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La carbon footprint alla luce della nuova norma UNI ISO/TS 14067

Introduzione di Filippo Trifiletti

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Daniele PernigottiLa carBon footprint aLLa Luce deLLa nuova norma uni iSo/tS 14067

edizioni ambiente srl www.edizioniambiente.it

coordinamento redazionale: Diego Tavazziprogetto grafico: GrafCo3 Milanoimpaginazione: Roberto Gurdoimmagine di copertina: © Felix Petruška

© 2013, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333

Tutti i diritti riservati. È consentito l’utilizzo dei testi per uso esclusivamente personale e a fini non commerciali. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore.

ISBN 978-88-6627-119-2

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Sommario

L’attività di accredia per L’amBiente� 7 di Filippo Trifiletti

prefaZione � 11

1. UN PONTE CON L’EDIZIONE CARTACEA � 13

2. UNA NORMA IN BILICO TRA MERCATO E POLITICA � 21

3. COMUNICAZIONE: LA FORZA DEL PUNTO DEBOLE � 41

4. PROSPETTIVE FUTURE � 55

GLoSSario� 65

BiBLioGrafia � 69

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queSta puBBLicaZione è promoSSa da

ACCREDIA L’Ente italiano di accreditamento

www.accredia.it

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L’ATTIVITà DI ACCREDIA PER L’AMBIENTE

La sensibilità sui temi ambientali rimane a livelli alti nei paesi a eco-nomia avanzata, e cresce in quelli – un tempo detti “in via di svilup-po” – che hanno ormai raggiunto un ruolo rilevante nell’economia mondiale. Si può perciò parlare di una “questione globale”. E per l’at-tuazione degli obiettivi di sostenibilità ambientale, le certificazioni di terza parte indipendente possono rappresentare una risposta per una serie di ragioni, in quanto:•contribuiscono a infondere fiducia tra i consumatori e gli operatori economici sull’affidabilità e la sostenibilità dei beni/servizi acquistati;•basandosi su standard internazionali e criteri condivisi, possono rap-presentare un boost per rialimentare la crescita economica, specie nei paesi più sviluppati, che guardano con attenzione alla green economy;•affiancano le politiche repressive o incentivanti puntando sulla sensi-bilità dei produttori e delle varie organizzazioni che, volontariamente, si sottopongono a vincoli più stringenti di quelli normalmente previsti.

Insomma, le certificazioni sono ormai divenute uno strumento di ri-lievo, al quale sempre più spesso si fa ricorso, in Italia come altrove.L’attività di Accredia in questi ambiti è consolidata, e in via di ulte-riore espansione. Le certificazioni per sistemi di gestione ambientale sono, dopo i sistemi qualità, le più diffuse a livello nazionale e cre-scono costantemente. Anche le certificazioni dei sistemi di gestione dell’energia sono in aumento come conseguenza dell’interesse cre-scente per il risparmio energetico. Questa esperienza ha contribuito al riconoscimento di Accredia da parte del Ministero dell’ambiente, che ha affidato all’ente, con una convenzione siglata nel 2011, le attività di accreditamento a fini di notifica/autorizzazione per la “direttiva rumore”, oltre che per:• il pacchetto dei regolamenti che disciplinano i gas fluorurati;• l’EMAS;• il sistema EU ETS per le verifiche sugli impianti che emettono gas a effetto serra.

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Un compito di elevata responsabilità, che ha anche portato alla crea-zione di un Comitato di accreditamento ad hoc per tutti gli schemi di certificazione (sistemi, prodotto, personale...), sia in ambito volonta-rio, come le certificazioni ISO 14001, sia regolamentate (gas fluoru-rati, EU ETS). Questa è l’unica esperienza trasversale negli organi dell’ente, e vuole rappresentare anche una presa di coscienza della necessità di politiche integrate.A ciò si affianca l’attività di accreditamento dei laboratori (sia di pro-va sia di taratura), che rappresenta un punto di forza anche per i rap-porti con l’Ispra (legata ad Accredia da un protocollo d’intesa), e per il reciproco riconoscimento con il sistema Arpa/Appa.L’elemento comune di queste variegate attività è il respiro interna-zionale. Accredia è firmataria degli accordi internazionali di mutuo riconoscimento che consentono, ai laboratori e agli organismi di certi-ficazione accreditati, di far valere in tutto il mondo l’affidabilità delle proprie attività. I percorsi di accreditamento, sia per gli organismi di certificazione sia per i laboratori, seguono regole e standard fissati a livello globale; dal sistema degli enti di normazione (UNI, CEI, CEN ISO...) e dagli stessi enti di accreditamento, attraverso le proprie aggregazioni: EA a livello europeo, IAF e ILAC a livello mondiale.In funzione del ruolo rilevante che l’ente italiano ricopre in questi am-biti, Accredia si è candidata a ospitare le assemblee mondiali di IAF e ILAC nel 2015, in coincidenza con l’Expo milanese, con l’intento di fornire un contributo alla valorizzazione del sistema paese. Non si po-teva, dunque, rimanere indifferenti di fronte all’approvazione del nuo-vo standard per la Carbon Footprint, che è stato seguito da Accredia, rappresentata dall’ispettore Pernigotti, sin dalla fase di elaborazione.Non è esattamente una “norma”, ma il fatto che ne sia ammessa la certificazione la costituisce comunque come un punto di riferimento, con il quale il sistema internazionale delle valutazioni di conformità, costituito dagli enti di accreditamento e dagli organismi di certifica-zione e ispezione, dovrà confrontarsi.

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La TS 14067 sulla Carbon Footprint rappresenta dunque una nuova sfida per Accredia e per le decine di organismi accreditati per gli sche-mi di certificazione in campo ambientale.L’ente si farà trovare pronto per avviare le attività di accreditamento non appena si preciseranno i riferimenti normativi applicabili e, a tal fine, si raccorderà strettamente con gli altri enti di accreditamento eu-ropei e, sul piano nazionale, con il Ministero dell’ambiente e le altre categorie interessate.

Filippo TrifilettiDirettore generale Accredia

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PREFAZIONE

Sono passati poco più di tre anni da quel viaggio in direzione di Tok-yo con cui si apriva la prima edizione di Carbon Footprint. Dopo il Giappone, il gruppo di lavoro dell’ISO ha continuato a girovagare per il mondo, facendo tappa in Messico, a Trieste, in Norvegia, poi in Ca-nada, Thailandia e infine in Austria.A mano a mano che le emissioni di gas a effetto serra (GHG) legate ai viaggi aerei delle diverse decine di delegati provenienti da ogni con-tinente andavano a incrementare pesantemente l’impronta climatica della norma in fase di sviluppo, aumentava anche l’ansia per il rischio di un clamoroso fallimento.A ogni incontro il progetto sembrava affrontare nuove e sempre più complesse difficoltà. Si diffondeva così il timore che le azioni di lob-by politiche condotte da alcuni paesi stessero portando il dibattito un punto di rottura difficilmente negoziabile e che, sommate alle classi-che lobby settoriali, rischiassero di far naufragare l’intero progetto di norma. Lo sguardo sconsolato del coordinatore del gruppo di lavoro ISO, reso lucido da qualche lacrima trattenuta a fatica in occasione dell’ennesi-mo voto negativo, ha trasmesso in più occasioni ai delegati la scomoda sensazione di essere schiacciati in un angolo senza via d’uscita.Davanti agli occhi l’evidenza che, pur lavorando a uno strumento di natura tecnica, la ricerca della condivisione a livello mondiale in ma-teria di cambiamento climatico è una strada sempre irta e ricca di osta-coli.Alla fine si è però riusciti a catalizzare la determinazione di un gran numero di paesi e il tanto atteso strumento normativo è arrivato a com-pimento, anche se si è dovuti optare per la scelta della Specifica tec-nica.Adesso è il momento dell’altrettanto delicata e complessa fase della diffusione e applicazione a livello internazionale dello strumento nor-mativo. Il rischio è che alcune scelte adottate dal gruppo di lavoro – e

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presenti nella versione finale della ISO/TS 14067 (1) – possano risul-tare poco comprensibili ai lettori, se non si conoscono i retroscena di alcune decisioni e il difficile percorso che sta spesso alla base di certe scelte.Proprio per cercare di fare luce su alcuni tra i più importanti di questi punti e per meglio illustrarne i contenuti, si è deciso di pubblicare questo breve testo.Per una più completa comprensione dell’intero tema si rimanda alla lettura del volume Carbon Footprint,(2) pubblicato nel 2011, a cui si fa spesso riferimento nel presente lavoro e di cui questo e-book rap-presenta idealmente un addendum.

(1) Nel testo si fa riferimento alla versione internazionale ISO/TS 14067. Il rece-pimento italiano UNI ISO/TS 14067 è illustrato e utilizzato nel capitolo 4 dedicato alla realtà italiana

(2) Pernigotti D., Carbon Footprint, Edizioni Ambiente, Milano 2011.

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1. UN PONTE CON L’EDIZIONE CARTACEA

1.1 carBon footprint di prodotto

L’importanza del cambiamento climatico è ormai ampiamente ricono-sciuta dall’opinione pubblica, dall’economia e dalla politica. I pochi che si ostinano a negare il fenomeno o le dirette responsabilità umane, considerati da Kofi Annan “senza argomenti e fuori dal tempo” già nel 2006, vedono ridurre sempre di più le fila dei propri adepti e gli argomenti a disposizione.Resta ovviamente ancora moltissimo da fare per rendere le persone consapevoli delle dimensioni e della gravità del fenomeno, così come delle azioni da intraprendere per cercare di contrastarne la deriva. È però indubbio che la sensibilità sul tema di ognuno di noi si è evoluta notevolmente negli ultimi 5-10 anni ed è praticamente certo che lo farà in modo ancora più significativo in quelli a venire.Ne deriva una conseguenza inevitabile.Nel prossimo futuro, ma in teoria già da oggi, saremo chiamati a svol-gere in contemporanea il ruolo di attori e spettatori di sostanziali cam-biamenti degli stili di vita della nostra società. È inevitabile che ciò avrà una ricaduta diretta e massiccia sulle complesse dinamiche dei consumi, descritte nel capitolo 2 del libro.(1) Solo attraverso la stretta di un nuovo patto tra produttori e consumatori è possibile riuscire a stimolare la crescita di un mercato green, tema che sarà al centro di un apposito rapporto dell’UNEP atteso per il prossimo dicembre.Aspetto centrale di tale cambiamento è la possibilità di avere a dispo-sizione strumenti per valutare il reale impatto ambientale di un prodot-to, in particolar modo sul cambiamento climatico.A tal fine si utilizza la metodologia LCA (capitolo 2), in grado di valutare gli impatti ambientali lungo tutto il ciclo di vita di un prodot-

(1) Si fa riferimento a Carbon Footprint (Edizioni Ambiente, Milano 2011). A seguire nel testo i riferimenti al libro in questione vengono riportati semplicemente indicando il capitolo tra parentesi.

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to, dall’estrazione delle materie prime necessarie alla sua produzione, allo smaltimento finale quando il prodotto ha terminato la sua fun-zione. Declinando tale metodologia al solo impatto sul cambiamento climatico, quindi alle sole emissioni di gas a effetto serra (o GHG, da greenhouse gas), si ottiene la Carbon Footprint o Impronta climatica del prodotto (CFP).Normalmente l’impatto viene calcolato in tutto il ciclo di vita del pro-dotto, dalla culla alla tomba (from cradle to grave). In determinate condizioni (capitolo 7), generalmente riconducibili a una relazione tra soggetti economici che non coinvolge ancora il consumatore finale (per esempio fornitura di polimeri di materiale plastico che potrebbero essere indirizzati a prodotti finiti molto diversi tra loro), è possibile calcolare l’impatto solo su una parte del ciclo di vita (dalla culla al cancello o from cradle to gate).L’esistenza di un mercato globalizzato richiede l’esistenza e l’adozio-ne di regole comuni, col fine di ridurre al minimo la possibile creazio-ne di dinamiche distorsive di mercato che portino a favorire in modo indiscriminato un determinato paese o settore merceologico.Per tale ragione è fondamentale la realizzazione e diffusione di uno standard internazionale unico di riferimento, in grado di soppiantare quelli che possono essere già presenti a livello di singolo paese. Nel caso della CFP il primo riferimento normativo disponibile è stato la PAS 2050, creata in Gran Bretagna nel 2008 (capitolo 5), che rap-presenta anche il punto di partenza del processo di sviluppo di uno standard internazionale ISO in materia di CFP.

1.2 Guida aLL’orientamento aLLe SiGLe iSo

Per cercare di mantenere la necessaria fluidità discorsiva, si è costretti a usare nel testo un gran numero di sigle e termini tecnici che appar-tengono al mondo della normazione.Ciò potrebbe risultare un po’ ostico per i non addetti ai lavori, per cui vengono illustrati di seguito gli acronimi e i termini tecnici più utilizzati.

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La lettura di quanto segue può essere decisamente noiosa, ma rappre-senta un piccolo sforzo fondamentale per poter poi leggere fluidamen-te e senza intoppi il testo a seguire. L’ISO è l’ente di normazione internazionale deputato allo sviluppo della normativa tecnica di carattere volontario. Può essere immaginato come un’immensa piazza dove si incontrano esperienze e competenze di tutto il mondo per scrivere la normativa relativa ai più disparati set-tori di interesse. Per meglio organizzare i lavori, le attività sono artico-late in specifici Comitati tecnici. Quello che si occupa della normativa ambientale è l’ISO/TC 207. All’interno di questo sono stati realizzati dei Sottocomitati tematici e l’SC7 è quello dedicato alla normativa sui gas a effetto serra (GHG) che coordina il lavoro dei gruppi di lavoro dedicati allo sviluppo delle singole norme. Il gruppo di lavoro incari-cato di sviluppare lo standard sulla CFP è formalmente l’ISO/TC 207/SC7/WG2, che di seguito chiameremo per brevità WG2.Il lavoro di sviluppo della norma è articolato in incontri periodici, organizzati in vari paesi ospitanti, in cui sono discussi i commenti trasmessi dai diversi mirror group nazionali, nel caso dell’Italia l’U-NI, sulle diverse bozze di documento realizzate dal WG2. Similmente alla logica ISO anche l’UNI ha una ben precisa ramificazione orga-nizzativa, a partire dalle diverse commissioni tematiche. Le commis-sioni hanno al loro interno ulteriori gruppi di lavoro, riflettendo la logica ISO. Il GL15 (gas a effetto serra) della Commissione ambiente dell’UNI è il mirror group italiano che ha seguito lo sviluppo della norma sui CFP, discutendo di volta in volta le diverse versioni elabo-rate negli incontri del WG2.Una volta l’anno l’intero ISO/TC 207 si incontra per fare il punto sull’avanzamento dei diversi progetti di norma in fase di sviluppo e per continuare in parallelo i lavori dei vari WG attivi. Tali appun-tamenti allargati sono denominati Plenary meeting e rappresentano l’occasione sia per portare a livello superiore la discussione su punti particolarmente critici, sia per analizzare gli eventuali reclami prove-niente dagli stati membri. Quest’ultimi sono ripartiti in P member, che hanno lo status di piena partecipazione nei processi di sviluppo delle

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norme, e O member, con ruolo di osservatori. Gli stati sono chiamati in diversi momenti a esprimersi attraverso il voto e i commenti sulle diverse bozze di norma. Le soglie da superare per passare di livello nello sviluppo degli standard sono diverse in funzione del livello di avanzamento della norma. Non ha senso in questa sede entrare ul-teriormente nel dettaglio delle diverse percentuali da raggiungere di volta in volta, ma è importante sapere che esistono sia soglie di voti positivi da superare riservate ai soli P member sia soglie negative da non superare aperta a tutti gli stati, quindi la somma di P member e O member.I livelli di avanzamento di una norma da conoscere sono sei. Il New Work Item Proposal (NWIP) è l’idea di partenza che contiene le mo-tivazioni per cui sviluppare una nuova norma e i paletti di fondo che dovranno essere tenuti a riferimento per l’intero percorso di norma-zione.Segue il Working Draft (WD) che è finalizzato a consolidare una pri-ma versione del testo. I lavori in questa fase sono riservati ai soli dele-gati tecnici inviati dai diversi paesi e non coinvolgono i mirror group nazionali. Questi entrano in causa quando si passa al Committee Draft (CD), allargando così la discussione a tutte le parti interessate. Si pas-sa quindi al Draft International Standard (DIS), che inizia ad avere ormai una struttura di testo con concetti ampiamente condivisi, e quin-di al Final Draft International Standard (FDIS), in cui le modifiche attese sono ormai di natura prettamente formale. Il processo termina con la pubblicazione del vero e proprio Standard internazionale ISO, che potrà poi essere recepito come norma nazionale, nel caso italiano come norma UNI.

1.3 un percorSo a oStacoLi

Lo sviluppo di una norma ISO è un processo decisamente complesso: i rappresentanti di molti paesi devono riuscire a costruire, attraverso il consenso, una base comune tra esigenze e punti di vista che sono spesso decisamente lontani tra loro.

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Nel capitolo 6 di Carbon Footprint si è dettagliatamente descritto il funzionamento di tale processo e i diversi livelli di coinvolgimento dei delegati nazionali a livello ISO e dei diversi gruppi di lavoro nazionali nei relativi enti di normazione (UNI per l’Italia).Per meglio comprendere quanto si è verificato dalla pubblicazione del testo a oggi, riprendiamo solo la successione delle fasi di sviluppo di una norma ISO, appena descritta:

NWIP -> WD -> CD -> DIS -> FDIS -> Standard

Nelle situazioni più semplici si riesce ad avere una sola versione per ogni fase di sviluppo della norma.Già al momento della pubblicazione del libro erano state messe in evidenza le difficoltà che aveva incontrato lo sviluppo della norma ISO sulla Carbon Footprint, dal momento che a tre versioni di WD ne erano seguite altre tre di CD.I cattivi presentimenti di allora hanno purtroppo trovato piena con-ferma nella realtà di quanto il WG2 ha dovuto affrontare nei mesi a seguire. Non entriamo ora nel merito delle cause di tali rallentamenti, a cui è dedicata buona parte del prossimo capitolo, ma evidenziamo solamente che ai tre CD sono seguiti altri due DIS, prima che il per-corso sopra indicato venisse interrotto a favore della realizzazione di una Specifica tecnica, come riportato nello schema che segue:

NWIP -> WD -> CD -> DIS -> FDIS -> Standard

|VTS

Dal punto di vista formale, ciò equivale alla scelta di declassare un documento di natura normativa, inizialmente pensato come vero e proprio standard. In termini sostanziali, ciò non comporta però alcuna differenza per chi è interessato alla sua applicazione. È importante ri-

X X

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cordare che si sta parlando di un contesto di riferimento volontario, in cui la decisione di adesione è legata alla libera iniziativa di un impren-ditore, o comunque alle richieste del mercato. Qualora venga deciso di aderire a una determinata norma, i requisiti ivi contenuti diventano di fatto obbligatori, nel senso che chi intende aderire alla stessa si im-pegna a farlo per ognuno di essi.In questo senso lo standard vero e proprio e la Specifica tecnica (TS) hanno caratteristiche sostanzialmente simili. Entrambi hanno la pos-sibilità di contenere requisiti normativi vincolanti e di poter essere sottoposti a una verifica di terza parte indipendente al fine di ottenere un attestato di conformità riconosciuto dal mercato.Formalmente la TS è una sorta di pre-standard, pubblicato al fine di consentire una prima applicazione a livello di mercato, consentendo così di valutare l’opportunità di elevarla di livello in termini di “ran-go” normativo, verso il vero e proprio standard.Si tratta di un periodo di prova di tre anni entro il quale bisogna deci-dere se avviare il processo di trasformazione della specifica tecnica in uno standard vero e proprio, se rinnovare il TS per altri tre anni o se ritirarlo dalla circolazione perché non più necessario. Le difficoltà attraversate in questi ultimi cinque anni nel tentativo di sviluppare lo standard, pur in presenza di un pieno mandato da parte della maggioranza dei membri dell’ISO/TC 207, lasciano presagire un futuro turbolento. C’è da aspettarsi che anche i prossimi tre potranno essere caratterizzati da una simile variabilità di pensiero, con il rischio della medesima azione di contrasto da parte di chi ha svolto un ruolo di opposizione verso la pubblicazione di un unico riferimento certifi-cabile a livello mondiale per la CFP. Molto dipenderà però dal livello di applicazione della ISO/TS 14067 a livello internazionale, ora che è stata ufficialmente pubblicata.

1.4 iL LeGame con La verSione cartacea

Come ricordato nella prefazione, il presente e-book rappresenta una sorta di ideale estensione del testo Carbon Footprint pubblicato nel

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2011. Un addendum la cui necessità era chiara fin da allora, per la consapevolezza che quel volume non poteva considerarsi completo dal momento che i lavori di stesura della norma non erano ancora stati completati. Del resto, i continui ritardi in cui si stava imbattendo il WG2 hanno portato, dopo un paio di slittamenti nella chiusura del vo-lume, alla decisione di pubblicare comunque il testo nella convinzione che su un tema così cruciale fosse importante consentire agli operatori economici e ai decisori politici di costruirsi un quadro sintetico dello stato dell’arte. Il presente e-book è sviluppato proprio su questa logica di consequen-zialità con il lavoro precedente.È evidente, quindi, come non abbia senso replicare in questa sede quanto già abbondantemente descritto nel volume cartaceo. Anzi: è proprio tenendo ferma quella base di riferimento che ha senso approc-ciare a quanto segue.S’intende qui dare risposta ai quesiti lasciati aperti allora o valutare quanto le ipotesi formulate in quella sede abbiano poi trovato maggio-re o minore conferma nel seguito dei lavori del WG2.Tra tutti gli argomenti citati nel volume cartaceo ve n’erano un paio ancora aperti e cruciali a cui si è ritenuto di dare maggiore attenzione: il delicato terreno di contatto tra la politica e le opportunità di mercato e il tema centrale della comunicazione verso il pubblico. Proprio su questi due argomenti sono stati sviluppati i prossimi due capitoli a cui ne segue un terzo, intenzionato a lanciare nuovamente lo sguardo in avanti, per ipotizzare i possibili sviluppi nazionali e internazionali della CFP nei prossimi anni.

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2. UNA NORMA IN BILICO TRA MERCATO E POLITICA

2.1 i Limiti deLLa cfp

La CFP è per definizione uno strumento pensato per il mercato.È stata sviluppata per facilitare l’incontro tra l’offerta di prodotti a minor contenuto di GHG e la domanda esercitata da consumatori con-sapevoli che le dinamiche di ogni acquisto possono avere una grande influenza sui livelli complessivi di emissioni.Le parole degli scienziati non lasciano dubbi su quanto lavoro ci sia da fare in questa direzione, per tagliare drasticamente valori di emissioni di CO

2, regolarmente superiori ai 30 miliardi di tonnellate all’anno.

La richiesta di ridurre entro il 2050 dell’80% le emissioni generate dai paesi sviluppati implica l’introduzione di un cambiamento globale, forse ancora difficile da immaginare per quanto articolato e pervasivo dovrà essere.Una certezza legata a tale cambiamento è che il patto produttori-con-sumatori per lo sviluppo di un mercato a basso contenuto di carbonio è destinato a consolidarsi e rafforzarsi nel prossimo futuro, dando così ampio spazio alla diffusione della CFP.Ciò non deve portare a una promozione acritica dello strumento. In campo ambientale nessuno possiede la bacchetta magica e raramen-te esistono soluzioni perfette per risolvere i problemi. Bisogna anzi partire dalla conoscenza dei punti deboli di tali opzioni, per riuscire a costruire un percorso trasparente, solido nel tempo e in grado di pro-durre i risultati attesi. La CFP non fa eccezione a questa regola e possiede anch’essa dei pun-ti deboli che è corretto mettere a nudo, prima di promuoverne l’ampio utilizzo a livello di mercato.Non si tratta di criticità misteriose, ma di elementi di cui gli stessi membri del WG2 sono stati consapevoli fin dal primo momento. Anzi, a seguito di numerose discussioni nei vari sottogruppi di lavoro si è deciso di lasciarne traccia in diversi punti del testo della ISO/TS 14067

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e in particolare nell’allegato B, appositamente dedicato all’argomento con l’eloquente titolo “Limitazioni della CFP”.Nell’allegato si evidenzia innanzitutto come la CFP non rappresenti in alcun modo l’impatto ambientale complessivo di un determinato prodotto.La CFP mette a fuoco il peso dell’intero ciclo di vita di un prodotto su un’unica categoria di impatto ambientale: il riscaldamento globale del pianeta. Non vi è dubbio che il cambiamento climatico rappresenti la più grande sfida che l’umanità si sia mai trovata ad affrontare in modo collegiale, ma è altrettanto evidente come non sia l’unica.Esistono, su scala locale, problemi ambientali pesantissimi per deter-minate popolazioni, come la contaminazione delle acque superficiali che in certe aree può mettere a rischio la salubrità e la vita delle popo-lazioni umane e degli ecosistemi circostanti. Esistono poi problemi su scala globale che stanno raggiungendo, se non hanno già oltrepassato, soglie che rischiano di mettere in crisi il futuro sviluppo pacifico sul pianeta. Scarsità di risorse naturali non rinnovabili, perdita di biodi-versità, scarsità di acqua, degrado dei suoli e desertificazione sono temi di importanza indiscussa, con spesso una ricaduta diretta sulla produzione di cibo e quindi sul soddisfacimento dei bisogni primari della popolazione umana. È pur vero che alcune di queste tematiche sono a loro volta aggravate dalla crisi climatica, ma ciò non toglie che restano comunque dei temi caratterizzati da una complessità e gravità proprie.L’ambiente è un insieme di complessi sistemi chimici, fisici e biologi-ci interconnessi tra di loro in modo estremamente articolato. Sarebbe pertanto un grave errore cercare di gestire l’impatto ambientale pen-sando “solo” al riscaldamento del pianeta di origine antropica. Si po-trebbe in questo caso cadere, per esempio, nell’errore di considerare il ciclo di vita dell’energia nucleare meno impattante sull’ambiente di quella di origine eolica, solo perché la prima è caratterizzata da una minore CFP rispetto alla seconda. Questo è quanto potrebbe emergere da un’analisi acritica dei dati riportati negli studi di Vattenfall, il co-losso svedese dell’energia (capitolo 7, pag 145).

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D’altro canto, se si considera il fattore tempo, è indubbio riconosce-re al cambiamento climatico una priorità difficilmente discutibile. Da quello che ci dicono gli scienziati nel IV Rapporto IPCC, ci giochia-mo la partita sul clima dell’intero secolo nei prossimi 5-10 anni. Dob-biamo intervenire adesso e in modo radicale. Ciò torna a dare priorità, pur tenendo a mente tutti i distinguo sopra citati, alla necessità di ri-durre drasticamente le nostre emissioni di CO

2 e a restituire in questo

momento storico la centralità che merita al tema della CFP.Il secondo punto citato nell’allegato B della ISO/TS 14067 è legato ai limiti insiti nella metodologia LCA, attraverso cui sono calcolati gli impatti generati nelle varie fasi del ciclo di vita di un prodotto.Si tratta di uno strumento molto potente che ha una quarantina di anni di esperienza applicativa alle spalle e continui aggiornamenti e perfe-zionamenti sulla base delle esperienze maturate nelle più importanti università e centri di ricerca di tutto il mondo.Ciò non toglie che esistano comunque anche in questo ambito dei pun-ti deboli. Anche il meno esperto può immaginare come l’affidabilità dei dati raccolti e utilizzati si riduce a mano a mano che ci si allontana dai confini dell’azienda oggetto di studio e ci si inoltra lungo la catena di fornitura delle materie prime. Ciò viene in parte compensato con delle tecniche specifiche di attribuzione dei dati e l’utilizzo di corpose banche dati che vengono in aiuto a chi elabora gli studi quando i dati scarseggiano o rischiano di essere poco rappresentativi dei processi oggetto di studio.Vi è poi spesso la necessità di scorporare alcuni dati complessi attra-verso delle tecniche di allocazione, per riuscire a discriminare la parte di competenza del prodotto oggetto di studio.In altri casi vi possono essere delle variabili geografiche o stagionali che possono talora essere rilevanti in certi studi e richiedere l’adozio-ne di scelte particolari da parte del progettista. In sostanza, esiste un’importante componente negli studi di CFP lega-ta all’esperienza e alla professionalità degli esperti, che può incidere anche in modo significativo sui relativi risultati finali.Come già ricordato nel libro, la CFP è il frutto di un lungo lavoro di

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raccolta ed elaborazione dei dati e non ha senso attendersi da questo complesso processo la stessa precisione ottenibile nell’atto di misu-rare il peso di un prodotto, appoggiandolo sul piatto di una bilancia tarata.Questo confronto non mette però in alcun modo in discussione la va-lenza complessiva dello strumento, ma evidenzia un elemento di criti-cità oggettiva della metodologia di cui è necessario tenere conto.Chi viene a conoscenza, a vario titolo, dei risultati della quantificazio-ne di qualsiasi CFP o più in generale di uno studio di LCA, deve esse-re cosciente del limiti connessi con il livello di precisione dei risultati di questi studi, al fine di evitare che i valori di CFP possano finire per essere strumentalizzati e utilizzati in modo acritico.È innanzitutto importante comprendere che, in genere, il confronto basato su cifre decimali tra le CFP di due prodotti simili non ha alcun senso. I tecnici e gli esperti del settore sono ben consapevoli di questa limitazione e hanno il dovere di non far credere ai loro clienti che un prodotto con una CFP di 3,4 chilogrammi di CO

2e(1) possa essere au-

tomaticamente considerato migliore di uno che ha una CFP pari a 3,5.I consulenti, i verificatori, chi opera per conto del Mattm, i deciso-ri politici, i rappresentanti del mondo industriale e delle aziende che quantificano e comunicano la CFP dei propri prodotti hanno la re-sponsabilità di trasferire al mercato, e ai consumatori in particolare, un messaggio trasparente e corretto sulla valenza della CFP.Cercare di vendere il risultato di una CFP come se fosse caratterizzato da una precisione assoluta e non soggetto a errore è un’azione intellet-tualmente scorretta.Bisogna lavorare tutti assieme per cercare di diffondere la consape-volezza che la crescita solida di questo mercato, e in ultima analisi il raggiungimento dei risultati attesi in termini di lotta al cambiamento climatico, deve essere basata su qualcosa di più del semplice confron-to diretto del dato di CFP riportato su una confezione.

(1) CO2equivalente: unità di misura utilizzata per esprimere il valore di emissione

dei vari GHG in termini della corrispondente quantità di CO2.

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È fondamentale riuscire a far passare il messaggio che ha già senso premiare in fase di acquisto le aziende che hanno accettato la sfida di rendere trasparenti all’esterno i risultati dei calcoli degli impatti sul cambiamento climatico dei propri prodotti. La prima conseguenza di questa scelta è, per le aziende, la possibilità di intraprendere un più efficace percorso di riduzione dell’impatto dei prodotti, perché basato sull’individuazione delle aree dove il miglioramento può essere più efficace in termini di costi e benefici. La seconda è legata al patto di trasparenza che si vuole instaurare con i propri clienti, in merito a come varierà la CFP nel tempo, sia attraverso la diminuzione dei valori di CFP che saranno apportati sulle confezioni nel tempo e an-cora di più con le informazioni di supporto che sono richieste dalla ISO/TS 14067, quando si intraprende una comunicazione indirizzata al pubblico.

2.2 oppoSiZione dura aLLa cfp

I limiti della CFP sopraindicati sono stati utilizzati da alcuni paesi per supportare la loro dura opposizione alla realizzazione dello standard e in particolare alla parte relativa alla comunicazione.Si tratta di un blocco di paesi in via di sviluppo che in genere trova-vano rappresentanza nella posizione dell’India, la quale ha svolto in questo contesto un ruolo da capofila.Il libro era stato chiuso in redazione dopo l’incontro di Oslo del 2011, dando così la possibilità di raccontare la sorprendente azione di pres-sione politica che gli indiani avevano esercitato sull’Egitto in prepara-zione dell’incontro nella capitale norvegese.Allora l’episodio aveva creato un certo sconcerto perché nel ISO/TC 207 non vi era memoria che in passato fosse mai successo qualcosa di simile, con un Ministro degli esteri che scriveva ai propri corrispettivi di altri paesi per bloccare lo sviluppo di una norma tecnica ISO.Purtroppo, l’azione della lobby politica non ha avuto termine in Nor-vegia e dopo quell’incontro il gigante asiatico ha continuato a operare, con un certo successo, per mettere il bastone tra le ruote del processo

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di sviluppo dello standard. La situazione si è radicalizzata sempre più costringendo, nel corso del Plenary Meeting dell’ISO/TC 207 a Gabo-rone, il rappresentante del Segretariato centrale dell’ISO a far presente ai delegati indiani che alcuni comportamenti del loro paese erano al di fuori delle regole etiche non scritte di normazione internazionale.Si voleva in quell’occasione probabilmente fare riferimento alla con-suetudine del paese asiatico a far sì che i propri commenti di revisione della norma fossero replicati in modo identico da altri paesi in via di sviluppo.(2) L’approccio “fotocopia” attuato per esempio da Bahrein o Trinidad e Tobago finiva solo per confermare la forte azione di lobby degli indiani, ma arrivava in alcuni casi a rasentare il ridicolo. Come quando l’Argentina dimenticava di adattare al contesto del proprio pa-ese il testo del commento inviato per l’incontro di Bangkok del giugno 2012, tradendo l’origine asiatica di chi lo aveva originariamente pensa-to, come si evince dal testo trasmesso: “ ... con queste circostanze, l’or-ganismo membro dell’India, non supporta la bozza internazionale...”.(3)Nei momenti di pausa degli intensi gruppi di lavoro di stesura della norma i racconti sulle ingerenze del governo indiano su altri paesi in via di sviluppo si moltiplicavano, descrivendo situazioni dai contorni decisamente imbarazzanti.È il caso del referente egiziano che informava di essere stato allon-tanato dall’incarico di rappresentare il proprio paese in ambito ISO per avere “disobbedito” alle pressioni, giunte dall’India, di far fallire il processo di sviluppo della norma. Le turbolenze governative legate alla primavera araba hanno fatto sì che alla fine la sua competenza fosse riconsiderata e lui reintegrato dopo più di un anno nell’incarico, ma l’esperienza ha rappresentato un forte campanello di allarme so-prattutto per molti delegati di paesi in via di sviluppo.Una simile attività di pressione sulle scelte dei paesi in via di sviluppo

(2) Pernigotti D., The Carbon Footprint of Products: a powerful tool to support existing market dynamics in favour of a low carbon economy.

(3) ISO/TC 207/SC7/WG2 N382 – Revised collat. comments on ISO/DIS 14067 (18/06/2012).

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si è verificata anche nel processo di sviluppo della Water Footprint (ISO 14046), che in qualche modo presenta criticità simili per i paesi più poveri. La rappresentante di un paese del continente americano, la cui nazionalità è stato chiesto di non nominare, ha ricevuto una telefo-nata da un alto funzionario del proprio Ministero degli esteri proprio mentre si stava imbarcando nell’aereo che l’avrebbe portata alla sede di un gruppo di lavoro ISO. La richiesta anche in questo caso era di votare contro il passaggio di livello della norma, ma la caparbia dele-gata nazionale non ha ceduto alle pressioni giunte dall’alto. Ha anzi ri-cordato al rappresentante del Ministero che la scelta sul voto è il frutto di un ben strutturato processo di discussione e votazione nazionale, a cui quel Ministero non aveva mai ritenuto importante partecipare. La decisione presa in quella sede non poteva essere modificata, rispeden-do così di fatto senza cedimenti al mittente la richiesta di modifica della posizione nazionale.

2.3 La riSpoSta deL wG2

L’incontro di Oslo nel 2011 ha visto la bocciatura per un solo voto del passaggio da CD2(4) a DIS. Esito imprevisto, visto che fino alla sera precedente alla votazione i numeri sembravano sufficienti per as-sicurare i 2/3 di sì necessari a consentire il passaggio di livello della norma, grazie anche agli sforzi fatti in quei giorni per accogliere le richieste giunte da molti paesi in via di sviluppo.Alcune situazioni inattese, quali il cambio di posizione del delegato inglese rispetto alla sera precedente, l’assenza del delegato coreano al momento del voto e i tedeschi che hanno votato in contrasto con l’in-dicazione ricevuta dal loro capodelegazione, hanno invece costretto il WG2 a lavorare ancora su un CD (CD3), per un voto perso di misura.La richiesta forte arrivata in quell’occasione dai paesi in via di svilup-po era di avere una frase esplicita che vietasse un uso della norma che potesse essere in contrasto con la logica di libero mercato del WTO.

(4) ISO/TC 207/SC7/WG2 N310 – ISO/CD 14067.2 (10/03/2011).

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In altre parole, vi era la paura che qualche paese potesse decidere di vietare la vendita al proprio interno di prodotti non in possesso della CFP o con una CFP superiore a una certa soglia. Ne poteva derivare una limitazione delle possibilità di penetrazione commerciale per i paesi meno attrezzati allo sviluppo della CFP, facilmente riconducibili al gruppo dei paesi in via di sviluppo.È questa l’origine della frase inserita nel punto 4 “Applicazione” della ISO/TS 14067, che fa specifico riferimento al WTO. In realtà, ciò che è scritto al punto 4 è normalmente applicabile a tutte le norme ISO e pertanto non viene in genere esplicitato nei singoli standard. Per questa ragione è stato necessario rivolgersi addirittura al Segretariato centrale dell’ISO per chiedere in via eccezionale di inserire comunque questa frase, con l’intento di poter così accogliere le richieste di qual-che paese particolarmente preoccupato del rischio di possibili distor-sioni di mercato e facilitare la costruzione di un consenso più ampio all’interno del WG2.Purtroppo così non è stato, e nelle votazioni successive l’India ha continuato a esprimere un voto negativo, nel tentativo di bloccare lo sviluppo della norma o, quantomeno, di trasformare in linea guida la parte relativa alla comunicazione.Nel novembre del 2011, a Toronto, si è riusciti a ottenere il via libe-ra al passaggio a DIS,(5) forti della fresca approvazione da parte del Segretariato centrale ISO della modifica sul WTO di cui al punto 4. Nell’incontro successivo a Bangkok, nel giugno del 2012, il processo ha però subito uno stop e invece di portare al passaggio a FDIS il WG2 è stato costretto a ripiegare sul DIS2.(6) Le ragioni della mancata ap-provazione del passaggio di livello alla versione DIS non sono legate a una perdita di consenso del testo consolidato rispetto al precedente incontro, ma sono piuttosto riconducibili al particolare meccanismo di voto di questa fase, che lascia intravedere per la prima volta la possi-

(5) ISO/TC 207/SC7/WG2 N371 – ISO/DIS 14067 (E) official version (18/01/2012).

(6) ISO/TC 207/SC7/WG2 N396 – ISO/DIS 14067.2 official version for comments and vote (12/10/2012).

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bilità di un fallimento totale rispetto all’ipotesi di riuscire a pubblicare una norma ISO sulla CFP. Per il passaggio a FDIS è necessario soddisfare il raggiungimento di una doppia soglia di voto. Il raggiungimento di almeno i 2/3 di voti positivi degli stati P member deve in questo caso essere affiancato anche dalla somma di voti negativi inferiore al 25% dei paesi totali votanti (P member e O member). Nello specifico il DIS aveva raccolto la maggioranza necessaria di voti positivi dei P member (71%),(7) ma aveva avuto un valore maggiore di voti negativi (34%) rispetto alla soglia accettabile del 25%, relativa alla votazione aperta a tutti.In estrema sintesi, ciò lasciava intravedere il possibile scenario in cui la costituzione di un ampio blocco di O member poteva ripetutamente bloccare il passaggio di livello a ogni versione DIS della 14067, con il rischio che i cinque anni passati a costruire il delicato consenso a li-vello internazionale potessero finire in un nulla di fatto. Si intravedeva così la possibilità che l’intero processo fosse destinato a trasformarsi in un sonoro fallimento, distruggendo ogni velleità di avere una norma prescrittiva a livello ISO per uniformare l’approccio internazionale in materia di CFP. La conferma è giunta con il voto sul DIS2, in vista del successivo incontro del WG2 a Vienna. Rispetto alla precedente votazione sul DIS, in questa occasione la percentuale di voti positivi dei P member è leggermente aumentata (dal 71 al 72%), ma lo stesso è avvenuto anche per i voti negativi della votazione aperto a tutti i paesi, cresciuti dal 34 al 35%.Con questa consapevolezza nel febbraio 2013 si è aperto l’ultimo in-contro del WG2 a Vienna. Era chiaro a tutti che ostinarsi a discutere le consuete migliaia di commenti giunti da tutti i paesi, per costruire una nuova versione DIS da sottoporre poi a voto nel tentativo di elevarla a FDIS, sarebbe stato un tentativo privo di significato e di ogni possibi-lità di successo.Si è così optato per modificare radicalmente l’approccio, al fine di

(7) ISO/TC 207/SC7/WG2 N379 – Ballot result on ISO DIS 14067 – Disapproved (15/06/2012).

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rendere disponibile al mercato un documento in grado di riflettere il risultato del lavoro prodotto fino a quel momento. La soluzione scelta è stata la conversione del DIS2 in una Specifica tecnica (TS), abbandonando così il percorso di sviluppo di uno stan-dard vero e proprio. Ciò perché la TS ha una soglia semplice di voti positivi da raggiungere ed era così possibile superare l’azione di bloc-co intrapresa da alcuni paesi.La cosa interessante, che ha trovato l’ampio consenso del WG2, è che ciò consente la pubblicazione di un documento prescrittivo la cui appli-cazione può essere sottoposta a verifica di terza parte indipendente. Il mercato ha così la possibilità di testare l’applicazione del documento a livello internazionale e fare poi tesoro di tali esperienze nell’eventuale percorso di futura pubblicazione come vera e propria norma ISO.Una condizione importante per intraprendere a Vienna il percorso bre-ve di pubblicazione come TS era che non venissero introdotte mo-difiche sostanziali rispetto a quanto già contenuto nel DIS2. Ciò ha consentito di concentrare la discussione nel WG2 su un numero molto limitato dei commenti giunti dai vari paesi.Allo stesso tempo ha però limitato la possibilità di migliorare ulterior-mente il testo, scotto da pagare per poter finalmente vedere il docu-mento pubblicato come ISO/TS 14067 a maggio 2013.

2.4 L’iSo/tS e iL ricorSo deLL’india

Il documento N399,(8) con cui si evidenziava l’esito del voto nega-tivo sul DIS2 e si annunciava il meeting di Vienna di febbraio 2013, lasciava intravedere l’intenzione del chair e della segreteria del WG2 di intraprendere un percorso alternativo, che porterà poi alla scelta di optare per il TS. Tale documento si chiude in effetti con una frase che lascia poco spazio ai dubbi: “A Vienna il gruppo di lavoro dovrà

(8) ISO/TC 207/SC7/WG2 N399 – ISO/DIS 14067.2 ballot results – DISAPPRO-VAL and meeting information for upcoming meeting in Vienna, Austria from 18-22 February 2013 (16/01/2012).

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decidere sul formato di documento da pubblicare”. L’affermazione ha infiammato gli animi dei delegati indiani che iniziavano forse a intra-vedere la possibilità di mettere definitivamente in scacco il documen-to, rendendo vana ogni velleità di pubblicazione. La contrariata email di reazione degli indiani è così finita per essere un semplice assaggio di quanto il percorso di condivisione fosse ormai fallito e si andasse delineando la possibilità di uno strappo definitivo.La maggior parte dei delegati è giunta a Vienna con la consapevo-lezza di come il WG2 avesse scarsissime possibilità di poter arrivare alla pubblicazione di uno standard internazionale. Il gran desiderio di giungere comunque alla pubblicazione di un documento di natura pre-scrittiva ha fatto sì che le singole esigenze specifiche fossero per una volta accantonate davanti all’evidenza della necessità di trovare una soluzione ampiamente condivisa, anche se ciò richiedeva di ripiegare per un’opzione di “rango” minore rispetto a uno standard internazio-nale. Non ha senso in questa sede dettagliare le diverse soluzioni prese in considerazione nell’incontro di Vienna, ma la decisione finale si è poi via via consolidata attorno all’opzione della Specifica tecnica.Si tratta di un documento avente piena valenza prescrittiva, che può quindi essere tranquillamente sottoposto a una verifica di parte terza, anche accreditata. In aggiunta lo stato di “pre-standard” prevede che entro il primo triennio dalla pubblicazione della TS si debba decidere se eliminarla dal mercato, pubblicarla in una versione aggiornata o “elevarla” a standard internazionale (IS).In ogni caso la decisione di procedere con la pubblicazione dell’ISO/TS 14067, ampiamente condivisa nel WG2, ha stimolato la netta con-trarietà dell’India. Il relativo ente di normazione (Bureau of Indian Standard, BIS) ha reagito con la consegna di una formale lettera di “opposizione sostenuta” alla ISO 14067.Le principali ragioni con cui l’India ha espresso la propria contrarietà alla pubblicazione di un documento prescrittivo in ambito ISO sulla CFP sono riconducibili al fatto che:• la CFP è una rappresentazione di una sola categoria di impatto am-bientale;

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• i paesi in via di sviluppo, in accordo all’UNFCCC, non sono tenuti a intraprendere alcuna azione di riduzione delle emissioni di GHG;• lo strumento di quantificazione della CFP ha un alto livello di incer-tezza e come tale non è adatto alla comunicazione verso il pubblico.

In aggiunta, l’opposizione alla 14067 è legata anche alla denuncia che il WG2 non avrebbe rispettato le regole interne ISO per sviluppare gli standard e non avrebbe preso in considerazione in modo adeguato i commenti presentati nel tempo dall’India.Si rimanda al successivo paragrafo per l’analisi delle motivazioni tec-niche presentate dal BIS, mentre ci si limita per il momento a osserva-re come l’opposizione sia motivata da ragioni tecniche sulla CFP, da alcune di natura politica e altre di tipo procedurale. Queste ultime sono state utilizzate per costruire il reclamo ufficiale trasmesso successivamente all’ISO/TC 207, prima del Plenary Mee-ting tenutosi a Gaborone nel giugno 2013.(9) Gli aspetti tecnici e politici esplicitati nella lettera di Vienna riman-gono comunque strettamente annodati alle argomentazioni di natura procedurale che rappresentano l’ossatura della decina di pagine che costituiscono il documento presentato in Botswana.Presentando il reclamo ai massimi organi responsabili dello sviluppo della normativa ambientale in ambito ISO il BIS ha deciso di mettere a nudo lo scontro latente che l’aveva fino a quel momento vista pro-tagonista nei confronti del WG2, accusandolo di supposte irregolarità nella conduzione dei lavori di sviluppo della norma.In quella sede l’India ha avuto la possibilità di presentare le proprie ragioni ai rappresentanti di tutti i paesi partecipanti, ma ha visto co-munque rigettare il proprio ricorso senza trovare particolare supporto alle proprie tesi.Il rappresentante del Segretariato centrale dell’ISO ha anzi invitato

(9) ISO/TC 207 N1079 – Notice to ISO/TC 207 Members of: Appeal from National Standards Body of India (BIS) against the decision of ISO/TC 207/SC 7 to publish ISO/TS 14067 in violation of ISO/IEC directives, Part 1, 2012.

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l’India ad assumere un comportamento più consono alle regole etiche non scritte dell’ISO, evitando di costruire cartelli di paesi che si muo-vono all’unisono con il fine di bloccare pretestuosamente ogni pro-gresso verso la pubblicazione di uno standard. Richiamo importante, visto che lo stesso atteggiamento tenuto in fase di sviluppo della 14067 iniziava a essere replicato anche per la norma sulla water footprint.La sensazione è che l’India sia arrivata con la Carbon Footprint a ten-dere al massimo la corda della disponibilità delle maggior parte delle delegazioni che fanno parte dell’ISO/TC 207. John Swift, uno dei mas-simi esperti della parte relativa alla comunicazione della CFP e alle etichettature ambientali in generale, non ha dubbi: se l’India fosse stato un paese sviluppato sarebbe stato allontanato senza indugi dall’ISO/TC 207 a seguito del comportamento dimostrato in questa circostanza.(10)Molti scommettono che quanto accaduto a Gaborone porterà l’India ad adottare in futuro una linea di maggiore dialogo. Si vedrà presto se questa previsione sarà corretta, visto che il reclamo rigettato in ambito ISO/TC 207 potrebbe convincere il paese asiatico ad assumere posizio-ni più morbide o, per contro, a riproporre le stesse lamentele a livello superiore, arrivando direttamente al Segretariato centrale dell’ISO.

2.5 Le raGioni deLL’india

Come evidenziato in precedenza, il comportamento dell’India in am-bito ISO/TC 207 è stato quantomeno discutibile rispetto alle norma-li dinamiche di partecipazione che caratterizzano lo sviluppo di uno standard internazionale. Ciò non toglie che le ragioni alla base della forte azione di lobby, condivise in modo più o meno esteso da diversi altri paesi in via di sviluppo, possano essere basate su motivazioni di per sé ragionevoli.È quindi utile cercare di approfondire con la massima obiettività pos-sibile quali siano le ragioni che hanno portato il paese asiatico a con-solidare la ferma opposizione al progetto di norma.

(10) Pernigotti D., Nasce (a fatica) la Carbon Footprint di prodotto.

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I temi che il blocco capitanato dall’India ha utilizzato per contrastare lo sviluppo della norma sono stati sostanzialmente cinque:•centralitàambientalenonmotivataperunsingoloproblemaambien-tale;•scarsaaffidabilitàscientificadellametodologiaLCA;•conflittodellaCFPconiprincipidell’UNFCCC;•mancanzadidatiecapacitàtecnicheinmoltipaesiinviadisviluppoper realizzare studi di CFP;•rischiodidistorsionedelmercatoinbarbaalleregoledelWTO.

La criticità legata al primo punto è stata fin dal primo momento ogget-to di discussione nel WG2 tanto da portare, come indicato in apertura al capitolo, a un trattamento specifico all’interno dell’allegato dedi-cato alle limitazioni della CFP. Gli esperti che hanno lavorato allo sviluppo del documento condividono pertanto la preoccupazione di fondo dell’India. D’altro canto, l’importanza di riuscire a mappare l’impronta climatica dei prodotti in circolazione nel mercato, per le ragioni elencate in precedenza, ha portato a optare per la scelta di lavorare allo sviluppo di un approccio più attento e trasparente finaliz-zato a costruire un messaggio non fuorviante sulla CFP, piuttosto che intraprendere la scorciatoia di rigettare l’intero progetto senza così riuscire a dare alcuna risposta al mercato.Anche il secondo punto tocca un tema affrontato nell’allegato sulle limitazioni della CFP, anche se presentato in modo non molto preciso dall’India. Non è, infatti, corretto affermare che la LCA sia una me-todologia non affidabile dal punto di vista scientifico. Occorre tene-re separati il concetto di affidabilità scientifica della metodologia da quello riguardante il livello di precisione dei risultati. Come anticipato in apertura del capitolo, è difficile mettere in discussione la solidità della metodologia proprio per le basi scientifiche che la caratterizzano e i continui affinamenti frutto dei lavori dei più importanti centri di ricerca e università del mondo.È corretto, invece, sostenere che il livello di precisione dei risultati non può essere garantito dall’applicazione della metodologia stessa,

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ma è fortemente influenzato dalle condizioni di contorno e dalla pro-fessionalità di chi conduce gli studi.Ne consegue che optare per assunzioni diverse possa portare a conclu-sioni in taluni casi anche significativamente diversi negli studi. Ciò è però generalmente legato alla disponibilità dei dati o alla necessità di attuare delle modellizzazioni particolari in alcuni processi e non alla solidità della metodologia in senso stretto.Non può quindi essere messa in discussione la credibilità scientifica dello strumento, ma piuttosto richiamata la necessità di aumentare la disponibilità complessiva dei dati e di armonizzare maggiormente lo sviluppo degli studi, soprattutto quando si opera su tipologie di pro-dotti simili. Tra l’altro, proprio per dare risposta a questa esigenza l’ISO/TS 14067 richiede che siano predisposte delle CFP-PCR (CFP-Product Category Rules), proprio con il fine di armonizzare tecnica-mente gli approcci allo sviluppo di studi CFP per prodotti simili.Le considerazioni di fondo delle criticità espresse dall’India hanno comunque stimolato il dibattito sull’argomento all’interno del WG2 e portato alla stesura nella ISO/TS 14067 del più volte citato allegato sulle limitazioni della CFP.Il terzo ambito di criticità è relativo alla compatibilità con le politiche dell’UNFCCC e riflette in pieno quanto la posizione della delegazione tecnica indiana sia fortemente intrecciata con quella politica, incarica-ta di seguire il negoziato internazionale sui cambiamenti climatici. È fuori discussione la valenza del principio delle “responsabilità comu-ni ma differenziate” che rappresenta uno dei pilastri dell’UNFCCC. Semplificando al massimo il concetto, con l’evidente rischio di bana-lizzarlo, si può affermare che il mondo intero sia chiamato a collabo-rare per contrastare il cambiamento climatico, con la consapevolezza condivisa che i paesi sviluppati abbiano sul problema una responsa-bilità storica decisamente maggiore di quelli in via di sviluppo. La conseguenza del principio è che in ambito internazionale non è a oggi previsto che siano imposti limiti di emissione di GHG a paesi che sono ancora in fase di sviluppo, non hanno la capacità economica e tecnologica per introdurre nuove tecnologie e stanno pagando i danni

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di un clima che è già cambiato a causa delle molte centinaia di miliar-di di tonnellate di GHG emesse in atmosfera da altri paesi. Pur condividendo tale principio, che resta uno dei principali pilastri del negoziato politico, sfugge la logica per cui è stato deciso di inse-rirlo come una delle principali motivazioni della lettera di opposizione indiana all’ISO/TS 14067.La CFP è il frutto di un contesto tecnico che non può e non vuole imporre in alcun modo ai paesi di intraprendere obblighi di riduzione delle proprie emissioni. Questo ambito è di competenza della politica, che tra l’altro fino a oggi ha dimostrato ben poca capacità di produrre risultati all’altezza della gravità del problema.La CFP è invece uno strumento di mercato che ha la grande ambizione di contribuire allo sviluppo di un’economia a basso contenuto di car-bonio, grazie alla creazione di un patto tra la parte dell’industria e dei consumatori più attenta a questi temi.Il quarto punto critico sollevato dall’India è legato alla preoccupazio-ne che hanno i paesi in via di sviluppo di non essere sufficientemente in grado di promuovere e applicare questo strumento a livello delle rispettive nazioni. Si tratta di una preoccupazione legittima che offre indubbiamente un vantaggio competitivo alle aziende occidentali che per prime decideranno di sviluppare la CFP per i propri prodotti. I paesi in via di sviluppo devono, infatti, affrontare una serie di ritardi che richiederanno tempo, investimenti e visione politica per essere sanati. In molti di questi paesi bisognerà costruire a livello locale le competenze tecniche per lo sviluppo degli studi, per riuscire a man-tenere la realizzazione dei progetti a costi accettabili e non essere co-stretti a ricorrere alle professionalità più costose provenienti dai paesi industrializzati. Vi è poi necessità di costruire l’infrastruttura naziona-le necessaria a gestire in modo efficace il funzionamento dell’intero meccanismo, a partire dalla costruzione di banche dati affidabili senza le quali ogni studio si trasforma in un’impervia corsa a ostacoli, o la realizzazione di schemi di comunicazione della CFP che possano poi trovare corrispondenza e credibilità all’estero.In realtà esistono da anni progetti finalizzati a incrementare la capacità

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dei paesi in via di sviluppo di stimolare la diffusione della CFP per i prodotti locali.Chi scrive ha avuto la fortuna di partecipare a quello promosso dalla Svezia attraverso l’ente di normazione nazionale (SIS) e l’Agenzia di cooperazione a favore dei paesi in via di sviluppo (SIDA). Dopo una prima fase di costruzione delle competenze nei paesi del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale e orientale attraverso percorsi for-mativi, il progetto è ora passato alla fase d’implementazione, anche se le turbolenze politiche di tali aree hanno riportato a una rimodula-zione degli obiettivi e delle tempistiche inizialmente preventivate. In compenso ciò ha portato a estendere la cooperazione anche ai paesi dell’Asia.Si tratta di iniziative importanti per incrementare la diffusione di tali strumenti a livello mondiale, anche se è indubbio che il divario infra-strutturale da colmare resti molto grande e i paesi industrializzati avran-no nei prossimi anni la possibilità di sfruttare a proprio vantaggio tale differenza di capacità a livello di sistema nella realizzazione di CFP.Il vero problema per molti paesi in via di sviluppo è però legato al differenziale tecnologico esistente rispetto ai paesi industrializzati.È pur vero che in alcuni casi l’ampio utilizzo di manodopera nella produzione di beni rispetto ai paesi occidentali in settori non vincolati dalla disponibilità di tecnologie avanzate, come potrebbe essere per il settore agricolo, potrebbe portare a una CFP più bassa per i prodotti provenienti dai paesi più poveri. Nella maggior parte dei casi però la combinazione tra una maggiore efficienza degli impianti dei paesi sviluppati e un mix energetico caratterizzato da minori emissioni di CO

2 per unità di energia prodotta crea delle prospettive di bassi valori

di CFP per i paesi ricchi, difficilmente raggiungibili da quelli in via di sviluppo.Tra tutte le argomentazioni utilizzate dall’India per smontare lo svi-luppo della ISO 14067 questa è l’unica difficilmente confutabile, dato che è supportata da motivazioni indiscutibili dal punto di vista tecnico e comprensibili in termini di possibili ricadute nazionali. Ciò è ulte-riormente aggravato anche dalla lontananza geografica di questi paesi

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dai principali mercati occidentali, che spesso comporta un ulteriore aggravio di emissioni di GHG per la necessità di affrontare dei tra-sporti intercontinentali. Non a caso questo aspetto ha trovato sempre grande attenzione nei paesi in via di sviluppo e si basa su esempi con-creti che hanno già fatto storia in materia di GHG, come quello dei fiori del Kenya (capitolo 5).Valgono ovviamente anche in questo caso le precedenti argomentazio-ni sulla indifferibile necessità di introdurre strumenti a livello interna-zionale per promuovere lo sviluppo di un’economia a basso contenuto di carbonio, anche se ciò dovesse arrivare a favorire le produzioni lo-cali a discapito della globalizzazione dei mercati.Sarebbe però ipocrita non riconoscere che scendendo a livello nazio-nale ciò potrebbe essere utilizzato come elemento di maggiore com-petitività per le aziende del mondo occidentale rispetto a quelle dei paesi poveri.L’ultimo elemento critico sollevato dall’India va però oltre le preoccu-pazioni in merito a come possa variare la competitività di un prodotto in funzione delle possibili dinamiche di domanda e offerta che regola-no il rapporto tra consumatore e produttore.Il paese asiatico ha più volte manifestato la paura che alcuni paesi possano introdurre la CFP per legge come requisito di ingresso nei ri-spettivi mercati nazionali, creando un’evidente distorsione di mercato. Si tratta di un’ipotesi alquanto improbabile che condurrebbe probabil-mente a un ricorso al WTO, ancora prima della promulgazione di un tale provvedimento legislativo.È vero che in passato alcuni paesi, come la Francia, avevano ipotizzato di introdurre una tassazione aggiuntiva per i beni provenienti dai paesi sviluppati non aderenti al Protocollo di Kyoto, in quanto le aziende di questi ultimi non sono tenute a sobbarcarsi costi di riduzione delle emissioni di CO

2 con un effettivo rischio di distorsione del mercato.

Bisogna però riconoscere che tali minacce sono in genere rimaste stru-menti di pressione politica e mai hanno trovato concreta realizzazione.Anche in questo caso la commistione tra aspetti tecnici e politici at-tuata dai colleghi indiani ha portato a sfuocare un po’ i termini del

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problema. La scelta politica di volere introdurre questo tipo di barriera ala circolazione dei beni non ha alcun collegamento con la tipologia di documento sviluppata a livello ISO. Uno stato, se realmente lo de-sidera, ha molti percorsi per raggiungere quel risultato. In linea di principio, potrebbe prendere una linea guida ISO e trasformarla in documento prescrittivo e sviluppare un provvedimento di legge a par-tire da alcuni aspetti contenuti in un documento ISO. Non ha pertanto alcun bisogno di avere un documento ISO prescrittivo per perseguire le proprie finalità. Si tenga poi presente che a livello di mercato sono comunque disponibili altri riferimenti normativi, quali la PAS 2050, che potrebbero essere tranquillamente utilizzati al medesimo scopo.La risposta alle richieste di cui l’India si è fatta portatrice è arrivata introducendo la precisazione al punto 4 della norma “Applicazione”: la ISO/TS 14067 non intende creare delle barriere al commercio o contraddire i requisiti del WTO. Nello stesso punto viene in realtà precisato come ciò sia in genere valido per tutti gli standard ISO, quasi a ricordare che tali principi sono normalmente alla base dello sviluppo delle norme ISO. La loro introduzione nella ISO/TS 14067 assume quindi una valenza più formale che sostanziale, sottolineando impli-citamente che ciò ha avuto luogo per dare seguito alle richieste mani-festate con forza dal paese asiatico, tra gli altri, nell’incontro di Oslo del 2011 (capitolo 9).

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3. COMUNICAZIONE: LA FORZA DEL PUNTO DEBOLE

3.1 per Scrivere Le norme Serve La partecipaZione

La comunicazione della CFP ricopre un ruolo fondamentale per assi-curare una crescente applicazione della ISO/TS 14067. L’argomento merita una trattazione specifica anche perché era la sezione della nor-ma più acerba al momento della pubblicazione del libro e quella che da allora ha quindi subito le modifiche più significative.Per meglio comprendere il significato di alcune novità introdotte nel testo della ISO/TS 14067 e il ruolo svolto in tal senso dalla delegazio-ne italiana è utile una breve premessa sull’importanza di partecipare ai gruppi di lavoro UNI e ISO.Purtroppo, nel nostro paese non sembra esserci la stessa attenzione per lo sviluppo della normativa volontaria che si riscontra in altre nazioni europee quali Germania, Gran Bretagna e Francia.A volte si ha addirittura la sensazione che questi processi decisionali siano percepiti come qualcosa che passi inevitabilmente sopra le teste delle persone, quasi che i giochi siano già fatti in partenza e le prescri-zioni decise a tavolino da chi sa quale entità sconosciuta. Così non è.Lo sviluppo di una norma tecnica è il risultato di un delicato equilibrio tra competenza, capacità negoziale e dedizione all’argomento delle singole delegazioni nazionali. Cambiare in modo significativo il con-tenuto delle norme in fase di sviluppo è possibile e la ISO/TS 14067 è la dimostrazione di quanta influenza abbiano avuto sulla versione finale i commenti e le posizioni portate avanti dall’Italia.Si prenda per esempio la gestione dello stoccaggio del carbonio nei prodotti presente nella prima versione della PAS 2050 (capitolo 6), che Carbontrust avrebbe voluto vedere riflessa anche nella ISO 14067. L’Italia è stata in questo caso uno dei paesi più attivi per impedire l’adozione di una prescrizione che, sebbene fosse già stata applicata in vari paesi grazie alla diffusione internazionale della PAS 2050, non

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convinceva tecnicamente buona parte del WG2 (capitolo 9). Sempre dall’Italia sono state proposte le versioni iniziali della figure 1 e 3, poi affinate con il contributo di tutto il WG2, che rappresentano un’indi-spensabile bussola per comprendere il disegno complessivo della nor-ma e la parte di comunicazione in particolare. Vedremo di seguito che anche lo scioglimento di uno dei principali nodi sulla comunicazione, la gestione delle autodichiarazioni, ha trovato soluzione grazie a una radicale proposta italiana.Questi esempi non vogliono cercare di attribuire alcun ruolo di prota-gonismo alla nostra delegazione all’interno del WG2, ma solo dimo-strare che le possibilità di incidere in modo significativo sulla qualità di una norma, a vantaggio evidente dei futuri utilizzatori, sono con-crete e reali.Purtroppo ciò avviene ancora molto grazie all’intraprendenza di sin-goli che si muovono per iniziativa personale, e il sistema paese non sembra avere maturato la necessaria consapevolezza in merito.La partecipazione ai gruppi di lavoro dell’UNI dei rappresentanti dei ministeri, delle associazioni industriali di categoria, dei consumatori e di quelle ambientaliste è ancora bassa, rispetto al tessuto sociale che rap-presentano. Quando si sale al livello ISO la delegazione italiana scom-pare, rispetto a quella della maggior parte dei paesi industrializzati. Nei Plenary meeting a cui ho avuto il privilegio di partecipare, l’Italia è stata rappresentata al massimo da 2-3 persone, sicuramente in numero mino-re rispetto alle delegazioni di paesi con una struttura produttiva storica-mente meno consolidata della nostra, come il Messico o l’Argentina.Non è però solo una questione di numeri. Una piccola curiosità può far meglio comprendere il livello di attenzione che hanno in molti paesi questi incontri. Nel Plenary meeting ISO/TC 207 del 2009 al Cairo la corposa delegazione cinese si è presentata con un proprio traduttore arabo-cinese.Lavorare allo sviluppo di una norma richiede una grande attività da svolgere in via preventiva, che rappresenta però un investimento senza dubbio fruttuoso rispetto al maggior lavoro che queste organizzazioni, o i soggetti che rappresentano, potrebbero trovarsi ad affrontare suc-

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cessivamente se la norma pubblicata non dovesse essere all’altezza della situazione.Un esempio su tutti. È in fase di revisione la norma ISO 14001, rela-tiva ai sistemi di gestione ambientale (SGA). L’Italia è il quarto paese al mondo e il secondo in Ue per numero di certificati emessi.In questi mesi sono in discussione temi cruciali per le circa 18.000 aziende che quotidianamente operano con un SGA, quali la possibile estensione del SGA all’intera filiera produttiva o la maggiore o minore apertura alle logiche della LCA.Sorprende pertanto notare l’assenza ai tavoli ISO di rappresentanti italiani degli enti di certificazione che su questa attività giocano una buona fetta del loro business, con un fatturato complessivo sicuramen-te superiore ai 100 milioni di euro l’anno e dei rappresentanti delle associazioni di categoria che dovrebbero avere particolarmente a cuo-re le conseguenze per i propri associati delle nuove prescrizioni che potrebbero essere introdotte nella prossima versione della ISO 14001.Chi sceglie di non partecipare attivamente alla revisione dello stan-dard dovrebbe essere consapevole che difficilmente potrà poi arro-garsi il diritto di lamentarsi per quanto di nuovo potrà essere richiesto nella revisione futura dello standard sui SGA.

3.2 perché un punto deBoLe

Nel capitolo precedente si è dato ampio spazio alla volontà di alcuni paesi in via di sviluppo, India in primis, di ostacolare lo sviluppo della ISO 14067. L’obiettivo principale era di impedire la pubblicazione di una sezione prescrittiva relativa alla comunicazione.Anche alcune associazioni di consumatori tedeschi, pur partendo da motivazioni diverse, hanno cercato in precedenza di raggiungere un simile risultato. In questo caso si sosteneva che il consumatore non è in grado di costruirsi un proprio giudizio critico sulla CFP a causa della difficoltà di attuare un’azione comparativa e del livello d’incer-tezza che caratterizza i risultati. Curioso che il Giappone manifestasse invece una posizione diametralmente opposta, sostenendo che i con-

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sumatori nipponici non solo sapevano interpretare senza difficoltà i ri-sultati della CFP, ma chiedevano addirittura a gran voce che i prodotti riportassero sulla confezione il valore di CFP che li contraddistingue.Germania e Giappone sono però sempre state d’accordo sulla neces-sità che quando la comunicazione della CFP è rivolta al pubblico è fondamentale che la quantificazione della CFP si basi sull’intero ciclo di vita del prodotto, dalla culla alla tomba.Nel caso della relazione tra aziende le esigenze di comunicazione sono invece diverse. Qui è più funzionale avere i dati espressi in termini di CFP parziale, dalla culla al cancello del produttore del semilavorato, così il cliente a valle riesce a utilizzare tali informazioni per comporre più facilmente la CFP completa dei propri prodotti.Anzi, in questo caso, più che il valore complessivo della CFP al clien-te può essere spesso utile avere la sua scomposizione nei valori che lo compongono, in modo da poter avere un insieme di informazioni in stato elementare che possono poi essere meglio aggregate in funzione delle diverse necessità specifiche.Questi pochi esempi evidenziano chiaramente quanto le posizioni in merito all’importanza e ai contenuti della comunicazione siano molto diverse sia a livello di paesi sia di relazione economica tra i soggetti.Ci si trova quindi nella difficile situazione per cui per soddisfare chi ha posizioni nettamente contrarie alla comunicazione sarebbe più utile avere un sistema di regole molto rigido e codificato, mentre per dare spazio alle diverse esigenze servirebbe un quadro altamente flessibile, in grado di consentire a ognuno di trovare la soluzione che meglio soddisfi le proprie esigenze.Ciò lascia appena intravedere quanto la comunicazione CFP abbia po-tuto rappresentare un punto debole nel processo di sviluppo della ISO/TS 14067 a causa della sua insita criticità, capace spesso di catalizzare le maggiori tensioni tra le delegazioni presenti. La soluzione finale è stata quella di costruire uno scheletro molto strutturato di garanzie per la comunicazione accessibile al pubblico, ma che prevedesse un am-pio ventaglio di opzioni al fine di poter soddisfare le diverse esigenze degli operatori del mercato.

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Si tenga infine presente che quando si comunica la CFP di un prodotto è fondamentale avere la solida consapevolezza delle limitazioni ripor-tate nell’allegato B della ISO/TS 14067, più volte citato in precedenza.Ricordare per l’ennesima volta tali limitazioni rischia di essere pe-dante, ma vuole in realtà sottolineare quanto sia importante tenere in adeguata considerazione questi aspetti per una corretta applicazione della CFP. Non a caso l’allegato B ha carattere normativo e non infor-mativo, e precisa che le conseguenze di tali limitazioni debbono essere riflesse nella comunicazione della CFP.

3.3 La comunicaZione deLLa cfp è eSSenZiaLe

Nonostante le limitazioni della CFP e le criticità aggiuntive legate alla comunicazione potrebbe sembrare poco ragionevole l’ostinazione con cui il WG2 ha voluto mantenere una sezione di natura prescrittiva de-dicata alla comunicazione CFP.La spiegazione in realtà è molto semplice e si basa sulla consapevolez-za che senza comunicazione la CFP non ha alcun futuro.La forza delle “impronte” è quella di rappresentare in modo molto semplice un determinato impatto ambientale, attraverso un indicatore immediato e comprensibile facilmente da tutti.Ciò è apparso evidente con l’introduzione da parte di Wackernagel e Rees dell’impronta ecologica, un dato espresso come superficie e in grado di riassumere in modo estremamente efficace quanto un sogget-to grava sul pianeta.A ben guardare, non è poi così centrale sapere se un paese ha bisogno di uno spazio pari a sei, sette o otto volte quello che occupa realmente. Il messaggio fondamentale che arriva immediatamente a ognuno di noi è che lo stile di vita di quel paese è abbondantemente al di sopra delle possibilità ambientali che il proprio spazio geografico gli può offrire.In modo simile, la possibilità di esprimere l’impatto sul cambiamento climatico che un prodotto esercita lungo l’intero di ciclo di vita in ter-mini di kg di CO

2 è una modalità che ha un’efficacia altrettanto forte.

Quarant’anni di esperienza di LCA non sono riusciti ad arrivare in

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modo altrettanto diretto alle persone comuni, proprio perché l’insieme degli indicatori che la caratterizzano sono troppo articolati per creare il necessario livello di empatia con i consumatori.Eliminare la possibilità di comunicare la CFP equivarrebbe a togliere quell’efficace elemento di congiunzione tra produttore e consumatore che è proprio alla base della scelta di intraprendere un percorso di sviluppo della CFP per i diversi prodotti.Perché possa innestarsi un processo virtuoso di riduzione delle emis-sioni di GHG in questo ambito è essenziale che i produttori possano esercitare la possibilità di comunicare i valori di CFP dei propri pro-dotti e i consumatori il proprio diritto di conoscere quanta CO

2 è col-

legata a ciò che si apprestano ad acquistare.Tale comunicazione deve però essere strettamente centrata sulle ef-fettive emissioni di GHG che caratterizzano il ciclo di vita di un pro-dotto. I valori complessivi di CFP non possono beneficiare di alcuna riduzione basata sugli interventi esterni che l’azienda potrebbe avere intrapreso proprio con il fine di compensare le emissioni legate al pro-dotto. Tutte le attività di offset, o compensazione delle emissioni, sono di fatto completamente escluse dal campo di applicazione della ISO/TS 14067. I valori di riduzione delle emissioni legate a progetti esterni ai confini di sistema del prodotto non possono pertanto essere portati in detrazione ai valori complessivi della CFP di un prodotto.

3.4 Le novità deLLa iSo/tS 14067

Il libro è stato chiuso in redazione dopo l’incontro di giugno 2011 a Oslo e la successiva pubblicazione del CD3.Le successive bozze DIS e DIS2 hanno continuato a introdurre una serie di modifiche, finalizzate al sempre maggiore affinamento del te-sto che si è poi consolidato nella versione finale della ISO/TS 14067. Cercare di ricostruire tutte le singole modifiche che si sono succedute nel tempo dal CD3 in poi sarebbe un lavoro di notevole complessità e di ben scarsa utilità. Ora che è stata pubblicata la versione finale della ISO/TS 14067 non ha senso affannarsi nell’analisi di come si siano

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evoluti nel tempo i singoli dettagli di una prescrizione rispetto alla versione prodotta dopo l’incontro di Oslo, così come è stata descritta nel libro.Ha più senso dedicarsi alla lettura completa del documento nella sua versione finale, ponendo particolare attenzione all’analisi delle pre-scrizioni riportate nella specifica tecnica che l’utilizzatore dovrà ap-plicare in modo puntuale.L’obiettivo di questo breve lavoro di completamento di un volume già pubblicato sull’argomento è descrivere come sono mutati nel frattem-po gli aspetti più critici discussi in precedenza, quelli che avevano lasciato il lettore in sospeso con il dubbio rispetto alle possibili solu-zioni che potevano essere adottate o quelli che sono significativamen-te cambiati rispetto alla versione analizzata a suo tempo.Con questa chiave di lettura possiamo prendere atto che le modifiche sostanziali introdotte non sono molto numerose. La quantificazione in particolare e il rapporto di CFP non hanno subito stravolgimenti particolari nel testo e nell’approccio.Com’era prevedibile le evoluzioni più interessanti si sono avute nella comunicazione e nella parte relativa alla sua preparazione, visto che il cambio di direzione rispetto all’obbligatorietà della verifica di parte terza si era avuto proprio a Oslo.Nell’incontro norvegese, infatti, il Segretariato centrale dell’ISO ave-va confermato l’impossibilità di richiedere in modo vincolante la cer-tificazione di terza parte indipendente quale meccanismo minimo per intraprendere la comunicazione al pubblico della CFP, in quanto ciò era contrario alle regole dell’ISO.Nel CD3 si usava il termine di comunicazione “disponibile” al pub-blico, che rappresentava già un’evoluzione terminologica rispetto a quella classica usata in precedenza nel CD2 di comunicazione dall’a-zienda al consumatore (B2C) le cui ragioni sono state ampiamente illustrate nel libro (capitolo 10). Anzi, in quell’occasione si riteneva che quella sarebbe stata una delle poche decisioni inamovibili in ma-teria di comunicazione. In realtà si è avuta un’ulteriore piccola, ma fondamentale, evoluzione terminologica. Da “disponibile” si è passati

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a “intesa a essere disponibile” al pubblico. La modifica precisa che ciò che rende “pubblica” una comunicazione della CFP è la volontà di indirizzarla a quel target specifico di comunicazione e non il fatto che possa casualmente finire nelle mani di un pubblico generico. Le specifiche tecniche di un semilavorato sviluppate per i propri clienti, indipendentemente dal fatto che giungano o meno nelle mani di un pubblico generico, non sono sicuramente indirizzate a quest’ultimo e non possono pertanto essere assoggettate alle regole di verifica delle CFP “intese di essere disponibili al pubblico”.Il CD3 introduceva per la prima volta il doppio percorso riservato alla comunicazione che, per brevità, indichiamo di seguito come pubblica.Alla verifica di parte terza era affiancata la possibilità di intraprendere un percorso alternativo che accompagnava ogni diversa tipologia di comunicazione esterna con un corposo e dettagliato rapporto di co-municazione CFP. Tale logica è rimasta invariata nella versione finale della ISO/TS 14067, ma il rapporto di comunicazione CFP ha ora pre-so il nome di Disclosure Report.Anche sulla verifica di parte terza è arrivata la tanto attesa soluzione sulle norme da prendere a riferimento per la sua esecuzione, visto che i diversi filoni di competenza che componevano il WG2 promuovevano differentemente l’adozione di ISO 14025, ISO 14064-3, ISO 14044 o di una loro apposita combinazione (capitolo 10). Nella versione finale è prevalsa una soluzione mista che prevede la verifica in accordo alla ISO 14025 della comunicazione, la quale deve però essere basata su una quantificazione che abbia subito una critical review in accordo alla ISO 14044.La bozza di norma realizzata a seguito dell’incontro di Oslo aveva ipotizzato l’utilizzo di cinque opzioni di comunicazioni verso l’ester-no, utilizzabili tanto per la comunicazione pubblica che per quella non indirizzata al pubblico, riportata nella tabella 3.1.Qui le opzioni di comunicazione sono mutate significativamente. È stata eliminata la possibilità di utilizzare il label, riconducibile per similitudine alle etichette di primo tipo, alla comunicazione non pub-blica. Ciò perché queste etichette, quali l’Angelo Blu tedesco o l’Eco-

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label europeo, nascono proprio quali strumenti di comunicazione per il pubblico e non ha senso che possano essere create per una comuni-cazione che non le vede coinvolto.Altra modifica fondamentale è stata l’eliminazione del claim, basa-to sulla logica delle dichiarazioni autodichiarate in accordo alla ISO 14021. Questo strumento di comunicazione è stato per molti incontri al centro della discussione del sottogruppo del WG2 dedicato alla co-municazione. La difficoltà nasceva dal fatto che era difficile cerca-re di imbrigliare in un sistema di regole fisse uno strumento che per definizione era nato con la logica di lasciare libertà di azione a chi attua un’autodichiarazione. Nel dibattito degli ultimi anni alcuni paesi ritenevano non potesse essere cambiata la logica di libertà d’azione che era alla base di questo strumento di comunicazione, mentre altri chiedevano l’introduzione di elementi di maggiore garanzia visto che la comunicazione era rivolta al pubblico. Nelle varie versioni della norma il testo su questo argomento ha così subito delle modifiche che l’hanno sbilanciato alternativamente verso uno o l’altro approccio, senza mai riuscire a soddisfare completamente ciascuno dei due o a trovare un accettabile punto di compromesso. A complicare la cosa, la constatazione che la ISO/FDAM 14021 del 2012 introduceva a sua volta delle prescrizioni, anche se di carattere molto generale, sulle au-todichiarazioni in materia di CFP.In sostanza era impossibile pensare di poter avere un’autodichiara-zione in grado di dare le stesse garanzie in termini di comunicazione verso il pubblico delle altre etichette previste per la CFP.Al Plenary Meeting di Bangkok del 2012 la delegazione italiana ha così proposto di cassare completamente questa opzione dal campo di applicazione della 14067, trovando il pieno supporto dell’interno WG2. Il solido sistema di garanzia previsto dalla ISO/DIS2 14067 sa-rebbe stato così esteso a quattro tipologie di comunicazione, escluden-do però le autodichiarazioni. Chi vuole intraprendere questo tipo di percorso lo può fare seguendo, per la comunicazione, i dettami della ISO 14021, con la consapevolezza che il livello di garanzia fornito al mercato è minore. Per questo tipo di comunicazione non dovrà quindi

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essere citata la ISO/TS 14067, che resta pienamente applicabile alle altre quattro modalità di comunicazione codificate al suo interno.È evidente che la differenza di garanzia che può derivare dall’applica-zione di due norme che, seppur diverse, appartengono entrambe alla famiglia ISO, non sarà immediatamente percepibile dal mercato. Sarà quindi compito degli esperti del settore, con l’ausilio degli eventuali schemi di accreditamento, far comprendere a chi deciderà di svilup-pare una CFP il diverso valore in termini di credibilità legato all’ap-plicazione delle due norme. Al di là delle inevitabili difficoltà iniziali, il mondo delle imprese non avrà comunque difficoltà a cogliere tali differenze quando la CFP inizierà ad avere una maggiore diffusione nazionale e le attestazioni di terza parte indipendente avranno rag-giunto numeri significativi.Nella ISO/TS 14067 restano quindi quattro opzioni di comunicazioni applicabili, una delle quali, l’etichetta CFP, non si applica alla comu-nicazione non pubblica.Di seguito riportiamo una breve spiegazione delle quattro diverse ti-pologie, con l’intento di fornire un loro inquadramento di carattere generale. Non si tratta ovviamente di una descrizione dettagliata ed esaustiva per la quale è essenziale ricorrere alla puntuale lettura della specifica tecnica.Le quattro modalità di comunicazione sono:•etichetta CFP;•dichiarazione CFP;• rapporto di comunicazione esterna CFP;•performance tracking della CFP.(1)

L’etichetta CFP è simile alla classica etichetta ambientale di I tipo, ampiamente diffusa nel mercato e facilmente riconducibile al noto marchio Ecolabel. La differenza sostanziale è che l’etichetta ambien-tale di I tipo è estesa a più categorie di impatto, mentre la CFP per de-finizione considera una sola categoria di impatto ambientale. Un’eti-

(1) La traduzione ufficiale italiana del termine non è ancora disponibile.

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chetta di I tipo richiede la presenza di un operatore di programma che gestisca lo schema complessivo dell’etichetta. In sintesi dovrà definire i criteri da rispettare per il rilascio dell’etichetta e stabilire le regole per gestire la sua assegnazione. I criteri dovranno essere individuati obbligatoriamente seguendo le regole definite da una CFP-PCR.La CFP-PCR e l’operatore di programma sono obbligatori anche per la dichiarazione CFP. Lo strumento di comunicazione in questo caso è sovrapponibile alla Dichiarazione ambientale di III tipo (EPD), con la stessa differenza di cui sopra in termini di singola categoria di impat-to ambientale applicabile alla CFP. Vi è in realtà un’altra importante differenza tra dichiarazione CFP e l’EPD, che non riguarda però gli aspetti di comunicazione. Quest’ultima prevede obbligatoriamente la verifica di terza parte indipendente, in contrasto con le regole generali ISO ribadite dal Segretariato centrale ISO nell’incontro di Oslo (ca-pitolo 10). La cosa non è stata intercettata correttamente dall’ISO al momento dello sviluppo della ISO 14025 e oggi questa rimane un’a-nomalia rispetto al quadro generale.Il rapporto di comunicazione esterna CFP è pensato come uno stru-mento più flessibile di comunicazione, rivolto alle aziende che inten-dano fornire al pubblico, oltre al valore di CFP, altre informazioni importanti rispetto alle caratteristiche dello studio CFP che hanno realizzato. Si tratta di uno strumento meno rigido dei precedenti in termine di contenuti che, pur indirizzabile al pubblico, è pensato per garantire un completo trasferimento di informazioni anche nel rap-porto tra aziende. Per questo motivo, in questo caso la presenza di un operatore di programma non è obbligatoria. Discorso diverso vale per la CFP-PCR, anch’essa opzionale. In questo caso il termine opzionale deve però essere inteso come la possibilità di realizzare un rappor-to di comunicazione esterna CFP in sua assenza, qualora per quella determinata categoria di prodotto non sia ancora disponibile. Se la CFP-PCR esiste, l’utilizzo del documento torna però a essere comple-tamente obbligatorio, come per le etichette e le dichiarazioni.L’operatore di programma e la CFP-PCR sono opzionali negli stessi termini anche per la performance tracking della CFP. In questo caso

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il contenuto della comunicazione è finalizzato a dimostrare il miglio-ramento che il prodotto è riuscito a conseguire nel tempo. Si tratta quindi di fare il confronto di due CFP a distanza di tempo, svolte ov-viamente con la stessa metodologia, e di dare evidenza della differen-za dei risultati raggiunti.

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4. PROSPETTIVE FUTURE

4.1 La verSione itaLiana SuBito diSponiBiLe

Il processo di recepimento da parte dell’UNI di una norma ISO richie-de l’istituzione di un’inchiesta pubblica di due settimane a livello na-zionale. Ciò deve essere però preceduto da una valutazione informale sull’interesse per il mercato nazionale di quello specifico documento. I tempi possono poi dilatarsi qualora il documento ISO non sia rite-nuto prioritario rispetto ad altre pubblicazioni dell’ISO, o si preferi-sca aspettare il recepimento a livello europeo per meglio comprendere quale può essere l’interesse anche degli altri paesi Ue.La necessità di intraprendere la traduzione in lingua italiana segue poi un percorso autorizzativo e operativo parallelo, perché di fatto uno standard ISO può essere recepito come norma UNI anche direttamen-te nella versione inglese.Ciò è di fatto quello che si è verificato nel caso della ISO/TS 14067. Il documento è stato pubblicato dall’ISO nella sua versione ufficiale il 15 maggio del 2013 e, prima della fine del mese di agosto, era già stato recepito come UNI ISO/TS 14067, pur nella versione inglese, per rispondere al grande interesse che il mercato stava dimostrando per il documento.Il 16 luglio si è tenuta in UNI una presentazione del documento con la partecipazione del Mattm e di Accredia.Nonostante la data cadesse in pieno periodo feriale per molte persone, il gran numero di adesioni ha costretto a optare per una sala più grande e i posti disponibili su prenotazione sono andati comunque esauriti in pochi giorni.Lo stesso successo hanno avuto sia i corsi UNI sull’argomento, con la previsione di dover organizzare delle sessioni di formazioni straordi-narie, sia gli altri incontri di presentazione della UNI ISO/TS 14067 organizzati sul territorio nazionale con la collaborazione di UNI.Nel frattempo ha preso avvio anche la delicata fase di traduzione del documento, sulla quale è necessario porre la massima attenzione all’u-

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so dei termini da utilizzare, al fine di non incorrere nel rischio di una versione italiana che arrivi a modifichi l’essenza di una prescrizione di quella originale.È prevedibile che prima della fine dell’anno sarà in circolazione an-che la versione italiana della UNI ISO/TS 14067, che facilmente contribuirà a un’ancora maggiore diffusione della CFP a livello na-zionale.

4.2 La SituaZione itaLiana

A distanza di due anni dalla pubblicazione del libro, è interessante osservare come l’interesse per la CFP sia notevolmente cresciuto nel mercato italiano. Diverse realtà hanno intrapreso dei propri percorsi autonomi, in assenza del tanto atteso riferimento finale ISO, per quan-tificare e comunicare la CFP dei propri prodotti (capitolo 5).Le attività del Ministero per l’ambiente (Mattm) sono state fondamen-tali per promuovere la conoscenza e lo sviluppo della CFP nelle azien-de. Il primo bando di finanziamento del 2011, del valore di 1.600.000 euro, ha interessato 22 aziende. Ne è seguito uno nel 2013, pari ini-zialmente a 2.000.000 di euro(1) ed esteso poi a 4.800.000 euro(2) che ne ha coinvolte altre 95. I bandi di finanziamento sono stati affiancati da numerosi accordi di programma che il Mattm ha siglato con un numero altrettanto grande di aziende di riferimento. Gli accordi hanno stimolato tanto lo sviluppo degli inventari di GHG a livello di organiz-zazione, quanto la CFP di specifici prodotti.Nel corso del suo breve mandato l’ex ministro Corrado Clini non ha fatto mistero di considerare questo tema come una delle principali priorità del proprio mandato. In realtà già in precedenza, in veste di Direttore generale del Mattm, aveva ritenuto cruciale la promozione della CFP in Italia, intravedendo l’opportunità di promuovere il patto

(1) Presentazione Mattm – La decarbonizzazione dell’economia.

(2) Presentazione Mattm – Programma italiano per la valutazione dell’impronta ambientale.

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tra produttori e consumatori nel percorso di riduzione delle emissioni di GHG, più volte citato. Non a caso all’interno del Mattm è stato creato nel 2010 un Gruppo di lavoro per la valutazione dell’impronta ecologica e di carbonio, guidato da Martina Hauser. Con il Dm del 6 giugno 2012, viene avviato il Programma per la valutazione dell’im-pronta ambientale dei sistemi e dei modelli di produzione e consu-mo.(3) Hauser ricopre anche il ruolo di coordinatrice della Task Force Central and Eastern Europe (TFCEE).(4) In questo modo probabil-mente si creano delle sinergie che rendono disponibili professionalità di esperti serbi per la realizzazione di CFP all’interno dei citati Accor-di di programma.Gli importanti finanziamenti resi disponibili per il completamento di diverse decine di progetti pilota hanno sicuramente contribuito a favo-rire l’incredibile aumento di attenzione che si è avuto in poco tempo su questo tema a livello nazionale.Rispetto ai progetti avviati in passato, non sembrano invece ancora disponibili nel sito del Mattm i risultati del progetto Agrifootprint (ca-pitolo 5). A questo punto la macchina per assicurare un’ampia diffusione di mercato della CFP in Italia è stata messa in moto, ed è pronta a gene-rare la necessaria spinta propulsiva.È però adesso fondamentale assicurare un ordinato sviluppo di questa fase iniziale, identificando quali sono gli elementi cruciali da prendere in considerazione.Innanzitutto sarebbe fondamentale chiedere che i progetti non ancora avviati, o in fase non troppo avanzata di sviluppo, vengano realizzati in accordo alla UNI ISO/TS 14067, in modo di mettere un punto fer-mo sul documento normativo da seguire a livello nazionale.È comprensibile come fino a oggi i continui ritardi nel processo di sviluppo della ISO 14067 abbiano impedito di identificare un unico

(3) Ianna R., Programma italiano per la valutazione dell’impronta ambientale.

(4) http://www.taskforcecee.com.

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set di regole per la quantificazione e comunicazione della CFP. Ai ritardi temporali nello sviluppo della norma ISO si sommavano poi gli elementi di incertezza nei contenuti. Un lettore ignaro delle diffi-coltà incontrate nella stesura della ISO 14067, descritte in preceden-za, avrà trovato grosse difficoltà a capire l’evoluzione del testo. Le continue modifiche che si sommavano nelle diverse bozze di norma spostavano continuamente la barra del timone, e rendevano pratica-mente impossibile immaginare la forma che avrebbe assunto la ver-sione finale del documento. È evidente che in un panorama simile era impossibile che il riferimento ISO potesse ambire a diventare fonte unica prescrittiva per i progetti in fase di sviluppo. Ora però la versione finale è stata pubblicata, anche se come TS e non IS come ipotizzato precedenza, e ciò ha spazzato via ogni dubbio ri-spetto alle possibili scelte da adottare.L’utilizzo di un riferimento ISO offre da una parte la solidità di un documento sviluppato all’interno di un’arena, che include il lavoro di molte decine di mirror group(5) nazionali, di altissima competenza tecnica e rappresentatività delle parti interessate e, dall’altra, la con-sapevolezza che tale riferimento ha un riconoscimento indiscusso a livello internazionale, aspetto di cruciale importanza per le aziende che intendono commercializzare i propri prodotti al di fuori dei con-fini nazionali.È però la comunicazione della CFP l’elemento che è cruciale met-tere a fuoco con maggiore urgenza, perché può creare situazioni poi difficilmente recuperabili. L’esperienza maturata nei progetti finan-ziati fino a questo momento ha dimostrato che sul fronte della quan-tificazione l’impiego di professionisti con solide esperienze sulla LCA è stato elemento di garanzia dei risultati degli studi di CFP. Quando poi si è passati alla comunicazione le certezze sono svanite rapidamente.Il Mattm ha cercato di gestire il processo attraverso la pubblicazione

(5) Gruppi di lavoro degli enti di normazione nazionale che si interfacciano con il rispettivo gruppo di lavoro a livello ISO.

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di una linea guida per la comunicazione(6) e del relativo allegato tec-nico(7).La cosa in assoluto più importante del documento è la richiesta che non vengano intraprese attività di comunicazione verso l’esterno, se prima i risultati della CFP non sono sottoposti a certificazione di parte terza. L’intento di introdurre dei rigidi paletti per evitare un’eccessiva entropia nel sistema è completamente condivisibile e rappresenta un primo passo importante per mettere ordine in tutto il critico settore della comunicazione CFP. La formulazione dell’indicazione, che non può essere considerata prescrittiva dal momento che è contenuta in una linea guida, non riesce però a rispecchiare appieno l’intento iniziale. Dire che la divulgazione dei risultati è consentita solo a seguito della “certificazione/validazione dei risultati da parte di un ente terzo indi-pendente abilitato”, lascia spazio ad ampi margini di interpretazione.L’utilizzo del termine validazione non è riferibile ad alcuna metodolo-gia di certificazione o verifica di parte terza in ambito CFP. “Abilitato”, invece, non indica alcuna specifica modalità codificata di riconoscimen-to dell’attività di terza parte indipendente. Si lasciano in questo modo dei margini di interpretazione della richiesta contenuta nella linea guida del Mattm, anche se è evidente che il possibile effetto distorsivo è mini-mizzato dal fatto che i progetti rientrano in un ambito finanziato.Il punto critico centrale è invece legato ai contenuti e alle modalità di comunicazione della CFP. Le campagne realizzate fino a questo mo-mento da chi ha sviluppato una di queste CFP sono state condotte in assenza di un chiaro e completo sistema di regole su questo aspetto. Ciò non è solo dovuto al lungo percorso di sviluppo della ISO 14067, ma anche perché i riferimenti esistenti, quali PAS 2050 e quello del WRI/WBCSD, si erano guardati bene da esprimere dei requisiti nel terreno minato della comunicazione.

(6) Mattm, Linea guida per la comunicazione relativa al programma nazionale per la valutazione dell’impronta ambientale.

(7) Mattm, Allegato alle linee guida per la divulgazione dei risultati dei progetti per la valutazione dell’impronta ambientale.

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È inevitabile che in questo contesto si possa essere arrivati alla diffu-sione di messaggi spesso incompleti in termini di descrizione delle ca-ratteristiche dello studio CFP, a partire dai relativi confini di sistema.In altri casi sono stati addirittura proposti i risultati degli inventari di GHG come se fossero dei dati di CFP, creando una distorsione nella comunicazione difficile da risolvere anche per un target di operatori tecnici e quindi impossibile per un pubblico non specializzato.Non era del resto pensabile che la pubblicazione di un singolo do-cumento d’indirizzo da parte del Mattm avrebbe potuto risolvere un tema così intricato, capace di tenere in scacco per diversi anni l’intero WG2 a livello ISO, in mancanza di un insieme completo di riferimenti normativi.La prima cosa da fare adesso sarebbe però di chiedere, anche su que-sto fronte, a tutti i progetti in fase di sviluppo all’interno del bando del Mattm, di conformarsi alla UNI ISO/TS 14067. Ciò garantirebbe la possibilità di avere immediatamente a disposizione un quadro di riferimento ben codificato per tutti gli operatori, in grado di introdurre degli importanti elementi di ordine anche sulle modalità di comunica-zione, rispetto alla situazione attuale non regolamentata. Sarà poi importante capire quanto si sta muovendo a livello Ue e inter-nazionale per costruire un quadro delle direttrici che stanno seguendo i paesi con maggiore esperienza sul tema.Infine, bisognerà iniziare il lavoro più complesso per valutare se optare per lo sviluppo di uno schema nazionale che promuova una sola delle modalità di comunicazione CFP previste dalla UNI ISO/TS 14067 o se si vorrà favorire uno schema più flessibile e differenziato.Quanto sopra ha importanza centrale perché legato all’ipotesi di crea-zione di uno schema nazionale, che dovrebbe avere la forza di guidare il mercato nazionale in merito.Su un punto fondamentale è però indispensabile una riflessione. I ban-di del Mattm prevedono la compensazione delle emissioni di GHG legate al prodotto, mentre l’offset è addirittura al di fuori del campo di applicazione della UNI ISO/TS 14067, per una serie di motivazioni che sono state ampiamente descritte nel libro (capitolo 7).

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La conseguenza è che il dato di CFP da comunicare in accordo alla UNI ISO/TS 14067 è quello che realmente caratterizza il ciclo di vita di un determinato prodotto e non quello al netto delle attività di compensazioni delle emissioni, che non possono quindi essere utilizzate in detrazione al valore calcolato secondo al TS. Per con-formarsi alla UNI ISO/TS 14067 sarebbe quindi necessario che il Mattm decidesse, almeno in termini di comunicazione, di accettare questo importante aspetto di fondo. Oltre alle attività promosse dal Mattm esistono anche molte esperien-ze indipendenti in materia di CFP, così come degli schemi specifici di natura privatistica, sviluppati su base volontaria, quale il “Per il clima” di Legambiente.La sforzo di sviluppare tali schemi è sicuramente encomiabile e in passato ha contribuito al processo di diffusione della CFP in Italia, ricordato in apertura del capitolo.Anche a questi schemi è però chiesto ora un’evoluzione, a seguito della pubblicazione della UNI ISO/TS 14067. La scelta di aderire ai requisiti della norma, senza aspettare la creazione di uno schema nazionale, garantirebbe il riconoscimento di un salto di qualità dello schema a livello di mercato e fornirebbe agli aderenti anche la pos-sibilità di poter spendere i risultati del proprio lavoro al di fuori dei confini nazionali.

4.3 anche L’accreditamento è aLLe porte

Gli ultimi anni sono stati sfruttati anche dagli enti di certificazione per incrementare la propria esperienza nella verifica delle CFP, che nel frattempo erano state sviluppate dalle aziende seguendo i più vari riferimenti normativi e modalità di comunicazioni.Il panorama frammentato e non consolidato disponibile per gli opera-tori ha spinto spesso all’utilizzo della PAS 2050, mentre in altri casi sono state preferite la norma del WRI/WBCSD, le diverse bozza ISO 14067 se non addirittura l’applicazione diretta della ISO 14044.Ciò per quanto riguarda la parte di quantificazione delle emissioni di

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GHG, perché sul fronte della comunicazione ha regnato l’anarchia più completa.Dopo la pubblicazione della UNI ISO/TS 14067 diversi enti di certi-ficazione hanno optato per impostare le proprie attività di verifica in accordo al nuovo standard internazionale, anche se la situazione molto articolata su questo fronte non ha facilitato la creazione di un approc-cio omogeneo tra i vari enti al momento operanti nel mercato italiano.L’esigenza di creare un sistema di regole condivise a livello nazionale è così giunta dal mercato ad Accredia, l’ente di accreditamento italia-no. Il know how maturato in precedenza sullo sviluppo dello schema di accreditamento per la UNI EN ISO 14064-1 da una parte e sulla LCA e l’EPD dall’altra hanno garantito le basi di esperienza e com-petenza per lo sviluppo dello schema di accreditamento per la CFP.L’assoluta priorità di completare le attività di accreditamento per l’ETS, sistema cogente a livello Ue che non consente alcun tipo di deroga, ha costretto a rallentare momentaneamente le attività dello sviluppo dello schema di accreditamento CFP, che sarà senza dubbio operativo entro il primo semestre del 2014.Se lo schema di accreditamento sarà in quel momento affiancato da un consolidato sistema di regole a livello nazionale sulla comunicazione CFP, sarà prevedibile assistere a un notevole incremento del livello di diffusione della CFP in Italia.

4.4 daLL’itaLia un SondaGGio internaZionaLe

L’ultimo incontro del WG2 di Vienna ha vissuto diversi momenti in cui l’atmosfera si era caricata di elettricità a causa della tensione ge-nerata dalla gran voglia di completare il processo di sviluppo dello standard che si scontrava con l’evidenza che il percorso normativo classico non era ormai più percorribile a causa del forte blocco di alcuni paesi.Da parte di alcuni delegati è emerso in certi momenti una sorta di sentimento di rivalsa per l’atteggiamento nettamente ostruzionista di alcuni paesi. Si è addirittura ventilata l’ipotesi di chiudere il processo

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attuale con la pubblicazione della UNI ISO/TS 14067, aprendo però in maniera quasi contestuale un nuovo percorso per consentire in tempi molto rapidi il passaggio di livello a IS, che attraverso questo mecca-nismo procedurale porta all’applicabilità di diverse soglie di approva-zione della votazione.Nonostante buona parte del WG2 fosse, in termini di principio, d’ac-cordo su questo passaggio, si è deciso di soprassedere. Il mercato dif-ficilmente avrebbe capito le ragioni che avevano portato a propendere per la pubblicazione di un ISO/TS invece che un’IS, facendo però seguire immediatamente la pubblicazione del TS dall’apertura di un nuovo progetto in grado di portare all’IS. A questo punto si è ritenuto più ragionevole dare tempo all’ISO/TS di essere applicato ampiamente a livello internazionale per poi sfruttare l’esperienza maturata nel mercato e poter valutare con maggiore con-sapevolezza che tipo di percorso futuro intraprendere. Al fine di avere una prima fotografia rappresentativa della diffusione della CFP, l’ISO/TC 207 ha deciso di realizzare una survey a livello internazionale. Chi scrive è stato incaricato di condurre il sondaggio e di presentare i risultati dello stesso in occasione del prossimo ISO/TC 207 Plenary Meeting di Panama nel maggio del 2014.È presumibile che quanto emergerà dall’indagine fungerà da riferi-mento di partenza per ogni decisione futura sulla possibile evoluzione della UNI ISO/TS 14067. Come già ricordato in precedenza, il TS è considerato una sorta di “pre-norma”, ed entro tre anni dalla sua pub-blicazione è necessario che intraprenda una delle tre seguenti opzioni. Può essere confermato per un altro triennio come TS, essere ritira-to dal mercato o elevato allo status di standard vero e proprio. Vista l’imprevedibilità del percorso che ha caratterizzato lo sviluppo della UNI ISO/TS 14067, sarebbe auspicabile non lanciarsi al momento in alcuna previsione.Il passaggio di livello a IS sembra però essere, sulla base dell’espe-rienza maturata in questi anni all’interno del WG2 e delle impressioni raccolte in modo informale tra i vari delegati, quello che potrà più fa-cilmente rappresentare nel prossimo triennio l’evoluzione della ISO/

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TS 14067. In tal caso ci daremo appuntamento per raccontare quali prescrizioni verranno introdotte nel futuro standard, facendo tesoro dell’esperienza maturata nel frattempo a livello di mercato.

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gLOSSARIO

B2B (Business to Business): acronimo utilizzato a livello interna-zionale per indicare le relazioni che hanno luogo tra diverse aziende, normalmente in ottica “fornitore-cliente”, lungo la medesima filiera produttiva.

B2C (Business to Consumer): acronimo utilizzato a livello interna-zionale per indicare le relazioni che hanno luogo tra un’azienda che produce un determinato prodotto finito e i propri consumatori finali.

BIS (Bureau of Indian Standards): ente di normazione nazionale in-diano.

CD (Committee Draft): stadio intermedio di sviluppo di uno standard ISO che si colloca tra il WD e il DIS. Da questa fase le bozze di standard sono commentate e valutate in modo ufficiale dagli enti di normazione nazionali e non più dai singoli esperti.

CFP (Carbon Footprint of Product): impronta climatica di un prodot-to. Metodologia basata sulla LCA con cui è calcolata l’emissione di GHG in tutto il ciclo di vita di un prodotto, “dalla culla alla tomba”.

CFP-PCR (Carbon Footprint of Product – Product Category Requi-rements): sono i requisiti specifici per categoria di prodotto richiesti dalla ISO 14067 per la CFP. Prendono spunto dalle PCR realizzate per l’EPD in accordo alla ISO 14025.

CO2e: CO

2 equivalente. Unità di misura utilizzata per esprimere il va-

lore di emissione dei vari GHG in termini della corrispondente quan-tità di CO

2.

DIS (Draft International Standard): stadio intermedio di sviluppo di uno standard ISO che si colloca tra il CD e il FDIS. A questo livello i

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contenuti del documento sono in genere già consolidati e le modifiche tecniche che possono essere apportate sono in genere limitate.

EPD (Environmental Product Declaration): dichiarazione ambienta-le di prodotto realizzata in accordo alla ISO 14025. Sebbene questo acronimo dovrebbero fare riferimento a tutti gli schemi esistenti a li-vello mondiale, viene generalmente utilizzato per fare riferimento allo schema internazionale sviluppato in Svezia.

FDIS (Final Draft International Standard): stadio finale di sviluppo di uno standard ISO che segue il DIS. In questa fase le modifiche sono per lo più di tipo formale e solo in misura minore di valenza tecnica. Al FDIS segue la pubblicazione ufficiale dello standard.

GHG (Greenhouse gas): sigla con cui sono identificati a livello inter-nazionale i gas serra. Questi comprendono, oltre alla CO

2, il metano

(CH4), il protossido di azoto (N

2O) e una serie di prodotti di sintesi

organo-alogenati.

IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change): è la principa-le organizzazione internazionale per la valutazione del cambiamen-to climatico. È stato reato su volontà di UNEP e WMO per fornire al mondo una chiara visione scientifica dello stato della conoscenza sul cambiamento climatico e sui suoi potenziali impatti ambientali e socio-economici.

IS (International Standard): stadio finale con cui viene pubblicata una norma dall’ISO, dopo aver passato le fase di bozza WD, CD, DIS, FDIS.

ISO (International Organization for Standardization): ente di norma-zione internazionale, formato dalla rete degli enti di normazione na-zionali di 162 paesi. Il Segretariato generale che coordina il sistema ha sede a Ginevra.

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ISO/TC 207: Comitato tecnico dell’ISO deputato allo sviluppo della normativa di gestione ambientale.

ISO/TC 207/SC7: sottocomitato dell’ISO/TC 207 dedicato allo svi-luppo della normativa sui GHG.

ISO/TC 207/SC7/WG2: gruppo di lavoro ISO dedicato allo sviluppo dello standard ISO 14067 sulla Carbon Footprint di prodotto (CFP)

LCA: (Life Cycle Assessment): analisi del ciclo di vita di un prodotto. Metodologia alla base della CFP e basata su quanto richiesto dalla ISO 14040 e ISO 14044.

MATTM: Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

PCR (Product Category Requirements): specifici requisiti di categoria di prodotto previsti dalla ISO 14025 per le Dichiarazioni ambientali di III tipo. La ISO 14067 prevede la creazione di simili requisiti per la CFP, denominati CFP-PCR.

SGA: sistema di gestione ambientale. Parte del sistema complessivo di gestione aziendale deputato al controllo e al miglioramento degli aspetti ambientali. Esistono due diversi riferimenti, uno internazionale (ISO 14001:2004) e un Regolamento europeo (EMAS III).

TFCEE (Task Force Central and Eastern Europe): task force istitu-ita nel 2004 per sviluppare e coordinare le attività di cooperazione internazionale in campo ambientale tra l’Italia e i paesi dell’Europa centro-orientale.

TS (Technical Specification): specifica tecnica che può contenere rife-rimenti prescrittivi. Rappresenta una sorta di pre-standard con validità di tre anni, entro i quali deve essere riconfermata come tale, elevata a IS o ritirata.

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UNFCCC (United Nation Framework Convention for Climate Chan-ge): convenzione dell’Onu sul cambiamento climatico. Rappresenta il più importante e rappresentativo ambito di negoziazione internaziona-le sull’argomento.

WBCSD (World Business Council for Sustainable Development): as-sociazione mondiale di circa 200 aziende che si occupa esclusivamen-te della relazione tra business e sviluppo sostenibile.

WD (Working Draft): stadio iniziale di sviluppo di uno standard ISO che precede il CD. In questa fase i commenti sono espressi dagli esperti che fanno parte del WG interessato, senza alcuna rappresen-tanza dell’ente di normazione nazionale da cui provengono.

WRI (World Resources Institute): contenitore di idee ambientali a li-vello mondiale che vuole andare oltre la ricerca per cercare di metterle in opera. Lavora con le parti interessate per costruire le soluzioni alle sfide ambientali più urgenti.

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Con la pubblicazione a maggio 2013 della UNI ISO/TS 14067 è finalmente disponibile un riferimento unico a livello mondiale per la Carbon Footprint di prodotto (CFP). Una forte tensione internazionale ha però portato alla pubblicazione del riferimento normativo come Specifica Tecnica, invece che come vero e proprio Standard internazionale.Quali ragioni hanno portato a privilegiare questa scelta dopo cinque anni di lavoro? Ciò comporta qualche implicazione per i produttori e i consumatori?Come cambiano a questo punto le opportunità di mercato per chi è intenzionato a sviluppare una CFP?Quali scenari sono prospettabili per il prossimo futuro a livello nazionale e internazionale?Il testo si propone di fare chiarezza su questi punti, riprendendo il filo lasciato in sospeso con la pubblicazione di Carbon Footprint (2011), quando i lavori per la UNI ISO/TS 14067 lasciavano solo intravedere i possibili percorsi di sviluppo dell’atteso standard internazionale.

Daniele Pernigotti svolge attività di consulenza e formazione ambientale con il proprio studio Aequilibria. È coordinatore del Gruppo di lavoro dell’UNI (GL15) sui gas a effetto serra (GHG) e delegato italiano in ISO/TC207 per lo sviluppo della normativa di gestione ambientale di tipo volontario. In questo ambito ha lavorato allo sviluppo della UNI ISO/TS 14067, dove è stato facilitatore del gruppo sulla comunicazione disponibile al pubblico, ed è attualmente impegnato nella revisione della ISO 14001. Fornisce supporto tecnico ad Accredia in materia di GHG in campo volontario e cogente. In particolare, rappresenta Accredia nei tavoli di lavoro europei dell’EA (European Cooperation for Accreditation) e della Commissione Ue in materia di Emission Trading.È giornalista freelance in modo specifico sul cambiamento climatico ed ha collaborato con numerosi quotidiani (La Stampa, il Sole 24 Ore, l’Unità, Corriere della Sera, il manifesto).

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ISBN 978-88-6627-119-2