essere eletto al supremo officio.

Della difesa nazionale

XLVII Nella reggenza italiana del Carnaro tutti i cittadini, d’ambedue i sessi, dall’età di diciassette

anni all’età di cinquantacinque, sono obbligati al servizio militare per la difesa della terra.

Fatta la cerna, gli uomini validi servono nelle forze di terra e di mare, gli uomini meno atti

e le donne salde servono nelle ambulanze, negli ospedali, nelle amministrazioni, nelle

fabbriche d’armi, e in ogni altra opera ausiliaria, secondo l’attitudine e secondo la perizia

di ognuno.

XLVIII A tutti i cittadini che durante il servizio militare abbiano contratto una infermità insanabile,

e alle loro famiglie in bisogno, è dovuto il largo soccorso dello Stato.

Page 11: La Carta Del Carnaro - Testo Definitivo Di Gabriele D'Annunzio

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Lo Stato adotta i figli dei cittadini gloriosamente caduti in difesa della terra, soccorre i

consanguinei se sieno in distretta, raccomanda i nomi dei morti alla memoria delle

generazioni.

XLIX In tempo di pace e di sicurezza, la Reggenza non mantiene l’esercito armato; ma tutta la

nazione resta armata, nei modi prescritti dall’apposita legge, e allena con sagace sobrietà

le sue forze di terra e di mare.

Lo stretto servizio è limitato ai periodi d’istruzione e ai casi di guerra guerreggiata o di

pericolo prossimo.

In periodo d’istruzione e in caso di guerra, il cittadino non perde alcun dei suoi diritti civili

e politici; e può esercitarli quando sieno conciliabili con la necessità della disciplina attiva.

Dell’istruzione pubblica

L Per ogni gente di nobile origine la coltura è la più luminosa delle armi lunghe.

Per la gente adriatica, di secolo in secolo costretta a una lotta senza tregua contro

l’usurpatore incolto, essa è più che un’arme; è una potenza indomabile come il diritto e

come la fede.

Per il popolo di Fiume, nell’atto medesimo della sua rinascita a libertà, diviene il più

efficace strumento di salute e di fortuna sopra l’insidia estranea che da secoli la stringe.

La coltura è l’aroma contro le corruzioni. La coltura è la saldezza contro le deformazioni.

Sul Carnaro di Dante il culto della lingua di Dante è appunto il rispetto e la custodia di ciò

che in tutti i tempi fu considerato come il più prezioso dei popoli, come la più alta

testimonianza della loro nobiltà originaria, come l’indice supremo del loro sentimento di

dominazione morale.

La dominazione morale è la necessità guerriera del nuovo Stato. L’esaltazione delle belle

idee umane sorge dalla sua volontà di vittoria.

Mentre compisce la sua unità, mentre conquista la sua libertà, mentre instaura la sua

giustizia, il nuovo Stato deve sopra tutti i suoi propositi proporsi di difendere conservare

propugnare la sua unità la sua libertà la sua giustizia nella regione dello spirito.

Roma deve qui essere presente nella sua coltura. L’Italia deve qui essere presente nella sua

coltura.

Il ritmo romano, il ritmo fatale del compimento, deve ricondurre su le vie consolari l’altra

stirpe inquieta che s’illude di poter cancellare le grandi vestigia e di poter falsare la grande

storia.

Nella terra di specie latina, nella terra smossa dal vomere latino, l’altra stirpe sarà foggiata

o prima o poi dallo spirito creatore della latinità: il quale non è se non una disciplinata

armonia di tutte quelle forze che concorrono alla formazione dell’uomo libero.

Qui si forma l’uomo libero.

E qui si prepara il regno dello spirito, pur nello sforzo del lavoro e nell’acredine del traffico.

Per ciò la Reggenza italiana del Carnaro pone alla sommità delle sue leggi la coltura del

popolo; fonda sul patrimonio della grande coltura latina il suo patrimonio.

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LI È instituita nella città di Fiume una Università libera, collocata in un vasto edificio capace

di contenere ogni maggiore aumento di studii e di studiosi, retta da suoi proprii statuti come

la Corporazione.

Sono nella città di Fiume instituite una scuola di Arti belle, una Scuola di Arti decorative,

una scuola di Musica, poste sopra l’abolizione di ogni vizio e pregiudizio magistrali,

condotte dal più sincero e ardito spirito di ricerca nella novità, rette da un acume atto a

purificarle dall’ingombro dei mal dotati e a sceverare i buoni dai migliori e a secondare i

migliori nella scoperta di sé e dei nuovi rapporti fra la materia difficile e il sentimento

umano.

LII Provvede a ordinare le Scuole medie il Consiglio degli Ottimi; provvede a ordinare le

Scuole tecniche e professionali il Consiglio dei Provvisori; provvede a ordinare gli Alti

Studi il Consiglio nazionale.

In tutte le scuole di tutti i Comuni l’insegnamento della lingua italiana ha privilegio insigne.

Nelle Scuole medie è obbligatorio l’insegnamento dei diversi idiomi parlati in tutta la

Reggenza italiana del Carnaro.

L’insegnamento primario è dato nella lingua parlata dalla maggioranza degli abitanti di

ciascun Comune e nella lingua parlata dalla minoranza in corsi paralleli.

Se alcun Comune tenti di sottrarsi all’obbligo d’instituire tali corsi, la Reggenza esercita il

suo diritto di provvedervi, aggravando della spesa il Comune.

LIII Un Consiglio scolastico determina l’ordine e il modo dell’insegnamento primario, che è

d’obbligo nelle scuole di tutti i Comuni.

L’insegnamento del canto corale fondato su i motivi della più ingenua poesia paesana e

l’insegnamento dell’ornato su gli esempi della più fresca arte rustica hanno il primo luogo.

Compongono il Consiglio

un rappresentante di ciascun Comune

due rappresentanti delle Scuole medie

due delle Scuole tecniche e professionali

due degli Istituti superiori, eletti dagli insegnanti e dagli studenti

due della Scuola di Musica due della Scuola di Arti decorative

LIV Alle chiare pareti delle scuole aerate non convengono emblemi di religione né figure di

parte politica.

Le scuole pubbliche accolgono i seguaci di tutte le confessioni religiose, i credenti di tutte

le fedi, e quelli che possono vivere senza altare e senza dio.

Perfettamente rispettata è la libertà di coscienza. E ciascuno può fare la sua preghiera tacita.

Ma ricorrono su le pareti quelle iscrizioni sobrie che eccitano l’anima e, come i temi d’una

sinfonia eroica, ripetute non perdono mai il loro potere di rapimento.

Ma ricorrono sulle pareti le imagini grandiose di quei capolavori che con la massima

potenza lirica interpretano la perpetua aspirazione e la perpetua implorazione degli uomini.

Page 13: La Carta Del Carnaro - Testo Definitivo Di Gabriele D'Annunzio

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Della riforma statutaria

LV Ogni sette anni il grande Consiglio nazionale si aduna in assemblea straordinaria per la

riforma della Costituzione.

Ma la Costituzione può essere riformata in ogni tempo quando sia chiesta dal terzo dei

cittadini in diritto di voto.

Hanno facoltà di proporre emendamenti al testo della Costituzione

i membri del Consiglio nazionale

le rappresentanze dei Comuni

la Corte della Ragione

le Corporazioni.

Del diritto d’iniziativa

LVI Tutti i cittadini appartenenti ai corpi elettorali hanno il diritto d’iniziare proposte di leggi che

riguardino le materie riservate all’opera dell’uno o dell’altro Consiglio, rispettivamente.

Ma l’iniziativa non è valida se almeno il quarto degli elettori, per l’uno o per l’altro

Consiglio, non la promuova e non la sostenga.

Della riprova popolare

LVII Tutte le leggi sancite dai due corpi del Potere legislativo possono essere sottoposte alla

riprova del consenso o del dissenso pubblico quando la riprova sia domandata da un

numero di elettori eguale per lo meno al quarto dei cittadini in diritto di voto.

Del diritto di petizione

LVIII Tutti i cittadini hanno diritto di petizione verso i corpi legislativi che da essi furono per

buon diritto eletti.

Della incompatibilità

LIX Nessun cittadino può esercitare più di un potere né partecipare di due corpi legislativi nel

tempo medesimo.

Della rivocazione

LX Ogni cittadino può essere rivocato dall’officio che occupa,

quando egli perda i diritti politici per sentenza confermata dalla Corte della Ragione,

quando la rivocazione sia imposta per voto schietto dalla metà più uno degli inscritti al

corpo elettorale.

Page 14: La Carta Del Carnaro - Testo Definitivo Di Gabriele D'Annunzio

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Della responsabilità

LXI Tutti i partecipi dei poteri e tutti i pubblici ufficiali della Reggenza sono penalmente e

civilmente responsabili del danno che allo Stato al Comune alla Corporazione al semplice

cittadino rechino le loro trasgressioni, per abuso, per incuria, per codardia, per inettezza.

Della retribuzione

LXII A tutti gli ufficiali pubblici, nominati negli statuti e collocati nel nuovo ordinamento, è

fatta una retribuzione giusta; che una legge votata dal Consiglio nazionale determina di

anno in anno.

Della edilità

LXIII È instituito nella Reggenza un collegio di Edili, eletto con discernimento fra gli uomini di

gusto puro, di squisita perizia e di educazione novissima.

Più che l’edilità romana il collegio rinnovella quegli «ufficiali dell’ornato della città» che

nel nostro Quattrocento componevano una via o una piazza con quel medesimo senso

musicale che li guidava nell’apparato di una pompa repubblicana o in una rappresentazione

carnascialesca.

Esso presiede al decoro del vivere cittadino;

cura la sicurezza, la decenza, la sanità degli edifizii pubblici e delle case particolari;

impedisce il deturpamento delle vie con fabbriche sconce o mal collocate;

allestisce le feste civiche di terra e di mare con sobria eleganza, ricordandosi di quei

padri nostri a cui per fare miracoli di gioia bastava la dolce luce, qualche leggera

ghirlanda, l’arte del movimento e dell’aggruppamento umano;

persuade ai lavoratori che l’ornare con qualche segno di arte popolesca la più umile

abitazione è un atto pio, e che v’è un sentimento religioso del mistero umano e della

natura profonda nel più semplice segno che di generazione in generazione si trasmette

inciso o dipinto nella madia, nella culla, nel telaio, nella conocchia, nel forziere, nel

giogo;

si studia di ridare al popolo l’amore della linea bella e del bel colore nelle cose che

servono alla vita d’ogni giorno, mostrandogli quel che la nostra gente vecchia sapesse

fare con un leggero motivo geometrico con una stella, con un fiore, con un cuore, con

un serpe, con una colomba sopra un boccale, sopra un orcio, sopra una mezzina, sopra

una panca, sopra un cofano, sopra un vassoio;

si studia di dimostrare al popolo perché e come lo spirito delle antiche libertà comunali

si manifestasse non soltanto nelle linee, nei rilievi, nelle commettiture delle pietre, ma

perfino nell’impronta dell’uomo posta su l’utensile fatto vivente e potente;

infine, convinto che un popolo non può avere se non l’architettura che meritano la

robustezza delle sue ossa e la nobiltà della sua fronte, si studia di incitare e di avviare

intraprenditori e costruttori a comprendere come le nuove materie – il ferro, il vetro, i

cementi – non domandino se non di essere inalzate alla vita armoniosa nelle invenzioni

della nuova architettura.

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Della musica

LXIV Nella reggenza italiana del Carnaro la Musica è una istituzione religiosa e sociale.

Ogni mille anni, ogni duemila anni sorge dalla profondità del popolo un inno e si perpetua.

Un grande popolo non è soltanto quello che crea il suo dio a sua simiglianza ma quello che

anche crea il suo inno per il suo dio.

Se ogni rinascita d’una gente nobile è uno sforzo lirico, se ogni sentimento unanime e

creatore è una potenza lirica, se ogni ordine nuovo è un ordine lirico nel senso vigoroso e

impetuoso della parola, la Musica considerata come linguaggio rituale è l’esaltatrice

dell’atto di vita, dell’opera di vita.

Non sembra che la grande Musica annunzi ogni volta alla moltitudine intenta e ansiosa il

regno dello spirito?

Il regno dello spirito umano non è cominciato ancora.

«Quando la materia operante su la materia potrà tener vece delle braccia dell’uomo, allora

lo spirito comincerà a intravedere l’aurora della sua libertà» disse un uomo adriatico, un

uomo dalmatico: il cieco veggente di Sebenico.

Come il grido del gallo eccita l’alba, la musica eccita l’aurora, quell’aurora: «excitat auroram».

Intanto negli strumenti del lavoro e del lucro e del gioco, nelle macchine fragorose che

anch’esse obbediscono al ritmo esatto come la poesia, la Musica trova i suoi movimenti e

le sue pienezze.

Delle sue pause è formato il silenzio della decima Corporazione.

LXV Sono istituiti in tutti i Comuni della Reggenza corpi corali e corpi strumentali con

sovvenzione dello Stato.

Nella città di Fiume al collegio degli Edili è commessa l’edificazione di una Rotonda

capace di almeno diecimila uditori, fornita di gradinate comode per il popolo e d’una vasta

fossa per l’orchestra e per il coro.

Le grandi celebrazioni corali e orchestrali sono «totalmente gratuite» come dai padri della

Chiesa è detto delle grazie di Dio.

Statutum et ordinatum est.

Iuro ego.

FONTE : R. De Felice (cur.), La Carta del Carnaro nei testi di Alceste De Ambris e di Gabriele

D’Annunzio, il Mulino, Bologna, 1973, pp. 35 ss.