la Capitanata - Biblioteca Provinciale di Foggia La Magna ... · molteplici esigenze, non si è...

418
la Capitanata Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia Anno VIII (1970) N. 1-2 (genn.-apr.) Iniziative industriali nel Sud Irresponsabile disseminazione Per la verità non siamo mai rimasti molto tranquilli di fronte a quanti in questi ultimi tempi, rimandavano la soluzione di tutti i nostri problemi alla programmazione; i non pochi avvenimenti, remoti e recenti, ci hanno purtroppo dato piena ragione! Quello che fino ad oggi si è ottenuto per la nostra provincia e non è poco, pur se assolutamente insufficiente per fronteggiare le nostre molteplici esigenze, non si è ottenuto né in esecuzione di un piano coordinato o di una scelta tecnica e tanto meno nell'ambito di un responsabile discorso sulle prospettive economiche e sociali. Una procedura del genere, con insediamenti disseminati un po' dovunque, ha fatto diventare così elastico il piano regolatore dell'area industriale della nostra provincia, che oggi come oggi non si è in grado di indicare con certezza né la superficie né i confini né gli agglomerati! Da questa situazione, tante volte denunciata agli organi competenti che non ancora hanno espresso il giudizio finale sul piano, sono nate serie difficoltà per le indicazioni ubicazionali a richieste di insediamenti e notevoli perplessità negli operatori economici i quali conoscono molto bene che cosa significhi, agli effetti dei finanziamenti e delle infrastrutture, essere dentro o fuori dell'agglomerato. E mentre siamo in attesa della soluzione finale che dovrà anche coordinare e definire una serie di progettazioni infra- 1

Transcript of la Capitanata - Biblioteca Provinciale di Foggia La Magna ... · molteplici esigenze, non si è...

la Capitanata Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia

Anno VIII (1970) N. 1-2 (genn.-apr.)

Iniziative industriali nel Sud Irresponsabile disseminazione

Per la verità non siamo mai rimasti molto tranquilli di fronte a quanti

in questi ultimi tempi, rimandavano la soluzione di tutti i nostri problemi alla programmazione; i non pochi avvenimenti, remoti e recenti, ci hanno purtroppo dato piena ragione!

Quello che fino ad oggi si è ottenuto per la nostra provincia e non è poco, pur se assolutamente insufficiente per fronteggiare le nostre molteplici esigenze, non si è ottenuto né in esecuzione di un piano coordinato o di una scelta tecnica e tanto meno nell'ambito di un responsabile discorso sulle prospettive economiche e sociali.

Una procedura del genere, con insediamenti disseminati un po' dovunque, ha fatto diventare così elastico il piano regolatore dell'area industriale della nostra provincia, che oggi come oggi non si è in grado di indicare con certezza né la superficie né i confini né gli agglomerati!

Da questa situazione, tante volte denunciata agli organi competenti che non ancora hanno espresso il giudizio finale sul piano, sono nate serie difficoltà per le indicazioni ubicazionali a richieste di insediamenti e notevoli perplessità negli operatori economici i quali conoscono molto bene che cosa significhi, agli effetti dei finanziamenti e delle infrastrutture, essere dentro o fuori dell'agglomerato.

E mentre siamo in attesa della soluzione finale che dovrà anche coordinare e definire una serie di progettazioni infra-

1

strutturali di rilevante impegno, non possiamo non renderci conto e denunziare a chi di competenza, la sfrenata corsa concorrenziale di alcuni centri che, alla barba della programmazione e dei richiami ministeriali, non hanno alcuna preoccupazione di indebitarsi fino alla cima dei capelli, offrendo gratuitamente terreni e servizi, pur di avere un qualsiasi insediamento industriale.

Tutto ciò rompe le maglie del coordinamento e riproduce il fenomeno dannoso di una irresponsabile disseminazione alla quale la legge per la programmazione doveva mettere decisamente fine.

A rendere più problematica la situazione generale e la nostra in particolare, è arrivata in questi giorni la notizia degli insediamenti della « Fiat », le cui scelte ubicazionali sono state fatte con la benedizione dei ministri competenti e con tanti pareri di conformità! E dire che ad ognuno di essi ed a tutti i responsabili governativi, a cominciare da quelli di casa, da tempo erano stati illustrati e con documentazione i nostri problemi ed erano stati notificati, perché ne tenessero conto nella contrattazione, gli impegni con noi assunti dalla Fiat ed in tempi non sospetti.

La contrattazione vi è stata ed in più riprese, e nonostante gli allarmi lanciati dalla dirigenza politica locale, a nessuno dei responsabili nazionali è venuto in mente il nostro problema che oltre tutto è anche problema di giustizia distributiva!

Sia chiaro che nulla abbiamo da rimproverare ai centri di noi più fortunati in questa occasione, ma molto abbiamo da rimproverare a noi stessi, ai nostri sistemi, alla nostra eccessiva credulità ed al mancato sforzo comune.

Sono anche da rimproverare tutti quei dirigenti nazionali che dall'alto del loro posto di responsabilità, non riescono a guardare al di là del proprio campanile e che il più delle volte fanno maturare decisioni di grande importanza in chiave esclusivamente clientelare!

Le scelte Fiat rappresentano una eloquente riprova dei nostri timori! Naturalmente questo ultimo episodio non è fatto, da passare alla cronaca come sterile polemica paesana, né da confinare nella stanza delle rassegnazioni! E' una dura

2

lezione che investe le responsabilità di tutti e che deve mettere in moto tutte le volontà della provincia, non tanto per la ripresa del dialogo con la Fiat, quanto per impedire il ripetersi di procedure del genere ed evitare quindi di farci mettere ancora una volta di fronte ai fatti compiuti.

C'è ancora un problema di rilievo che ci interessa e che attende una soluzione: l'industria aeronautica nel Sud. Non vogliamo essere pessimisti né vogliamo scoraggiare gli entusiasti, però non ci sembra che gli orientamenti affiorati fino a questo momento circa l'ubicazione degli stabilimenti siano a favore delle nostre più che legittime attese.

Né dobbiamo illuderci che problemi del genere si risolvano con gli ordini del giorno, che una volta arrivati a Roma si perdono tra altre migliaia di richieste che provengono da ogni zona d'Italia e soprattutto dal Mezzogiorno. E non dobbiamo neppure farci incantare dalle belle parole di qualche Ministro! E' troppo alta la posta in giuoco per non preoccuparci in tempo di schierare in campo tutte le nostre forze senza gelosie di partito o di corrente.

Problemi di vitale importanza, capaci di trasformare la economia di tutta una provincia e che indubbiamente riverberano interessi formidabili non si possono affidare per la soluzione ad un solo uomo o ad un solo schieramento.

E' necessario ed urgente mobilitare le responsabilità di tutti ed a tutti i livelli e siano i benvenuti quanti, disposti a darci una mano, si schierano con noi in questa dura, difficile, ma giusta battaglia. Abbattere gli steccati di stupidi egoismi o di incoscienti discriminazioni è in questo momento un dovere per tutti purché nulla si lasci di intentato per documentare le nostre buone ragioni e soprattutto la bontà delle nostre tesi, ampiamente confortate da eloquenti precedenti e dai pareri di tecnici di elevato valore.

Partiti, sindacati, associazioni, cittadini devono rendersi conto di queste nostre esigenze e muoversi; soprattutto si deve rimettere in moto la Democrazia Cristiana che ha il grande merito di aver portato ieri le nostre popolazioni sulla strada del primo progresso sociale e civile, e che ha oggi la grande responsabilità di coordinare gli sforzi di tutti, per dare più forza e dignità alla richiesta che, legittimamente, nel rispetto

3

di tutte le esigenze tecniche, vuol creare anche per noi quello indispensabile equilibrio umano altrove già raggiunto e da tempo, nella concordia e nella legalità.

GUSTAVO DE MEO

Per le province: fare presto e bene

Il paese attraversa un periodo di grande incertezza in materia di funzioni e di autonomia degli enti locali.

L'attuazione dell'ordinamento regionale - ma soprattutto la fissazione del biennio « bianco » per il passaggio delle funzioni, previste all'art. 117 della Costituzione, dallo Stato alle Regioni in attuazione dell'art. 17 della legge finanziaria - hanno determinato un vuoto psicologico di potere fra Ministeri, Regioni ed enti locali, tutti in attesa di un generale riordinamento dell'assetto istituzionale.

Ciò avviene mentre la crisi di partecipazione dei cittadini alla attività pubblica in genere diviene ogni giorno più acuta al punto da mettere in pericolo lo stesso sviluppo delle istituzioni democratiche.

Le agitazioni degli studenti, lo stato di effervescenza nelle fabbriche e negli uffici, il malessere ed il senso di frustrazione della gente dei campi sono tutti sintomi di questo progressivo e preoccupante scollamento fra paese ufficiale e paese reale, fra classe dirigente politica e popolazioni, fra le istituzioni democratiche rappresentative ed i cittadini rappresentati.

Una risposta valida e sollecita, una medicina adeguata ed efficace per questo « male oscuro » della nostra collettività nazionale, può essere costituita, a mio parere, solo dallo sviluppo e dalla rivalutazione delle funzioni degli enti locali, che, essendo alla base della piramide istituzionale, si trovano a più immediato contatto con le popolazioni. Sviluppo e rivalutazione che dovranno essere avviati senza dannose contrapposizioni o, peggio, conflitti di competenza; ma assegnando, ad ogni livello istituzionale, precise funzioni nel quadro di un generale e ordinato decentramento.

La presente incertezza è riferita, soprattutto, alla Provincia non tanto in ordine alla sopravvivenza di questo istituto, quanto alle sue funzioni.

5

Anche i fautori più convinti della necessità di mantenerla, si rendono conto che l'ente non può sopravvivere con gli attuali compiti limitati. Bisogna, perciò, individuare le sue nuove competenze.

Recentemente si è svolta a Milano la XXIV Assemblea Ordinaria delle Province d'Italia che aveva, appunto, come tema: Posizione, prospettive ed impegni della Provincia italiana nel nuovo assetto istituzionale.

Nel corso dei lavori vi sono state molte proposte, appassionati interventi; ma l'Assemblea si è praticamente conclusa con una decisione di rinvio ad una successiva apposita riunione straordinaria, da indire a breve scadenza, dopo aver ulteriormente approfondito il tema, per pervenire alla formulazione di proposte concrete in ordine alla ristrutturazione dell'Ente ed ai nuovi compiti che gli dovranno essere affidati.

Frattanto sono in corso di approvazione gli statuti regionali. Lo schema di statuto regionale pugliese, come altri statuti, prevede,

all'art. 14, la delega, in via normale, alle Province ed agli enti locali delle funzioni amministrative regionali.

E' evidente che la delega non potrà instaurare, fra la Regione e gli altri enti, un rapporto di subordinazione, ma una forma di collaborazione rispettosa delle autonomie di tutti gli enti.

Le Province non possono limitarsi, d'altra parte, all'espletamento dei compiti delegati, ma devono, a mio parere, rivendicare nuovi compiti propri per trasformarsi da enti di competenza speciale, come sono attualmente, in enti di competenza generale, come sono, ad esempio, i Comuni.

Per raggiungere questo obiettivo non bastano gli statuti regionali, ma bisogna affrettare l'approvazione, da parte del Parlamento, di una nuova, attuale e moderna legge comunale e provinciale.

L'autonomia vera degli enti locali non potrà essere ottenuta senza una riforma organica e coraggiosamente innovatrice in due settori di base per l'attività degli enti: il settore tributario e la materia dei controlli.

Per i tributi è in corso di presentazione al Parlamento

6

una proposta di legge di iniziativa governativa, assai poco rispettosa delle autonomie locali. Le organizzazioni degli enti locali (ANCI - UPI) hanno già assunto una posizione critica rispetto al disegno di legge; ma la vera battaglia dovrà essere condotta, contemporaneamente, nel Parlamento, nei consessi elettivi locali e nel Paese.

La materia dei controlli è regolata, in via programmatica, dalla costituzione e, in via precettiva, dalla legge 10 febbraio 1953, n. 62, tacciata da più parti di incostituzionalità, oltreché dagli Statuti regionali in corso di approvazione.

In pratica, gli enti locali si aspettano innovazioni sostanziali nei controlli e non un semplice passaggio del ruolo di controllore dallo Stato alla Regione.

Il sistema di controllo, previsto dall'art. 139 della Costituzione, è ben diverso da quello attuale. Prima di tutto è a carattere generale solo sotto il profilo della legittimità; in secondo luogo il controllo di merito è circoscritto solo ai casi determinati dalla legge; in terzo luogo detto controllo di merito va esercitato nella forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione. Talché è, persino, improprio usare il termine di controllo, mentre si tratta, in sostanza, di una forma di collaborazione fra enti che operano in piena autonomia, al di fuori di un rapporto di gerarchia o di subordinazione.

Gli enti locali hanno, perciò, interesse che si addivenga, al più presto, all'attuazione concreta del dettato costituzionale in materia di controlli.

Nuove funzioni della provincia, riassetto generale degli enti locali, nuova legge comunale e provinciale, decentramento effettivo; riforma tributaria e riforma della finanza locale con accentuazione dell'autonomia; nuovo sistema di controlli.

Questi i tempi di cui si misurerà, a mio avviso, la capacità della classe dirigente politica, ad ogni livello, di interpretare ed incanalare, nell'alveo delle istituzioni democratiche, le spinte ed i fermenti nuovi del Paese.

Bisogna uscire dallo stato di incertezza: presto e bene.

BERARDINO TIZZANI

7

L'ipotesi di sviluppo dell'economia dauna e l'assetto territoriale della regione pugliese*

I - Le principali indicazioni interpretative ed operative dell'ipotesi di sviluppo del-l'A.S.I. di Foggia.

1. Prima di cercare di cogliere le modalità di innestare quest'ipotesi di

sviluppo dell'economia dauna nel più vasto contesto regionale, è necessario fissarne in pochi tratti i contenuti operativi sia di carattere infrastrutturale che settoriale. E' opportuno ricordare che prevedere il futuro è sempre un compito molto arduo; le variabili sono moltissime e di diversa natura, tanto che sorge spesso la suggestione di concludere, secondo la nota saggezza evangelica, nolite solliciti esse in crastinum, per occuparsi solo del futuro che diviene continuamen-te presente. La storia ha spesso la capacità di inventare soluzioni del tutto im-prevedibili.

La sua radicale imprevedibiltà non esclude, però, possibilità di una predi-lezione empirica. Anche se non si può stabilire, nei dettagli, la mèta finale verso la quale si muove il sistema economico, è possibile determinare in quale dire-zione si muove. Si possono pronosticare i punti attraverso i quali dovrà proba-bilmente passare, in base alle decisioni già prese o che si stanno per prendere.

In fondo anche la scelta di un tracciato stradale comporta una previsio-ne, sia su base intuitiva che analitica, del futuro sviluppo di molte componenti del sistema economico. S'impone, perciò, la ricerca di una forma di equilibrio, indubbiamente difficile, tra la pretesa di prefigurare nei dettagli più minuti lo svolgimento degli accadimenti futuri e la generica previsione della dinamica delle principali grandezze aggregate del sistema economico.

(*) E' questo, con lievi modifiche, il capitolo conclusivo dell'Ipotesi di sviluppo eco-

nomico del Piano regolatore territoriale dell'Area di sviluppo industriale di Foggia.

9

Per altro verso, s'impone l'esigenza di contemperare l'ansia di elimi-nare in breve tempo le varie espressioni di squilibri che offendono l'acuta coscienza contemporanea, attraverso la presentazione di programmi molto ambiziosi nella speranza di mobilitare le energie della classe dirigente e le tensioni dei vari gruppi sociali, e la considerazione, attenta e quasi punti-gliosa, di tutte le difficoltà, tecniche, economiche, finanziarie e sociali, che si frappongono all'avvio di un deciso processo di sviluppo.

L'elaborazione dell'ipotesi di sviluppo cessa di essere così una specie di rivendicazione, sostenuta da documentazioni statistiche, da citazioni au-torevoli e da espressioni cariche di carattere emotivo, per divenire invece un ampio ragionamento, i cui momenti principali sono la descrizione e l'in-terpretazione della realtà socio-economica, la previsione della sua dinamica e l'indicazione dei vari tipi di intervento attraverso i quali agevolare il con-seguimento degli obiettivi di sviluppo.

Questo iter logico vale anche per la dimensione spaziale dell'ipotesi di sviluppo, nel senso che occorre individuare in quali punti, lungo quali dire-zioni e con quali raggi di influenza topografica ed economica sorgono, si prevede che sorgano o è bene che sorgano nuovi centri di attività. Lo spa-zio economico non è la superficie dell'area ma il campo compreso dai piani economici dei singoli operatori privati e dei vari enti intermedi fino allo Stato.

Si tratta perciò, di trovare la forma più conveniente di compatibilità tra questi diversi piani. Può sembrare una prospettiva un po' ardita, però sono molteplici i segni che la realtà si muove lungo la direzione del supera-mento dello spazio inteso nella sua accezione corrente.

Un'altra forma di rilevanza della dimensione spaziale sta nell'accetta-zione del nuovo principio basilare dell'organizzazione economica, secondo cui si cerca di ottenere l'equilibrio ed il pieno impiego delle risorse all'inter-no dei singoli ambiti regionali.

In verità, la derivazione diretta di questo principio comporterebbe una specie di contraddizione con lo strumento dei nuclei e delle aree di in-dustrializzazione, i quali inesorabilmente finiscono per creare nuove forme di squilibri all'interno delle stesse regioni di industrializzazione.

Le agitazioni svolte nei comuni, nei cui agri è stato rinvenuto il me-tano, sono una verifica della attualità anche per la provincia

10

di Foggia di questo nuovo principio, che esige appunto la realizzazione in loco di alcuni impianti industriali quasi come una specie di compensazione per la perdita della risorsa metanifera incanalata nella rete nazionale di metanodotti. In questo caso, il pagamento delle royalties dovrebbe avvenire attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro. E' bene tener presente questa prevalente specificazione occupazionale del nuovo principio di le-gittimità, in quanto essa orienta tutta l'elaborazione dell'ipotesi di svilup-po. Oggi, il problema maggiormente avvertito dalla coscienza civile delle aree in via di sviluppo è quello della massima occupazione, attraverso forme di attività che non comportino emigrazione.

Come è noto, l'attività fondamentale del Consorzio per lo sviluppo industriale consiste appunto nella diffusione dei metodi più avanzati di progresso tecnico nonchè nella ricognizione delle più convenienti forme di integrazione delle nuove attività con quelle esistenti, al fine di evitare o quanto meno ridurre le diseconomie derivanti da ritardi o da mancanza di complementarietà.

Oggi che va mutando la dislocazione delle fonti di energia, grazie alle forme di produzione termica e che va mutando la stessa geografia in-dustriale attraverso l'approvvigionamento via mare delle materie prime dell'industria siderurgica e petrolchimica, va acquistando una maggiore influenza l'opera di persuasione, integrata e sorretta dal complesso degli incentivi. Consorzi per lo sviluppo industriale e contrattazione program-mata si muovono in questo quadro di valutazioni.

2. L'esame della dinamica del reddito medio pro-capite fa accertare

un dinamismo della struttura economica della Capitanata relativamente maggiore e dell'intera area italiana e di quella settentrionale. Tale fenome-no, calcolato per il periodo 1951-67, si manifesta però solo nel tratto fina-le, cosicché si può ritenere di essere di fronte ad un'inversione della ten-denza. Purtroppo, questo più accelerato tasso di incremento del reddito della provincia di Foggia è imputabile ad un ritmo degli investimenti e delle varie forme di progresso tecnico d'intensità tale da non assicurare un aumento del reddito compatibilmente con l'incremento demografico, e, quindi, si registra una vera e propria stasi della popolazione. Si è compiu-to un passo avanti in termini di reddito, al prezzo di una quasi completa invarianza dell'ammontare totale della popolazione.

Inoltre, tali incrementi di reddito non sono stati uniformi su

11

tutto il territorio provinciale, donde i notevoli flussi migratori all'interno della stessa provincia. E quindi, i meccanismi di induzione si sono localiz-zati in ben determinate aree e punti, nei quali maggiori si sono manifestati i bisogni dell'espansione urbanistica.

Un dato di particolare interesse si può desumere dal confronto tra il tasso d'incremento della popolazione nel 1961-68 con quello del decennio 1951 - 61. E' stato sottolineato che anche il tasso marginale di incremento della popolazione è in aumento in corrispondenza dell'incremento del tas-so marginale del reddito totale e del reddito medio. Questa accelerazione del tasso d'incremento demografico va indubbiamente collegato ai noti fatti recessivi, verificatisi dopo il 1963, solo che si sono contemporanea-mente verificati ritmi di incremento del reddito che possono essere consi-derati quali segni dell'avvio di un meccanismo autopropulsivo o quanto meno di meccanismi di induzione che riescono ad agganciare risorse poco utilizzate a domande in espansione. E' un gruppo di segni che danno fon-damento al giudizio di essere di fronte ad un'economia decisamente avvia-ta sulla via dello sviluppo.

3. Dalla partecipazione dei singoli settori alla formazione del reddi-to provinciale, si ricava che le vicende del reddito agricolo del Tavoliere sono ancora soggette ad oscillazioni annue relativamente più marcate, da-ta la maggiore esposizione ai rischi di origine climatica. Ciò consente di intravedere ampi margini all'introduzione di nuove tecniche produttive nel settore agricolo, specie se si tiene presente che il tasso d'incremento del reddito agricolo della provincia di Foggia è risultato superiore a quello nazionale.

In conclusione, il settore agricolo non ha svolto affatto la funzione di remora o di ostacolo all'espansione globale dell'economia. O meglio, si può notare che il declino di lungo periodo dell'agricoltura dauna è stato meno accentuato di quello nazionale, per cui, anche grazie ai noti progetti irrigui in avanzata fase di realizzazione, questo settore non va affatto ri-dimensionato.

Per quanto attiene alla partecipazione del settore industriale alla formazione del reddito provinciale, si rileva che l'attività industriale in senso stretto dà segni di notevole dinamismo ed in più che si trova inseri-ta in un contesto regionale, che, per i noti recenti investimenti di base, è vieppiù dinamico. Infatti, a fronte dell'incremento del 52% del reddito industriale della provincia di Foggia (1963 - 67),

12

si ha un incremento del 40% per l'Italia e del 70% per la Puglia. Una dettagliata rassegna delle risorse minerarie consente di rilevare

che, specie con riferimento all'intera area meridionale, nella provincia di Foggia, si ha un'elevata concentrazione di tali risorse. Purtroppo a tale di-sponibilità non è corrisposta sinora la trasformazione industriale in loco, fa-cendo verificare così l'attuazione del vecchio principio di legittimità, secon-do cui le risorse materiali, in qualunque parte del territorio fossero ubicate, potevano essere utilizzate da chiunque possedesse tecnica e capacità im-prenditoriale per trasformarle nei luoghi e nei modi ritenuti più convenienti al giudizio privato.

Inoltre, al censimento del 1961, risultavano completamente scoperte le seguenti classi e sottoclassi: 1) industria del tabacco; 2) industria della seta; 3) industrie metallurgiche; 4) industrie per la costruzione di macchine e di apparecchi elettrici; 6) la meccanica di precisione; 7) industrie derivati da petrolio e carbone; 8) industrie per la produzione della cellulosa per tes-sili, delle fibre tessili artificiali e sintetiche; 9) industrie foto-fono-cinematografiche; 10) industrie delle bevande analcoliche; 11) industrie del-la lana; 12) industrie della canapa; lino e juta e simili; 13) industrie del ve-stiario e dell'abbigliamento; 14) industrie delle calzature; 15) industrie dei prodotti meccanici non altrove classificati.

Questo criterio dei settori « scoperti », viene integrato da quello dei settori « parzialmente scoperti » ancora più significativo, in quanto consente di individuare dei modi poco adeguati ed efficienti di soddisfare una do-manda presente in misura tale da sollecitare il sorgere di imprese artigianali.

In conclusione, l'economia dauna non ha ancora raggiunto un elevato stadio di sviluppo, e soprattutto nessuno dei settori considerati ha assunto un ruolo trainante rispetto agli altri ed all'intero sistema, pur essendo pre-senti in ciascun settore notevoli occasioni di investimenti e fermenti pro-pulsivi, capaci di assicurare un più deciso ritmo di espansione.

In tema di politica degli investimenti, l'analitica documentazione della convenienza di rivedere - a livello di area meridionale - l'attuale distribuzio-ne settoriale degli investimenti fissi, ha suggerito la proposta di correggere la persistente tendenza alla più marcata flessione degli investimenti agricoli. Questa proposta trova la sua più significativa validità proprio nell'economia dauna, in quanto riconosciuta area di concen-

13

trazione degli investimenti agricoli. In concreto, si tratta di esigere una più accelerata realizzazione dei numerosi e notevoli progetti irrigui.

E quindi il fatto che il settore agricolo non sia riuscito a svolgere, nemmeno nel Tavoliere, il ruolo di settore trainante, si spiega proprio in base alla predetta flessione degli investimenti pubblici in agricoltura. Sia-mo in presenza, perciò, di una prima occasione parzialmente perduta.

Così per il settore industriale in senso stretto, la presenza di cospi-cue risorse minerarie, dalla bauxite al metano, non è valsa ad assicurare a questo settore la funzione trainante, per cui l'incremento di reddito, pur superiore alla media nazionale, non ha raggiunto il valore della restante regione pugliese. Seconda occasione parzialmente perduta. L'effetto com-binato di queste due situazioni sta nel tasso relativamente inferiore dell'e-spansione dell'industria delle costruzioni.

4. L'ipotesi di sviluppo industriale contiene due serie di indicazioni

programmatiche: la prima attinente più agli aspetti strutturali del processo di industrializzazione che dovrà promuovere il Consorzio dell'A.S.I. di Foggia; la seconda, attinente prevalentemente alle scelte di ordine merceo-logico.

Per quanto attiene al primo aspetto si osserva che le recenti innova-zioni introdotte nell'apparato industriale dell'area meridionale hanno ac-centuato, anzichè attenuare, gli squilibri nei livelli di produttività del lavo-ro.

Si fa giustamente osservare che è pur vero che nelle fasi iniziali lo sviluppo procede piuttosto attraverso la creazione di squilibri. Ma è pro-prio delle fasi ulteriori correggere siffatte situazioni attraverso la via più logica che è quella di favorire la crescita della produttività nelle classi di industrie con indici più bassi.

Il prodotto per occupato di queste classi, alle quali appartiene circa 1/3 degli occupati dell'area meridionale, è pari al 40% di quello dell'area nord-occidentale, mentre nei « nuovi » settori il prodotto per occupato del Sud è notevolmente superiore a quello del Centro-Nord. Degno di mag-giore approfondimento è il nesso tra squilibri sul prodotto lordo per oc-cupato delle singole classi del ramo manifatturiero e squilibri tra produ-zione dei beni di consumo e produzione dei beni di investimento.

L'esame della dinamica dei tassi d'incremento del reddito delle sin-gole classi del ramo manifatturiero conferma la validità della precedente indicazione di correggere gli squilibri esistenti attraverso un

14

aumento della produttività del lavoro delle classi « più deboli ». Questa prima componente dell'ipotesi di sviluppo industriale trova, d'altro canto, piena corrispondenza nella nuova politica attiva del lavoro tanto larga-mente condivisa.

Una prima specificazione di quest'aspetto dell'ipotesi di sviluppo viene individuata nella necessità della ristrutturazione aziendale delle clas-si a bassa produttività del lavoro. Trattasi di classi ad elevato coefficiente occupazionale, per cui una razionalizzazione consentirà di conseguire il duplice obiettivo di non impegnare eccessive aliquote di risparmio e di muoversi in una linea strettamente aderente alla politica attiva del lavoro.

Questa direttiva di politica di sviluppo industriale, anche se non si rivolge direttamente alla creazione di « nuovi » posti di lavoro consente di prendere in esame molteplici aspetti vitali ed importanti della struttura industriale in fase di espansione. Trattasi della composizione per età, per sesso, per qualifica delle unità occupate, del rapporto giuridico con l'im-presa, della residenza dei lavoratori e così via. Aspetti in genere trascurati dall'attività promozionale dei Consorzi industriali, mentre sono aspetti che concorrono a creare o meno quell'ambiente favorevole all'espansione industriale.

In modo particolare è da notare che la crescente espansione del mercato interno impone di cominciare seriamente a soddisfarne le sempre maggiori esigenze, attraverso il potenziamento delle piccole e medie im-prese, aventi le caratteristiche che più si avvicinano allo schema della libe-ra concorrenza. Esse operano cioè in un regime di mercato, nel quale la riduzione del costo di produzione è talmente rilevante da giustificare no-tevolmente la politica degli incentivi creditizi.

5. La combinazione dell'alto coefficiente occupazionale con l'indice d'incremento della produzione è stato uno dei criteri per individuare i contenuti specifici dell'ipotesi di sviluppo. In concreto, questo criterio ha consentito di selezionare i settori « deboli », vale a dire quelli con più bas-so prodotto lordo per occupato, purchè con più alto impiego di forze di lavoro e producenti beni che agganciano domande potenziali. Questa di-rettrice consente di superare gli squilibri interni al ramo manifatturiero, garantendo ad un tempo alta occupazione non a scapito del reddito.

La selezione merceologica diretta a fornire i contenuti specifici di questa linea promozionale è stata compiuta sulla base dell'impiego

15

successivo di tre coefficienti: incremento percentuale dell'occupazione superiore alla media del ramo manifatturiero; incremento di occupazione superiore alle 1000 unità; graduatoria risultante dall'impiego dei due pre-detti indici.

Le sottoclassi così selezionate sono in tutto diciassette. A questa prima selezione è stata applicata un'altra serie di indici selettivi: 1) l'in-cremento percentuale degli investimenti lordi; 2) l'incidenza relativa degli investimenti per ricostituzione sul totale degli investimenti; 3) il rapporto marginale tra investimenti netti ed incremento di occupati.

Le specificazioni rivenienti da quest'ulteriore analisi sono partico-larmente utili per l'attività promozionale del Consorzio dell'A.S.I. di Fog-gia, in quanto servono ad orientare gli sforzi diretti alla diffusione delle varie forme di progresso tecnico. Indubbiamente stante l'obiettivo dell'in-cremento di reddito vincolato dall'incremento occupazionale, più forte si farà il ruolo del progresso tecnico là dove più bassa si prevede l'intensità di capitale. Questa direttiva promozionale è molto importante sol che si consideri che l'intensità di capitale per occupato giocherà nello sviluppo industriale del Sud un ruolo comparativamente minore di quello che svol-gerà nel Centro-Nord. L'intensità marginale dell'investimento per occupa-to dell'area meridionale è prevista pari alla metà di quella dell'area centro-settentrionale.

Per apprezzare lo sforzo di individuare le classi e sottoclassi che meglio soddisfano la duplice caratteristica dell'alta intensità di lavoro e del pronunciato dinamismo produttivo, è necessario evitare di cadere in una nuova alternativa: promozione di imprese ad elevato contenuto tecnologi-co contro la preferenza per imprese ad alla intensità di lavoro e/o la ri-strutturazione dell'apparato industriale esistente.

Una conferma della volontà di evitare i pericoli della predetta alter-nativa sta nel fatto che l'ipotesi di sviluppo industriale si fonda su tre pro-spettive; l'insediamento nell'area foggiana di un'industria aeronautica, la costruzione da parte della Fiat di un impianto per la produzione di mac-chine agricole; la necessità che l'impianto petrolchimico nei pressi del por-to di Manfredonia da parte dell'ANIC non si esaurisca nel progetto in corso di realizzazione.

Ora, le indicazioni risultanti dall'analisi particolare dedicata alle pro-spettive di nuovi insediamenti di imprese industriali appartenenti alle tre-dici sottocategorie rientranti nella classe delle industrie dei prodotti chi-mici propriamente detti, consentono di sollecitare l'ampliamento dell'im-pianto petrolchimico dell'ANIC a Manfredonia, sì da andare

16

oltre l'attuale ciclo progettato diretto alla produzione di ammoniaca ed urea. Da notare che non esistono ostacoli specifici di varia natura all'insedia-

mento di simili nuovi impianti industriali, come si può agevolmente desumere da una circostanza particolarmente illuminante anche ai fini della prefigurazio-ne del futuro assetto industriale dell'area foggiana. Infatti, negli ultimi anni si sono insediati: un impianto per la produzione di glutammato di sodio nei pressi del porto di Manfredonia, un impianto per la produzione di fibre tessili sinteti-che, ad opera della Lanerossi, nell'ambito dell'agglomerato di Incoronata (Fog-gia) e la Snia Viscosa sta realizzando un impianto per la produzione di cucirini nei pressi dello scalo ferroviario di Ascoli Satriano, nelle vicinanze dei pozzi di metano.

Come si vede, non esistono ostacoli all'insediamento di nuovi impianti, rientranti nel vasto ramo dell'industria petrolchimica, solo che si consideri che le scelte ubicazionali, compiute da quattro centri di decisione particolarmente qualificati, si sono dislocate lungo un asse che, collegando i pozzi di metano al porto di Manfredonia, trova nell'agglomerato dell'Incoronata il suo punto di forza.

Infine, il notevole giacimento di metano, le favorevoli prospettive di in-cremento occupazionale relative a ben quattro sottoclassi industriali collegate all'utilizzazione di questa risorsa mineraria, l'inesistenza, provata sulla base di qualificate e già realizzate scelte ubicazionali, di particolari ostacoli all'insedia-mento di siffatti nuovi impianti, l'esigenza di utilizzare - in via preferenziale - le risorse minerarie ed umane disponibili in loco, costituiscono un solido fascio di condizioni favorevoli ad una espansione dell'industria petrolchimica nell'area industriale di Foggia.

Come è noto, la chimica, con la sua produzione di beni ausiliari per le più svariate industrie, di solventi, di detergenti, di plastificanti e soprattutto di polimeri (materie plastiche, per gomme sintetiche e per fibre sintetiche) è in grado di assicurare un armonico sviluppo industriale.

La differenziazione della produzione costituisce un portato caratteristico dell'avanzato grado di industrializzazione; essa investe anche la domanda di beni intermedi. Ora, l'industria chimica, pur ponendosi spesso su un piano concorrenziale e sostitutivo rispetto a varie classi metalmeccaniche, finisce per arricchire la gamma di beni strumentali disponibili. Essa concorre, quindi, an-che attraverso la differenziazione

17

della produzione alla crescita dell'apparato industriale. Al fine di meglio specificare le possibilità di colmare le attuali lacu-

ne di questo comparto industriale dell'area foggiana, è opportuno ricorda-re che il settore delle materie plastiche comprende una parte delle aziende produttrici delle materie prime, che appartengono piuttosto all'industria meccanica.

La vasta molteplicità di prodotti sta ad indicare la gamma degli im-pieghi e delle destinazioni delle diverse resine ricavate non solo dal meta-no ma anche dal petrolio. Anche se non è ipotizzabile, a breve, un im-pianto per la produzione di resine, la disponibilità nell'area foggiana di metano, così largamente destinato ad impieghi termici, costituisce un tito-lo per ottenere - in sede di contrattazione programmata - l'ubicazione di diversi impianti che utilizzano appunto le materie prime dell'industria chimica.

Lo stesso dicasi per le industrie trasformatrici della gomma. Anche per la produzione di fibre sintetiche si prevede che il ritmo di espansione si manterrà elevato grazie alla persistente favorevole espansione dei con-sumi e per effetto della graduale entrata in funzione delle opere in corso di attuazione per l'ampliamento della capacità produttiva di molti degli impianti in esercizio e per la costruzione di nuovi stabilimenti.

6. Ai fini previsionali e programmatici, la provincia di Foggia è ri-

sultata divisa in quattro unità territoriali minori. Esse si dislocano in for-ma circolare e sono caratterizzate da un dinamismo socio-economico, che tende ad attenuarsi, man mano che dalla parte centrale ci si sposta verso le zone periferiche.

Le indicazioni programmatiche, desumibili dai risultati della labo-riosa analisi delle strutture territoriali, vengono così a coincidere con le indicazioni programmatiche desunte dalle analisi settoriali.

Le tendenze e le prospettive reali dell'evoluzione globale della pro-vincia di Foggia si esprimono con una modalità di uniformità spaziali con-figurabili in una serie di cerchi concentrici abbastanza regolari. Al centro di questa serie di cerchi, si trovano i comuni di Foggia e di Manfredonia, che costituiscono il luogo di concentrazione territoriale del maggior nu-mero dei fenomeni positivi in atto nell'intera provincia dauna.

Quest'asse centrale trova nell'ubicazione dei pozzi di metano la sua naturale continuità in direzione sud-occidentale che conferma una prece-dente intuizione, espressa dal Consorzio dell'A.S.I., che prefigurava,

18

per lo sviluppo economico dell'area foggiana, la concentrazione, nella fa-scia compresa tra i suoi tre principali torrenti: Carapelle, Cervaro e Cande-laro, delle imprese industriali « nuove » ed a più elevato contenuto tecno-logico. Sono le imprese appartenenti alla classe delle industrie chimiche ed a quella dei mezzi di trasporto (all'industria aeronautica in modo partico-lare).

Inoltre questa prima « area di sviluppo » è sede anche di una avan-zata agricoltura, caratterizzata da un elevato dinamismo e da molteplici condizioni favorevoli, cosicché si delinea - in un futuro non molto pros-simo - la necessità di seguire attentamente le forme di queste specie di kombinat territoriale tra sviluppo agricolo e sviluppo industriale.

Attorno a questa prima unità territoriale minore si articola, lungo una specie di corona circolare la zona a minor dinamismo economico at-tuale ma sede di una serie di progetti irrigui, i quali - in piena aderenza coi principali indici demografici ed economici - consentono di assegnare all'e-spansione del settore agricolo una funzione strategica di primaria impor-tanza nel processo di sviluppo globale. Su questa solida base, grazie al concorso di alcune condizioni favorevoli, prima fra tutte la disponibilità di risorse idriche, è fondato prevedere l'articolarsi di una serie di agglome-rati satelliti con funzioni di riscontro territoriale delle indicazioni pro-grammatiche, relative al ruolo delle imprese a bassa intensità di capitale per occupato nell'ambito dell'ipotesi di sviluppo.

Il comprensorio garganico, a prevalente vocazione turistica, e quel-lo subappenninico, a prevalente vocazione zootecnico - forestale, inqua-drano in un disegno armonico il futuro assetto territoriale della provincia di Foggia.

II - L'inserimento dell'ipotesi di sviluppo dell'economia dauna nel contesto della regione

pugliese.

l. Per dare una proiezione regionale alla nostra ipotesi di sviluppo globale, è sufficiente fissare i punti centrali, le scelte di fondo della dina-mica dell'economia pugliese.

E' chiaro che, nel tracciare il quadro riassuntivo degli interrogativi di base concernenti lo sviluppo economico della Puglia, si prescinderà dalla provincia di Foggia, anche al fine di evitare ripetizioni di giudizi e di affermazioni.

19

E' bene partire, anche per questa ricognizione riassuntiva, dal settore primario. L'agricoltura pugliese presenta - pur con differenziazioni struttu-rali degne della massima attenzione - due volti nettamente diversi tra loro. E queste due agricolture si configurano in due localizzazioni dai confini abbastanza agevolmente individuabili, in quanto la fascia interna è il luogo economico del seminativo. Nella parte terminale della Puglia questa distin-zione territoriale si fa meno netta di quanto non sia possibile nella parte settentrionale al di sotto del fiume Ofanto.

Anche la forma degli insediamenti umani conferma la validità di que-sta prima generale schematizzazione dell'assetto territoriale pugliese, del resto largamente condivisa - sia pure attraverso interessanti specificazioni - da tutti i maggiori geografi ed economisti che hanno studiato la nostra re-gione.

Uno dei principali fattori limitazionali dell'ulteriore sviluppo di que-sta parte della regione pugliese (quella estendentesi a sud del fiume Ofanto) è costituito dall'acqua, che, invece, abbonda nelle regioni circostanti: Cam-pania e Basilicata, ove minori sono le possibilità di conveniente utilizzazio-ne.

Di qui il disegno, ancora allo stato generale, di convogliare queste ri-sorse idriche, in misura prevalente, verso la fascia costiera, cioè verso la zona relativamente più ricca di tutto il vasto comprensorio appulo - irpino - lucano.

Una scelta di fondo, implicitamente ispirata al criterio economico di concentrare l'impiego delle risorse nelle zone ad alta suscettività, nel con-vincimento che saranno i maggiori redditi così ottenuti a mettere in moto una serie di effetti positivi di contagio a favore delle restanti parti del com-prensorio meno interessate da questi progetti specifici di investimento.

In altri termini, siamo ancora una volta di fronte ad una strategia del-lo sviluppo che procede attraverso la creazione di squilibri, pur all'interno di aree caratterizzate da un ancor basso livello di reddito pro-capite.

Inoltre, questa scelta di fondo ha un supporto tecnico, la cui validità economica esige una serie di analisi ben più approfondite di quelle disponi-bili sinora sull'argomento. La prevalente destinazione delle risorse idriche alla fascia costiera richiede un coefficiente di impiego relativamente più basso di quello richiesto dalle zone a seminativo, cosicché è possibile - con la stessa quantità di acqua - interessare una superficie

20

più vasta. Se poi si aggiunge che la fascia costiera è caratterizzata anche da un più fitto insediamento umano e da più alti indici di prodotto netto per unità di superficie, si rafforza il convincimento della validità economica di preferire questa forma di distribuzione territoriale delle risorse idriche.

Prima di tradurre questo disegno generale in specifici progetti ese-cutivi, occorrono ancora molti studi e ricerche. Come pure è necessario valutare tutte le condizioni favorevoli e negative al funzionamento del predetto meccanismo autopropulsivo a raggio interregionale.

2. Passando ad esaminare le prospettive di sviluppo del settore se-condario, va detto che i più noti punti di forza dell'industria pugliese sono i due investimenti di base: il siderurgico di Taranto ed il petrolchimico di Brindisi, ed il nascente polo di piccole e medie imprese meccaniche alla periferia di Bari.

In questa schematizzazione si trascura o si sottovaluta una diversa dimensione territoriale della nascente espansione industriale della Puglia, che avvalora la precedente scelta di fondo relativa alla distribuzione terri-toriale delle risorse idriche derivate dai fiumi che nascono tra i monti del-l'Irpinia e della Basilicata e che sfociano nel Mar Jonio e nel Mar Adriati-co.

E cioè, lungo la fascia costiera, sia perchè maggiormente dotata di capitale fisso sociale (ferrovie, autostrade, porti, aeroporti), sia perchè favorita dalla giacitura pianeggiante del terreno, va sorgendo una quasi ininterrotta teoria di nuovi insediamenti industriali, sulla base di medie e piccole aziende ad alta produttività di lavoro e con relativamente basso coefficiente di capitale per unità lavorativa. Un modello di sviluppo indu-striale, quasi spontaneo, che conferma la validità della scelta di fondo del-la nostra ipotesi di sviluppo, relativa all'economia dauna.

Qual è l'indicazione da trarre da questa seconda dimensione territo-riale dello sviluppo industriale pugliese per l'inserimento dell'economia dauna nel più vasto contesto regionale?

Per rispondere a quest'interrogativo, è necessario richiamare l'atten-zione sulle notevoli prospettive di sviluppo di una zona: la Valle dell'O-fanto. E' una zona troppo poco considerata e comunque non valutata nel suo giusto peso.

Attorno a questa valle gravitano i più popolosi centri abitati della Puglia (Canosa, Andria, Barletta, Cerignola). In questa valle conflui-

21

scono l'autostrada Adriatica e l'autostrada che collega il Tirreno all'Adria-tico, da questa valle dovrebbe partire l'autostrada per Sibari e la Calabria.

Sono fatti che hanno una particolare forza indicativa, in quanto la confluenza di queste condizioni non può essere il frutto del caso. Esse vanno attentamente tenute presenti.

Questa valle, per essere attraversata dal fiume Ofanto, sarà al più presto sede di due notevoli comprensori irrigui uno in destra e l'altro in sinistra. Il primo in provincia di Bari ed il secondo in provincia di Foggia. I segni di progresso agricolo nel primo comprensorio sono già abbastanza vistosi e vanno continuamente crescendo, anche perchè sono riuscite a fondersi e integrarsi l'opera di bonifica con quella della riforma fondiaria, confermando la validità del criterio della concentrazione territoriale degli investimenti e di quello della continuità degli interventi pubblici.

La prospettiva dello sviluppo industriale impone una revisione di questi programmi irrigui, impostati sulla base dell'esclusiva destinazione agricola. Non si può continuare a pensare di dare tutta l'acqua disponibile solo all'agricoltura, in una zona in cui lo sviluppo industriale trova una delle principali strozzature proprio nella carenza delle risorse idriche. Questa revisione di programmi potrà risultare, quasi certamente, favore-vole anche alla stessa agricoltura, se, da questo impiego combinato, potrà risultare una riduzione del prezzo dell'acqua e quindi una revisione dei giudizi di adattamento parziale e totale da parte delle aziende agricole. Non è che manchino i fermenti di sviluppo industriale proprio in questa zona. Sono già in funzione o in corso di realizzazione alcuni grossi im-pianti di trasformazione dei principali prodotti agricoli della zona; specie nella fascia costiera (Margherita di Savoia e Barletta) si notano già i segni di una certa differenziazione del ramo manifatturiero.

Certo, questa serie di innovazioni dell'apparato produttivo non so-no sufficienti a tener testa al ritmo di incremento demografico, per cui occorre accelerare ed ampliare i programmi di intervento.

Ecco profilarsi la conclusione per l'inserimento dell'ipotesi di svi-luppo dell'economia dauna nella dinamica dell'economia pugliese.

3. Dall'analisi combinata delle strutture settoriali e territoriali dell'e-conomia dauna, si è ricavato che il punto di forza è costituito dalla parte centrale del Tavoliere, incentrato sull'asse Foggia - Manfredonia.

Ora, nell'ambito di questo autentico polo di attrazione, si delinea una dimensione territoriale, già in atto, dello sviluppo industriale di

22

estremo interesse, che si collega, in forma lineare, con l'espressione spa-ziale della più recente espansione industriale in Puglia.

Infatti, a partire dal centro abitato di Foggia, lungo la statale n. 16 per Bari, si assiste all'infittirsi continuo di nuovi insediamenti industriali di piccola e media ampiezza, analogo a quello della costa barese. Questa teo-ria di nuovi insediamenti industriali trova la sua più consistente espressio-ne nell'agglomerato dell'Incoronata (Foggia).

La logica conclusione di tutto questo ragionamento è quella di raf-forzare l'agglomerato di Incoronata, sia sul piano delle infrastrutture che su quello degli altri insediamenti industriali, in modo da farne la testata di questo itinerario di sviluppo Foggia - Bari, che dovrà trovare nel poten-ziamento della Valle dell'Ofanto uno dei suoi maggiori centri di attrazio-ne.

Fare dell'Ofanto il punto di forza che riesca a saldare, anzichè inter-rompere, queste due suggestive, anche se ancora iniziali, espressioni terri-toriali dello sviluppo economico pugliese.

Un'attenta osservazione della distribuzione territoriale della popola-zione pugliese avverte che circa un terzo dell'intera popolazione regionale si addensa nell'itinerario di sviluppo Foggia - Bari, lungo poco più di 125 Km.

Questo fatto trova la sua spiegazione nel concorso di molteplici condizioni favorevoli, sia di ordine naturale che dipendenti dall'azione dell'uomo. La scelta di orientare, in misura prevalente, le risorse idriche, derivabili dalla serie degli invasi in costruzione a monte, verso la fascia costiera della Puglia, aumenterà il potenziale produttivo del nostro itinera-rio di sviluppo, con il risultato specifico di agevolare l'infittimento degli insediamenti industriali in atto.

4. Viene alla mente, a questo punto, il pesante giudizio di un emi-

nente storico. Il Toynbee, nella sua monumentale opera Le civiltà nella sto-ria, afferma che la devastazione delle « terre arative dell'Italia meridionale » operata da Annibale, « lungi dallo stimolare i Romani come la devasta-zione dell'Attica da parte di Serse aveva un tempo stimolato gli Ateniesi, diede loro anzi tale scossa che non si rimisero mai più. La prova della de-vastazione, risultata stimolante se somministrata con vigore persiano, in-flitta con violenza punica, si dimostrò fatale ».

La battaglia di Canne rappresenta, notamente, una delle massime espressioni di questa « violenza punica ». In verità, la nostra zona subì, tredici secoli dopo, l'urto della violenza normanna, che distrusse - con

23

Roberto il Guiscardo - definitivamente Canne. Proporre la Valle dell'Ofanto come cerniera del nostro itinerario di

sviluppo comporta quindi, la necessità di superare i limiti di un semplice piano di investimenti, per dare alla nostra azione un più vasto sfondo sto-rico, sulla base di una forte tensione politica e morale.

III - I significati operativi della concordanza dell'analisi della dinamica dei settori produt-tivi con quella delle strutture territoriali.

1. Come s'è già accennato, pianificazione urbanistica e programma-

zione economica debbono costituire due momenti strettamente interrelati tra loro nella previsione e nella modificazione del processo di sviluppo in atto.

I vincoli tra questi due tipi di analisi sono tali che la validità dei ri-spettivi risultati va ricercata principalmente nella loro compatibilità e con-cordanza. Proprio perchè ogni innovazione della struttura produttiva si traduce in un dato rilevante sotto il profilo spaziale e - al limite - in una modificazione del paesaggio umano, i due tipi di analisi non possono es-sere disgiunti tra loro. Come pure, per altro verso, le modificazioni degli insediamenti umani e dei singoli punti dell'assetto territoriale acquistano una loro rilevanza per l'economicità dell'impianto e della gestione delle varie attività economiche (basti pensare all'ampiezza del concetto di eco-nomie esterne).

Ora, i risultati della previsione programmatica della dinamica dei settori produttivi dell'economia foggiana, concordano - in misura altamente soddisfacente - con quelli desunti dall'analisi delle strutture territoriali.

Infatti, è possibile tradurre - in termini operativi - le conclusioni che si sono ricavate dalla suddivisione della superficie provinciale in unità territoriali minori, chiamate « aree di sviluppo », caratterizzate da un di-verso grado di dinamismo economico. Questa traduzione ha per contenuti sia i principali programmi infrastrutturali che la promozione di nuove at-tività produttive. A loro volta, questi due contenuti operativi si integrano e si sostengono vicendevolmente.

2. La visualizzazione, riportata dalla nostra cartina, individua quat-

tro unità territoriali minori, composte ciascuna di un unico corpo. In più, esse si dispongono secondo un disegno abbastanza lineare ed ordinato.

24

Il grado di dinamismo economico si localizza nella parte centrale della pianura, costituendo un autentico punto di forza di tutto lo sviluppo economico della Capitanata.

Attorno a questo polo, che interessa ben sette agri comunali per una superficie complessiva di kmq. 1.723,43 e con una popolazione di 252.535 abitanti, si dispone - quasi in forma di corona circolare la seconda unità territoriale contrassegnata da un grado di dinamismo economico inferiore rispetto al precedente. La zona interessa 18 agri comunali (fa-cendo rientrare - per la ragione innanzi detta anche gli agri di Chieuti, S. Paolo Civitate e Serracapriola) - per una superficie complessiva di Kmq 2.364,46 e con una popolazione di 217.063 abitanti.

Infine, confermando il precedente disegno circolare, le rimanenti due zone, contrassegnate dal più basso grado di dinamismo economico, si dispongono una al lato destro e l'altra al lato sinistro delle due precedenti zone.

Queste due zone, per essere caratterizzate dallo stesso indice di di-namismo economico, possono entrare a far parte di un'unica « area di svi-luppo ». Si differenziano, però, nettamente quanto a prospettive di svilup-po, in dipendenza della loro diversa ubicazione. Per queste ragioni, si è ritenuto più opportuno qualificarle sub-aree: litoranea, quella garganica ed interna, quella subappenninica.

La prima si estende per una superficie di kmq. 1.309,67 e con una popolazione residente di 100.698 abitanti. La seconda, rispettivamente, kmq. 1.286,76 e 90.512 abitanti.

Pertanto, circa il 35% della superficie territoriale della provincia di Foggia appartiene ad un'area caratterizzata da un bassissimo indice di svi-luppo economico. La popolazione di quest'area costituisce poco meno del 30% dell'intera popolazione provinciale.

Quest'ultimo dato conferma indirettamente - data la modestia delle risorse di quest'area particolarmente depressa - di concentrare gli investi-menti soprattutto nella prima area, in modo da poter drenare le eccedenze demografiche delle altre aree.

Il fatto che le singole zone risultino composte di un solo corpo continuo e dalla forma abbastanza regolare tanto che si configuri un dise-gno complessivo abbastanza lineare ed ordinato costituisce di per sé un motivo di validità delle conclusioni di questo tipo di analisi, onde si può procedere, con una certa tranquillità, alla traduzione in termini operativi di queste indicazioni territoriali.

26

3. La prima « area di sviluppo », contrassegnata dal più elevato dinami-smo economico, è sede degli insediamenti industriali di maggiore dimensione e di contenuto tecnologico più avanzato. Inoltre, specificando i contenuti di que-sto maggiore dinamismo economico si coglie un dato molto importante: la continuità nel tempo di questa preferenza territoriale.

Quasi tutte le decisioni, prese nei passati decenni, hanno preferito l'ubicazione rientrante in quest'area centrale. Senza voler riprendere tutte le analisi, le osservazioni e le documentazioni sin qui riportate, è sufficiente richiamarne le più significative. Le prime colonizzazioni borboniche prefe-rirono questa localizzazione. E la prova più convincente della bontà di que-sta scelta si ritrova nel fatto che una di esse è ascesa al rango di comune autonomo: Carapelle ed un'altra vi aspira: Ordona.

La storia post-unitaria della bonifica e colonizzazione conferma que-sta predilezione. Basti pensare ai cospicui investimenti del Consorzio gene-rale di bonifica, dell'O.N.C. e della Riforma Fondiaria, grazie ai quali si re-gistra uno dei più elevati indici di popolazione in nuclei e case sparse di tut-ta la provincia.

Nel settore industriale, la Cartiera a Foggia, trent'anni fa ed il petrol-chimico dell'ANIC a Manfredonia oggi, oltre alla Lanerossi ed altri nuovi impianti minori, hanno sempre preferito questa parte centrale del Tavoliere.

Come pure, le più rilevanti dotazioni infrastrutturali (il nuovo grande porto consortile, l'aeroporto, il nodo ferroviario, le autostrade costruite o in corso di costruzione ricadono in questa area. Infine, l'auspicato insediamen-to dell'industria aeronautica se verrà assegnato alla provincia di Foggia do-vrà quasi certamente preferire quest'ubicazione. Quindi, sia sotto il profilo della continuità storica che sotto quello delle prospettive future già in corso di realizzazione, sono molteplici le ragioni che spiegano il più elevato dina-mismo economico di questa area che a maggior ragione ed in senso poliva-lente merita l'appellativo di sviluppo.

L'ampiezza dell'estensione di questa prima area della provincia dauna non fa sorgere, nemmeno nella più ottimistica delle prospettive future, pe-ricoli di congestioni territoriali, di sovrapposizioni competitive nell'utilizza-zione del suolo. Pertanto, il dinamismo storico e tendenziale va incoraggia-to e sorretto, a tal punto da giustificare - sotto il profilo economico - mag-giori investimenti diretti a superare eventuali strozzature, prima fra tutte la carenza di risorse idriche.

27

In effetti, la zona è abbastanza dotata di risorse idriche, in quanto è attraversata dai torrenti Cervaro, Carapelle e Candelaro. Sui primi due tor-renti si stanno progettando due invasi ed il terzo può essere utilizzato dal-le opere di distribuzione dell'invaso sul Fortore. Inoltre, essa rientra nella fascia meridionale del Tavoliere contrassegnata da un'abbondante falda freatica. Infine, può disporre e delle acque reflue della fognatura di Foggia e delle eccedenze della dotazione idrica della Cartiera.

Come si vede, siamo in presenza di una serie di impieghi alternativi. Tale gamma si arricchisce ove si tenga presente che si inseriscono anche altre alternative di ordine settoriale, nel senso che occorre stabilire i limiti di convenienza all'impiego agricolo rispetto a quello industriale.

Si innesta una problematica alquanto complessa: sino a questo mo-mento le relative progettazioni sono state impostate, avendo presente il settore agricolo, quale destinatario unico. Ora, il subentrare della destina-zione industriale altera profondamente i termini di valutazione, in quanto può comportare, tra l'altro, una riduzione - attraverso lo impiego di tariffe differenziate - del prezzo dell'acqua per l'impiego agricolo, rendendo così convenienti alcune destinazioni colturali, altrimenti non convenienti.

Questi richiami confermano la validità, anzi la necessità, di redigere al più presto un piano di ottimizzazione dell'impiego delle risorse idriche, giusta la proposta contenuta nel voto n. 101 della Commissione per i piani regolatori territoriali delle aree di sviluppo industriale e dei nuclei di indu-strializzazione, relativo al piano regolatore preliminare presentato dal Consorzio per l'Area di sviluppo industriale di Foggia.

E' chiaro che solo la presenza di risorse idriche molteplici e dagli impieghi alternativi può porre l'esigenza di una maggiore razionalità delle scelte. Non si può certo programmare l'impiego di risorse inesistenti o soltanto carenti, per le quali si può tutt'al più presentare la possibilità di un piano di ricerche.

Quindi, risulta alquanto contraddittoria la successiva proposta, con-tenuta nel predetto documento, di bloccare l'espansione dell'agglomerato industriale dell'Incoronata (Foggia), che cade proprio nel baricentro delle maggiori disponibilità idriche del Tavoliere.

Occorre piuttosto prospettare la necessità di accelerare i tempi di realizzazione dei vari progetti irrigui, in sintonia con il predetto piano

28

di ottimazione dell'impiego delle risorse idriche. Comunque, la prospettiva realistica non è certo nella direzione di bloccare l'espansione dell'agglome-rato Incoronata, nemmeno sotto il profilo delle disponibilità idriche, anche in considerazione delle favorevoli indicazioni risultanti dalle precedenti ana-lisi delle strutture territoriali.

Per concludere su questo punto, l'esigenza di ottimizzare l'impiego delle risorse idriche, non scarse e comunque di uso alternativo, impone la prevalente loro destinazione nei punti dell'area foggiana caratterizzati da più elevato dinamismo socio-economico. E' proprio la più alta suscettività di questi punti a garantire un maggiore flusso di benefici diretti ed indiretti, esaltando il grado di convenienza economica di questi progetti specifici di investimento, anche in termini di analisi parziale, espressa dal noto rappor-to costi/benefici.

Comunque non si è di fronte ad una situazione di carenza, che possa far pensare alla necessità di dirottare su altre zone i particolari fermenti di sviluppo presenti in quest'area. La zona centrale del Tavoliere, nella sua delimitazione risultante dalla precedente analisi delle strutture territoriali, ha tutti i titoli per continuare ad essere il polo di attrazione o di crescenza, per usare la fortunata immagine del Perroux, di tutta l'economia dauna.

4. La seconda « area di sviluppo », caratterizzata da un grado di di-namismo intermedio, forma come un primo anello della precedente area di sviluppo. Essa contiene diversi elementi sintropici di sviluppo, omogenei sotto il profilo tecnico. E precisamente, salendo da sud verso nord, s'incon-trano il comprensorio irriguo « Sinistra Ofanto », con l'invaso sulla Marana Capaciotti; i due comprensori irrigui minori sui torrenti Cervaro e Carapel-le, una parte del comprensorio irriguo del Fortore (la rimanente parte ricade nella prima zona), ed una costellazione di laghetti collinari già progettati, di cui alcuni già in corso di realizzazione.

Il livello attuale di reddito, il grado di densità demografica, e vari in-dici di natura demografica consentono di affermare - data la presenza dei predetti progetti irrigui - che il settore agricolo ha ancora da svolgere un ruolo importante e fondamentale nel processo di sviluppo economico di questa seconda zona. E' questione di precisare bene i tempi di attuazione di tutto il complesso programma di opere di bonifica (elettrodotti ed acque-dotti rurali, viabilità minore, sistemazioni) strutturalmente collegati alle ope-re irrigue in corso di progetta-

29

zione e di realizzazione, nonchè i ventagli di adattamenti aziendali, sulla base di diverse ipotesi di prezzi dei prodotti agricoli e di funzioni tecniche di produzione.

Inoltre, in questa zona ricadono i pozzi di metano. La loro presenza ha sollecitato le popolazioni a rivendicare, con forza, la trasformazione in-dustriale in loco di questa materia prima. O meglio, per essere più precisi, a far ubicare in questa zona, qualcuna delle imprese, più o meno direttamente collegate allo sfruttamento industriale del metano.

Si profila, quindi, il concorso di una serie di circostanze favorevoli per accelerare lo sviluppo economico della zona. Tale accelerazione esige, però, una ragionata scelta infrastrutturale. Il fattore basilare dello sviluppo economico è costituito - nello stadio attuale - dall'intensificazione del pro-cesso produttivo agricolo, con la conseguente diffusione di impianti di tra-sformazione industriale e di commercializzazione del maggior volume di prodotti agricoli (l'iniziativa più immediata potrà essere uno zuccherificio nei pressi dello scalo ferroviario Giardinetto - Troia: un'ubicazione favorita dalla disponibilità delle risorse idriche del torrente Cervaro, che scorre nei pressi dello scalo ferroviario, e dalla confluenza delle strade statali per Bari e per Napoli nonchè di una fitta rete di strade provinciali e di bonifica, a servizio degli insediamenti contadini dell'O.N.C. e della Riforma Fondiaria).

Questa forma di industrializzazione dovrà essere integrata e sorretta dai vari impianti industriali del ramo manifatturiero o delle società che uti-lizzano il metano (Snia Viscosa ad Ascoli Satriano; Eni a Biccari) o delle piccole e medie imprese in fase di espansione.

Questa prospettiva di sviluppo equilibrato costituisce il migliore ri-scontro della validità delle indicazioni desunte dal modello interpretativo del processo di formazione del capitale negli ultimi venti anni nell'area me-ridionale nonchè dallo schema di previsione della struttura professionale della popolazione attiva della provincia di Foggia.

Si delinea perciò la convenienza di ubicare almeno tre agglomerati industriali satelliti, tra loro direttamente collegati da un asse viario di sup-porto, al quale dovrà far capo il programma stradale già redatto ed in corso di graduale realizzazione da parte dell'Amministrazione Provinciale, in mo-do che possa risultare agevolata anche la funzione di questi tre agglomerati quali termini di riferimento rispetto alle varie iniziative zootecnico-forestali in corso di realizzazione e di progettazione nella sub-area interna sub-appenninica.

30

La prospettiva di sviluppo della sub-area interna esige, per sua natura, un più diretto collegamento con le aree contigue interessate da più radicali processi innovativi. Il problema preminente di questa sub-area è quello di eliminare lo stato di isolamento, che la particolare depressione finisce per creare.

In questo senso s'impone un'accurata selezione dell'ampio inventario di progetti stradali, redatto dall'Amministrazione Provinciale di Foggia, in base al criterio di promuovere opere, che - data la loro ubicazione - riesca-no più chiaramente ad integrarsi tra loro e reciprocamente avvalorarsi. E precisamente, nel corso degli anni - in risposta alle sollecitazioni varie delle amministrazioni locali - si è realizzata una serie di opere non sempre colle-gate tra loro sotto il profilo territoriale, cosicchè esse finiscono per generare un minor flusso di benefici diretti e indiretti. L'acquedotto rurale, senza strada o senza elettrodotto rurale, genera benefici minori di quelli scaturenti dall'integrazione territoriale del predetto gruppo di opere.

S'impone, quindi - specie per questa sub-area - di ispirare al criterio dell'integrazione territoriale i futuri programmi di opere pubbliche. Inoltre, questo criterio selettivo di base dovrà essere accompagnato dall'altro crite-rio di considerare l'asse viario di supporto, collegante direttamente i tre ag-glomerati industriali della seconda « area di sviluppo », quale suo naturale termine di riferimento. In altri termini, volendo fare l'esemplificazione più significativa, è necessario - proprio per vincere più efficacemente lo stato di isolamento della sub-area interna - che dal predetto asse viario di supporto si dirami la rete stradale provinciale, in maniera da raggiungere le varie loca-lità interne, sì da agevolare i possibili processi di valorizzazione delle risorse zootecnico-forestali.

5. La seconda sub-area, quella litoranea garganica, ha in comune con quella interna subappenninica il basso indice di sviluppo socio-economico, ma si differenzia per le marcate prospettive turistiche che interessano - per la precisione - in maniera prevalente la fascia costiera, in quanto la restante parte interna - sede di consorzio di bonifica montana - presenta un netto predominio delle risorse zootecnico-forestali.

La coesistenza, nell'ambito della stessa sub-area, di queste due diffe-renti prospettive di sviluppo pone dei condizionamenti alla selezio-

31

ne delle opere infrastrutturali, rientranti nei futuri programmi di lavori pub-blici.

In particolare sorge la necessità di un asse viario di supporto, che col-leghi il porto consortile di Manfredonia con il vasto comprensorio irriguo del Fortore, al fine di agevolare il rapporto di utenza di quest'ultimo, anche attraverso un servizio di containers.

La ragione, che anche quest'asse viario svolga una funzione di sup-porto e non di mero collegamento, risiede nella coincidenza territoriale di queste tre esigenze: 1) collegare direttamente il vasto comprensorio irriguo del Fortore, che sarà largamente interessato da produzioni ortofrutticole precoci, al porto consortile di Manfredonia; 2) agevolare i collegamenti con il comprensorio turistico, la cui forma territoriale coincide, sia pure par-zialmente, con la dislocazione degli insediamenti demografici del promon-torio garganico, svolgentesi lungo l'intera costa con il conseguente risultato di quasi deserticità della restante sub-area; 3) creare il supporto delle dira-mazioni delle strade provinciali e consortili, che affranchino dallo stato di isolamento le vaste zone interne circa 100.000 ettari) della sub-area gargani-ca.

6. In conclusione, le indicazioni dell'analisi delle strutture territoriali trovano una perfetta aderenza, con la più conveniente distribuzione sul ter-ritorio, dei contenuti specifici dell'ipotesi di sviluppo economico della Dau-nia.

E cioè, localizzazione preferenziale nella prima « area di sviluppo », corrispondente alla parte centrale del Tavoliere con più elevato dinamismo economico, soprattutto dei nuovi impianti ad alto contenuto tecnologico; realizzazione di tre agglomerati satelliti industriali, sede di quel potenzia-mento tecnologico e finanziario delle classi di imprese tradizionali, diretto a superare l'esistente squilibrio di produttività tra classi di attività industriali « nuove » e classi « deboli »; rottura dello stato di isolamento delle due sub-aree laterali, particolarmente depresse, attraverso il collegamento diretto con i due assi viari di supporto dei futuri programmi di lavori pubblici, al fine di agevolare la valorizzazione economica delle scarse risorse locali.

Un quadro, quindi, abbastanza lineare, ordinato ed equilibrato, che esprime la perfetta coincidenza delle indicazioni programmatiche con il di-segno urbanistico.

SALVATORE GAROFALO

32

Pietro Giannone nella storia del diritto e nella filosofia della storia

Nella vita delle umane collettività ricorrono di tanto in tanto dei pe-riodi storici di una decisiva ed eccezionale importanza, durante i quali quella ascosa potenza che regola e regge i destini di nostra specie dispiega con maggiore e più vigorosa efficacia, per rapporto agli altri periodi ante-cedenti e susseguenti, la sua forza propulsiva nella evoluzione della socie-tà. Sono questi i periodi nei quali si viene preparando l'attuazione di una nuova fase dell'incivilimento-preparazione che rimane quasi sempre occul-ta alle generazioni contemporanee. Accade così che, mentre sembra che i popoli, stanchi delle lotte per lo innanzi sostenute, delle fatiche durate e dei lavori compiuti, riposino incuranti dell'avvenire, nel fondo oscuro del-la società già incominciano a fermentare i germi di una novella vita e si vengono silenziosamente costruendo le vie di un ulteriore sviluppo delle sorti progressive delle nazioni.

Consideriamo, a cagion d'esempio, il secolo prima dell'Era volgare, che fuori dubbio è il più importante ed il più ricco di conseguenze nella storia dell'incivilimento mondiale. Esso ci offre questo singolare contra-sto: e cioè che, cessato il lungo e sanguinoso periodo delle guerre civili, e costituito ad opera di Ottaviano Augusto l'Impero su basi che sembrava-no granitiche, mentre tutti, compresi gli spiriti superiori dell'epoca, rite-nevano entrato il mondo in un'era definitiva di pace, di tranquillità e di riposo, a pochi anni di distanza, l'annunzio della Buona Novella, partito da un oscuro e spregiato angolo della Galilea, già preparava al genere u-mano una nuova e più terribile lotta, la quale, iniziata in nome dei diritti dello spirito troppo a lungo conculcati dal paganesimo e dalla corrotta romana potenza, doveva mirare ad abbattere, come in effetti in progresso di tempo abbattè, l'Impero che quella potenza e la pagana tradizione rap-presentava e sintetizzava. Spettacolo davvero meraviglioso, incredibile in un'epoca di così profondo ed universale corrompimento! Una turba sem-pre crescente di schiavi, di derelitti, di straccioni, di vagabondi, dal cui seno a migliaia balzavano

33

fuori gli apostoli di propaganda, i confessori ed i martiri della novella fe-de, si vide, raccolta e stretta da un misterioso ed infrangibile legame spiri-tuale, tendere con diuturni ed incessanti sforzi a scrollare l'edificio ultra millenario della civiltà greco-romana; ed in poco meno di tre secoli la vit-toria coronava i loro sforzi, e da quella « feccia d'uomini », come l'aveva appellata l'orgoglio patrizio dell'Urbe, usciva fuori la legge del mondo, giusta la bella ed espressiva frase di S. Girolamo: Lex urbis lex orbis.

Altri secoli di eccezionale importanza sono nella storia medievale e moderna il IV, il XIII, quel tratto di tempo che corre tra la seconda metà del 1400 e la prima del 1500, e soprattutto poi il secolo XVIII, durante il quale si maturarono i semi e si compì poi il grandioso rivolgimento di Francia, che mutò la faccia del mondo.

Il corso delle nazioni può assomigliarsi a quello di un vasto fiume, che nella sua interrotta corrente trascina immondizie e detriti d'ogni sorta, i quali finiscono poi a poco a poco per ammassarsi in un determinato punto, formando ostacolo al libero corso delle acque correnti. Qualcosa di simile avviene nella vita delle umane società; imperocché col decorso del tempo si riuniscono e si accumulano in determinate epoche storiche disordini, abusi, corruzioni, oppressioni di classi superiori su quelle infe-riori; ed allora comincia ad ingegnarsi nei popoli un grave stato di angu-stia morale e di malessere materiale, che urgentemente reclama rimedii e provvidenze. Durante queste crisi ecco venir fuori dall'oscuro fondo so-ciale uomini di eminente intelletto e di alto cuore, i quali, portando im-presso nella fronte il mistico suggello del destino, come dice l'Heine, si apprestano chi con le opere dell'ingegno, chi mediante l'azione, a fornire i dati per la soluzione dei gravi problemi che il secolo impone. E' questa la fonte principale da cui scaturisce il genio. E' questa la fabbrica misteriosa di quegli esseri privilegiati, e quasi sempre infelici e sventurati, i quali so-no destinati a rappresentare le parti di prim'ordine nel gran dramma del mondo.

L'ambiente storico. Non è ignoto quale fosse lo stato miserando, in cui era ridotta gran

parte dell'Europa e segnatamente la Francia e l'Italia meridionale sul finire del secolo XVII. Le prepotenze dei nobili, i pesi insopportabili del fisco, l'assorbimento di quasi tutta la proprietà terriera nelle

34

mani dei feudatarii e del clero, la corruttela e la rapacità di coloro che e-sercitavano pubblicamente funzioni, il foro privilegiato per alcune deter-minate classi sociali l'incertezza delle leggi, che nella loro applicazione venivano travolte da forza, da pratiche e da moneta, avevano finito per creare uno stato di cupa disperazione nei popoli soggetti. Occorreva porre argine a tante iniquità, urgevano rimedi a tanti mali.

Fu allora che nella Francia e nel mezzodì d'Italia sorsero grandi scrittori di scienza politica e sociale, i quali davano opera a studiare i mali onde era travagliata la società, e ad indicarne gli opportuni rimedi. Ed è precisamente nel primo trentennio del secolo XVIII che apparvero nelle nostre provincie meridionali i tre massimi giureconsulti politici dell'epoca Gianvincenzo Gravina, Giambattista Vico, Pietro Giannone: triade glorio-sa ed infelice, susseguita poi nella seconda metà dello stesso secolo da quella eletta schiera di filosofi e pensatori, che rispondono ai nomi, im-mortali anch'essi, di Antonio Genovesi, Gaetano Filangieri, Ferdinando Galiani, Mario Pagano, Francesco Conforti, Vincenzo Coco, Francesco Lomonaco.

Ho chiamata quella dei massimi giureconsulti nostri triade gloriosa ed infelice, ed a giusta ragione. Perché il Gravina visse quasi sempre mala-ticcio; ebbe in Roma l'esistenza avvelenata da un'accolta di tristi, che - invidiosi della bella fama acquistata dal giovanissimo professore calabrese, che appena trentenne aveva ottenuto la cattedra di legge alla Sapienza -, tentò straziarne la reputazione con sconce satire, scritte in massima parte dal prete lucchese Lodovico Sergardi sotto lo pseudomino di Quinto Set-tano; venne infine per ignobili intrighi orditi dai suoi emuli privato dopo quindici anni d'insegnamento di quella cattedra che egli aveva illustrata. Il Vico visse e morì poverissimo; passò oscuro ed inonorato fra gli uomini del suo tempo ed ottenne giustizia postuma dopo quasi un secolo dalla sua morte. Ma assai più sventurato fu Pietro Giannone, vittima della più iniqua e scellerata persecuzione, tenuto chiuso in orrido carcere per dodici anni e morto senza gli onori di sepoltura, lontano dalla sua diletta Napoli, senza l'assistenza nell'ora estrema della moglie e del figlio. E, ciò che è peggio, l'odio spietato contro di lui sopravvisse alla morte, perché venne fatto segno ad una postuma bieca persecuzione.

Se vi prende vaghezza di scorrere le pagine della storia della lettera-tura europea, voi non incontrerete per avventura il nome di nessun altro scrittore, che abbia per i suoi scritti suscitato così vive ed acri polemiche ed abbia scatenata tanta tempesta di odi e di livori

35

come l'autore della Storia Civile del Reame di Napoli. Vilipeso, dileggiato e diffamato indegnamente nel secolo in cui visse

da una vera turba di oscuri scribi, come il gesuita Sanfelice, il Tria, il Pao-li, l'Assemani, il Fabroni ed il Rogadero, e difeso validamente da due dotti abati napoletani, Garofalo e De Miro, il Giannone venne nel successivo secolo XIX fatto segno alla critica acre, astiosa e spietata di Cesare Cantù e di Alessandro Manzoni. I quali nessun epiteto spregevole risparmiarono all'autore della Storia Civile, contro del quale ripetettero le accuse di plagio, d'immoralità e di empietà che un secolo innanzi aveva già lanciato il San-felice; dove che per contro una eletta d'uomini insigni per scienza e pa-triottismo, come il Napoli Signorelli, Carlo Botta, Federico Sclopis, Pa-squale Stanislao Mancini, Giuseppe Ferrari, cercarono rivendicare la nobi-le figura del grande giureconsulto politico meridionale. Il Botta portò av-viso essere il Giannone scrittore d'immensa erudizione, di profondissima dottrina, di accuratissimo giudizio e lo proclamò uguale ai primi storici, inferiore a nessuno. Il Ferrari, giudice non meno competente del Botta, pose il nome del Giannone accanto a quello del Vico, considerandolo come uno dei fondatori della filosofia della storia. Federico Sclopis, il chiaro giureconsulto ed uomo di Stato, che fu onore e vanto del forte Piemonte, dichiarò apertamente che il suo predecessore, per quanto ri-guarda la storia della legislazione del mezzodì d'Italia, fu Pietro Giannone, la cui Storia Civile giudicò uno dei più bei fregi della gloria letteraria d'Ita-lia.

Eppure, nonostante questi autorevoli giudizi, si continuò ad attac-care come plagiario e scrittore insulso il Giannone da scrittori di medio-crissimo ingegno; i quali, facendosi forti del nome dell'autore della Storia della Colonna Infame ed attratti dal brano che ivi si legge: « chi sa quali altri furti non osservati di costui (Giannone) potrebbe scoprire chi ne facesse ricerca » -, si diedero con vero accanimento a frugare nelle vecchie crona-che e storie napoletane per rinvenirvi altri tratti riportati nella Storia Civile. Pare quasi che in confronto del Giannone siasi avverato quello che E-dgardo Poe scriveva in proposito dei suoi maligni critici americani: « At-taccare un uomo d'ingegno è per gli sciocchi il mezzo migliore per giunge-re alla celebrità. Non mai lo scorpione sarebbe addivenuto costellazione, se non avesse morsicato Ercole al calcagno ». Ed invero chi conoscerebbe oggidì il nome del gesuita Giuseppe Sanfelice, se costui non avesse nel 1729 dato alle stampe, in Roma con la falsa data di Colonia, quel

36

tessuto di melensaggini, d'ingiurie e di assurdità che è il volume intitolato Riflessioni morali e teologiche sopra la "Storia Civile" di Pietro Giannone; e se il Giannone non gli avesse risposto (e secondo me fece male) con quel ca-polavoro di fine ironia e talvolta di sanguinoso sarcasmo, ch'è la celebrata Professione di Fede, nella quale sono poste a nudo la ignoranza, la mala fede e l'improntitudine di quel frate?

L'indegna gazzarra contro il Giannone continuò quando venne in luce un volume sulla scuola storica dei giureconsulti politici meridionali, nel quale si cercava di dimostrare l'influsso che ebbero le opere del Gian-none nell'origine e nel progresso della storia del diritto, una grave ed ac-creditata rivista, recensendo la nuova pubblicazione, usciva in queste af-fermazioni: « L'esaltazione del genio napoletano nella storia del diritto non scema la verità del giudizio da altri dato, non meno acuti osservatori della storia; e chi pensi, ad esempio, quale sentimento avesse il Manzoni dello storico Giannone, non varrà a persuadersi come si possano pigliare le affermazioni dell'Autore come basi immobili di costruzioni storico-giuridiche ». Ed ecco in che modo in Italia si suole spesso fare la critica delle nuove pubblicazioni. Secondo cotesti critici l'ipse dixit del Manzoni esaurisce la questione; ed il giudizio del poeta e romanziere di Milano in una controversia d'indole esclusivamente storico-giuridica deve ritenersi quale sentenza pronunciata in ultimo grado di giurisdizione.

Ma il secolo nostro, non consente feticismi di sorta. Esso è secolo di rielaborazione e di riesame; e come fu fatta la revisione dell'heghelismo, del marxismo e del positivismo comtiano e spenceriano, così sarà sempre consentita la revisione di qualunque sistema, di qualunque opinione, di qualunque giudizio, sia pure l'opinione ed il giudizio di uno scrittore sommo quale fu il Manzoni.

Giannone giureconsulto.

Pietro Giannone è uno di quegli scrittori dalla figura poliedrica e complessa: in lui, oltre lo storico, fa mestieri esaminare anche il giurecon-sulto, e poi anche il polemista e lo scrittore politico. L'avere trasandato di studiare il Giannone sotto questi svariati aspetti indusse la maggior parte dei suoi critici in giudizi monchi ed unilaterali e perciò appunto erronei. La gloria di P. Giannone deriva dall'essere stato più che uno storico pu-ramente narrativo, un giureconsulto grande da stare alla pari con i migliori del suo secolo, un erudito che ben

37

pochi potettero pareggiare ed uno scrittore politico non indegno della pa-tria del Machiavelli, del Guicciardini, del Sarpi. In lui sono fusi in mirabile accordo lo storico, il politico ed il giureconsulto, così che egli incarna in modo che può dirsi perfetto il tipo del grande giureconsulto politico, il filo-sofo cioè della storia e lo storico del diritto.

Ma come ed in quali circostanze avvenne questa fusione che si andò gradatamente operando nell'animo dello scrittore meridionale?

Il caso, è forza riconoscerlo, sovente determina la fortuna degli indi-vidui e dei popoli. Allorché Biagio Pascal in uno dei suoi profondi Pensieri scrisse che se il naso di Cleopatra fosse stato un po' più corto, la faccia della terra sarebbe stata mutata, egli in forma epigrammatica esprimeva una grande verità; la quale sebbene da alcuni, come il Michelet ed il Carljle, fos-se poi stata spinta fino all'esagerazione, tuttavolta non per questo cessa di trovare conferma nella esperienza quotidiana della vita individuale e nella storia, che è la gran fonte della esperienza collettiva dell'uman genere. Noi non possiamo negare che bene spesso la genesi dei fatti storici e la produ-zione delle grandi opere del genio, come pure parecchie scoperte ed inven-zioni che arricchirono il patrimonio della civiltà, si possano ricondurre al caso; o, se meglio vi piace, al principio delle minime cause, cui poi susse-guono dei grandi effetti, alla piccola favilla, di cui parla il poeta, secondata da gran fiamma. Ed è ciò appunto che riscontrasi nella vita di Pietro Gian-none.

Tra la fine del secolo XVII ed il principio del secolo XVIII fioriva in Napoli - che il Ferrari in La mente di Vico dice che in quel tempo rappresen-tava la Parigi del Mezzodì d'Italia -, una elettissima schiera di pensatori e di scienziati, quali il Vico, il Caropreso, il filosofo fra Tommaso Rossi, i due grandi medici e filosofi ad un tempo Cornelio e Porzio, il Capasso, il Cirillo ecc. Accanto a costoro brillavano giuristi ed oratori insigni, quali il d'An-drea, il Biscardi, Domenico Ausilio, Gaetano Argento, Niccolò Caravita, Donato Antonio d'Asti ed altri ancora. In questo ambiente di alta intellet-tualità e nel contatto di uomini cotanto preclari si veniva formando Pietro Giannone; il quale, conseguita nel 1798 all'età di anni ventidue la laurea in legge, era entrato per raccomandazione del suo maestro D. Domenico Ausilio a fare pratica legale nello studio dell'Argento, l'avvocato principe del Foro napoletano di quell'epoca. Essendo stato dopo qualche anno l'Argen-to nominato presidente del Sacro Regio Consiglio, la più alta magistratura del Regno, ebbe vaghezza di aprire le splendide sale

38

del suo palazzo a' più chiari uomini di scienze e di lettere che in quel tempo onoravano la città, stabilendo come una specie di accademia con tornate periodiche, nelle quali si facevano conferenze e si discutevano argomenti di filosofia, di letteratura, di legislazione, di scienza politica e di storia. Uno dei più assidui a quelle dotte tornate era il giovane Pietro Giannone, al qua-le l'Argento volle affidare il compito di esporre in più conferenze il famoso frammento attribuito al Pomponio, in cui si discorre della origine e dei pro-gressi della romana giurisprudenza e delle varie magistrature dell'antica Roma. Se non che, pregato e sollecitato da altro collega che desiderava trat-tare egli di quello argomento e tessere le prime lezioni, il Giannone gli ce-dette il turno, assumendosi però un compito più difficile, e cioè quello di esporre in un quadro storico-critico tutta la napoletana legislazione a far capo dai bassi tempi fino all'anno 1700. Impresa non poco ardua; dappoi-ché, se in quel tempo abbondavano opere che versavano sulla legislazione romana fino a' tempi di Giustiniano, per contro pochissime notizie si ave-vano intorno alle leggi posteriori, né esistevano opere che ne trattassero espressamente, ond'è che faceva mestieri studiare quelle legislazioni nelle fonti.

Il Giannone si pose alacremente allo studio per approntare il materia-le occorrente alla trattazione dell'argomento e, quando fu pronto, fece le sue lezioni, riscuotendo il plauso unanime dell'eletto uditorio, che rimase colpito da meraviglia, scorgendo come un giovane di appena venticinque anni fosse in possesso di tanta vasta erudizione legale quanta ne aveva di-mostrata il Giannone.

Intanto nello studiare il tema di quelle lezioni il giovane avvocato dal-l'analisi puramente esegetica e storica delle leggi delle età trascorse era as-surto ad una più alta concezione del diritto; e si era avvisto che questo, chiamato a regolare la multiforme produzione dei fatti umani e dei fenome-ni sociali, viene a costituire la forma necessaria, in cui la sociale convivenza si attua e si evolve, e che, conseguentemente importanza massima acquista nella storia della civiltà di un popolo la storia della sua legislazione. Gli ba-lenò allora nella mente l'idea di scrivere la storia delle legislazioni che ebbe-ro vigore nel Reame di Napoli nel corso di 15 secoli durante le diverse do-minazioni, a cui era andata soggetta l'Italia meridionale; nella convinzione che dallo studio delle leggi romane, del diritto feudale, del diritto canonico, delle consuetudini e di altre leggi importate nel Reame poteva trarsi la spie-gazione del corso dell'incivilimento del popolo meridionale at-

39

traverso la vicenda dei secoli trascorsi. Notisi qui per incidente che questa stessa idea dominava allora la

mente del Vico proprio in quel torno di tempo e che dallo svolgimento di questa concezione filosofico-giuridica ebbero origine tanto la Scienza Nuo-va quanto la Storia Civile del Reame di Napoli; con questo divario però, che quanto il Vico meditò in astratto sulle leggi e sul corso dell'incivilimento di tutti i popoli e di tutte le nazioni, il Giannone, pur ignorando il lavoro cui attendeva il suo grande coetaneo, giacché la Scienza Nuova venne in luce due anni dopo la pubblicazione della Storia Civile, applicò, sebbene con vedute parziali, alla storia del Regno delle Due Sicilie.

Gli studi storici del suo tempo.

Ben 20 anni impiegò il Giannone nella compilazione della grande

opera, che doveva trasmettere il suo nome alla posterità. Né questo lungo lasso di tempo apparirà eccessivo a chi consideri a quale improbo lavoro dovette sottostare il Giannone per menare a termine la sua intrapresa. Nessuna regione d'Italia ebbe così numerose e svariate legislazioni nel corso del medio evo e nei primi secoli dell'era moderna, quante ne ebbe l'Italia meridionale, pel motivo che niuna altra parte della penisola soffrì lo strazio di tante straniere dominazioni, quante l'avverso destino ne im-poste alle popolazioni del Mezzogiorno.

Caduto l'impero romano, decaddero naturalmente le sue leggi, che imperavano anche nel meridionale, ed in gran parte nel Napoletano ebbe-ro vigore le leggi scritte dei Longobardi, che furono raccolte nello Editto di Rotari, settimo re di questi barbari. Vinti i Longobardi, le loro leggi non furono, come si potrebbe credere, abolite dai successori Normani, ma continuarono ad avere vigore; se non che i re Normanni ne aggiunsero di loro, di cui 39 ne promulgò Ruggiero, 21 Guglielmo, 13 Guglielmo II.

Passato il Regno nella casa Sveva, dopo il matrimonio di Costanza con l'Imperatore Enrico e, succedutogli il figlio Federico II, questi pro-mulgò altre leggi, che congiuntamente a quelle dei re Normanni vennero riunite in un sol corpo sotto la denominazione di Constitutiones Augustales, che Federico promulgò in Melfi nell'anno 1232. Caduta la Casa Sveva, la mole della legislazione fu accresciuta prima da' re Angioini con i loro Ca-pitoli, e poi dagli Aragonesi con le loro Prammatiche. Cessato il dominio degli Aragonesi, molte altre prammatiche

40

furono promulgate prima dagli Spagnuoli e poi dagli imperatori tedeschi. Occorre tenere presente che molte città si reggevano nel confusionismo di tante leggi con le loro consuetudini, delle quali si erano anche fatte raccolte dalle città di Bari, di Gravina, di Amalfi, di Capua, di Salerno ecc. E come se tutto ciò fosse stato poco, ad ingenerare ed accrescere maggiormente la confusione, concorsero la legislazione speciale dei feudi ed il diritto canoni-co. Queste varie legislazioni si erano andate, per così dire, stratificando le une sulle altre nel lungo corso di 15 secoli; ed occorreva possedere ingegno perspicuo, una grande potenza analitica ed una profonda erudizione stori-co-legale per poterle convenientemente inquadrare nella storia del Reame.

E' quindi evidente la vastità del campo, che il Giannone s'era propo-sto di trascorrere, ed il solo lavoro di ricerca era tale da sgomentare il più dotto e volenteroso giureconsulto di quell'epoca. Il Giannone, come con-fessa nelle sue Memorie, fu più volte sul punto di abbandonare il lavoro, vin-to dallo sgomento; tuttavolta il suo genio e la sua perseveranza trionfarono d'ogni difficoltà, e la Storia Civile apparve nell'anno 1723 pei tipi dell'editore Niccolò Naso in 4 grossi tomi divisi in 40 libri.

Per potere convenientemente apprezzare l'opera del Giannone è me-stieri dare uno sguardo allo stato degli studi storici all'epoca della compila-zione della Storia Civile del Reame di Napoli.

Da Erodoto, padre della storia, fino agli storici fiorentini Machiavelli e Guicciardini la storia non era mai uscita fuori l'ambito del genere narrativo e descrittivo, e limitavasi all'esposizione del sorgere e del declinare dei regni, degli imperi e delle repubbliche, a narrare le guerre, le paci, le confederazioni, le alle-anze, le conquiste territoriali, la successione dei principi, gl'interni rivolgimenti degli Stati ecc. Il compito dello storico, così circoscritto, riducevasi alla pura esposizione di quel vero che può essere testimoniato dagli uomini, cioè a dire il fatto, e di conseguenza nella esposizione pura e semplice del fatto aveva termi-ne l'ufficio dello storico. Vero è che negli storici latini, specie in Sallustio e Ta-cito, si scorge una spiccata tendenza ad introdurre l'elemento morale nei rac-conti storici; ma con ciò il territorio della storia non era affatto accresciuto, giacché Sallustio e Tacito non escono mai dall'ambito degli avvenimenti pura-mente politici e militari relativi a Roma ed al suo impero. Seguendo la massima di Cicerone: « la storia è maestra della vita », sembra che Sallustio e Tacito ab-biano avuto in mira di fare servire i racconti storici di ammaestramento a

41

reggitori ed a popoli. Ma, anche a prescindere che ufficio dello storico non è quello di ammaestrare, compito questo spettante alla scienza dei costumi, egli è certo che se avvi qualcosa che più chiaramente scaturisce dallo studio obiettivo della storia, sì è questa grande e dolorosa verità: e cioè che tanto i popoli quanto i governi non hanno mai saputo far tesoro degli ammaestra-menti, che possono risultare dagli avvenimenti passati, di tal che l'esperien-za delle trascorse generazioni va ordinariamente perduta nelle generazioni avvenire. Nella pressione degli avvenimenti mondiali, nel continuo mutare di cose e di eventi, nel fluttuare incessante di tante passioni, nel cozzo di tanti e così svariati interessi d'individui e di classi, come si può pretendere che un vago ricordo del passato possa efficacemente agire sulla condotta degli uomini ed avere vigore e forza per determinare le loro azioni nel pre-sente? Ben a ragione a questo riguardo osservava il Guerrazzi: « La espe-rienza che scrive la storia assomiglia alle figlie di Danao affaticate a riempi-re le botti senza fondo. L'universo è fiume e l'umanità spensierata sta sopra le sponde a guardare scorrere le acque; può egli l'uomo rammentarsi dei flutti dell'anno passato e può egli trarne vantaggio? Così passano gli eventi, irrevocati dalla memoria, sterili di virtù ».

Nel Machiavelli si comincia per verità a notare qualcosa di nuovo in-torno al modo di considerare la materia storica. Il Segretario Fiorentino ebbe la geniale intuizione di quella grande scoperta, che poi venne assodata e dimostrata dal Vico e che forma la base, il fondamento della filosofia della storia: e cioè che i fatti umani, i quali rientrano nel genere storico, anzi che essere il prodotto del caso o dell'arbitrio sconfinato degli uomini, obbedi-scono alle leggi dello spirito, da cui sono prodotti; verità che il Vico così formulò nel suo linguaggio alquanto bizzarro: « Iddio creò il mondo fisico, gli uomini crearono il mondo civile, di cui la libertà è il fabro ». Spetta del pari al Machiavelli la priorità della famosa legge dei corsi e ricorsi - idea poi anch'essa fecondata e sviluppata dal Vico nella Scienza Nuova -; secondo la quale idea il tempo riconduce le cose di periodo in periodo, di evo in evo ad una identica disposizione, di modo che in un dato numero di anni, im-preveduto ed imprevedibile sempre, un uomo o un popolo finisce col tro-varsi nella stessa via di già in antecedenza percorsa, e a ripensare le stesse cose già pensate, iniziare le stesse azioni di già compiute. Ma di queste due grandi leggi storiche il Machiavelli ebbe un semplice e vago presentimento, una specie, dirò così, di divi-

42

nazione, che attraversò fugacemente la sua mente, senza lasciarvi tracce durevoli, e senza per conseguente determinare nel suo pensiero alcun serio ed efficace proponimento di farne applicazione alla materia storica. E valga il vero. Nelle Istorie Fiorentine il Machiavelli non si scostò gran fatto dalla maniera di Erodoto, Tucidide e Tacito; quantunque non possa negarsi che egli spesso, specialmente nel libro primo, nel quale, con una potenza sinte-tica meravigliosa disegna come in un quadro stupendo la storia italiana di un Millennio, non si restringa alla pura narrazione degli avvenimenti politici e militari, ma dalla esposizione dei fatti assurga allo esame delle cagioni che quei fatti producono e a considerazioni di scienza politica. E del resto nel proemio alle Istorie Fiorentine il Machiavelli ebbe cura di indicare il metodo seguito nell'opera ed il concetto che aveva dei limiti e dei fini della storia, quando, criticando i due storici Poggio e Messer Lionardo da Arezzo, dai quali confessa di aver tratto la maggior parte della narrazione, dice testual-mente: « Se niuna cosa diletta o insegna nella storia è quella che particolar-mente si descrive; se niuna lezione è utile ai cittadini che governano le re-pubbliche, è quella che dimostra la cagione degli odii e delle divisioni della città, a ciò che possano, col pericolo degli altri diventati savii, mantenersi uniti. E se ogni esempio di repubblica muove, quelli che si leggono se della propria muovono molto più, e molto più sono utili» . Dalle quali parole appare evidente che per il Segretario Fiorentino il compito e l'uffizio dello storico riducevasi a dilettare e ad ammaestrare il lettore: in altre parole nel concetto del Machiavelli l'obbiettivo che deve proporsi lo storico è quello stesso indicato da Orazio per tutte le arti della parole e figurative nel noto verso dell'Arte Poetica: lectorem delectando pariterque monendo...

Fu assai lodato il Discorso sulla Storia Universale di Monsignor Jacopo Benigno Bossuet, e non mancò qualche scrittore che finì per attribuire al Vescovo di Meaux il merito di aver gettate le basi della filosofia della storia. Ma, pur non contestandone i grandi pregi di forma e di contenuto, non pa-re che quel famoso Discorso abbia fatto avanzare di un sol passo la scienza della storia. In vero il concetto informatore e la trama del lavoro sono indi-rizzati a raggiungere questa unica finalità: provare cioè il governo della Provvidenza sui fatti umani e dimostrare che tutta la storia antica dalla cre-azione del mondo, attraverso le vicende del popolo eletto, dei grandi imperi dell'Oriente e della storia greca e romana, altro non fu che un apparecchio all'avvento del Cristianesimo. Ora, dato pure in linea di semplice ipotesi che

43

questa idea cardinale del Discorso corrisponda alla verità obbiettiva, quale progresso con essa si sarebbe fatto fare alla scienza della storia? Ma è il modo come tale disegno provvidenziale si viene attuando nel mondo; è la conoscenza delle istituzioni e delle leggi adottate dai vari popoli entrati nel ciclo della storia; è la cognizione e lo studio del loro grado progressivo di coltura, del loro patrimonio morale artistico e scientifico, del contributo che ciascuna nazione ha arrecato nel lavoro immenso dell'incivilimento che può costituire la vera scienza della storia: e tutto questo materiale manca nell'opera del Vescovo francese. Del resto l'idea stessa fondamentale del Discorso non è nemmeno originalmente del Bossuet, imperocché era stata fin dal IV secolo chiaramente ed esplicitamente enunciata nell'opera De Civitate Dei di S. Agostino, il quale a sua volta l'aveva ricavata da uno storico paga-no, Diodoro di Sicilia, che nella sua Biblioteca Storica aveva lasciato scritto: « La Provvidenza, coordinando le nature degli uomini ad una comune analo-gia, continuamente per tutti i tempi, assegna ad ognuno il suo posto conve-niente ».

Rimane adunque chiarito che fino al secolo XVII la storia non era ancora uscita fuori dal terreno puramente narrativo e descrittivo: ella era quindi un'arte e non già una scienza; e come arte per vero dire era stata por-tata ad una insuperabile eccellenza dagli storici fiorentini. Ma ben altro oc-correva perché la storia potesse ascendere al grado di una vera e propria scienza sociale. Perché se è vero il principio posto da Giambattista Vico, secondo cui vere scire est per causas scire, allora soltanto potrà parlarsi di scienza della storia, quando lo storico dalla pura e semplice narrazione dei fatti e degli avvenimenti passerà ad esporre la genesi ed il successivo sviluppo dei fenomeni sociali, e cioè a dire delle idee morali, del diritto, della religione, dell'arte, della scienza, della economia pubblica, delle industrie di ciascun popolo del quale imprende a tessere la istoria; e dallo esame del sorgere e dello svilupparsi di questi fenomeni assurgerà poi alla spiegazione dei fatti e degli avvenimenti storici, scrutandone le cause, tanto prossime che remote, dalle quali quei fatti trassero origine.

Storico dell'incivilimento. Questa scienza, che è gloria dell'Italia nostra, ebbe due creatori in

Giambattista Vico ed in Pietro Giannone, coetanei, conviventi nella stessa città e, per un caso strano del destino, fra loro perfettamente

44

estranei, sicché potrebbe dirsi che l'uno non conobbe l'altro. Il Vico è il filosofo, nel senso stretto della parola, della storia; il Giannone è lo storico del mondo civile, o meglio lo storico dell'incivilimento. L'uno indagò i principii e le leggi secondo cui camminano le umane generazioni, tenendosi nelle sue indagini sul terreno puramente speculativo, senza scendere ad ap-plicazioni pratiche; l'altro invece, per una sublime intuizione di questi prin-cipii e di queste leggi quasi inconsciamente - il genio, come avvertiva il Fer-rari, sovente a guisa di un sonnambulo ignora se stesso -, ne fece larga ap-plicazione alla storia dell'Italia meridionale. « Io ho voluto - scrive il Gian-none nella "Introduzione" alla Storia Civile -, che la chiarezza della narrazio-ne dipendesse assai più da un diritto congiungimento dei successi con le loro ragioni, che dalla locuzione e dalla connessura delle parole ». Dalla qual dichiarazione il lettore già intravede il metodo che sarà per seguire l'autore nella sua storica esposizione, metodo che in sé racchiude la vera teoria della storia scientifica, poiché sono le ragioni degli avvenimenti che maggiormen-te importa di indagare e di sapere.

Quando si studia la storia di un popolo, di una nazione o anche del-l'intera umanità, occorre sceverare ciò che in essa storia è passeggero, tran-sitorio, contingente, direi quasi evanescente, da quello che invece stabil-mente rimane e spiega poi la sua influenza nel corso ulteriore di quel popo-lo, di quella nazione o dell'intera umanità; di tal che può dirsi che vi sono fatti in ciascuna storia che non estendono la propria influenza fuori la cer-chia della generazione, fra la quale si produssero e che devono considerarsi come morti per sempre; dove che vi sono invece altri fatti ed altri avveni-menti, i quali spiegando la loro efficacia sui fatti ed avvenimenti posteriori, rivivono in essi come la causa rivive nei suoi effetti, come il germe rivive nell'albero e nei frutti. Mi spiegherò con un esempio.

Il conoscere come ed in qual modo Costantino fosse riuscito a fuggi-re da Nicodemia, ove la sospettosa vigilanza di Galerio lo teneva in ostag-gio; con quali arti e mezzi fosse egli riuscito a sbarazzarsi dei suoi emuli ed avversari; quale fosse stato il suo modo di comportarsi in famiglia; perché abbia ordinato la morte del figlio Crispo; se la sua conversione sia stata sin-cera o dettata da calcolo politico - tutto ciò potrà forse eccitare la curiosità di un ricercatore volgare, di un raccoglitore di aneddoti storici, ma non ri-chiamerà certo l'attenzione del pensatore e del filosofo della storia. Si tratta invero di fatti e di notizie che poca importanza hanno ai fini della scienza storica e

45

che potettero tutto al più interessare i contemporanei di Costantino, senza estendere la propria efficacia sui susseguenti avvenimenti storici. Invece l'ordinamento politico dell'Impero operato da Costantino, le costituzioni imperiali da lui pubblicate; la fondazione di Costantinopoli ed il trasferi-mento ivi della sede imperiale, il riordinamento amministrativo da lui opera-to, la pubblicazione dell'Editto di Milano, la convocazione da Costantino fatta del Consiglio di Nicea, le deliberazioni in quel Concilio adottate dai Padri, i principii politici e religiosi da quello Imperatore imposti ai popoli soggetti -, questi sì son fatti di tale e tanta rilevanza storica da richiamare tutta l'attenzione dello storico; imperocché in essi e per essi si trova la spie-gazione di molti avvenimenti posteriori, poiché essi influirono e continuano tuttora ad influire sul corso dell'incivilimento mondiale alla distanza di 16 secoli. E' da quei fatti invero che derivano la cessazione delle persecuzioni e la conseguente pace religiosa, la divisione dell'impero in orientale ed occi-dentale, la fusione degli elementi della civiltà latina con le nuove idee bandi-te dal Cristianesimo, l'estirpazione dell'eresia di Ario, la quale minacciava di distruggere la compagine ancora debole della Chiesa con l'infrangere l'unità della credenza, l'abolizione della schiavitù, i grandi lavori dei Padri del IV secolo, le lotte medioevali tra la Chiesa ed il ricostruito impero di occidente, il sorgere dei comuni italiani - in una parola si spiega tutto lo sviluppo della nuova civiltà che si soprappose all'antica civiltà pagana. Ispirazione, fonti, metodo di lavoro.

Furono considerazioni di questa specie che si dovettero affacciare al-la mente di Pietro Giannone e che lo guidarono nella compilazione della sua storia.

In su le prime - l'ho già detto -, egli aveva divisato di scrivere la sola storia delle leggi del Reame; ma nel corso del lavoro s'accorse della stretta connessione tra la storia legislativa e quella politica. Scrive difatti nell'Auto-biografia: « Nel progresso del mio lavoro io conobbi che non poteva esat-tamente capirsi l'istoria delle leggi, se alla medesima non si accoppiava l'i-storia civile per sapere gli autori, le occasioni, il fine, l'uso e l'intelligenza che si era loro data, e per conoscere i vari stati, cangiamenti e costituzioni delle cose, che diedero luogo a tanti vari e molteplici cangiamenti... ».

E, fatta questa prima constatazione, si diede a frugare in tutte le

46

vecchie cronache e storie del Reame allo scopo d'illustrarne le leggi. Prose-guendo in tali ricerche si avvide che occorreva tenere eziandio conto della storia ecclesiastica, « perché, per potere tessere una esatta istoria civile, non bastava fermarsi nel solo governo dei principi, delle loro leggi e dello stato civile dei lor reami, ma bisognava conoscere l'altro nuovo impero (quello della Chiesa) nei medesimi stabilito, ma molto più nel regno di Napoli, il quale aveva quasi assorbito il civile, e, resolo, o che si riguardino le persone ovvero i beni, quasi tutto ecclesiastico. Il diritto canonico non doveva più riguardarsi come appartenenza del civile e ravvisarlo nei Codici degli impe-ratori Teodosio e Giustiniano e nelle Novelle degli altri imperatori di O-riente, ed in Occidente nei capitolari di Carlo Magno, di Lodovico e degli altri imperatori succeduti. Se ne era già fatto corpo a parte separato ed indi-pendente che, riconosceva altro monarca e legislatore, anzi emulo delle leg-gi e del diritto civile e cercava di abbatterlo e sottoporlo ai suoi piedi. Così ad emulazione delle Pandette si era veduto sorgere il Decreto; al Codice emula-vano le Decretali, alle Novelle le stravaganti e nuove collezioni di Bolle papali, ed infine alle Istituzioni di Giustiniano quelle di Paolo Lancellotto; e perché nulla mancasse alla materia feudale contrapposero la Beneficiaria... ».

Conoscendo da ciò e da altri portentosi cangiamenti che non poteva a quei dì scriversi una esatta storia, si trovò astretto ad allargare sempre più il campo della materia. Così il primitivo disegno di una storia legislativa si tramutò in quello di storia civile, la quale contenesse la completa esposizio-ne di quanto si atteneva alle leggi, alla pubblica amministrazione, al culto, alle arti, agli ordini cittadineschi ecc. Durante le sue ricerche e le lunghe meditazioni sugli aridi libri di giurisprudenza e di storia era venuto nel con-vincimento della inesattezza del concetto che in passato erasi avuto dell'uf-ficio e dei compiti della storia. Scorse che nella vita dei popoli avvi qual cosa di più intimo, di più importante, di più sostanziale che non sieno le guerre, le paci, le successioni dei principi, gl'intrighi di corte, ond'è che il terreno della storia doveva allargarsi per comprendere in esso tutto quanto ha relazione con i fattori più essenziali dell'umana convivenza. Tra questi fattori principal posto tiene il diritto, che è il fondamento della società, co-me quello che è destinato a regolare tutti i rapporti sociali, e senza del quale nessuna società potrebbe sussistere. Parte essenzialissima reputò della vita di una nazione essere le leggi da cui quella nazione è retta; è la legislazione nel senso più lato della

47

parola che si porge nella storia come lo esponente più esatto del grado di civiltà a cui è pervenuto un popolo. Ne dedusse che chi si fosse accinto a narrare le vicende delle leggi, il loro sorgere con le occasioni che le produs-sero, il loro svilupparsi e modificarsi sotto l'azione delle forze sociali in continua evoluzione e del sorgere di sempre nuovi bisogni che novelli rap-porti determinano tra gli individui, le classi sociali e tra questi, e lo Stato, avrebbe intessuta la storia stessa dello incivilimento di quella determinata nazione.

La civiltà di un popolo non va forse commisurata alla stregua della sua coscienza giuridica? E questa coscienza giuridica non si rispecchia forse nelle leggi, da cui nelle diverse fasi della sua evoluzione quel tal popolo è governato? E' quindi lo studio della legge, come ben si avvisa il Ferrari, che primo deve rilevare il moto sconosciuto delle umane generazioni. Ma il Giannone non si arrestò alla sola storia delle leggi; imperocché egli avvisò che insieme con le leggi sono i costumi, le tradizioni, le arti, le scienze, la religione con il relativo culto, gli ordini cittadineschi che concorrono a for-mare il carattere specifico di un popolo, d'una nazione; e che per conse-guente, essendo tutti questi svariati fenomeni sociali altrettanti fattori del-l'umano incivilimento, deve lo storico di essi ugualmente occuparsi.

Compito immenso, impresa così ardua da fare tremare le vene ed i polsi. Eppure il grande giureconsulto non si sgomenta e procede nel suo immane lavoro e riesce in fine dopo un ventennio a venirne a capo.

La « Storia del Regno di Napoli ».

Ed occorreva davvero la vastissima dottrina del Giannone per tocca-re la meta; giacché egli incarnava il vero tipo del giureconsulto, la cui cultu-ra deve essere universale. Non è forse il diritto quella tale proporzione reale e personale, secondo la definizione dell'Alighieri, chiamata a regolare tutti i rapporti sociali come misura delle umane utilità? E se è così, tanto maggiore e tanto più efficace diverrà la scienza del giurista quanto più la sua mente sarà ricca della cognizione dei termini, tra i quali va stabilita la proporzione. Verità questa già intraveduta dal romano giureconsulto, quando definiva la giurisprudenza divinarum ac humanarum notitia, fusti atque injusti scientia.

Vediamo ora come il Giannone espone il proprio programma nella Introduzione:

48

« L'Istoria che io prendo a scrivere non sarà per assordare i leggitori con lo strepito delle battaglie, col rumore delle armi, che per più secoli la rendevano miserabil teatro di guerra; e molto meno per dilettare colle va-ghe descrizioni... altri questo ufficio ha fornito. Sarà la mia Istoria tutta civile; e perciò, se io non vado errato, tutta nuova, ove della polizia di sì nobil reame, delle sue leggi e costumi partitamente tratterassi: parte la quale veniva desiderata per intiero ornamento di questa sì illustre e precla-ra regione d'Italia. Conterrà nel corso di poco meno di quindici secoli i vari stati e cambiamenti del suo governo civile sotto tanti principi, che dominarono, e per quanti gradi infine giungesse a quello in cui oggi la veggiamo: come variossi per la polizia ecclesiastica in essa introdotta e per i suoi regolamenti: quale uso ed autorità ebbonvi le leggi romane durante l'impero, e poi come declinassero: le loro obblivioni e rischiaramenti e la varia fortuna delle tante altre leggi introdotte poi da varie nazioni: le ac-cademie, i tribunali, i giureconsulti, le signorie, gli uffici, gli ordini ».

Ma oltre tutta la sopra cennata materia, faceva uopo discorrere delle relazioni intercorse fra la Chiesa e lo Stato per duplice ragione: 1°) Perché la Chiesa, avanzando pretese di dominio sul Reame di Napoli fin dal tem-po della caduta dei Longobardi, era pervenuta ad estendere poco a poco la propria influenza nella politica dello Stato napoletano, di questo usurpan-do alcune delle più essenziali funzioni, ed esercitando così, sotto forma coperta, oltre il potere spirituale, anche quello temporale; 2°) Perché il clero regolare e secolare mercè i lasciti dei fedeli erasi impadronito della maggior parte della proprietà terriera, con grave danno della pubblica e privata economia. « Lo Stato ecclesiastico, continua a dire il Giannone, gareggiando il politico e temporale dei principi, si è per mezzo dei suoi regolamenti così forte stabilito nell'imperio e cotanto in quello radicato e congiunto, che ora non possono perfettamente ravvisarsi li cambiamenti dell'uno senza la cognizione dell'altro. Quindi era necessario vedere come e quando si fosse l'ecclesiastico introdotto nell'imperio, e che di nuovo arrecasse a questo Reame: il che di vero fu una delle più grandi occasioni del cambiamento del suo stato politico e temporale; e quindi non senza stupore scorgerassi, come, contro a tutte le leggi del governo, abbia potu-to un imperio nell'altro stabilirsi; e come sovente il sacerdozio, abusando la divozione dei popoli ed il suo potere spirituale, intraprendesse sopra il governo temporale di questo Reame: il che fu rampollo delle tante con-troversie giurisdizionali, delle quali sarà sem-

49

pre piena la Repubblica cristiana, e questo nostro regno più che altro ». A chiarimento delle su riportate parole va rammentato che fin dai

tempi delle donazioni territoriali fatte da Pipino e Carlo Magno ai Papi, questi pretesero, contrariamente a quanto risultava dagli stessi atti di do-nazione, esercitare una specie di alto dominio sulle terre di quella estrema parte d'Italia, che nel secolo XI obbedivano all'impero greco e alle signo-rie longobarde di Capua, Salerno e Benevento e che dopo la conquista normanna alla morte di Roberto Guiscardo, si erano riunite, congiunta-mente alla Sicilia, sotto lo scettro di Ruggero, formando il reame delle Due Sicilie - la più vasta aggregazione politica costituitasi in Italia dopo la caduta dell'impero romano. Questa pretesa della Curia Romana diede ori-gine alla lotta giurisdizionale nell'Italia meridionale fra la potestà civile e quella ecclesiastica - lotta che si protrasse per sette secoli e che ebbe ter-mine sul finire del secolo XVIII poco prima nella Rivoluzione Francese. A tale lotta presero parte essenzialmente i giureconsulti meridionali, i qua-li tennero nella loro grande maggioranza le parti dello Stato contro le pre-tenzioni della Curia Romana, onde acquistare l'appellativo di anticurialisti.

La classe dei giureconsulti fu nell'Italia meridionale sempre ed in ogni occasione la più benemerita fra le classi sociali. Furono i giureconsul-ti che nella lotta del medio-evo e nei primi secoli dell'era moderna tennero accesa la fiaccola della civiltà e contrastarono non pure le pretese della Curia Romana ma anche quelle della feudalità. L'opera loro fu sempre in-spirata ai principii del diritto romano, la cui tradizione nel Mezzodì d'Ita-lia non fu mai spenta, anche nei tempi infausti del barbaro dispotismo dei Longobardi. I nostri giureconsulti, a far capo della epoca Normanna e fino agli ultimi re di Casa Borbone, spesero la loro opera nella formazione delle varie legislazioni, cui andò soggetto il Reame, lasciando impressa in quelle l'impronta del loro spirito illuminato, dei sensi di alta umanità e della civile sapienza di cui era ricca la loro mente in secoli d'ignoranza e di rozza barbarie. L'Italia meridionale ricorderà sempre con sentimento di viva gratitudine i nomi di Pier delle Vigne, di Roffredo Beneventano, di Andrea Bonello, di Biagio da Morcone, di Luca di Penne, di Bartolomeo da Capua, di Matteo D'Afflitto, di Giovannangelo Pisanello, di Marcanto-nio Polverino; i quali con i loro scritti e con l'opera prestata nella compi-lazione ed illustrazione delle leggi del regno fecero avanzare il nostro pae-se nelle vie dell'incivilimento in tempi d'ignoranza e di oscurantismo e quando il resto dell'Europa giaceva ancora immerso nella barbarie.

50

Le contese giurisdizionali cominciarono a sorgere all'epoca dei re Normanni. La lotta di carattere esclusivamente politico, e non mai di natura religiosa, è bene notarlo, si acuì e divenne asprissima sotto la Casa Sveva; quietò durante la signoria degl'Angioini, per la ragione che, essendo questi re debitori del loro male acquistato dominio alla potenza dei pontefici, pie-gavano sempre docilmente di fronte alle pretensioni di Roma; si ridestò la lotta al tempo dei re d'Aragona; continuò ma in forma blanda durante il vicereame spagnuolo ed il dominio successivo degli imperatori tedeschi; tornò ad acuirsi ed assunse forme violenti sotto il regno di Carlo III di Borbone e la prima parte del regno di Ferdinando IV, essendo ministro il grande uomo di Stato Bernardo Tanucci, che abolendo la Chinea, tolse l'ul-timo vestigio di sottomissione del Regno alla Curia Romana.

Verifichiamo ora, in modo rapido, e per così dire telegrafico, come il Giannone sviluppò nella sua opera il programma che aveva tracciato nella Introduzione.

In conformità al metodo storico-critico, adottato dall'autore, ad ogni periodo storico è premesso un breve racconto, il quale serve di base, di so-strato alla esposizione susseguente delle leggi e delle altre istituzioni, di cui è tessuta la istoria e fatta la illustrazione, la discussione e la critica.

Nel L. I il Giannone riepiloga la storia dell'impero da Ottaviano Au-gusto a Costantino, descrivendone la forma ed esponendone la costituzio-ne. Accenna allo stato delle città d'Italia e delle altre provincie dell'Impero, alle leggi in esse imperanti, a' Codici Ermogeniano e Gregoriano ed alle accade-mie della parte occidentale ed orientale. Si sofferma a discorrere del sorgere e del diffondersi della religione Cristiana, e toglie da ciò opportunità per descrivere la costituzione della Chiesa primitiva, la gerarchia ecclesiastica, l'elezione dei ministri, la convocazione dei Concili, i diritti di questi, le deci-sioni adottate dai padri in questi Concili.

Nel II Libro ha inizio la vera e propria storia del Reame. Il Giannone piglia le mosse dal tempo di Costantino, descrivendo l'organizzazione poli-tica e giudiziaria da questo imperatore stabilita con particolare riguardo al-l'Italia meridionale. Pone in rilievo come da Costantino in poi si andò gra-datamente allargando il contenuto del diritto romano, sia per le nuove co-stituzioni emanate dagli imperatori, sia per la crescente influenza della Reli-gione Cristiana, la quale adduceva nell'impero nuove idee e nuovi costumi. Ragiona poscia dei giure-

51

consulti del tempo; parla delle accademie e della loro fortuna e della poli-zia ecclesiastica del IV e del V secolo. Narra il sorgere del monachismo in occidente e si occupa degli acquisti che già il clero cominciava a fare nelle provincie meridionali e delle prerogative che il clero veniva gradatamente acquistando a detrimento della podestà civile, fra le quali prerogative an-novera quella del privilegio del foro che i chierici ottennero per le cause nelle quali erano interessati.

Il L. III è dedicato intieramente alle conquiste dei Goti, alle rela-zioni intercorse fra questi barbari ed i romani pontefici, all'amministra-zione ed alla organizzazione politica da essi stabilita in Italia e alla esposi-zione ed illustrazione delle leggi gotiche (Editti di Teodorico e di Atalari-co).

Di non lieve importanza sono i L. IV, V, VI, VII ed VIII, nei quali il Giannone tesse la storia della lunga dominazione dei Longobardi.

I Longobardi lasciarono più compilazioni delle loro leggi che il Giannone studiò, primo tra tutti i giureconsulti, con molta cura. Fra que-ste raccolte la più completa è quella intitolata Editto di Rotari, di cui il Giannone fa una larga esposizione, lodandone alcune parti. Il nostro au-tore partecipava l'opinione del Machiavelli e del Muratori, i quali avevano asserito che i Longobardi, dopo una lunga dimora di oltre due secoli, ave-vano finito coll'affratellarsi con i vinti italiani, adottando di costoro idee e costumi, tanto che di due popoli se n'era fatto uno solo, allorché Carlo Magno, sceso in Italia, aveva posto fine alla dominazione longobardica.

Contro questa opinione, la quale era comunemente accettata dagli scrittori di storie fino alla prima metà del decorso secolo, insorse un altro grande storico giureconsulto meridionale, Carlo Troya. Il quale, studiando nell'anno 1831 nell'Abbadia di Cava dei Tirreni le leggi tutte dei Longo-bardi, e cioè non il solo editto di Rotari, ma anche le leggi dei Re succes-sori, Grimoaldo, Liutprando, Rachis ed Astolfo, pervenne a fare alcune importanti scoperte, sfuggite, oltre che al Giannone, anche 'a posteri ri-cercatori, Pellegrino, Pratillo e Mabillonne cioè la parte inedita del Codice longobardico, la Cronaca di Rotari che quel Codice precede e finalmente un Glossario, che spiega e chiarisce l'Editto stesso. In base allo esame appro-fondito da tutti questi documenti il Troya pervenne alle seguenti conclu-sioni: « che i Longobardi, popolo più feroce e più rozzo degli stessi Goti, avevano inaugurato in Italia un dominio peggiore di tutti gli altri barbari che li

52

avevano preceduti e di quello dei Franchi che li avevano sostituiti; che lungi dall'affratellarsi con i vinti, dei quali non avevano rispettato né co-stumi, né credenze, né proprietà avevano con la violenza imposta alle mi-sere popolazioni conquistate le leggi e le costumanze dei vincitori, abo-lendo l'uso pubblico del diritto romano; che gli abitanti di quella parte della penisola dai Longobardi conquistata erano stati con la forza incor-porati nella cittadinanza Longobardica ed in alcuni luoghi ridotti perfino alla condizione aldionale o servile di coloni e costretti a lavorare per man-tenere i loro conquistatori; che infine le leggi longobardiche avevano avu-to carattere territoriale e non già personale ». In base agli accertamenti fatti dal Troya rimaneva sfatata la leggenda dapprima creata dal Machivelli e poi accredita dagli storici posteriori: e cioè che al tempo della discesa di Carlo Magno i Longobardi non erano più tali che di nome, e che se l'ope-ra di fusione tra vinti e vincitori già operata non fosse stata interrotta dal-le vittorie dei Franchi, l'Italia si sarebbe composta ad unità di nazione fino dal IX secolo. Ebbene noi ammettiamo che forse, se l'elemento longobar-dico fosse prevalso e questi barbari avessero potuto assoggettare al loro dominio anche le città di Roma, di Napoli, e di Amalfi e di Venezia, che seppero tenersi indipendenti, l'unità d'Italia si sarebbe tramutata in una vasta colonia germanica; noi avremmo perduta l'impronta del genio latino, il diritto romano, soffocato dalle leggi e dalle costumanze longobardiche, sarebbe rimasto una semplice storica reminescenza; la epoca gloriosa dei comuni non sarebbe mai spuntata; in fine noi non avremmo dato al mon-do la pleiade di letterati, scienziati ed artisti che caratterizzano l'epoca glo-riosa del rinascimento. I popoli, come gli individui, non vivono di solo pane. Al di sopra del bisogno del ventre e di quelli della sensualità vi sono altri bisogni ed altre aspirazioni assai più alte e assai più nobili, a cui i po-poli non possono rinunziare, sotto pena di scomparire dalla storia della civiltà. L'unità e la libertà sono beni che non si ricevono a titolo gratuito, ma che ogni popolo, degno di questo nome, deve conquistare con lunghi e penosi sacrifizi, a prezzo di sudore e di sangue.

Nei successivi libri il Giannone, sempre tenendo lo stesso ordine, fa la storia della conquista normanna, delle leggi promulgate dal Re Ruggero e successori. Narra le vicende e la varia fortuna della Casa Sveva, soffer-mandosi lungamente su Federico II e fa l'esame delle Costituzioni che prendono il nome da questo imperatore, ma che furono opera sapiente del suo segretario Pier delle Vigne, filosofo, let-

53

terato, politico e giureconsulto insigne, che nella compilazione ebbe validi collaboratori gli altri due giureconsulti napoletani Roffredo Beneventano e Taddeo da Sessa. Questo codice, mirabile monumento di sapienza legi-slativa, se si tiene conto del tempo in cui venne formato, servì di guida e di base alle altre legislazioni dell'Europa occidentale durante il basso me-dio-evo.

Prosegue il Giannone facendo la storia della conquista angioina e poi di quella aragonese, esaminando i Capitoli dei Re d'Angiò e le Prammati-che dei Re di Aragona, e discorrendo dei giureconsulti chiosatori del tem-po Andrea d'Isernia, Sebastiano Napodano, Giovannangelo Pisanello, Giacomo Agnello De Bottis e Marcantonio Polverini. Narra in seguito la storia dolorosa del lungo sgoverno vice-reale spagnolo, che del fiorente reame di Napoli fece nel corso di oltre due secoli una regione misera e deserta, e dei successivi governatorati degli imperatori tedeschi fino al-l'anno 1700, con cui l'opera si chiude.

Novatore della scienza storica.

Da questo rapido e fugace cenno si rende manifesto che il Gianno-ne nel compilare la sua opera s'inspirò a criteri del tutto nuovi, i quali non erano stati nemmeno lontanamente intraveduti dagli storici precedenti. Egli quindi innovò profondamente l'organismo della storia, la quale mercè la sua sapiente iniziativa assurse all'altezza di scienza sociale. Il Gibbon nella sua Storia della decadenza dell'impero romano, il Guizot nei suoi la-vori sulla Storia dell'incivilimento in Francia ed in Europa, il Buckle nella sua Introduzione alla Storia dell'incivilimento in Inghilterra ebbero il loro procursore in Pietro Giannone; come da altro lato l'Herder, lo Schelling e l'Hegel ebbero precursore il Vico nella filosofia della storia.

Ed al Giannone spetta ancora un altro merito che da nessuno fu avvertito. Egli infatti sparse i germi di una novella scienza, sorta nella prima metà del decorso secolo ed alla quale è legato il nome di un altro grande italiano, Americo Amari; vò dire la scienza delle legislazioni com-parate. Difatti come sarebbe stato possibile la creazione della scienza delle leggi comparate, senza il sussidio della storia della legislazione? E' la storia delle leggi apparse nel passato che appronta la materia prima, su cui poi deve lavorare lo scienziato, che dallo studio delle leggi di un popolo o di vari popoli ascende a una teorica del gius universale e da questa poi alla scienza delle legislazioni comparate,

54

per costruire quel modello ideale di pubblico ordinamento, verso del qua-le tendono incessantemente le società umane, cercando di raggiungerlo o almeno di avvicinarlo: - modello ideale che il Romagnosi appellava "Idea dell'Ottimo Civile", la quale idea serve di norma e di regola nella scelta e nei paragoni delle leggi e di criterio fondamentale a tutta la filosofia civile.

Se i critici del Giannone ne avessero studiata la mente da questi punti di vista, non crediamo che sarebbero potuti arrivare alla conclusio-ne, alla quale pervennero: cioè che il Giannone è nient'altro che un insul-so copista, un raffazzonatore di vecchie cronache napoletane. La parte narrativa, alla quale si riferiscono i brani che l'autore della Storia Civile tol-se dai cronisti e storici napoletani che lo avevano preceduto, a lui serviva soltanto di base, di sostrato, o meglio ancora di cornice, nella quale in-quadrava la storia delle leggi e delle altre pubbliche istituzioni, oggetto principale ed essenziale del suo lavoro, come egli stesso aveva chiaramen-te indicato nella Introduzione. Se quindi il Giannone preferì riportare te-stualmente quei brani nella sua opera, anziché parafrasarli ed abbellirli, come aveva fatto il Machiavelli delle opere di Poggio e di Messer Lionar-do d'Arezzo, ciò nulla toglie al merito grandissimo del Giannone come giureconsulto politico e filosofo della Storia. Ma che colpa è questa? « Si crede forse che egli voleva farsi bello di poche narrazioni del Summonte, del Parrino, del Porzio e di altri, e non si vede chiaro che egli di questa parte storica esteriore e politica non si curava ed attendeva ad altro... ma sia anche colpa, abbia anche rubate alcune pagine ad altri storici: doveva-no accusare lui di furto coloro che possedevano due terzi della proprietà fondiaria, ed il mondo sa in qual modo? Queste sono accuse ridicole e da frati » (Settembrini).

Vittima della « plebe dei letterati ed avvocati ».

E' una dolorosa verità, provata dal testimonio incensurabile della storia, che quasi tutti coloro, che a ben fare posero gl'ingegni e potettero uscire della volgare schiera con la sola forza del loro merito personale, furono vittime espiatrici della gelosia e della rivalità dei loro emuli e con-correnti. Fu la invidia, questa meretrice dagli occhi putti, che tolse il favo-re di Federico II a Pier delle Vigne e cagionò la rovina e la morte del grande giureconsulto ed uomo di Stato; furono le arti vili e malvage dei competitori che cacciarono nell'esilio Dante

55

e condannarono a vivere ed a morire nella miseria Torquato Tasso e Giambattista Vico; furono gl'invidiosi della bella fama acquistata da Gali-leo Galilei e Gianvincenzo Gravina che denunziarono il primo come sa-crilego e ne procurarono la condanna e l'onta della ritrattazione, e tolsero la cattedra di legge al secondo, quella cattedra che il grande calabrese ave-va illustrata con le sue dotte lezioni per ben 15 anni; fu la invidia che in-chiodò per 29 anni nel fondo di un orrido carcere fra Tommaso Campa-nella e ridusse all'estrema indigenza Giangiacomo Rousseau; fu la bassa gelosia di un Nelson che fece morire appiccato ad un'antenna della nave ammiraglia napoletana "Minerva" il nostro grande, il nostro glorioso am-miraglio Francesco Caracciolo. Certo l'abuso del potere, la tirannide di governi assoluti, spesso mal intesi interessi politici e talvolta anche intri-ghi donneschi furono gli strumenti che compirono l'opera di iniquità; ma la causa prima di siffatte iniquità fu sempre la malevolenza, la gelosia a-crosa, l'invida rabbia dei mezzi ingegni, delle mezze coscienze, che sen-tendosi incapaci di emulare quei grandi, vollero per vie tortuose sbaraz-zarsi dei temuti rivali e concorrenti. E questa triste sorte toccò pure a Pie-tro Giannone.

E' il Giannone che parla nelle sue memorie autobiografiche: « Alla plebe dei letterati ed avvocati tutto ciò (accenna agli elogi che al primo comparire dell'opera gli venivano pubblicamente fatti) recò invidia; e con lividi occhi cominciarono a leggere la mia opera, notando attentamente soltanto quello che nei capitoli della polizia ecclesiastica sembrava loro strano, poiché ignari della origine di questo stato, come essi lo avevano trovato, e sentendo da profondi, e dotti uomini lodare la mia opera, ciò aguzzò maggiormente l'invida loro maldicenza. Quei medesimi [intende i suoi colleghi] che prima per la mia vita ritirata mi avevano dato il sopran-nome di "solitario Piero", ora, dimentichi della mia solitudine nel corso di tanti anni, cominciavano a dire che io non poteva essere da solo l'autore di una si voluminosa e laboriosa opera, ma che altri mi avesse sommini-strato aiuto e la materia, chi nominando l'Argento, chi Ausilio, chi altri miei amici... E come se nella mia opera non si trattasse altro che della ec-clesiastica polizia, cominciarono a malmenare alcuni miei detti da essi non intesi, anzi ad altri falsamente esposti con animo di calunniarmi e farmi cadere nell'odio di tutti, specialmente dei preti e dei monaci, come otten-nero ». Queste infami e vilissime arti non tardarono, come suole in siffatti casi intervenire, a produrre i loro malefici effetti.

Infatti, pubblicata l'opera nel marzo 1723, il nome di Pietro Gian-

56

none è sulle labbra di tutte le persone colte: le lodi e gli elogi allo autore fioccano da ogni parte. Gli Eletti della Città, il Consiglio Comunale di quel tempo, si adunano ed in segno di gratitudine, come leggesi nella rela-tiva deliberazione, nominano il Giannone avvocato ordinario della Città di Napoli, e gli decretano un dono in argento del valore di ducati 135. L'au-tore dell'Istoria Civile ha il cuore ricolmo di gioia; egli è sul punto di racco-gliere il frutto del lungo ed aspro lavoro e dei gravi sacrifici durati per venti anni; la sua fronte sta per cingersi dell'aureola della gloria. Ma non trascorrono che appena due settimane e la scena muta rapidamente: le lodi si cambiano in biasimi e vituperi, il favore popolare si trasforma in odio, ed in breve i lieti onori stanno per volgersi in tristi lutti. Che mai accade-va?

I frati napoletani, senza neppure avere letta l'opera del Giannone - e del resto, se anche l'avessero letta, nella loro rozza ignoranza non l'avreb-bero nemmeno capita - abilmente sobillati dai miserabili legulei di Castel Capuano, invidiosi della recente gloria del loro collega, avevano dai pulpiti delle loro Chiese iniziata la crociata contro quello, additandolo come scempio, concubinario, nemico della religione e dei suoi ministri e perciò degno dei peggiori castighi. La plebe napoletana, eccitata nel suo fanati-smo religioso, è in subbuglio, perché in città si fa correre la voce che S. Gennaro, irritato a causa della pubblicazione della Storia Civile, non avreb-be in quell'anno rinnovato il miracolo, e ciò avrebbe apportato delle cala-mità al Reame. In vano la parte illuminata del Clero - è giustizia ricono-scerlo - cerca calmare la bufera che si fa sempre più minacciosa; invano il dotto Cardinale Althan, che in quel tempo copriva la carica di Vicerè, prende sotto la sua protezione il Giannone e si affretta ad impartire ai capi dei conventi l'ordine perentorio di vietare ai loro frati di occuparsi del Giannone e della sua opera; invano con un atto di energia, raro a quei tempi, si spinge per fino a fare arrestare e ad espellere da Napoli un pre-dicatore Gesuita, che più di tutti gli altri imperversava dal pulpito ed at-tizzava il fuoco dell'odio popolare. La tempesta ingrossa sempre più ed un tumulto popolare sta oramai per scoppiare. Davanti alla mente del Cardi-nale si prospetta terribile il dilemma: o condannare lo scrittore, che egli sapeva innocente, per dare soddisfazione ai frati ed alla plebe di Napoli, ovvero soffocare nel sangue la sommossa, che si minacciava. L'animo no-bile ed elevato del porporato rifugge però da entrambi questi estremi: egli adotta l'unico partito possibile e degno d'un galantuomo per uscire da una situazione così difficile e scabrosa.

57

Fa segretamente da persona di sua fiducia chiamare a sé il Giannone; e trat-tolo in luogo appartato, consegnandogli un passaporto in antecedenza pre-parato, gli dice: « In nome di Dio, Don Pietro, partite sollecitamente, lascia-te Napoli senza indugio: solo così potete risparmiare a voi e a noi una tre-menda sciagura ».

La notte seguente il Giannone di soppiatto partiva; egli fuggiva come un delinquente da quella città, ove aveva trascorso nel lavoro, confortato dall'amore di una vaga fanciulla, gli anni migliori della sua vita. Il maleficio ordito dai suoi invidiosi colleghi era ormai compiuto. Gli gnomi di Castel Capuano avevano avuto partita vinta; essi esultavano di malvagia gioia, fatti oramai sicuri che il gigante, che li aveva tenuti nella penombra per tanti an-ni, era oramai scomparso dalle aule giudiziarie napoletane.

A quella fuga seguirono il lungo esilio in terra straniera, poi l'infame tranello teso al Giannone dal Castaldo di Ginevra, la cattura illegittima di Vesnà, il martirio di dodici anni di prigionia e finalmente la morte, senza il conforto nelle ore estreme dell'assistenza affettuosa della compagna della sua giovinezza e del diletto figliuolo.

Nell'augusto Collegio di spiriti magni. Pietro Giannone fu in tutta la sua vita, come la maggior parte dei giu-

reconsulti e pensatori del Mezzogiorno, un'idealista, un grande idealista; e ciò forse, anzi senza forse, contribuì alle sventure che funestarono la sua vita. Ma è appunto questa nobile qualità dell'anima sua che costituisce il titolo più fulgido della sua gloria.

Sì, è questo il titolo più grande che lo raccomanda alla riconoscenza della Nazione. Non sono forse gl'idealisti, gli utopisti, i sognatori, gl'ideolo-gi, come con aria di disprezzo li chiama il volgo dei mestieranti della politi-ca, i propulsori più efficaci e più validi dello umano progresso? Sì, sono essi, - e non già i così detti ben pensanti, gli eterni soddisfatti del presente, i cacciatori di ricchezze, di pubbliche cariche e di uffici lautamente retribuiti -, che spingono la Società nelle vie dell'incivilimento. Essi furono in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni fase dell'evoluzione sociale, sotto qualunque forma di governo una esigua minoranza. Ma è precisamente questa eletta e sparuta minoranza che trascinò i popoli alle grandi provocazioni, che si fece centro delle più nobili e memorande iniziative, che spinse, loro malgrado, le moltitudini riluttanti al compimento di tutte le innovazioni,

58

di tutte le sociali trasformazioni, a fare capo dai primi aggregati umani, dall'età dei clans fino al tempo presente. Furono questi sognatori, questi utopisti della minoranza, questi sprezzati e derisi ideologi che infransero con le opere dell'ingegno e con l'azione le catene di tutte le tirannidi, che affrancarono il pensiero dai ceppi delle immobili tradizioni, che tramandarono, sovente a prezzo del loro sangue e della loro libertà, accresciuto il patrimonio delle grandi idee morali, dei magnanimi esempi di disinteresse, di coraggio e di eroismo alle venture generazioni, a somiglianza dei cursori del circo qui vitae lampada tradunt. Dal lampo di Prometeo, fatto inchiodare alla rupe della Scizia, alla tazza di cicuta di Socrate; dalla tragedia politico-sociale dei fratelli Caio e Tiberio Gracco, fatti assassinare dal Patriziato romano quali colpevoli di avere volute le leggi agrarie, alla tragedia giuridica di Emilio Papiniano, il quale all'onta di dovere in Senato giustificare con la sua eloquenza il fratricidio, come da lui pretendeva l'imperatore Caracalla, preferisce la morte e spira la grande anima col distico di Giovenale sulle labbra: Turpe crede nefas animam praeferre pudori ecc.; dai primi assertori della Buona Novella, dati dalla ferocia imperiale in pasto alle belve nei circhi di Roma e che corrono sereni al supplizio, a Domenico Cirillo ed Emmanuele De Deo, che sdegnosamente rifiutano la grazia fatta offrire loro da Ferdinando IV di Borbone e da Maria Carolina d'Austria e salgono imperterriti sulle forche; furono sempre questi grandi e disinteressati idealisti che crearono lo umano incivilimento. Essi segnano come le pietre miliari le varie tappe percorse dall'umanità sulla strada del progresso, sempre irta di triboli e di spine ed irrorata di sangue generosamente sparso; le idee da essi propugnate e spesso fecondate col loro sangue, i sacrifici compiuti in pro della collettività, quanto essi compirono e soffrirono per la santa causa della verità, della scienza, della libertà, del benessere morale ed economico dei popoli, forma il poema divino della educazione del genere umano. Questi eletti della minoranza, consci che l'odio è sterile e finisce per estinguersi senza lasciare eredi, dove che l'amore è sempre fecondo e si perpetua nelle generazioni future, vissero d'amore, nulla mai chiedendo per sé, tutto agli altri donando, e passarono beneficando. Tutti i valori della loro vita individuale subordinarono al bene della comunanza; il loro io personale, se è lecito così esprimersi, confusero, annegarono nell'io più grande, nell'io più nobile, più alto - l'io collettivo. E se loro potesse domandarsi quale premio, quale gloria abbiano mai sperato e vagheggiato, operando come operarono, soffrendo

59

come soffrirono, essi vi risponderebbero per bocca di uno dei più grandi di loro, l'Apostolo delle genti: La nostra gloria, il nostro premio è la testimonianza della nostra retta ed intemerata coscienza.

Il titolo più fulgido della sua gloria.

Pietro Giannone tiene degno posto in questo augusto collegio di spiriti magni.

Avvocato fra i migliori del foro napoletano di quel tempo, avrebbe potuto ammassare ricchezze ed aspirare col suo ingegno e con la sua cultura alle più alte cariche del Regno come il suo maestro Gaetano Argento. Preferì invece la vita ritirata, la solitudine, che è la vera scuola delle età e delle istituzioni dei tempi trascorsi, attendendo al lavoro forense quel tanto che era strettamente indispensabile a procurargli i mezzi di vivere. E nello studio diurno e notturno divenne grigio innanzi tempo in servizio della scienza e per giovare alla causa dei miseri suoi concittadini, oppressi da una doppia più volte secolare servitù, politica ed ecclesiastica. Ne fu rimeritato con la più vile e scellerata persecuzione, che si protrasse contro il suo nome oltre la tomba, con l'esilio, col carcere.

Chiuso nell'orrida muda della cittadella di Torino, l'animo suo non si abbattè e sopportò con coraggio e serenità l'immeritata sciagura. Senza il soccorso di libri, vigilato da tristi e spietati carcerieri, potette nei dodici anni di cattività scrivere quattro opere, circa venti volumi di manoscritti, e cioè: La Chiesa sotto il pontificato di S. Gregorio Magno, I Discorsi su Tito Livio, Le memorie autobiografiche, Delle dottrine morali e teologiche dei Padri della Chiesa.

Di queste opere alcune rimangono tuttora inedite, sebbene contengano tesori di notizie storiche e di civili insegnamenti, come attesta Giuseppe Ferrari che ebbe la fortuna di leggere i manoscritti.

Nella solitudine del carcere, segregato quasi dal mondo, divinò il futuro riscatto della Patria dalla straniera dominazione, la nostra unità nazionale, la grandezza della terza Italia sotto il governo di quella Casa di Savoia, della quale in quel tempo egli era prigioniero.

E' questa la più fulgida, la più alta, la più nobile caratteristica del genio: precorrere i tempi, divinare il futuro. L'uomo di genio, io non so per quale misterioso disegno della Provvidenza, ha il dono della premonizione, che lo fa giungere al più eletto, al massimo sapere che rasenta il miracolo: antivedere l'avvenire. Egli, quasi nunzio del

60

Cielo, talvolta nell'economia della vita sociale adempie la funzione di gittare un acuto e rapido sguardo nelle oscure profondità del tempo avvenire, infrangendo lo spesso e fitto velame che separa l'oggi dal domani, il secolo presente da quello che gli succederà, ciò che è formato e compiuto da ciò che è ancora in formazione ed in evoluzione; e così perviene a divinare il corso degli avvenimenti storici e le future scoperte ed invenzioni della scienza.

Tale divina caratteristica splende maggiormente negli uomini di genio dell'Italia meridionale, come è provato, oltre che dagli scritti del Giannone, dalle opere del Bruno, del Serra, del Campanella; e maggiormente rifulge poi nel Vico, che Giuseppe Ferrari con frase felicissima disse che nel secolo XVIII rappresentò in miniatura il successivo secolo XIX; ed in Cataldo Iannelli, il quale precorse di un cinquantennio circa Augusto Comte ed Erberto Spencer nello stabilire e determinare il compito, i problemi e financo il metodo della sociologia, della quale preconizzò il nascimento, profetizzando che il secolo XIX sarebbe stato per la scienza sociale quello che per le scienze della natura fu il secolo XVI. Laonde ben a ragione un altro pensatore, nato anch'esso nel Mezzogiorno d'Italia, Giovanni Bovio, ebbe a dire che il genio meridionale è precorrente, dove che il genio nordico è perficiente: l'uno divina, l'altro porta a compimento.

Pietro Giannone ebbe fra le altre sventure, che su di lui si abbatterono, anche quella postuma di avere avuto, come si direbbe con una espressione oggi corrente in piazza, una cattiva stampa. Imperocché la maggior parte di coloro che scrissero di lui e delle sue opere erano o accecati di odio partigiano, ovvero dominati dalla sciocca vanità di apparire ipercritici sagaci e giudiziosi. Ma la verità non tarderà a farsi strada, perché essa, come diceva il Romagnosi, è la più forte delle cose.

Io ho fede fermissima che, quando saranno chetate le dissenzioni e le discordie che lacerano il cuore della Patria, e gl'Italiani avranno acquistato una migliore coscienza di sé ed una maggiore cultura storica, secondo il voto di Ugo Foscolo, essi benediranno il nome di Pietro Giannone, come quello di uno dei più benemeriti scrittori nostri e che fu pure un nobile martire della verità, della giustizia e della libertà.

MAURO DEL GIUDICE

Roma, 1925.

61

Genesi del movimento francescano

in San Giovanni Rotondo

Oggi, come non mai, il nome di San Giovanni Rotondo - fino a po-chi anni addietro borgata remota dal mondo, dispersa sulla sacra monta-gna garganica - ha attraversato Continenti ed Oceani, mantenendo vivi, nel rinnovato mistero delle Stimmate sul corpo del Fraticello da Pietrelci-na, fin nelle più lontane lande della terra, il sentimento della fede santifi-catrice, la fiamma vivificatrice dell'amore e la speranza di un avvenire mi-gliore nella fraterna convivenza degli uomini.

E' il nome di questa cittadina, sulla quale si accentrano le attenzioni, talvolta critiche, bene spesso mistiche, ma pur sempre rispettose dell'arca-no che quivi si è andato compiendo nel corso di quest'ultimo secolo, che al presente si aggiunge, quale fulgida gemma, agli altri pieni di storia e di santità, che fanno parte dello Sperone d'Italia e costituiscono il territorio soggetto alla sede metropolitana di Manfredonia: Merinum (Merino), A-peneste (Vieste), Matinum (Mattinata), Uria ed ancora la gloriosa Monte Sant'Angelo, che - assieme a Tours, Compostella e Bari - fu méta dei pel-legrini cristiani, provenienti dalle Nazioni più lontane, fin dall'alto medio-evo, per adorare Iddio, che volle santificare questa inaccessibile, brulla e pietrosa montagna con il culto dello Arcangelo Michele, in ideale analogia col monte Sinai. Né si potrà passare sotto silenzio il nome famoso e sfor-tunato di Siponto al quale, principalmente, è legata l'evangelizzazione di queste popolazioni ed il cui titolo arcivescovile rivive oggi nella persona del suo centoventiduesimo Pastore.

I sipontini testimoniarono il Vangelo del Cristo già ai tempi delle perse-cuzioni ordinate dagli imperatori Massimiano e Gallieno, mentre era Vescovo San Leone (266-293). E' incontrastata tradizione, infatti, che il primo vescovo della Sede sia stato S. Giustino, consacrato dallo stesso S. Pietro nell'anno ses-santaquattro 1.

1 UGHELLI, Italia Sacra..., t. VII, De Archiepiscopis Sypon.

65

Ben dieci vescovi di questa Sede furono proclamati Santi nei primi cinque secoli dell'era cristiana. Due pastori di Siponto, inoltre, assursero al soglio di Pietro (Gianmaria di Monte Sansovino e Fr. Vincenzo Maria Orsini) coi nomi di Giulio III e Benedetto XIII.

Nel 493 il vescovo S. Lorenzo Maiorano - che, quale luce prove-niente dall'oriente, quivi giunse dalla lontana Costantinopoli a rischiarare con la forza della fede il, fino ad allora misterioso, monte Gargano - cele-brò nel sacro Speco i Divini Misteri sull'ara già resa sacra dalla presenza arcangelica. E questo luogo, sul quale già tanto, ma mai abbastanza si è scritto, fu visitato nel corso dei secoli da moltissimi personaggi: Papi ed imperatori, re e principi, cardinali e politici, uomini di scienza e di lettera-tura, tutti vollero rendere il giusto tributo di omaggio alla terra definita santa per eccellenza 2.

E quivi volle, nel lontano 1216, innalzare pure la sua teodia il Pove-rello d'Assisi, il Santo dei santi italiani. Fu, quindi, fin da quell'epoca che in queste garganiche contrade prese a germogliare il seme del francescane-simo ed è comune tradizione che San Giovanni Rotondo fu, di questi pae-si, tra i primi che accolsero il messaggio di povertà ed amore del Serafico Padre: nelle sue immediate vicinanze fu, perciò, costruito un convento sotto il titolo di San Francesco, che, primigenio della cittadina, fu affidato alle cure dei Padri Minori Conventuali. Ad esso, dunque, come a scaturi-gine della presenza francescana a San Giovanni Rotondo, si rivolge con questo scritto la nostra attenzione, tanto più che i documenti allo stesso pertinenti, fino a poco tempo addietro ignorati e negletti, furono dagli studiosi ritenuti dispersi. Gli studi compiuti sullo argomento, invero, o tacciono del tutto, ovvero riportano notizie niente affatto suffragate da alcun valido elemento e quasi sempre ricalcano, talvolta in maniera pedis-sequa, l'opera del Nardella, per altri versi tanto preziosa, ma non così per il tema in discorso 3.

Con quanto premesso non si vuole, né si potrebbe far colpa ad al- 2 ANGELILLIS CIRO, Il Santuario del Gargano ed il culto di San Michele nel mon-

do. 2 voll., Foggia, 1955-56. 3 Cfr. per tutti: P. DOROTEO FORTE, Testimonianze francescane nella Puglia Dauna, San Seve-

ro, 1967. Ove, pur compiendosi un'ampia ed accurata disamina dell'irradiazione fran-cescana nella provincia Monastica di S. Angelo, non si fa alcun riferimento al Con-vento dei Conventuali di San Giovanni Rotondo. FRANCESCO NARDELLA, Memorie storiche di San Giovanni Rotondo (Capitanata), Bre-scia, 1961. Ristampa. FRANCESCO MORCALDI, San Giovanni Rotondo nella luce del francescanesimo, Parma, [s.d., ma del 1961].

66

cuno, perché, come già si è scritto, erano ignoti fino ad ora i documenti necessari per una completa trattazione.

Questi documenti contenuti in una Platea manoscritta del XVII se-colo, già appartenuta ai frati del prefato Convento di San Francesco, sono stati rinvenuti da chi scrive durante le indagini, eseguite negli Archivi di Capitanata, a cui fu spinto dalla solerzia e dall’interessamento dell'allora Vescovo di San Severo S. E. Mons. Valentino Vailati, che, oggi, per evi-dente designata coincidenza siede sulla Cattedra metropolitana di Manfre-donia.

Avemmo già occasione di accostare la figura di questo eminente Pa-store a quella del Cardinale Fr. Vincenzo Maria Orsini - poi Benedetto XIII 4 - minimamente presagendo che anch'Egli sarebbe stato chiamato a reggere il pastorale dell'arcidiocesi Garganica. E scrivemmo della sua cura e diligenza, rivolte, tra le tante altre cure del ministero vescovile, anche alla sistemazione dei fondi documentari nei quali è racchiusa tutta la no-stra storia. Si levi, perciò, anche da queste pagine, un riconoscente pensie-ro di gratitudine per il Presule a cui la Suprema Autorità della Chiesa ha voluto affidare la carica su cui grava il delicato compito di istruire un pro-cesso di beatificazione, atteso in tutto il mondo con trepida aspettativa e riguardante uno dei più singolari Figli della Religione Francescana.

Il documento reperito rappresenta, adunque, una delle più antiche testimonianze del movimento francescano in San Giovanni Rotondo e riguarda il più antico Convento della borgata.

E' d'uopo scrivere brevemente della storia di questo Convento, prima d'illustrare le caratteristiche della Platea e riportarne i passi salienti.

L'edificio fu dapprima eretto, assieme ad una piccola Chiesa, fuori la cinta delle mura urbane. Il luogo ove sorgevano gli edifici trovavasi a circa cento metri dall'attuale palazzo municipale e propriamente nel rione detto oggi « le case nuove » dove si può ancora scorgere un'icona di Maria SS. Incoronata. Il sito primitivo era malsicuro per le incessanti scorrerie di barbari e ladroni e perciò nel 1470 l'Università (il Comune) decise di far trasferire i Padri entro il perimetro delle mura civiche. Furono adibite, perciò, a dimora dei frati alcune vecchie case coperte da semplici assi di legno; successivamente fu dato inizio alla costruzione della Chiesa, che fu compiuta soltanto nel 1476.

4 FIORE MARIO A., Fonti per la ricostruzione della storia e del diritto di San Severo durante il medioevo (in: « Boll. storico-archeologico di S. Severo »), S. Severo, 1968.

67

Ancora nel 1630 quello di San Fracnesco era l'unico Convento in S. Giovanni Rotondo; e tanto si evince dal fatto che - volendo in quell'anno, dietro richiesta del Duca Michele Cavaniglia, i Padri Domenicani edificare un Convento nell'abitato (in prossimità della Chiesa di S. Onofrio) - do-vettero chiedere licenza d'accesso ai nostri Padri Conventuali del Conven-to di San Francesco. I quali ultimi assieme al permesso di edificare il Con-vento non vollero accordare anche quello per la questua in San Giovanni. Perciò, quantunque il feudatario avesse dotato il Convento domenicano di alcune rendite, purtuttavia - essendo queste insufficienti per il manteni-mento dei frati, che erano in numero di quattro - fu necessario dichiararne la soppressione: il che avvenne con bolla del Pontefice Innocenzo X del 1652.

Nello stesso anno, però, Innocenzo X soppresse anche i conventua-li per mancanza di rendite sufficienti al loro fabbisogno; dopo breve tem-po, però, il 21 febbraio 1654, il medesimo Papa ne permise il ritorno ad istanza dei cittadini tutti di S. Giovanni Rotondo, che si obbligarono con atto pubblico di erogare ai Padri tutto ciò che potesse loro occorrere. L'e-sistenza del Convento è testimoniata dalla prima S. Visita Pastorale del Cardinale Orsini (giugno 1676) ove si scorge che il Prelato s'impegnò presso il Romano Pontefice di esentarlo dalla giurisdizione dell'Ordinario Diocesano, alla quale fino a quel tempo era stato soggetto; e ciò fu, quin-di, eseguito con atto del Notar Tommaso Rossi del 26 di quello stesso me-se ed anno.

Una memoria a cui fa cenno il Nardella rammenta come ben seicen-to cadaveri di coloro che morirono durante l'interdetto fulminato da quel Presule contro San Giovanni Rotondo dal 1676 al 1677 - per aver voluto i Governanti di quella municipalità osteggiare indebitamente la giurisdizio-ne dell'Autorità Ecclesiastica - dapprima sepolti in luogo profano, furono tumulati nella Chiesa annessa al Convento, dopo la revoca dell'anatema, nel 1678.

Nel 1700 il P. Giambattista De Lisa, cittadino di San Giovanni, rie-dificò col permesso delle Autorità comunali, ex fundamentis, il Convento, spendendo la somma di tremila ducati.

Il nuovo edificio si presentava, finalmente, decoroso, in ogni sua parte e la minuziosa descrizione, sia della Chiesa sia del Chiostro e dei dormitori è contenuta nella Platea che in questo luogo consideriamo.

In questo periodo il Convento fu fatto oggetto di lasciti e donativi cospicui, che consentirono in maniera adeguata il mantenimento dei frati sino al 1809, quando, nelle nostre Province, i beni degli Enti Reli-

68

giosi furono incamerati a seguito delle leggi eversive in materia promulga-te da Gioacchino Napoleone. La soppressione portò lontano i frati ed il loro comodo asilo fu ben presto adibito a Palazzo di Città. Fu risparmiata la Chiesa, la cui volta, però, cadde, per mancanza di manutenzione, nel 1865. In tale stato di abbandono e desolazione il Tempio restò fino al 1879, quando la Municipalità - grottesco dei casi umani - la restaurò e tra-sformò, adattandola a carcere mandamentale.

Continuando nell'esegesi relativa alla Platea, devesi ricordare che es-sa si presenta sotto forma di volume manoscritto, rilegato in pergamena ed in mediocri condizioni di conservazione. Il suo formato è di cm. 20 x cm. 28. Consta di 329 fogli, alcuni dei quali in bianco. Estensore ne risul-ta per la massima parte il notaro Ferdinando Cocomazzi di S. Giovanni Rotondo e le notizie riportate furono vergate principiando dal mese di agosto del 1696. Il suo contenuto è interessante per i cultori di storia an-che per la possibilità che ci offre di ricostruire la toponomastica urbana e locale di San Giovanni Rotondo durante il medioevo.

Ringrazio il rev. mons. arcidiacono don Francesco Fanelli per il va-lido aiuto offertomi nella trascrizione dei documenti.

MARIO A. FIORE

DOCUMENTI

JESUS, MARIA, FRANCISCUS

Liber nuncupatus Platea venerabilis Conventus Sancti Francisci Ordinis Minorum Conventualium Terrae Sancti Joannis Rotundi Provinciae Sancti An-geli, in quo describuntur omnes introitus, redditus, bona stabilia, onera Missa-rum, et alia quae possidentur per dictum Conventum cum distinctione tempo-ris, et derivatione illorum, ac cum reformatione nominum et cognominum; Renovatus manu mei infrascripti notarij sub anno Domini millesimo sexcente-simo nonagesimo sexto, tempore Guardianatus, R. P. Fr. Dominici Dragana dictae Terrae Sancti Joannis, propriis eius eleemosynis, stante quod prius liber, seu Platea dicti Conventus ex omnium certitudinem presentem titulum scripsi Ego notarius Ferdinandus Cocomazzi eiusdem Terrae Sancti Joannis, et meo solito signo signavi requisitus, et rogatus & Datum in dicta Terra sub die prima Augusti 1696. - Ferdinandus Cocomazzi.

69

AD FUTURAM MEMORIAM

Nella facciata della nostra Chiesa vi è il seguente epitaffio, in una pie-tra, intagliato a lettere Longogarde:

HOC OPUS FACTUM EST DE ELEEMOSINA HUIS UNIVERSITATIS A. M CCCC LXX REGNANTE DOMINO D. FERDINANDO

ANNO XII SUAE CREATIONIS

Nel Convento di Santa Maria Maddalena di questa Terra di San Gio-vanni entrarono le Monache la prima volta ai 2 di novembre 1625, come ap-pare per istromento del possesso di Notar Troiano Tortarello die et anno ut supra & furono quattro religiose native di San Giovanni, de' quali tre nè sta-vano monacate nel Monastero di Santa Chiara di Manfredonia, cioè Suor Li-via Selvaggio eletta Vicaria, Suor Agnesa, e Francesca Beccarini sorelle uteri-ne di detta vicaria; ed una altra, cioè Suor Emilia Capone di San Giovanni, ch'era monacata nel Monastero di M[onte]. E detto Convento di Santa Maria Maddalena fu fondato dal molto reverendo dottore don Berardino Galasio, Arciprete di San Giovanni, lasciando tutto il suo havere per Testamento di Notar Giovanni Alesandro Ercolino - li 12 agosto 1609 - lasciandone la cura per fabricarlo a Giovanni Longo di Rignano, e nuovo cittadino di San Gio-vanni.

Nelli 12 giugno 1630 fu dato il possesso alli Padri Domenicani di poter fabricare in questa terra il loro Convento per la Nazione Schiavona, nel loco vicino S. Onofrio, che poi fu fabricato vicina la Chiesa detta S. Angelo, ed oggi detto Convento si chiama la S. Croce. E li nostri Religiosi li diedero il consenso con patto di non poter detti Padri Domenicani andare questuando. Li Padri Domenicani che presero il possesso furono quattro, cioè il Padre Lettore Desiderio Nenchio di Ragusa; il Padre Giordano di Vico; il Padre Maurizio Cervino di Milano, et il Padre Giovanni Battista di Ottaiano. E det-to possesso li fu dato in presenza dell'arcivescovo Oratio de Molara, di don Michele Cavaniglia Duca di San Giovanni, di don Pietro Bramante Arciprete di San Giovanni; come il tutto appare per istrumento rogato per mano di No-tar Troiano Tortorelli li 12 di giugno 1630.

DESCRIZIONE DI QUESTO VENERABILE CONVENTO E SUA CHIESA DI SAN FRANCESCO DEI MINORI CONVENTUALI DELLA

TERRA DI SAN GIOVANNI ROTONDO.

Questo venerabile Convento di San Francesco primo loco fu fabricato fuor delle mura di detta terra e per traditione antica dicesi che il suo sito fu preso dal glorioso Patriarca San Francesco, nel passaggio, che fece per detta terra, quando si portò a visitare la Sacra Basilica del Monte Gargano, sincome si scorge dal libro titolato Le Conformità; al presente di detto antico Conven-to, chiamato San Francesco vecchio, solo vi appariscono alcune reliquie delle sue muraglie, ed è stabile

70

hortalitio con pozzo, e casa nuovamente fatti, che s'affitta dal Convento; Ma poi per cagione delle guerre de' Goti, Vannali [?], e Saraceni fu fabricato den-tro di questa Terra, et proprio in frontespitio la casa della magnifica Universi-tà, dove si regge giustizia. Che per essere stato fabricato senza lammie, ma tutto a tetti con due braccia di chiostro, e due piccoli dormitorij, era divenuto tutto fracido, e cadente: onde per diligenza, e cura del molto Reverendo Pa-dre Maestro Fra Giovanni Battista De Lisa ex Provinciale, e Definitore per-petuo, Padre nativo di detto Convento, fu diroccato quasi in tutto, e rifabri-cato in ampla forma di vero Convento, con lammie, chiostro intorno e dor-mitorij, come al presente si vede, principiando detta fabrica dal mese di Mag-gio 1700 nel quale vi sono venti camere, e tutte l'Officine di basso; Parimente dal medesimo Padre Maestro De Lisa si è abellita la Chiesa, Coro, e Sacrestia, con capi Altari magnifici, organo nuovo, e pulpito, con spesa quasi di tremila docati pervenutoli dalla providenza di San Francesco o dall'elemosina delle sue prediche, atteso trovò il detto Convento poverissimo d'annue entrade, benché al presente siano avanzate al doppio - Laus Deo.

Questo Convento per scarsezza dell'entrade fu soppresso in virtù della Bolla d'Innocenzio Papa X emanata nel 1652 onde li Frati fecero la consegna di cessione di tutte le robbe della Chiesa in mano di don Orazio Verna Vica-rio Foraneo di San Giovanni come per istrumento di Notar Giovanni Torto-relli li 22 aprile 1653 e vi erano stanziati sette religiosi, cioè il Padre Giuseppe di San Giovanni Guardiano, il Padre Domenico di San Giovanni, il Padre Francesco di San Giovanni, il Padre Michel'Angelo di San Severo, Frà Carlo di Vesti Diacono, Frà Bonaventura di Macchia e Frà Angelo di Venosa Laici professi. Fu poi restituito alla Religione e reintegrato mediante decreto ema-nato da Sua Santità, e dalla Sacra Congregazione lì 21 febbraio 1654. Onde li Frati furono incontrati sin fuori le mura della Terra, e dal Clero, e dal Popolo furono portati processionalmente iubilando, et exultando, et Te Deum can-tando al possesso del Convento datoli per Istrumento di detto Notar Gio-vanni Tortorelli li 23 di decembre 1654.

Ma poi accresciuto d'annue entrade, e di molti legati, fu anche levato dal-la visita dell'Arcivescovo e dichiarato esente dalla giurisdizione dell'Ordinario, come per Istrumento di Notar Tomaso Russo li 26 di giugno 1676 essendo Provinciale il Molto Reverendo Padre Maestro Francesco Antonio Dralicchio di Monte Sant'Angelo ed Arcivescovo l'Eminentissimo e Reverendissimo Frà Vincenzo Maria Orsini dell'Ordine di San Domenico, Cardinale di San Sisto, il quale havendo in Santa Visita nel 1676 pigliata diligente informatione del stato del Convento, ne fece relatione alla Sacra Congregatione, e se n'ottenne decreto favorevole tanto da detto Eminentissimo Arcivescovo quanto dalla Sacra Con-gregatione dichiarando il Convento esente dalla giurisditione dell'Ordinario, Copia de' quali si conservano nella Cassa del Deposito di questo Convento e l'originali si trovano nell'Archivio della Corte Arcivescovale di Manfredonia.

Il detto Convento ha la sua Chiesa lunga canne venti, e larga canne cinque, fatta a tetto, ha il suo Choro, Sacristia, e Campanile con due campa-ne, una piccola, et una mezzana, quali furono benedette da detto Eminentis-simo Cardinal Orsini Arcivescovo li sette di luglio 1676, alla piccola diede il nome di Sant'Antonio, ed alla mezzana impose il nome di San Francesco. Have la detta Chiesa sette altari, videlicet: L'Altare Maggiore lavorato alla Romana di pietra di Monte Sant'Angelo

71

con la sua custodietta anco di detta pietra, ove si conserva la pisside con il Santissimo Sacramento con un'altra Custodia grande di legno indorato donata al Convento dal quondam Pietro Cascavilla per sua devotione. Qual'Altare è del Convento, ha obblighi di Messe ut a fo1.6; come anche ha la sua dote di dotato 160 dati da Lonardo Taccarello per mantenimento del Santissimo Corpo di Christo, Custodia, e lampade sempre accesa, come per Istrumento di Notar Giovanni Tommaso Landa il 31 di gennaro 1564 ut a fo1.65.

A mano destra di detto Altare Maggiore vi è l'Altare di S. Antonio di Padova con la sua statua di legno donata al Convento dal quondam Giovanni De Lisa Padre carnale del Molto Reverendo Padre Maestro Giovanni Battista De Lisa, il quale non solo donò la detta statua, ma anco li candelieri, fiori, ed una pianeta di damasco bianco, havendo speso in tutto dotati 120. Vi è anco il Capoaltare di legno indorato fatto a spese delli devoti di detto Santo. Qua-l'Altare è del Convento, ed ha obblighi di Messe ut. a fo1.7.

Nel medesimo braccio destro vi è l'Altare della Santissima Concettio-ne, qual'altare fu concesso alli magnifici di Salsano per Istrumento di Notar Giovanni Nocella, 1684, e dal Dottor fisico Giovanni Salsano, ed Isabella Pertosa, madre, e figlio è stato dotato d'una vigna d'opere cinque a Puzzoca-vo, acciò dalli frutti di essa si possa riparare dalli detti dotanti, con patto di non potersi dalli stessi, e da loro heredi né vendere, né alienare, ma tenerla per detta dote, come per istrumento di me Notar Ferdinando Cocomazzi a' 21 di giugno 1702. Fu fatto il capo altare di legno l'anno 1709 ed ha contri-buito per la spesa il detto Dr. fisico Giovanni dotati 40 ed altri dotati 20 a complimento di dotati 60 per detta spesa 1'have somministrati il Convento. Il detto altare ha obblighi di Messe ut in fol 7 a t°.

Nel medesimo braccio destro vi è l'altare del Patriarca San Giuseppe quale fu eretto dal quondam Eccellentissimo Don Michele Cavaniglia Duca di San Giovanni per sua devotione, e la detta Eccellentissima Casa lo prove-dono di cera nella festività di detto San Giuseppe, e di Santa Anna. Have il suo Capoaltare di legno fatto a spese del Convento in summa di dotati 65 ed ha obblighi di messe ut in fo1.8.

Nel braccio sinistro di detta Chiesa vi è l'altare del glorioso Patriarca San Francesco qual'è del Convento, ha il suo capoaltare fatto fare dal Molto Reverendo Padre Maestro Giovanni Battista de Lisa di San Giovanni con sue elemosine, ed a canto di detto altare vi è il Pulpito fatto anco coll'elemosine del detto Padre Maestro Lisa, ed ha obblighi di Messe, come si nota a fol. 8 a t°.

Nel medesimo braccio sinistro vi è l'altare di Santa Maria di Constanti-nopoli fundato dal quondam Dottor Fisico Giovanni Vincenzo Prencipe, ed ha la sua dote tanto assignata dal detto Giovanni Vincenzo, quanto dell'altra assignata sopra li beni del quondam Dottor Fisico Cosim'Antonio Prencipe Nepote di detto Giovanni Vincenzo testati a detta Cappella seu altare come si nota a fol. 15 a t°. Ha il suo capoaltare fatto a spese del Convento che poi se l'ha rinfrancato sopra li beni di detto quondam Cosim'Antonio come si nota a fo1.20, ed ha obblighi di messe, come si vede a fol. 9.

Nel medesimo braccio sinistro vi è l'altare di San Carlo Borromeo [sic] fondato dalli quondam Notari Giovanni e Matteo Tortorelli, e Pheredi sono tenuti a ripararlo, e provederlo d'ornamenti per non havere ancora assignato al Convento la dote, che deve essere di dotati 60. Benché primo loco il Dot-tor Fabritio Capone

72

per sua devotione havesse donato docati 40 in reparatione e magnificatione di detto altare come si nota a fol. 64 a t°. Ha il suo capoaltare fatto fare con spese di docati 70 per sua devotione dall'illustrissimo e reverendissimo Mon-signor Frà Antonio Tortorelli di San Giovanni dell'Ordine dei Minori Osser-vanti Vescovo di Treventi Parente di detti Tortorelli - ed ha oblighi di messe come si nota a fol. 9 a t° - *.

LAUS DEO SEMPER

* Come si è potuto ben scorgere la descrizione della Chiesa del Convento si riferisce a prima del 1734, anno in cui l'edificio veniva ulteriormente completato costruen-done pure la nuova volta in muratura.

73

Per le Terme di Margherita

Nel Comune di Margherita è operante da tempo un piccolo non mo-

derno stabilimento termale, nel quale vengono utilizzate, come mezzo tera-peutico naturale, le acque madri delle locali saline, che meritano di essere im-piegate su assai più larga scala per cure idrologiche. Si propone, quindi, alle autorità competenti di costruire un moderno e grande stabilimento termale.

In un vasto tratto del territorio attualmente appartenente al Comune di Margherita sono da molto tempo presenti « bacini di salificazione », allestiti sfruttando un antico fenomeno naturale caratteristico di questa zona. Esse vengono da lunghissimo tempo utilizzate per ricavarne il cloruro di sodio. Ma le acque residuali (cosiddette « acque madri ») sono utilizzabili (e sono di fat-to impiegate da molto tempo) a scopo di cure idrologiche.

Da un'analisi chimica dell'Acqua Madre di dette saline, analisi eseguita nel 1947 nell'Istituto di Chimica Generale dell'Università di Bari, si ricavano fra l'altro i seguenti dati: l'Acqua Madre in discussione è un'acqua minerale ad altissima concentrazione salina: il suo residuo fisso a 180°C fu infatti trovato, nella succitata analisi, pari a gr. 364,400/L. Fra le componenti di una così cospicua mineralizzazione prevalgono quantitativamente, in prima linea, il cloro (gr. 142,210/L) e, poi, il solfatoione (gr. 60,120/L) il sodio (gr. 60,200/L), il potassio (gr. 11,800/L), il magnesio (gr. 28,590/L). La suddetta Acqua Madre contiene, inoltre, jodio e bromo in quantità farmacologicamen-te rilevanti: mg. 1,841/L di iodio e mg. 430/L di bromo.

Seguendo le classificazioni e le nomenclature delle acque minerali in uso in Italia, l'acqua madre delle saline di Margherita può essere classificata: acqua salsosolfato-bromojodica, fortemente ipertonica.

E' necessario ancora aggiungere che la suddetta acqua minerale è natu-ralmente fredda (18°,4) secondo la succitata analisi.

In base a varie analisi batteriologiche eseguite sull'acqua madre delle saline di Margherita, e particolarmente in base ai dati forniti nel 1947 dall'Isti-tuto di Igiene dell'Università di Bari, detta acqua risulta esente da batteri for-niti di significato patologico: di conseguenza, sotto il profilo «igienico», può essere utilizzata per cure crenoterapiche esterne.

Accanto all'assenza di una flora patogena va sottolineata l'abbondante presenza nell'acqua di Margherita di una microflora e di una microfauna che trovano adeguate condizioni di vita nel particolare ambiente costituito dal-l'acqua madre delle saline. Vi è infatti particolarmente abbondante un partico-lare protozoo flagellato, la Dunaliella Salina, che, essendo fornito di un pig-mento colorato, conferisce all'acqua minerale la sua caratteristica tinta rossa-stra. Oltre alla Dunaliella Salina è presente nell'acqua madre di Margherita una particolare microalga, da considerare come una cianoficea, nota come microco-leus chtonoplastes. Le sostanze

75

PROBLEMI DAUNI

organiche derivanti dal metabolismo e dalla decomposizione delle microalghe e dei protozoi presenti nell'Acqua Madre della Salina possono essere fonte di particolari proprietà biologiche e farmacologiche per l'acqua stessa. Mi sem-bra particolarmente degna di attenzione la possibilità che in virtù di tali com-ponenti organiche acquista l'acqua madre di Margherita di essere utilizzata per la maturazione di fanghi vergini. Le suddette sostanze organiche prende-rebbero il posto, in questo caso, del cosiddetto humus organico cui si attri-buisce grande importanza, anche terapeutica, ai fini della maturazione dei fanghi di cava nel corso del loro trattamento con molte acque minerali.

In base a quanto fin'ora riferito l'Acqua Madre delle saline di Margheri-ta è suscettibile di larga utilizzazione a scopo crenoterapeutico.

Dal punto di vista della tecnica crenoterapeutica sono attualmente da prevedere le seguenti possibilità di impiego terapeutico: a) bagni in vasca; b) bagni in piscina; c) docce; d) fanghi maturati con l'Acqua Madre; e) inalazioni (inalazioni a getto di vapore e aerosol; insufflazioni endotubariche; inalazioni in ambiente).

Le principali indicazioni terapeutiche all'uso dell'Acqua Madre sono rap-presentate dalle malattie dell'apparato locomotore, dalle affezioni dell'apparato respiratorio e da alcune malattie di interesse ginecologico.

Per la cura delle malattie dell'apparato locomotore (molte forme di ma-lattie reumatiche postumi di lesioni traumatiche dell'apparato locomotore, ecc.) sono utili applicazioni di fanghi, bagni di vasca, bagni in piscine, docce.

Mediante apparecchi per inalazioni individuali e collettive si curano le affezioni croniche aspecifiche delle vie aeree superiori ed inferiori: riniti, fa-ringiti, tubariti, sinusiti, laringiti, tracheiti, bronchiti, asma bronchiale.

Le malattie flogistiche di interesse ginecologico si curano con varie tecniche che permettono di portare l'acqua minerale in intimo contatto con le mucose delle vie genitali.

Per attuare il programma di utilizzazione su larga scala dell'acqua ma-dre delle Saline è necessario costruire un grande stabilimento termale che do-vrebbe avere come scopo principale la cura e la prevenzione di molte forme morbose croniche dell'apparato locomotore, delle malattie croniche aspecifi-che dell'apparato respiratorio, di diverse malattie di interesse ginecologico. La costruzione di un nuovo grande stabilimento termale deve prevedere quindi vari reparti, che vengono elencati qui di seguito.

1) Reparti di cura per malattie dell'apparato locomotore: cabine con vasche da bagno per bagni individuali; cabine per fangature; docce di vari tipi; piscina. Le esigenze moderne rendono necessaria anche un'attrezzatura per l'esecu-zione delle opportune forme di ginnastica medica. Inoltre, se si collocasse il nuovo stabilimento in relativa prossimità del mare, vi si potrebbe includere un reparto per sabbiature (psammoterapia), che permetterebbe un amplia-mento della gamma di mezzi terapeutici naturistici messi a disposizione dei pazienti di malattie dell'apparato locomotore.

2) Reparto di cure inalatorie per malattie dell'apparato respiratorio, diviso in una sezione otorinolaringoiatrica, destinata alla cura delle affezioni aspecifiche delle vie aeree superiori ed in una sezione broncologica diretta alla terapia delle affezioni croniche aspecifiche delle vie aeree inferiori.

3) Reparto ginecologico destinato alle crenoterapie ginecologiche.

76

Oltre ai tre suddetti reparti la costruzione dello stabilimento termale deve prevedere l'allestimento di un gabinetto radiologico e di un laborato-rio di analisi cliniche.

Tutto quanto ho fin'ora scritto riguarda lo stabilimento termale in senso stretto. Ma la moderna visione del termalismo, come problema tera-peutico, sociale ed economico, induce a considerare strettamente collegato col problema della stazione termale quello della costruzione di alberghi adeguati. E' ovvio che il brusco incremento delle « presenze » di persone da curare e di loro familiari nel Comune di Margherita non può essere concepito senza che si provveda a costruire, contemporaneamente alla sta-zione termale, nuovi alberghi. Oltre ad un certo numero di alberghi che potrebbero sorgere, anche in seguito ad iniziative di privati, in località di-verse del territorio di Margherita di Savoia o di comuni limitrofi, è neces-sario prevedere la costruzione di un albergo termale da incorporare nello stabilimento termale, in maniera da consentire ai pazienti, specialmente a quelli che praticheranno fanghi e balneoterapia, di passare direttamente dalle camere d'albergo nel reparto fango-balneoterapico.

Tutto il complesso termale di cui si è parlato nelle pagine precedenti ri-chiede l'intervento di ingegneri ed altri tecnici che siano bene esperti di problemi di tecnica, ingegneria ed architettura termale e che lavorino in collaborazione con esperti di idrologia medica.

MARIO GIORDANO

la Capitanata Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia

★★★★ Gli scritti pubblicati in questo numero sono di: on. avv. GUSTAVO DE MEO, presidente dell'Area sviluppo industriale della Capitanata; avv. BERARDINO TIZZANI, presidente dell'Amm.ne prov.le di Foggia; prof. SALVATORE GAROFALO, della Univ. degli studi di Bari; † MAURO DEL GIUDICE, procuratore g.le alla Corte di Appello di Catania; prof. MARIO A. FIORE, dei Licei di Stato; prof. MARIO GIORDANO, della Univ. degli studi di Bari.

S O M M A R I O

GUSTAVO DE MEO: Iniziative industriali nel Sud. Irresponsabile disseminazione 1

BERARDINO TIZZANI: Per le province: fare presto e bene 5

RAFFAELE GAROFALO: L'ipotesi di sviluppo dell'economia danna

e l'assetto territoriale della regione pugliese (con una pianta) 9

MAURO DEL GIUDICE: Pietro Giannone nella storia del diritto

e nella filosofia della storia (con una Notizia sull'Autore) 33

MARIO A. FIORE: Genesi del movimento francescano in San Gio-

vanni Rotondo (con documenti) 65

PROBLEMI DAUNI - MARIO GIORDANO: Per le Terme di

Margherita 75

I L L U S T R A Z I O N I

PIETRO GIANNONE: 1) Ritratto inciso dal Morghen e pubblicato dal Gervasio; 2) « La Storia del Regno di Napoli » nella edizione del Gravier.

la Capitanata

Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia

Anno VIII (1970) N. 3-4 (mag.-ag.)

Saluto alla Regione Puglia

Questo fascicolo, in gran parte dedicato all'insediamento e alle prime sedute

dell'Assemblea regionale, vuol dire l'adesione, le speranze, i voti della Provincia di Foggia; la conferma della sua consapevole presenza politica nel contesto della realtà regionale.

Dico conferma perché, non appena proclamato il Consiglio pugliese, il nostro Ente ne convocò in Palazzo Dogana i rappresentanti dauni, sia per testimoniare della sentita solidarietà provinciale, che volle affidare al segno di un'aurea medaglia, sia per esaltare l'istituto regionale e compiacersi dell'apporto alla sua realizzazione di questa Capitanata. Essa, è opportuno il ricordo, non fu l'ultima terra degli antichi Stati italiani ad auspicare una Italia non solo unita, ma anche articolata in un sistema di autonomie locali, che non facessero rimpiangere al Mezzogiorno le prerogative politiche di quando faceva parte del primo Regno " moderno " di Europa e di esso, proprio l'alta Puglia, il suo Tavoliere, costituiva il serbatoio economico.

Nei precedenti fascicoli, oltre che in altre sedi, ho manifestato il pensiero del nostro Ente, i voti e le attese delle popolazioni daune, per la sua ristrutturazione, nella prospettiva dei compiti propri d'istituto e di quelli delegati, che gli toccherà di adempiere. Alieno dalle ripetizioni e dagli echeggiamenti, lascio la parola a chi spetta, più di ogni altro, trattare il grosso tema che, dopo le polemiche, i progetti e i tentativi del periodo risorgimentale, trattenne così a lungo il

81

Paese fuori della novazione costituzionale, e tuttora lo divide tra opposte schiere e, anche tra i più convinti suoi affermatori, alimenta fondate preoccupazioni.

Degli amici on. Finocchiaro e avv. Trisorio Liuzzi, chiamati rispettivamente a pre-siedere il Consiglio e la Giunta regionali, qui si pubblicano i discorsi pronunziati in Assem-blea nell'occasione dell'insediamento e si dà spazio agli interventi del prof. Fantasia, capo Gruppo DC, che espone il programma del costituito Centro-Sinistra, e dei Consiglieri puglie-si.

Son dessi, col Popolo, i titolari del nuovo discorso politico istituito nella Regione: e noi tutti ascoltiamoli, per partecipare al dialogo, con fede e con buona volontà.

L'ordinamento regionale, non soltanto costituisce un adempimento costituzionale, ma anche il presupposto di un effettivo decentramento del potere politico col quale si potrà realizzare, il primo passo di un rinnovamento della nostra organizzazione pubblica con la riforma dei Comuni e delle Province.

La Regione è un punto di partenza per un discorso nuovo sullo Stato, una risposta adeguata all'esigenza di rendere, attraverso una maggiore e compiuta articolazione delle autonomie locali, più direttamente partecipi i cittadini dello Stato alla vita della comunità.

BERARDINO TIZZANI

La fase costituente della Regione quale fase costituente del nostro Stato

repubblicano e democratico*

La Democrazia Cristiana ha indetto questo Convegno consapevole che la fase costituente della Regione, iniziata con le elezioni del 7 giugno, è obbiettivamente irta di difficoltà perché bisogna passare da quel che fu de-finito l'avvento della Regione, cioè dall'ingresso del regionalismo nella Co-stituzione al vero e proprio natale della regione. (. . .).

Fase costituente, che vuol dire? L'interpretazione più digeribile e più ovvia è che un istituto nuovo come la Regione debba compiere un intenso sforzo per il primo assetto, che diverrà gradualmente consuetudine. Manca-no in questa fase i precedenti. Spesso, nella nostra quotidiana esperienza, i precedenti sono un alibi per mascherare mutamenti. Ad ogni modo i prece-denti, quando non costituiscono invece un baluardo contro il nuovo sono, di per sé, una modalità di innovazione silenziosa al riparo delle aspre pole-miche tra conservatori e progressisti. L'assenza dei precedenti nella fase costituente rende più frontale lo scontro tra i sostenitori delle diverse tesi.

Dobbiamo avere coraggio. Dobbiamo dire ad alta voce che si deve parlare di fase costituente anche in senso più lato. Perché la Regione nasca vitale, devono concorrere al suo lancio in orbita la complessa macchina del-lo Stato, la quale è restia per definizione ad imboccare strade non percorse in precedenza, e la società civile, che è sì avanzata rispetto allo Stato in « efficientismo », ma non ha, neppure essa, grande propensione ai mutamenti qualitativi di conduzione politica. Se il regionalismo vorrà superare il « mu-ro del suono » gattopardesco, è necessario avere piena coscienza che la fase costituente della Regione è - o deve divenire - fase costituente del nostro Stato repubblicano e demo-

* Stralcio dal ciclostilato della « introduzione » dell'on. Fiorentino Sullo al Con-

vegno naz. della D. C. sul tema La Regione nella fase costituente, convocato per i 29-31 ottobre c. a.

83

cratico. Che non ci sia a Montecitorio una Assemblea Costituente convoca-ta in pubbliche sedute, che ci siano invece molti Consigli Regionali in azio-ne, questo non muta i termini del problema. E' lo Stato che suubirà in tutte le sue strutture la inevitabile conseguenza di un trauma di rinnovamento che partirà dalla periferia, dove troverà per la prima volta solidi centri di indirizzo.

Se la fase costituente della Regione si tradurrà come è probabile nella fase costituente dello Stato democratico, nessuno stupirà se tutte le forze di conservazione dell'esistente, nei prossimi mesi, dopo aver riconsiderato i motivi di taluni insuccessi tattici piuttosto recenti, riprenderanno la batta-glia con vigore. Regionalismo ed antiregionalismo si fronteggiano in Italia dalla fondazione del Regno: dal 1861. Finora il bilancio complessivo è stato purtroppo favorevole agli antiregionalisti (. . .).

La storia - la stupenda storia - del primo decennio dell'Unità d'Italia fa testo. Minghetti rimase quasi solo. Egli stesso soggiacque al torrente del-l'opposizione, a difendere un timido progetto di autonomie locali che era un residuo delle teorie federaliste care a Cattaneo e a Gioberti. Quelle teorie federaliste apparivano come splendide gemme quando l'Italia era divisa: si trasformarono in cenere ad unificazione avvenuta.

L'interpretazione del Ragionieri - in chiave marxista - che i regionali-sti risorgimentali abbiano cambiato idea sotto la spinta del blocco storico borghese illumina solo un aspetto della complessa realtà. La validità della tesi è parziale. Più corretta (nel senso che è più comprensiva di fenomeni che si condizionavano reciprocamente) è la posizione del Croce che lo stes-so Ragionieri mostra di apprezzare: « Il disegno del Minghetti incontrò po-chi sostenitori fra gli uomini del suo stesso partito ... particolarmente per l'Italia meridionale, travagliata dal brigantaggio, e per la Sicilia, in cui si du-rava fatica a ristabilire la sicurezza pubblica, c'era timore che i fautori dei Borboni rialzassero il capo, che i contadini insorgessero, che i liberali fosse-ro soverchiati, che la borghesia e piccola borghesia delle province, ineduca-ta e prepotente, lasciata a sé provocasse con i suoi soprusi qualche grosso scompiglio ».

Cento anni fa il regionalismo fu vinto perché appariva la retroguardia del Risorgimento, mentre la minoranza borghese che aveva fatto l'Unità era l'avanguardia.

Il regionalismo è rimasto un ideale coltivato quasi di nascosto,

84

da molti spiriti eletti, tra il 1870 ed il 1925. Il popolarismo contribuì a vi-vificarlo. Sturzo fu benemerito, anche, sotto questo aspetto. Mancherem-mo, però, ad un dovere di obiettività se non riconoscessimo i limiti del regionalismo sturziano, e più ancora di quello popolarista.

L'ente « elettivo - rappresentativo, autonomo-autarchico, ammini-strativo-legislativo » del discorso di Sturzo a Venezia - 23 ottobre 1921 - fu un traguardo ambizioso, vertice di una dottrina che avrebbe voluto ri-baltare lo Stato liberale. In realtà, il Partito popolare, e Sturzo stesso, nella pratica politica non giunse mai a prefigurare una Regione che andasse ol-tre la potestà deliberativa in un quadro di decentramento.

Nel secondo dopoguerra, il regionalismo è stato una grande fiam-mata di quel movimento autonomistico - fiducioso nelle forze popolari e nella loro capacità di iniziativa - che era alimentato dalle lotte della Resi-stenza. « Fiammata » - ho detto - perché la durata fu breve. Quando io stesso presi la parola nel maggio 1947 all'Assemblea Costituente per di-fendere il regionalismo, il clima si era infreddato, e non mancai di consta-tarlo.

Feliciano Benvenuti ha rudemente giudicato la storia dell'introdu-zione dell'istituto regionale in Italia che « mette in luce la gracilità del fat-to politico, il suo infantilismo e, contemporaneamente, la genericità del pensiero politico, la mancanza di una sua omogeneità di fondo ». E' giudi-zio pesante, non del tutto gratuito.

L'introduzione dell'istituto regionale nella Costituzione è avvenuta più all'insegna del garantismo che del pluralismo, quantunque in alcuni di noi costituenti la visione pluralistica fosse prioritaria.

Ricordo i discorsi dei leaders democristiani di allora, i quali ritene-vano che se ci fossero state le regioni nel 1922 la dittatura fascista avrebbe trovato forti resistenze. De Gasperi identificava nel decentramento una garanzia strutturale dello Stato: auspicava, in un discorso del 4 novembre 1945 a Milano, « quelle autonomie locali che sono la garanzia della libertà anche di fronte a tentativi del potere centrale ». Tutti i democristiani, nel 1945 e nel 1946 furono regionalisti, in quanto vedevano nella Regione la garanzia di libertà contro ogni dittatura.

Il regionalismo d.c. diventò fiacco dopo che il rapporto di forza si andò modificando a favore del nostro partito a seguito dell'elezione della Costituente e delle vicende di governo. Sembrò ai dirigenti democristiani del tempo, che il vecchio Stato accentratore e prefettizio, con tutti i difet-ti, garantisse maggiormente la libertà, specie dal peri-

85

colo comunista. Fu una scelta politica discutibile, ma consapevole, quella che portò il nucleo influente della D.C. ad annacquare il vino del regionali-smo: una scelta che si deve valutare criticamente, che si può censurare, che ha incontrato fieri contrasti in seno al Partito, ma che non deve essere con-fusa con negligenza o disattenzione.

Le forze di sinistra - comunisti in testa - nel primo periodo di attività della Costituente avevano osteggiato il regionalismo, come espediente ritar-datore del processo rivoluzionario. Lo speravano imminente e lo ritenevano sicuro; dopo la svolta del giugno 1947 mutarono rotta. Lo annunciò Làconi il 12 giugno 1947. E' bene riascoltare questo passo: « E' indubbio che, par-ticolarmente in quest'ultimo periodo, guardando intorno a noi e vedendo l'avviamento che va prendendo la situazione italiana, ci si è prospettata la necessità o l'eventualità di accedere a soluzioni diverse, di prendere in con-siderazione un rafforzamento degli enti locali che giunga anche a dare alla Regione un volto autonomo. Ed è in questo senso che abbiamo acceduto alle soluzioni intermedie che poco fa prospettavo, ed alle quali noi daremo il nostro voto. . . . Uomini come siamo, aderenti alle situazioni, e sempre intenti a guardare la evoluzione delle cose, noi abbiamo potuto non tener conto del fatto che in questo recente periodo l'avviamento delle cose italia-ne non è tale da non dare delle preoccupazioni a chiunque sia interessato alla difesa del regime democratico e desideroso di stabilire nel Paese dei solidi baluardi, contro qualunque tentativo volto a violare la libertà ed i principi essenziali della democrazia . . . Ed è per questa ragione, soprattutto per questa ragione, che accediamo a questa soluzione intermedia: ordina-mento regionale contenuto in limiti che non pregiudichino l'unità politica del Paese, ma capace ove si renda necessario, nel corso degli eventi, di fare delle Regioni dei solidi presidii della libertà e della democrazia ».

I comunisti scelsero il regionalismo anch'essi all'insegna del « garanti-smo », proprio mentre buona parte dei democristiani per garantirsi dai co-munisti subiva il fascino del tradizionale centralismo.

Da questa inversione di fronte nacquero le norme costituzionali sulla Regione, non prive di contraddizioni e di difficoltà interpretative. Non fe-derazione, non legislazione esclusiva delle Regioni in determinate materie, non incorporazione degli organi statali periferici negli enti regionali, anzi, mantenimento del sistema binario della concorrenza tra gli uni e gli altri. Peraltro, anche le successive leggi regionali di attuazione hanno risentito della tensione politica che na-

86

sceva dal clima di guerra fredda: dentro e fuori il Paese. A più di venti anni di distanza la macchina regionalistica si è messa

in moto miracolosamente. Non si è ripetuto l'affossamento risorgimentale che colpì i progetti della generazione di Minghetti. Quell'affossamento nasceva dal timore dei Borboni: il nostro poteva derivare dall'anticomuni-smo. C'è chi nega che l'avvio dell'ordinamento regionale sia stata una scel-ta convinta della classe dirigente, di quella democristiana in particolare. Nonostante non manchino perplessità, pare a me di poter dire che scelta positiva c'è stata. E per due motivi: che sono mutate le condizioni politi-che interne, nel senso che i timori nascenti dalla tormentata vicenda post-bellica si sono attenuati, lasciando spazio per una nuova fondazione dello Stato e che alla testa della Democrazia Cristiana affluiscono, dalla base, energie giovanili meno ossessionate da paure difensive, e più disposte a tentativi in positivo.

E' difficile, dopo il 7 giugno, che si possa tornare indietro del tutto. I Consigli Regionali esistono. Nessuno può sognare ad occhi aperti im-possibili demolizioni. Tuttavia l'attuazione dell'ordinamento regionale sarà lunga ed ardua. Quanti temono che il comunismo strumentalizzi le strut-ture regionali, quanti mancano di fiducia nell'autogoverno dei latini, e de-gli italiani, quanti per pigrizia, per carenza di immaginazione, per tendenza all'immobilismo mentale, temono di avventurarsi per strade sconosciute faranno di tutto per svuotare il regionalismo (...).

Che fare? In primo luogo, costituire la Regione come fulcro di uno stato democratico partecipazionista, o più correttamente pluralista, in cui il cittadino si ritrovi in funzione di protagonista. Per questo, occorre dare vigore agli articoli della Costituzione sulle Regioni interpretandoli al di là dello spirito stesso del Costituente. E' stato osservato, giustamente, che persino norme giuridiche sorte in regime liberale ottocentesco o fascista riescono ad aderire alla necessità della nostra società perché sono, per così dire, « recuperate » dall'interprete. La norma ha una sua autonoma validi-tà, non vincolata allo spirito del tempo in cui è stata emanata.

Nel nostro caso siamo più fortunati. Il legislatore ordinario - nazionale o regionale - ha via più libera dell'interprete. Peraltro, la Costituzione del 1948, quantunque non di rado lacunosa o eclettica, è abbastanza duttile. Dal 1948 ad oggi ha assunto rilievo la program

87

mazione economica che il Costituente sottovalutava. Ecco una lacuna da colmare.

La nostra opera deve tendere a vivificare l'istituto regionale promo-vendo interesse e partecipazione popolare a scapito della filosofia garantista che ispirò il Costituente.

La Regione deve nascere come un organo di decentramento legislati-vo e non di accentramento amministrativo.

Configurare la Regione come organo essenzialmente legislativo vuol dire che lo Stato, ossia il Governo nazionale, in alcune materie deve avere coraggio di spogliarsi di talune attribuzioni. In fondo, la tanto criticata legge Scelba 1953 che è, sul piano giuridico-costituzionale, impugnata con qual-che validità, può avere ancora aspetti politicamente positivi. Le cosiddette legi-cornice presentano lati deboli ed attaccabili, quanto a metodologia isti-tuzionale, ma postulano questo: che lo Stato detti principi, ma rinunci a particolari normative su singoli argomenti. Legislazione per principi affidata al Parlamento: legislazione articolata e secondaria affidata alle Regioni, tranne che in politica estera, finanziaria, di diritto civile e penale; ammini-strazione, sotto il controllo dello Stato e delle Regioni, affidata agli enti lo-cali territoriali: ecco il programma dei democratici cristiani dell'Italia '70. Si deve realizzarlo ( ... ).

Se instaureremo un sistema regionalistico dovremo affaticarci e pre-pararci a decisioni impegnative. Per difenderci dalle tendenze dispersive che le Regioni potrebbero accentuare, ed esasperare, può darsi si riproponga il problema dei rapporti tra l'esecutivo, il legislativo e le Regioni. Un esecuti-vo che abbia pienezza di funzioni in una area propria potrebbe rassicurare settori della sempre incerta opinione pubblica che paventano, con il regio-nalismo, il prevalere di indirizzi anarcoidi. Un esecutivo nazionale in grado di evitare vicende quali quelle del decretone è il minimo che si possa chiedere per dare l'assicurazione che regionalismo non significa confusione. Diamo atto agli amici calabresi, siciliani e sardi che possono avere ragione nelle loro rivendicazioni quanto al contenuto. Ma il Paese ha necessità di saldez-za e di unità di indirizzo sotto il controllo del Parlamento. Ed ora accade che il Parlamento abbia il primato formale, e non sempre sostanziale. E dobbiamo accelerare il cammino su questa strada del primato sostanziale del Parlamento.

Il regionalismo, nei limiti in cui sarà attuato, imporrà adeguate rifor-me costituzionali. Nuovi rapporti tra l'esecutivo e il legislativo ren-

88

derebbero attuali, senza pericolo per la collettività, differenti relazioni par-lamentari tra maggioranza e minoranza, da più parti ipotizzate. Vorremo indicare tre temi di meditazione:

1) la creazione (invero fu chiesta dalla DC alla Costituente) di un Se-nato ad effettiva base regionale;

2) una diversa correlazione tra Governo e Parlamento che rafforzi l'unità nazionale, nell'atto di agevolare le autonomie locali;

3) la trasformazione radicale del CNEL, anche in funzione della pro-grammazione (. . .).

FIORENTINO SULLO

89

Obiettivi, propositi e strumenti del governo regionale*

l. ENUNCIAZIONI D'ORDINE COSTITUZIONALE ED OPERATIVO DEL CONSIGLIO REGIONALE.

La Presidenza del Consiglio regionale non ha poteri autonomi ma opera dialettizzando permanentemente i rapporti interni dell'assemblea e coordinandone i lavori.

Con la coscienza di questi limiti mi propongo di assolvere ai doveri del mio ufficio: nel rispetto della iniziativa e delle opinioni di ciascuno dei consiglieri e col fermo proposito di una particolare considerazione dei dirit-ti delle minoranze. Al di fuori di qualsiasi spirito di parte o di collocazione di gruppo.

Incongruo un discorso personale su indirizzi politici generali d'aper-tura e su indicazioni di governo programmatico. Ma giusto, per alcune e-nunciazioni d'ordine istituzionale ed operativo.

Nostro primo dovere è l'acquisizione di una sempre più matura co-scienza regionale, che se non può e non deve avere connotati antistatuali, deve nello Stato e con lo Stato realizzare una profonda modificazione delle strutture istituzionali, economiche e sociali del paese. Perché motivazione fondamentale della nostra stessa presenza nel tessuto politico è la necessità di distruggere l'accentramento, l'autoritarismo e gli squilibri territoriali, set-toriali e sociali che cento anni di unità hanno accumulato nel paese.

E il quadro del Mezzogiorno, delle nostre terre può costituire un punto di riferimento indicativo dei danni della mancata attuazione delle re-gioni, del mancato decentramento, della mancata affermazione dell'auto-nomia politica periferica. Da questa consapevolezza la necessità di speri-mentare nelle regioni nuove forme e nuovi metodi di

* Riproduciamo sotto questo titolo editoriale le dichiarazioni rese al suo in-

sediarsi dal Presidente del Consiglio regionale (20 luglio) e uno scritto originale destinato a « Itinerari ».

91

governo tali da investire la tradizionale impostazione autoritaria e burocra-tica dei rapporti fra stato e cittadini; di sperimentare un nuovo modello isti-tuzionale valido insieme sul piano della correttezza politica e amministrati-va.

I primi nodi politici da sciogliere in sede regionale, dopo l'elezione degli organi di governo (presidente e giunta) sono quelli che riguardano l'elaborazione dello statuto regionale e il regolamento del Consiglio, unici strumenti con la Costituzione di qualificazione delle realtà regionali. Momenti iniziali di una attività che rivendichi la piena autonomia delle Regioni, rifiutando che l'interesse nazionale in questa materia sia canonizzato in una legge sta-tale - come la legge Scelba del 1953 - che pretende di predeterminare la struttura di governo e la tipologia sulla base della fiducia loro espressa dal Consiglio dalla cui investitura derivano il loro potere. Il che non toglie che si possa e si debba studiare il modo in cui il Consiglio sia messo in grado di esercitare un potere di controllo e di indirizzo, non solo sull'attività della giunta complessivamente considerata, ma anche su determinati atti di go-verno e amministrativi, di particolare rilievo politico. La continua compre-senza dei due organi potrà costituire forse la condizione più saggia per ga-rantire la stabilità e la durata in carica della Giunta, senza ricorrere a conge-gni giuridici sperimentali (mozione condizionata) a modificazioni di forme di voto (voto segreto), che indubbiamente garantirebbero meglio la stabilità degli organi non assembleari ma sminuirebbero certamente il respiro di li-bertà in cui le componenti dell'assemblea, consiglieri e gruppi, hanno il di-ritto di manovrare.

Non in questa sede vanno anticipate opinioni sulla formazione della giunta, sulle formule di governo, sui pericoli della settorializzazione dell'at-tività amministrativa, sulle ipotesi di ordinamento di tipo agenzia, tutti pro-blemi pure connessi alla elaborazione dello Statuto.

Ma opportuno il sottolineare le esigenze di non burocratizzare la ini-ziativa regionale; di studiare i modi per favorire la creazione di una classe di managers pubblici, che garantisca l'egemonia del potere politico su quello bu-rocratico, istituzionalizzando la transitorietà politica dei responsabili degli uffici amministrativi; di vincolare tutti gli enti dotati di entrate proprie, a redigere un bilancio consuntivo da sottoporre al Consiglio, in aggiunta al principio dell'unicità del bilancio preventivo regionale; di pubblicizzare tutti gli atti regionali non dichiarati espressamente riservati dalla presidenza della giunta o dagli

92

assessorati; di prevedere la convocazione di conferenze popolari allo scopo di raccogliere osservazioni e proposte sulla istituzione di determinati servizi pubblici, per sottoporre a pubblico dibattito determinati atti di indirizzo regionale, per configurare i termini di nuove problematiche connesse alla vita dei lavoratori.

Un ultimo punto è certamente da sottolineare: l'opportunità che la Regione eserciti una pressione politica sul Governo, affinché siano appro-vati sollecitamente i decreti delegati per il trasferimento delle funzioni am-ministrative regionali, senza i quali, - nonostante che l'art. 17 della legge finanziaria disponga la facoltatività delle leggi-quadro e la idoneità delle re-gioni, anche in mancanza di tali provvedimenti, a legiferare attenendosi ai principi fondamentali della legislazione statale - saremmo paralizzati nella nostra attività, e per vincolo d'ordine costituzionale e per il non senso in linea di fatto di un legiferare in mancanza dei poteri amministrativi necessa-ri per applicare le leggi.

Intenzionalmente chiudo questi miei brevissimi cenni su questioni d'ordine istituzionale, che mi pare incombano sui lavori di breve termine dell'assemblea senza alcun riferimento alla problematica speciale del nostro Mezzogiorno.

Un discorso che voglia avere dignità logica sulla materia non può non avere senso e connotato polemico. E non spetta a me avviarlo. Ma certa-mente io sarò uno dei 50 interlocutori, che discuteranno in questa aula degli antichi mali, dei mediocri interventi, dei grandi bisogni accumulati e delle lunghe attese del Mezzogiorno. Solo in quel discorso io sarò partigiano co-me partigiani io mi auguro sarete tutti voi, consapevoli che il nostro impe-gno politico rappresenta per i lavoratori meridionali, gli operai, i contadini, gli artigiani, gli intellettuali, i ceti medi, i giovani, motivo profondo di spe-ranza che un pesante secolare squilibrio venga distrutto.

Con questo animo, signori consiglieri, io assumo l'ufficio che avete voluto assegnarmi in questo consesso, che da domani non avrà più il volto solenne di una assemblea che si insedia, ma quello dimesso di un centro di lavoro.

93

2. CLASSE POLITICA, POTERE ECONOMICO

E BUROCRAZIA NEL MEZZOGIORNO.

In una società tecnocratica e industrialmente avanzata una reale

leadership politica deve fondarsi su una struttura istituzionale e organizzativa, statuale e periferica, dotata di forte responsabilità, di potere concentrato ed autonomo e di grande flessibilità operativa.

La struttura statuale e quella degli enti autarchici territoriali nel no-stro paese - e, quindi, nelle nostre regioni - non hanno, oggi, questi conno-tati.

Esse all'opposto sono sorrette da un apparato burocratico inerte, macchinoso e inefficiente, incapace di sostenere le attribuzioni decisionali ed egemoniche della classe politica nei confronti dei centri di potere eco-nomico, pubblici e privati, che nel paese sono in realtà funzionali, sostan-zialmente autonomi, autorazionalizzantisi.

Ne consegue che di norma è il mondo politico ad essere egemonizza-to dalle imprese e dagli operatori economici.

Uno status (generalizzato anche per difetto complementare di una le-gislazione, che garantendo il finanziamento di Stato ai partiti, li sottragga all'epilettico e servile ricorso a finanziamenti occulti e condizionanti con penosi riflessi corruttivi su tutta la vita pubblica) aggravato nelle regioni meridionali dalla tendenza tradizionale dei politici al paternalismo clientela-re, che nelle zone più depresse tocca punte patologiche.

Un incontro creativo e una collaborazione costruttiva in queste con-dizioni, fra mondo politico e mondo economico non è ipotizzabile: le ri-chieste di piaceri, con le moltiplicazioni e le reciprocità che esse implicano, possono solo consolidare un livello di malcostume che contribuisce a ren-dere giustamente qualunquistico e non fiducioso il giudizio della pubblica opinione sui politici.

Solo il mutare delle strutture e delle istituzioni, dunque, potrebbe consentire l'instaurarsi di un rapporto diverso fra classe politica e centri, pubblici e privati, di potere economico.

Fino ad oggi queste mutazioni non sono state realizzate né dalla pro-grammazione né dalla legislazione speciale, che ha sorretto la politica di in-tervento nel Mezzogiorno.

Inoltre un malinteso « regionalismo » meridionalistico ha offerto si-nora tali margini di ambiguità da macchiarsi sostanzialmente di inoperatività politica.

94

Una occasione concreta di mutazione del quadro potrebbe essere of-ferta dal realizzarsi delle regioni a statuto ordinario: 1) col passaggio ad esse di una programmazione, che lasci al potere centrale solo la disponibilità di un diritto di veto, circondato da salvaguardie e da facoltà di revisione da parte del potere regionale; 2) con l'avvio di una concreta riforma della bu-rocrazia pubblica, presupposto irrinunciabile di qualsiasi riforma nel paese.

Questa operazione, se fermamente voluta, si dovrebbe poter risolve-re, almeno in parte, in un periodo di 10-12 anni. Esistono due condizioni favorevoli per la riforma della burocrazia che non si ripresenteranno più per oltre 50 anni: a) l'istituzione delle regioni e la possibilità della sostitu-zione dell'apparato burocratico vecchio con un apparato nuovo, che offre occasioni di interventi e di innovazioni; b) la circostanza che, durante gli anni 70, lascerà il servizio tutto il personale assunto dai governi fascisti fra il 1930 e il 1940 e la maggior parte di quello assunto, in condizioni eccezio-nali, nell'immediato dopoguerra.

Senza nuove leggi-quadro, la cui esecuzione sarebbe poi abbandonata al-la solita burocrazia, l'iter di rinnovamento delle strutture e degli apparati po-trebbe essere questo: a) le regioni si organizzano e cominciano a pianificare; b) per ogni cinque funzionari e impiegati dello Stato, che abbandoneranno la P.A., è assunto un « manager pubblico », da mettere in uno speciale corpo di dirigen-ti pubblici, avulso dai ruoli ordinari, a trattamento economico speciale; c) i piani regionali devono essere sottoposti alla verifica di una giunta di managers pubblici centrali, che approva ed eventualmente respinge per la revisione con opportune raccomandazioni; d) il piano regionale approvato diventa pubblico e la sua at-tuazione è affidata a un gruppo di managers, che collabora con il governo regio-nale; e) il parlamento e il governo centrale limitano il proprio intervento alla emanazione di linee direttive; f) la giunta centrale si riserva la facoltà di indicare e suggerire a una regione quello che si realizza in un'altra e che le può conveni-re di adottare; g) ogni piano regionale è fornito di fondi autonomi e, con opportuni freni e acceleratori, può incentivare o penalizzare le imprese private e pubbliche; h) la burocrazia ha solo potere di controllo e non di intervento; i) i cicli di programmazione hanno durata prestabilita e riimpostazione continuati-va.

Solo una vita pubblica articolata sulla programmazione decentrata a livello regionale, su una burocrazia rinnovata e regionale, sulla

95

autonomia e le responsabilizzazioni degli enti autarchici territoriali può co-stituire un sostanziale supporto di funzioni e ruoli propri di una classe poli-tica. E solo in questa ipotesi si può instaurare un nuovo rapporto, egemoni-co, fra Stato - Regione - classe politica e centri di potere economico pubbli-ci e privati.

L'attribuzione al rapporto di dimensioni diverse da quelle attribuibile da una generale riforma delle strutture del paese costituirebbe solo un atto di velleitarismo colpevole.

BENIAMINO FINOCCHIARO

* Nato a Barletta nel 1913; consigliere comunale di Molfetta dal 1953; deputato al Parlamento per il PSI nella IV legislatura; più volte membro del Comitato Centrale del PSI; già vice-presidente delI'VIII Commissione Pubblica Istruzione e Belle Arti della Camera Deputati; già presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-R.D.T.; membro della Direzione Nazionale del PSI e responsabile della Sezione Cultu-ra e Ricerca Scientifica; membro delle commissioni Scuola e Meridionale del PSI; diret-tore della rivista « Politica e Mezzogiorno » (ed. La Nuova Italia); presidente della se-zione italiana del Comitato Internazionale di Helsinki per il Riconoscimento della R.D.T.; membro del consiglio direttivo del Movimento « G. Salvemini »; membro del comitato per la pubblicazione dell'opera omnia di Gaetano Salvemini.

Ha collaborato a: « Il Ponte », « Il Mondo », « Nord e Sud », « Avanti! », « Scuola e Città », « Confronto », ecc.

Ha pubblicato: La crisi culturale del Sud (AILC, 1956); Antologia dell'Unità (Neri Pozza, 1957); Italia scombinata (Einaudi, 1958); Scritti sulla scuola di G. Salvemini (Feltrinel-li, 1966).

96

Programma della Giunta regionale *

. . . Mi sia consentito innanzitutto ringraziare i colleghi della coali-zione di centro-sinistra che hanno voluto questa sera, accogliendo la desi-gnazione del mio Partito, accordarmi la loro fiducia, eleggendomi all'alta carica di Presidente della Giunta Regionale.

. . . Conscio delle responsabilità che così delicato incarico comporta, accetto il non facile compito di avviare la prima esperienza di governo re-gionale, sicuro della valida e preziosa collaborazione dei colleghi della Giunta, che portano in questa esperienza il contributo delle loro riconosciu-te capacità, della loro pronta sensibilità e della loro provata competenza, accomunati dalla stessa tensione verso i traguardi di un reale progresso e-conomico, sociale e civile delle popolazioni di Puglia. Questo progresso potrà conseguirsi solo nel quadro di un disegno di crescita organica e globa-le che superi gli orizzonti del campanile e le visioni particolari, superi il clientelismo e le posizioni paternalistiche per aprire un discorso nuovo, concreto, costruttivo, lungimirante.

La Giunta che ho l'onore di presiedere si riporta al documento con-cordato tra i quattro partiti di centro-sinistra e comunicato all'Assemblea nella seduta del 20 scorso dal capo-gruppo della Democrazia Cristiana, prof. Matteo Fantasia, documento che traccia le grandi linee dell'azione da svolgere al servizio della Puglia.

Un'azione quanto mai impegnativa in considerazione del suo caratte-re di assoluta novità e di sostanziale rottura con gli antichi schemi ed i vec-chi metodi, di coraggiosa innovazione non solo sul piano istituzionale, ma anche e soprattutto sul piano del costume democratico.

Le Regioni rappresentano la prima efficace risposta alla domanda * Discorso pronunciato nell'insediarsi alla presidenza della Giunta regionale (27

luglio).

97

prepotente di rinnovamento e di riforme che promana dalla società civile e dalle forze vive che in essa operano, dal mondo del lavoro, dai giovani, da una realtà ricca di fermenti, di inquietudini, di tensioni.

E' una risposta che costituisce un fondamentale atto di fiducia nel metodo del confronto e della sfida democratica ed una spinta al rinnova-mento di idee e di volontà all'interno delle forze democratiche, di fronte alle esigenze sempre più concrete e pressanti della base, del « Paese reale », che per troppo tempo ha avvertito un divario sempre più profondo con le istituzioni.

Ed è proprio nella Regione che può ritrovarsi sui problemi concreti un nuovo collegamento con l'opinione pubblica; è qui che le forze politiche pos-sono e devono ritrovare nella capacità di sintesi e di guida una più accentuata credibilità nei confronti delle forze sociali in un quadro d'insieme moderna-mente articolato e dinamico, in cui si realizzi un nuovo tipo di rapporto tra cit-tadino e governo della cosa pubblica.

Spezzata la spirale del centralismo, tipica della tradizione burocrati-ca dello Stato post-risorgimentale, è ora possibile improntare ad una con-cezione moderna, più democratica ed avanzata la costruzione di una nuo-va struttura pubblicistica, incardinata sulle autonomie e sulla effettiva par-tecipazione popolare.

Dalle Regioni può e deve partire una spinta decisiva in questo sen-so, sin dalla fase iniziale, fissando senza equivoci il ruolo che il nuovo En-te dovrà svolgere nel quadro delle istituzioni, da un lato, e nei rapporti con il contesto socio-economico nel quale si inserisce, dall'altro.

Il problema di « definirsi e di costruirsi » va affrontato da ciascuna Regione con la piena consapevolezza delle vaste e durature implicazioni che avranno, sulla funzionalità dell'Ente e sull'avvenire delle popolazioni, le scelte istituzionali che verranno compiute.

Si tratta di un momento esaltante della nostra storia politica, ma an-che di un momento difficile in cui dovremo risolvere contestualmente problemi che, per la loro complessità, rappresentano un banco di prova per l'immaginazione e l'intelligenza della classe politica regionale.

Vi sono anzitutto i problemi relativi alla fase costituente che si in-trecciano con i problemi connessi a quella operativa.

Ciò che conta è soprattutto avviare il processo organizzativo se-condo criteri validi, chiari e non contraddittori con gli obiettivi che si

98

vogliono perseguire. Un primo e fondamentale sforzo di definizione dei criteri di organizzazione e di funzionamento della nostra Regione sarà compiuto attraverso l'elaborazione dello Statuto. Si tratta di un compito che viene dalla Costituzione e dalla legge espressamente demandato alla deci-sione sovrana del Consiglio; ma, sui contenuti di questo atto fondamentale, la Giunta che ho l'onore di presiedere intende far conoscere e portare avan-ti alcuni orientamenti che sembrano particolarmente idonei a garantire il buon funzionamento della Regione Pugliese.

E' stato già rilevato, anche in questa Assemblea, che lo Statuto regionale deve essere redatto prescindendo dalle disposizioni contenute nella legge 10 febbraio 1953, n. 62 che disciplina, secondo criteri arcaici e fin nel dettaglio la costituzione ed il funzionamento degli organi regionali. Si tratta di una legge chiaramente incostituzionale. La Giunta esaminerà l'opportunità di sottoporre all'approvazione del Consiglio uno schema di progetto di legge di abrogazione della legge n. 62, da presentare in Parlamento ai sensi del 2° comma dell'art. 121 della Costituzione, ovvero, in via alternativa, di porre la questione di legit-timità costituzionale della stessa legge dinanzi alla Corte Costituzionale.

In ogni caso noi riteniamo che lo Statuto debba essere redatto nei so-li limiti fissati dalla Costituzione e dalle altre leggi della Repubblica. Il Par-lamento, nel dare la sua approvazione, abrogherà implicitamente le norme della legge n. 62 che risulteranno in contrasto con lo statuto che noi avremo approvato.

L'atto fondamentale della Regione va quindi elaborato ispirandosi ad una concezione del ruolo dell'ordinamento regionale che è molto diversa da quella che sta alla base della legge n. 62 e che sembra voglia stabilire fra Stato e Regione un tipo di rapporti per molti versi analogo a quello oggi esistente fra Stato ed Enti locali.

I controlli statali non debbono assumere carattere repressivo, ma tra-dursi in un'azione di stimolo, di promozione, di coordinamento. Solo così non avranno effetti paralizzanti ma potranno, anzi, giuocare un ruolo sicu-ramente positivo.

L'Amministrazione centrale non dovrà, d'altra parte, opporre ingiu-stificate resistenze al trasferimento delle funzioni che la Costituzione asse-gna alle Regioni. Se così fosse, andremmo incontro al pericolo del fallimen-to della riforma regionale. Lo Stato dovrà, piuttosto, riconoscere l'esigenza di delegare le Regioni a legiferare e ad attuare interventi anche in materie diverse da quelle elencate nell'art. 117 della Costituzione, allorchè si tratti di problemi che emergono nell'ambito regio

99

nale e che hanno dimensione regionale. Questo ulteriore decentramento è reso possibile da quanto disposto nell'ultimo comma dell'art. 117 della Co-stituzione e potrà trovare la sua completa attuazione attraverso il procedi-mento di articolazione regionale del programma economico nazionale.

Un altro banco di prova sul quale si misurerà l'effettiva volontà degli organi centrali di rispettare lo spirito della Costituzione e di rispondere alla domanda di partecipazione, che viene dalla base, è rappresentato dalla pos-sibilità di consentire alle Regioni di partecipare all'elaborazione delle leggi-quadro che dovranno fissare i principi fondamentali entro cui deve svolger-si l'attività legislativa regionale.

Il rifiuto del centralismo burocratico a livello nazionale deve trovare rispondenza anche a livello regionale. Là Regione deve essere concepita come centro di coordinamento politico della molteplicità degli enti esistenti sul territorio, la cui autonomia va valorizzata attraverso l'attribuzione di precise ed autonome responsabilità. Nel momento in cui si avvia il processo di decentramento dallo Stato con le Regioni, sarebbe quanto meno con-traddittorio rendersi promotori di un processo inverso di concentrazione di funzioni dalla periferia regionale al suo centro. Il ripudio del neo-centralismo regionale si deve sostanziare in un metodo di amministrazione regionale prevalentemente indiretta e nell'instaurazione di un sistema di controllo sugli enti locali minori che, analogamente a quello rivendicato per il controllo statale sulle Regioni, non dovrà essere repressivo e paralizzante, ma capace di una funzione di stimolo, di promozione, di coordinamento.

La Regione dovrà mantenere aperti i canali del dialogo continuo ed istituzionalizzato non solo verso gli enti locali minori, ma anche verso tutte le forze vive, organizzate nei sindacati, nelle associazioni, nei centri di cul-tura. Pertanto, a mio avviso, sarà opportuno tener conto delle attese e delle aspirazioni della nostra società civile anche nella fase di elaborazione dello Statuto.

La Regione Pugliese dovrà infine assicurarsi un costante collegamen-to e coordinamento con le altre Regioni del Paese ed in particolare con quelle del Mezzogiorno. Vi sono problemi che riguardano la Puglia, ma che investono anche la Basilicata, la Campania, la Calabria, il Molise ed altre regioni. Si tratta di problemi comuni che vanno affrontati, quindi, secondo un'ottica comune, con interventi complementari e coordinati. I grandi pro-blemi del sottosviluppo meridionale vanno tuttora affrontati in modo unita-rio. Ed è sicuramente di estrema importanza che

100

tutte le Regioni meridionali ne prendano coscienza proprio nel momento in cui sono poste per la prima volta in grado non solo di prospettare pro-blemi e soluzioni ma anche di decidere in proprio iniziative ed interventi. Il problema dello sviluppo del Mezzogiorno va ancora affrontato secondo un metodo unitario, con interventi non contraddittori, da decidere nel quadro di una rinvigorita politica di piano a livello nazionale. La riforma regionale non deve, perciò, servire a far dimenticare, ma piuttosto ad evi-denziare ulteriormente, la esigenza che il Governo continui a fare del problema del Mezzogiorno il tema centrale e qualificante della politica di piano.

A questo modo di concepire il ruolo della Regione nel contesto isti-tuzionale del Paese la Giunta ritiene di dover riferirsi per la definizione della struttura degli organi e dell'amministrazione dell'Ente.

E' necessario seguire un metodo di governo democratico e nello stesso tempo efficiente.

In questa visione, la prima esigenza è quella di non ripetere con la struttura degli organi e dell'amministrazione della Regione i moduli di tipo « ministeriale ». E' invece essenziale prefigurarsi ed anticipare strumenti ed indirizzi che nelle linee generali sono già stati ritenuti idonei ai fini del-la riforma della pubblica amministrazione.

Le strutture organizzative dovranno essere assai semplici, senza ri-produrre, anche se in scala ridotta, la piramide burocratica dei ministeri. Alla Regione dovrà essere riconosciuto il diritto di una selezione funzio-nale del personale.

Un'ultima fondamentale esigenza alla quale la struttura organizzati-va della Regione deve, a mio avviso, rispondere è quella del massimo di pubblicità e del suo collegamento continuo con la società regionale. La Costituzione ha voluto il referendum abrogativo non solo per le leggi, ma anche per gli atti amministrativi delle Regioni. Facendo nostro lo spirito della Carta Costituzionale, ci adopereremo perchè l'amministrazione re-gionale sia il più possibile trasparente ed aperta alla partecipazione dei cittadini.

Ho avuto già modo di affermare che l'amministrazione regionale dovrà essere soprattutto indiretta: i compiti operativi dovranno essere in gran parte demandati agli organismi già esistenti o ad altri che sarà neces-sario creare.

Sul ruolo dei comuni e degli enti locali in genere mi sono già e-spresso. Aggiungerò soltanto che essi vanno aiutati a razionalizzarsi

101

attraverso un'adeguata opera di assistenza tecnica e provvedendo a pro-muovere la costituzione di consorzi, anche per tipi specifici di funzioni, tra quei comuni che, per le loro limitate dimensioni, non sono in grado di as-solvere tecnicamente o economicamente ad alcuni compiti istituzionali o comunque essenziali.

Un discorso a parte merita la Provincia. Sono state avanzate, com'è noto, proposte per la sua soppressione sia per controbilanciare il costo della riforma regionale sia per limitare il numero dei livelli di governo. Da quan-do tali proposte sono state per la prima volta avanzate, è stato compiuto un notevole lavoro di analisi e di riflessione in numerose sedi. E le conclusioni sembrano concordare sulla opportunità non della soppressione ma della riforma - dal punto di vista territoriale e funzionale - dell'istituto della pro-vincia. Un motivo fondamentale di questo orientamento è che non sembra fattibile un disegno che non preveda nessun livello intermedio di governo tra il considerevole numero di Comuni e l'Ente Regione. Un altro motivo altrettanto valido è che, se la Regione si deve avvalere per l'amministrazione attiva di organismi dotati di autonomia funzionale, può essere preferibile avvalersi di enti già esistenti invece di crearne nuovi.

E' vero che allo stato attuale le funzioni istituzionali delle provincie sono assai limitate. Esse coincidono, però, proprio con i più rilevanti settori d'intervento: dall'istruzione tecnico-professionale, alla viabilità ed all'assi-stenza. Inoltre, le Amministrazioni provinciali anche della Puglia hanno da tempo meritoriamente dimostrato come a queste funzioni istituzionali se ne possano aggiungere altre, dalla promozione turistica ed industriale al coor-dinamento ed alla guida dei Comuni compresi nel territorio. Una provincia ristrutturata istituzionalmente potrebbe diventare un efficace strumento operativo della Regione.

Accanto agli enti territoriali vanno naturalmente ricordati i diversi en-ti autonomi - l'Ente di Sviluppo, l'Acquedotto Pugliese, l'Ente di Irrigazio-ne, i Consorzi di Bonifica, le Camere di Commercio, gli Enti Provinciali per il Turismo, ecc. - che potranno diventare gli organismi di intervento della Regione nei settori di rispettiva competenza.

Sarà naturalmente necessario creare nuovi organismi d'intervento i-donei a garantire il carattere pubblicistico dell'attuazione delle scelte che saranno operate in sede di Consiglio Regionale. Si tratta in gran parte di organismi la cui utilità è già stata posta ripetutamente in evidenza dal Comi-tato Regionale per la Programmazione Economica: la finanziaria regionale di sviluppo, il consorzio regionale per l'artigianato,

102

la società per l'assetto del territorio, l'istituto di ricerche economico-sociali.

La creazione di questi nuovi organismi non è la traduzione sul pia-no operativo di un astratto modello organizzativo. La Regione non è solo un centro di ristrutturazione dell'apparato politico ed amministrativo, ma è anche un organo di stimolo e di propulsione dello sviluppo economico e sociale. E' anzi sulla capacità di promuovere iniziative di sviluppo che si misurerà il successo politico dell'Ente: la nostra azione sarà stata utile solo nella misura in cui avrà contribuito a migliorare le condizioni di vita dei Pugliesi. E' un'azione, quindi, che dovrà essere misurata in termini di tas-so di sviluppo, di adeguatezza del sistema di trasporti, di rete ospedaliera, di scuole, di case, di attrezzature turistiche, di difesa dell'ambiente, di or-ganizzazione del territorio.

La Giunta stimolerà, perciò, l'espansione del sistema economico re-gionale e la orienterà verso un obiettivo non solo e non tanto di massima efficienza produttiva, quanto di crescita culturale ed umana di tutti i citta-dini, di progresso civile delle comunità in cui si articola la nostra società pluralistica.

La scelta di fondo è, quindi, contro la mera razionalizzazione di un processo di espansione guidato dalle decisioni private e per l'attuazione, invece, di un nuovo modello di sviluppo che ponga al centro le esigenze della persona umana, al cui servizio si deve ristrutturare la economia re-gionale. Cardine di questo nuovo modello sarà l'aumento della quota di risorse che nella nostra Regione è stata finora riservata agli investimenti ed ai consumi pubblici.

Lo strumento per portare avanti questo nuovo tipo di politica eco-nomica è rappresentato dalla programmazione intesa non solo in senso efficientista, ma anche politico: si deve soprattutto intendere il Piano co-me « un modo concretamente nuovo di operare politicamente, agendo contemporaneamen-te su tutti i centri di potere, mobilitando sulle grandi opzioni le forze politiche, interes-sando l'opinione pubblica ai problemi e alle sfide poste dalle grandi battaglie per lo svi-luppo e per il rinnovamento ».

Noi abbiamo compiuto una prima esperienza di programmazione, a livello nazionale ed a livello regionale. Si è trattato di una esperienza utile, anche se per molti aspetti deludente e frustrante.

Le cause dell'insoddisfacente risultato della programmazione nazio-nale sono ormai note. Vi sono stati difetti di impostazione del piano: ci si è limitati a stabilire gli obiettivi, ma non si è pensato a definire

103

contestualmente le politiche e gli interventi necessari per raggiungerli, in-sieme con l'indicazione delle fonti di finanziamento e delle responsabilità operative. E' mancata - si è detto - un'attività di progettazione sociale a supporto ed a traduzione operativa degli obiettivi macro-economici. E non sono mancate difficoltà ed errori di ordine politico: l'instabilità governativa, la debolezza prima e la crisi poi degli organi del piano, la costante subordi-nazione della politica di piano alle esigenze della politica congiunturale. In realtà programmare significa operare secondo un piano prestabilito e non già attendersi che l'elaborazione di un documento e la sua approvazione con legge faccia il miracolo di far realizzare tutti i desideri codificati nel piano stesso.

La nostra esperienza di programmazione regionale è stata anche essa interessante ed utile, forse molto più utile di quanto molti siano disposti a riconoscere. Essa è servita anzitutto a far progressivamente maturare in noi pugliesi la coscienza di appartenere alla stessa Regione, ad una Regione che ha problemi, ansie, possibilità ed aspirazioni comuni. E se noi oggi ci tro-viamo ad operare in concordia nella sede della Regione Pugliese, senza i traumi che purtroppo vengono sperimentati altrove, lo dobbiamo proba-bilmente anche al paziente lavoro di confronto, di chiarificazione e di rac-cordo che è stato compiuto per cinque anni in seno al Comitato di Pro-grammazione.

Il fatto di avere svolto un lavoro di analisi dei problemi e delle pro-spettive dell'economia regionale fa sì che noi oggi siamo in condizione di avviare la nostra attività partendo da dati ormai chiaramente acquisiti, di-sponendo di indicazioni abbastanza precise relativamente ai problemi prio-ritari da affrontare.

Mi è sembrato opportuno sottolineare l'utilità di questa esperienza, nel momento in cui la Regione pugliese assume la piena responsabilità della politica regionale, perchè mi sembra giusto rendere il doveroso riconosci-mento a quanti, per uno periodo non breve, hanno dato il meglio delle loro energie e della loro intelligenza per evidenziare ed approfondire la comples-sa problematica posta dalla nostra realtà regionale. Tanto più che si trattava di un organismo transitorio, senza poteri effettivi di intervento, e che è riu-scito, ciò nonostante, a farsi valere per le iniziative di mobilitazione e di stimolo che ha saputo assumere.

Il lavoro del Comitato verrà ora proseguito dalla Regione, secondo le direttive che verranno date da questo Consiglio.

Il Governo ha avviato, come si sa, il processo di elaborazione del Piano Economico Nazionale 1971-75 sulla base del Progetto '80 e dei

104

documenti programmatici regionali. Le vicende della crisi di Governo han-no rallentato l'iter del processo di formazione del piano. E', perciò, da pre-vedersi, che il Parlamento non sarà in grado di pronunciarsi sul documento programmatico - come sarebbe necessario - entro il 31 dicembre di que-st'anno. La Regione Pugliese, si trova quindi nella possibilità di intervenire in questo processo elaborando un proprio schema di sviluppo oltre a parte-cipare alle riunioni della Commissione Consultiva Interregionale che do-vrebbe riprendere a funzionare sollecitamente.

Per l'elaborazione del piano, il Consiglio potrà avvalersi delle ricer-che, degli studi e delle proposte del Comitato di Programmazione. E' op-portuno qui richiamare due esigenze fondamentali. La prima è che venga finalmente approvato il disegno di legge sulle procedure della programma-zione. L'approvazione di questa legge darà un assetto certo all'attività di programmazione, ripartendo le competenze tra i diversi soggetti e fissando i tempi e le modalità da rispettare. Una volta approvata tale legge, anche la Regione Pugliese sarà in grado di darsi una propria disciplina per il proces-so di formazione e di attuazione del piano, prevedendo gli opportuni mec-canismi di consultazione e di collaborazione con gli enti e le forze organiz-zate.

La seconda esigenza è che venga accelerato il processo di formazione del secondo programma economico nazionale. Si tratta di una condizione essenziale per l'attuazione della nostra politica di sviluppo. Una norma di particolare importanza inserita nella legge finanziaria per le Regioni ha isti-tuito, presso il Ministero per il Bilancio, un fondo per i programmi regionali di sviluppo: l'importo di questo fondo è determinato per ogni quinquennio dalla legge di approvazione del piano nazionale ed è ripartito tra le Regioni dal CIPE, sentita la Commissione Consultiva Interregionale. Nella impossi-bilità di poter ancora per un certo tempo contare sulle entrate proprie e sui contributi speciali previsti dalla stessa legge finanziaria, la operatività del fondo è essenziale ai fini dell'attuazione del nostro programma.

Avendo così fornito un quadro completo, anche se sommario, dei problemi di ordine generale che si pongono in merito all'attività di pro-grammazione da parte della Regione, ritengo sia opportuno accennare bre-vemente ai problemi su cui si concentrerà in via proritaria l'azione della Giunta.

Il problema che noi riteniamo più urgente è quello del miglioramento del livello di occupazione. Noi non possiamo rassegnarci a veder

105

lavorare solo tre pugliesi su dieci: nel corso degli anni settanta occorrerà creare 400 mila nuovi posti di lavoro per dare un impiego non solo ai 60 mila disoccupati registrati nelle statistiche ufficiali, ma anche alle diecine di migliaia di persone che svolgono nel settore agricolo o in quello commer-ciale ed artigianale un'attività precaria ed inadeguatamente retribuita, agli emigranti che vorranno tornare alle loro case ed ai quali rivolgiamo il no-stro affettuoso saluto di solidarietà ed a quel numero considerevole di don-ne che svolgerebbero volentieri una attività lavorativa ove ne avessero la possibilità.

Per seguire metodicamente l'andamento dell'occupazione in Puglia e fornire quindi agli organi di governo regionale i suggerimenti ritenuti più opportuni per ogni iniziativa al riguardo, proporremo la costituzione di una commissione permanente formata da rappresentanti di Enti locali, da sin-dacalisti e da imprenditori.

Vi è, poi, il problema dell'approvvigionamento idrico per tutti gli usi: in Puglia è tuttora insufficiente l'acqua per usi civili, così come è insuffi-ciente per gli usi agricoli, industriali e turistici. Facciamo, perciò, nostro l'impegno per ottenere l'integrale finanziamento del piano generale d'irriga-zione, entro il 1975, e quello del piano regolatore degli acquedotti, nei tem-pi previsti.

Altro impegno è quello della difesa dell'ambiente e della conserva-zione della natura. Si tratta di un tema che è emerso in tutta la sua dramma-ticità solo nel corso degli ultimi mesi. Ma si tratta di un tema che è emerso in tutta la sua drammaticità solo nel corso degli ultimi mesi. Ma si tratta di un tema essenziale per la salvaguardia della qualità della vita e, alla lunga, per la stessa sopravvivenza della nostra specie. Noi abbiamo la fortuna di avere ancora mari non inquinati ed aria non compromessa dallo smog. E' impegno della Giunta prendere e sollecitare le opportune iniziative per pro-teggere i mari, le falde di acqua e l'aria della Puglia dai pericoli di inquina-mento.

Altri obiettivi dell'azione di governo sono rappresentati dall'adegua-mento dei servizi pubblici alle esigenze della popolazione e dell'economia: il sistema dei trasporti, i porti, gli aeroporti, i collegamenti ferroviari, le strut-ture formative, la sanità, le abitazioni, le attrezzature per lo sport e per il tempo libero. La nostra insistenza su questi temi deriva dalla convinzione che si tratta di interventi che, oltre a stimolare la crescita economica, servo-no a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni.

Un ultimo aspetto essenziale della politica che vogliamo realiz-

106

zare è quello relativo all'assetto del territorio, ed in particolare alla diffusio-ne territoriale dei benefici del progresso. Il processo di analisi del territorio porterà ad individuare quelle unità territoriali elementari intorno a cui, ci sembra, debba articolarsi il discorso programmatico.

Deve riconoscersi alla unità comprensoriale il ruolo e la responsabili-tà di strumento della iniziativa locale, ai fini di una organizzazione funzionale del territorio. La Puglia è una regione favorita sia dalla conformazione geografica che dalla struttura degli insediamenti abitativi: il territorio è in gran parte pianeggiante e scarsamente accidentato; la struttura urbanistica è policentrica. Basti dire che la città di Bari conta meno del 10% della popolazione regionale, contro il 50% di Roma, il 45% di Genova, il 26% di Torino, il 24% di Napoli, ed il 21 % di Milano.

Questa struttura urbanistica policentrica va mantenuta e rafforzata da una politica di policentrismo economico, che, attraverso un modello di in-dustrializzazione a« larghe maglie », dovrà inserire nella dinamica dello svi-luppo tutto il territorio pugliese, attribuendo un ruolo proprio ed eventual-mente differenziato a ciascun centro.

Ciò significa che per noi è superata la strategia del polo Bari-Brindisi-Taranto: anche le provincie di Foggia e di Lecce debbono potere diretta-mente beneficiare dei vantaggi dell'industrializzazione, come sta, per altro, già avvenendo. Non ci debbono essere zone « condannate »: anche le zone interne interessate da fenomeni di degradazione demografica, economica e territoriale debbono essere riqualificate attraverso una politica basata sull'a-deguamento dei servizi civili e l'integrazione con le aree più prospere. At-traverso soprattutto l'adeguamento del sistema dei trasporti, le aree collinari interne dovranno potersi avvantaggiare delle occasioni di lavoro, di forma-zione e di svago che esistono o verranno create in altre parti del territorio.

Questi obiettivi di progresso civile potranno essere naturalmente rag-giunti a condizione che venga mantenuto un alto saggio di espansione eco-nomica. Perché ciò sia reso possibile è necessario che venga stimolata la diversificazione e la ristrutturazione dell'apparato produttivo attraverso una serie coordinata di politiche settoriali.

In agricoltura l'intervento prioritario è rappresentato dalla realizza-zione integrale del piano d'irrigazione che permetterà finalmente di portare la produzione sotto il controllo dell'uomo, sottraendola alle alterne vicende stagionali. Accanto all'irrigazione particolare importanza acquistano il rior-dino colturale e la commercializzazione. La ri-

107

strutturazione dell'attività agricola dovrà essere realizzata attraverso l'attua-zione dei piani zonali di sviluppo agricolo che rappresenta uno dei compiti fondamentali dell'Ente di Sviluppo.

Per le industrie, noi reclamiamo l'intervento delle partecipazioni sta-tali e dei grandi complessi privati ai fini della realizzazione di blocchi di in-vestimento per la trasformazione in loco delle risorse regionali (i prodotti agricoli ed i prodotti siderurgici e chimici sopratutto) e per iniziative nei settori d'avvenire (aeronautica, elettronica, energia nucleare). Tale processo di industrializzazione dovrà essere stimolato dalla presenza di strutture uni-versitarie moderne, da un'area di ricerca scientifica e tecnologica e dall'azio-ne della Società Finanziaria di Sviluppo che dovrà svolgere funzioni pro-mozionali di finanziamento e di assistenza tecnica ai piccoli e medi operato-ri locali.

Uno dei primi atti che la Giunta compirà in materia di promozione dello sviluppo industriale sarà di esaminare i risultati della ricerca sulle oc-casioni di investimento che era stata commissionata dal Comitato di Pro-grammazione. Inviteremo quindi lo IASM a studiare, insieme con noi e con l'istituto che ha svolto la ricerca, la possibilità di ricavare dallo studio un programma di investimenti industriali integrati da sottoporre al CIPE per-ché lo tenga presente ai fini della contrattazione programmata.

Anche il settore commerciale - così importante per la Puglia - richie-de - al pari dell'agricoltura - interventi particolari ed urgenti. La polverizza-zione degli esercizi, l'inadeguatezza delle attrezzature e l'inefficienza dei metodi di gestione rischiano di far precipitare i commercianti in una crisi ancora più grave, con conseguenze disastrose anche per la produzione e per gli stessi consumatori. La Giunta proporrà un piano di ristrutturazione del commercio pugliese, basato su una serie coordinata di interventi relativi alla urbanistica commerciale, alla formazione professionale ed imprenditoriale, al credito, all'assistenza tecnica, allo sviluppo della distribuzione organizza-ta.

Gli interventi nel settore artigianale - che rientra nelle specifiche competenze regionali - dovranno essere affidati ad un apposito ente auto-nomo che potrà essere costituito, sulla base dell'iniziativa già avviata dal Comitato per la Programmazione e dalla Commissione Regionale per l'Arti-gianato, dal previsto Consorzio.

Per quanto riguarda il turismo, sarà predisposto un programma di sviluppo organico partendo dagli studi comprensoriali della Cassa

108

per il Mezzogiorno e dalla identificazione delle risorse turistiche isolate, da inserire in appositi itinerari o circuiti.

Particolari interventi sia di ordine produttivistico che di ordine socia-le saranno studiati, infine, per il settore della pesca che riveste in Puglia una notevole importanza sia per il valore del prodotto lordo che per il numero degli addetti.

Progetti sociali, programmi di promozione e politiche generali ver-ranno a costituire le tre componenti del piano regionale di sviluppo 1971-75. Gli interventi necessari per attuare il piano costituiranno oggetto di una duplice attività legislativa della Regione: legislazione diretta nelle materie di propria competenza ed in quelle delegate dallo Stato; iniziative legislative da trasmettere al Parlamento nelle materie che sono riservate alla competenza esclusiva dello Stato. Assieme all'attività legislativa l'attuazione del piano comporterà la creazione dei nuovi organismi di intervento e l'eventuale ri-strutturazione di quelli già esistenti.

Questo, Sig. Presidente, sigg. Consiglieri, è il quadro necessariamente sommario e per molti aspetti incompleto degli orientamenti e del program-ma della Giunta eletta questa sera.

I compiti che sono davanti a noi non sono certamente facili né pochi. E' mia convinzione che per aver successo sarà necessario che tutti noi im-pegniamo la nostra capacità e la nostra immaginazione per costruire secon-do principi di democrazia e di efficienza un Ente che è destinato a giuocare un ruolo profondamente innovatore nelle strutture della società e dello Sta-to. La Regione non può permettersi di fallire: è la dimensione politica da cui noi vogliamo partire per realizzare il rinnovamento dello Stato.

Il compito è particolarmente gravoso per le Regioni del Mezzogiorno dove l'emigrazione ha indubbiamente determinato l'indebolimento della struttura demografica e dove il sottosviluppo si manifesta anche nella forma di carenza di istituzioni e di organismi di progettazione, di ricerca, di ani-mazione. E' per questo che alla Regione Pugliese si organizzi e funzioni secondo modelli di particolare efficienza, operosità e speditezza.

Ed alla intera popolazione pugliese, ansiosa di progresso e fervida di vita, sentiamo il dovere di rivolgere questa sera il più sincero caloroso salu-to, con l'auspicio che il comune lavoro veda le speranze divenire realtà.

La Giunta Regionale di centro sinistra eletta questa sera dichiara

109

l'impegno di operare in un clima di sincera, leale, feconda collaborazione per l'effettivo progresso della Puglia.

Nessuna preclusione, nessuna cristalizzazione di schemi prefabbrica-ti, ma sensibili aperture ad un dialogo operativo con l'intera comunità. Ed è proprio in questo dialogo, in questa disponibilità alle istanze legittime e-spresse da ciascuno e da tutti, l'elemento qualificante di questa prima espe-rienza di governo regionale.

La vasta tematica che impegna l'azione della regione sollecita una precisa assunzione di responsabilità da parte di tutte le forze politiche. Le barriere preclusive che si frappongono al dibattito franco e leale non hanno ragione di sussistere in una dimensione moderna e priva di condizionamen-ti; ogni forza politica è quindi chiamata a dare la propria valida carica alla definizione di una regione che realmente risponda ad un originale rapporto tra società civile e istituzioni.

Dal confronto meditato tra le varie strategie dovrà scaturire l'impe-gno che caratterizzerà e costruirà la regione pugliese, senza pregiudiziali, ma anche senza equivoche confusioni.

Cinque anni di intenso e difficile lavoro ci attendono. Sono anni de-cisivi per la Puglia chiamata per la prima volta ad autogovernarsi: l'avvenire delle nostre popolazioni è ora ora affidato in misura determinante alla no-stra iniziativa, alla volontà ed alla tenacia di chi democraticamente le rap-presenta. Non mancheranno certo difficoltà, ostacoli e resistenze sulla stra-da da percorrere: nostro impegno è, perciò, quello di lottare quotidiana-mente con l'animo dei pugliesi di sempre.

Il compito affidato a questa prima Giunta regionale, che ho l'onore di presiedere, è quanto mai arduo e delicato. La collaborazione di quanti cre-dono in un migliore futuro per la Puglia ci aiuti ad assolverlo degnamente.

GENNARO TRISORIO LIUZZI*

* Nato a Spinazzola il 1° gennaio 1924; avvocato, patrocinante in Cassazione; già presidente della Commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali; consi-gliere comunale di Bari dal 1956; al Comune di Bari successivamente Assessore ai con-tratti ed appalti, all'industrializzazione ed allo sviluppo economico, ai servizi pubblici; presidente del Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Bari dal 1963 al 1965; sin-daco di Bari dal settembre 1964 al maggio 1970; presidente del Comitato Regionale per la Programmazione Economica della Puglia, per tutto il periodo della sua attività.

110

I rappresentanti delle province pugliesi al Consiglio Regionale

PROVINCIA DI BARI

Democrazia Cristiana - Voti 279.228 - Perc. 39,8% - Seggi n. 7. 1 ) Avv. Gennaro Trisorio Liuzzi (43.986) 2) Avv. Nicola Rotolo (40.122) 3) Cav. uff. Giuseppe Colonna, imprenditore OO. PP. (33.367) 4) Prof. Matteo Fantasia, preside (30.179) 5) Sig. Alessandro Laera, coltivatore diretto (30.004) 6) Prof. Filippo Giampaolo, impiegato (24.931 ) 7) Avv. Enzo Sorice (22.263) Partito Socialista Italiano - Voti. 77.769 - Perc. 11,0% - Seggi n. 2. 1 ) Prof Beniamino Finocchiaro (25.651 ) 2) Avv. Gaetano Scamarcio (14.352) Partito Socialista Unitario - Voti 34.243 - Perc. 4,8% - Seggi n. 1. 1 ) Sig. Michele Di Giesi, sindacalista (13.769) Partito Repubblicano Italiano - Voti. 19.198 - Perc. 2,7% - Seggi n. 1. 1 ) Dott. Carlo Borgia, medico (5.465) Partito Comunista Italiano - Voti. 183.651 - Perc. 26,1% - Seggi n. 5. 1 ) Sig. Giovanni Papapietro, impiegato (48.220) 2) Dr. Sandro Fiore, commercialista (20.751 ) 3) Dott. on. Giuseppe Matarrese, agronomo ( 19.931 ) 4) Sig. Tommaso Clemente, impiegato (14.007) 5) Sig.ra Maria Colamonaco, bracciante (13.018) Movimento Sociale Italiano - Voti 53.210 - Perc. 7,5% - Seggi n. 1. 1 ) Dr. Giuseppe Tatarella, giornalista ( 11.712) Partito Liberale Italiano - Voti 24.790 - Perc. 3,5% - Seggi n. 1. 1 ) Avv. Pasquale Calvario (2.985) Partito Socialista Ital. Un. Prolet. - Voti 18.320 - Perc. 2,6% - Seggi n. 1 1 ) Sig. Giacomo Princigalli, impiegato (3.784) PROVINCIA DI BRINDISI

Democrazia Cristiana - Voti 84.578 - Perc. 43,9% - Seggi n. 3. 1 ) Avv. Vincenzo Palma, dir. ICAP BR ( 17.486) 2) Prof. Giuseppe Sasso (15.234) 3) Avv. Giuseppe Abbadessa (14.496) Partito Comunista Italiano - Voti 52.350 - Perc. 27,2% - Seggi n. 1. 1 ) Sig. Antonio Somma, funzionario partito ( 12.323)

111

PROVINCIA DI FOGGIA Democrazia Cristiana - Voti 124.960 - Perc. 37,3% - Seggi n. 4 . 1 ) Avv. Aurelio Andretta (28.691 ) 2) Sig. Pasquale Panìco, impiegato (21.875) 3) Avv. Gabriele Consiglio (24.324) 4) Avv. Raffaele Augelli, segretario comunale (23.300) Partito Socialista Italiano - Voti 31.461 - Perc. 9,4% - Seggi n. 1. 1) Avv. Domenico Romano (11.171) Partito Comunista Italiano - Voti 113.724 - Perc. 34% . Seggi n. 4. 1 ) Sig. Pasquale Panico, impiegato (21.875) 2) Sig. Giuseppe Papa, bracciante (18.881 ) 3) Dott. Angelo Antonio Rossi, professore ( 15.991 ) 4) Sig. Nicola Di Stefano, dirigente sindacale (15.382) Partito Socialista Unitario - Voti 13.253 - Perc. 4% - Seggi n. 1. 1 ) Dott. Antonio Grosso, medico (2.343) Movimento Sociale Italiano - Voti 23.610 - Perc. 7,1% - Seggi n. 1. 1 ) Avv. Antonio Piacquadio (8.600) PROVINCIA DI LECCE Democrazia Cristiana - Voti 167.736 - Perc ....... - Seggi n. 5. 1 ) Dott. Emilio Pulii, impiegato ( ...... ) 2) Dott. Nicola Quarta, impiegato ( ...... ) 3) Prof. Marcello Rizzo ( ......) 4) Prof. Brizio Aprile, impiegato ( ...... ) 5) Dott. Gaetano Baldassarre, medico ( ...... ) Partito Socialista Italiano - Voti 50.579 - Seggi n. 2. 1) Prof. Luigi Tarricone, preside ( ......) 2) Cosimo Abate ( ...... ) Partito Comunista Italiano - Voti 57.847 - Perc........ - Seggi n. 2. 1 ) Sig. Antonio Ventura, pubblicista ( ...... ) 2) Prof. Giovanni Schilardi, professore ( ...... ) Movimento Sociale Italiano - Voti 38.171 - Perc...... - Seggi n. 1. 1 ) Dott. Francesco Alemanno, farmacista ( ......) PROVINCIA DI TARANTO Democrazia Cristiana - Voti 109.601 - Perc. 41,3% - Seggi n. 3. 1 ) Prof. Giuseppe Conte, insegnante (30.858) 2) Avv. Angelo Monfredi, giornalista (21.668) 3) Avv. Giovanni Margiotta, avvocato (13.742) Partito Comunista Italiano - Voti 81.082 - Perc. 30,6% - Seggi n. 2. 1) On. Antonio Romeo, impiegato (29.890) 2) Sig. Cosimo Raimondo, dirigente Patronato (11.048) Movimento Sociale Italiano - Voti 25.696 . Perc. 9,7% - Seggi n. 1. 1) Dott. Francesco Liuzzi, medico (4.046).

112

Regione Puglia La prima sessione del Consiglio

Il commissario del Governo per la regione, dott. Nilo Pignataro, con suo decreto n. 9 del 5 luglio, convocava il Consiglio Regionale, per la costituzione dell'Ufficio di Presidenza ai sensi dell'art. 15 della L. 10 febbr. 1953, n. 62. Il 13 luglio a Bari si riuniva l'Assemblea nella sede dell'Amministrazione Prov.le, presente lo stesso Commissario, quale invitato, presidente il consigliere anziano avv. Giuseppe Abbadessa, funzionando da segretari i consiglieri più giovani, avv. Enzo Sorice e prof. Giovanni Schilardi.

Per l'art. 25, 2° comma della L. 17 febbr. 1968 n. 108, le attribuzioni del-la Segreteria del Consiglio sono disimpegnate dall'Ufficio di Segreteria della stessa Amministrazione Prov.le, in persona del dott. Pantaleo Macchia.

Dopo il rituale saluto del Presidente, prende la parola il capo gruppo consiliare della F.C. per dare lettura dell'accordo politico dei quattro partiti di Centro Sinistra per la costituzione degli organi della Regione Pugliese.

PROF. MATTEO FANTASIA (DC):

« Nel momento in cui l'Assemblea del Consiglio Regionale Pugliese elegge i propri organi direttivi, i gruppi politici della Democrazia Cristiana, del Partito Socialista Italiano, del Partito Socialista Unitario e del Partito Repubblicano Italiano riaffermano la loro comune volontà politica di assi-curare alla Puglia un governo organico di centro-sinistra, con maggioranza autonoma ed autosufficiente, formula capace di rispondere alla domanda politica che emerge dalla società e di concorrere a soddisfare la profonda aspirazione popolare alla conquista di più avanzati traguardi sociali.

I quattro partiti esprimono la convinzione che con il voto popolare del 7 e 8 giugno 1970, lo Stato italiano, nato dalla Resistenza e disegnato, nelle sue linee maestre, dalla Costituzione repubblicana, realizza in concre-to, con le Regioni, una delle fondamentali articolazioni che qualificano la sua struttura poggiata sulla democrazia e sulla libertà politica a tutti i livelli.

La Regione, ente dotato di uno specifico potere legislativo da eserci-tare in piena e inalienabile autonomia, costituisce una svolta del modo di concepire la funzione dello Stato democratico, non soltanto per la negazio-ne di ogni forma di superato centralismo burocratico che essa manifesta, ma soprattutto per la diversa distribuzione del potere lo-

113

cale che assume una dimensione più immediatamente popolare. Questa nuova realtà regionale è l'adeguamento e moderno strumento

della nuova sintesi politica idonea a ricomporre in un quadro democratico e ancorato alla libertà la giusta pressione di nuove forze sociali e di fervide istanze che devono esprimere - come auspichiamo che avvenga in Puglia - tutta la propria forza di partecipazione e di sostegno per la costruzione di un assetto sociale che coinvolga le comunità, a livello locale, provinciale e regionale.

La ricerca di una maggiore e migliore funzionalità per la macchina dello Stato si definisce e si impone con la Regione, nella misura in cui la ridistribuzione del potere coincide con la più vasta consapevolezza di cia-scuno e di tutti di essere parte attiva della società libera assumendone ogni responsabilità. A questa richiesta di partecipazione dei cittadini deve corri-spondere l'azione costante di rinnovamento delle strutture pubbliche e delle stesse forze politiche, ancorandoci alle coraggiose tradizioni del miglior pensiero del regionalismo e dell'antifascismo.

La regione, annullando le distanze dei centri decisionali, perché la Puglia stessa diventa tale, ha oggi compiti importanti e nuovi di promozio-ne e di coordinamento alla pari con tutte le altre Regioni del Mezzogiorno, per il riequilibrio economico, e sociale fra Nord e Sud.

L'impegno che i quattro partiti ritengono di poter assumere al co-spetto dell'Assemblea regionale e delle attese delle popolazioni è di elabora-re, nei tempi previsti dalla legge, lo statuto della Regione adeguandolo alle specifiche esigenze della Puglia, statuto che dovrà rappresentare lo stru-mento operativo per la vita dell'Ente, contenere le norme per le iniziative della Regione e per la sua strutturazione, non soltanto per la vita interna ma anche nei confronti dello Stato riaffermando la autonomia della Regione, che va al di là delle chiare restrizioni della legge 10 febbraio 1953, n. 62, in armonia con gli altri principi della carta costituzionale.

I quattro partiti sono convinti che insieme ai compiti legislativi che spettano alla Regione, essa è chiamata a svolgere una funzione propulsiva e coordinatrice con una chiara posizione di effettivo « servizio » nei confronti delle comunità.

Con il nuovo ente và bandito ogni sia pur piccolo residuo di campa-nilismo e di esclusivismo: rinnovato è dunque l'impegno di operare con se-rietà e fermezza affinché la Puglia riconosca se stessa e sappia occupare il posto che le compete nel Mezzogiorno.

Costante opera della maggioranza sarà di stabilire e mantenere corret-ti rapporti con le opposizioni in modo che risultino più intensa la dialettica e più vivo il confronto libero delle varie tesi.

Un collegamento costante verrà stabilito con tutte le forze sociali, in modo particolare con i sindacati, con le istituzioni, gli enti locali e quelli culturali, allo scopo precipuo di realizzare feconde forme di attiva parteci-pazione alla vita regionale. Con questa proposizione non

114

si intende indulgere a visioni settoriali, corporative e campanilistiche, né lasciarsi trascinare nel vortice di disordinate e confuse rivendicazioni parti-colaristiche. La Regione è organo di sintesi politica, nel cui quadro devono collocarsi le esigenze più diverse, così come la visione globale dello svilup-po della comunità regionale deve costantemente ispirare l'azione del Go-verno regionale e della maggioranza che la sostiene.

Contemporaneamente al lavoro per dare all'Ente Regione il proprio Statuto e per garantire, con l'assetto interno, la funzionalità e l'efficienza degli uffici, occorrerà affrontare l'impegnativo compito di elaborazione del Piano di sviluppo economico regionale. Sarà questa una impresa delicata e particolare poiché si è alla vigilia della preparazione del 2° Piano di sviluppo economico nazionale e del 2° Piano di coordinamento degli interventi pub-blici nel Mezzogiorno, per cui le tesi che la Puglia andrà ad esprimere po-tranno essere recepite in questi documenti riguardanti la vita italiana dei prossimi cinque anni.

In questo quadro la Regione collocherà la propria decisiva azione per portare avanti il processo di sviluppo pugliese a cominciare dall'utilizzazio-ne e valorizzazione delle risorse interne per un più spedito cammino sulla via della industrializzazione, che dovrà rispondere a criteri di un giusto e-quilibrio territoriale e settoriale, al fine di superare squilibri interni alla Pu-glia tuttora esistenti che vanno eliminati, ed anche per porre un deciso fre-no al fenomeno della emigrazione che depaupera l'ambiente delle sue forze di lavoro più valide.

I quattro partiti che assumono la responsabilità del governo regionale opereranno perché l'agricoltura esca dal suo attuale stato di inferiorità e porranno con fermezza il problema delle opere connesse all'irrigazione dei campi e alla elettrificazione rurale che genereranno un vasto processo di riconversioni culturali, di commercializzazione dei prodotti agricoli pregiati su scala europea e di integrazione con l'industria, che possono assicurare alle attività agricole il ruolo che loro spetta in una economia come quella pugliese.

Preminente azione sarà condotta per l'organizzazione del territorio della Regione, in stretta collaborazione con gli enti locali, azione collegata alla espansione delle attività turistiche e alla salvaguardia e tutela del patri-monio paesaggistico, naturale, archeologico e costiero della Puglia.

Non va sottaciuto il lavoro da compiere in direzione dell'elevazione cul-turale dell'ambiente: è un settore dove vi è ancora molto da fare e la Regione opererà perché le strutture formative civili e professionali consentano alle po-polazioni il raggiungimento di più alti livelli civili; a tal fine idonee iniziative saranno promosse chiamando alla collaborazione istituzioni culturali, giovani e sindacati.

La Regione è chiamata a vitalizzare l'intero corpo sociale pugliese. E' questo il fermo impegno della Regione, come è fermo quello in difesa delle libertà civili e della democrazia tese al conseguimento della maggiore giusti-zia sociale ».

115

Mi sia consentito, brevemente, di porre l'accento sul fatto che ab-biamo tenuto fede all'impegno di tornare a riunirci in questa sede nel più breve tempo possibile sull'accordo raggiunto dai partiti del Centro Sinistra, accordo che si fonda su tre punti essenziali: 1) il rispetto della volontà po-polare espressa nelle elezioni del 7-8 giugno; 2) la omogeneità dei gruppi politici che hanno stipulato l'accordo; 3) la vocazione regionale degli stessi gruppi politici.

Io mi auguro, ed esprimo l'augurio a nome del gruppo della Demo-crazia Cristiana, che il nostro accordo valga come esempio nella Regione e nella Provincia per la costituzione degli organismi amministrativi degli enti locali, comunali e provinciali. Mi sia consentito anche di augurare che il no-stro esempio valga per la risoluzione della crisi nazionale, perché si potrà operare meglio nella Regione in presenza della stabilità del Governo. Infine vada un augurio all'Ufficio di Presidenza, che fra poco eleggeremo, per un fecondo lavoro nella Regione pugliese.

Con brevi interventi si susseguono i consiglieri prof. Tarricone (PSI), dott. Borgia (PRI), sig. Papapietro (PCI), dott. Tatarella (MSI), sig. Princigalli (PSIUP), avv. Calvario (PLI), sig. Di Giesi (PSDI).

Nella seduta del 20 successivo, in prosecuzione della prima, il Consi-glio procede alla elezione del suo presidente, nella persona dell'on. prof. Be-niamino Finocchiaro (votanti 50, fav. 27, sch. b. 6, id. nulle 2). Questa e le altre successive deliberazioni sono dichiarate all'unanimità immediatamente esecutive.

Proclamato l'esito della votazione, il Presidente legge le dichiarazioni innanzi riprodotte.

Si passa alla costituzione dell'Ufficio di Presidenza (art. 16 della L. 10.2.1953 n. 2), che risulta composto dal democristiano avv. Abbadessa (vo-tanti 50, fav. 28) che poi, decaduto, sarà sostituito il 30 luglio dall'altro dc avv. Augelli (votanti 35, fav. 21, sch. b. 14), e dal comunista on. dott. Matar-rese (fav. 16) e di due segretari nelle persone dei consiglieri avv. Sorice (DC), che, dimissionario, il 31 luglio sarà sostituito dall'avv. Margiotta (DC), e sig. Ventura (PCI).

La seduta del 27 è occupata dalla elezione: a) del presidente della Giunta regionale, risultato in persona del dc avv. Gen-

naro Trisorio Liuzzi (votanti 48, fav. 28), mentre voti 14 al comunista on. Romeo, sch. bianche 6;

b) dei seguenti assessori effettivi, nel numero di 12, proposto dal prof. Fan-tasia (votanti 47): prof. Sasso (DC v. 29), avv. Abbadessa (DC, v. 28), dott. Borgia (PRI, v. 28), prof. Dilonardo (PSI, v. 28), dr. Monfredi (DC, v. 28), avv. Palma (DC, v. 28), avv. Romano (PSI, v. 28), avv. Andretta (DC, v. 27), sig. Di Giesi (PSDI, v. 27), prof. Giampaolo (DC, v. 26).

Un voto va al prof. Aprile (DC) al dott. Baldassarre (DC) e all'avv. Sca- marcio (PSI). Le schede bianche 16; c) di quattro assessori supplenti (votanti 47, fav. 30, sch. b. 17): prof. Aprile,

dott. Baldassarre, comm. Laera e dott. Quarta, tutti della DC. Proclamato l'esito delle due votazioni, il presidente della Giunta, avv.

Trisorio Liuzzi, pronuncia il discorso pubblicato nelle pagine precedenti.

116

In apertura di questa seduta, l'Assemblea aveva incaricato in via prov-visoria il dott. Pantaleo Macchia, segr. gen.le dell'Amministrazione prov.le di Bari, di dirigere la Segreteria del Consiglio regionale.

Nella seduta del giorno 30 sorge discussione sul giuramento dei Consi-glieri reg.li - per determinarne - con riferimento all'art. 54 della Costituzione - il momento, non indicato dalla L. n. 108 del 1968, art. 7 ultimo cpv. Princi-galli (PSIUP) propone il rinvio, sostenuto da Calvario (PLI) e da Abbadessa (DC) che, purtuttavia, dopo dichiarazioni del presidente, on. Finocchiaro, e del prof. Fantasia, aderisce alle argomentazioni di quest'ultimo a favore della formalità.

Si elegge la Giunta per la convalida dei Consiglieri reg.li, che risulta co-stituita da: dott. Borgia (PRI), avv. Calvario (PLI), sig. Clemente (PCI), dott. Grosso (PSDI), dott. Monfredi (DC), sig. Princigalli (PSIUP), avv. Scamarcio (PSI), dott. Tatarella (MSI), oltre il Presidente del Consiglio, chiamato a pre-siederla.

Revisori al di fuori della Giunta sono eletti: dott. Pulli (DC), prof. Tar-ricone (PSI) e sig. Papa (PCI).

Prosegue il dibattito conclusivo sulle dichiarazioni della Giunta; vi par-tecipano i rappresentanti di Capitanata, dei quali qui di seguito si riportano gli interventi.

Avv. GABRIELE CONSIGLIO (D.C.):

. . , non farò un discorso ad ampio respiro come quello che opportu-namente, giustamente, doverosamente è stato testé pronunziato dai colleghi Scamarcio e Romeo a nome dei loro rispettivi gruppi politici. Non farò sig. Presidente, un discorso impegnato ad attingere - dall'esame della crisi attua-le del Governo a quello delle condizioni socio-economiche del Paese, all'e-same dell'emigrazione, della massima occupazione, dell'industrializzazione, dell'agricoltura - le regioni di fondo che pure ovviamente pongono in stret-ta connessione tra di loro i problemi della politica generale con quelli della politica regionale.

Il mio intervento, invece, sarà breve, conciso e compendioso. Io vor-rei propormi soltanto di coglier un aspetto saliente tra quegli aspetti, tra quei temi qualificanti che si ritrovano nel discorso pronunziato dal Presi-dente della Giunta avv. Trisorio Liuzzi. Vorrei, cioè, limitarmi a rendere atto al Presidente Trisorio Liuzzi di aver reso, secondo il mio modesto av-viso, una indicazione esatta degli impegni prioritari che l'Ente Regione si propone di perseguire: al primo posto la occupazione, quindi l'irrigazione, « la difesa dell'ambiente e conservazione della natura ». Un impegno questo ultimo che ritengo possa integrarsi, per uno stretto rapporto di connessio-ne, con l'altro che riguarda « l'assetto del territorio », perché, secondo me, la difesa dell'ambiente, sì, è certamente la difesa del patrimonio costiero, la difesa dai pericoli e dai danni oggi di grande attualità, dell'inquinamento, la difesa del patrimonio paesaggistico, del patrimonio artistico-culturale, ma, ritengo, che la difesa dell'ambiente sia soprattutto la difesa del « patrimonio naturale ». In altri termini assumendo espressamente questo impegno si è voluto porre l'accento, in definitiva, sul fatto che

117

bisogna difendere e consolidare l'habitat naturale delle nostre zone. Di qui la stretta connessione con l'altro impegno successivo che è quello dell'assetto territoriale con il quale si vuole rappresentare la necessità di colmare gli squilibri interni che esistono, nell'ambito della nostra stessa regione, e che tutti quanti noi, credo, condanniamo, e vogliamo colmare. Ma quando io penso all'assetto territoriale, penso ai territori dissestati e non posso non pensare, a questo punto, al mio subappennino Dauno che, tra le zone de-presse della Regione pugliese, presenta, in forma più acuta, questo grave fenomeno del dissesto geologico. Molti di voi, forse, non sanno che la Pro-vincia di Foggia, se non l'unica, è una delle pochissime Province d'Italia a non possedere neppure una carta geologica. Ma non occorre certamente una carta per comprendere l'ampiezza e la gravità di questo fenomeno che riguarda, appunto, il dissesto di questa grossa area collinare rappresentata dal subappennino. Qui si attendono ancora interventi massicci sul piano delle infrastrutture civili. I comuni di questa zona, naturalmente, continua-no a spopolarsi disastrosamente, contribuendo, in conseguenza, ad aumen-tare l'indice di depressione demografica e pagando uno dei tributi più alti che si possa pagare alla emigrazione. Stavo parlando di questo fenomeno terribile, impressionante, della degradazione del suolo, di questo dissesto geologico che angustia e angoscia la terra del subappennino, a causa della natura in gran parte argillosa dei terreni che sono in continuo smottamento, della rete viaria, specialmente quella provinciale, interessata da continue frane e da smottamenti, un dissesto geologico dovuto, anche in gran parte a quell'opera di disboscamento che è stata fatta nel passato. Qui mi ascoltano, quei sette tra gli undici colleghi consiglieri della Provincia di Foggia, che sono nati e cresciuti nel sub-appennino e che come me possono testimonia-re, per averla vissuta e sofferta sul piano personale e sul piano diretto, la gravità del fenomeno di dissesto geologico. Io non vorrei dare l'impressione di fare, a questo punto, un discorso campanilistico ... Non è che io qui vi stia ad esprimere uno stato d'animo, vi pongo un problema che, per quanto particolare possa essere, certamente non è un problema particolaristico; vi pongo un problema, la cui conoscenza, il cui approfondimento sono neces-sari, un problema che si riferisce al contesto Regionale. Vi pongo, in defini-tiva, un problema dell'Ente Regione, perché la Regione, io ne sono convin-to, è la sintesi unitaria; deve rappresentare una sintesi unitaria, che com-prenda tutta la problematica pugliese, avendo di mira che nel quadro unita-rio, abbiamo a collocarvi tutte le esigenze. La sintesi cui noi dobbiamo ten-dere, presuppone l'analisi. Sicché, oggi qui, cogliere un elemento di analisi non significa voler distorcere l'esigenza della sintesi e, se l'analisi anticipa necessariamente il lavoro di sintesi, essa contribuisce notevolmente, essen-zialmente, perché la sintesi è, a sua volta, rappresentativa di tutte quante le esigenze, le più diverse. Pensare, quindi, particolarmente a certi problemi, a certi distretti territoriali della nostra regione, non

118

mi pare sia una sorta di frusto campanilismo, invece significa contribuire affinché il decentramento operi soprattutto in favore delle cosiddette « zone marginali e depresse ». Come siamo compresi tutti noi della necessità di operare un decentramento dallo Stato alla Regione, così, in pari misura, dobbiamo tutti quanti avvertire la necessità di operare, allo stesso modo, un decentramento del centro Regionale ai livelli sub-regionali. Se, e su questo siamo tutti d'accordo, vogliamo combattere, vogliamo distruggere il centralismo nazionale, in pari misura dobbiamo tenere lontano il tenta-tivo che voglia eventualmente una sorta di centralismo regionale, come vogliamo una autonomia non anarchica, ma una autonomia da portare avanti, da realizzare, e mi piace a questo riguardo ripetere le espressioni usate dal presidente on.le Finocchiaro, « nello Stato e con lo Stato ». Per-tanto come vogliamo una autonomia non anarchica, così vogliamo una autonomia che non sia autarchica, che non si chiuda in sé stessa e che rie-sca a trovare quel rapporto necessario con le altre realtà regionali, spe-cialmente quelle pugliesi, per aggredire, come si è detto giustamente qui da tutti i banchi, quella realtà meridionale che è gran parte della realtà di tutto il paese; come vogliamo, questo è il concetto che desidero esprime-re, una autonomia che nell'interno della Regione ci liberi e ci salvi costan-temente dalla tentazione di un autoritarismo che nuocerebbe alle partico-lari esigenze della nostra periferia regionale, così noi vogliamo un decen-tramento che per non essere soltanto amministrativo, deve realizzarsi in modo da valorizzare quei comprensori territoriali marginali e depressi. Secondo me, è proprio l'assetto del territorio che pone un problema di equilibrio comprensoriale. Io ho letto, forse un po' tardi, ma ritengo con la dovuta attenzione, quello schema di sviluppo redatto dal Comitato Re-gionale per la programmazione pugliese, che non è uno schema che va sepolto, anche se va riconsiderato e aggiornato con la nuova realtà regio-nale. Ho anche letto al riguardo che il primo obiettivo dell'assetto territo-riale è quello di uno sviluppo equilibrato nell'ambito regionale che non lasci in condizioni di arretratezza alcune zone o alcune province. Tutte le cinque province pugliesi devono partecipare al processo di sviluppo eco-nomico della Regione, secondo le risorse di cui esse dispongono e devo dare atto, con particolare soddisfazione, al presidente Trisorio Liuzzi di aver ripreso con maggiore vigoria questo concetto; concetto del resto im-prescindibile ed inalienabile per chi guarda veramente allo scopo e al fine unitario della Regione pugliese. Pertanto le aree particolarmente depresse, quali il sub-appennino, l'alta Murgia barese e le serre leccesi, devono esse-re oggetto di uno studio approfondito, al fine di cercare di determinare una inversione di questa strana e purtroppo puntuale tendenza secondo la quale le zone più ricche tendono a essere più ricche e le zone più povere tendono sempre a rimanere più povere. Lo studio servirà anche per avere una più esatta conoscenza del suolo in modo da renderne più efficace la difesa e programmare efficaci interventi.

119

Per quanto riguarda l'assetto territoriale, nel discorso programmatico, il presidente Trisorio Liuzzi, ha annunziato la creazione di nuovi organismi e tipi di interventi. In effetti si avverte profondamente questa necessità. Po-trebbe trattarsi di organismi settoriali, non vorrei parlare di un 13° assesso-rato, ma di un assessorato per le zone depresse; potrebbe anche trattarsi di una commissione di studio responsabilizzata particolarmente a questo pro-blema; oppure di uno staff di managers politici, come li ha chiamati il Presi-dente Finocchiaro, ma quello che è certo è che si avverte la necessità di ap-prestare nuovi organismi, di intervenire per risolvere compiutamente e de-finitivamente, speriamo, i problemi innanzi esposti. Ho preso atto con viva soddisfazione delle dichiarazioni rese dal Presidente Trisorio Liuzzi, relati-vamente alla necessità, ancora una volta ribadita, che l'industrializzazione si estenda a larghe fasce in modo da creare maggiori possibilità, rispetto a quelle attuali, di investimenti nella Provincia di Foggia. Condivido, altresì, il discorso fatto dal consigliere Princigalli, quando si sofferma sulla necessità che le piccole e medie industrie del territorio pugliese siano industrie di conservazione e trasformazione dei prodotti agricoli, in senso come è stato detto, anticapitalistico, nel senso, come io vorrei dire, che con questo tipo, con questo modello di industrie, certamente i margini di reddito provenienti dalla terra, resterebbero assicurati, comunque, al settore agricolo. Va preci-sato, inoltre, che quando parliamo di sub-appennino, dell'alta Murgia di Ba-ri, delle terre salentine, di zone depresse, non facciamo del campanilismo, ma cerchiamo di affrontare, invece, un problema che risponde, in primo luogo riveste una esigenza prioritaria, che è stata anche sottolineata nel di-scorso programmatico del presidente Trisorio Liuzzi, e che, secondariamen-te, risponde alle esigenze unitarie della Regione, nel richiamo di un decen-tramento, non solo amministrativo, ma effettivo, da operarsi con strumento idoneo, ristrutturando quelli esistenti, come le Province, i Comuni, gli Enti di Sviluppo, i Consorzi e creando altri strumenti più idonei e nuovi. Cer-chiamo di affrontare, infine, un problema che risponde ad una esigenza umana prima che civile, che è quella di rendere maggiore giustizia alle co-munità che popolano quelle zone depresse e che avvicini quelle stesse co-munità ai centri decisionali; e che risponde altresì alle esigenze di una pro-grammatica regionale, che come ha detto il collega Fantasia, alla vigilia del secondo Piano Nazionale di Sviluppo e di coordinamento degli interventi pubblici nel Mezzogiorno, non potrà disattendere le esigenze delle nostre zone più depresse. In verità occorre preoccuparsi seriamente della integra-zione delle aree sottosviluppate nella realtà regionale, occorre, per es., per quanto riguarda il sub-appennino, fare nostro l'impegno di finanziare i piani già esistenti, come quello approvato sin dal lontano 1° dicembre 1962, delle opere di bonifica del bacino montano del Fortore, il piano stradale del sub-appennino predisposto dall'Amministrazione Provinciale, il piano zonale di sviluppo dell'area metanifera (Ascoli-Candela-Deliceto) redatto dall'Ente di Sviluppo; occorre fare

120

nostro l'impegno, assunto in altre sedi, di favorire l'insediamento industriale lungo le fasce itineranti della costruenda « Pedasubappenninica », fasce iti-neranti che corrono ai piedi dei rilievi collinari, dalla piana di Lucera alla valle del Cervaro, occorre rinnovare gli impegni o di consentire il massimo sfruttamento in loco del metano. Io concludo, Signor Presidente, Signori Colleghi Consiglieri, riaffermando questo concetto che ho inteso esprimere in questa seduta, davanti a questa competente assemblea. Tutto quello che ho detto, mi pare che non abbia il significato di voler indulgere a sollecita-zioni settoriali o comprensoriali di carattere provincialistico o municipalisti-co, ciò perché quando si parla di sub-appennino Dauno, dell'alta Murgia, delle terre salentine, si pone un problema da cui non può prescindersi per realizzare una sostanziale ed autentica unitarietà della Regione pugliese; si pone un problema di decentramento a tutti i livelli e di programmazione seria, ordinata e democratica. Se la Regione è un fatto di decentramento, se la Regione è un fatto di autonomia, la Regione deve essere, soprattutto, un fatto di giustizia sociale. DOTT. ANTONIO GROSSO (P.S.U.):

... intervengo in questo dibattito per illustrare le posizioni del Partito che mi onoro di rappresentare, non certo per differenziarmi dalle imposta-zioni di base del discorso del nostro Presidente Trisorio Liuzzi, che si ri-chiamano, del resto, ampiamente al documento politico sottoscritto dai quattro Partiti che hanno espresso l'organo di Governo ed illustrato in que-sta aula dal capo-gruppo della D. C., prof. Fantasia; ma per mettere a fuoco, dalla particolare angolazione che contraddistingue l'azione politica del mio Partito, alcuni temi trattati negli interventi di coloro che mi hanno precedu-to in questo dibattito e che richiedono, a giudizio mio e del mio Partito, un maggiore approfondimento.

Il primo e più importante tema, è ovvio sottolinearlo, è costituito dai rapporti fra maggioranza ed opposizione che poi servono a qualificare ed a dare un contenuto al quadro politico di centro-sinistra nel quale viene a collocarsi la nostra azione in seno alla Regione.

Siamo stati tacciati dal consigliere Fiore di essere anacronistici nell'aver voluto ripetere nella regione la formula di centro-sinistra organico, la cui rico-stituzione è così laboriosa a livello di Governo nazionale. Noi socialdemocratici crediamo ancora nella validità di questa formula nella misura in cui l'accordo politico posto a base della formula stessa conservi il suo originario contenuto.

Tutti sanno che le divergenze che esistono con i compagni del PSI vertono soprattutto sul piano dei rapporti con la opposizione ed in partico-lare con l'opposizione comunista.

Noi siamo coerenti alla nostra impostazione nel tempo ed a ogni li-vello di responsabilità e siamo pronti a stipulare accordi di centrosinistra al Governo e negli Enti locali sempre che venga salvaguardata

121

l'esigenza di chiarezza, la delimitazione netta e precisa fra i partiti di centro-sinistra ed il partito comunista.

Noi siamo, perciò, pienamente d'accordo con il capogruppo della DC prof. Fantasia nell'auspicare rapporti corretti con l'opposizione; siamo, ovvia-mente, disposti a recepire tutti i contributi e gli apporti che ci verranno dalle opposizioni, purché sia chiaro che ogni forza politica deve conservare in que-sto consesso il suo ruolo preciso e che non ci sia nessuna confusione tra la maggioranza e l'opposizione.

Siamo, perciò, favorevoli ad intrattenere i rapporti più corretti e de-mocratici con l'opposizione ma saremo fermamente contrari ad una gestio-ne della regione di tipo assembleare.

E se qualcuno aveva letto sulla stampa dichiarazioni che preludevano a formule politiche diverse dal centro-sinistra organico che si è poi effetti-vamente costituito, non siamo certo noi socialdemocratici a poter essere accusati di incoerenza se è vero che ci battiamo per la costituzione del qua-dripartito a tutti i livelli e dovunque sia numericamente possibile.

Abbiamo ritenuto puntualizzare questo tema anche in riferimento ai rapporti interni fra i partiti che compongono la maggioranza.

Noi riteniamo che il centro-sinistra non sia un superpartito ma un accordo politico fra partiti che esprimono posizioni diverse e che conserva-no una propria individualità.

Nell'azione concreta di governo auspichiamo che abbiano prevalenza i punti di convergenza che sono numerosi e che venga circoscritta l'area del dissenso a dimensione accettabile al fine di una comune gestione della cosa pubblica.

Esaurito il discorso più propriamente politico, ci associamo alle criti-che che sono state espresse da tutte le parti alla legge Scelba, che anche per noi è viziata di incostituzionalità nella maggior parte dei suoi articoli.

Il Presidente Trisorio Liuzzi ha indicato tre soluzioni per modificare la situazione giuridica nella quale siamo costretti ad operare dalla esistenza della legge Scelba:

l) la presentazione di un progetto di legge di abrogazione; 2) la proposizione della questione di legittimità davanti alla Corte

Costituzionale; 3) l'abrogazione tacita con la redazione di uno schema di statuto,

da fare approvare dal Parlamento, che non tenga conto della legge Scelba. Personalmente ritengo che bisogna seguire contemporaneamente le tre

strade, impegnandosi tuttavia con maggiore forza per la prima soluzione, che costituisce la più lineare e la più rapida. A tal fine propongo formalmente di stabilire dei contatti in via breve con i Presidenti delle altre Regioni a statuto normale per la rapida e concordata presentazione al parlamento del disegno di legge per il superamento della legge Scelba, prima ancora della presentazione da parte delle Regioni degli Statuti, questo perché si potrebbero incanalare in una azione

122

comune le critiche che vengono mosse da quasi tutte le parti politiche alla legge Scelba; mentre è evidente che gli schemi di statuto che le varie Regio-ni andranno ad elaborare saranno notevolmente diversi fra di loro, perché tenderanno a rispecchiare le singole condizioni ambientali.

In quanto alla eventuale pronunzia di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale, mi sembra evidente che, per questa via, non otter-remmo pienamente il nostro scopo.

La Corte Costituzionale, infatti, annulla le disposizioni incostituzio-nali ma non può emanare nuove norme; ed è molto dubbio che le disposi-zioni costituzionali, che sono chiaramente programmatiche, possano opera-re direttamente, anche in mancanza di una legge ordinaria. Il problema è, perciò, di ottenere, nel modo più rapido possibile, una legislazione sul pun-to fondamentale della garanzia dell'autonomia delle Regioni.

Con ciò non voglio dire, certo, che bisogna aspettare la risoluzione di questo problema per porre mano allo statuto. Dobbiamo metterci subito al lavoro per cercare di tradurre nello statuto, in modo chiaro ed incontrover-tibile, le impostazioni di fondo sulle quali c'è il più largo accordo in questo consesso anche prescindendo dalla rigidità degli schieramenti politici.

Il prof. Fantasia ha accennato alla necessità del decentramento, il Presidente Trisorio-Liuzzi ha sottolineato l'esigenza di stabilire dei rapporti, i più democratici possibili con gli altri Enti che operano nella regione ed in particolare riguardo con gli Enti locali; ed ha ben definito il tipo di control-lo, non repressivo che deve essere instaurato nei confronti delle Provincie e dei Comuni.

Io credo, per esempio, che la introduzione nello statuto di questa im-postazione politica, che è certamente condivisa da gruppi non facenti parte della maggioranza di centro-sinistra, ci dovrà portare ad istituire per il con-trollo degli atti dei Comuni, quelle Commissioni decentrate che sono previ-ste dalla legge Scelba, che non mi sembra in contrasto, per questo aspetto, con la costituzione.

L'art. 130 della Costituzione stabilisce, infatti, che un organo della Regione esercita, anche in forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle Provincie e dei Comuni e degli altri Enti locali.

L'inciso, in forma decentrata, sta appunto ad indicare la facoltà che può essere esercitata dalla Regione, in sede di redazione dello statuto, di decentrare nei capoluoghi di Provincia, le speciali sezioni di controllo sugli atti dei Comuni.

Altro nodo da sciogliere, nella formulazione dello statuto, è costituito dalla esigenza di far rientrare nella competenza degli organi di controllo della regione, gli atti delle Amministrazioni ospedaliere, attualmente attri-buiti alle articolazioni burocratiche provinciali del Ministero della Sanità, e di tutti gli altri Enti locali diversi da Comuni e dalle Provincie.

123

Il Presidente della Giunta ha proposto che la Regione aiuti i comuni a razionalizzarsi ed a costituirsi in Consorzi specie quando, per le loro limi-tate dimensioni, non sono in grado di assolvere tecnicamente ed economi-camente ad alcuni compiti istituzionali o comunque essenziali. Condivido interamente questo orientamento che del resto corrisponde all'orientamento ripetutamente espresso da tutti i cultori della materia che fanno risalire pro-prio all'eccessivo numero dei Comuni italiani la causa di fondo della situa-zione di permanente squilibrio della finanza locale.

Devo tuttavia, far presente che mi sono molto meravigliato nell'ap-prendere dalla stampa di estemporanee iniziative per la erezione di nuovi comuni nella mia provincia, iniziative che sono in aperto contrasto con le dichiarazioni programmatiche del Presidente Liuzzi.

Allo stesso modo debbo meravigliarmi che la proposta della istitu-zione di una sesta provincia pugliese, quella di Barletta, venga avanzata proprio nella città di appartenenza dell'unico consigliere che in questo con-sesso ritiene che debbano essere abolite le Provincie. E' ovvio sottolineare che anche sul problema delle Provincie condivido interamente l'imposta-zione del discorso del Presidente Liuzzi.

Non sono invece, pienamente d'accordo con il Presidente della Giun-ta nella proposta di creazione di nuovi Enti regionali.

Abbiamo tutti sotto gli occhi la degenerazione dell'istituto regionale in Sicilia dovuto soprattutto, a nostro parere, alla eccessiva proliferazione degli Enti regionali, che sono degli autentici carrozzoni che assorbono le risorse fi-nanziarie della Regione e finiscono per usurpare le funzioni proprie degli orga-ni rappresentativi.

Dobbiamo essere molto cauti ad incamminarci su questa strada che potrebbe portarci di fatto all'affermazione di tendenze egemoniche ed ac-centratrici, che tutti nominalmente ci dichiariamo disposti a combattere.

Qualche dissenso devo pure esprimere su quanto sostenuto dal Presi-dente dell'Assemblea sulla materia della organizzazione amministrativa della regione. Ritengo eccessivamente avveniristica la possibilità della creazione di una classe di « managers pubblici », che poi sarebbe la istituzione delle agenzie, di derivazione anglosassone, che da vari mesi invano si tenta di introdurre in qualche ministero; né credo possibile istituzionalizzare la transitorietà politica dei responsabili degli uffici amministrativi. Concordo pienamente sulla necessi-tà della creazione di una struttura amministrativa moderna e funzionale, ma non posso non far presente i pericoli della mitizzazione dell'efficientismo.

Bisogna realisticamente rendersi conto che non è possibile fare un salto improvviso dall'organizzazione ottocentesca degli uffici pubblici at-tualmente esistente nel nostro Paese, ad una organizzazione a carattere pri-vatistico-aziendale.

L'evoluzione che è necessaria non può che essere graduale ed è per questo che concordo pienamente con il Presidente Trisorio-Liuzzi

124

che auspica, per il momento, alla regione, il diritto ad una selezione funzio-nale del personale.

Selezione che deve essere fatta, a mio parere, innanzitutto rifiutando l'acquisizione alla Regione dello scarto della burocrazia statale come po-trebbe avvenire in sede di attuazione, con l'emanazione dei decreti governa-tivi delegati, dell'art. 17 della legge finanziaria n. 281 del 16 maggio 1970.

Non sono, invece, interamente d'accordo con il Presidente Liuzzi in quella parte del discorso che si riferisce alla programmazione economica.

Ho avuto l'impressione che il nostro Presidente abbia inteso effettua-re una quasi meccanica trasposizione nel suo discorso e quindi nel pro-gramma politico della Giunta, della tematica che fu espressa dal Comitato Regionale per la Programmazione Economica Pugliese.

Sono dell'opinione che l'esperienza del Comitato è stata certamente utile, anche perché si trattava della prima esperienza del genere nella nostra Regione. Ciò nonostante non mi sento di accettare, interamente e meccani-camente, nella Regione, quelle impostazioni che ritengo ormai superate dal-la realtà. Di ciò si è reso conto implicitamente anche lo stesso Trisorio-Liuzzi affermando che è superata la strategia del polo Bari - Brindisi - Ta-ranto e che non ci debbono essere zone sacrificate o condannate. Anche il discorso sulla programmazione deve, perciò, essere impostato su basi nuo-ve, originali.

L'esperienza del Comitato Regionale va tenuta presente, a mio pare-re, soprattutto per cercare di evitare i suoi aspetti negativi. Intendo riferir-mi, soprattutto, al problema della credibilità della politica di programma-zione, a livello nazionale ed a livello locale.

E' perfettamente inutile redigere dei programmi, più o meno soddi-sfacenti e completi, elencare le risorse, indicare le soluzioni ai vari proble-mi, dibattere lungamente e spesso senza molta competenza le varie questio-ni, per poi stampare il solito elaborato programmatico, che viene conserva-to nel cassetto e puntualmente disatteso nell'azione concreta politico-amministrativa quotidiana.

Le più importanti scelte economiche che sono state operate in questi ultimi anni, a livello nazionale, dalla fusione Montedison, alla ubicazione dell'Alfa-sud, alla politica finanziaria, ecc. sono avvenute al di fuori ed al di sopra di un programma economico approvato con legge dal nostro Parla-mento.

Attualmente è in corso, da qualche mese, la discussione sul progetto 80. E' da chiedersi che valore possa essere attribuito a questi documenti se è vero che non sarà possibile operare una saldatura temporale fra il primo programma nazionale ed il prossimo piano economico 1971-1975, che non ancora esiste una normativa completa sulle procedure, che non è stato an-cora sostituito o reintegrato il massimo responsabile, a livello organizzativo, nel nostro Paese: il dott. Giorgio Ruffolo, le cui clamorose dimissioni han-no ulteriormente accentuato la crisi della politica di programmazione.

125

Noi classe dirigente della Regione conosciamo ormai più o meno suf-ficientemente i nostri problemi: la disoccupazione, la esigenza di accelerare l'esecuzione del piano di irrigazione e degli acquedotti, la creazione dei po-sti di lavoro, lo sviluppo dell'agricoltura, l'ammodernamento della rete commerciale, la razionalizzazione dell'assetto territoriale, l'utilizzazione oculata e responsabile delle risorse turistiche, ecc.

Più che fare dei nuovi programmi, dei nuovi libri dei sogni, è neces-sario, a mio parere, individuare un collegamento realistico fra le risorse di-sponibili e la politica delle riforme e definire quali sono concretamente le nostre possibilità di intervento, nelle competenze della Regione, che tutti abbiamo interesse a potenziare.

E' facile affermare, come fanno gli oratori di estrema sinistra, che bi-sogna risolvere subito il problema dell'occupazione, dell'arresto della emi-grazione con la lotta a parole contro i gruppi monopolistici, contro le im-postazioni governative che sarebbero, a loro dire, mortificatrici delle attese delle nostre popolazioni.

Io mi chiedo come concretamente agirebbe l'opposizione se si tro-vasse, al nostro posto, a dirigere la Regione; e che cosa concretamente fa-rebbe il collega Papapietro se per caso fosse stato eletto Presidente della Giunta regionale, per eliminare la piaga dell'emigrazione, per creare nuovi posti di lavoro ecc.

Io sono stato eletto in questo consesso, principalmente con i voti del Subappennino Dauno, la zona certamente più depressa della nostra Regio-ne. Sono stato per qualche anno Sindaco del Comune di Deliceto, uno dei Comuni interessati ai ritrovamenti metaniferi. L'anno scorso, come molti di voi ricorderanno, le popolazioni di questi Comuni, senza distinzione di par-titi o di ceti, hanno condotto una lotta politica unitaria per la utilizzazione in loco del metano, occupando i pozzi e partecipando ad una grandiosa marcia di protesta civile che si è risolta in una manifestazione ordinata e democratica senza un solo incidente ma anche, purtroppo, senza alcun ri-sultato concreto fatta eccezione dello spostamento ubicazionale di una mo-desta fabbrica per pochi addetti dalla zona di Foggia alla zona di Ascoli Sa-triano.

Non vorrei apparire sfiduciato dopo queste esperienze negative ma allo stesso tempo non vorrei che venisse mitizzata l'azione della regione. La regione non avrà la bacchetta magica per risolvere tutti i problemi che si sono accumu-lati in tanti decenni di squilibrio economici e sociali, non solo con il resto del paese ma all'interno della regione stessa.

Basta considerare che nell'intero Subappennino non esiste un solo ospe-dale né un solo Istituto statale di istruzione superiore ad indirizzo tecnico, per darvi la misura di tutto quello che si dovrà fare per ridurre gli squilibri. Lo stes-so discorso ovviamente può farsi nelle altre zone di particolari depressioni co-me ad esempio l'alta murgia e le zone interne della penisola salentina.

La regione potrà fare molto, ma non certo tutto. E' necessario,

126

perciò, che ciò che la Regione può fare sia fatto bene. Il presidente Liuzzi ci ha parlato di insediamenti industriali. Io riten-

go che il discorso debba essere fatto subito in modo concreto facendo in modo che la nostra Assemblea rappresenti subito al Governo che si andrà a costituire, con forza, con convinzione e con adesione unanime di tutte le forze politiche, l'esigenza che venga ubicata in Puglia l'industria aereonauti-ca Aeritalia. A tale proposito mi riservo di presentare, al più presto, apposi-to ordine del giorno.

Ho trattato alcuni temi certamente non esaurendo tutta la complessa tematica emersa dal discorso programmatico del Presidente Trisorio Liuzzi e che poi trova il suo effettivo riscontro nella realtà regionale pugliese. Ho cerca-to, tuttavia, di portare il contributo del Partito Socialista Unitario e mio perso-nale al dibattito in corso che mi auguro sia il più ampio, esauriente e completo.

E' stato rilevato che stiamo vivendo, che siamo i protagonisti di una fase assai importante nella storia della nostra Regione e dell'intero Paese.

Mai come in questo momento tutti, anche coloro che sono stati criti-ci per l'attuazione dell'ordinamento regionale, ci rendiamo conto, al di fuori di ogni fase retorica, che stiamo impostando, su basi nuove, il nostro futu-ro.

I primi passi della Regione saranno i più difficili. E' necessario perciò il nostro impegno più pieno per far fronte alla gravosità del compito che ci è stato assegnato dai nostri elettori, che certamente seguono con attenzione ed anche con curiosità i lavori del nostro consesso e sono pronti a giudicare il nostro operato ad esprimerci le eventuali critiche, ma anche ad offrirci l'appoggio, senza del quale la nostra azione mancherebbe di forza e di mor-dente.

Il Partito Socialista Unitario, che con il collega Di Giesi rappresento in questo Consesso, si impegnerà fortemente per portare avanti la politica di pro-gresso civile e sociale che concorreremo a determinare, nella chiarezza, nella coalizione politica di cui facciamo parte e nella quale crediamo non solo come formula contingente ma come strumento indispensabile ed insostituibile nell'at-tuale fase storica nel nostro Paese. Avv. ANTONIO PIACQUADIO (M.S.I.):

... non posso iniziare questo mio intervento senza esprimere una vi-bratissima protesta per le azioni teppistiche avvenute in quel di Trento e di cui ci dà notizia la stampa.

Non entro nel merito degli incidenti, desidero però chiaramente espri-mere condanna per ogni e qualsiasi violenza, perché non è la violenza quella che può portare al progresso ed alla civiltà, e non è nemmeno con la violenza che ci si può opporre validamente alle idee di chicchesia. Se, per avventura, con quella violenza si fosse inteso fermare una certa battaglia di questo settore poli-tico, del settore che io rappresento, debbo dichiarare responsabilmente che non ci sono vio-

127

lenze possibili per fermare le battaglie di chicchesia, perché queste violenze, lungi dall'intimorirci, non fanno altro che saldare la nostra volontà e la no-stra fede. E' questa soltanto una protesta che sentivo il dovere di fare in presenza di questa Assemblea, prima di entrare nel merito dell'argomento oggetto del presente dibattito.

Mi limiterò a pochissime osservazioni, in quanto per motivi di salute sono stato assente ieri. Il documento programmatico dei quattro partiti di centro-sinistra e le dichiarazioni politiche del Presidente della Giunta avv. Trisorio-Liuzzi, oggetto del dibattito in atto, dovrebbero, ad avviso dei quattro partiti della coalizione, rappresentare la via maestra che è stata scel-ta per portare avanti la battaglia delle Regioni.

La prima osservazione, che ritengo doveroso fare, è relativa alla con-ferma della formula di centro-sinistra per la quale non possiamo condivide-re la soddisfazione espressa dalla D.C., dal PSU, dal PSI e dal PRI. Si tratta di una formula dichiarata morta non da noi, ma dalla stessa D.C. in sede centrale: dalla stessa D.C. che ha approvato le dimissioni dell'on.le Rumor, dimissioni che volevano, e non potevano significare altro, dire basta con una politica di cedimenti e di diserzione verso il comunismo, basta con una politica di fallimenti economici. E questa decisione non solo è stata appro-vata e dichiarata responsabile dalla Direzione della D.C., ma anche dalla direzione del P.S.U. che ha coraggiosamente posto a base di una eventuale ricostituzione del centro-sinistra una netta chiusura al P.C.I., premessa irri-nunziabile per la chiarezza e la conseguente ripresa dell'economia. Cosa accade invece nella Regione pugliese, nella Regione dell'on.le Moro, Mini-stro degli Esteri? Si pretende di riesumare la formula, rinunciando alla pre-messa chiarificatrice che a Roma ha già fatto fallire il tentativo di dar vita ad un quadripartito da parte dell'on.le Andreotti. Nessuna posizione ideologi-camente chiara, nessun programma, fede, tenacia e coraggio, come la situa-zione richiede, come la Nazione pretende, ma ancora caos, diserzione dalla battaglia anticomunista, diserzione dalla battaglia del costume, dalla grande battaglia morale. La formula riesumata, senza chiarimenti, fa il gioco del PSI e quindi del PCI, rendendo la posizione della DC e del PSU assurda e contraddittoria. La formula proposta si giustifica soltanto col miraggio delle poltrone che è l'unico coibente politico a cui i partiti nella Regione pugliese (DC, PSI, PSU e PRI) hanno dimostrato di essere sensibili. La genericità delle linee programmatiche testimonia, d'altra parte, la incapacità del cen-tro-sinistra ad offrire un concreto e valido progresso sociale e forse, come si desume da alcuni accenni, preludono ad una possibile manovra strumen-talizzatrice del PCI sul piano sindacale.

Al popolo pugliese che chiedeva chiarezza, invocava chiarezza, solle-citava chiarezza, voi avete risposto con l'equivoco, con la costituzione di un'associazione di potere che non può meritare fiducia.

Una seconda osservazione, che ritengo doveroso svolgere, è quella della pretesa incostituzionalità della legge 10-2-1953 n. 62. Ecco, Sig.

128

Presidente e Sigg. Consiglieri, la legalità cui si ispira il centro-sinistra: la le-galità di stracciare i codici e di calpestare la legge. I Comunisti, per fare del-le Regioni altari contestativi dello Stato, hanno, per primi, sollevato tale problema: il centro-sinistra per far piacere al PCI si appresta a far entrare la politica nel tempio della Magistratura, mettendo in forse uno dei pilastri della nostra società senza del quale non vi è certezza di diritti, e la legge non sarebbe più uguale per tutti. E badate, Consiglieri della maggioranza, che quella legge che oggi contestate, l'avete fatta voi, approvata voi, voluta voi. Siete stati al Governo assieme, DC e Comunisti, eppure non avete saputo, o non avete voluto, dichiarare incostituzionali il 99% delle norme del passato. Sono stati, per voi tutti, 25 anni di parole, di chiacchiere, oltre che di vitu-perio, sul fascismo di cui a distanza di anni sfruttate le leggi, le contestate, ma non sapete farne di nuove, perché dal passato non sapete trarre l'inse-gnamento e la forza per la vera conquista dell'avvenire, e di fronte alle vec-chie leggi, che sono conformi alla vostra Costituzione, ci sono le nuove leg-gi, le vostre leggi che, per comodità, contestate e non volete applicare. Co-munque, Sig. Presidente e Sigg. Consiglieri, voi avete una sola scelta: o ap-plicate la legge Scelba del 1953, dura lex sed lex, oppure sospendete l'attivi-tà della Regione: ne guadagnerebbero le finanze dello Stato. L'art. 136 della Costituzione, infatti, afferma che la norma cessa di avere efficacia solo dal giorno successivo a quello in cui la Corte Costituzionale abbia emesso una decisione di illegittimità costituzionale della legge impugnata.

Una terza osservazione devo fare, in ordine al cosiddetto campanili-smo ed esclusivismo. La dichiarazione dei quattro partiti contiene il propo-sito che sia bandito da questo nuovo Ente ogni sia pur piccolo residuo di campanilismo ed esclusivismo; e da questa affermazione i quattro partiti partono per rinnovare l'impegno di operare per la Puglia. Impegno che non ho difficoltà a condividere, ma solo dopo che ci sarà stato detto, sul terreno concreto, cosa significhi operare per la Puglia. A mio modesto modo di sentire e di vedere i fatti della nostra Regione, io ritengo che operare seria-mente per la Puglia significhi dare giustizia alle Province della Puglia, giusti-zia che, allo stato, lo stesso Presidente avv. Trisorio-Liuzzi ha affermato essere inesistente quando ha detto che il polo industriale Bari-Brindisi-Taranto deve ritenersi superato ed integrato con le altre due Province esclu-se: Lecce e Foggia. Giustizia per la Puglia, secondo me, significa riconosce-re pienamente le esigenze di ognuna e di tutte le nostre Province, rispettarle e soddisfarle. Ecco perché quando lo spirito di campanilismo significa amo-re per la propria terra, nel quadro delle esigenze corali della Regione e dello Stato, non va respinto. Ed è proprio nello spirito di queste esigenze di giu-stizia per la Puglia e della Puglia che io in questa sede, dinanzi ai massimi responsabili della Regione, devo dire che, nello stesso interesse della Regio-ne, fino a quando la mia Provincia, cioè la Provincia di Foggia, non si sarà vista soddisfatta nei suoi bisogni elementari di vita, non ci sarà giustizia. Per es., se

129

è vero, come noi sosteniamo, che solo Foggia nel Mezzogiorno, nella Puglia ha un'area di 3000 ettari, non troppo vicini al mare, pianeggianti, è la zona ideale per la collocazione in essa del complesso industriale dell'Aeritalia, collocazione che porterebbe all'assorbimento di molta mano d'opera. Ciò, però, non dovrà essere richiesto a discapito delle esigenze e dei bisogni delle altre Province della Puglia, ma per un fatto di giustizia. Perché l'Ente Regione non venga meno ai suoi compiti, è necessario, perciò, che le esigenze vive e vitali di ogni Provincia, siano fatte proprie dall'intero Consiglio Regionale; deve, cioè, bastare il buon diritto di ciascuna Provincia a far trionfare la giustizia. E poiché siamo alla vigi-lia della preparazione del 2° piano di sviluppo economico nazionale e del 2° piano di coordinamento degli interventi pubblici nel Mezzogiorno, il problema è davvero di attualità; e se si vuole che le decisioni della nostra Regione siano recepite e fatte proprie dal piano di sviluppo economico nazionale e per gli interventi nel Mezzogiorno, occorre senso di responsabilità da parte di tutti e compattezza assoluta.

La quarta osservazione è relativa al riequilibrio economico e sociale tra nord e sud. Ci ha fatto piacere constatare che lo stesso Presidente della Giunta, per colmare il divario esistente tra il reddito pro-capite del Centro-Nord e del Centro-Sud, ha confermato che non sarà l'Ente Regione la panacea del male. Ed è bene portare il discorso sino alle sue estreme conseguenze. Non saranno sufficienti i rapporti auspicati con le altre Regioni del Mezzogiorno. Non di-mentichiamo che oggi il Mezzogiorno rappresenta il 40% della realtà nazionale e che il reddito è solo pari al 25% del reddito nazionale è, cioè, quasi la metà del reddito procapite del cittadino del Mezzogiorno, per cui occorre un inter-vento sempre maggiore dello Stato. Si tenga presente che anche con le provvi-denze adottate negli ultimi anni per il Mezzogiorno, il divario non è diminuito e se l'intervento straordinario dello Stato mancasse, l'Ente Regione farebbe au-mentare il divario stesso, perché gli egoismi regionali, delle Regioni più dotate, esploderanno e non vi saranno Regioni ricche disposte a fare beneficenze alle Regioni povere.

Ho voluto sottolineare solo alcuni aspetti della dichiarazione dei partiti di coalizione e del Presidente della Giunta. Naturalmente non mancherò di fare proposte concrete per la soluzione dei problemi tutti che travagliano le genti di Puglia: dal turismo all'agricoltura, alla industrializzazione, all'artigianato, alla viabilità, con particolare rilievo alla superstrada Foggia - Campobasso - Baiano - Isernia - Roma, per la pedesubappenninica » e per la politica scolastica.

Per concludere vi dirò che la nostra politica, in ogni caso, non sarà mai quella del tanto peggio tanto meglio, anzi l'amore per la nostra Provincia e la nostra Regione è tale che non mi dorrò se il successo della vostra Politica, che io non condivido, portasse alla prosperità, allo sviluppo e ad una maggiore ci-viltà la nostra Provincia e la nostra Regione.

130

Nella seduta del giorno 31 prestano giuramento i 31 Consiglieri in aula. Il sig. Princigalli (PSIUP) per dichiarazione di voto, reclama non valido

il giuramento « fatto senza che la formula, i termini, i modi siano stabiliti dal-lo statuto della Regione e prima della sua approvazione in Parlamento ». Siri-chiama anche all'atteggiamento di « quasi tutti » i Consigli delle altre Regio-ni.

Il Presidente rimetterà il caso all'esame della Giunta per la convalida dei Consiglieri eletti.

L'avv. Trisorio Liuzzi replica agli oratori intervenuti sulle sue dichiara-zioni. Si passa ad eleggere la « Commissione Consiliare (paritetica) per la re-dazione dello statuto » (5 DC, 3 PCI, 1 PSI, 1 PSIUP, 1 PSU, 1 MSI, 1 PRI, 1 PLI) col seguente risultato: avv. Rotolo, prof. Fantasia, avv. Sorice, avv. Con-siglio, sig. Papapietro, dott. Fiore, dott. Rossi, prof. Tarricone, sig. Di Giesi, dott. Borgia, sig. Princigalli, avv. Calvario, avv. Piacquadio.

Risulta come appresso costituita la « Commissione Consiliare per la re-dazione del regolamento interno del Consiglio Regionale » (paritetica come la precedente): prof. Rizzo, sig. Panico, avv. Scamarcio, dott. Grosso, dott. Borgia, sig. Princigalli, avv. Calvario, dott. Liuzzi.

Con questa seduta si chiude la prima sessione del Consiglio Regionale, che riprenderà i lavori al termine del periodo feriale.

Elezioni regionali in Capitanata Risultati comunali

_____________________________________________________________ ACCADIA____________________________________________________

Pop. 4.382 - Elett. 2.841 - Vot. 2.147 - Perc. 75,6%. P.C.I.: v. 640, perc. 30,6%. P.S.I.U.P.: v. 68, perc. 3,3%. M.S.I.: v. 26, perc. 1,3%. P.L.I.: v. 15, perc. 0,7%. P.S.I.: v. 266, perc. 12,7%. P.S.D.I. : v. 44, perc. 2,1%. P.D.I.U.M.: v. 7, perc. 0,3%. P.R.I.: v. 8, perc. 0,4%. D.C.: v. 1.016, perc. 48,6%. V. n. v. (comprese sch. n.) : 57, perc. 2,7%, sch. b. 17, sch. n. 40. _____________________________________________________________ ALBERONA__________________________________________________ Pop. 2.261 - Elett. 1.660 -Vot. 1.194 - Perc. 71,9%. P.C.I.: v. 285, perc. 26,7%. P.S.I.U.P.: v. 26, perc. 2,4%. M.S.I. : v. 119, perc. 11,1%. P.L. I.: v. 19, perc. 1,8%. P.S.I.: v. 36, perc. 3,4%. P.S.D.I.: v. 19, perc. 1,8%. P.D.I.U.M. : v. 16, perc. 1,5%. P.R.I.: v. 18, perc. 1,7%. D.C.: v. 529, perc. 49,6%. V. n. v. (comprese sch. b.): 127, perc. 10,6%, sch. b. 76, sch. n. 51. _____________________________________________________________ ANZANO DI PUGLIA_________________________________________

Pop. 3.205 - Elett. 1.859 - Vot. 1.110 - Perc. 59,7%. P.C.I.: v. 163, perc. 15,3%. P.S.I.U.P.: v. 57, perc. 5,4%. M.S.I.: v. 107, perc. 10,1%. P.L.I. : v. 4, perc. 0,4%. P.S.I.: v. 107, perc. 10,1%. P.S.D.I.: v. 4, perc. 0,4%. P.D.I.U.M.: v. 9, perc. 0,8%. P.R.I.: v. 10, perc. 0,9%. D.C.: v. 601, perc. 56,6%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 48, perc. 4,3%, sch. b. 15, sch. n. 33.

132

____________________________________________________________ APRICENA_________________________________________________ Pop. 13.670 - Elett. 8.023 - Vot. 7.027 - Perc. 87,6%. P.C.I.: v. 4.088, perc. 59,5%. P.S.I.U.P.: v. 79, perc. 1,1%. M.S.I.: v. 327, perc. 4,8%. P.L.I.: v. 33, perc. 0,5%. P.S.I.: v. 177, perc. 2,6%. P.S.D.I.: v. 53, perc. 0,8%. P.D.I.U.M.: v. 15, perc. 0,2%. P.R.I.: v. 23, perc. 0,3%. D.C.: v. 2.074, perc. 30,2%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 158, perc. 2,2%, sch. b. 108, sch. n. 50. ___________________________________________________________ ASCOLI SATRIANO_________________________________________ Pop. 9.214 - Elett. 4.800 - Vot. 4.263 - Perc. 88,8%. P.C.I.: v. 1.847, perc. 44,5%. P.S.I.U.P.: v. 105, perc. 2,5%. M.S.I.: v. 379, perc. 9,1%. P.L.I.: v. 106, perc. 2,6%. P.S.I.: v. 94, perc. 2,3%. P.S.D.I.: v. 23, perc. 0,6%. P.D.I.U.M.: v. 17, perc. 0,4%. P.R.I.: v. 161, perc. 3,9%. D.C.: v. 1.421, perc. 34,2%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 110, perc. 2,6%, sch. b. 53, sch. n. 57. ____________________________________________________________ BICCARI____________________________________________________ Pop. 4.154 - Elett. 2.717 - Vot. 2.301 - Perc. 84,7%. P.C.I.: v. 459, perc. 20,9%. P.S.I.U.P.: v. 39, perc. 1,8%. M.S.I.: v. 170, perc. 7,7%. P.L.I.: v. 24, perc. 1,1%. P.S.I.: v. 246, perc. 11,2%. P.S.D.I.: v. 13, perc. 0,6%. P.D.I.U.M.: v. 10, perc. 0,4%. P.R.I.: v. 13, perc. 0,6%. D.C.: v. 1.227, perc. 55,7%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 100, perc. 4,3%, sch. b. 70, sch. n. 30. ____________________________________________________________ BOVINO____________________________________________________ Pop. 7.157 - Elett. 4.496 - Vot. 3.579 - Perc. 79,6%. P.C.I.: v. 893, perc. 26,2%. P.S.I.U.P.: 104, perc. 3,0%.

133

M.S.I.: v. 244, perc. 7,2%. P.L.I.: v. 59, perc. 1,7%. P.S.I.: v. 230, perc. 6,7%. P.S.D.I.: v. 68, perc. 2,0%. P.D.I.U.M.: v. 151, perc. 4,4%. P.R.I.: v. 35, perc. 1,0%. D.C.: v. 1.635, perc. 47,8%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 160, perc. 4,5%, sch. b. 51, sch. n. 109. _____________________________________________________________ CAGNANO VARANO_________________________________________ Pop. 8.928 - Elett. 5.169 - Vot. 3.729 - Perc. 72,1 %. P.C.I.: v. 1.571, perc. 44,4%. P.S.I.U.P.: v. 106, perc. 3,0%. MS.I.: v. 69, perc. 1,9%. P.L.I.: v. 28, perc. 0,8%. P.S.I.: v. 219, perc. 6,2%. P.S.D.I.. v. 35, perc. 1,0%. P.D.I.U.M.: v. 26, perc. 0,7%. PR.I.: v. 9, perc. 0,3%. D.C.: v. 1.475, perc. 41,7%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 191, perc. 5,1 %, sch. b. 76, sch. n. 115. ____________________________________________________________ CANDELA__________________________________________________ Pop. 5.120 - Elett. 2.815 - Vot. 2.538 - Perc. 90,2%. P.C.I.: v. 931, perc. 37,7% P.S.I.U.P.: v. 87, perc. 3,6%. M.S.I.: v. 194, perc. 7,9%. P.L.I.: v. 94, perc. 3,8%. P.S.I.: v. 156, perc. 6,3%. P.S.D.I.: v. 31, perc. 1,3%. P.D.I.U.M.: v. 23, perc. 0,9%. P.R.I.: v. 16, perc. 0,6%. D.C.: v. 936, perc. 37,9%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 70, perc. 2,8%, sch. b. 28, sch. n. 42. ____________________________________________________________ CARAPELLE________________________________________________ Pop. 2.771 - Elett. 1.550 - Vot. 1.460 - Perc. 94,2% P.C.I.: v. 508, perc. 36,5%. P.S.I.U.P.: v. 31, perc. 2,2%. M.S.I.: v. 89, perc. 6,4%. P.L.I.: v. 19, perc. 1,4%. P.S.I.: v. 142, perc. 10,2%. P.S.D.I.: v. 21, perc. 1,5%. P.D.I.U.M.: v. 4, perc. 0,3%.

134

P.R.I.: v. 22, perc. 1,6%. D.C.: v. 554, perc. 39,9%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 70, perc. 4,8%, sch. b. 46, sch. n. 23. _____________________________________________________________ CARLANTINO_______________________________________________ Pop. 2.037 - Elett. 1.248 - Vot. 947 - Perc. 75,9%. P.C.I.: v. 151, perc. 17,0%. P.S.I.U.P.: v. 23, perc. 2,6%. M.S.I. : v. 7, perc. 0,8%. P.L.I.: v. 8, perc. 0,9%. P.S.I.: v. 307, perc. 34,5%. P.S.D.I.: v. 11, perc. 1,2%. P.D.I.U.M.: v. - P.R.I.: v. 1, perc. 0,1%. D.C.: v. 381, perc. 42,9%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 58, perc. 6,1 %, sch. b. 32, sch. n. 26. ____________________________________________________________ CARPINO___________________________________________________ Pop. 6.758 - Elett. 4.154 -Vot. 3.059 - Perc. 73,6%. P.C.I.: v. 772, perc. 26,2%. P.S.I.U.P.: v. 307, perc. 10,4%. M.S.I. : v. 92, perc. 3,1%. P.L.I.: v. 40, perc. 1,4%. P.S.I.: v. 75, perc. 2,6%. P.S.D.I.: v. 50, perc. 1,7%. P.D.I.U.M.: v. 21, perc. 0,7%. P.R.I.: v. 23, perc. 0,8%. D.C.: v. 1.561, perc. 53,1%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 118, perc. 3,9%, sch. b. 51, sch. n. 67. _____________________________________________________________ CASALNUOVO MONTEROTARO______________________________ Pop. 4.072 - Elett. 2.518 - Vot. 2.165 - Perc. 86,0%. P.C.I.: v.t 756, perc. 36,2%. P.S.I.U.P. : v. 44, perc. 2,1%. M.S.I.: v. 108, perc. 5,2%. P.L.I.: v. 34, perc. 1,6%. P.S.I.: v. 116, perc. 5,5%. P.S.D.I.: v. 54, perc. 2,6%. P.D.I.U.M.: v. 5, perc. 0,3%. P.R.I.: v. 35, perc. 1,7%. D.C.: v. 939, perc. 44,9%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 74, perc. 3,4%, sch. b. 33, sch. n. 41.

135

_______________________________________________________________ CASALVECCHIO DI PUGLIA____________________________________

Pop. 2.961 - Elett. 1.758 - Vot. 1.383 - Perc. 78,7%. P.C.I.: v. 515, perc, 38,5%. P.S.I.U.P. v. 36, perc. 2,7%. M.S.I.: v. 83, perc. 6,2%. P.L.I.: v. 6, perc. 0,6%. P.S.I.: v. 42, perc. 3,1%. P.S.D.I.: v. 55, perc. 4,1%. P.D.I.U.M.: v. 2, perc. 0,1% P.R.I.: v. 17, perc. 1,3%. D.C.: v. 583, perc. 43,5%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 44, perc. 3,2%, sch. b. 25, sch. n. 19. _______________________________________________________________ CASTELLUCCIO DEI SAURI____________________________________ Pop. 2.370 - Elett. 1.282 - Vot. 1.147 - Perc. 89,5%. P.C.I.: v. 329, perc. 29,9%. P.S.I.U.P.: v. 13, perc. 1,2%. M.S.I.: v. 19, perc. 1,7%. P.L.I.: v. 14, perc. 1,3%. P.S.I. : v. 245, perc. 22,2%. P.S.D.I.: v. 21, perc. 1,9%. P.D.I.U.M.: v. 2, perc. 0,2%. P.R.I. : v. 12, perc. 1,1%. D.C.: v. 447, perc. 20,9%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 45, perc. 3,9%, sch. b. 33, sch. n. 12. _______________________________________________________________ CASTELLUCCIO VALMAGGIORE________________________________ Pop. 2.253 - Elett. 1.499 - Vot. 1.179 - Perc. 78,7%. P.C.I.: v. 27, perc. 2,4%. P.S.I.U.P.: v. 8, perc. 0,7%. M.S.I.: v. 72, perc. 6,3%. P.L.I.: v. 6, perc. 0,5%. P.S.I.: v. 113, perc. 9,9%. P.S.D.I.: v. 48, perc. 4,2%. P.D.I.U.M.: v. 319, perc. 28,1%. P.R.I. : v. 24, perc. 2,1%. D.C. : v. 521, perc. 45,8%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 41, perc. 3,5%, sch. b. 15, sch. n. 26. _______________________________________________________________ CASTELNUOVO DELLA DAUNIA_______________________________ Pop. 2.860 - Elett. 1.854 - Vot. 1.533 - Perc. 82,7%. P.C.I.: v. 575, perc, 38,2%. P.S.I.U.P.: v. 12, perc. 0,8%.

136

M.S.I.: v. 133, perc. 8,8%. P.L.I.: v. 42, perc. 2,8%. P.S.I.: v. 48, perc. 3,2%. P.S.D.I.: v. 55, perc. 4,1%. P.D.I.U.M.: v. 2, perc. 0,1%. P.R.I.: v. 17, perc. 1,3%. D.C.: v. 583, perc. 43,5%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 44, perc. 3,2%, sch. b. 25, sch. n. 19. _______________________________________________________________ CELENZA VALFORTORE_______________________________________ Pop. 3.143 - Elett. 2.040 - Vot. 1.823 - Perc. 89,5%. P.C. I . : v. 201, perc. 11,3%. P.S.I.U.P.: v. 26, perc. 1,5%. M.S.I.: v. 34, perc. 1,9%. P.L.I.: v. 31, perc. 1,7%. P.S.I. : v. 701, perc. 39,4%. P.S.D.I.: v. 46, perc. 2,6%. P.D.I.U.M.: v. 8, perc. 0,5%. P.R.I.: v. 5, perc. 0,3%. D.C.: v. 726, perc. 40,8%. V. n. v. (comprese sch. b.): 45, perc. 2,5%, sch. b. 23, sch. n. 22. _______________________________________________________________ CELLE SAN VITO______________________________________________ Pop. 593 - Elett. 408 - Vot. 225 - Perc. 55,1 %. P.C.I.: v. 3, perc. 1,4%. P.S.I.U.P.: v. 1, perc. 0,5%. M.S.I.: v. 2, perc. 0,9%. P.L.I.: v. - P.S.I.: v. 68, perc. 31,0%. P.S.D.I.: v. 3, perc. 1,4%. P.D.I.U.M.: v. - P.R.I.: v. 2, perc. 0,9%. D.C.: v. 140, perc. 63,9%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 6, perc. 2,7%, sch. b. 3, sch. n. 3. _______________________________________________________________ CERIGNOLA___________________________________________________ Pop. 48.098 - Elett. 26.368 - Vot. 24.753 - Perc. 93,9%. P.C.I.: v. 12.693, perc. 52,8%. P.S.I.U.P.: v. 457, perc. 1,9%. M.S.I.: v. 1.048, perc. 4,4%. P.L.I.: v. 468, perc. 1,9%. P.S.I.: v. 693, perc. 2,9%. P.S.D.I.: v. 268, perc. 1,1%. P.D.I.U.M.: v. 242, perc. 1,0%.

137

P.R.I.: v. 120, perc. 0,5%. D.C.: v. 8.051, perc. 33,5%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 713, perc. 2,9%, sch. b. 417, sch. n. 296. _____________________________________________________________ CHIEUTI____________________________________________________ Pop. 2.361 - Elett. 1.585 - Vot. 1.191 - Perc. 75,1 %. P.C.I.: v. 494, perc. 42,2%. P.S.I.U.P.: v. 19, perc. 1,6%. M.S.I.: v. 40, perc. 3,4%. P.L.I.: v. 12, perc. 1,0%. P.S.I.: v. 34, perc. 2,9%. P.S.D.I.: v. 4, perc. 0,3%. P.D.I.U.M.: v. 13, perc. 1,1%. P.R.I.: v. 10, perc. 0,9%. D.C.: v. 545, perc. 46,6%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 20, perc. 1,7%, sch. b. 12, sch. n. 8. _____________________________________________________________ DELICETO__________________________________________________ Pop. 5.870 - Elett. 3.775 - Vot. 3.133 - Perc. 83,0%. P.C.I.: v. 672, perc. 22,3%. P.S.I.U.P.: v. 74 - perc. 2,4%. M.S.I.: v. 68, perc. 2,3%. P.L.I.: v. 53, perc. 1,8%. P.S.I.: v. 164, perc. 5,4%. P.S.D.I.: v. 1.091, perc. 36,1%. P.D.I.U.M.: v. 3, perc. 0,1%. P.R.I.: v. 10, perc. 0,3%. D.C.: v. 886, perc. 29,3%. V. n. v. (comprese sch. n.) : 112, perc. 3,6%, sch. b. 49, sch. n. 63. _____________________________________________________________ FAETO______________________________________________________ Pop. 1.989 - Elett. 1.533 - Vot. 844 - Perc. 55,1 %. P.C.I.: v. 35, perc. 4,4%. P.S.I.U.P.: v. 9, perc. 1,1%. M.S.I.: v. 21, perc. 2,6%. P.L.I.: v. 8, perc. 1,0%. P.S.I.: v. 23, perc. 2,9%. P.S.D.I.: v. 31, perc. 3,9%. P.D.I.U.M.: v. 3, perc. 0,4%. P.R.I.: v. 301, perc. 37,5%. D.C.: v. 371, perc. 46,2%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 42, perc. 5,0%, sch. b. 17, sch. n. 25.

138

______________________________________________________________ FOGGIA______________________________________________________ Pop. 136.297 - Elett. 80.355 - Vot. 73.363 - Perc. 91,3%. P.C.I.: v. 14.706, perc. 21,0% P.S.I.U.P.: v. 1.918, perc. 2,7%. M.S.I.: v. 6.477, perc. 9,2%. P.L.I.: v. 3.147, perc. 4,5%. P.S.I.: v. 7.677, perc. 11,0%. P.S.D.I. : v. 4.987, perc. 7,1%. P.D.I.U.M.: v. 1.728, perc. 2,5%. P.R.I.: v. 1.586, perc. 2,3%. D.C.: v. 27.835, perc. 39,7%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 3.302, perc. 4,5%, sch. b. 988, sch. n. 2.314. ______________________________________________________________ ISCHITELLA__________________________________________________ Pop. 3.953 - Elett. 3.012 - Vot. 2.710 - Perc. 90,0%. P.C.I.: v. 1.204, perc. 45,7%. P.S.I.U.P.: v. 48, perc. 1,8%. M.S.I.: v. 47, perc. 1,8%. P.L.I.: v. 114, perc. 4,3%. P.S.I.: v. 175, perc. 6,6%. P.S.D.I.: v. 46, perc. 1,7%. P.D.I.U.M.: v. 28, perc. 1,1%. P.R.I.: v. 8, perc. 0,3%. D.C.: v. 966, perc. 36,7%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 74, perc. 2,7%, sch. b. 46, sch. n. 28. ______________________________________________________________ LESINA_______________________________________________________ Pop. 6.013 - Elett. 3.661 - Vot. 2.863 - Perc. 78,2%. P.C.I. : v. 671, perc. 24,1 P.S.I.U.P.: v. 59, perc. 2,1%. M.S.I.: v. 59, perc. 2,1%. P.L.I.: v. 35, perc. 2,1%. P.S.I.: v. 149, perc. 5,4%. P.S.D.I.: v. 473, perc. 17,0%. P.D.I.U.M.: v. 13, perc. 0,5% P.R.I.: v. 11, perc. 0,4%. D.C.: v. 1.310, perc. 47,1%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 83, perc. 2,9%, sch. b. 38, sch. n. 45. ______________________________________________________________ LUCERA______________________________________________________ Pop. 29.725 - Elett. 16.991 - Vot. 15.323 - Perc. 90,2%. P.C.I.: v. 6.715, perc. 45,3%.

139

P.S.I.U.P.: v. 325, perc. 2,2%. M.S.I.: v. 1.566, perc. 10,6%. P.L.I.: v. 341, perc. 2,3%. P.S.I.: v. 512, perc. 3,5%. P.S.D.I.: v. 733, perc. 4,9%. P.D.I.U.M.: v. 80, perc. 0,5%. P.R.I.: v. 290, perc. 2,2%. D.C.: v. 4.253, perc. 28,7%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 508, perc. 3,3%, sch. b. 228, sch. n. 280. _______________________________________________________________ MANFREDONIA_______________________________________________ Pop. 44.041 - Elett. 25.261 - Vot. 21.873 - Perc. 86,6%. P.C.I.: v. 9.150, perc. 43,2% P.S.I.U.P.: v. 606, perc. 2,9%. M.S.I.: v. 828, perc. 3,9%. P.L.I.: v. 706, perc. 3,3%. P.S.I.: v. 1.434, perc. 6,8%. P.S.D.I.: v. 464, perc. 2,2%. P.D.I.U.M.: v. 346, perc. 1,6%. P.R.I.: v. 480, perc. 2,3%. D.C.: v. 7.162, perc. 33,8%. V. n. v. (comprese sch. b.): 697, perc. 3,2%, sch. b. 332, sch. n. 365. _______________________________________________________________ MARGHERITA DI SAVOIA______________________________________ Pop. 13.566 - Elett. 7.631 - Vot. 7.023 - Perc. 92,0%. P.C.I.: v. 454, perc. 6,7%. P.S.I.U.P.: v. 131, perc. 1,9%. M.S.I.: v. 394, perc. 5,8%. P.L.I.: v. 404, perc. 5,9%. P.S.I.: v. 2.232, perc. 32,9%. P.S.D.I.: v. 270, perc. 4,0%. P.D.I.U.M.: v. 160, perc. 2,4%. P.R.I.: v. 80, perc. 1,2%. D.C.: v. 2.666, perc. 39,2%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 232, perc. 3,3%, sch. b. 94, sch. n. 138. _______________________________________________________________ MATTINATA___________________________________________________ Pop. 5.670 - Elett. 3.318 - Vot. 2.621 - Perc. 79,0%. P.C.I.: v. 893, perc. 35,2%. P.S.I.U.P.: v. 178, perc. 7,0%. M.S.I. : v. 30, perc. 1,2%. P.L.I.: v. 274, perc. 10,8%. P.S.I.: v. 239, perc. 9,4%. P.S.D.I.: v. 217, perc. 0,7%.

140

P.D.I.U.M. v. 14, perc. 0,5%. P.R.I.: v. 12, perc. 0,5%. D.C.: v. 881, perc. 34,7%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 83, perc. 3,2%, sch. b. 39, sch. n. 44. _______________________________________________________________ MONTELEONE DI PUGLIA_____________________________________ Pop. 3.659 - Elett. 2.595 - Vot. 1.341 - Perc. 51,7%. P.C.I.: v. 138, perc. 10,9%. P.S.I.U.P.: v. 44, perc. 3,5%. M.S.I. : v. 41, perc. 3,2%. P.L.I.: v. 15, perc. 1,2%. P.S.I.: v. 396, perc. 31,3%. P.S.D.I.. v. 53, perc. 4,2%. P.D.I.U.M.: v. 13, perc. 0,3%. P.R.I.: v. 7, perc. 0,6%. D.C. : v. 557, perc. 44,1%. V. n. v. (comprese sch. b.): 77, perc. 5,8%, sch. b. 35, sch. n. 42. _______________________________________________________________ MONTE S. ANGELO____________________________________________ Pop. 20.659 - Elett. 11.407 - Vot. 9.416 - Perc. 82,5%. P.C.I.: v. 3.046, perc. 33,7% P.S.I.U.P. v. 276, perc. 3,1%. M.S.I.: v. 194, perc. 2,1%. P.L.I.: v. 401, perc. 4,4%. P.S.I.: v. 634, perc. 7,0%. P.S.D.I.: v. 101, perc. 1,1%. P.D.I.U.M.: v. 108, perc, 1,2%. P.R.I.: v. 45, perc. 0,5%. D.C.: v. 4.238, perc. 46,9%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 373, perc. 4,0%, sch. b. 210, sch. n. 163. _______________________________________________________________ MOTTA MONTECORVINO_____________________________________ Pop. 1.697 - Elett. 1.296 - Vot. 1.68 - Perc. 82,4%. P.C.I.: v. 446, perc. 43,8%. P.S.I.U.P.: v. 56, perc. 5,5%. M.S.I.: v. 57, perc. 5,6%. P.L.I.: v. 11, perc. 1,1%. P.S.I.: v. 6 perc. 0,6%. P.S.D.I.: v. 20, perc. 2,0%. P.D.I.U.M.: v. 9, perc. 0,9%. P.R.I.: v. 3, perc. 0,3%. D.C.: v. 410, perc. 40,2%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 50, perc. 4,7%, sch. b. 18, sch. n. 32.

141

_____________________________________________________________ ORSARA DI PUGLIA__________________________________________ Pop. 5.067 - Elett. 3.425 - Vot. 2.923 - Perc. 85,3%. P.C.I.: v. 1.157, perc. 41,1%. P.S.I.U.P.: v. 53, perc. 1,8%. M.S.I.: v. 51, perc. 1,8%. P.L.I.: v. 13, perc. 0,5%. P.S.I.: v. 504, perc. 17,9%. P.S.D.I.: v. 34, perc. 1,2%. P.D.I.U.M.: v. 10, perc. 0,4%. P.R.I.: v. 59, perc. 2,1%. D.C.: v. 933, perc. 33,2%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 109, perc. 3,7%, sch. b. 70, sch. n. 39. _____________________________________________________________ ORTA NOVA_________________________________________________ Pop. 14.862 - Elett. 8.277 - Vot. 7.663 - Perc. 92,6%. P.C.I.: v. 2.215, perc. 30,5%. P.S.I.U.P.: v. 638, perc. 8,8%. M.S.I.: v. 535, perc. 7,5%. P.L.I.: v. 167, perc. 2,3%. P.S.I.: v. 1.284, perc. 17,7%. P.S.D.I.: v. 250, perc. 3,4%. P.D.I.U.M.: v. 45, perc. 0,6%. P.R.I.: v. 44, perc. 0,6%. D.C.: v. 2.078, perc. 28,6%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 407, perc. 5,3%, sch. b. 265, sch. n. 142. _____________________________________________________________ PANNI______________________________________________________ Pop. 2.303 - Elett. 1.615 - Vot. 1.265 - Perc. 78,3%. P.C.I.: v. 56, perc. 4,7%. P.S.I.U.P.: v. 44, perc. 3,7%. M.S.I.: v. 15, perc. 1,3%. P.L.I.: v. 6, perc. 0,5%. P.S.I.: v. 433, perc. 36,4%. P.S.D.I.: v. 52, perc. 4,4%. P.D.I.U.M.: v. 10, perc. 0,8%. P.R.I.: v. 11, perc. 0,9%. D.C.: v. 563, perc. 47,3%. V. n. v. (comprese sch. b.): 75, perc. 5,9%, sch. b. 27, sch. n. 48. _____________________________________________________________ PESCHICI___________________________________________________ Pop. 5.093 - Elett. 2.420 - Vot. 2.097 - Perc. 86,7%. P.C.I.: v. 157, perc. 7,7%. P.S.I.U.P.: v. 17, perc. 0,8%.

142

M.S.I.: v. 79, perc. 3,9%. P.L.I.: v. 169, perc. 8,3%. P.S.I.: v. 1.224 perc. 60,0%. P.S.D.I. : v. 71, perc. 3,5%. P.D.I.U.M.: v. 8, perc. 0,4%. P.R.I. : v. 2, perc. 0,1%. D.C.: v. 312, perc. 15,3%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 58, perc. 2,8%, sch. b. 41, sch. n. 17. _____________________________________________________________ PIETRA MONTECORVINO___________________________________ Pop. 3.367 . Elett. 2.362 - Vot. 1.981 - Perc. 83,9%. P.C.I.: v. 764, perc. 40,6%. P.S.I.U.P.: v. 37, perc. 2,0%. M.S.I.: v. 279, perc. 14,8%. P.L.I.: v. 20, perc. 1,1 %. P.S.I.: v. 229, perc. 12,2%. P.S.D.I.: v. 20, perc. 1,0%. P.D.I.U.M.: v. 4, perc. 0,2%. P.R.I.: v. 3, perc. 0,2%. D.C.: v. 525, perc. 27,9%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 100, perc. 5,1, sch. b. 34, sch. n. 66. _____________________________________________________________ POGGIO IMPERIALE_________________________________________ Pop. 3.818 - Elett. 2.262 - Vot. 2.045 - Perc. 90,4% P.C.I.: v. 403, perc. 20,3%. P.S.I.U.P.: v. 13, perc. 0,6%. M.S.I.: v. 134, perc. 6,8%. P.L.I.: v. 27, perc. 1,4%. P.S.I.: v. 154, perc. 7,8%. P.S.D.I.. v. 26, perc. 1,3%. P.D.I.U.M.: v. 8, perc. 0,4%. P.R.I.: v. 6, perc. 0,3%. D.C.: v. 1.210, perc. 61,1%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 64, perc. 3,1 %, sch. b. 39, sch. n. 25. _____________________________________________________________ RIGNANO GARGANICO______________________________________ Pop. 3.293 - Elett. 1.861 - Vot. 1.554 - Perc. 83,5%. P.C.I.: v. 405, perc. 26,7%. P.S.I.U.P.: v. 49, perc. 3,2%. M.S.I.: 56, perc. 3,7%. P.L.I.: v. 67, perc. 4,4%. P.S.I.: 90, perc. 5,9%. P.S.D.I.: v. 82, perc. 5,4%. P.D.I.U.M.: v. -

143

P.R.I. : v. 2, perc. 0,1 %. D.C.: v. 768, perc. 50,6%. V. n. v. (comprese sch. b) : 35, perc. 2,3%, sch. b. 9, sch. n. 26. _______________________________________________________________ ROCCHETTA S. ANTONIO______________________________________ Pop. 4.043 - Elett. 2.174 - Vot. 1.874 - Perc. 86,2%. P.C.I.: v. 882, perc. 48,2%. P.S.I.U.P.: v. 44, perc. 2,4%. M.S.I.: v. 48, perc. 2,6%. P.L.I.: v. 8, perc. 0,4%. P.S.I.: v. 79, perc. 4,3%. P.S.D.I.: v. 9, perc. 0,6%. P.D.I.U.M.: v. 6, perc. 0,3%. P.R.I.: v. 24, perc. 1,3%. D.C.: v. 731, perc. 39,9%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 43, perc. 2,3%, sch. b. 23, sch. n. 20. _______________________________________________________________ RODI GARGANICO_____________________________________________ Pop. 4.230 - Elett. 2.561 - Vot. 2.246 - Perc. 87,7%. P.C.I.: v. 315, perc. 14,4%. P.S.I.U.P.: v. 57, perc. 2,6%. M.S.I. : v. 39, perc. 1,8%. P.L.I.: v. 84, perc. 3,9%. P.S.I. : v. 1.054, perc. 48,3%. P.S.D.I.: v. 28, perc. 1,3%. P.D.I.U.M.: v. 60, perc. 2,8%. P. R. I . : v .8, perc. 0,4%. D.C.: v. 535, perc. 24,5%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 66, perc. 2,9%, sch. b. 36, sch. n. 30. _______________________________________________________________ ROSETO VALFORTORE________________________________________ Pop. 3.269 - Elett. 2.405 - Vot. 1.415 - Perc. 58,8%. P.C.I.: v. 224, perc. 17,3%. P.S.I.U.P.: v. 28, perc. 2,2%. M.S.I.: v. 39, perc. 3,0%. P.L.I.: v. 10, perc. 0,8%. P.S.I.: v. 111, perc. 8,6%. P.S.D.I.: v. 138, perc. 10,7%. P.D.I.U.M.: v. 29, perc. 2,2%. P.R.I.: v. 25, perc. 1,9%. D.C.: v. 690, perc. 53,3%. V. n. v. (comprese sch. b.): 121, perc. 8,6%, sch. b. 77, sch. n. 44.

144

_______________________________________________________________ S. FERDINANDO DI PUGLIA____________________________________ Pop. 13.686 - Elett. 8.070 - Vot. 7.443 - Perc. 92,2%. P.C.I.: v. 3.083, perc. 42,5%. P.S.I.U.P.: v. 70, perc. 1,0%. M.S.I.: v. 1.357, perc. 18,7%. P.L.I.: v. 59, perc. 0,8%. P.S.I.: v. 476, perc. 6,5%. P.S.D.I.: v. 79, perc. 1,1%. P.D.I.U.M.: v. 227, perc. 3,1%. P.R.I.: v. 29, perc. 0,4%. D.C.: v. 1.877, perc. 25,9%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 186, perc. 2,5%, sch. b. 135, n. 51. _______________________________________________________________ S. GIOVANNI ROTONDO_______________________________________ Pop. 20.823 - Elett. 11.670 - Vot. 9.798 - Perc. 84,0%. P.C.I.: v. 3.151, perc. 33,3%. P.S.I.U.P.: v. 280, perc. 3,0%. M.S.I.: v. 269, perc. 2,8%. P.L.I.: v. 133, perc. 1,4%. P.S.I.: v. 424, perc. 4,5%. P.S.D.I.: v. 403, perc. 4,3%. P.D.I.U.M.: v. 50, perc. 0,5%. P.R.I.: v. 29, perc. 0,3%. D.C.: v. 4.717, perc. 49,9%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 342, perc. 3,5%, sch. b. 132, sch. n. 210. _______________________________________________________________ S. MARCO IN LAMIS____________________________________________ Pop. 18.447 - Elett. 11.137 - Vot. 8.700 - Perc. 78,1%. P.C.I.: v. 2.925, perc. 34,6%. P.S.I.U.P.: v. 145, perc. 1,7%. M.S.I.: v. 1.471, perc. 17,4%. P.L.I.: v. 126, perc. 1,5%. P.S.I.: v. 346, perc. 4,1%. P.S.D.I.: v. 42, perc. 0,5%. P.D.I.U.M.: v. 33, perc. 0,5%. P.R.I.: v. 51, perc. 0,6%. D.C.: v. 3.303, perc. 39,1%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 258, perc. 3,0%, sch. b. 116, sch. n. 142. _______________________________________________________________ S. MARCO LA CATOLA__________________________________________ Pop. 2.756 - Elett. 1.751 - Vot. 1.166 - Perc. 66,6%. P.C.I.: v. 295, perc. 26,7%. P.S.I.U.P.: v. 26, perc. 2,4%.

145

M.S.I.: v. 36, perc. 3,3%. P.L.I.: v. 13, perc. 1,2%. P.S.I.: v. 161, perc. 14,6%. P.S.D.I.: v. 42, perc. 3,8%. P.D.I.U.M.: v. 5, perc. 0,5%. P.R.I.: v. 8, perc. 0,6%. D.C.: v. 517, perc. 46,9%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 63, perc. 5,4%, sch. b. 29, sch. n. 34. _______________________________________________________________ SANNICANDRO GARGANICO __________ Pop. 18.596 - Elett. 12.161 - Vot. 8.956 - Perc. 73,6%. P.C.I.: v. 3.738, perc. 44,8%. P.S.I.U.P. : v. 174, perc. 2,1%. M.S.I. : v. 340, perc. 4,1%. P.L.I.: v. 144, perc. 1,7%. P.S.I.: v. 934, perc. 11,2%. P.S.D.I.: v. 67, perc. 0,8%. P.D.I.U.M.: v. 27, perc. 0,3%. P.R.I.: v. 23, perc. 0,3%. D.C.: v. 2.900, perc. 34,7%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 609, perc. 6,8%, sch. b. 147, sch. n. 462. _______________________________________________________________ S. PAOLO CIVITATE____________________________________________ Pop. 6.534 - Elett. 4.056 - Vot. 3.344 - Perc. 82,4%. P.C.I.: v. 1.026, perc. 31,4%. P.S.I.U.P.: v. 58, perc. 1,8%. M.S.I.: v. 252, perc. 7,7%. P.L.I.: v. 24, perc. 0,7%. P.S.I.: v. 531, perc. 16,2%. P.S.D.I.: v. 88, perc. 2,7%. P.D.I.U.M.: v. 28, perc. 0,9%. P.R.I.: v. 15, perc. 0,4%. D.C.: v. 1.248, perc. 38,2%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 74, perc. 2,2%, sch. b. 31, sch. n. 43. _______________________________________________________________ SAN SEVERO__________________________________________________ Pop. 52.236 - Elett. 29.971 - Vot. 27.172 - Perc. 90,1%. P.C.I.: v. 11.340, perc. 42,8%. P.S.I.U.P.: v. 350, perc. 1,3%. M.S.I.: v. 2.805, perc. 10,6%. P.L.I.: v. 692, perc. 2,6%. P.S.I.: v. 1.690, perc. 6,4%. P.S.D.I... v. 1.175, perc. 4,4%. P.D.I.U.M.. v. 113, perc. 0,4%.

146

P.R.I.: v. 294, pero. 1,1%. D.C.: v. 8.065, perc. 30,4%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 648, perc. 2,4%, sch. b. 422, sch. n. 226. _______________________________________________________________ S. AGATA DI PUGLIA___________________________________________ Pop. 5.257 - Elett. 3.220 - Vot. 2.787 - Perc. 86,6%. P.C.I.: v. 711, perc. 26,3%. P.S.I.U.P.: v. 42, perc. 1,6%. M.S.I.: v. 49, perc. 1,8%. P.L.I.: v. 77, perc. 2,8%. P.S.I.: v. 659, perc. 24,4%. P.S.D.I.: v. 63, perc. 2,3%. P.D.I.U.M.: v. 26, perc. 1,0%. P.R.I.: v. 12, perc. 0,4%. D.C.: v. 1.064, perc. 39,4%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 84, perc. 3,0%, sch. b. 45, sch. n. 39. _______________________________________________________________ SERRACAPRIOLA______________________________________________ Pop. 7.985 - Elett. 4.924 - Vot. 4.028 - Perc. 81,8%. P.C.I.: v. 1.388, perc. 35,6%. P.S.I.U.P.: v. 147, perc. 3,8%. M.S.I.: v. 357, perc. 9,1 %. P.L.I. : v. 42, perc. 1,1 %. P.S.I.: v. 267, perc. 6,8%. P.S.D.I.: v. 57, perc. 1,5%. P.D.I.U.M.: v. 20, perc. 0,5%. P.R.I.: v. 15, perc. 0,4%. D.C.: v. 1.608, perc. 41,2%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 127, perc. 3,2%, sch. b. 72, sch. n. 55. _______________________________________________________________ STORNARA____________________________________________________ Pop. 3.786 - Elett. 2.045 - Vot. 1.952 - Perc. 95,2%. P.C.I.: v. 646, perc. 33,6%. P.S.I.U.P.: v. 31, perc. 1,6%. M.S.I.: v. 54, perc. 2,8%. P.L.I.: v. 9, perc. 0,5%. P.S.I.: v. 438, perc. 22,7%. P.S.D.I.: v. 23, perc. 1,2%. P.D.I.U.M.: v. 39, perc. 2,0%. P.R.I.: v. 8, perc. 0,4%. D.C.: v. 677, perc. 35,2%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 27, perc. 1,4%, sch. b. 12, sch. n. 15.

147

_______________________________________________________________ STORNARELLA________________________________________________ Pop. 3.959 - Elett. 2.210 - Vot. 1.975 - Perc. 89,4%. P.C.I.: v. 628, perc. 33,6%. P.S.I.U.P.: v. 72, perc. 3,9%. M.S.I.: v. 93, perc. 5,0%. P.L.I.: v. 19, perc. 1,0%. P.S.I.: v. 224, perc. 12,0%. P.S.D.I.: v. 14, perc. 0,7%. P.D.I.U.M.: v. 52, perc. 2,8%. P.R.I.: v. 5, perc. 0,3%. D.C.: v. 761, perc. 40,7%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 107, perc. 5,4%, sch. b. 63, sch. n. 44. _______________________________________________________________ TORREMAGGIORE_____________________________________________ Pop. 16.385 - Elett. 10.151 - Vot. 9.461 - Perc. 93,2%. P.C.I.: v. 4.548, perc. 49,4%. P.S.I.U.P.: v. 92, perc. 1,0%. M.S.I.: v. 1.064, perc. 11,6%. P.L.I.: v. 147, perc. 1,6%. P.S.I.: v. 602, perc. 6,5%. P.S.D.I.: v. 143, perc. 1,5%. P.D.I.U.M.: v. 46, perc. 0,5%. P.R.I.: v. 35, perc. 0,4%. D.C.: v. 2.528, perc. 27,5%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 256, perc. 3,7%, sch. b. 113, sch. n. 113. _______________________________________________________________ TREMITI (ISOLE)______________________________________________ Pop. 349 - Elett. 243 - Vot. 185 - Perc. 76,1 %. P.C.I.: v. 12, perc. 8,4%. P.S.I.U.P.: v. 3, perc. 2,1%. M.S.I.: v. 4, perc. 2,8%. P.L.I.: v. 14, perc. 9,8%. P.S.I.: v. 8, perc. 5,6%. P.S.D.I.: v. 3, perc. 2,1%. P.D.I.U.M.: v. 2, perc. 1,4%. P.R.I.: v. 1, perc. 0,7%. D.C.: v. 96, perc. 67,1%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 42, perc. 22,7%, sch. b. 37, sch. n. 5. _______________________________________________________________ TRINITAPOLI__________________________________________________ Pop. 14.014 - Elett. 7.881 - Vot. 7.382 - Perc. 93,7%. P.C.I.: v. 3.177, perc. 43,0%. P.S.I.U.P.: v. 185, perc. 2,6%.

148

M.S.I.: v. 355, perc. 4,9%. P.L.I.: v. 98, perc. 1,4%. P.S.I.: v. 380, perc. 5,2%. P.S.D.I.: v. 53, perc. 0,7%. P.D.I.U.M.: v. 51, perc. 0,7%. P.R.I.: v. 19, perc. 0,3%. D.C.: v. 2.983, perc. 41,2%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 141, perc. 1,9%, sch. b. 65, sch. n. 76. _______________________________________________________________ TROIA_________________________________________________________ Pop. 9.004 . Elett. 5.116 - Vot. 4.707 - Perc. 92,0%. P.C.I.: v. 1.475, perc. 32,7%. P.S.I.U.P.: v. 99, perc. 2,2%. M.S.I.: v. 189, perc. 4,2%. P.L.I.: v. 79, perc. 1,7%. P.S.I.: v. 417, perc. 9,3%. P.S.D.I.: v. 72, perc. 1,6%. P.D.I.U.M.: v. 27, perc. 0,6%. P.R.I.: v. 53, perc. 1,2%. D.C.: v. 2.093, perc. 46,5%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 203, perc. 4,3%, sch. b. 99, sch. n. 104. _______________________________________________________________ VICO DEL GARGANO___________________________________________ Pop. 9.303 - Elett. 5.601 - Vot. 4.582 - Perc. 81,8%. P.C.I.: v. 741, perc. 17,2%. P.S.I.U.P.: v. 144, perc. 3,3%. M.S.I.: v. 177, perc. 4,1%. P.L.I.: v. 1.490, perc. 34,5%. P.S.I.: v. 227, perc. 5,3%. P.S.D.I.: v. 179, perc. 4,1%. P.D.I.U.M.: v. 48, perc. 1,1%. P.R.I.: v. 65, perc. 1,5%. D.C.: v. 1.245, perc. 28,9%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 266, perc. 5,8%, sch. b. 73, sch. n. 193. _______________________________________________________________ VIESTE________________________________________________________ Pop. 13.259 - Elett. 7.334 - Vot. 5.834 - Perc. 79,5%. P.C.I.: v. 1.603, perc. 28,5%. P.S.I.U.P.: v. 114, perc. 2,0%. M.S.I.: v. 179, perc. 3,2%. P.L.I. : v. 120, perc. 2,1%. P.S.I.: v. 667, perc. 11,8%. P.S.D.I.: v. 842, perc. 15,0%. P.D.I.U.M.: v. 44, perc. 0,8%.

149

P.R.I.: v. 8, perc. 0,1%. D.C.: v. 2.055, perc. 36,5%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 202, perc. 3,5%, sch. b. 98, sch. n. 104. ______________________________________________________________ VOLTURARA APPULA_________________________________________ Pop. 1.472 - Elett. 1.039 - Vot. 772 - Perc. 74,3%. P.C.I.: v. 66, perc. 9,2%. P.S.I.U.P.: v. 15, perc. 2,1%. M.S.I.: v. 89, perc. 12,3%a. P.L.I. : v. 8, perc. 1,1%. P.S.I.: v. 48, perc. 6,6%. P.S.D.I.: v. 6, perc. 0,8%. P.D.I.U.M.: v. 12, perc. 0,7%. P.R.I.: v. 7, perc. 1,0%. D.C.: v. 470, perc. 65,1%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 50, perc. 6,5%, sch. b. 27, sch. n. 23. ______________________________________________________________ VOLTURINO_________________________________________________ Pop .3.081 -Elett. 2.129 - Vot. 1.782 - Perc. 83,7%. P.C.I.: v. 614, perc. 36,9%. P.S.I.U.P.: v. 38, perc. 2,3%. M.S.I. : v. 52, perc. 3,1%. P.L.I.: v. 16, perc. 1,0%. P.S.I.: v. 40, perc. 2,4%. P.S.D.I.: v. 30, perc. 1,8%. P.D.I.U.M.: v. 12, perc. 0,7%. P.R.I.: v. 27, perc. 1,6%. D.C.: v. 837, perc. 50,2%. V. n. v. (comprese sch. b.) : 116, perc. 6,5%, sch. b. 85, sch. b. 31.

150

Il culto della Resistenza*

Si celebra oggi il XXV anniversario della rinascita democratica del

popolo italiano, ma al di là delle forme questa ricorrenza offre alla nostra meditazione significati profondi che toccano la storia della nazione e nel suo quadro quella della città di Foggia. Il nostro pensiero corre allo spirito unitario di libertà e di giustizia sociale che mosse il popolo italiano a resiste-re, a insorgere, a combattere contro l'oppressione fascista e l'invasione nazi-sta, a riscattare l'Italia con la sua nuova storia con il sacrificio dei suoi figli migliori, a sancire il patto costituzionale come sola piattaforma legittima, per l'azione di tutte le forze politiche impegnate nel progresso del paese. Dopo la conquista incominciò l'esercizio della democrazia e in esso sono venute formandosi le nuove, le giovani generazioni. A queste soprattutto deve essere oggi testimoniata la capacità per la quale uomini diversi, per condizioni e pensieri, seppero raccogliersi nella Resistenza oltre ogni distin-zione, in una lotta comune di civiltà.

Un documento così prezioso della storia nazionale che non potrebbe in nessun modo essere sottratto alla riflessione dei giovani. Ad esso ci pare debbano essere richiamate le forze politiche e democratiche per accertare se mai sia dato intendersi ancora come operare insieme, salva l'autonomia del-le singole posizioni, per l'ulteriore progresso della società e della democra-zia. I principi democratici di cui gli ideali della Resistenza hanno permeato la legge fondamentale della Repubblica debbono continuare ad essere, come sono stati nella vicenda italiana di questi cinque lustri, il costante punto di riferimento per le forze sollecite di un avvenire più giusto ed avanzato del paese e del mondo e per l'azione popolare intesa ad imprimere un ritmo più rapido alla crescita democratica e al progresso economico, sociale e cultura-le della nazione.

* Estratto dal discorso ufficiale del Sindaco di Foggia.

151

Oggi, nel momento in cui sul piano mondiale sembrano dischiudersi nuove prospettive consoni alle ansie e alle volontà più profonde della uma-nità, il processo unitario delle forze politiche che animarono l'antifascismo e la Resistenza appare di nuovo in movimento. Superate le chiusure apriori-stiche di un reciproco rispetto delle diverse posizioni, il confronto dialetti-co, il costume del libero dibattito delle idee, le vie della collaborazione si affermano a un livello più alto giacché l'impegno attivo per la pace, la re-sponsabilità e la maturazione civile e politica hanno conquistato nuove co-scienze, strati più larghi di opinione pubblica e si avvalgono del contributo delle generazioni cresciute nel dopoguerra. E' nell'unione, come allora, che si possono portare innanzi i valori sacri della libertà, della dignità umana, della giustizia pur nel contrasto delle ideologie e delle divergenze che nem-meno allora mancarono, e che possono essere fecondi, se con sincerità e rettitudine d'intenti e di propositi professati.

Dal travaglio risorsero gli ordinamenti democratici: rinsaldiamoli a costo di qualsiasi altro travaglio. Tale è il messaggio che ci perviene dai Ca-duti nella lotta di liberazione e nei campi di concentramento. E' un messag-gio unanime: « siate uniti nella difesa di quei valori, per i quali insieme combattemmo e noi morimmo », sembrano dire. Lo raccogliamo e lo acco-gliamo augurandoci di riuscire a spogliarci delle nostre passioni, delle nostre visioni particolari, del pesante fardello della nostra umanità che ci fa spesso scontrosi e irascibili. Lo accettiamo come programma della nostra azione, per un rinnovamento che dura ancora nel nostro paese, per realizzare l'u-nione dell'Europa, che dalla Resistenza trae motivi comuni.

Rievocare la Resistenza è un atto di fede e di amore all'Italia risorta, una testimonianza di grata memoria a quanti si immolarono nella lotta, l'impegno generoso di voler rispettare e tutelare quella democrazia, che si conquista giorno per giorno nell'esercizio dei propri doveri, rispettando la libertà e il diritto altrui, cancellando le ingiustizie e provocando e favorendo le necessarie riforme sociali, l'abolizione dei privilegi assurdi da un lato e della miseria dall'altro. Per questi ideali tutto un popolo si è sollevato e non pochi hanno dato la vita. Molti degli stessi nostri concittadini hanno dato un contributo notevole alla lotta per la libertà; ed a tutti costoro, alle loro famiglie, le quali hanno vissuto per lungo periodo nel terrore e nella mise-ria, ai caduti nella guerra di liberazione, a coloro che per rappresaglia fu-

152

rono uccisi dai nazisti, ai perseguitati, ai combattenti vada oggi il nostro pensiero riconoscente, ed un riverente commosso e grato pensiero. Vada anche allo sfortunato valore degli oltre seicentomila italiani che furono coinvolti nella tremenda rapina, operata con le insidie e con l'inganno, con il tradimento su ogni fronte di guerra, per le italiche contrade all'indomani dell'8 settembre del 1943. Rapina resa possibile da ancora misteriose e o-scure vicende, che impedirono ai più la resistenza armata che a Corfù e a Cefalonia, fece gloriosi novemila caduti della divisione Acqui, i quali scris-sero le prime vermiglie pagine nel libro della resistenza italiana.

I seicentomila dei campi di concentramento nazisti in Germania era-no della stirpe dei resistenti di Cefalonia e di Corfù. Essi perdettero con la frode le armi e poi furono tradotti inermi sui carri piombati; nei campi fu tolto loro anche il nome, sostituito da un numero. Una cosa venne ad essi lasciata: la gravosa ed insieme gioiosa libertà di rispondere « no » ai tedeschi e ai fascisti. Quel « no » che sa condanna e rottura col fascismo; solo chi lo ha pronunziato come voi, amici ex internati, solo chi lo ha pronunziato sa quando valore abbia avuto e abbia e quale ne sia stato il costo personale.

Tutti possono valutarne che nell'economia della guerra e forse ancor più nella divisione degli animi avrebbe potuto avere quell'autunno-inverno del 1943, una massiccia adesione di centinaia di migliaia di combattenti. E invece così non fu, per la responsabile scelta di coloro, che vollero la resi-stenza passiva, incompresa, oscura, ignorata: eroi senza gloria, ma non me-no meritevoli di quanti con le armi in pugno fronteggiarono e vinsero il nemico. E' doveroso sottolineare il peculiare valore della pressocché una-nime decisione presa dai soldati, per lo più operai e contadini, molti reduci delle esperienze tragiche dei fronti d'Africa e d'Europa e di Russia, dove tuttavia rifulse il loro personale valore, in condizioni di estremo disagio, che erano stati separati subito dai loro comandanti, decisione tanto più rilevante e significativa, appunto perché non influenzata e non consigliata, ma spon-tanea e responsabile e convinta, presa da giovani che erano cresciuti prima del fascismo e lo giudicarono, determinando la definitiva frattura con il pas-sato. Quei seicentomila soldati e ufficiali erano una parte del popolo italia-no, che lontano dalla Patria senza guida e senza conoscenza delle cose e delle vicende seppero orientarsi col solo ausilio della propria coscienza, pre-ferendo la fame e la morte

153

da fame, le sevizie, le angherie, le violenze e i soprusi, all'onta di dir « sì » alla tirannide. Il « no » di centinaia di uomini, spiritualmente liberi, pur nel recinto del filo spinato, fu una battaglia combattuta e vinta della resistenza. Per questo gli ex internati militari in Germania sono dei resistenti ed i morti fra i reticolati sono fratelli dei nostri caduti con le armi in pugno o trucidati sul suolo patrio per la liberazione dell'Italia e di quelli che ebbero la più tri-ste ed inumana delle sorti, feriti nei campi di sterminio, dove la popolana e la principessa reale, l'illetterato e l'uomo di cultura, il cristiano e l'israelita furono uniti nella crudele, terrificante visione del prodotto dell'umana e sadica bestialità, espressione della peggiore ignominia ed abiezione, cui si possa giungere, quando si vogliono discriminare le razze, quando si vuole sopprimere la libertà della fede, l'idea religiosa e quella politica.

Spesso i campi di concentramento con o senza reticolati accompa-gnano il sorgere dei regimi tirannici e dittatoriali e ne favoriscono il conso-lidamento, anche come strumento che incutendo timore, toglie ai più la fa-coltà di essere liberi dalla paura. Là si costringono i dissenzienti, gli opposi-tori, anche solo perché pensano diversamente, là si pugnala la libertà, là si tradisce, talvolta con parvenza di legalità la giustizia, di là incomincia però la preziosa, ma ahimé, quanto faticosa, costosa, dura, lunga e sanguinosa opera di redenzione. La democrazia non conosce l'onta del filo spinato. Eppure nel mondo ancora se ne vede, come vi è ancora discriminazione di razze, di fede, di ideologia politica. Sino a che questi mali sussistono in una qualunque parte del mondo, è insidiata per tutti la pace vera, il bene massi-mo cui ogni uomo anela, quella pace fondata sulla giustizia e nella sicurezza, per la quale hanno combattuto i resistenti, per i quali ancora oggi siamo chiamati tutti ad operare, promuovendone il consolidamento. Non più reti-colati nel mondo dunque, non più barriere, comprensione e discussione tra gli uomini di buona volontà, che possono e debbono camminare insieme, oggi come ieri, per il bene della patria, servitori di una legge suprema, la difesa della libertà e della giustizia.

Celebrare l'anniversario del sorgere e del divenire della Resistenza contro l'oppressione del nazismo invasore e del fascismo suo triste alleato, è come riaccendere una grande luce di fede, per rischiarare nella vita i gio-vani chiamati ad un imperativo di onore, a perseguire quel grande fine di dignità civile, cui sono affidate le sorti del nostro paese. Revocare le vicen-de della lotta eroica, che ha visto

154

combattere e cadere quanti, sia nella verde età, sia nell'età matura avevano colto il significato della lotta perigliosa ed asperrima per l'indipendenza e la libertà della patria, mentre è caro a coloro che le vicende hanno vissuto, è sempre d'insegnamento e monito a quelle generazioni nuove per le quali il culto della patria si deve sublimare non in una pretesa di supremazia, ma nel culto della solidarietà fra i popoli e nel rispetto della loro libera auto-nomia. Dinanzi alle lapidi e alle immagini dei Caduti innumerevoli, che of-frirono al paese il loro sacrifizio, per rivendicarne la dignità e l'onore, noi sentiamo che la grande lotta combattuta ci impegna a non essere indegni di celebrare quel sacrifizio in un deciso proponimento di non lasciare mai spe-gnere la fiamma ideale che se ne eleva. Educhiamo dunque i giovani al culto della Resistenza, affinché l'esempio di coloro che in quei tempi così tristi, affrontando ogni pericolo, ogni sofferenza e ogni sacrifizio salvarono con la libertà del nostro paese i sommi valori dell'umanità, dell'onore, valga a vivi-ficare nelle loro coscienze il senso di quel dovere fondamentale, che tutti chiama a difendere con la dignità dei singoli la virtù civile di un popolo. In questo spirito, con questi intendimenti, le celebrazioni della Resistenza e della Liberazione non devono limitarsi all'aspetto rievocativo, dato che i valori politici e morali, che sorressero allora gli italiani, sono necessari an-che oggi, perché la costituzione repubblicana sia sempre più vitale e piena-mente attuata con fermezza e serietà. Non si deve dimenticare che essa rappresenta il patto solenne, su cui si fondarono le nostre libere istituzioni: eredità tangibile della Resistenza.

VITTORIO SALVATORI

San Leonardo di Siponto e Don Mastrobuoni

Lungo la statale, che da Foggia conduce a Manfredonia, al km. 27,6, località segnata nelle carte turistiche col nome di Monte Aquilone (m. 100 sul livello del mare), l'occhio è attratto da un complesso di fabbriche mo-numentali, che interrompono la uniformità del paesaggio agreste e invitano a sostare, per visitarle. Sono le testimonianze superstiti di San Leonardo di Siponto, costituite dal monastero, dalla chiesa e dall'ospizio, cioè foresteria ed infermeria, ad uso dei pellegrini diretti al famoso santuario di San Miche-le Arcangelo sul monte Gargano.

LE ANTICHE ORIGINI.

Il monastero, che si suppone fondato dall'Ordine dei Canonici Ago-stiniani tra la fine del secolo XI ed il principio del secolo XII, non gettava, secondo l'Ughelli, nella sua seconda metà del secolo XII e nei primi del XIII « meno di 20.000 fiorini d'oro di rendita annua ». Periodo aureo quindi della sua conventualità, a cui purtroppo seguì la piena decadenza, tanto che la chiesa di S. Leonardo poteva apparire talmente degenerata da sembrare non più una casa di Dio, ma una « spelonca di ladri ».

Nel 1261 S. Leonardo passava ai Frati dell'Ordine Teutonico, che ne fecero il centro della loro attività in Puglia, e vi rimasero fino alla seconda metà del secolo XV. Ultimo rappresentante di quest'Ordine fu il vescovo di Troia, Stefano Gruben, poi arcivescovo di Reggio Calabria. Alla sua morte, la chiesa, considerata come badia, cominciò ad assegnarsi ai Cardinali. Le truppe del maresciallo Lautrec occuparono il convento durante l'assedio di Manfredonia, nel 1527.

Vi si celebrava già solennemente la festa di Nostro Signore nel 1538, quando l'aveva in commenda il fiorentino Taddeo Gaddi, che poi fu arcive-scovo di Cosenza. Tra gli altri abati commendatari ricordiamo

156

Bonifacio Gaetani, che vi costruì nel 1600 un'edicola cimiteriale da non molto demolita; i cardinali Carlo Barberini, Albani e Pasquale Acquaviva d'Aragona, che fu l'ultimo.

Dall'inizio del sec. XVII i Frati Minori Osservanti governarono la badia, fino a quando, soppressa nel 1810, si trasferirono in Manfredonia, nel Convento di S. Maria delle Grazie, dove portarono le statue di S. Leo-nardo e di S. Marina e le reliquie del corpo di S. Celestino Martire.

Dichiarato laicale il « beneficio » il convento passava con le rendite all'Ordine Costantiniano. Il re Gioacchino Murat, sopprimendo il beneficio, ne assegnava le rendite all'Ospedale Civile di Foggia, con l'obbligo di rico-verare gli infermi di quei paesi che erano prima ricevuti.

DECADENZA E RESTAURI.

Le fabbriche conventuali furono affidate in locazione con i circostan-ti terreni; utilizzate ai fini dell'agricoltura, subirono l'azione corrosiva del tempo e della ignoranza, rimanendo inascoltate le voci degli studiosi, che chiedevano la salvezza di quell'eccezionale patrimonio storico-artistico. Es-so risultò ancora abbandonato alla decadenza nel 1925, quando il giovane Mario Simone (Sipontinus), ne descrisse le vestigia, che « dormivano i lun-ghi sonni in un paesaggio tristissimo », documentando la sua accorata pro-testa con una fotografia.

Eppure, alla indifferenza delle autorità e degli uffici competenti si era da tempo rivolta la denuncia di autorevoli studiosi, quale Alfredo Petrucci, che fin dal 1921, nella rubrica « Italia ignota » di « Le vie d'Italia » del T.C.I., scopriva San Leonardo del Gargano, che sei anni dopo segnalava anche ne « La Gazzetta del Mezzogiorno », come Un fiore nel deserto, mentre il Bac-chelli ne parlava, ambientandovi un suo drammatico racconto - Agnus Dei -, nella « Illustrazione Italiana » del 1929. A costoro si unirono ultimamente altri scrittori e uomini politici, tra i quali Rosario Labadessa, commissario del Consorzio di Bonifica del Tavoliere e il canonico prof. D. Silvestro Ma-strobuoni da Cerreto Sannita, teologo del Capitolo metropolitano di Man-fredonia e ispettore onorario alle Antichità e Belle Arti.

Il complesso monumentale alfine, restaurato dal Ministero della P.I., da S. E. Mons. Cesarano, pastore della storica Diocesi, fu affidato in retto-ria allo stesso D. Mastrobuoni. La chiesa, riaperta al culto il 1° maggio 1950, ottenne riconoscimento giuridico il 1° dicembre 1952.

157

Con altro decreto del Presidente della Repubblica, in data 7 giugno 1956, fu conferita la personalità giuridica alla Parrocchia, fondata con decreto del-l'Arcivescovo del 15 novembre 1950, insieme con l'Opera dei Pastori, di cui diremo in seguito, e successivamente dotata dallo stesso Mastrobuoni di rendita per il parroco e per le spese di culto.

La storia degli ultimi due decenni, sino al 1966, è legata a quel Sacer-dote e Docente, che diede tutto se stesso per il risveglio delle opere e del culto di questo monumento nazionale.

IL COMPLESSO ARCHITETTONICO.

Di esso - la chiesa, le fabbriche conventuali, l'ospizio dei poveri - la parte da ammirare (e che alta ammirazione e godimento spirituale!) è la chiesa, « sen-tinella avanzata dei templi a cupola, in Puglia », per dirla con Alfredo Pe-trucci, col suo meraviglioso portale, la cui bellezza sprigiona una luce esal-tante per lo spirito estasiato.

Attingiamo questi cenni dallo stesso Petrucci e dal Mastrobuoni. Delle fabbriche conventuali, che non sollecitano alcun interesse arti-

stico, parzialmente addossate alla chiesa, diremo che vi si accede da una scala rifatta sull'antico sistema. Sette stanze, con stemmi della famiglia Gae-tani di Roma, ci assicurano l'opera dei due cardinali commendatari della seconda metà del Cinquecento, Nicola ed Enrico. Le altre stanze, costruite posteriormente, sono rovinate e inabitabili, all'infuori del così detto « palaz-zo », costruito nel 1763 da un frate francescano, P. Costantino da Manfre-donia.

Dell'antico ospizio dei pellegrini, che funzionava già nel sec. XII, re-stano pochissime tracce, poiché fu più volte restaurato. L'edificio sorge iso-lato ad alcuni metri dagli altri edifici, anch'esso recentemente, ma solo in parte, rifatto nelle mura che minacciavano rovina.

Di notevole, le due finestre di stile ogivale con il portoncino d'ingresso; dalla parte opposta vi si possono osservare due porte dalle ornie di pietra calca-rea tenera, di cui si legge la data (1327), e due finestrette a sesto acuto, incassate oltre la fodera esterna del muro perimetrale.

Il terremoto del 1731 lo rovinò completamente, per cui venne ricostrui-to quasi dalle fondamenta nel 1745, a cura dell'ultimo abate commendatario D. Pasquale Acquaviva di Aragona, del quale vediamo lo stemma sul parapetto del pozzo esterno, e funzionò da ospedale per i pastori abruzzesi fino all'inizio del secolo XIX.

La chiesa risale, per le sue due cupolette, al secolo XII. Gli avanzi

158

di più remota antichità ci fanno ritenere l'esistenza di una chiesa bizantina, trasformata in chiesa latina nel secolo XI. La chiesa bizantina, di forma quadrata, doveva avere la porta d'ingresso ad oriente, come si intuisce per l'esistenza di altri particolari: le tre absidi ne chiusero il primitivo ingresso.

Eretto in un periodo di pieno fervore religioso ed artistico, da un popolo vecchio di storia e di civiltà, questo monumento emana un fascino particolare, sì che possiamo dire con Nicola De Feudis che « non la mole, né la fastosità o la ricchezza di materiali, e neppure la complessità di strut-ture murarie, tese al gioco statico della costruzione, caratterizzano questo tempio, sibbene la chiarità delle sue linee architettoniche essenziali, il gusto evoluto della sua ornamentazione, dosata con sicuro senso della misura e realizzata con disinvolta sicurezza, e soprattutto il solenne portale, nel quale è esploso il genio inventivo di un originale maestro della pietra ».

La nota caratteristica che fa scorgere il complesso da oltre due chi-lometri sull'antica « strada dei pellegrini » è questa: le due cupole, con un campanile ed il tipico camino a torretta, che si innalza sulla cappa dell'antica cucina del convento.

Delle due facciate, dallo stile caratteristicamente romanico, la princi-pale è rivolta ad occidente ed il suo portale è meno ricco dell'altro che con la sua facciata secondaria risponde sul viale verso la strada.

La facciata principale, la primogenita, che denuncia la presenza di tre navate con copertura a volta, consente la vista del tamburo ottagonale, ri-coprente una delle volte coniche, abbellito e alleggerito da archetti a tutto sesto, poggianti su fasce a sezione rettangolare.

Alla sommità della facciata, gli archetti di sinistra scendono gradata-mente fino alla cantonata, e l'unica rosetta incastonata e la finestra romboi-dale denunciano la parte più antica della chiesa, mentre l'altro angolo con il suo campanile secentesco, di recente ricostruito, indicano una ricostruzione ed un adattamento che continua verso il chiostro, nel quale si affacciano bellissime bifore e artistiche colonnine di magnifico effetto.

Non sappiamo se il portale di questa facciata, assai manomesso, tro-vasse riscontro in origine al meraviglioso portale di cui diremo in seguito. Certo, la facciata è giunta a noi mutilata e contraffatta dai restauri eseguiti nel 1635, quando la conventualità era già passata ai francescani.

E passiamo all'altra facciata, nella quale è incastonato quel gioiello

159

di portale con la ricchezza e la solennità della struttura e con la forza del rilievo aggettante. Qui il maestro architettore, che nulla ha tralasciato per rendere perfetta la compagine del suo lavoro, ha trovato nello scultore un sapientissimo interprete.

Questo fastoso portale fu costruito al tempo della maggiore opulenza della Comunità, quando ne era Priore il monaco Riccardus, detto « il gran Riccardo » (1157-1170).

Primo a descriverlo compiutamente, nella sua armoniosa architettura, fu Alfredo Petrucci, il quale gli diede una data, anteriore alle edificazioni sveve, ed una firma, come la scuola dei maestri garganici, inaugurata nel secolo XI dall'Acceptus.

Egli fa rilevare che, purtroppo, poche parole vi dedicarono gli scrit-tori del secolo scorso che si sono interessati, fra l'altro, di S. Leonardo di Siponto: Emile Bertaux accenna alla « ricchezza del portale scolpito che immette nella nave di sinistra »; il Lenormant dice di questa porta che « è un bel tipo dello stile della metà del secolo XIII in questa regione »; il Grego-rovius scrive che la chiesa « ha una porta bellissima ed una tribuna di puro stile romanico »; ed Arthur Haseloff la definisce: « mirabile, tutta adorna di splendidi fregi e tralci ed animali ».

Il Petrucci, ampiamente lo analizza, ed afferma di questo portale che « se per la sua sontuosità sembra volerci ricordare la straordinaria opulenza della badia cui apparteneva, si può dire che gareggi, per armonia d'insieme e finezza di dettagli, con i più begli esemplari di decorazione architettonica di tutto il periodo romanico pugliese ed anche italiano ».

Per meglio descriverlo, il portale lo dividiamo in 3 sezioni: l'interna, che rappresenta il portale vero e proprio, con i suoi stipiti, le due colonni-ne, i due capitelli, l'architrave, le quattro cornici a tutto sesto concentriche e i due capitelli; l'esterna, rappresentata da una sorta di baldacchino schiaccia-to o pseudopròtiro fortemente aggettante, che termina in alto con una cor-nice a cuspide, sostenuto da due leoni, che a loro volta sostengono due co-lonne con capitelli e grifi; nello spazio tra le dette sezioni, il frontone con figure.

Sugli stipiti, i due motivi più originali dell'intero complesso monu-mentale: nell'uno il tralcio, con figure antropomorfe, zoomorfe e mostruose imprigionate nelle volute, nell'altro la seguenza delle foglie ad S abbinate: l'accordo di due mezze foglie, accostate in basso e divergenti in alto: motivi che continuano per tutto il giro dell'archivolto.

I capitelli sono costituiti da due blocchi trapezoidali, tagliati in

160

pianta ad angolo rientrante. In quello a sinistra è rappresentato « Il pellegri-no sul Gargano » e in quello a destra « L'arrivo dei Re Magi », come dimo-strano i doni ch'essi recano in mano e la presenza della stella in cielo.

Nel primo, dice il Petrucci, « è figurato un uomo in cammino con la sua bestia, nel quale alcuni scrittori credettero di vedere la storia di Balaam e la sua asina; ma il popolo vi ravvisa fin dalle origini la figura del pellegrino medioevale in viaggio verso il Santuario. E nessuna cosa è tanto commo-vente quanto la vista di quest'uomo, non più pagano ma cristiano, che, in-curante d'estate del torrido Atabulus, d'inverno del « tremolizzo grandisse-mo », sia egli un regnante o un villano, un porporato o uno scaccino, si va avvicinando, di tappa in tappa, di xenodochium in xenodochium, alla favo-leggiata ed agognata sua mèta ».

L'architrave presenta un motivo a sé, consistente nella ripetizione simmetrica di un fregio somigliante ad un'armilla barbarica.

Ma dove il portale vero e proprio raggiunge l'acme della sua ricchez-za e della sua armonia è nella parte superiore dell'architrave, ove si svilup-pano le quattro cornici a tutto sesto e la lunetta.

Nella prima e nella terza cornice vediamo continuare e svolgersi in curva i due motivi degli stipiti: il tralcio figurato e le foglie a doppio S. Il tralcio con-tiene, nelle otto eleganti volute di questo arco, i simboli dei quattro Evangelisti ed altri bassorilievi figurati, tutti differenti tra loro, tra cui un cervo, un centau-ro con la bùccina in bocca ed una centauressa musicante di grande leggiadria.

Tra le due precedenti, la seconda cornice, un semicerchio a sguancio di foglie accartocciate sulle punte, a mo' di valva, e nella quarta terminale una fila di losanghe contenute tra due listerelle piatte, i cui motivi, forse, in origine dovevano essere riempiti di marmette policrome.

Nella lunetta è figurato, con altrettanto forte rilievo, « Gesù benedi-cente » in una sorta di medaglione a mandorla, tenuto per le mani da due angeli in ginocchio, adoranti il Legislatore, Gesù Cristo, Salvatore del Mon-do.

E passiamo al baldacchino o pseudo-pròtiro che termina in alto, co-me si è detto, con una cornice a cuspide, che è come il sopracciglio del por-tale, e nell'interno con un arco ricco di un giro di foglie alte e snelle, alter-nate a palmettine.

I due leoni in basso, a sostegno delle colonne e del resto, rappresen-tano: l'uno che maciulla una figura umana, nuda, richiama l'ammonimento dell'Apostolo Pietro che invita i fedeli ad essere sobri e vigilanti

161

nella preghiera, perché il nostro avversario, il diavolo, è « come un leone ruggente che cerca chi divorare », e l'altro, nelle cui fauci ha un pesce, è l'e-spressione del cristiano che, cibandosi di Cristo, ossia del pane eucaristico, e meditando la sua dottrina, diventa forte come un leone, terribile al demo-nio, ispiratore di ogni male.

Nel frontone, nello spazio cioè tra il portale vero e proprio ed il così detto baldacchino, due figure maschili aureolate, scolpite a mezzorilievo: l'una a sinistra, in piedi ed orante, a capo scoperto, potrebbe rappresentare S. Agostino, al cui ordine, appunto, appartenevano i fondatori del tempio, e l'altra a destra, pure in piedi, con il cappuccio tirato sulla fronte, un libro in mano ed una pesante catena, non può non essere che S. Leonardo, cui il tempio fu dedicato, patrono dei carcerati. Tra le due figure, al centro del campo, n'era una terza, oggi mancante, che doveva presumibilmente rap-presentare la Vergine con il Bambino Gesù.

Tutte queste immagini fra tanta flora e fauna e figurazioni simboliche suscitano un incanto che Alfredo Petrucci, poetando, sintetizza: « Chi com-pì questo miracolo? Chi vestì di tanta bellezza la pietra da cui ancora si sprigiona una parola così calda di vita? Immagini lievi, come creature in punta di piedi, giungono da lontano al nostro spirito. Il tempo antico si fa presente. Le distanze si accorciano come le ombre alla radice delle cose, mentre il sole è ancora alto all'orizzonte. Il tralcio che ascende in larghe volute su per gli stipiti e gli archivolti, trema al soffio del vento ... E le figu-re intricate nei cirri riprendono il moto, al punto in cui lo scalpello dell'umi-le maestro le fermò or sono ottocento anni. La centauressa si stacca dalla pietra; la siringa stretta tra le sue mani intona, percossa, la sua più bella can-zone ».

E passiamo alla descrizione della facciata, il cui cornicione di coro-namento è sostenuto da una serie di mensole, interessanti per la varietà e la delicatezza dei motivi, mentre al disotto di esse numerosi archetti, divisi in serie di tre, da lesene che s'innalzano fino a raggiungere la linea d'imposta, ripetono il motivo romanico dominante. Quattro monofore arricchiscono, fra le lesene, il complesso della facciata.

Sulla faccia posteriore della chiesa, non meno decorata, per quanto con diversi motivi, si arrotondano tre absidi: una centrale, maggiore, e due laterali, in cui non è difficile rivedere in quelle figure mostruose simboli di divinità pagane, che rappresentano i demoni che stanno fuori della chiesa.

Su una fascia dell'abside maggiore, che ha pure un coronamento

162

di archetti, ripartiti a due a due da pilastrini quadrati, troviamo un nome: « Guilielmus sacerdos »: probabilmente è il nome di uno dei canonici regolari di S. Agostino del secolo XII.

Nel mezzo di quest'abside si apre una finestra a tutto sesto circoscrit-ta da una bella fascia ornamentale, composta di un tralcio dipartentesi, da un lato e dall'altro, dalla bocca di due draghi. Sulla chiave dell'arco un gros-so grifo ed ai lati degli stipiti si vedono i frammenti dei mostri fra i quali dovevano innalzarsi due colonnine. Dalla cornice di quest'abside pendono, a grappolo, mensolette scolpite, con mostri, bizzarri intrecci e nodi di rami, maschere ed altri viluppi di corpi.

Parimenti, coronato di archetti, è il tamburo ottagonale dell'unica cu-poletta integra, rispetto all'altra. Trattasi delle due cupolette di cui abbiamo detto innanzi.

Entrando nella chiesa dalla facciata principale, notiamo la mancanza della navata di destra, che però corrisponde ad un specie di matroneo, ossia coretto: fu questo anteriormente un lato esterno della Chiesa, come risulta dalla stessa muratura e dalle fondazioni.

Il pilastro con colonnine semiaddossate ed i diversi capitelli istoriati, non ha riscontro con gli altri, di diverso stile. Nella volta centrale una gra-ziosa rosetta denuncia l'esistenza di un'antica meridiana, che doveva regola-re il ritmo della vita religiosa e claustrale. Alcuni affreschi e scudi crociati teutonici ci riportano alla seconda metà del secolo XIII, quando vi giunsero i Frati dell'Ordine Teutonico di S. Maria di Prussia.

Durante gli ultimi restauri, tutti gli altari esistenti, in stile di decaden-te barocco, che davano un aspetto confuso e disarmonico al tempio, furono rimossi, ed il materiale venne depositato in un locale attiguo, con alcuni ruderi delle più antiche costruzioni.

Attualmente vi è il solo altare centrale, di recente costruzione, consa-crato nel 1951 dal vescovo di Lucera, Monsignor Ventola.

Una lapide nell'interno, sulla porta centrale, ricorda la data di riaper-tura al culto (1950).

IL CROCIFISSO ASSENTE.

Dalla sua riapertura al culto fino al 1956 la chiesa custodiva un gran-

de Crocifisso di legno, opera pregevolissima, eseguita fra il 1220 ed il 1230, quando cioè il monastero era ricco e potente: uno sculto del tipo detto « vivente », con gli occhi aperti ed i piedi staccati, e chi lo eseguì mostra di aver puntato più che sulla espressione del

163

Cristo, sulla esasperata anatomia del suo corpo, resa più evidente, anche attraverso la trasparenza del perizoma, dalla pittura sovrapposta all'intaglio.

L'artista, forse del luogo, aveva dietro di sé esemplari insigni di Cro-cifissi, non solo dipinti ma anche scolpiti; ma preferì fare da sé, rimanendo estraneo alla suggestione delle stupende sculture di spirito classico che si andavano lavorando per la porta maggiore della chiesa.

Per l'interessamento del nostro D. Silvestro, che sensibilizzò la So-vrintendenza ai Monumenti e alle Gallerie della Puglia in Bari, nel 1956 questo Crocifisso fu restaurato dall'Istituto Centrale del Restauro e nel 1958 il M.ro della P.I. lo destinò alla Esposizione Universale di Bruxelles. Suc-cessivamente, invece di essere riconsegnato alla chiesa di S. Leonardo, fu inviato a Bari dove trovasi esposto nel Castello Svevo.

Vane sono risultate le proteste e le sollecitazioni, per il ritorno a Manfredonia di quella vera opera d'arte, formulate dalle autorità ecclesiasti-che, da enti culturali e turistici e dalla stampa, tanto che non soltanto dai Manfredoniani, ma anche da ogni studioso e visitatore - deluso da quella sparizione -, se ne chiede conto ai revv. P.P. Minori, cui spetta il possesso del Crocifisso.

IL « CAPPELLANO DEL LAVORO ». Ma, esaltando il tempio di S. Leonardo di Siponto, noi intendiamo

onorare anche la venerata memoria di D. Silvestro Mastrobuoni, nella cor-nice di San Leonardo, cui donò tutto se stesso, attingendo dalla poesia della pietra e dalle fonti della storia tutto quanto l'una e l'altra potevano offrire. Né sarebbe possibile disgiungere da lui e da San Leonardo quanti, come noi, lo amarono, collaborando alle sue attività sociali e culturali.

Dopo i primi restauri, il monumento ebbe in lui il suo rianimatore e illustratore, con una pregevole monografia storica sulla insigne badia e la sua chiesa, con dedica al militante Ordine dei Frati Minori, ritornato colà dopo un secolo e mezzo per officiare nella nuova Parrocchia.

Nato a Cerreto Sannita nel 1889, egli può considerarsi pugliese per dimora e per affetto. Studioso e scrittore di agiografia e storia ecclesiastica, venne in Capitanata quando reggeva la diocesi di Ascoli e Cerignola il ve-scovo Monsignor Giovanni Sodo, che gli affidò diversi incarichi per il mini-stero sacerdotale.

Iscritto all'albo professionale degli insegnanti medi della Campania

164

per la sua laurea in lettere, insegnava nel Collegio « Davanzati » dei PP. Barnabiti in Trani da un triennio, allorché fu chiamato alla Curia di S. Seve-ro, dove rivestì la dignità di Vicario, ed ebbe modo di studiare le pergamene di quella Cattedrale, che furono pubblicate. Successivamente, nel 1937, fu incardinato come canonico teologo del Duomo di Manfredonia. Insegnò Lettere nel Seminario e nel Collegio arcivescovile « Sacro Cuore » ed anche nel convento dei Frati Minori, quindi Religione nell'Istituto Tecnico Com-merciale Statale. Come direttore dell'Ufficio Catechistico Diocesano, tenne numerosi corsi di aggiornamento agli insegnanti elementari. Fu per breve tempo anche nel Liceo del Pontificio Seminario di Benevento (1942).

Nominato ispettore onorario per le antichità ed opere d'arte di Man-fredonia, dal Ministero della Pubblica Istruzione, per il triennio 1945-47, e più volte riconfermato, direttore onorario della civica Biblioteca « Luigi Pa-scale » e dell'annessa raccolta archeologica, componente autorevole della Commissione municipale per la Toponomastica e del Comitato Pro-cultura, collaboratore della « Enciclopedia Cattolica » e probo-viro della Società Dauna di Cultura di Foggia, Don Mastrobuoni fu presente in tutte le inizia-tive e manifestazioni, rivolte all'incremento culturale.

L'OPERA DEI PASTORI. Al poeta abruzzese Alfredo Luciani, la cui produzione letteraria ebbe

il plauso e l'ammirazione del D'Annunzio, del Di Giacomo, del Croce, del Papini, del Bargellini, devesi la prima idea della fondazione dell'Opera dei Pastori in Italia. La stessa Opera il nostro D. Silvestro volle fondare a Man-fredonia, collegandola all'Opera di San Leonardo di Siponto.

E noi avemmo il Luciani, ospite gradito ed applaudito a Manfredonia il 1951, quando ci lesse le sue liriche, in una memorabile riunione, e ci aprì la sua anima squisitamente lirica.

La prima idea dell'Opera gli balenò quando, per la morte dell'unico figlio maschio, ritiratosi a meditare sul suo dolore nella natia Montagna d'A-bruzzo, ebbe dai pastori sollievo ed amicizia, ed in segno di affetto le prime pecore della Carità, distinte dalle altre dal rosso segno di croce sul candido vello.

Così dalla poesia che aveva cantato sulla gioia e sul dolore umani, egli passa ad altra poesia, quella costruttiva che deve formare i

165

Missionari della Montagna per accompagnare ed assistere spiritualmente i pastori nelle loro transumanze.

Da quella data, aprile 1951, si lavorò perché l'Opera dei Pastori a-vesse avuto il massimo incremento, a S. Leonardo di Siponto. Ed inoltre, qui, in questo periodo per l'attività di D. Silvestro, sorsero corsi di qualifi-cazione per caseari, due scuole, elementare e popolare, per i figli dei pa-stori e dei contadini della zona, una piccola biblioteca popolare, un campo sperimentale per la coltivazione dell'olivo e di altri alberelli, ed infine si diffuse il periodico mensile « Il Pastore ».

Prima di chiudere mi piace riportare questo pensiero del Dyson. Quanto più quelle sacre fabbriche ci appaiono rovinate dal tempo e dagli eventi, tanto più ci interessano, al pensiero che un giorno, nel Medioevo, un'abazia rappresentava la comunità più potente del mondo occidentale: « Codesti retaggi di pietre, di mattoni, di archi, di colonne, sono le più commoventi reliquie del passato, le custodi gelose di ciò che i nostri avi intendevano per civiltà, per comunanza di fede, per vittoria dello spirito ».

E chiudo invocando chi, fra queste espressioni d'arte imperitura, tenace e dinamico credente, ha lavorato in silenzio, pietra su pietra, a tan-te opere egrege, per cui doveroso è da noi testimoniare per la sua sacra Memoria tutta la nostra riconoscenza e quella di Manfredonia, che lo ebbe prima ospite e dopo suo cittadino, avendola egli eletta e servita, per oltre un ventennio quale seconda patria, e auspicare che la fiaccola da Lui agita-ta sia raccolta dai giovani.

ANTONIO FERRARA

CONTRIBUTI BIBLIOGRAFICI DI NOSTRI SCRITTORI

NICOLA DE FEUDIS e S. MASTROSUONI (a cura di), Manfredonia (Siponto e San Leonardo), Foggia, 1958.

DANIELE PERLA, II Crocifisso ligneo di S. Leonardo di Siponto, ne « Il Mattino » (Napoli) 29.10.1970.

ALFREDO PETRUCCI, Una città morta (Siponto), in « Emporium » (Bergamo), 1921. IDEM, Italia ignota: San Leonardo del Gargano, in « Le vie d'Italia » (Mila

no), 1922. IDEM, Paesi e monumenti di Puglia. Un fiore nel deserto: San Leonardo, in « Gazzet

ta di Puglia » (Bari), 5.6.1927. IDEM, Cattedrali di Puglia, I ed., Roma 1960, II ed. Roma 1964. IDEM, II pellegrino al Gargano, Foggia, 1968. MARIUS SIPONTINUS, I monumenti dell'antica e della nuova Siponto, in « Man

fredonia e il Gargano», Manfredonia, 1921. IDEM, Gli scavi archeologici e il restauro di un antico monumento, ne « Il Giornale

d'Italia» (Roma), 1937.

166

OPERE DI SILVESTRO MASTROBUONI

Cenni biografici di Mons. Luigi Sodo, vescovo di Telese Cerreto, morto in odore di santità il 30 luglio 1895. Napoli, Tip. Ed. Pontificia 1917. In 8°, pp. 48.

Una gloria di Cerreto: P. Domenico Bruno S. J.. Nel 2° Centenario della sua morte. In «Regina dei Monti», Cerreto Sannita 1930-1931.

Pergamene della Chiesa Cattedrale di San Severo. Estr. da «Bollettino Diocesano », 1932, marzo-dic. San Severo, Curia Vescovile. (San Seve-ro, Tip. Morrico). In 8°, pp. 8.

San Lorenzo Maiorano, vescovo Sipontino. « Ai margini della Storia Sipontina », Fase. I. Estr. da «Vita Cattolica», a. 1938, Manfredonia, Tip. Sipon-tina, s. d. [1938]. In 8°, pp. 14.

Il culto della Madonna di Siponto. « Ai margini della Storia Sipontina », Fase. II, Estr. dal « Bollettino dell'Archidiocesi di Manfredonia » a. 1941. Manfredonia, Tip. Ortensio Bilancia, 1942. In 80, pp. 50.

Cronotassi e blasonario dei Vescovi ed Arcivescovi Sipontini. « Ai margini della Storia Sipontina », Fase. III, Benevento, Libr. ed. Fallarino, 1943 (Tip. Bilancia, Manfredonia). In 8°, pp. 78.

La Chiesa Sipontina e i suoi rapporti con altre Chiese della Regione Appuro-San nita. Anno 1943. « Pagine di storia della Regione ecclesiastica bene-ventana, fase. I ». Benevento, Libr. ed. Fallarino, 1943 (Tip. Bilancia, Manfredonia). In 8°, pp. 86.

S. Leonardo di Siponto, guida illustrata con note d'arte e di storia. Manfredo- nia, Opera San Leonardo di Siponto, 1951. (Foggia, Tip. Cappetta). A beneficio dell'Opera dei pastori di S. Leonardo di Siponto. In 16°, pp. 40.

Antichità Sipontine. Documenti ed illustrazioni con note d'arte e di storia. Man- fredonia, Procura capitolare della Chiesa S. Maria di Siponto, 1955. In 16° pp. 29, ill. (a beneficio del Santuario).

Manfredonia (Siponto e San Leonardo). Foggia, Quaderni turistici dell'E.P.T., 1958 (in collab. di N. De Feudis).

San Leonardo di Siponto. Storia di un'antico monastero della Puglia. Pres. Di Marius Sipontimus. Foggia, Studio Editoriale Dauno, 1960 (Tip. Lau-renziana, Napoli). In 8°, pp. 190, ill. (« Biblioteca Dauna », n. 1).

I cinque anni d'esilio del vescovo Mons. Luigi Sodo. Rievocazioni e rettifiche ill-u strate da documenti. Napoli, Tip. Laurenziana, 1964. In 8°, pp. 16.

Un missionario poliglotta di Cerreto nel Barese: P. Domenico Bruno. 2a ed. a cura del Comitato per le celebrazioni di Cerreto. Cerreto Sannita, Ed. «Democrazia Umanitaria », 1965 (Napoli, Tip. Laurenziana). In 8°, pp. 79, ill.

* Queste opere, con molti articoli apparsi sui quotidiani e periodici, sono consultabi-li nella pubblica biblioteca del Centro di Cultura Popolare « Antonio Simone» di Manfredonia, che custodisce anche un voluminoso carteggio di Don Mastrobuoni relativo alla sua attività pro-Cultura.

167

TESTIMONIANZE PER DON MASTROBUONI

IL RICOSTRUTTORE DELLE CIVILTÀ SEPOLTE.

Per uno dei convegni, promossi dalla Società Dauna di Cultura, nel 1954 AMEDEO MAIURI, venuto in Capitanata, fece un sopralluogo anche nella zona archeologica di Manfredonia, e ne riferì al «Corriere della Sera» (14 ag.) in un articolo dal quale stralciamo questo passo:

A Siponto, naturale porto e sbocco dell'antica Arpi, m'attende, fermo e

mansueto, in tonaca e tricorno, Mastrobuoni. Mastrobuoni è il parrocco, lo scavatore, il maestro della vecchia Siponto

fra le due basiliche di S. Leonardo e di S. Maria di Siponto, poste lungo il vec-chio tratturo pedemontano che circuiva il massiccio del Gargano. Era la via maestra che conduceva alla grotta dell'Arcangelo quando all'Ospizio di S. Leo-nardo sostavano pellegrini e pastori con le loro mandrie.

Mastrobuoni ha la vocazione dello scavatore: dietro la chiesa di S. Maria di Siponto sono i resti d'una basilica paleocristiana inserita entro i muri di un edificio romano con sovrapposizioni e inserzioni da mettere a cimento la più consumata esperienza di un archeologo pagano e cristiano. Da quel luogo sa-cro, fra tombe e fossa della prima comunità cristiana sipontina, proviene una iscrizione dedicatoria a Diana. Mastrobuoni, prete secolare, è animato di eguale reverente fervore per i pavimenti del presbiterio basilicale e per i mosaici del-l'edificio romano; distribuisce cartoline ricordo dello scavo con la stessa com-punzione con cui distribuisce santini ai fedeli della parrocchia. Ma da quando ha ritrovato nei depositi del Museo di Napoli l'iscrizione sipontina di Diana, ha messo in pace la sua coscienza di scavatore e di credente, ristabilendo una paci-fica convivenza fra la Madonna di Siponto e la Diana dell'antico tempio.

Amedeo Maturi

IL PRESIDENTE DELLA « PROVINCIA » DI FOGGIA.

« Celebrare un uomo meritevole ed illustrare un monumento è sempre opera altamente civile: farlo, come nella presente occasione, assume particolare significato, perché si concorre allo sforzo degli intellettuali di Manfredonia, per preservarla dai pericoli della falsa cultura, che va sconvolgendo le linee classi-che della civiltà cristiana, nel velleitario tentativo di sovrapporsi con linguaggio arbitrario e per ciò incomprensibile, con formule capricciose, stridenti con gli stessi assunti canoni comunitari. Don Silvestro, che anche io apprezzai ed amai, è tuttora vivo ed operante nel suo apostolato religioso e civile: ricordarlo con riverenza e fedeltà vale accoglierne la lezione e tramandarla ai giovani, per i quali raccolse e divulgò il magistero di San Filippo e del suo Oratorio. I suoi scritti e San Leonardo sono i monumenti, che ci ha lasciati in pegno dell'amore e dell'azione, per tanti anni rivolti alla nostra Città, sua diletta patria di adozione ».

Berardino Tizzani

168

PER IL RESTAURO DI « SAN LEONARDO » E IL RITORNO DEL SUO CROCIFISSO

1. L'O. D. G. DEGLI « AMICI DI DON MASTROBUONI ».

GLI AMICI DI DON MASTROBUONI che, nel IV annuale della sua morte, partecipano alle manifestazioni « in Memoria », promosse dal Comitato Cittadino per le Onoranze, operante nel promotore Centro di Cultura Popolare e Biblioteca « Antonio Simone »; mentre confermano la loro fedeltà agli ideali, che animarono l'azione pro-cultura di quel Cappellano del Lavoro; compresi della influenza dei monumenti sulla educazione popolare, della esigenza e del dovere di proteggerli, valorizzarli e proporli al rispetto e allo studio; - premesso che:

a cura e spese di un Comitato cittadino, costituitosi intorno a Don Ma-strobuoni, l'antico Crocifisso ligneo di « San Leonardo » fu affidato, per i lavori occorrenti, all'Istituto Centrale del Restauro presso il Ministero della P. I.; que-st'ultimo, per i pregi eccezionali dello sculto, il 1958 ne dotò il Padiglione Vati-cano della Esposizione Universale di Bruxelles e alla sua chiusura, invece di restituirlo all'Ordine dei Frati Minori, cui si appartiene, lo affidò alla Soprinten-denza regionale ai Monumenti e alle Gallerie che tuttora lo detiene; per il bril-lamento di mine e per le piogge, le fabbriche di « San Leonardo » hanno subito notevoli danni, senza che fin’oggi si sia provveduto nemmeno al relativo accer-tamento, escluse, come sono, anche da ogni e qualsiasi intervento per la manu-tenzione ordinaria; - fanno voti perché : da parte degli organi e degli uffici com-petenti si provveda, nel più breve termine possibile, a rimuovere le denunciate inadempienze e deficienze; qualora non si voglia istituire la custodia permanen-te delle fabbriche di « San Leonardo » (Chiesa, Ospizio dei pellegrini), il Croci-fisso sia collocato nella Chiesa di S. Maria delle Grazie, ubicata nel centro stori-co urbano e officiata dai Padri dell'attiguo Convento, che dell'opera d'arte e di culto avrebbero custodia; che tutto il complesso delle antiche fabbriche con-ventuali, attualmente di proprietà privata, sia acquisito al pubblico patrimonio, restaurato e destinato a un'opera sociale.

Manfredonia, 20 giugno 1970

2. L'ADESIONE DELL’A. A. SOGGIORNO E TURISMO.

« In riferimento al voto riflettente le fabbriche di S. Leonardo e la prege-vole opera del Crocifisso, quest'Azienda, sensibile alla tutela ed alla valorizza-zione del patrimonio storico, artistico e culturale della nostra Città, esprime tutto il suo plauso e confida che il voto stesso possa essere accolto dagli organi preposti. Auspica che finalmente possa essere restituito il Cristo e che, acquisite a patrimonio pubblico, possano essere eseguite tutte le opere necessarie alla conservazione delle fabbriche di S. Leonardo ».

Manfredonia, 30 - 6 - 1970.

Il presidente Avv. Antonio Fatone

169

3. LE ASSICURAZIONI DELLA SOPRINTENDENZA.

«Si accusa ricevuta dell'ordine del giorno votato dal Centro di Cultura Popolare «Antonio Simone» in occasione delle onoranze in memoria di Don Silvestro Mastrobuoni e si assicura che saranno presi provvedimenti per la risoluzione del problema del restauro e della salvaguardia della Chiesa e del Convento di S. Leonardo di Siponto. Non appena sarà provveduto nell'ambi-to delle proprie competenze alla risoluzione di tali gravissime questioni, si affronterà il problema della destinazione del Crocifisso ligneo sipontino, sco-perto una quindicina d'anni addietro in un pagliaio abbandonato e restaurato a cura dell'istituto Centrale del Restauro e conservato costà con tutte le cure che l'importanza dell'opera richiede».

Bari, 2 - 9 - 1970.

Il soprintendente Arch. Renato Chiurazzi

Testimonianze d'Arte e di Cultura

IL CROCIFISSO LIGNEO DI S. LEONARDO DI SIPONTO

Col medesimo titolo, « Il Mat-tino » di Napoli ha pubblicato que-sto commento del suo redattore ordinario avv. Daniele Perla.

La strada che da Foggia va verso quel grandioso arco di mare che forma il Golfo di Manfredonia può sembrare a prima vista facile e monotona. E' invece abbastanza insidiosa perché pare e non è rettilinea, con dossi frequenti e con curve da abbordare con molta prudenza; in quanto a monotonia lo spettacolare vela-rio del Gargano la rompe con un tono magico non appena si sente l'odore del-l'Adriatico.

A chi non è pratico di questa strada sfugge quasi certamente un monumentale complesso, già ricco e fiorente nell'XI secolo, che pure è a due passi dalle velo-cissime macchine. E' il monastero di San Leonardo di Lama Volara, detto S. Leonardo di Siponto, con un vastissimo ospizio e una chiesa, il cui portale posto sul fianco sinistro, è un finissimo ricamo dell'arte romanico-pugliese. In un capitel-lo di questa bellissima porta si trova scolpita la figurazione allegorica del pelle-grino al Gargano - un uomo in cammino sull'asinello - nel qua-

le alcuni scrittori per amore di stravagan-za vollero ritrovare la storia di Balaam anziché un semplice viandante medioevale che si va avvicinando al famoso Santua-rio dell'Arcangelo.

Nei miei vagabondaggi estivi lungo le strade della Daunia spesso mi vado rive-dendo quei monumenti che racchiudono ancora tanti splendori di storia meridio-nale: e sempre con lo stesso interesse anche se, il più delle volte, si rimane sconcertati per lo stato di incuria e di abbandono in cui li si ritrova. Solo raramente si vedono operai specializzati che lavorano a re-stauri, come attualmente - dopo tanto penare - si può osservare nella città di Monte S. Angelo per il campanile an-gioino e per la famosa « Tomba di Rotari ».

E' proprio una vera intima gioia, almeno per me e per quanti amano anco-ra le vestigia del passato, vedere gente che si occupa della loro conservazione. E perciò anni fa, nel ritornare al suggestivo complesso di San Leonardo, mi ritrovai commosso al cospetto di una nutrita schiera di operai intenti a risanare l'im-portante monumento, mercé e sotto la tenace spinta di un dotto religioso, il ret-tore don Mastrobuoni.

Ma ben presto quell'intima gioia

171

doveva avvelenarsi per un forte disap-punto all'amore dell'arte!

* * *

Fino a quell'epoca, nell'interno della chiesa di S. Leonardo, vi era un grande Crocifisso ligneo, una opera di alto pregio artistico del XIII secolo, di commovente scultura, che io amavo riguardare sempre con tutto trasporto. Ma quella volta fui presto indignato costatando ogni mancan-za di cura e di precauzione per il prezioso cimelio che era lì abbandonato tra la pol-vere e quasi tutto imbiancato e ricoperto di calcinacci! Frattanto la colazione degli operai aveva reso deserto il luogo e i miei nervi si erano fatti più tesi perché non potevo sfogare e riprendere nessuno. Allora indignatissimo scrissi in fretta sopra un mio biglietto da visita parole di grave rampogna e lo appesi ai piedi del Crocifis-so.

Sono sicuro che dopo quella mia viva-cissima protesta qualcuno dovette aprire gli occhi. Certamente don Mastrobuoni. Egli che era la anima della ricostruzione e re-denzione di S. Leonardo di Siponto dové interessare gli organi competenti e il Mini-stero della P.I. consentì la rimozione del cimelio che fu portato a Roma per gli op-portuni restauri. Non passò molto e quel Crocifisso, un tempo così negletto, veniva inviato ed ammirato alla mostra interna-zionale di Bruxelles. Vi fu chi volle sofi-sticare su quel trasferimento senza il con-senso del rettore di S. Leonardo; ma cer-tamente don Mastrobuoni f u in cuor suo assai contento di tanto lustro per quell'o-pera fino allora

nell'ombra e abbandonata. Non così quando si accorse che non ritornava nella sua chiesa, ma veniva arbitrariamente dirottato a Bari dove ancora oggi si trova in quel castello svevo.

Certamente ci saranno state proteste e sollecitudini da una parte e blandizie di prossima restituzione dall'altra; ma nel frattempo il povero don Mastrobuoni an-dava a protestare per sempre nell'alto dei cieli ai piedi del Salvatore!

Oggi quel complesso monumentale che è la chiesa di S. Leonardo di Siponto è amministrato dall'Ordine dei frati minori di Manfredonia, i quali fanno quello che possono per non far mancare alla chiesa un guardiano e almeno una messa settimana-le.

Nel mese di giugno u.s. su queste stesse colonne f u pubblicato un ordine del giorno che - per iniziativa di quell'unico e vigilan-te organo di opinione pubblica che è il Centro di Cultura Popolare e Biblioteca « A. Simone » - fu votato nell'assemblea degli « amici di don Mastrobuoni » in sede di sua commemorazione. Con esso si chie-deva l'intervento degli organi competenti per la protezione del complesso di S. Leo-nardo, provato recentemente dalle mine fatte esplodere poco lontano per lavori stradali ed esposto a qualsiasi offesa in mancanza di guardia addetta e sollecitava-si anche il Ministero della P.I. a restituire a quei frati il prezioso Crocifisso ligneo.

Con l'intervento del Ministero la So-praintendenza ha rassicurato il Centro Simone e la Curia Arcivescovile e quella monastica che saranno riparati i danni al monumen-

172

io e che nella sistemazione e utilizzazione delle fabbriche conventuali sarà presa la decisione più idonea in ordine al Crocifisso.

* * *

Più che ai francescani, che ammini-strano S. Leonardo, la preziosa opera lignea si appartiene ai cittadini di Man-fredonia - anche se questi, come la maggio-ranza degli Italiani, si mostrano indiffe-renti a simili circostanze culturali - e si appartiene ancora a tutta la Capitanata di cui fa parte il complesso monumentale di S. Leonardo. Anche questi problemi dovrebbero essere sottolineati e manifestar-si e prendere forza in quanto fanno parte di un eccelso patrimonio spirituale e quin-di di quella dialettica

interna dello spirito, senza la quale - dice Benedetto Croce – lo spirito stesso non sarebbe e tutto diventerebbe morto.

Con questo si vuole dire che occorre più amore e più volontà non solo da parte di chi di dovere, ma di ogni cittadino, per imboccare la strada giusta verso la salva-guardia di valori storico-artistici, come verso la tutela di qualsiasi altro bene co-mune.

La risposta della Soprintendenza è al-quanto involuta e non risolve la ormai vecchia questione del Crocifisso che, indi-pendentemente dalla destinazione delle fabbriche conventuali, avrebbe già dovuto essere restituito alla città di Manfredonia e per essa ai francescani amministratori di S. Leonardo di Siponto.

DANIELE PERLA

Umberto Bozzini e il teatro italiano del primo Novecento

Umberto Bozzini è nato a Lucera l'otto luglio 1876 1, ed è stato bat-tezzato pochi giorni dopo. Nasceva da Generoso e da Costanza De Peppo, in un palazzo di Via dei Tribunali Vecchi, che esiste tuttora.

Il padre era un forte oratore e un valente clinico e naturalista 2, che si preoccupò di dare al figlio, anzi ai figli, un'educazione e una istruzione con-formi al loro rango e alle possibilità della famiglia. Proveniva da un antico ceppo di proprietari terrieri, ma bisogna dir subito che sia in lui, sia in molti altri componenti il suo casato, l'interesse per la terra era pari, se non supe-riore, all'amore per la cultura e le professioni liberali. In questo senso, come dice Milone 3, nemmeno il poeta sdegnò la vita dei campi, e anzi ci tenne a far vivere, accanto al suo sogno letterario, le attività pratiche dell'agricoltu-ra.

La madre di Bozzini, Costanza De Peppo, apparteneva, come il mari-to, a cospicua famiglia lucerina. Essa andò sposa a Generoso sui 25 anni 4, e generò il poeta prima di altri due figli 5. Donna buona, ma anche energica, non era incline a tenerezze o smancerie, specialmente verso i figli, di cui anzi aveva cura con vigile calma. Non era colta, non seguiva il marito nelle dotte discussioni che avvenivano in casa. Però tutta la famiglia prosperava sotto di lei, perché aveva insieme una grande forza di volontà e un'ocula-tezza che altri, frequentandola, le avrebbero invidiate. Costanza era religio-sa, e lo fu sempre fino alla morte, avvenuta dopo quella del marito, a ses-sant'anni 6.

1 Cfr. il Registro degli atti di nascita del Comune di Lucera, anno 1876, parte I,

n. 230. 2 « Dottor fisico » è qualificato nell'atto di nascita su ricordato, ma fu anche in-

segnante di Storia naturale al Liceo « Bonghi ». 3 Lucera nobilissima, Firenze, Frattarolo, 1935, pag. 85. 4 Esattamente l'otto maggio 1875. 5 Raffaela Bice, che nacque nel 1877 e Ugo, insigne giurista e autore di opere di

diritto e politica, che vide la luce nel 1879. 6 Il 19 maggio 1910.

174

Naturalmente, istillò questi sentimenti soprattutto in Umberto, e fu lei che avvertì nel figlio il prodursi di una forte e caparbia personalità, con un carattere teso, rigido insieme e flessibile (« aveva un carattere pieno di fermezza e di dolcezza », confermerà in una lettera a M. Capuano la nipote Maria Teresa, datata da Savona il 26 giugno 1970), volto alla fantasia e alla più accesa liberalità.

L'infanzia di Bozzini non ci fa registrare avvenimenti importanti. Ma già dagli anni del ginnasio al Collegio « Bonghi », il ragazzo non è uno come gli altri. Anzi, Maratea ricorda 7 che i compagni se lo additavano e lo guar-davano « col senso reverenziale con cui i ragazzi guardano le personalità superiori ». Non è che il poeta fosse un'arca di scienza, o che brillasse sol-tanto in classe per bontà di voti. Ma c'era in lui, come riferisce anche Pri-gnano 8, quella particolare disposizione a non confondersi con gli altri, e ad assentarsi per « vivere nell'ombra insieme ai suoi sogni ed alle sue creature della fantasia o della storia ». Era un innamorato della cultura, e specialmen-te dei miti, dei cavalieri, dei castelli, dell'armi e degli scontri in campo aper-to, soprattutto se sostenuti da grandi ideali.

A quell'epoca - cioè negli ultimi due o tre decenni del secolo scorso - il Collegio « Bonghi » a Lucera era già un luogo di studio di rinomanza na-zionale, perché, oltre ad avere la guida di presidi e docenti di riconosciuto valore - Gamberale, Augusto Serena, Ferdinando Cristiani, e poi Carlo Pa-scal, Antonio Aliotta, Manara Valgimigli, Ernesto Pontieri ecc. - era una fucina di grandissimi ingegni - lo statista Antonio Salandra, tra gli altri, l'e-conomista Donato Menichella, già governatore della Banca d'Italia, lo scrit-tore Colucci, il giurista Filippo Ungaro, il letterato Francesco Piccolo - che, dopo l'uscita dalle sue aule, salirono a rinomanza più che nazionale.

Bozzini vi compì gli studi fino al liceo. Uno studio regolare, ma direi intenso, in quella che Cicerone aveva definita « una delle più fiorenti città d'Italia », ma che obiettivamente, secondo Piccolo 9, era una città « compo-sita, molto varia, contraddittoria », perché oscillante tra una civiltà agraria o di estrazione artigiana, e un'aspirazione umanistica e prevalentemente giuri-dica, con accensioni politiche e di passioni culturali.

7 A U.B. la città di Lucera, Foggia, Tip. Cappetta, 1959, pag. 46. 8 Op. cit., pag. 14. 9 Op. cit., pag. 18.

175

Tra i suoi maestri all'ateneo lucerino, due soprattutto - Serena e Pa-scal, allora docenti di lettere greche e latine - lo avviarono, e direi lo imbev-vero, di quella cultura classica approfondita che non era soltanto un com-pendio di nozioni e di dati storici, ma che già da allora mirava ad entrare nella formazione culturale e morale dei giovani.

Bozzini assorbì in pieno quel patrimonio d'idee, portatovi da una af-finità, che chiamerei « elettiva ». E c'è da credere che il lungo tirocinio e la meditazione sugli Antichi lo snellissero talmente nella conoscenza della loro vita e dei loro costumi, da consentirgli quelle ricostruzioni storiche, che troveremo, poi, nella sua opera.

L'ambiente era sereno e assai elevato, cioè teso all'allargamento della cultura scolastica, e alla penetrazione sistematica in campi affini. In classe non si badava tanto - almeno fin che vi stettero quegli illustri maestri - alla lezione del giorno o alla versione del momento, quanto al dialogo sulle no-zioni più disparate, anche se scelte e attinte fuori della scuola.

Inoltre, nella prima giovinezza, Bozzini dovette incantarsi alle arringhe in Tribunale di Enrico Ferri e di Pessina, di Francesco Rubichi e di De Nicola - che erano, e rimangono sempre, maestri di eloquenza e di diritto - ma ascoltò in cattedrale anche i sermoni di Padre Agostino da Montefeltro, e scese in campo a fianco di Salandra, quando lo statista, allora giovanissimo, girava i pa-esi della Daunia in cerca di amicizie e clientele politiche. Ma tutto questo non lo travolse, fino ad annullarne la personalità. Al contrario, lo trovò fermo tra dilagare di correnti e lievitazione di idee che ne sollecitarono l'intelligenza e ne esaltarono le iniziative.

Durante quel periodo, lesse pure moltissimo: libri di storia, di mito-logia (ne troveremo gli appunti tra gli inediti, alla Biblioteca di Lucera), di arte e di costume, oltreché di poesia. I primi contatti di letture intense, den-tro e fuori la scuola, andarono ai poeti. Era il tempo, come s'è visto, della riscoperta degli antichi. Ma Bozzini ne proseguirà lo studio fino all'Univer-sità, arricchendolo e completandolo con quello dei moderni.

Piccolo parla di versi « che una sola persona leggeva e che non sono stati mai pubblicati », perché erano « come il segreto e come la silenziosa esperienza d'una personale e delicata poesia di provincia » 10. Probabilmente devono esser diversi da quelli che uscirono postumi nel

10 « Il foglietto », Lucera, a. XXIV, n. 48 del 28 luglio 1921.

176

1921, a cura dello stesso Piccolo e degli amici del poeta 11. Ma servirono, anche se poi andarono perduti, a « documentare il valore dell'opera succes-siva » 12, e a fare di questo ragazzo una precoce e valida « sorpresa » lettera-ria.

Più tardi non gli sfuggirono gli autori di moda: Carducci, Pascoli, e soprattutto D'Annunzio, le cui reminiscenze persistono evidenti nelle sue tragedie. Ma in fondo non amò nessuno, e tanto meno si lasciò abbagliare dall'Immaginifico. Le sue scelte erano già avvenute dentro se stesso, direi « per contatto diretto » e senza stimoli dall'esterno. Tant'è vero che il suo canto si snoderà fresco e originale, in una splendida coesione e concatena-zione di pensieri e di movimenti, da lasciare i critici ammirati e i lettori en-tusiasti.

Bozzini non rinnegherà l'esperienza dei predecessori, e tanto meno quello che lo studio gli ha lasciato impresso. Ma la sua poesia sarà autono-ma, cioè estratta non già dall'ambito delle tradizioni culturali, ma dall'intimo dei suoi sentimenti e dal segreto delle sue ricerche, secondo schemi che coinvolgono sempre i binomi amore-morte e felicità-infelicità. E così, a soli trent'anni, nascerà « Fedra », il capolavoro.

Gli amici d'allora sono pochissimi, ma scoperti e selezionati con vigi-le cura: Carlo Cavalli, Giuseppe Colucci, Gaetano Gifuni, Gabriele Canelli, Eugenio Pitta, Raffaele De Giovane, Michele Longo, Vittorino Nicoletti, Roberto Pastore, Alfonso De Peppo, Matteo Amicarelli. Avvocati, dal pri-mo all'ultimo; e, più che avvocati, oratori e scrittori. Più tardi farà amicizia anche col chirurgo Lastaria, che gli sarà poi sempre vicino nella terribile malattia, col musicista Domenico Dorso, col maestro Silvio Mancini e col giornalista Gaetano Pitta. Amica gli fu pure donna Maria Serena, una donna di rara bellezza e cultura, di cui parlarono con ammirazione i contempora-nei. Non era un mistero che tutta questa gente frequentasse con assiduità la casa del poeta, perché ne conosceva le abitudini e ne amava i componenti. E del resto, proprio in quella casa, pur rispettando le tradizioni, s'accoglie-vano anche i dissidenti, specialmente se anziani e in buona fede.

La laurea gli dette il titolo, ma non certo la sistemazione e l'appaga-mento dei suoi desideri. Bozzini si laureò a Napoli, giovanissimo, e comin-ciò subito a far l'avvocato. Era stato anche il padre a consigliargli quella professione, un po' perché un signore « doveva » avere il

11 « Il foglietto », a. XXIV, n. 77 del 9 novembre 1921. 12 F. PICCOLO, « Il foglietto », a. XXIV, n. 48 del 28 luglio 1921.

177

titolo, e un po' perché gli faceva comodo un uomo di legge. Bozzini non vi si era opposto, a scanso di scrupoli. E anzi, ai primi del secolo, aveva pure acconsentito a una scelta precisa. Esordì in Corte d'Assise, e si fece ammi-rare come una promessa dell'arringo penale 13. E una volta, nel 1903, contro la legge Zanardelli, che minacciava la soppressione del tribunale della sua città, s'alzò addirittura a difenderne l'importanza, nella seduta consiliare del 21 maggio, riscuotendo gli applausi della assemblea. « Lucera illustre per il suo passato... e per la nobile tradizione di palladio della Giustizia - disse con forza - ha il dovere di difendere energicamente i propri diritti... »14. Ma presto lasciò le Pandette, e si diede al teatro.

Perché? Quale insoddisfazione aveva avuta dal Foro? La verità è che gli era entrata nel sangue la cultura classica (più tardi

approfondirà pure il Settecento e il Romanticismo), e vedeva i suoi perso-naggi già vivi sul palcoscenico, certo che nessuno di loro avrebbe mai parla-to in termini sciocchi, ma con voce e inflessioni di voce aderenti al suo temperamento e al suo pensiero.

Già per descrivere la vicenda di Fedra, aveva fatto in silenzio studi precisi: i templi greci, la reggia e i costumi di Atene, al tempo di Teseo e delle Amazzoni. Ma tutto questo non gli bastava ancora, perché aspirava a un dialogo sostenuto, vivo e vibrante senz'esser retorico, da reggere il con-fronto non solo con D'Annunzio, ma addirittura con Euripide, Seneca e Racine.

E così, fin dal primo apparire, « Fedra » fu salutata come una rivela-zione. Non certo per l'argomento, che era vecchio e noto, e più che mai sfruttato in ogni secolo. Ma la tragedia era rivissuta in termini nuovi, e con un'umanità così spinta, da avvicinarla al nostro tempo e renderla, per così dire, di sapore attuale. L'amore, la morte, l'invincibile Fato. Sono tre cose antiche come il mondo. Ma fermatevi al dialogo tra Fedra e Ippolito, alla disperazione di Teseo e ai cori degli amici del giovane principe. E vedrete che la vicenda è una favola « vera », e i sentimenti sono così intensi, da sembrare che appartengano a molti di noi. E poi c'è il turbamento per il ritorno dell'esule, e affiorano i contrasti dell'amore infelice - e gli odii e i clamori, ineluttabili - in mezzo alle vibrazioni degli effetti domestici. E tutto ciò fa anche del poeta un uomo del destino, che non è fuori, ma partecipa al « sentimento del Tempo ».

1 3 MILONE, Op. cit., pag. 81. 14 L'intervento completo è in A U.B. la città di Lucera, pag. 10.

178

Il successo della « Fedra » elettrizzò il poeta, che subito si mise all'o-pera per un nuovo dramma. Questa volta la scelta cadde su Manfredi, e la vicenda, per più ragioni, fu ambientata nel Sud Italia, tra Lucera, Napoli e Benevento.

Anche qua, prima della stesura, furono fatti accurati studi: sulla sto-ria, sui costumi e la toponomastica locale. Bisognerebbe sfogliarli alla Bi-blioteca di Lucera, per convincersi dell'importanza di questo lavoro prepa-ratorio.

Comunque, neanche il « Manfredi » è nato per seguire il gusto dell'e-poca, nè dal miraggio di drammatizzare i fatti accaduti, e tanto meno per il bisogno di romanzarli. Esso era - e continua ad essere - un'altra favola « vera », dove l'amore e l'intrigo si mescolano ai fatti d'arme, e dove la vicen-da è priva di fermenti ideologici e culturali, a vantaggio del sentimento e del movimento scenico.

Bozzini aveva incominciato a scriverlo nel 1909. Ma già nel marzo 1910 la trama era a buon punto, e nell'aprile dello stesso anno era quasi finita 15. Il poeta si « affaticava all'opera novella » 16, pervaso da una febbre che non gli dava tregua, e che gli lasciava solo a tratti il tempo di riposare. « Erano amori... amori corrisposti che non avevano barriere », si potrebbe dire con Ungaretti. Perché un erotismo furente travolge i protagonisti, i quali non vedono più nè cielo nè terra, e tutto ha un identico, uniforme colore. C'è la morte di Manfredi, il pezzo da antologia che lascia ammirati. Ci sono gli occhi e il corpo di lei, dell'amante-sorella. Occhi e corpo che mi sembra di conoscere, atti e movimenti che credo di aver visti - non so quando, non so dove - tanto sono vivi e d'immediata suggestione. Ma poi scompaiono, e uno li ritrova in sogno, quando meno se l'aspetta.

Tre anni dopo, nel 1914, si rappresentava a Torino « Il cuore di Ro-saura », un capriccio comico di ambiente veneziano. Tre anni non sono troppi per un pugliese, che vuol frugare nell'anima e nella vita della Venezia settecentesca. Anche questa una favola « vera », ma quanto diversa dalle sorelle precedenti! Adesso la scena è nel cuore della città, tra le dame e i damerini di un secolo frivolo, sotto lo sguardo di palazzi fastosi e di gondo-le leggere, in un'incantevole atmosfera di merletti e di canti. Com'abbia fat-to il poeta a trasferirsi lassù anima e corpo, è un mistero che solo l'arte può riuscire a spiegare.

15 Lettera di B. al prof. Checchia del 9-4-1910, inedita. 16 Lettera di B. allo stesso Checchia del 21-3-1910, pure inedita (Biblioteca di

Lucera).

179

« La Serenissima invecchia, come una cortigiana che fu regina... »: co-sì il principio del primo atto. E subito ecco una bettola - una « malvasia », come dicevano, allora, i veneziani - e la compagnia dei comici della « Truf-faldino », e una vicenda che finirà in casa del Procuratore di S. Marco.

Dalla tragedia allo scherzo, e dal poema alla commedia galante? La verità è che Bozzini è un uomo molteplice. Non un poeta, o meglio non soltanto un poeta lirico, ma uno che trova il dialogo dove meno te l'aspetti, e lo mette in bocca a persone d'ogni ceto, con una freschezza e spontaneità da lasciare ammirati. Ed ecco che, se Fedra parlava come una dea, e se Manfredi aveva in bocca le parole dell'eroe, questa Rosaura leggiadrissima ha le grazie e i difetti della cortigiana. Sul suo conto non c'è molto da dire, se non quello che tutti noi pensiamo e diciamo delle donne di mondo. Ma alla fine una commedia non si regge solo per questo, e Rosaura non si ri-corderebbe, se Bozzini non l'avesse sbalzata con la penna di Goldoni e il pennello di Tiepolo.

Bisogna aggiungere che a Torino si replicò per duecento sere? E che i critici furono concordi nel riconoscerne i pregi? E che il lavoro è sempre valido, ancora adesso?

Rosaura fa ancora parte di una stagione di violenza, e nello stesso tempo chiude un'epoca nella sua fralezza. In lei, come in qualsiasi altra donna che le rassomigli, c'è il tormento appena avvertito di chi non riesce a vivere il proprio sogno d'innocenza, e per questo stenta a scrollarsi la « per-secuzione » della memoria.

Ma non basta. C'è un altro dramma del 1915, quella « Georgica » che fu rappresentata a Roma solo alla fine della prima guerra mondiale, e che il poeta lasciò inedita tra le sue carte.

Per la prima volta un atto in prosa, ma non per questo meno valido per novità di concezione e potenza drammatica. Si ritorna al Tavoliere, con nostalgia. Con rabbia, direi, e quasi con gusto, per trarre da quell'ambiente la vicenda di un amore tra fratello e sorella. L'incesto è solo il pretesto per un dramma rusticano, ma i colori e il dialogo sono di una vitalità così acce-sa, che non si fa in tempo a tirare il fiato, e tutto crolla in uno scenario ter-ribilmente cupo. Rosina, Tore, lo stesso fattore: ecco le pedine di un desti-no tremendo, i tre aspetti di una realtà sconvolgente e patetica.

Forse il poeta aveva preso l'avvio da qualche fatto realmente accadu-to. Forse nella campagna dauna, allora come adesso, l'amore signi-

180

ficava tormento dell'anima, e insieme presentimento d'imprevedibili calami-tà, perché vi interferivano distorsioni e preconcetti infiniti.

Fatto sta che la rappresentazione corre all'epilogo, o meglio vi si pie-ga con un'oscura ineluttabilità, e nessuno è in grado di poterla modificare.

Eppure il suo teatro non è tutto qua. Tra il 1913 e il 1918, Bozzini scrisse ancora una commedia e due drammi. La prima, « Trapezio volante » è una vicenda giallorosa garbata e piacevole, che non fu mai rappresentata ed è rimasta inedita. « Croce rossa » è il dramma d'un uomo che muore ar-rabbiato, mentre di « Rasputin » non rimangono che due sole scene, con trama e personaggi completamente diversi.

Ad essi il poeta non potè dare l'ultima mano, come documentano gli autografi della Biblioteca lucerina, spesso confusi e maldecifrabili. Ma è cer-to che, se li avesse finiti, avrebbero significato un superamento della sua arte - non foss'altro che per il dialogo e per la più attenta e progredita espe-rienza scenica - e comunque un passo avanti nel suo magistero drammatico.

Parallelamente, e proprio in quegli anni, questo suo amore per il tea-tro lo spinse a seguirne le vicende in Italia. Tant'è vero che mandò ai gior-nali una serie d'articoli, per sollecitarne il rinnovamento e chiedere senza mezzi termini l'intervento dello Stato. Era convinto che si dovesse far largo agli autori italiani, e che tra gli stranieri si dovesse dar credito solo ai grandi, o almeno a quelli che avevano realmente qualcosa da dire, e non fossero, come stava accadendo, dei funamboli esibizionisti.

Era d'accordo con Oliva sull'avvento di un teatro in versi, o meglio di un teatro di « poesia », che balzasse dalla fantasia del poeta, commosso soltanto dalla propria ispirazione, e fosse vibrante e pieno di lirismo, mo-dellato e vivo in ogni sua parte 17. Ma aveva pensieri e attenzioni anche per la guerra.

Nel marzo del 1918 scrisse un articolo per « Gli aspiranti » 18, cioè per i ragazzi del '99, che erano partiti per il fronte nel novembre preceden-te, « con la divina goffaggine della puerizia ». Eppure lui non riusciva e ve-derli che « sub specie aeternitatis », dopo averli seguiti nelle piazze d'armi, nei maneggi e nei poligoni, e predicendone, profeticamente, il ritorno vitto-rioso.

17 « Il giornale d'Italia », Roma, a. XVII (1917), 29 maggio. 18 « Il giornale d'Italia », a. XVIII (1918), 19 marzo.

181

A giugno, ancora sulla guerra, scrisse i sonetti di « Plenilunio » - tre visioni rapidissime dell'immenso conflitto - che purtroppo non furono se-guiti da alcun altro scritto.

Milone ci lascia capire che ritornò alla terra, perché la sua tenuta ave-va bisogno di chi la reggesse e la portasse avanti, e perché non ebbe, mate-rialmente, che scarso utile dall'arte sua 19.

Ma, a parte la banalità di queste ragioni - forse non degne del poeta, ancora giovane e ricco - io sono convinta che, se Bozzini sparì dalla scena, fu solo perché il male incominciava a sfiorarlo, e lui stava diventando - o credeva di dover diventare - « un uomo di pena ».

Eppure, da giovane, era stato un « dandy »: fine, curato, la persona elegante, e con un'aria da ricco signore sempre in vacanza, che qualcuno gli invidiava, ma che piaceva alle donne. La mattina usciva a cavallo, con guan-ti e frustino, e, prima d'allontanarsi per la campagna, attraversava le vie del centro e poi la « villa » a uno dei margini della città.

Una volta, per spavalderia, guidò il cavallo sui marciapiedi, tra lo sgo-mento di qualche osservatore che non gli risparmiò il suo sdegno. Bozzini non cambiò idea e rispose a tono. Stava per nascerne una sfida a duello, quando gli amici s'interposero, e la cosa finì lì con soddisfazione di tutti.

La sera, al circolo, bisognava ascoltarlo. Non s'alzava e non s'agitava per mettersi in mostra. Ma, specie se sollecitato, parlava con disinvoltura e finissimo garbo, accompagnando con un sorriso le frasi ad effetto. « Poteva passare per un elegante signore di provincia » - osserva Piccolo 20 - « ben vestito e buon parlatore, avvocato più per sport che per vocazione e cono-scenza di leggi. Era invece un elegante studioso che alternava una cavalcata con una lettura, una conversazione mondana con una conversazione intel-lettuale, nella quale... portava la nota squisita del suo ingegno e del suo gu-sto ». Ma in fondo, nonostante tutto, non era e non appariva che un signore guardingo, che non consentiva troppo facilmente familiarità rumorose 21.

Una volta, in treno, si trovò a viaggiare con Girardengo. Erano soli nello scompartimento di prima classe, e il grande campione si struggeva dal desiderio d'attaccare discorso. Bozzini non gli badava e

19 Op. cit., pag. 85. 20 « II foglietto », a. XXIV (1921) n. 48 del 28 luglio. 21 MILONE, Op. cit., pag. 86.

182

non lo guardava, perché forse in quel momento stava pensando ad altro. Allora Girardengo si presentò da solo, e aspettava che il poeta si compli-mentasse con lui. Ma Bozzini disse solo: - Mai sentito nominare!

Superbia? Distacco? Forse il poeta aveva voluto « colpire » in quel-l'uomo celebre non tanto la notorietà - alla quale pure aveva diritto per i propri meriti - quanto l'orgoglio di sentirsi qualcuno, e la pretesa di veder « tutti » magnificarne le imprese. O ha ragione Salvatori, quando dice che in Bozzini la gentilezza era natura, ma allontanava, quasi, dalle faccende quo-tidiane, in cui si consuma la nostra giornata 22.

Inoltre è vero che aveva nel fisico due cose belle: il pallore e l'occhio « nero, immenso, scintillante d'uno splendore straordinario » 23: due cose che ci dispensano da molti discorsi.

Il declino cominciò presto, e andò accentuandosi fino alla morte. Dal 22 aprile 1920 si può dire, col figlio Franco, che non ebbe più pace, e dal novembre non riuscì più nemmeno ad alzarsi 24.

Non gli sfuggiva che la sua vita era a una svolta. E così pure il suo carattere, che prima era « forte, dominante, volitivo » 25, adesso ripiegava su tenerezze impensate, e spesso si faceva portare una vecchia Bibbia.

Partenze, riunioni, cavalcate mattutine: le rivedeva come in una neb-bia, nella quale erano pure avvolti quelle sue uscite in società, le luci della ribalta e i balli a Corte.

Non c'era un giorno che non soffrisse, e voleva distrarsi. Negli ultimi tempi venivano a trovarlo Alfredo Petrucci, Giambattista Gifuni, Mario Prignano e Francesco Piccolo, allora giovanissimi e laureati da poco. Picco-lo soprattutto non lo lasciava mai, e del resto era il poeta che lo mandava a chiamare, per fare quattro passi fino alla villa 26. Naturalmente si parlava di teatro, d'arte, di letteratura e d'altre cose. Della guerra, per esempio, e degli amici morti.

La città, in quel dopoguerra, era ancora un po' sbilanciata, perché non tutti gli uomini validi erano tornati dal fronte, e i vecchi non avevano voce per tentare un ordine nuovo. Rimanevano invece le « implacate

22 « Il foglietto », a. XXIV (1921) n. 77 del 9 novembre. 23 Così il figlio Franco, in una specie di diario pubblicato ne « Il foglietto »,

a. XXIV (1921) n. 77 del 9 novembre. 24 Diario del figlio Franco, ibid. 25 Lettera citata della nipote Maria Teresa. 26 Op. cit., pag. 42.

183

ire di parte, i duri contrasti, la selvaggia tenacia delle opinioni e degli uomini » 27.

Rimase lucido e consapevole fino al maggio 1921, ma col rammarico di non poter finire l'opera iniziata 28. E poi, per altri due mesi, l'incoscienza e il delirio 29.

La morte lo stroncò sul tardi, in un momento del pomeriggio, che l'a-fa stagnava ancora sul Tavoliere, il 23 luglio 1921. E il lutto gettò nel disa-gio quella sua città « così curiosa, così sconcertante, così contradditoria » 30.

* * *

Io non ho conosciuto, da vivo, il poeta Bozzini. Ma, dopo l'amicizia

coi familiari - che mi hanno dato suggerimenti e notizie preziosi - e in se-guito all'approfondimento della sua opera, credo di poter dire su di lui al-cune cose non dette da altri.

La prima è che Bozzini, nonostante tre o quattro scritti puramente letterari - un racconto, una conferenza e un soggetto cinematografico 31 - va considerato in modo precipuo come un uomo di teatro. E non tanto perché ha scritto drammi e commedie di successo, quanto per il fatto che di teatro si è interessato per tutta la vita, seguendone le vicende in Italia e fuori, e proponendo le sue ricette quando lo vedeva, o credeva, malato.

Per lui il teatro era una delle forme più elevate della civiltà, e un « do-cumento » insostituibile della vita del popolo. In esso questa vita si riflette come in uno specchio, coi costumi, i sentimenti e la mentalità della stirpe, se non proprio, addirittura, dell'intera età 32.

Ma Bozzini lo vedeva pure sotto gli altri aspetti - artistici, politici e amministrativi - necessari alla sua affermazione e al suo sviluppo, e sotto l'influenza e interdipendenza tra autore e pubblico.

Si parte - scriveva il poeta 33 - dall'opera teatrale, la quale, per ottene-re la sua « traduzione pratica », ha bisogno del capocomico, della compa-gnia, dei costumi, del palcoscenico e del pubblico, cioè di quel

27 « II giornale d'Italia », a. XVIII (1918), 19 marzo. 28 Lettera citata della nipote Maria Teresa. 29 Diario del figlio Franco, più volte citato. , 30 PICCOLO, Op. cit., pag. 23. 31 Ritmo antico, Kipling e La vittoria di Amore. 32 U. BOZZINI, Politica drammatica, « Il giornale d'Italia », Roma, a. XIV, n. del

7 marzo 1914. 33 U. BOZZINI, Op. cit., ibid.

184

gruppo di fattori essenziali, che non sempre si riesce a trovare, per difficol-tà di tempo, di luogo e di circostanze. E infatti il pubblico - per citare sol-tanto il fattore primo - non sempre è ben disposto a sostenere l'opera scel-ta, e qualche volta, per ragioni che sfuggono, non vi è disposto affatto. In-comprensione? Mancanza d'interesse? O semplicemente assenteismo e in-differenza? Non è facile stabilirlo con esattezza. Ma sarebbe facile, secondo Bozzini, rimediarvi con efficacia, chiedendo allo Stato il suo intervento, perché lo Stato è il « fulcro del meccanismo », e può agire coi suoi mezzi finanziari, con la forza della sua tradizione e con la suggestione del suo ap-parato, anche esteriore, mandando le sue personalità ad assistere alle « pri-me ».

Dunque, intervento dello Stato, « indispensabile e doveroso ». Ma non - si badi bene - teatro di Stato.

Sono parole che, ad esser sinceri, erano state dette anche da altri, e che in Francia, per esempio - per riferirci alla nazione modello dei nostri impresari - avevano già avuto attuazione pratica, con risultati concreti e ap-prezzabili. Ma l'originalità di Bozzini è tutta in quel suo sforzo, di far vivere anche da noi il teatro drammatico, di assicurargli nel tempo i mezzi adatti, e di farne una creatura sana, destinata a crescere.

Basta pensare, prima di tutto, alla sua origine, e all'importanza che da sempre ha avuta nel mondo. In Grecia la tragedia era nata tra l'emozione e l'ammirazione dei suoi abitanti, che accorrevano a rievocare le proprie ori-gini sacre. Ma presto anche le altre nazioni ebbero il teatro che aspettavano, ciascuna secondo criteri e abitudini proprie, fino alla Francia, dove la scena di prosa ha ancora adesso un'importanza enorme, e dove la produzione tea-trale segue in pieno il ritmo della vita.

Quanto a lui, Bozzini si è sempre adoperato per realizzare questi concetti, e specialmente per essere coerente con le proprie idee. E infatti ha esordito con un dramma mitico, ha proseguito con una serie di opere, am-bientate via via in epoche differenti - Medioevo, Settecento, Età moderna e contemporanea - per finire con un dramma forte, di cui purtroppo non ab-biamo che abbozzi, ma che prepara e affretta i nuovi tempi. E' il « Rasputin » - o meglio, le scene che vanno sotto quel nome - la cui seconda parte è agitata da un vento così travolgente, da confondersi, in pratica, con la rivo-luzione 34.

Eppure il poeta non si batteva solo per questo, perché aveva at- 34 Cfr. il manoscritto alla Biblioteca di Lucera.

185

tenzioni anche per il teatro in versi - il teatro « di poesia », come lo chiama-va lui - al quale non chiedeva tanto successo di critica e di cassetta, quanto sceltezza e validità di opere serie. Il soggetto non ha importanza - conti-nuava. Ma si capisce che Bozzini è per il dramma storico, l'unico, a ragion veduta, capace di differenziarsi dal teatro borghese.

Come autore, Bozzini sta fra D'Annunzio e Benelli - non per niente la « Fedra » dannunziana e « La cena delle beffe » sono entrambe del 1909 - cioè appartiene storicamente a uno dei periodi di transizione della vita tea-trale italiana. Infatti, al principio del secolo, il nostro teatro è ancora tribu-tario di quello francese, e anche, sotto molti aspetti, di quello ibseniano. Basti pensare, per fare qualche esempio, a tutta l'opera di Bracco, che agita continuamente chiusi drammi interiori, appena venati - come nel « Piccolo santo » - da un inconsapevole riflesso psicanalitico. Ma già s'avverte come una sazietà per la tradizionale commedia borghese - « interiormente pigra e dilettantesca » 35 - mentre affiorano e si fanno strada le nuove inquietudini spirituali.

Non siamo ancora al teatro grottesco, e tanto meno al relativismo pi-randelliano. Eppure, anche senza indulgere ai motivi che saranno propri di quel teatro, si sente quasi il bisogno di uscire dall'antico, e di percorrere, per contrasto, itinerari meno abusati. E così, accanto ai simboli di taluni autori 36, molti riprendono i vecchi miti - Morselli, Benelli, e lo stesso D'Annun-zio - o riportano sulla scena i personaggi storici, per riproporli da punti di vista prevalentemente psicologici.

Bozzini non fa eccezione, e si adegua ai tempi: almeno in apparenza e sotto l'aspetto formale. Ma la sua preparazione è così vasta e le sue scelte così felici, che i miti gli si trasformano in favole « vere », e gli eroi in esasperate crea-ture moderne. Nelle sue mani i fatti storici diventano materia di poesia, e i suoi protagonisti si guardano nell'anima, e parlano e agiscono sotto la spinta di sen-timenti propri, o dietro l'urto di violente e contrastanti passioni. Se sbagliano, pagano di persona; e se riescono, lo devono solo alle proprie forze, senza l'aiu-to o l'interferenza di fattori estranei.

Mancano i simboli, le antitesi e i cerebralismi filosofici. Non ci 35 M. SANSONE, Storia della letteratura italiana, Milano, Principato, 1966, pag.

596. 36 Per es. Rosso di San Secondo, per cui vedi: D'Amico, Storia del teatro dramma-

tico, Milano, Garzanti, 1958, IV, pag. 200.

186

sono rapporti, nemmeno velati, tra il cosciente e il subcosciente, tra il con-sapevole e l'ignoto, e tra apparenza e realtà. Ma gli uomini sono tali, con tutta la gamma dei propri impulsi mutevole e varia, alla quale nessuno ri-nunzia per darsi in braccio alla finzione, e le donne sono figure ardenti - popolane o regine, a seconda dei casi - dominate da imprevedibili reazioni emotive, e mal disposte ad accomodamenti insinceri e fittizi.

Bozzini non cerca mai la maschera e il volto. E, se segue con atten-zione il giuoco delle parti, è per il gusto d'andare a scoprire il loro pensiero dominante - d'amore, di colpa, di vendetta - che determina l'azione scenica e giustifica il finale.

Il suo teatro è solo in parte collegato ai contemporanei, nel senso che - come in altri autori del primo Novecento - prende il mito, o il fatto stori-co, come punto d'avvio, mentre poi si sviluppa in una dimensione diversa, secondo piani che non escono mai da un personalissimo e originale disegno unitario, con tipi e caratteri di forte rilievo, e un tono drammatico d'alto livello.

Bozzini dovrà entrare nella storia del teatro, non solo perché è uscito dai soliti schemi rappresentativi tradizionali e per la novità dei suoi interes-si, ma anche e soprattutto perché vi ha portato la sua sofferta sensibilità umana.

Il suo dialogo ha ambizioni di stile, specialmente nelle opere in versi,

in cui è possibile trovare ancora echi di lirismo e di grandezza. Ma si fa nu-do e disteso nelle opere in prosa, uscite tutte dal travaglio della sua routine quotidiana.

Questo dialogo non è mai forzato, nè si compiace di rievocazioni e allusioni intellettuali, nè mira in alcun modo alla ricerca degli effetti. Esso nasce dal tema, come uno zampillo dalla fonte, e poi aderisce alla vicenda drammatica senza impennate o divagazioni. Accade spesso di trovarvi in mezzo sfumature ed incrinature del sentimento, e qualche volta insospettate sottigliezze dialettiche, ma non si può dire che sia mai torbido, o astruso e pesante da stancare il lettore.

Come il dialogo, la lingua è articolata e viva. Non si esagera quando si dice che la conoscenza dei classici e delle letterature straniere ha portato il poeta a un modo di scrivere personale ed efficiente, in cui la parola è an-cora in parte legata all'antico, ma sa adattarsi con naturalezza alle esigenze d'oggi.

Bozzini è uno studioso di attente ricerche, ed estrae i suoi perso-

187

naggi da un fondo palpitante di sorvegliata cultura, allo stesso modo che gli sviluppi dell'azione scenica nascono dal vivo della trama e dello spettacolo, e mai dal desiderio di stupire il pubblico, o di costringerlo a una suspense fine a se stessa.

In lui anche la regia è senza malizia, e nella pagina si comporta come a teatro, con acutezza, controllo e sincerità, quando non s'affida a particola-ri innovazioni tecniche.

In definitiva, un teatro valido, tutto disteso tra linee semplici e libero da incrostazioni intellettualistiche, che mira sempre, attraverso un consuma-to gusto stilistico, a un giuoco di situazioni e azioni drammatiche, la cui pretesa è di scoprire i sentimenti degli uomini, e specialmente di seguirne gli sviluppi molteplici.

Un teatro che va riproposto all'attenzione degl'italiani.

SILVANA CAPUANO

Medaglia d'oro della "Provincia„ dauna ai Consiglieri Regionali

Un legame saldo e profondo, una feconda e operosa collaborazione, tra i consiglieri regionali recentemente eletti e le popolazioni dell'intera Capitanata. Il valore di questo legame, l'esigenza di questa collaborazione, sono stati posti in rilievo dal presidente dell'Amministrazione provinciale, avv. Berardino Tiz-zani, nel corso di una semplice ma solenne cerimonia con cui, nel salone di Palazzo Dogana, la Provincia ha voluto riunire tutti i neo-consiglieri regionali e consegnar loro medaglie d'oro.

Dopo aver sottolineate l'importanza e la validità dell'istituto regionale, il presidente Tizzani ha ricordato le numerose iniziative con cui la Provincia, an-che in settori non di sua stretta competenza, ha voluto dare il suo contributo alla crescita dell'intera Capitanata. Nell'Amministrazione provinciale - ha pro-seguito - hanno trovato appoggio, e ospitalità per le riunioni dei comitati d'agi-tazione, anche le popolazioni del Subappennino impegnate nelle rivendicazioni per il metano; la Provincia mette ora a disposizione i suoi uffici, i suoi mezzi e il suo apparato per agevolare e sostenere il lavoro dei consiglieri regionali. Tiz-zani ha concluso ponendo in risalto il compito impegnativo che attende i neo-eletti, e ricordando il contributo dato, nella competizione elettorale, da tutti i candidati.

Il prefetto, dott. Michele Di Caprio, ha quindi consegnato le medaglie d'oro ai consiglieri regionali, che, com'è noto, per la Capitanata sono undici: Aurelio Andretta, Raffaele Augelli, Pasquale Ciuffreda, Gabriele Consiglio, An-tonio Grosso, Pasquale Panìco, Giuseppe Papa, Antonio Piacquadio, Domeni-co Romano, Angelo Rossi e Nicola Di Stefano.

Nell'Unione delle Provincie pugliesi eletto presidente l'avv.to Tizzoni

L'avv. Berardino Tizzani, presidente dell'Amministrazione provinciale di

Foggia, è stato eletto dal consiglio direttivo, all'unanimità, presidente dell'Unio-ne regionale delle Provincie pugliesi.

Prima dell'elezione, l'uscente, avv. Palma, ha svolto una relazione sull'at-tività dell'Unione durante il periodo della sua presidenza, dal maggio del 1965, dopo quella dei suoi predecessori avv. Vincenzo Angelini De Miccolis, sen. Antonio Perrino, avv. Vincenzo Vergine e prof. Matteo Fantasia. In par-

189

MANIFESTAZIONI REGIONALI

ticolare ha ricordato i principali argomenti trattati dagli organi dell'Unione: il problema autostradale della regione, quello della caccia nel Mezzogiorno, la assistenza agli anziani in Puglia, l'esame del 1° schema regionale di programma-zione, i problemi dell'assistenza psichiatrica, i rami secchi ferroviari nella regio-ne e la viabilità minore, i comprensori turistici anche in relazione al progetto della « grande spiaggia d'Europa », l'approvvigionamento idrico della Puglia, le funzioni delle Amministrazioni provinciali nell'ordinamento regionale.

A questo proposito ha affermato che, pur in presenza della costituzione dell'Ente Regione, l'Unione regionale delle Province pugliesi ha da svolgere un proprio ruolo originale, di cui si farà patrocinatore anche in seno agli organi della Regione.

Il prof. Fantasia si è associato alle espressioni di augurio dell'avv. Palma, sottolineando lo spirito di fraternità che ha sempre improntato il lavoro del Comitato direttivo. Anch'egli ha sostenuto che l'Unione, che ha trattato tutti i temi di interesse provinciale e regionale, ha ancora molto da dire,

L'avv. Tizzani, dopo la sua elezione a presidente, ha ringraziato l'avv. Palma, il prof. Fantasia, il prof. Egidio Grasso e l'avv. Franco Muschio Schia-vone, colleghi del Direttivo, ed ha affermato che la Regione, sia sul piano stori-co, sia su quello logico ed umano è nata per crescita naturale della Provincia. Ciò risulta, ha detto, anche dal fatto che le Amministrazioni provinciali hanno mandato alla Regione gli uomini migliori, i quali, già nei Consigli provinciali, hanno maturato lunga esperienza di amministrazione della cosa pubblica.

Ha quindi sostenuto che la Unione ha valide ragioni per continuare nella sua attività anche e proprio in presenza dell'Ente Regione, poiché costituisce una sostanziale partecipazione delle volontà delle periferie con l'Ente Regiona-le, il quale si vitalizzerà proprio attraverso la crescita ed il potenziamento degli enti locali minori. Questi indirizzi sul futuro ruolo dell'Unione regionale delle Provincie pugliesi, ove verranno confermati dall'Assemblea della stessa Unione, acquisteranno un particolare significato, stabilendo validi apporti per la solu-zione dei problemi generali della Puglia.

L'avv. Tizzani ha concluso augurando, nel ricordo dello scomparso pre-sidente prof. Nicola Lazzaro, che il Direttivo dell'Unione continui a lavorare con quella fraternità di intenti che ha caratterizzato il periodo della precedente presidenza. Infine ha offerto all'avv. Palma una medaglia d'oro ricordo a testi-monianza dei sentimenti dei colleghi del Direttivo per l'apprezzato impegno di lavoro svolto nella carica di presidente dell'Unione.

L'avv. Berardino Tizzani ha 47 anni ed è presidente dell'Amministrazio-ne provinciale di Foggia. Nato a Manfredonia il 18 gennaio 1923, si è laureato in Giurisprudenza all'Università di Bari nel marzo 1947, ha prestato servizio nella Marina militare come ufficiale ed è stato presidente diocesano della Fuci e dei Laureati cattolici. Consigliere comunale e assessore ai LL. PP. dal 1949 al 1952, è consigliere provinciale dal 1952. E' stato presidente dell'Istituto auto-nomo case popolari di Foggia dal 1957 al 1966, quando fu eletto presidente della Provincia di Foggia.

(da « La Gazzetta del Mezzogiorno »

di Bari del 30-6-1970)

190

Il XXV annuale della Liberazione a Foggia

L'anniversario della Liberazione, ricordata ad ogni scadenza dalla Muni-cipalità e dalle Associazioni, che s'ispirano alla Resistenza, ha avuto più pre-gnante celebrazione nel 25° annuale del fausto evento. Vi ha contribuito preva-lentemente l'iniziativa dell'Associazione Nazionale ex Internati, presieduta dal sen. prof. Paride Piasenti, con la «Mostra della Resistenza nei lager nazisti», inaugurata a Roma per l'occasione e trasferita a Foggia, sede della Federazione provinciale, animata dal suo presidente prof. Elio de Francesco.

Oltre i manifesti, le bandiere e le corone, che in simili circostanze con-fermano lo spirito nuovo della Città, il 25 aprile di quest'anno è stato così carat-terizzato.

Al mattino, nel teatro civico « Umberto Giordano », dopo il saluto del prof. De Francesco e la lettura dei telegrammi di adesione, hanno parlato il sindaco prof. avv. Vittorio Salvatori - del quale si pubblica il discorso in questo medesimo fascicolo - il sen. Pagni e un rappresentante della locale Associazio-ne Partigiani. Quindi si è proceduto alla consegna di diplomi ad alcuni ex inter-nati.

Nel pomeriggio, al Palazzetto Municipale, sede della Società Dauna di Cultura, le Autorità hanno inaugurato la su detta Mostra documentaria, che ha visibilmente impressionato per la sapiente scelta del materiale e per l'accento che gli oratori hanno saputo dare alla sua presentazione. Lo stesso prof. De Francesco è stato l'efficace « introduttore » di quest'altra manifestazione, al cui successo ha contribuito con una lezione il prof. Vittorio Giuntella, consigliere naz. dell'Associazione ex Internati in Germania e docente di storia dell'Illumi-nismo presso l'Università di Roma.

A documentare la fervida giornata anniversaria, con il patrocinio del Comune Capoluogo, è quindi intervenuto in degna veste, ricca di illustrazioni, un opuscolo curato dalla Federazione prov.le dell'A.N.E.I., che vorremmo sa-pere diffuso largamente nelle scuole, dove su la Resistenza e la Liberazione si continua ad avere notizie insufficienti a formare l'anima nuova della Patria.

(da « La Gazzetta del Mezzogiorno »

di Bari, 26-4-70)

191

VITA COMUNALE

... e a Manfredonia

Per la celebrazione dello storico avvenimento, assunta quest'anno a for-ma ufficiale, l'Amministrazione civica ha guidato un corteo di rappresentanti e di popolo al Parco della Rimbranza dove, presso il monumento ai Caduti, ha parlato il sindaco geom. D'Andrea. Inoltre si sono svolte attività in alcune sedi politiche e culturali. Fra queste ultime, il Centro di Cultura Popolare e Bibliote-ca «Antonio Simone» ha notificato un programma di iniziative degne di plauso e d'incoraggiamento. Leggiamo nel manifestino diramato per l'occasione: « Manfredonia non può rimanere estranea al rinnovato fervore di rivalutazione degli ideali della Resistenza e di tesorizzazione dei suoi frutti, fin troppo dispersi. An-ch'essa, infatti, dopo aver dato valido contributo al patrio Riisorgimento, speri-mentò le furie della guerra e del terrore tedesco, pagando a caro prezzo il suo sen-timento d'amore e la sua volontà di pace e di lavoro, le sue aspirazioni di giusti-zia e di libertà. Per questo, la sua partecipazione all'iniziativa nazionale, oltre che doverosa adesione, vuol essere testimonianza di consapevolezza civica e pegno di fedeltà ai valori della Repubblica, così come furono serviti dalla insurrezione popolare e, purtroppo, traditi dagli Alleati e dai Badogliani di Salerno ».

Nella stessa giornata, presso la Biblioteca autonoma del Centro il prof. avv. Giuseppe Gatta, antifascista di sempre, ha testimoniato della fede negli ideali, che al di sopra di schemi dottrinari e di interessi contingenti, fecero ma-turare la Liberazione, che va intesa non soltanto politicamente, ma anche mo-ralmente.

Quindi si è proiettato il film « Roma, città aperta » per la regia di Rossel-lini e la interpretazione di Fabrizi.

Nelle altre sale del Centro è stata allestita una esposizione del suo cospi-cuo fondo su « Resistenza e Liberazione » comprendente libri, opuscoli e pe-riodici, autografi e materiale illustrativo. Nel quadro delle stesse celebrazioni; il Centro svolge un Corso di Educazione Civica, concesso dal M.ro della P. I. Eccone il programma: L'educazione civica: premessa di consapevolezza familiare per l'educazione dei figli; Dai primi gruppi sociali allo Stato moderno; Varie forme di governo; L'uomo e il cittadino in rapporto alle forme di governo; lo Stato italiano dai Normanni ad oggi, con riguardo particolare alle province meridionali; Dalla Resistenza alla Repubblica; La Costituzione repubblicana; Il Comune, La Provincia e la Regione; Gli Stati Uniti d'Europa.

(da « Progresso Dauno » di Foggia, 2-5-70)

Rassegna di vit

Direttore: dott. Angelo C

Direttore

Direzione tecnica di Mar

Autorizzazioni del TribuRegistrazione presso la

la Capitanata a e di studi della Provincia di Foggia

eluzza, direttore della Biblioteca Provinciale.

responsabile: m° Mario Taronna

io Simone - Tipografia Laurenziana - Napoli

nale di Foggia 6 giugno 1962 e 16 aprile 1963 Cancelleria del Tribunale di Foggia al n. 150

I L L U S T R A Z I 0 N I

REGIONE PUGLIA: 1) on. prof. Finocchiaro, presidente del Consiglio; 2) avv. Trisorio-Liuzzi, presidente della Giunta; 3) II primo numero del « Bollettino uffi-ciale della Regione (I-III) - SAN LEONARDO DI SIPONTO: 1-5) Aspetti del Monumento e sue opere d'arte; 6) Don Mastrobuoni alla Festa dell'Ascensione del 1968 (IV-VI).

la Capitanata Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia

★ In questo fascicolo scritti di: dott.ssa SILVANA CAPUANO; ing. ANTO-NIO FERRARA; on. prof. BENIAMINO FINOCCHIARO, presidente del Consiglio della Regione Puglia; avv. DANIELE PERLA, segretario di Redazione de « Il Mattino »; prof. VITTORIO SALVATORI, sindaco di Foggia; on. dott. FIORENTINO SULLO, deputato al Parlamento; avv. BERARDINO TIZZANI, presidente dell'Amm.ne Prov.le di Foggia; avv. GENNARO TRISORIO LIUZZI, presidente della Giunta Regionale Pu-gliese.

S O M M A R I O

BERARDINO TIZZANI: Saluto alla Regione Puglia 81

FIORENTINO SULLO: La fase costituente della Regione quale

fase costituente del nostro Stato repubblicano e democratico 83

BENIAMINO FINOCCHIARO: Obbiettivi, propositi e strumenti del

governo regionale: 1) Enunciazioni d'ordine costituzionale

ed operativo del Consiglio regionale; 2) Classe politica,

potere economico e burocrazia nel Mezzogiorno 91

GENNARO TRISORIO LIUZZI: Programma della Giunta regionale 97

I rappresentanti delle province pugliesi al Consiglio regionale 111

REGIONE PUGLIA - La prima sessione del Consiglio 113

Elezioni regionali in Capitanata. Risultati comunali 132

VITTORIO SALVATORI: Il culto della Resistenza 151

ANTONIO FERRARA: San Leonardo di Siponto e Don Mastrobuoni 156

San Leonardo di Siponto: opere e voti 167

TESTIMONIANZE D'ARTE E DI CULTURA - Il Crocifisso

ligneo di S. Leonardo di Siponto (Daniele Perla) 171

SILVANA CAPUANO: Umberto Bozzini e il teatro italiano del

primo Novecento 174

MANIFESTAZIONI REGIONALI - 1) Medaglia d'oro della

« Provincia » dauna ai Consiglieri regionali; 2) Nell'Unione

delle Province pugliesi eletto presidente l'avv.to Tizzani 189

VITA COMUNALE - 1) Il XXV annuale della liberazione a

Foggia ... 2) . . .e a Manfredonia 191

L’ ANNO DI ROMA

I cattolici liberali pugliesi e la ”Questione romana„

Il 20 settembre 1870 mentre segna la fine di una piccola guerra,

anzi di una scaramuccia militare, chiude in effetti un conflitto storico millenario, quasi mitologico, tanto che Federico Chabod non si di-chiara d’accordo con il Bonghi nel ritenere secondaria la questione ro-mana nel quadro di quel 1870 e anno fatale per la pace, la civiltà, l’unità europea ». Oggi, infatti, a 100 anni di distanza, con la mente fatta serena dal tempo e dalle vicende, e possibile giudicare la portata storica di un episodio, che già allora varcava i limiti del Risorgimento e del dissenso politico - religioso tra Italiani e Italiani: la fine del po-tere temporale dei Papi, durato oltre un millennio, più a lungo di ogni altro potere politico sulla terra e causa di così complesse vicende da comportare giudizi gravi e talora diametralmente opposti. La nascita del potere politico della Chiesa, avviato secondo la leggenda da Co-stantino, ma sancito con la incoronazione di Carlo Magno la notte di Natale del 799 da parte di Leone Magno, determinò indubbiamente una doppia contaminazione, fece chiamare sacro l’Impero, cioè l’au-tentico potere politico, e fece divenire stato il potere spirituale. Ma, mentre la prima contaminazione, quella politica, non resistette a lungo alle contraddizioni interne e ai violenti attacchi esterni, la seconda, quella spirituale, nonostante le guerre, gli scismi e le eresie, durò oltre dieci secoli, nonostante la più tangibile violazione della solenne af-fermazione evangelica « Il mio Regno non è di questo mondo ».

193

MATTEO FANTASIA___________________________________________________________________________

Ma, queste sono le conclusioni di oggi, conclusioni pressoché una-

nimi sulle quali convengono spontaneamente cattolici e laici, tempo-ralisti e spiritualisti, teocratici e giurisdizionalisti, quanti durante lo arco dei dieci secoli furono accanitamente su opposti spalti fino ai de-cenni più drammatici del Risorgimento, fino agli anni tra il; 1861 ed il 1870, quando il parossismo delle opposte posizioni toccò la rima, il fanatismo ottenebrò le menti e quando gli animi più sensibili, tra i cat-tolici e tra i patrioti, rimasero profondamente lacerati.

A cento anni di distanza, come tutto sembra mutato! Abbiamo sen-tito il Papa Paolo VI, settimo successore di Pio IX, nella ricorrenza centenaria farsi innanzi con un solenne messaggio a riconoscere che l’unione di Roma all’Italia « consolidava in essa la sua unità », a far voti di stabilità, di concordia, di prosperità, di progresso sociale e mo-rale, ad esaltare la passione stessa con la quale l’Italia subentrava alla gestione pontificia, sollecito solo in favore della Cbiesa Cattolica di “quella libertà e quella indipendenza che consentano alle nostre spiri-tuali funzioni il loro normale esercizio”. Nello stesso momento, ab-biamo sentito (subito) il Capo dello Stato Italiano, l’On.le Saragat, so-cialista e repubblicano, considerare il messaggio del Papa un auspicio per il continuo progresso morale e sociale del popolo italiano e dichia-rare che con la rievocazione dello storico avvenimento l’Italia intende onorare se stessa e la Chiesa Cattolica, desiderando nel segno della li-bertà tutelare l’armonia tra la fede religiosa della maggioranza degli Italiani e il loro amor di Patria. Si aggiunga ancora che davanti alla breccia di Porta Pia, lo stesso giorno 20 settembre, ai piedi del monu-mento dei bersaglieri, il Card. Dell’Acqua per espresso incarico del Papa celebra la messa a bersaglieri e artiglieri (che ne avevano fatto richiesta) convenuti da tutta Italia e all’omelia pronunzia parole ancora più significative, accennando agli antenati dei gloriosi Corpi che ave-vano aperto la breccia ed erano entrati in Roma. « Allora due comuni-tà si opponevano e si contrastavano per una diversa valutazione delle cose loro pertinenti. Il tempo e la storia hanno dis sipato tante ombre, hanno eliminato l’antitesi e il contrasto. Le due comunità, che prima si contrastavano, hanno poi avuto meglio delineati i propri connotati, le proprie funzioni, le rispettive missioni ». E aggiungeva le parole ve-ramente rivoluzionarie rispetto allo spirito del 1870: « La Chiesa, in-fatti, sollevata dal potere temporale, ha potuto più chiaramente espri-mere l’immagine evangelica conferitale da Cristo ed esplicare in modo più agile la sua missione di salvezza fra gli uomini, senza il

194

___________________________________________________________________LA « QUESTIONE ROMANA »

sospetto di ingerenze politiche. Dal canto suo, 1’Italia, finalmente uni-ta e assurta a dimensioni di Stato moderno, ha potuto con sagacia in-traprendere il cammino verso i traguardi del progresso ».

Lo stesso clima in tutte le celebrazioni, dal Campidoglio alla Tom-ba del Milite Ignoto, da Roma a Torino a Napoli, il 20 settembre e do-po. Sicché, in effetti, si è verificata il 20 settembre del Centenario una tale convergenza tra cattolici e laici che si può parlare di una con cele-brazione del 20 settembre, di una data che un secolo fa sembr6 scavare un abisso incolmabile tra due mondi, mentre un secolo dopo è diventa-ta una data comune di affermazioni ideali e di valori supremi.

Ma la gioia di questa ritrovata unità non deve farci dimenticare la lezione della storia, soprattutto perché essa costò duri e amari sacrifici a quanti, specie tra i cattolici, videro giusto negli anni della tormenta e nella sofferenza piegarono il capo fidando, come Galileo, nella luce della verità, che può tardare anche dei secoli per venire, ma immanca-bilmente viene.

Nei confronti dell’idea e del programma di Roma Capitale d’Italia, la divisione ideologica degli Italiani fu ancora più grave della di-visione politica in ordine al problema nazionale. Perché, se sul pro-blema nazionale le grandi direttive erano la repubblica e la monarchia, la federazione e l’unità, sulla base comune dell’indipendenza dello straniero e della libertà costituzionale, sul problema di Roma capitale la situazione si presentava oltre modo complessa all’interno con riper-cussioni internazionali ancora più gravi.

Il quadro delle posizioni politiche sul problema di Roma Capitale si presentava così delineato: tra due posizioni estremistiche di assoluta intransigenza, quella anticlericale, rappresentata dal Partito di Azione e dalla Sinistra Parlamentare, e quella Cattolica di stretta osservanza pontificia, si collocavano le correnti moderate del liberalismo e le cor-renti cattoliche liberali.

A distanza di un secolo, appare sempre più saggia, lungimirante, edificante per gli interessi nazionali l’impostazione del problema data dal Cavour nei celebri discorsi parlamentari del marzo - aprile del 1861. Massimo esponente dei moderati liberali e responsabile massi-mo della politica italiana, il Cavour proclamava Roma Capitale d’Italia, precisava le ragioni storiche e morali che rendevano tale solu-zione irrinunciabile, ma indicava le condizioni per realizzarla: « Noi

195

MATTEO FANTASIA___________________________________________________________________________

dobbiamo andare a Roma, ma a due condizioni; di concerto con la Francia e inoltre senza che la riunione di questa città al resto d’Italia possa essere interpretata dalla gran massa dei cattolici d’Italia e fuori d’Italia come il segnale della servitù della Chiesa » e precisava “Noi dobbiamo andare a Roma senza che la indipendenza vera del Pontefi-ce venga a menomarsi. Noi dobbiamo andare a Roma senza che l’autorità civile estenda il suo potere all’ordine spirituale”. Ora, se è vero che il voto e la solenne proclamazione del 27 marzo ‘61 postula-vano l’esigenza morale e politica della fine del potere temporale del Papa e dell’annessione di Roma all’Italia, è anche vero che il nodo centrale della questione romana, Roma Capitale d’Italia, veniva avulso dal programma dell’ala rivoluzionaria dello schieramento risorgimen-tale italiano e affidato al Partito Moderato Liberale e Monarchico per-ché venisse risolto con le arti della diplomazia nell’ambito di un suo programma politico-ideologico, l’attuazione cioè del programma « li-bera Chiesa in libero Stato ». La questione romana così veniva inqua-drata nel più vasto problema della conciliazione tra le due istituzioni, Stato e Chiesa.

La premessa inoppugnabile della tendenza conciliatorista dei mo-derati italiani era nella constatazione che il Partito moderato era costi-tuito, nella grande maggioranza, di cattolici, per i quali il conflitto tra Stato e Chiesa si traduceva in dramma interiore tra amor di Patria e fede religiosa. «In Italia, diceva il Cavour al Senato il 9 aprile 1861, il partito liberale è più cattolico che in qualunque altra parte d’Europa» e dopo aver citato Manzoni, Rosmini, Gioberti, Tommaseo ed altri con-cludeva “e quando in un Paese i più grandi poeti, i più illustri filosofi propugnano certe dottrine, vuol dire che queste dottrine hanno molti seguaci nella nazione loro. Quindi, in Italia più che altrove, questa Conciliazione può farsi e può farsi utilmente”. L’altra convinzione, comune ai più qualificati esponenti del Partito Moderato, era che non potessero esservi sane istituzioni politiche senza una forte interiorità dei cittadini e che, in conseguenza, il conflitto tra la Chiesa e la socie-tà liberale finiva per infiacchire il sentimento religioso a favore delle tendenze antisociali, che in più parti d’Europa andavano prendendo piede.

Non sfuggiva inoltre agli stessi esponenti del Partito moderato il peso che le masse cattoliche potevano esercitare nella vita politica ita-liana, per cui non mancò tra gli stessi moderati chi si augurasse lo as-sorbimento dei cattolici in un blocco conservatore nazionale, che co-stituisse un valido appoggio per la monarchia.

196

___________________________________________________________________LA « QUESTIONE RO MANA »

A queste aspirazioni di carattere sociale e religioso, che rendevano aperti e disponibili i moderati al superamento del conflitto tra Stato e Chiesa, corrispondevano la volontà di conciliazione tra l’Italia e il Pa-pa, attraverso la rinunzia al potere temporale, delle correnti cattoliche liberali.

Di una intensa, attiva partecipazione dei cattolici al movimento ri-sorgimentale italiano sono piene le pagine di storia e i documenti di archivio. Dai morti del ‘99 a quelli del ‘20 fino alle radiose giornate del primo Pontificato di Pio IX e alle esaltanti pagine del Primato del Gioberti la testimonianza della presenza e della partecipazione dei cat-tolici è luminosa. Il dramma dei cattolici nella epoca risorgimentale prese a farsi acuto a partire dal 1848, da quando lo stesso Pio IX nel corso della guerra d’indipendeza, con l’allocuzione del 29 aprile, spense le speranze, che col programma gioveranno si erano accese ne-gli animi dei patrioti italiani, cattolici e non. La tensione andò sempre più crescendo durante il decennio cavouriano, dal tempo delle leggi Siccardi al momento della crisi calabiana nel 1855 (il Ve scovo di Ca-sale, Luigi Nazari di Calabiana, convinse il Re a far dimettere il Ca-vour a causa della politica anticlericale) fino ai plebisciti del ‘60 nelle legazioni pontificie dell’Emilia Romagna. Ma, neppure l’intransigenza romana di un decennio avrebbe potuto mutare la passione nazionale dei cattolici italiani. Sicché, a cominciare dal Gioberti, non furono po-che le simpatie che si manifestavano, anche nella più alta gerarchia ecclesiastica, a favore della rivoluzione italiana contro il potere tem-porale.

I gruppi più notevoli dei cattolici conciliatoristi si costituirono a Torino, a Milano, a Firenze e a Napoli.

A Torino si trasferì da Roma il Gesuita Padre Carlo Passaglia, già collaboratore della “Civiltà Cattolica”, dove fondò il periodico “Il Mediatore” e il quotidiano “La Pace”. A Milano si raccolsero intorno al periodico “Conciliatore” numerosi sacerdoti, discepoli del Rosmini, che diedero vita alla Società Emancipatrice. A Firenze, promotore l’Arcivescovo Limberti, fu fondato il periodico “L’Esaminatore" e la Società di Mutuo Soccorso che aveva come programma la concordia tra la religione e lo Stato. Più rivoluzionario il gruppo napoletano che si costituì attorno al domenicano Luigi Prota Giorleo, che fondò la So-cietà Emancipatrice del sacerdozio italiano con il periodico “L’Emancipatore Cattolico”.

Questi gruppi erano l’espressione dello stato di disagio dei cattoli-

197

MATTEO FANTASIA___________________________________________________________________________

ci italiani, che profondamente amareggiati dall’atteggiamento della Curia Romana, escogitarono mille tentativi per realizzare programmi di conciliazione fra Stato e Chiesa. Il più notevole di questi tentativi fu appunto la famosa petizione del basso clero al Papa, firmata da oltre 9.000 sacerdoti, con cui si chiedeva a Pio IX la rinunzia al potere tem-porale; che se non sortì altri risultati positivi, almeno evitò (cosa che fu a lungo temuta) che fosse proclamato il dogma del potere tempora-le.

Accanto alle correnti liberali cattoliche, oggetto di particolare per-secuzione da parte della Curia Romana e del Papa in persona, vi furo-no altre correnti cattoliche conciliatoriste che, avverse sul piano polit i-co ai principi liberali, poterono sottrarsi alle condanne da parte della Chiesa. Queste correnti, che facevano capo al Capecelatro, al Tosti, al Conti ed altri, preoccupate di evitare lo scristianeggiamento dell’Italia, la separazione sul piano etico dello Stato dalla Chiesa, auspicano la distinzione tra le due istituzioni con una posizione primaria della Chiesa, che, senza intaccare l’indipendenza e la sovranità dello Stato, ne esaltasse le finalità, permeando la società di profondo sentimento religioso. Ma, oltre a questi gruppi, molti altri cattolici, laici ed eccle-siastici, senza far capo ai principi politici e filosofici, ma spinti solo da amor di Patria, si domandavano perché in Italia veniva vietato loro ciò che invece veniva benedetto in Francia o altrove. Ma i moderati da un lato,i cattolici liberali dall’altro dovevano urtare contro l’intransigenza della Sinistra Parlamentare i primi, dei cattolici reazionari i secondi. L’intransigenza degli anticlericali della Sinistra Parlamentare fatta propria dal Partito di Azione, portò ad Aspromonte prima e a Mentana dopo, l’intransigenza dei cattolici integralisti portò all’Enciclica Quan-ta Cura e al Sillabo prima e al Concilio Vaticano I dopo, che per for-tuna non ebbe conclusioni.

L’azione prudente, moderata, equilibratrice del Governo e della Monarchia, sostenuta dai moderati, che non volevano rompere defi-nitivamente con la Sinistra e con il Partito d’Azione mentre volevano agganciare i cattolici conciliatoristi, portò all’accordo con Napoleone III e alla convenzione di Settembre del 1864. Ma, proprio la Conven-zione scontentò l’opposizione di Sinistra, che vide nel trasferimento della Capitale a Firenze una implicita rinunzia a Roma e amareggiò Pio IX e i Cattolici intransigenti, che videro nel ritiro delle forze fran-cesi da Roma la caduta delle garanzie napoleoniche sul potere temp o-rale e libera la strada alle forze del nuovo regno verso Roma.

198

___________________________________________________________________LA « QUESTIONE ROMANA »

Allora l’opposizione della sinistra democratica si fece violenta fino

ad assumere carattere rivoluzionario e antimonarchico. Mazzini, Cri-spi, Garibaldi vedevano nella Convenzione il passo verso la Con-ciliazione, e nella Conciliazione vedevano la massima sventura per l’Italia, la rinunzia a Roma e quindi il tradimento degli impegni as-sunti da Cavour e dalla Monarchia; in conseguenza minacciavano una Aspromonte permanente. Per gli uomini della Sinistra il Papato era ir-riformabile nei suoi principi, era impossibile per esso adeguarsi alle esigenze della civiltà e perché ritenevano impossibile ogni com-promesso, ogni conciliazione: libertà e Papato erano per essi una anti-tesi assoluta.

Purtroppo l’uguale intransigenza del Papa, che si espresse nella Enciclica Quanta Cura e nel Sillabo, pubblicata nel dicembre del ‘64, pochi giorni dopo la Convenzione, rappresentò la reazione da destra all’azione del Governo e una conferma alle convinzioni della Sinistra. Contiene il Sillabo la severa solenne condanna degli errori della so-cietà moderna e del liberalismo nelle sue manifestazioni politiche, cul-turali e spirituali: tra la società liberale e moderna e la religione veniva scavato un nuovo invalicabile abisso, che doveva aumentare gli osta-coli già tanto gravi al superamento della questione romana e accresce-re il dramma interiore nelle masse di quei cattolici liberali che, come si è detto innanzi, auspicavano la fine del conflitto tra Stato e Chiesa per realizzare, su un piano egoistico, l’armonia tra il sentimento pa-triottico e la fede religiosa e per evitare su un piano di civile convi-venza il dilagare dell’indifferenza religiosa.

Fu, quello che seguì alla Convenzione di Settembre e alla pubbli-cazione del Sillabo, il periodo peggiore per i cattolici liberali italiani. Accomunati dalla Sinistra nel crescente atteggiamento anticlericale di disprezzo verso i religiosi di ogni tendenza, abbandonati dai moderati, specialmente dopo la caduta del governo Ricasoli (il Ricasoli era sta-to il più sensibile alle posizioni ed alle istanze riformatrici dei cattolici liberali; egli coltivava la speranza di un innovamento del Cristianesi-mo, anche al di fuori della Chiesa Ufficiale, sicché vedeva la concilia-zione fra lo Stato e la Chiesa conseguirsi, al di là di ogni accordo, spontaneamente grazie appunto ad una ripresa è ad un affinamento del sentimento religioso dei fedeli in una chiesa liberata dalle scorie terre-ne), fiduciosi di giungere ad un accordo diretto con la Curia Romana, furono letteralmente condannati e perseguitati dalle Autorità Religio-se. Pio IX in persona non risparmiò attacchi e condanne

199

MATTEO FANTASIA___________________________________________________________________________

contro le società e le pubblicazioni cattolico - liberali di cui si è fatto cenno.

Fu severo l’atteggiamento contro i firmatari della petizione del basso clero; sospesi a divinis la maggior parte, privati di ogni appog-gio, si piegarono e ritrattarono pubblicamente l’adesione e la richiesta al Papa di rinunzia al potere temporale.

Conviene a questo punto inserire nella conversazione la parte avu-ta dai cattolici liberali pugliesi e baresi nel problema della Questione Romana. Le origini e le radici di questi folti gruppi di cattolici sen-sibili al problema nazionale vanno indubbiamente ricercate nei collegi di Bari e di Lecce, di Taranto e di Lucera e nei Seminari di Altamura, Bitonto e Conversano, Molfetta e Foggia, Brindisi e Oria, dove erano stati svecchiati i programmi di insegnamento e la gioventù veniva e-ducata a sensi liberali. Basti per tutti l’esempio dei seminari di Con-versano e Molfetta in Terra di Bari per l’influsso del vescovo Muce-dola nel primo e dell’Abate Fornari nel secondo. Vi insegnavano dotti sacerdoti laici, che, reduci dalle scuole di lettere e filosofia di Napoli, vi portavano le idee della nuova coltura illuministica e le nuove idee politiche. Notevole, se non determinante, fu anche lo influsso del Gio-berti. Dice appunto Viterlo «Il basso e un po’ l’alto clero e parte della nobiltà e dello stesso medio ceto furono conquistati dalla sua ardente parola ». Lo stesso Settembrini, non certo tenero verso lo Scrittore cat-tolico, riconosce la popolarità che le idee del filosofo piemontese ac-quistarono nelle popolazioni del Sud. Giobertiani furono in realtà mo l-ti grandi pugliesi, dal Massari amico e confidente del Gioberti, all’Abate Fornari di Molfetta, a Giuseppe Pisanelli di Lecce, a Gio-vanni Panunzio, a Domenico Morea, a Modesto Colucci del cenacolo di Conversano, dove nel decennio 849-59 della recrudescenza tiranni-ca di Ferdinando Il succeduta al 15 maggio 1848, Gioberti veniva letto e mandato a memoria di nascosto dai giovani per sottrarsi alle inquisi-torie ispezioni dell’Intendente di Bari, che aveva il Vescovo Mucedola di Conversano come sorvegliato speciale, dopo il suo rifiuto a firmare la “Petizione” al Re per abolire lo Statuto e dopo la visita ai patrioti conversanesi nelle prigioni di Trani per i fatti della “Dieta di Bari” del luglio 1848. Lungo e superfluo sarebbe l’elenco dei nomi vuoi dei giobertiani di formazione, vuoi dei cattolici in generale convinti che la perdita del potere temporale avrebbe accresciuto il prestigio spirituale del Papato, liberandolo dalle cure mondane e dagli intrighi politici. Per avere un quadro sufficiente, anche se non completo

200

___________________________________________________________________LA « QUESTIONE ROMANA »

per l’ovvia e naturale esigenza di sottrarsi all’azione vessatoria ed ese-cutoria della Curia Romana, basta rifarsi appunto alla citata petizione del basso clero promossa dal Passaglia e pubblicata nel « Mediatore » del 1° e 2° semestre del 1862. Essa raccolse la adesione di oltre 9.000 sacerdoti di ogni parte d’Italia per chiedere a Pio IX, in nome della pace religiosa, la rinunzia al potere temporale. In tale petizione, stesa in discreto latino, dopo un’abbondante citazione di testi sacri, gli Ec-clesiastici di 2° grado, riconfermata solennemente l’obbedienza al Pa-pa e ai Vescovi, rivendicavano la libertà di opinione in materia non pertinente la dottrina e l’insegnamento religioso e, levando ad un tem-po la voce di W il Papa e quella di W Roma metropoli del Nuovo Re-gno, supplicavano il Beatissimo Padre di armonizzare le due voci nel supremo interesse della Nazione e del Papato. Seguono le numerose firme distribuite in varie liste. Quante di queste si riferiscono a sacer-doti pugliesi e baresi? E’ difficile dirlo, perché mentre del Clero rego-lare viene citata la località di origine, del Clero secolare, che è il più numeroso, viene indicato solo nome, cognome e la dignità o l’ufficio. Sicché su 767 del Clero regolare ben 170 sono oriundi di località pu-gliesi, mentre nulla è possibile sapere attraverso la Petizione Passaglia del Clero secolare pugliese che aderì alle tesi conciliatoriste, anche per la pesante aria di sospetto e per il clima intimidatorio che la S. Sede attraverso i Ve scovi diffondeva, come si ricava dalle numerose lettere, pubblicate dallo stesso « Mediatore », di sacerdoti che temevano rap-presaglie.

Dovettero indubbiamente essere numerosi i sacerdoti del Clero se-colare firmatari, come si rileva dai cognomi di origine locale. Centri di raccolta di firme dovettero essere i seminari aperti agli insegnamenti liberali come Conversano, Bitonto, Molfetta, Altamura, Trani, Mono-poli in Terra di Bari; Ostuni, Oria, Manduria, Brindisi in terra salenti-na; Lucera e Foggia in Capitanata. In particolare la Città di Lecce, a giudicare dalle lettere di cui si è fatto cenno, dovette essere un centro attivissimo di raccolta di firme.

Un’indagine lunga ed accurata andrebbe condotta per individuare i gruppi che si costituirono nelle varie parti della Puglia intorno al pro-gramma ed alle idee che il Passaglia andava diffondendo con il “Me-diatore”, e per tracciarne l’attività. Mi sia consentito, a mò di esempio, di soffermarmi sul gruppo che si formò nella Diocesi e intorno al Se-minario di Conversano, anche perché l’attività di essa ebbe conse-guenze non lievi nella condotta della Santa Sede nei confronti

201

MATTEO FANTASIA___________________________________________________________________________

degli uomini più rappresentativi firmatari della Petizione Passaglia. Dei 120 del clero regolare della provincia di Bari, 25 apparten-

gono alla Diocesi di Conversano e tra essi figura Domenico Morea, discepolo prediletto del Vescovo Mucedola, che lo aveva mandato al la scuola di Padre Tosti a Montecassino ed era amico del Cardinale Alfonso Capecelatro, i quali, come si è detto, erano tra i più convinti conciliatoristi. Ora la figura del Vescovo Mucedola, nella dolorosa vicenda che oppose alle intransigenti posizioni del Papa Pio IX, sul problema della questione Romana in generale e del potere temporale in particolare, folte e qualificate schiere di cattolici patrioti, assurge a valore di simbolo e di idea precorritrice di eventi che matureranno ap-punto un secolo dopo.

Il Vescovo Giuseppe Maria Mucedola veniva dalla Terra di Ca-pitanata, terra disseminata di società segrete al tempo del Risorgi-mento e popolata di patrioti anche di estrazione religiosa, come il Pa-dre Fania da Rignano che, candidato alla suprema dignità nazionale dell’O.F.M., fu... bocciato per i suoi liberi sensi che lo legavano anche all’umanista G. T. Giordani, l’Omero garganico, già gran maestro di Carboneria. Mucedola era nato a S. Paolo in Civitate il 1807 da umili e poveri genitori; frequentò il Seminario di S. Severo e, ordinato sa-cerdote, vi rimase quale insegnante di Lettere e Filosofia. A 25 anni divenne Parroco del paese natio, dove rimase finché non fu mandato Vescovo nella Diocesi di Conversano agli inizi del 1849. A lungo ri-mase vivo nei suoi concittadini il ricordo di quei 16 anni di apostolato, come parroco, tra poveri e perseguitati. I biografi ricordano, come epi-sodio più significativo, lo zelo eroico spiegato durante il flagello del colera e della carestia che nel 1837 colpì la Capitanata: passò di casa in casa, con una bisaccia sulle spalle a chiedere la carità per i bisogno-si.

Giunto a Conversano si trovò subito di fronte alla petizione con cui si chiedeva al Re la revoca della Costituzione del 2 febbraio 1848.Tra i Vescovi meridionali Egli solo, insieme all’Arcivescovo di Matera, si rifiutò sdegnatamente di firmarla; e poiché qualche mese più tardi osò portarsi nel Carcere di Trani a visitare i patrioti che avevano preso parte alla Dieta di Bari del 2 luglio 1848, Ferdinando II lo chiamò a Napoli al redde rationem dei due gesti provocatori. Raffaele De Cesa-re ne La fine di un regno testimonia che, di fronte alla fermezza e alla dignità con cui il Vescovo Mucedola difese il suo operato, il Re non

202

___________________________________________________________________LA « QUESTIONE ROMANA »

poté che esclamare in dialetto: “Vi’ che me fa u’ parrucchiane e’ San Paolo”.

Così il Vescovo Mucedola passava per uno dei pastori patrioti, sia :per l’indirizzo liberale dato agli studi nel Seminario di Conversano, sia per il saluto agli studenti del Seminario che nel 1860 andavano a raggiungere i Mille in Sicilia, sia infine per la mirabile “Pastorale" al Clero secolare e regolare in occasione della fine del Governo borboni-co e dell’annessione al Regno d'Italia delle Provincie Meridionali. In quella Pastorale Egli esorta il Clero ad insegnare che “Go verno libero va bene congiunto a ragione, a verità, a legge, a religione, anzi di esso è bene e fondamento” e che il “bene comune e sempre da preferire al bene individuale” e che “necessariamente debbono andare giù gli inte-ressi privati messi a confronto con gli interessi della Madre Comune, la Patria”.

Purtroppo, realizzata l’Unità d’Italia, mentre i patrioti esiliati o perseguitati cominciarono a vivere in un’atmosfera diversa, di ri-conoscente gratitudine per i mali sofferti e di fiduciosa speranza in un migliore avvenire, per il Vescovo Mucedola e per i cattolici patrioti cominciarono gli anni più duri. Da quel momento il calvario per loro si fece più aspro, perché le amarezze non vennero da nemici, ma dai correligionari che non compresero il chiaro linguaggio dei tempi nuo-vi.

Ora, in ordine al problema del potere temporale, è notevole la parte avuta dal Vescovo Mucedola. Dato il suo lealismo assoluto verso la suprema autorità ecclesiastica, riteniamo che egli vada collocato tra i gruppi conciliatoristi che facevano capo al Tosti e al Capecelatro, i quali, accantonando problemi politici e filosofici, erano spinti solo da amor di Patria e dal desiderio di frenare la dilagante irreligiosità con-seguente alla sterile lotta tra Stato e Chiesa. Alcune lettere dell’ar-chivio diocesano di Conversano tra il Mucedola e Padre Prota, dome-nicano, hanno fatto annoverare il Vescovo nel gruppo dei conciliato-risti napoletani, quello della società Emancipatrice del Sacerdozio Ita-liano, che fu il più audace al punto da valicare i confini della or-todossia, se è vero che si fece propagatore di un Memorandum ai Ve -scovi uniti nel Concilio Vaticano I, in cui si chiedeva l’elezione dei Vescovi da parte del Clero e del popolo, l’eliminazione del potere temporale e la riconciliazione della Chiesa col progresso civile e so-ciale. Ma, se si può escludere questa appartenenza per il carattere lea-lista e sacerdotale del Vescovo, la Diocesi e l’ambiente del Seminario furono gran parte nella organizzazione della Petizione Passaglia,

203

MATTEO FANTASIA___________________________________________________________________________

come, d’altra parte denunzia la presenza del Morea tra i firmatari. Del quale Morea si ricorda peraltro e l’epigrafe sul tumulo eretto nella chiesa dei SS. Medici di Alberobello per commemorare il Cavour e il discorso che lo stesso Morea tenne in quella occasione.

L’epigrafe diceva «Il Conte di Cavour — che volle e osò con mi-racoli di audacia e prudenza creare l’Italia una — proclamare dinanzi l’Europa — la separazione del potere temporale dallo spirituale — e la chiesa libera — i sacerdoti di Alberobello ». Nel discorso il Morea ci-tava il filosofo, l’uomo di Stato ed il Guerriero, che la Provvidenza aveva suscitati per l’unità d’Italia: e Gioberti ha rappresentato l’idea dell’italico rinnovamento, il gran cuore di Garibaldi l’azione; Cavour ha alitato nuovamente la vita nelle sparse membra d’Italia e ardita-mente per primo le ha proclamato a Capitale d’Italia Roma, la Roma eterna ».

Il Vescovo Mucedola ne gioiva, scrivendogli, vedendo in lui il de-gno discepolo del Tosti e del Passaglia, il seguace del Gioberti; tanto che qualche mese dopo, nel settembre del 1861, lo chiamava all’impe-gnativo incarico di Rettore del Seminario.

In conseguenza le ire di Roma non tardarono ad abbattersi violente sul capo del Vescovo, non preparato a riceverle per la profonda co-scienza che egli aveva di operare, così operando, più come pastore di anime che come politico, anche se, come vedremo, aveva chiare idee politiche e altissimo il senso della dignità civile.

Anche se aveva rifiutato la candidatura a deputato del I Parlamento Nazionale per il collegio di Conversano, Mola, Castellana e Ru-tigliano, il Vescovo Mucedola costituì sempre una bandiera di patriot-tismo, oltre a rimanere una figura di presule dalle eccelse virtù pa-storali. Ma gli animi nella Diocesi erano tesi e divisi e se una parte del Clero era vicina entusiasticamente al Vescovo, un’altra rimaneva re-triva e ancorata alle vecchie posizioni e fu questa parte del Clero che trovò buon ascolto presso la Curia Romana con le sue calunniose, ta-lora infamanti accuse al Vescovo. Evidentemente la Pastorale famo sa dell’agosto ‘60 non produsse presso il Clero gli effetti sperati dal Ve-scovo. Non tutti i sacerdoti compresero l’opportunità di distinguere tra Chiesa e Stato Pontificio, tra Religione e Politica; molti, anzi, inizia-rono una serie di rappresaglie morali contro quei fedeli che avevano mostrato entusiasmo per il Plebiscito; alcuni arrivarono anche a nega-re l’assoluzione a quei penitenti che dichiaravano di aver votato a fa-vore dell’Italia una e indipendente, ritenendoli incorsi in una speciale

204

___________________________________________________________________LA « QUESTIONE ROMANA »

scomunica. Il Vescovo non poteva rimanere insensibile a tale compor-tamento, per cui dopo altri richiami e spiegazioni, pubblicò il famoso Editto al Clero di Noci, esteso poi a tutto il Clero della Diocesi, con cui ordinava ai confessori di “non arbitrarsi di negare l’assoluzione ai penitenti che avevano votato per l’annessione, accompagnando l’ordine con la diffida e la minaccia di sospensione dalla confessione e anche a divinis”. La sostanza dell’Editto era la stessa della Pastorale, il tono più forte e deciso; i detrattori e avversari ne approfittarono per denunziarlo alla Santa Sede, presentando il Vescovo come un inquis i-tore politico, che si procurava le prove a carico dei sacerdoti con pres-sioni sui penitenti, giungendo perfino a violare il sigillo sacramentale.

Invano il Vescovo tentò di parare il colpo difendendo e giustifi-cando l’Editto presso il Papa; non ebbe risposta. Invece il Prefetto del-la Sacra Congregazione per il Concilio recepiva il ricorso dall’ala bor-bonica al clero nocese e colpiva duramente il Vescovo, ingiungendogli “una pronta ritrattazione degli errori, il ritiro in una casa religiosa di vera osservanza ed il ricorso alla Santa Sede per gli opportuni rimedi alla sua coscienza”. Il Vescovo Mucedola, trattato peggio dell’ultimo prete della comunità sacerdotale, ne fu affranto nel corpo e nella men-te. Per dare conforto allo spirito travagliato dal lungo calvario terreno, spinto dai fedelissimi tornò a scrivere al Papa: e fu la mirabile lettera, insieme programma della sua sofferta esistenza e testamento spiritua-le, lungimirante anticipazione delle soluzioni e delle conclusioni a cui doveva giungere la questione romana. In uno stile pacato e solenne il Vescovo affronta con coraggio tutte le questioni sulle quali gli sembra di essere in contrasto con la Santa Sede, questioni « abbracciate in una materia estranea alla religione ». La prima questione è questa: oltre al-la chiesa, patria e società dei cristiani, per la quale nasciamo al cielo e partecipiamo ai beni celesti, noi abbiamo pure la patria terrena, per la quale nasciamo in terra, e la società civile, per la quale partecipiamo ai beni di quaggiù. Ora fra tutti i beni terreni di un popolo, il massimo è di essere fatto felice, per quanto è possibile, in terra, e di raggiungere la sua nazionalità, ossia l’armonia e l’unità maggiore delle sue parti, onde il suo “primo diritto è di essere padrone di se medesimo e di or-dinarsi politicamente in quella maniera che più sarà opportuna al con-seguimento dei suoi beni”. E aggiunge in forma decisa e convinta: “I popoli, BP., non son un appannaggio di un individuo o di una fami-glia, ma sono liberi e signori di sé e apparten-

205

MATTEO FANTASIA___________________________________________________________________________

gono unicamente a Dio” quindi “lo Stato è proprietà universale di tut-ti i cittadini e l’esercizio del potere supremo, o che sia raccolto in uno solo, o in pochi o in molti; o che sia temperato o non; o a vita o tem-poraneo, viene determinato dall’insieme del suffragio popolare”. Co-me si vede, al Vescovo Mucedola non importa la forma di Governo, importano due cose: 1°) che sia determinato dal suffragio popolare; 2°) che sia conforme ai principi eterni della carità e della giustizia. Qui è la legittimità, non nella conquista o nelle vocazioni o nei trattati, come quello di Vienna “dove contro ogni giustizia furono trafficati i popoli di Europa a guisa di mercanzia”. C’è in queste parole la aperta condanna del Congresso di Vienna, dove fu tradito il principio della autodecisione dei popoli. D’altra parte — incalza il Vescovo — eleg-gendo V.E. re d'Italia cosa hanno fatto di diverso gli Italiani da ciò che fecero gli Spagnoli nel 1830 e più recentemente i Francesi nel 1852 in favore di Napoleone III?

“Ora, se il fatto dei Francesi non è ingiusto e illegittimo e diso-nesto, perché si ha a giudicare a rovescio l’operato degli Italiani? For-se perché vi si oppone il potere temporale della Santa Sede?” “Ecco il punctum dolens che il Vescovo affronta a viso aperto: « sono ormai ri-soluto che codesto temporale principato, se fu conveniente e utile e opportuno in certi tempi determinati ed in talune condizioni particolari della Chiesa, oggi, per contrario, torna inopportuno e sconveniente e dannoso più di molto agli interessi veri della Chiesa Cattolica, perché i popoli, o S.S. Padre, vogliono ad ogni patto la libertà d’Italia, anche a dover loro costare il sacrificio della religione. Oltre di ciò, un’altra ra-gione che mi ha fatto persuadere della convenienza più che della ne-cessità assoluta della potestà temporale della Chiesa è stata questa: che la Chiesa non ha mai condannato la antica dottrina dei Ghibellini con-tro la medesima. Per citare un esempio famoso, io trovo in un opera di profana letteratura, ossia nella D. C. di Dante Alighieri, il primo giu-dizio e la prima condanna e la più esplicita della sovranità temporale della Chiesa. Essa traspare da capo a fondo da tutto il poema, ma è pa-lese e scolpita in due canti del Purgatorio cioè nel sesto e nel sedice-simo. Nel primo dice così:

Ahi! gente che dovresti esser devota e lasciar seder Cesare in la sella se bene intendi ciò che Dio ti nota

206

___________________________________________________________________LA « QUESTIONE ROMANA »

e nell’altro dice pure cosi:

Solea Roma che il buon mondo feo duo soli aver, che l’una e l’altra strada facean vedere e del mondo e di Deo.

Or furono giammai condannati questi due canti o tutta la D. C. o

per Bolle di Pontefici o per Bolle della Chiesa adunata nei Concili? ». Da queste convinzioni era scaturito il contenuto dell’Editto, con il quale aveva condannato la condotta dei confessori che avevano negato l’assoluzione ai fedeli che avevano votato per l’annessione, chiaman-do tale condotta irragionevole, ingiusta, irreligiosa. Si aggiunga che, per queste ragioni, moltissimi « per sfuggire a quest’onta erano riso-luti al tutto di allontanarsi dai Sacramenti ». In conseguenza erano gli altri che avevano guardato “più alle ragioni del principe spodestato che agli interessi degli animi” così come è probabile che il suo lin-guaggio non torni utile alla « Chiesa confusa e immedesimata con lo Stato Ecclesiastico, cioè con quel brano d’Italia dove V.S. è anche principe civile, ma si conforma appieno con gli insegnamenti della Chiesa Cattolica ».

Il problema è tutto qui e il Vescovo Mucedola lo affronta senza mezzi termini: «è la Curia della Chiesa Cattolica o è la Corte dello Stato Pontificio che condanna la guerra di indipendenza nazionale e persiste a chiamare subalpino il Re d’Italia e piemontese il Governo del Regno d’Italia?». E conclude amaramente « questa guerra ostinata e palese che il Clero fa all’Italia ed alla libertà torna in grande disono-re della nostra Santa religione ed in scandalo ai molti che vogliono la libertà d’Italia ». E, denunciato il pericolo di una scisma in Italia, si dichiara tranquillo in coscienza e chiede umilmente perdono del suo ardire, fiducioso che S.S. sarà contento del suo libero e franco lin-guaggio.

Pia illusione del Vescovo Mucedola! A Roma, come si è visto, spi-rava aria di condanna e di estremo rigore. Sicché la stessa sorte che al Prota, al Passaglia, al Limberti toccò al Mucedola; la lettera rimase senza risposta, lasciando nella prostrazione fisica e soprattutto spiri-tuale il coraggioso Vescovo, che per la pace dell’anima una parola di comprensione stette a sospirare dal Vicario di Cristo. La risposta di Pio IX giunse nel marzo del 1865 pochi giorni prima della morte del Vescovo già gravemente infermo di corpo e ormai fuori di mente; e fu

207

MATTEO FANTASIA___________________________________________________________________________

fortuna del Mucedola quella di non poter capire che il Papa non solo conservava la condanna, ma lo esortava a levarsi d’attorno i cattivi consiglieri che lo guidano male ed a palesare nel modo più solenne l’adesione alla Santa Sede. Così alla condanna univa l’ingiuria di rite-nere il Mucedola non una guida ideale e morale, quale era stata per ol-tre quindici anni, ma uno dei tanti in balia di cattivi consiglieri.

D’altra parte, come si è visto, eravamo all’indomani della pub-blicazione del Sillabo e le posizioni si erano irrigidite e aggravate. La questione romana era entrata nel momento più acuto, che avrebbe ge-nerato poi tensioni più gravi con Mentana e con il Concilio Vaticano I, prima di venire a trovarsi alla provvidenziale svolta che portò all’occupazione di Roma nel 1870 dopo la Breccia di Porta Pia. La questione romana intanto rimarrà aperta e farà ancora altre vittime.

La Diocesi di Conversano, per esempio, poco mancò che non fosse soppressa dopo la morte del Mucedola; rimase vacante sino al 1871. quando vi fu destinato il Vescovo Silvestris, uomo interamente dedito alla pietà religiosa, del tutto alieno dalla politica e soprattutto dal mo-derno indirizzo degli studi che vi aveva impresso il Vescovo Mu-cedola.

I sospetti rimasero a lungo sulla Diocesi e sul Rettore Morea come d’altra parte per lungo tempo rimase aperta e irrisolta la questione ro-mana.

Nella lunga tensione che, soltanto nel nome e all’insegna della li-bertà, entrambe le istituzioni dopo circa un secolo avrebbero risolto, in armonia di comuni intenti sociali e morali, i semi deposti dagli studi, dalle passioni, da i travagli di singole personalità e di gruppi costituiti trovarono certamente modo di fecondare. Noi siamo convinti che nulla è andato perduto di quei sacrifici e di quelle fatiche, né d’altra parte un conflitto millenario tra concezioni umane della vita e visioni ultrater-rene dello spirito poteva concludersi nel volgere di mesi o di pochi anni.

Dopo la breccia di Porta Pia, l’Italia imita ebbe Roma come sua capitale, come era stato nel sogno, nella speranza, nella lotta di tanti patrioti; ma il modo non fu quello che la gran massa degli Italiani a-veva desiderato, non vi fu quella restitutio da parte del potere spi-rituale al potere politico, che avesse assolto dal peccato di simonia di mille anni prima, che avesse risolto l’innaturale connubio dell’umano col divinò, del sacro col profano, con cui la storia si era fatta beffa

208

___________________________________________________________________LA « QUESTIONE ROMANA »

della volontà divina di non contaminare la trascendenza con la potenza terrena. Nel 1870 la breccia di Porta Pia invertì i ruoli tra Stato e Chiesa: la Chiesa parve divenire l’oppressa e lo Stato l’oppressore; ma l’abisso tra i due istituti rimase.

Quando nel 1878, a distanza di qualche mese tra loro, morirono Vittorio Emanuele II e Pio IX, i vertici dei due poteri antagonisti, par-ve che il dramma politico - religioso del Risorgimento Italiano stesse per mettere la parola fine agli infecondi contrasti in seno alla giovane nazione italiana. Così tra il 1878 e il 1880 con Umberto I e Leone XIII non legati a nessuna pregiudiziale del passato, sembrò giunta l’ora dei cattolici liberali e dei moderati cattolici, che non avevano condiviso i primi i propositi di vendetta dei primi congressi cattolici né si erano associati i secondi alle esasperazioni anticlericali. Tornava di attualità il vecchio Manzoni e rialzava il capo l’amareggiato padre Tosti, cui faceva eco da Conversano il Rettore Morea con il Cenacolo « Cre-scamus in I.llo per omnia », che aveva mantenuto accese le idealità del grande Mucedola.

Ma anche quelle speranze dovevano essere smentite dalla dura re-altà degli anni successivi, che furono i più duri fino all’inizio del nuo-vo secolo col nuovo Papa Pio X e con il nuovo Re Vittorio Emanuele III e che videro l’intransigenza liberale sfociare nell’assalto al corteo funebre che trasferiva in San Lorenzo i resti mortali di Pio IX e la rea-zione clericale giungerà a gettare l’ombra anche sulle figure di Ro-smini e di Manzoni e ad ordinare che rimanessero chiuse le porte delle chiese mentre in Campidoglio si commemorava Garibaldi, morto il 1882.

L’atmosfera comincerà a mutare con Giolitti, dopo il parossismo dell’ultimo ventennio del secolo XIX. Fu Papa Sarto che cominciò a consentire ai Cattolici la partecipazione alla vita politica, trasformando il non licet in non expedit e favorendola a livello degli enti locali; fu soprattutto Giolitti che volle rompere le due opposte intransigenze e chiusure di fine secolo, quella col mondo cattolico e quella con il mondo operaio, ansioso di immettere nuove forze e nuove fedi nella dialettica dello Stato liberale.

Poi venne la guerra mondiale e la polemica sulle inutili stragi sem-brò rinverdire il contrasto tra cattolici e liberali; ma col patto Gentiloni i cattolici erano ormai nell’agone politico e nell’area di governo e quando con Sturzo nel 1919 si organizzavano nel Partito Popolare, lo steccato, che la breccia di Porta Pia aveva irrobustito 50 anni prima,

209

MATTEO FANTASIA___________________________________________________________________________

sembrò destinato a cadere del tutto. Il fascismo colse nel 1929 il frutto della maturazione dei tempi rea1izzando la conciliazione ufficiale tra lo Stato e la Chiesa; ma essa non avvenne nel nome della libertà, che era la condizione essenziale prevista da Cavour sia per lo Stato sia per la Chiesa. La Conciliazione del 1929 rispecchiò lo stato di stanchezza delle due parti in lotta ed il desiderio di pace nel inondo cattolico di poter operare in una società che andava perdendo il senso religioso della vita. Ma fu quello un inganno madornale: come poteva operare in libertà, come poteva esercitare liberamente la sua missione la Chie-sa in una società cui era stata tolta e negata ogni forma di libertà?.

Il fascismo certamente fece suo il proposito dei moderati conser-vatori di accaparrarsi le simpatie e l’appoggio dei cattolici, il cui Par-tito era stato disciolto e messo al bando, mentre i Cattolici sperarono di trovare un po’ di spazio alla loro attività, almeno in campo etico-religioso. Le persecuzioni nei confronti delle organizzazioni cattoliche degli anni successivi confermarono il sospetto che la Conciliazione del 1929 era dettata più da ragioni di Stato che dalla maturazione di motivi etico-religiosi in entrambe le istituzioni. E quando nel 1938 Pio XI, il Papa della Conciliazione, vide sventolare in Roma al posto della Croce di Cristo le mille e mille croci uncinate di Hitler, che dopo aver scristianizzato la Germania si proponeva di fare altrettanto con l’Europa e con l’Italia, allora comprese in tutta la sua gravità il vuoto morale di una Conciliazione, che il cuore degli Italiani aveva desidera-to, ma che era stata conclusa nel momento meno felice e comunque contrario alle indicazioni delle menti più illuminate del Risorgimento.

Avvenimenti più intensi di vita morale e spirituale vivranno dal 1940 al 1970 lo stato Italiano e la Chiesa Cattolica per giungere a quella celebrazione comune con cui abbiamo iniziato questa rievo-cazione. L’Italia è rinata alla libertà e alla democrazia attraverso la se-conda guerra mondiale, la guerra di liberazione e la Resistenza, il mu-tamento istituzionale, la faticosa ricostruzione e la quotidiana battaglia per garantire a tutto il popolo, in tutte le sue componenti, un vivere li-bero in una società libera tesa al conseguimento delle mete più alte della civiltà e del progresso, ma ancorata saldamente alla libertà. La Chiesa ha avuto anch’essa il suo profondo travaglio. Scossa, richiama-ta alla sua missione apostolica universale durante il Pontificato di Giovanni XXIII, con il Concilio Ecumenico Vaticano II ha

210

___________________________________________________________________LA « QUESTIONE ROMANA »

spalancato nuovi panorami davanti alla sua azione, ha aperto nuove strade verso il mondo, non si è chiusa alla civiltà e al progresso, ma l’ha interpretata in chiave evangelica, l’ha promossa, l’ha guidata in nome di una rivelazione che non pone limiti all’umano intelletto.

E’ entrata la Chiesa nella dialettica delle forze contemporanee, si-cura della sua supremazia, ma per farla valere nel segno della libertà.

Su questo terreno l’incontro tra Chiesa e Stato, in occasione della celebrazione del Centenario di Roma Capitale, si comincia a compren-dere e continuerà a comprendersi. Certo, se si confrontano sul piano dell’oggettività storica le posizioni e le dichiarazioni delle parti di un secolo fa e quelle di oggi non si può condividere la definizione di Ar-turo Carlo Iemolo che la storia è “una serie di grandiose beffe”. Ma, se si ripercorre il cammino della storia e si medita attentamente sui fatti di ieri e di oggi, si troverà che la storia non muta beffardamente l’abito dall’oggi al domani, ma incide nei costumi, nelle coscienze fino a far-le maturare a certe realtà che ieri sembravano assurde, irreali, oggi so-no logiche, naturalmente inserite e armonizzate nel corso degli eventi umani. E così è stato per la questione romana, che si aprì oltre un se-colo e mezzo fa, divise gli italiani, ne esasperò gli animi e li fece sof-frire.

Oggi la questione romana è un capitolo chiuso della storia, e non perché non vi siano problemi ancora aperti da risolvere fra Stato e Chiesa. Problemi ce ne saranno sempre, finché il sole risplenderà sulle vicende umane. Ma riteniamo che, accettato dallo Stato e dalla Chiesa quella base comune di rapporti, quel denominatore comune che è la li-bertà, ogni problema potrà essere affrontato e risolto con rispetto reci-proco delle sfere d’influenza, quella temporale e quella spirituale, la-sciando infine alla libera coscienza di ciascun uomo l’assunzione fina-le e piena delle responsabilità.

Rispetto all’Italia e alla Roma del 1870, oggi ci sono queste realtà nuove, da un lato l’Italia repubblicana e democratica con i Cattolici nello Stato, responsabili con tutti gli Italiani della vita della nazione; dall’altro la Chiesa Cattolica di Giovanni XXIII e di Paolo VI, cui il Concilio Ecumenico Vaticano II ha dato una visione del mondo, che esige un impegno e una missione, che valica i confini di Roma e dell’Italia verso le terre ed i popoli più lontani.

Queste sono le dimensioni nuove, entro le quali Roma Capitale d’Italia e Roma Sede del Vicario di Cristo sono impegnate a sostenere

211

MATTEO FANTASIA___________________________________________________________________________

un ruolo di civiltà e di pace forse di gran lunga più alto e più arduo di quello che le menti dei nostri padri avevano vaticinato nei secoli pas-sati.

MATTEO FANTASIA

F O N T I

Archivio Vescovile - Conversano Archivio - Biblioteca Seminario ve-scovile - Conversano Archivio Seminario - S. Severo Archivio provinciale di Stato - Bari Archivio Biblioteca “De Gemmis” a Bari Biblioteca Comunale - Conversano Biblioteca nazionale "Sagarriga-Visconti" Bari Carteggio inedito Morea - Albero-bello Registro Parrocchiale - S. Paolo Ci-vitate

B I B L I O G R A F I A

ANGELO ANZILLOTTI, Gioberti. Firenze Vallecchi, 1922.

FRANCESCO BALDASSERONI, Il Rinnovamento civile in Italia. Fi-renze, Leo S. Olscki, 1931.

MICHELE BELLUCCI, Fr. Ant. M.a da Rignano nel suo corteg-gio con Mons. Bellucci. Napoli, Tip. Laurenziana, 1968 (e Mi-scellanea per il XIV centenario del Convento di San Matteo sul Gar-gano) a cura dell’Amm.ne prov.le di Capitanata, n. 2).

GIUSEPPE B0LOGNINI, Storia di Conversano. Bari, Canfora e C., 1935.

GEMMA CASO, La Carboneria in Capitanata. Napoli, Tip. Pierro e Figlio, 1913.

PIETRO COLLETTA, Storia del Reame di Napoli. Bari, Laterza, 1922.

NINO CORTESE, Il Mezzogiorno ed il Risorgimento italiano. Na-poli, Libreria Scientifica, 1965.

BENEDETTO CROCE, Storia del Regno di Napoli. Bari, Laterza, 1922.

SAVERIO DACONTO, La Terra di Bari. Trani,Vecchi,1911,parti I e II.

FRANCESCO DE AMBROSIO, Memorie storiche della Città di S. Severo in Capitanata. Napoli, Stab. Tip. De Angelis e figlio, 1875.

RAFFAELE DE CESARE, La fine di un Regno. Città di Castello, Casa Tip. Ed. S. Lapi, 1909, vol. I e II.

GUIDO DE RUGGIERO, Il pensie-ro politico meridionale nei secoli XVIII e XIX. Bari, Laterza, 1922.

BONAVENTURA GARGIULO, Apulia Sacra. Lo Diocesi di San Severo. Napoli, Festa, 1900, vol. I.

PIERO GIANCASPRO, La insurre-zione della Basilicata e del Ba-rese. Trani, Vecchi, 1895.

HAROLD HACTON, I Borboni di Napoli, Milano, Martello 1962.

IDEM, Gli ultimi Borboni di Napoli. Milano, Martello, 1962.

ARTURO CARLO JEMOLO, Chie-sa e Stato negli ultimi cento an-ni. Torino, Einaudi, 1949.

FRANCESCO LANZONI, Le Dio-cesi d’Italia. Faenza, Stab. grafi-co, 1927.

PASQUALE LIBERATORE, Della polizia ecclesiastica nel Regno delle Due Sicilie. Napoli, Stab. Strada del Salvatore n. 41, 1852.

ANTONIO LUCARELLI, I moti carbonari della Daunia alla luce di nuovi documenti. Foggia, Stu-dio Editoriale Dauno, 1939. Bi-blioteca del Risorgimento Pu-gliese, diretta da Mario Simone, n. 1.

IDEM, I moti rivoluzionari del 1848. Bari, « Archivio storico pugliese a, anno I.

212

___________________________________________________________________LA « QUESTIONE ROMANA »

IDEM, La Puglia nel secolo XIX. Bari, Ed. Adda, 1968.

FRANCESCA MARANGELLI, Il Collegio di Conversano. Bari, Cressati, 1952.

GIUSEPPE MASSARI, I casi di Napoli dal 29 gennaio 1848 in poi. Trani, Vecchi, 1895.

EUCARDIO MOMIGLIANO, Tutte le encicliche dei sommi pontefici. Milano, Ed. Dell’Oglio, 1959.

ANTONIO MONTI, Pio IX nel Ri-sorgimento. Bari, Laterza, 1928.

RENATO MONI, La Questione Ro-mana (1861-1865). Firenze, Le Monnier, 1963.

ADOLFO OMODEO, Vincenzo Gioberti e la sua evoluzione po-litica. Torino, Einaudi, 1941.

IDEM, L’età del Risorgimento ita-liano. Napoli, Ed. Sc. italiana.

NICOLO’ RODOLICO, Il popolo agli inizi del Risorgimento nell'I-talia Meridionale. Firenze, Le Monnier, 1926.

VINCENZO ROPPO, Nel Risorgi-mento del Mezzogiorno. Putignano, Tip. De Robertis, 1931.

C. G. Rossi, Sinodo Severopolitano. Napoli, Paciano Tipographio, 1826.

FRANCESCO RUFFINI, Linea-menti storici delle relazioni fra lo Stato e la Chiesa in Italia. Torino, Einaudi, 1941.

FRANCESCO COSIMO RUPPI, Giuseppe Mario Mucedola. Molfetta, Apicella, 1965.

IDEM, Domenico Morea nel suo carteggio inedito. Bari, Arti Grafiche Ragusa.

LUIGI SALVATORELLI, il pen-siero politico italiano dal 1700 al 1870. Torino, De Silva, 1948.

IDEM, Prima e dopo il ‘48.Torino, De Silva, 1948.

LUIGI SETTEMBRINI, La prote-sta del Regno delle Due Sicilie in « Scritti inediti » a cura di F. Torraca. Napoli, Soc. Comm. Libraria, 1909.

IDEM, Le Ricordanze della mia vi-ta. Torino, Un. Tipografico-editrice, 1965.

VILLANI CARLO, Risorgimento danno. Cronistoria di Foggia 1848-1870.Foggia, Studio Edi-toriale Dauno, 1960 (Raccolta di studi foggiani a cura del Comune, Nuova serie curata da M ario Simone, vol. I).

Cultura Regionale∗ Esiste in Italia un problema della cultura regionale. Esiste in Italia

un problema dell’innalzamento della cultura regionale. Non si tratta di un fatto regionalistico, si. tratta di un fatto che corrisponde alle condi-zioni storiche della nazione italiana. Per rendersene conto si pensi per esempio alle condizioni della Francia.

La Francia è Parigi, Parigi è la Francia. Chi conosca Parigi, cono-sce non dirò tutta la Francia assolutamente, ma conosce almeno i suoi quattro quinti. Cioè la cultura francese è accentrata e anche le minori università o le università periferiche risentono sempre della università centrale. Parigi esercita rispetto alla Francia quella funzione, accentra-trice che Roma non esercita rispetto all’Italia, nonostante gli ulteriori progressi delle città dal 1922, cioè da quando è avvenuto l’accentramento amministrativo. Ma l’accentramento amministrativo e l’accentramento politico non sono riusciti a costituire anche un accen-tramento di carattere culturale.

Roma è certo un grande centro di attività culturali, ma, per esem-pio, dal punto di vista editoriale, Roma ha una importanza alquanto limitata. Ancora i centri di cultura sono in Italia locali: Roma, Firenze, Milano, Torino, Napoli (Napoli ahimé, in misura minore, perché ora-mai è investita dalla decadenza che ci auguriamo transitoria; Napoli che invece una volta esercitava quella funzione che Parigi ha sempre esercitato in Francia: cioè tutta la cultura meridionale era esclusiva-mente cultura unitaria e cultura napoletana).

Esiste dunque in Italia un problema della regionalità culturale.Chi conosca Parigi, ripetiamo, conosce la Francia, ma chi conosca splendi-damente la Toscana non conosce l’Italia, per il fatto che la civiltà lom-

∗ Prelezione ai corsi universitari estivi svoltisi nella Settimana di studi sipontini

(14-19 settembre) in Siponto (Manfredonia) su iniziativa del Consorzio per la valorizza-zione di Siponto e per le cure dell’Atlante Fonetico Pugliese sotto gli auspici del C.N.D.

214

_________________________________________________________________________CULTURA REGIONALE

barda o la civiltà meridionale (o la civiltà pugliese, o calabrese, dentro la civiltà meridionale) hanno caratteristiche assolutamente individuali. Questa è veramente quella che si chiama un po’ poeticamente (lo di-ceva il Carducci) « l’Italia delle molte genti e delle molte vite », che non era una espressione retorica e che ovviamente ha efficacia posit i-va o negativa, ma solo fino a un certo senso negativa, perché oramai la unità civile è costituita e la struttura politica d’Italia saldamente unita-ria, è avvivata piuttosto che mortificata dalla molteplicità dei suoi cen-tri di cultura.

Orbene, in questa situazione storica, quale è il nostro compito in Italia? Lontanissima è un’aspirazione od ufficio regionalistico, tanto meno oggi che si costituiscono le regioni.

Non si tratta di perpetuare le differenze regionalistiche, ma di ap-profondire la conoscenza delle civiltà regionali entro l’ambito di una conoscenza generale della nazione.

Ogni conoscenza particolare della regione significa accrescimento della conoscenza della nazione, perché non esiste la nazione italiana in astratto, ma la nazione italiana è un insieme dialetticamente inteso di tutte le unità culturali, politiche, civili, tradizionali delle regioni.

Esiste dunque il problema regionale. Un problema che noi dob-biamo affrontare con molto equilibrio, con molta attenzione e con molta delicatezza. Dobbiamo cioè studiare le regioni nell’ambito ge-nerale della nazione, senza particolarismi dannosi, ma procurando in-sieme di non lasciar perdere le nostre tradizioni. Questa situazione è tanto più viva e tanto più significante precisamente per una regione come la Daunia.

Il problema a cui ho accennato, non è solamente un problema di carattere culturale e di carattere tradizionale, non serve solamente a preservare le culture locali, e non serve solamente a innalzare le cultu-re locali alla coscienza della nazione a cui appartengono o di cui si de-vono sentir parte, ma è un problema che fa parte di un tema, che è poi il problema fondamentale dell’Italia odierna e cioè il « problema meri-dionale ». Non bisogna mai perdere di vista che il nostro problema culturale è un aspetto preminente del problema meridionale. Io non mi stancherò mai di ripetere questa proposizione: il problema meridionale è stato visto sostanzialmente in funzione economica, in funzione di trasformazione socio-economica e anche politica, e invece il problema meridionale è anche un problema di carattere culturale. Se vogliamo che la nazione meridionale, la nazione napoletana, come dicono gli storici, assurga al livello di tutta quanta la nazione, non occorre sola-mente costituire le infrastrutture, come si dice, o dotarla di centri di

215

MARIO SANSONE______________________________________________________________________________

propulsione economica e di insediamenti industriali, ma occorre anche e principalmente, costituire una solida struttura, una serie di servizi di carattere culturale, che facciano acquistare all’Italia meridionale la co-scienza della funzione che essa deve assumere nell’armonia e nella complessità della nazione tutta. Non è possibile costituire una unità politica italiana, il cui problema fondamentale oggi è il problema me-ridionale, senza che accanto ai problemi di ordine politico o socio-economico, si pongano i problemi di carattere culturale. E’ la cultura che dà la coscienza del livello civile. E’ la cultura che dà la coscienza della propulsione economica. E’ la cultura che dà la coscienza dell’autonomia vera dentro la unità nazionale.

E allora domandiamoci: è possibile parlare di una autonomia di cultura della Puglia in genere e della Daunia in specie?

Anche qui bisogna guardarsi bene dalle esagerazioni. Non bisogna cioè andare al di là del segno. Ma anche tenendosi in una prudentissi-ma visione del carattere culturale della nostra regione, anzi della no-stra duplice regione (parlo della regione pugliese e della regione dau-na), anche guardando al problema con la maggiore cautela e senza nulla di campanilistico, noi ne possiamo affermare l’autonomia cultu-rale e possiamo riconoscere la possibilità di uno studio particolare del-la regione che si impianti sul livello scientifico e che costituisca una palestra per i giovani che vi appartengono.

Pensiamo per prima alla posizione geografica della Daunia. E’ for-se la provincia più felice, più varia, più aperta alle influenze civili da ogni parte. Verso il nord c’è la civiltà abruzzese, abruzzese-molisana, che ha un suo carattere particolare; verso occidente la civiltà campana che fa sentire la sua influenza. Verso sud la civiltà pugliese della re-gione Iapigia propriamente detta; verso Oriente le spiagge e il mare, e le influenze dell’Oriente.

E’ una regione straordinariamente significativa anche nella sua struttura fisica. Una regione costituita da un’immensa pianura, (quella pianura che serviva alla transumanza, quando, nella civiltà unitaria della Italia meridionale, costituiva un’unità organica con l’Abruzzo, che ormai si va distinguendo dall’Italia meridionale, e si va costituen-do come regione dell’Italia centrale), che ha da un lato il Subappenni-no con caratteristiche fisiche particolarissime e con esigenze e possibi-lità economiche rispondenti alla sua struttura, e infine dall’altro lato, verso est, la montagna isolata che forma il promontorio garganico con le straordinarie bellezze dei suoi contorni e delle sue foreste che costi-tuiscono altre possibilità, dal punto di vista turistico e dal punto di

216

CULTURA REGIONALE

Atto privato barese vergato nel dicembre 1027 del diacono Pandone.

Le particolari condizioni politiche e culturali della Puglia consentirono agli scribi di questa regione di elaborare, per partendo dalla «beneventana», un bene indivi-duato linguaggio grafico, infine abbandonato per nuove forme quando l’autonomia culturale pugliese declinò e finì per esaurirsi nel XIII secolo.

ARMANDO PETRUCCI, «Scrittura e cul-tura nella Puglia alto medioevale », in « la Capitanata » 1967, p. 2a, n. 1-3.

« Omiliario » - di poco anteriore al 1060 – che si può attribuire a Troia.

… In Troia fu molto probabilmente scritto qualche tempo prima del 1060 uno dei bei manoscritti esistenti in scrittura barese: l’«Omiliario» VI B 2 della Biblio-teca Nazionale di Napoli…

(A. Petrucci, luogo cit.)

_________________________________________________________________________CULTURA REGIONALE

vista paesistico. E’ una delle più suggestive terre d’Italia, ma anche — ancora! —

delle meno conosciute. Desidero ricordare, in questa occasione il con-tributo dato dalla città di Foggia e dalla provincia di Foggia ad una mia recente iniziativa. Quest’anno c’è stato un congresso internaziona-le di letteratura italiana, che io ho desiderato avesse luogo in Bari, e che a Bari si è svolto. Il congresso si è spostato, come qualcuno di voi ricorderà, nella Puglia meridionale, e quindi, qui, a Foggia, visitando purtroppo per la brevità del tempo, solamente Lucera e Troia.

E’ stata una vera e propria rivelazione per colleghi non solamente d’Italia, ma di tutte le parti d’Europa e del mondo, dal Giappone alla America, all’Asia occidentale, all’Africa settentrionale, conoscere questa regione nella varietà straordinaria dei suoi aspetti. E’ stato un fatto assolutamente nuovo, perché, come tutti sanno probabilmente, per gli stranieri l’Italia meridionale finisce a Napoli. Quando invece, oltre Napoli, c e tutto un altro mondo. Molti ancora credono che al di là di Napoli siano i leoni: « hic sunt leones », e quasi il deserto o la barbarie. E invece nel deserto, come sapete, c’è questa straordinaria ricchezza di iniziativa è varietà di civiltà, di paesaggio e di insedia-menti particolari.

Si può dunque parlare di un’autonomia culturale della regione pu-gliese e, dentro di essa, di una autonomia della Daunia. E se ne può parlare prima di tutto per ragioni culturali propriamente dette, e in senso stretto. Non starò qui a fare l’elenco, che sarebbe lunghis simo. Ma alcuni nomi indicativi, semplicemente indicativi, staranno a signi-ficare il contributo arrecato da questa terra al cammino della civiltà nel corso dei tempi.

E comincerò dall’epoca moderna e mi fermerò a qualche brevissi-mo nome: da Pietro Giannone a Celestino Galiani. Tutto il grande ‘700 riformatore napoletano (lascio indietro tutta la civiltà anteriore a cui hanno arrecato contributo e la Puglia e questa regione), attraverso l’opera illuminata di Celestino Galiani e attraverso l’opera imperterrita del Giannone (che ad essa prelude), nella difesa del laicato dello Stato, ha costituito uno degli elementi fondamentali della civiltà meridiona-le. E’ un fattore che certamente si è alimentato delle tradizioni giuridi-che e delle tradizioni culturali di Napoli, ma che recava in un sè pure quel senso di concretezza, quel fervore, quella tenacia di battaglia, quella fede imperterrita che costituiscono caratteri particolari delle genti della Daunia. Questa tradizione di civiltà e di cultura si è alimen-tata in ogni tempo, e basterebbe, per l’età postrisorgimentale ricordare il Bozzini o il Salandra, il quale non fu solamente un uomo

217

MARIO SANSONE______________________________________________________________________________

politico, ma, come è noto, fu maestro nell’ambito degli studi del dirit-to pubblico. E fu scolaro del De Sanctis, come molti altri pugliesi che appartennero a quella gloriosa scuola desanctesiana che era il crogiolo di tutta quanta la civiltà meridionale: sia la prima scuola, dal 1840 al 1848, sia, e più particolarmente, la seconda, che va dal 1870 fino al 1875.

Francesco De Sanctis, è bene non scordarlo, è uno dei grandi per-sonaggi dell’Italia meridionale, che è stato deputato parecchie volte di collegi pugliesi, da Trani a San Severo. L’ultima volta, quando gli fu fatto un affronto dai suoi concittadini dell’Irpinia, furono gli elettori della Puglia che lo vollero deputato e lo mandarono deputato al parla-mento nazionale.

E’ anche questo un fatto da ricordare attentamente, perché allora i deputati, come tutti sanno, non uscivano dai comizi universali, ma e-rano eletti solamente da una ristretta cerchia di votanti che costitui-vano la classe dirigente.

Dal punto di vista culturale dunque, è innegabile una tradizione: e io non ho fatto che qualche cenno pallidissimo rispetto alla sua con-sistenza. Ma c’è anche una tradizione dal punto di vista storico. La funzione storica che ha avuto la Puglia nei secoli, e la Daunia in ispe-cie, è particolarissima, specialmente sul piano storico-economico, ed esprime sempre particolarmente gli indirizzi politici dei nostri tempi. La struttura sociale particolarissima della Puglia, regione fondamen-talmente contadina, rende la Puglia in genere e la Daunia in ispecie, una specie di concentrato della lotta politica italiana. Dal 1890 sino ai nostri giorni, nell’alternanza dei poteri e dei partiti (io faccio, natural-mente, accenni storici con assoluta distanza) si rispecchia qui la fon-damentale condizione della Nazione, in alcuni nodi particolarmente sensibili.

Da un lato i proprietari terrieri e dall’altro lato le grandi schiere dei contadini, del contadiname, del bracciantato, hanno dato luogo a lotte memorabili in questa parte d’Italia. Nè in Campania, nè in Abruzzo, si è verificata questa condizione di cose, né, specialmente nella Puglia meridionale: solo nella Puglia centrale, e più particolarmente qui nella Daunia si è sviluppata una lotta politica così qualificata come proba-bilmente non si è avuta (e con altri caratteri) che solamente nelle Ro-magne. Occorre, a questo proposito, ricordare che una notevole parte dell’economia del regno di Napoli si reggeva su questa provincia. La transumanza costituiva qualcosa come circa la metà nel bilancio del Regno borbonico. Quindi lo studio dell’attività economica e della tra-

218

_________________________________________________________________________CULTURA REGIONALE

sformazione successiva di questa regione, sul piano storico, costituisce un altro argomento di studio fondamentale. E’ un argomento non solo regionale, ma che attraverso l’illuminazione della vita civile dell’Italia meridionale può dare la possibilità di illustrare più largamente tutta la storia politica d’Italia.

Accanto a questo aspetto della cultura aduna bisogna porre quello linguistico, paleografico, folcloristico. So che l’amico Melico ha intro-dotto una lezione di paleografia di un giovane maestro della paleogra-fia italiana, che è locale, che appartiene a questa nostra provincia, ed è figlio di un nostro concittadino illustre. Tutta questa provincia costi-tuisce uno dei centri fondamentali degli studi paleografici. I quali, in-tesi nel loro significato più approfondito, costituiscono non un ele-mento sussidiario, ma un fatto centrale nell’ambito degli studi storici. E basterebbe per l’importanza della Daunia sotto questo aspetto pen-sare a certi centri di straordinaria importanza, come ad esempio, a Troia.

Troia costituisce, nell’ambito degli studi di paleografia, un centro che darebbe da studiare a generazioni di studiosi. E la possibilità di il-lustrare non solo Troia, la piccola Troia rappresentata da quello stu-pendo monumento che è il suo Duomo e che ora sembra quasi spro-porzionato alla sua angustia di cittadina, ma tutta quanta l’Italia meri-dionale. E con la cattedrale di Troia, il Santuario di Monte S. Angelo costituisce non un fatto regionale e particolare, ma un fatto di civiltà addirittura europea in tutto il Medioevo.

Così questa piccola regione, piccola rispetto all’Italia, piccola ri-spetto all’Europa, ha un suo significato europeo, significato che si conferma nell’ambito della sua storia dell’arte, soprattutto medievale. C’è bisogno che io ricordi che questo fu un grande centro della civiltà normanno-sveva, e il centro preminente della civiltà sveva? Federico Il amò questa regione con aperta predilezione e morì in questa terra, in un castello di cui adesso rimane solo il nome e più nulla se non uno spartito ricordo. E visse quasi tutta la parte della inquieta vita che tra-scorse in Italia meridionale in questi splendidi castelli che egli per ra-gioni di difesa e per ragioni di diporto aveva costruito in questa re-gione. E rimangono ancora testimonianze della sua potenza e del suo disegno politico, rivolto non soltanto a settentrione, ma all’Oriente da un lato e all’Occidente dall’altro lato.

Anche sul piano artistico ci troviamo dunque di fronte ad una unità organica, ad una unità significante, ad una unità autonoma. Non si tratta per la Daunia di una regione sussidiaria di altre regioni, ma di

219

MARIO SANSONE______________________________________________________________________________

una terra capace di una sua invenzione artistica, di una terra in cui, ad esempio, il romanico si conformò in guisa particolarissima.

Ma, per quanto attiene alla storia dell’arte, non si tratta solo della grande architettura sveva, qui, in Daunia (come in altre zone di Pu-glia). E’ bene chiarire (e mi rivolgo particolarmente ai giovani) che vi sono grandi tracce di monumenti del Rinascimento, e tracce di monu-menti anche qui barocchi, e poi settecenteschi e ottocenteschi, che vanno ancora studiati. Anche nell’ambito della pittura bisogna tener presente che non è vero che sia esclusiva o preminente la influenza della pittura veneziana, giacché è palese l’influenza della grande pittu-ra secentesca napoletana. Tutti campi di cultura che sono aperti alla indagine dei giovani.

E che dire dei problemi di indagine linguistica, vale a dire della particolarissima condizione linguistica di questa provincia? Perché an-che questo è un problema italiano, squisitamente italiano: il problema del rapporto tra la lingua e i dialetti.

Questa vecchia questione ritorna sempre, e si lamenta la corruzio-ne della nostra bella lingua di tradizione. E anche questo è un proble-ma da connettere con i problemi regionali propriamente detti. La lin-gua italiana è stata sempre, va ben detto, una lingua convenzionale, una lingua che si impara nella scuola. In realtà, per ciascuno di noi la « nostra » lingua è il dialetto, e solo a scuola abbiamo imparato a « tradurre » dal dialetto nella lingua italiana. E questo è, ripeto, un fatto regionale e nazionale di grandissima importanza.

Oggi, accade che si va costituendo una lingua comune e parlata che tende a diventare una lingua popolare-nazionale, secondo il detto di Gramsci, ed è proprio in questo momento che si fa viva e improro-gabile la necessità di consacrare, di raccogliere tutte quante le tradi-zioni linguistiche locali e cioè di studiare e ordinare le tradizioni lin-guistiche dialettali. E non per contrappone alla lingua nazionale, la quale ormai si è piegata alle esigenze regionali (ogni regione reca il contributo liberamente alla lingua), ma perché nella lingua c’è la te-stimonianza maggiore di ogni forma particolare di civiltà.

I nostri nipoti, i nostri ragazzi non capiscono certe volte i vecchi contadini che parlano in dialetto. I dialetti sono assediati in ogni modo dalla lingua nazionale; dovunque arriva la radio, la televisione, dovun-que i mezzi di comunicazione di massa portano questa lingua che si chiama media e comune. Nella scuola stessa si insegna non più una lingua classicamente formata, rigidamente e grammaticalmente strut-turata, ma una lingua più aperta, più viva, più mobile, più sensibile

220

_________________________________________________________________________CULTURA REGIONALE

alle esigenze moderne e contemporanee. Ma mancherei, in questa rapidissima scorsa, a un mio dovere pre-

ciso e parlerei quasi come un letterato egoista se accennassi solamente alle ragioni di ordine culturale, e più specificamente culturale-letterario, a proposito dell’autonomia spirituale della Daunia e non parlassi o accennassi almeno, perché non è mia competenza, alla stra-ordinaria ricchezza, dello studio di questa regione, dal punto di vista scientifico e socio-economico, sia per la specialissima natura dei ter-reni, del suolo e del sottosuolo, sia specialmente per i problemi di ca-rattere sociali. Perciò io sono stato lieto dell’annuncio che ha dato il presidente del consorzio di un concorso per una tesi di laurea, non so-lo letteraria ma sopra un qualsiasi aspetto della civiltà della Daunia.

Se vogliamo dunque parlare di una positività della nostra iniziati-va, noi la ritroviamo nelle sorgenti storiche, nelle radici tradizionali, nelle prospettive future. E’ per questa ragione che io ho accolto così prontamente l’invito del mio caro amico Melillo.

Se si fosse trattato di una iniziativa regionalistica o particolaristica, pur trattandosi di una regione o di una provincia così cara al mio cuo-re, io non sarei venuto. Ritengo che i politici che mi ascoltano, (e quelli che non mi ascoltano), i cittadini tutti della nostra regione, deb-bano acquistare la coscienza della importanza della regione, della sua collocazione nell’ambito dell’Italia meridionale e della necessità orga-nica, sostanziale, di risolvere certi problemi o di prospettarseli in una programmazione illuminata.

Ma, a prescindere da questo — e finisco subito — questa nostra i-niziativa è importante per le ragioni che ha indicato rapidissimamente il nostro Melillo (i linguisti, come sapete, sono avarissimi di parole, nonostante che trattino sempre di parole). Oggi è impossibile, anche per ragioni legislative, parlare di iniziative universitarie, ma è impor-tante che ci sia la presenza di questa necessità civile della regione dauna: e non si può agire oggi che attraverso questi corsi. Stando ac-canto ai nostri giovani, i giovani di questa provincia, noi affermiamo la presenza civile, la maturità organizzativa, la maturità economica, la possibilità di attuazione di istituzioni che corrispondono alle esigenze della regione e insieme della nazione. E voglio dire anche un’altra co-sa, che si collega a quello che ho accennato circa i rapporti di questa iniziativa col problema meridionale. La provincia di Foggia è un po’ tirata verso Bari, un poco tirata verso Napoli, un poco tirata verso Roma; questa situazione fa sì che i giovani della provincia dauna

221

MARIO SANSONE______________________________________________________________________________

siano dei meno orientati, dei meno collegati, dei meno uniti nella loro attività culturale e scientifica. Noi pensiamo di legarli a noi attraverso questi corsi e quindi di predisporli alla necessità che essi avranno di un combattimento non facile per l’acquisto dei loro « posti ». Perché, dopo il « boom » della possibilità di occupazione da parte dei giovani insegnanti, che c’è stato finora, adesso si va verificando il fenomeno inverso, triste fenomeno per una nazione che non sa programmare at-tentamente e tempestivamente le sue esigenze. Pure nell’ambito della scuola è accaduto che ci si sia abbandonati alla legge della domanda e dell’offerta. Si è avuto uno sviluppo enorme della scolarità, e quindi una esigenza enorme degli insegnanti. Molti giovani, senza vocazione all’insegnamento (nonostante che lo insegnamento come carriera non offra grandi soddisfazioni, come si dice, né economiche, né sociali, e non è di quelle che attirano facilmente in Italia meridionale, dove la disoccupazione intellettuale non è minore né inferiore rispetto alla di-soccupazione manuale propriamente detta,. sono corsi a fare gli inse-gnanti. Sicché si è avuta l’inflazione di laureati per le materie di inse-gnamento (scienze, lettere, matematiche, lingue ecc.), e adesso si sta determinando il fenomeno inverso. Fenomeno inverso a cui si procura di porre rimedio nei modi che voi sapete per recentissimi provvedi-menti amministrativi.

Ora i giovani che erano più abbandonati a se stessi ed avevano mi-nori possibilità di combattimento in questa lotta per l’acquisto di un « posto » erano i giovani della Daunia.

Io li sentivo, li avvertivo distaccati, spesso impossibilitati a fre-quentare l’università per ragioni che non starò a dire, in una regione un poco isolata, specialmente quelli del Subappennino, e quelli della montagna. E allora c’è bisogno che noi li richiamiamo alle esigenze degli studi, che noi li rinvigoriamo, che noi li prepariamo, sia per le necessità della scuola, sia per loro stessi, sicché essi rafforzino la loro preparazione, che spesso è stata frammentaria, o manchevole sia per le condizioni dell’Università, che non è più in condizione da reggere al peso e al compito a cui essa dovrebbe assolvere, sia per la situazione particolare della regione.

Perciò questi nostri incontri hanno anche una loro funzione sociale rispetto alla categoria dei laureati e degli insegnanti, esposti ora al ri-schio dell’isolamento, della disoccupazione, e della debolezza di fron-te alle difficoltà che si trovano ad affrontare.

Ma questa nostra riunione può avere anche un’altra importanza. 222

_________________________________________________________________________CULTURA REGIONALE

Sapete che si parla molto di sperimentazione didattica. Se ne parla

a tutti i livelli. Se ne parla a livello della scuola elementare, della scuola media, della scuola secondaria superiore. Se ne parla anche a livello universitario. In verità chi provvede e chi pensa alla riforma u-niversitaria pensa più a riforme strumentali che a riforme organiche. E invece il problema non è, o non è soltanto, di rompere certi potentati ovvero organizzazioni baronali, il problema è didattico, è di struttura, è di capacità di comunicazione.

I giovani vogliono una comunicazione diversa da quella che si è avuta sinora. Del resto anche questo problema è vecchio, non perché tutti i problemi sono sempre un po’ vecchi, ma perché proprio in que-sta Italia meridionale un esperimento di questo genere è stato già ten-tato e sempre da quel grandissimo maestro al quale dobbiamo volgere gli occhi, e cioè Francesco De Sanctis, il quale quando tornò alla scuo-la tra il 1870 e il 1875, si proponeva proprio di insegnare in nuovo modo, cioè non di insegnare cattedraticamente, ma di lavorare insieme con i suoi scolari e di stimolarli a ricerche personali. Non nel senso che gli scolari, come alcuni credono, specialmente dopo l’ultimo pe-riodo contestativo, abbiano una specie di illuminazione divina per ef-fetto della loro giovinezza, per cui diventano ricercatori e creatori di scienza per dono celeste, ma per il fatto che attraverso l’acquisizione del metodo e la ricreazione personale del patrimonio culturale messo a loro disposizione, acquistano coscienza delle difficoltà, del valore del-la ricerca e si dispongono, con concreto senso storico, a continuare e svolgere il cammino già percorso.

Potremo, dunque, in queste nostre riunioni fare anche sperimenta-zioni didattiche, sperimentazioni rivolte, prima di tutto ai futuri in-segnanti, perché spesso gli insegnanti, anche quando sono preparati culturalmente, (ahimé) non hanno esperienza didattica. E la nostra scuola ha bisogno di essere rinnovata didatticamente: non solo la scuola universitaria, che spesso si libera delle sue remore attraverso un generale lassismo, ma la scuola secondaria, che è una delle scuole più tristi e tormentose che vi siano.

Gli scolari devono abituarsi in quella scuola a vivere con letizia, a costruire, ad acquisire il sapere con letizia. Una delle cose più tristi in Italia è la scuola secondaria; dove è triste il professore che si annoia, dove è triste l’alunno che si annoia e vive intimidito e dove sta, immo -bile presenza, la scuola, incolpevole responsabile. E invece non c’è nulla di più gioioso, di più sereno, di più lieto, di più spontaneo della comunicazione della cultura.

223

MARIO SANSONE______________________________________________________________________________

Orbene, se la scuola italiana è afflitta da tali malanni noi non so-

lamente cercheremo di rinnovare la cultura dei nostri giovani, ma pro-cureremo di aiutarli anche suggerendo loro espedienti didattici, cioè comunicando ad essi il frutto della nostra oramai (parlo della mia) se-mi-secolare esperienza.

Accanto a questa sperimentazione di tipo didattico-scolastico, la sperimentazione scientifica. Quelli che hanno attitudini particolari la-voreranno insieme con noi. Procureremo di non fare lezioni cattedrati-che, ma di vivere insieme coi giovani, e di parlare di problemi che li interessano direttamente. Essi senza pretese, noi senza pretese. Essi te-stimoniando quello che desiderano, noi offrendo quello che possiamo. Potremo così istituire una familiarità di intenti, una novità di rapporti, una ricchezza e vitalità di contatti e di scambi, che potrebbe anche co-stituire un esempio di qualche importanza per la vita futura della Scuola e della Università in Italia.

Tutto questo era quello che volevo dirvi. Ve l’ho detto in maniera alquanto affrettata e disordinata, come era fatale, per molte cose che dovevo dire, e ve ne chiedo scusa. Ma soprattutto io intendo, con-cludendo, compiacermi per questa iniziativa, e ringraziare tutti gli a-mici e tutti i concittadini convenuti qui per una riunione che non ha nulla di ufficiale, nulla di assembleare, nulla di contestatario. E’ il no-stro un convegno di persone di buona volontà, che vogliono capire il mondo che si svolge intorno a loro, e aprire gli occhi dal piccolo mo n-do della regione al mondo e alla vita e alle ragioni della vita. Perché al fondo di ogni elemento di cultura c’è questa esigenza di intendere i re-ligiosi motivi della nostra vita e di riconsacrarne le motivazioni pro-fonde. Tutto questo noi avremmo intenzione di fare, pur sapendo — come voi sapete — che il lastrico dell’Inferno è fatto di buona volon-tà. Ci perdonino i giovani, ci perdonino gli amici se quello che faremo sarà sproporzionato alla nostra buona volontà ed alle nostre ambizioni.

Noi faremo come suggeriva Machiavelli, che, cioè, per raggiunge-re un bersaglio anche mediocre, bisogna mirare il più alto possibile. Noi ci contenteremo di arrivare alla metà di quello che ci siamo pro-posti, o di iniziare soltanto quello che ci siamo proposti di fare. Con questo augurio, con questa speranza, con questa fiducia, rinnovo i rin-graziamenti a tutti gli amici presenti, e rivolgo un saluto particolare ai giovani che sono venuti qui tra noi.

MARIO SANSONE 224

La dimensione politica dell’educazione e il senso di una iniziativa

Come è noto, sabato 24 aprile, ha avuto luogo nel salone dell’Am-

ministrazione provinciale di Foggia, il conferimento a Cesare Zavat-tini del premio letterario « Terra salda », ideato dai ragazzi della « Ca-sa » di Deliceto e realizzato in collaborazione con l’avv. Berardino Tizzani, presidente della Provincia, la cui sensibilità di politico si è si-gnificativamente innestata con un diverso e più moderno assetto del rapporto educazione-politica e quindi società-individuo che è alla base del pensiero contemporaneo.

L’iniziativa rappresenta, così, la verifica di tale ipotesi e dà al di-scorso il senso della concretezza. Essa è nata dall’esigenza che « l’a-zione rieducativa venga decisamente condotta nell’alveo del diritto ci-vile e qualificata come diritto di ogni minore all’educazione » e cioè « alle condizioni più favorevoli alla sua crescita umana positiva e co-struttiva nella società » (Radaelli).

Tale esigenza mentre postula la necessità di sganciare il fatto edu-cativo da ogni tentazione o impostazione repressiva, afferma un di-verso più umano e autentico atteggiamento relazionale adulto-giovane, di modo che le esperienze di vita si qualificano come ricerca personale e comunitaria, in cui adulti e giovani - continua il Radaelli - « siano co-protagonisti nelle scelte che fanno insieme. Questi presupposti rin-viano ad un discorso di fondo della problematica educativa nel- l’attuale momento storico della società, sulla linea dell’orientamento cui sopra abbiamo accennato.

Un dato ormai acquisito dalla coscienza comune è che la realtà contemporanea è dominata da una profonda crisi che interessa tutti i campi, da quello sociale ed economico, a quello della politica, della scienza, della psicologia, dell’etica ecc. E’ in atto, nel mondo, una va-sta rete di rivoluzioni culturali con sintomi più o meno appariscenti che sono destinate a modificare enormemente il futuro corso della vita sociale, economica, politica dei popoli.

225

GUIDO BRUNETTI_____________________________________________________________________________

Determinante, a nostro parere, è stata la contestazione globale. La

« libecciata » della contestazione non ha risparmiato nemmeno le « strutture » fondamentali della Chiesa. Una rivolta in pieno, insomma, da non potersi pensare se non « con la rivolta di tutto un sistema nel quale ognuno ha naturalmente il suo posto » (L. M. Personé).

L’uomo d’oggi, mentre è sottoposto a una dura revisione di auto-critica per riconoscere le sfasature, le incongruenze, i pregiudizi e gli errori della sua eredità culturale, si sforza — attraverso interne lace-razioni — di uscire da uno stato di minorità culturale, di trovare la propria identità storica ed esistenziale.

Emergono, così, nuove classi sociali, nuovi gruppi di intellettuali, nuove classi politiche, nuovi orientamenti che sottoporranno la cul-tura, le istituzioni, i valori ad un processo che potrà assumere anche toni drammatici a causa degli interessi a cui sono fortemente radicati.

In questa fase così acuta di rivoluzioni culturali è chiaro che si ponga il problema educativo, con prospettive e istanze nuove. Nel-l’ambito della progettazione educativa il terreno culturale è il più fe-condo di incontri e di scontri.

Quando « il vecchio regime crolla » - sostiene il Valzey - « cade con esso anche il relativo sistema scolastico » ed educativo. Perciò in fase di « progresso economico è assurdo — aggiunge l’A. — parlare di un qualsiasi programma a lungo termine ». E ciò a causa di una « serie di oscillazioni incontrollate da una direzione all’altra, che cor-rispondono agli scossoni e ai mutamenti di direzione del corso econo-mico e sociale ... » (L’educazione nel mondo moderno, Milano, Il Sag-giatore, 1967).

Una funzione di primo piano nei rivolgimenti verificatisi soprat-tutto nei paesi in via di sviluppo hanno avuto gli studenti. La loro a-zione ha consentito l’emergere di conflitti che hanno creato problemi di grande risonanza. Più particolarmente essi vogliono — tra le altre cose — la formazione di una coscienza politica, il diritto di par-tecipazione politica, la formazione di personalità congruenti con le ri-chieste della società.

A questo punto — precisa Habermas — sorge un’alternativa per la politica: a) la possibilità che la democrazia si sviluppi in senso sociale; b) il pericolo di una regressione in senso autoritario. Il metodo sugge-rito dall’A., consiste nel sensibilizzare contro la repressione attraverso l’apporto critico, dinamico, responsabile e fattivo di tutte le forze.

Bisogna — precisa Habermas — innalzare la sensibilità a cate-

226

_____________________________________________________DIMENSIONE POLITICA DELL’EDUCAZIONE

goria politica. E’ proprio la dimensione politica dei fatti educativi che sta emergendo come presa di coscienza e come possibilità di aprire sviluppi e prospettive nuovi. Con ciò si vuole sottolineare un punto di partenza fondamentale, e cioè che i bisogni del singolo si soddisfano solo all’interno e tramite la società e perciò è importante verificare la sua composizione e la rete delle forze politiche, accanto all’analisi del-le trasformazioni economiche e tecniche.

E’ questo un momento significativo — precisa il Fornaca — più ancora dell’accertamento della scientificità di questa o di quella teoria educativa: in sostanza — si precisa — si tratta di determinare da quale « utero sociale » è uscita o sta per uscire questa o quella teoria. La ba-se di riferimento non può essere diversa, aggiunge l’A. citato: ne sono testimonianza La Repubblica di Platone, La Politica di Aristotele, Il Principe del Machiavelli, L’Utopia di Tommaso Morò, La Città del Sole del Campanella, Lo Spirito delle Leggi di Montesquieu, Il Con-tratto Sociale del Rousseau, Il Capitale di Marx, per arrivare fino alle opere del Dewey.

Stabilita — come già avvertiva Salvemini — la connessione tra strutture educative e quelle politiche, economiche e sociali, ne di-scende la constatazione che solo dove « si sono verificate profonde trasformazioni politiche » anche il fatto educativo ha « subito muta-menti d’indirizzo, di metodo, di programmi ».

Nel mondo contemporaneo va sempre più affermandosi l’orienta-mento secondo cui gli studi, i programmi, le riforme, il rapporto adul-to-ragazzo, sono legati solo in minima parte all’indirizzo dottrinario, ma molto di più alle forze politiche, sociali ed economiche. Le struttu-re educative in atto sono — è stato rilevato — un tipo particolare di pedagogia istituzionalizzata e la loro trasformazione richiede la deli-neazione non solo di nuovi orientamenti, ma di « precise forze politi-che », in sostanza di una volontà politica. D’altra parte è inutile scan-dalizzarsi o recriminare — si è precisato — come fanno studiosi ed educatori per l’insensibilità di alcune forze politiche; per le riforme ed i nuovi metodi educativi, bisogna convincersi che la « penetrazione e l’assunzione delle nuove istanze nel processo politico può avvenire solo se non si verifica un arroccamento delle classi dirigenti sui vecchi schemi educativi » (Fornaca).

La valenza politica del fatto educativo consiste allora nel seguire con attenzione i fenomeni politici, sociali, economici e culturali in quanto elementi che controllano e dirigono le strutture. Il rapporto

227

GUIDO BRUNETTI_____________________________________________________________________________

adulto-ragazzo deve essere sì sorretto dalla « partecipazione » e dallo impegno personale, ma soprattutto dalla società, poiché l’educazione è un fatto corale. Il giovane oggi viene posto subito alle corde e la « conta comincia ai primi round se non impara subito a lottare ». Si ren-de indispensabile, in sostanza, effettuare delle scelte operative e tra es-se assumerà una rilevanza essenziale quella politica.

Oggi non è più pensabile impostare un rapporto educativo facendo astrazione dalla politica, meglio dall’organizzazione della società. La soluzione migliore rimane l’unità tra una concezione scientifica mo -derna e « l’impostazione ed il perseguimento di una strategia politica fortemente unita alle oggettive condizioni storiche », intese in rappor-to alle forze che la determinano.

In tale visione, quale dovrà essere il ruolo dell’educatore? A tale riguardo dice bene Occulto quando sostiene « sotto questo punto di vi-sta appare estremamente povera e inefficiente la prestazione che spes-so si richiede agli educatori con obiettivi rivolti, spesso, alle sole esi-genze dell’organizzazione di un internato ».

« Quanto meschine — aggiunge l’A. citato — appaiono allora l’attenzione e gli sforzi compiuti perché i ragazzi facciano le pulizie; si rechino in orario in officina; osservino l’obbligo religioso della messa e tanti altri obblighi, creati dall’Istituto ma senza o con scarsa risonanza con la realtà, con la posizione « globale » dell’individuo di fronte ai problemi del nostro tempo ».

Tale stato di cose è ancora più aggravato dalla mancanza da parte degli educatori di due esigenze fondamentali che l’Occulto indica: 1) nella dimensione « storica » del ruolo dell’educatore; 2) nell’ “esprit de recerche” dell’educatore.

Anzitutto una dimensione — sottolinea — che si realizza attra-verso un atteggiamento interiore e una « presentificazione attiva » nei confronti delle complesse mutazioni che avvengono nella realtà nuo-va, sociale, europea, mondiale del nostro tempo.

Inoltre, all’educatore si chiede di essere e di sentirsi impegnato, nel senso di possedere una presa di coscienza dei problemi educativi e sociali e di « operare » secondo una chiara professione di fede: non si può essere ignoranti, né agnostici né conformisti. Di qui allora l’e-sigenza di prendere coscienza del proprio stato, della propria colloca-zione nei contesto sociale, di ciò che possiamo fare, del cammino che siamo in grado di percorrere, delle difficoltà.

Il nuovo ruolo dell’educatore dovrà essere ricercato ponendosi al 228

OMAGGIO A GAWSWORTH

_____________________________________________________DIMENSIONE POLITICA DELL’EDUCAZIONE

momento in cui opera, in costante dinamismo nei confronti dei mo -delli stereotipi che dà la società, per contrastarli in senso alternativo, individuando non più l’individuo — sostiene il De Bartolomeis — come prodotto di un adattamento ai modelli competitivo-autoritari, le cui scelte sono di fatto nulle, essendo privato del concetto di interrea-gibilità con l’ambiente all’atto della propria individualizzazione, ma di individuo prodotto da un dinamico rapporto con una realtà modificabi-le dal suo intervento, che si realizza non su standards autoritari uni-voci, ma su modelli comportamentali interregibili nel rapporto tra sé e mondo.

GUIDO BRUNETTI

Omaggio a John Gawsworth amico della libertà, della poesia e della Daunia

Le effemeridi letterarie del 1970 registrano la morte a Londra di

John Gawsworth: un nome che, forse, non direbbe nulla a quanti in Puglia sono estranei alla cultura inglese, se oggi « la Capitanata » non lo ricordasse. Vuole offrire questa rassegna doveroso omaggio alla memoria di quel Refrattario, illustre cittadino del mondo, con una esatta notizia, utile agli immemori e ai giovani di oggi, agli studiosi e ai curiosi, che ci succederanno tra i libri e nelle lotte, per la « promozione» culturale del popolo, la giustizia sociale e la collaborazione internazionale, da lui perseguite.

Ad esaudire le esigenze della informazione, qui di seguito si pub-blicano un saggio critico di Antonio Casiglio, alcuni significativi com-ponimenti del Gawsworth con autografo e ritratti, e un discorso del suo medico dott. Precope. Sono documenti legati al Premio naz. di poesia « Umberto Fraccacreta », assegnato dalla Società Dauna di Cultura gli anni 1953 e 1957: una iniziativa suggeritaci anche dall’amicizia fraterna dello scomparso Poeta del Tavoliere e del suo sodale inglese, realizzata con coscienza e sensibilità nuove.

Per quel concorso richiamammo tra noi il Gawsworth, che fin dal 1946 avevamo ricordato nella nostra « Puglia » con un articolo dello stesso Casiglio: riattivando il carteggio epistolare del Fraccacreta, interrotto alla sua morte, promuovendo e curando l’edizione di Maggio d’Italia - La Gradogna, lanciammo un ponte culturale tra Foggia e Londra, come documentò la mostra allestita il 1957 e testimoniò il Precope, intervenendo alla premiazione dello stesso anno.

Ma non è tutto, perché sulle fonti da noi raccolte per l’archivio della Società Dauna di Cultura, Maria Vittoria Venturo Lamedica, creatura anch’Ella di Poesia, ha lavorato, per consegnare al tempo la storia autentica∗ della stagione culturale, fiorita sul Tavoliere con Umberto e John, e con tanti anziani, giovani, giovanissimi, che riunimmo loro intorno ed oggi abbiamo il privilegio di riconvocare sul filo dei ricordi, sollecitati dalla comune fede nell’avvenire solare.

MARIO SIMONE

∗ Reca il titolo Umberto Fraccacreta, poeta del Tavoliere, ed è apparso nelle

edizioni del C.E.S.P. - Napoli-Foggia-Bari (in 8°, pp. 128, pres. di M. Simone, ritr. giovanile del F. in sopraccoperta disegnato da Scoppetta, tavole ill. di Schingo).

230

Un inglese poeta e soldato in terra dauna∗

Il 15 dicembre 1943 un sergente dell’aviazione inglese, T. I. F.

Armstrong, suonò alla porta di Umberto Fraccacreta, in San Severo, e chiese di vedere il poeta. Da quell’incontro nacque un’amicizia che per il tempo, il. modo e l’umana conclusione vale la pena di rievocare.

John Gawsworth (questo pseudonimo Terence Ian Fitton Ar-mstrong usa come un suo più vero nome) era un soldato sui generis; saggista e poeta, aveva conosciuto la guerra in Africa e, modicamente eccitato dall’idealismo propagandistico, era senz’altro alieno da atteg-giamenti sensualmente eroici. La guerra gli era apparsa in tutta la sua fondamentale irrazionalità e da questa aveva cercato di salvarsi com-piendo con semplicità il suo servizio e cercando di trasformare le tap-pe obbligate, attraverso l’Algeria, la Tunisia e l’Italia, in una sorta di viaggio letterario, reso più suggestivo dal ricordo degli illustri pre-decessori inglesi. Dalla Capitanata, dopo una parentesi a Stabia, Pom-pei e Sorrento, il corso degli eventi lo avrebbe portato a Vasto, a Ro-ma, in Toscana, poi di nuovo a Napoli, a San Severo, a Bari: infine, in Egitto e in India. Dovunque egli capitò, non volle perdere l’occasione di conoscere uomini di cultura, giovani o già maturi, famosi o noti so-lamente in ristretti ambienti provinciali: tutti gli apparivano cittadini di una repubblica che non ha o non dovrebbe avere confini. Visitò an-che il Croce a Sorrento e ne ebbe in dono, insieme con alcuni opuscoli politici, i due ultimi volumi della Letteratura della Nuova Italia, La Poesia e Storie e Leggende Napoletane.

Chi non ha dimenticato l’Italia degli anni 1943-1945, ricorderà che allora non tutto fu tenebra; molte vecchie idee erano andate in frantu-mi, subendo la stessa sorte delle cose, ma allo smarrimento si accom-pagnava un’esigenza di rinnovamento, destinata ad attenuarsi ben pre-sto, a mano a mano che si ristabiliva il ritmo abituale della vita.

∗ Col titolo Due poeti, pubblicato quale presentazione di Maggio d’Italia - La Gra-

dogna (Foggia, Studio Editoriale Dauno, 1957).

231

ANTONIO CASIGLIO___________________________________________________________________________

Sembravano trionfare in quegli anni il pudore della retorica e la rinun-zia a nascondere sotto le grandi parole le proprie piccole miserie; ed anche quella che poi si sarebbe spesso rivelata prudente attesa assu-meva allora l’apparenza di una vissuta ricerca, di un nuovo, impreve-duto bisogno di nulla accettare senza verifica. E molti uomini di cul-tura avvertirono effettivamente la necessità di riordinare le proprie i-dee attraverso un contatto più libero con la cultura straniera. Così, mentre qualche pacifico viaggiatore di commercio statunitense o qual-che calmo impiegato londinese si concedeva il piacere di esercitare in Italia una autorità che probabilmente non avrebbe mai esercitato in pa-tria, il sergente Armstrong, in meno di un anno di soggiorno, fece buona messe, benché gran parte del tempo gli fosse preso dal lavoro in un ufficio cifra; e, ubbidendo al suo temperamento di accurato ordina-tore delle proprie esperienze romantiche, prese attenta nota e degli uomini che conobbe e dei libri ed opuscoli che ebbe in dono. Ma, se chiedete a John Gawsworth che cosa lo spinse a visitare in quella giornata decembrina Umberto Fraccacreta, egli vi risponderà sempli-cemente: « Il fato ».

Quando Gawsworth conobbe Umberto Fraccacreta, questi era

giunto alla conclusione del suo svolgimento artistico; nessuno avrebbe osato pensare che essa precedeva solo di qualche anno la fine immatu-ra del poeta.

Negli anni della giovinezza la poesia era stata per lui un’attività ancora occasionale, nata dalla sua particolare condizione psicologica di uomo profondamente e sinceramente colto, libero da necessità eco-nomiche e tuttavia non del tutto ignaro dell’oscuro limite delle sue forze fisiche. Di qui la duplice anima delle prime raccolte di poesie (Poemetti, 1929; Elevazione, 1931: versi composti tra il 1918 e il 1930): da un lato il lirismo eclettico, dall’altro l’ispirazione georgica ed idillica. E sulla via tracciata dai Poemetti aveva insistito (Nuovi po-emetti, 1934), confortato dai notevoli consensi di critici e di lettori, i quali erano rimasti colpiti dalla rappresentazione descrittiva e narrati-va di un mondo ad essi sconosciuto oppure noto soltanto nella sua ru-de immediatezza. Il mondo della provincia rurale dovette sembrare ad Umberto Fraccacreta un termine concreto ed originale per la sua ope-rosità letteraria; esso, in realtà, per quanto reso con costante nobiltà espressiva, servì soprattutto a rivelare al poeta la sua vocazione, a dar-gli una certezza, che giustificasse moralmente la concentrazione di

232

______________________________________________UN INGLESE POETA E SOLDATO IN TERRA DAUNA

ogni sua energia. Così Umberto Fraccacreta incominciò a vivere in funzione della propria esperienza estetica ed il ritmo malinconico di una vita volontariamente attenuata, dalla quale era sgorgata la sua atti-vità artistica, divenne a sua volta, per naturale capovolgimento, uno strumento di questa. Si può dire, allora, che Umberto Fraccacreta di-venne un estetizzante? Non credo. L’estetismo è una rinunzia alle re-sponsabilità mo rali, mentre Umberto Fraccacreta sentì l’attività artisti-ca come una responsabilità penosa e insieme desiderabilissima, come la luce della sua vita crepuscolare. C’è da dire, piuttosto, che il tema georgico non poteva condizionare permanentemente la sua vita inte-riore, poiché nessun tema, per quanto caro ad un poeta, ne domina to-talmente l’anima, una volta che abbia trovato forma. Umberto Fracca-creta avverti il pericolo che la fedeltà al tema degenerasse in maniera, ma oscillò a lungo prima di trovare l’accordo tra la concretezza geor-gica e il lirismo della pura esperienza interiore. Questa incertezza è presente ancora nei Motivi lirici (1936), in Antea (1942), in Amore e terra (1943): dove ai modi narrativi si appoggiano esili fantasie eroti-che, inframmezzate da parentesi impressionistiche, di rara limpidezza. Ma proprio gli anni della guerra, la cui assurdità egli aveva dolorosa-mente avvertita, maturarono nel poeta un’umanità più concreta e più libera, ricercata a lungo ed ora rivelatasi anche nel cosciente rinnova-mento delle forme metriche.

Il documento di questo trapasso non va cercato nei gruppi di sonetti (Azzurro e L’arcolaio), che, composti in tempi diversi, formano due delle tre parti inedite inserite negli Ultimi canti (1948), e neppure in quelli editi in Sotto i tuoi occhi (1945), quale tenero omaggio alla memoria della madre. Occorre rifarsi, invece, alla terza parte medita degli Ultimi canti (Un uomo canta nella notte) ed alla breve raccolta Vivi e morti (1944; 1945). Qui l’ispirazione provinciale non ha più squilibri, è ingenua, semplicissima e trova in se stessa la propria mis u-ra (O aprile, aprile, Luna, Un grillo); oppure avvicina il solitario poe-ta al suo prossima nella costernazione e nella compassione (Pianeta di Marte, Venerdì di marzo, Gli addii, Natale 1943).

Tenacemente fedele alla sua casa e alla sua provincia, tutto preso dalla propria vicenda interiore di artista e conscio che l’opera d’arte o di pensiero, una volta uscita dalle mani dello scrittore, vive autonoma ed insofferente di sollecitazioni, Umberto Fraccacreta non si considerò mai un isolato. La sua cultura, vale a dire il sostrato della sua opero-sità artistica, lo rivelava vicino al mondo letterario della nuova Italia, alla spontaneità e alle dissonanze di esso (e per questo provò una istin-

233

ANTONIO CASIGLIO___________________________________________________________________________

tiva avversione per l’elemento di artificio che la dittatura aveva intro-dotto nella vita italiana).. E come egli risaliva con le sue curiosità e le sue simpatie fino al mondo classico, così, con felice eclettismo, sentì con piena sincerità i valori della cultura europea, favorito in questo dai suoi studi linguistici e confermato dai consensi di lettori non italiani.

Il senso della circolarità della cultura europea e l’idea della fun-

zione insostituibile del poeta nella società: ecco quel che Umberto Fraccacreta aveva in comune con John Gawsworth. Per il resto, due temperamenti assai diversi. Il primo amava l’espressione, ma anche il silenzio raccolto, attraverso cui la vita provinciale insegna ad avvertire il ritmo del tempo e delle cose; Gawsworth, nato a Londra nel 1912, pubblicò i suoi primi versi a diciannove anni, e da allora la sua attività di poeta continua senza soste, con eccezionale fecondità. E, se la poe-sia occupa il primo posto nell’attività letteraria dello scrittore inglese, egli è noto, tuttavia, anche come narratore, saggista e traduttore1.

Questa intensa vitalità spiega la poetica del Gawsworth: egli non sembra mirare ad un assoluto lirismo e ad una essenzialità integrale del linguaggio poetico, crede nell’esistenza di «temi» fondamentali e permanenti dell’ispirazione (Love Life and Death) e nello stesso tem-po non rinunzia alla rievocazione storica, dedica sonetti ed ammette, in genere, la poesia d’occasione. Che Gawsworth segua le forme poe-tiche tradizionali e limiti stilisticamente e sentimentalmente la libertà dell’ispirazione può apparire cosa strana, a prima vista, a molti dei let-tori italiani, che risentono l’influenza delle dispute teoriche dell’ultimo cinquantennio; ma in realtà attraverso queste concezioni il poeta inglese non ha rinunziato alla propria libertà e piuttosto ha inte-so confermarla, nella convinzione che proprio l’atteggiamento antitra-dizionalista, pur nella sua apparenza limiti intellettualisticamente l’ispirazione: si spiega, così, la simpatia dichiarata e polemica del Gawsworth verso i poeti della « Georgian school ». Ed alla mobilità dell’ispirazione corrisponde in lui la mutevolezza dell’espressione, di-scorsiva e lirica, insieme, raziocinante e sintetica.

Dei suo rapporti con Umberto Fraccacreta Gawsworth prese nota

nel suo Diario inedito, minuziosamente; ci è facile, così ripercorrerne la vicenda esterna. Il 24 gennaio del 1944 il poeta pugliese traduce il

1 Cfr. H. PALMER, Post-Victorian Poetry, London, Dent, 1938, pp. 365-366. 234

______________________________________________UN INGLESE POETA E SOLDATO IN TERRA DAUNA

sonetto Benedetto Croce, composto sei giorni prima; il 30 la Dedica della raccolta Legacy to Love (London, Collins, 1943); il 4 febbraio è già pronta la versione in prosa del sonetto Umberto Fraccacreta (com-posto il 24 gennaio) ed il 2 marzo essa è pubblicata dal settimanale « La Rassegna » di Bari (Anno 11, n. 9). Il 27 marzo le tre versioni, con a fronte il testo inglese, sono stampate a Vasto in tre foglietti volanti, per interessamento del Gawsworth; il 26 aprile, ancora a Vasto, le sole versioni appaiono in un opuscolo, insieme con altre poesie del Ga-wsworth tradotte da Romualdo Pantini; infine, il 12 maggio un nuovo volantino reca, col testo a fronte, la versione ritmica del sonetto .a Umberto Fraccacreta, col titolo O poeto! Apulia! Tra il 14 e il 26 maggio a Vasto, Gawsworth compone Maggio d’Italia, trenta sonetti scritti con ritmo quasi febbrile, in un momento di particolare esalta-zione sentimentale; e il 3 giugno la collana esce in forma di estratto della rivista « Ariel » (Vol. I, n. .2), edita ad uso dell’VIII Armata. Il 19 luglio Umberto Fraccacreta, che è già in possesso del testo inglese, fa notare in una lettera al Gawsworth la difficoltà di una rapida tradu-zione; ma si mette al lavoro e tra il 6 e il 14 agosto essa è condotta a termine. Il 21 agosto il sonetto a Croce appare nella « Gazzetta del Mezzogiorno » di Bari, il 15 settembre in « Libera Italia », del Cairo, dove un altro giornale in lingua italiana, « Fronte unito », pubblica la versione in prosa del sonetto a Umberto Fraccacreta, col titolo A un poeta di Puglia, insieme con un’altra versione del poeta pugliese dall’inglese di Nancy Cunard. Il 25 marzo del ‘45 Mario. Vinciguerra ne « La Nuova Europa » (Anno II, n. 12) ricorderà con umano calore l’incontro dei Due poeti ed a lui farà eco, un anno più tardi, una mia nota in « Puglia » (anno I,. nn. 2-3).

Intanto, gli stessi eventi eccezionali, che erano serviti ad avvicina-re i due poeti, li separavano di nuovo. Umberto Fraccacreta seguì Ga-wsworth con le sue lettere; ma né l’ultimo periodo della guerra, nè gli anni inquieti del primo dopoguerra erano fatti per favorire costanti re-lazioni epistolari. Come compagni di viaggio, i due uomini avrebbero vissuto solo un breve incontro, la cui memoria si sarebbe presto can-cellata, se il comune ideale di cultura non lo avesse trasformato in e-sperienza interiore, conferendogli, insieme, il carattere di un esempla-re caso umano. Quando il ritmo della vita tornò normale, Umberto Fraccacreta era già scomparso; ma ancora recentemente Gawsworth inviava a Mario Simone, il quale aveva preso contatto con lui per la Società Dauna di Cultura, il commosso ricordo che qui per la prima

235

ANTONIO CASIGLIO___________________________________________________________________________

volta pubblichiamo 2. In Algeria, durante la campagna d’Africa del 1943, Gawsworth

aveva espresso la sua pensosa rassegnazione di fronte alla guerra in una beve poesia, intitolata Moving back 3. Eccola:

We are going back again — to the mud and the ram — where

guns complain — and stone stain. — We are leaving the mountain snow. — Once more it is our turn to go back to the advanced Joe. — It is just, we know... — We are going back again — to our camrades’ graves on the plain, — to the graves sunk in the rain: — we do not complain. — We say nothing: but think only — (heart-constricted, a moment lonely): — «Who will be killed this time — and for what cri-me? »4.

Il confronto con questi versi rivelerà al lettore quale mutamento

d’intonazione provocò nel poeta inglese l’esperienza italiana. Senza dimenticare la realtà sconvolgente della guerra, egli non chiuse gli oc-chi di fronte alla primavera italiana (e quella del ‘44 fu davvero assur-damente bella) né rifiutò il contatto con una tradizione di cultura, la cui ricchezza impaccia molte volte gli stessi celebratori di essa. La somma di impressioni, di sentimenti, di riflessioni, che il soggiorno i-taliano provocò in Gawsworth, si riassume e prende corpo in una don-na, poco più che un’adolescente; il suo cognome non comune ritorna insistente in ciascuno dei trenta sonetti, in cui si raccoglie la storia (o la favola?) di un amore breve nel tempo, ma psicologicamente intenso.

Si tratta di una storia interiore, in cui « la Gradogna » è oggetto più che soggetto. Tuttavia, nei limiti di questa interiorità, non ci tro-

2 Lo ospitiamo col titolo originario Remembered, 1952 nelle pagine che accolgono i

componimenti del G. ispiratigli dai suoi rapporti con la Puglia Dauna (nota di M. S.). 3 Vedi: Poems of the war year compiled by Maurice Wollman, London, Macmil-

lan, 1948, p. 122-123; The collected poems of John Gawsworth, London, Sidgwick and Jakson, 1948.

4 Ritorno — Torniamo di nuovo — in mezzo al fango e alla pioggia —dove i fucili gemono — e la pietra s’insanguina. — Lasciamo le nevi montane, —Di nuovo tocca a noi tornare — contro la prima linea del nemico — E’ giusto, lo sappiamo... — Tornia-mo di nuovo — alle tombe dei nostri compagni nella pianura — alle tombe affondate nella pioggia: — non ci lamentiamo. — Non diciamo nulla: ma soltanto pensiamo — (con il cuore stretto, per un attimo soli): — « chi sarà ucciso questa volta? — e per qual crimine? ».

236

OMAGGIO A GAWSWORTH

______________________________________________UN INGLESE POETA E SOLDATO IN TERRA DAUNA

viamo di fronte ad un puro giuoco fantastico oppure a monotone va-riazioni della sensibilità; il poeta non rinunzia a nessun aspetto della sua umanità; subisce l’impulso dei sensi accesi dalla primavera, inco-raggia le mutevoli vibrazioni del sentimento, ma non respinge la ri-flessione, dapprima sottomessa alla pseudo-logica dei sentimenti, ma in ultimo trionfante su di essa, quando è chiamata a giustificare con la forza della verità la superiorità della rinunzia rispetto al possesso: loss is gain. Così l’amore, ora espresso con calda sensualità, ora chiuso nelle forme di un composto madrigale e celato in complicati giri con-cettuali, diviene trepida tenerezza (Does she not know I leave, lest I shoul harm?), fino al commosso addio:

O mia Gradogna, while there is one tear To be released, while one heart still may bleed, Blieve I loved you, Spring and Italy.

Terminata la versione, Umberto Fraccacreta non ebbe più occa-

sione di riprenderla; ed ora egli non è più tra noi, per dedicare ad essa le sue cure, con l’abituale amore della precisione. Per questo la pub-blicazione di Maggio d’Italia non è stata decisa senza molte esitazio-ni. Si trattava di far conoscere un inedito, che l’autore non aveva rivi-sto e neppure aveva destinato alle stampe; e che, d’altra parte, pur senza mo dificare sostanzialmente la fisionomia dell’opera di Umberto Fraccacreta, costituisce una testimonianza di singolare valore umano. Ma ogni incertezza venne meno allorché Salvatore Rosati accettò di sottoporre a revisione il manoscritto, che ora, dieci anni dopo la scomparsa del poeta pugliese. vede finalmente la luce.

ANTONIO CASIGLIO

Tre poesie di John Gawsworth

I

O POET OF APULIA! Under Garganos’s height (whence Michael came),—sworded in

spirit only, swift to catch — the suns’s glint that sets ripened corn a-flame — ad weave its beaty taut as a rick’s trhatch, — you were be-gat, Apulian poet, friend —into whose grey Palazzo, conquering — and uniformed, I entered strange, to tend — the fraterna! handshake of all men who sing. — «Poor Italy!» You mourned each shattered town — the villa ges where famine crept and stilled — the innate ca-dence of your people’s harts, — and yet withheld from off your face a frown, — sensing a poet brother whom Fate willed — but not himself — to war against your arts.

24 January 1944

* * * Di sotto alla montagna del Gargano — (ivi l’Angelo apparve), sol

armato — nel tuo spirito e immerso nel gran fiato — che accende d’un bagliore caldo il grano, — o poeta pugliese tu sei nato, — nel cui palazzo a stringerti la mano — a nome dei poeti io su dal piano — giunsi straniero in veste di soldato. — « Povera Italia! » L’arse tu piangevi — città e ville ove la fame ha rese — mute le nenie in cuore al popol tuo; — ma un poeta fratello in me vedevi, — per vo-lere del fato — e non già suo — venuto a guerreggiar nel tuo paese.

San Severo, marzo 1944.

Traduzione di UMBERTO FRACCACRETA

238

_______________________________________________________________________OMAGGIO ALLA P UGLIA

II

REMEMBERED, 1952 When I remember — Those warring years — And San Severo, —

Sudden tears — Start to my eyes — For a poet born — Where mountains rise, — To look out on corn. — Sudden tears — Then fill my eyes — For a man of no fears — Who loved sunrise, — Sun on Gargano, — Sun on the plain: — May Michael’s blessing — Conser-ve his grain.

* * *

Quando ricordo quegli anni di guerra — e San Severo, un im-provviso pianto — affiora agli occhi miei, per un poeta — nato là do-ve s’alzan le montagne, — a contemplar nella pianura il grano.— Ed improvviso m’empie gli occhi il pianto — per un uomo sicuro dai t i-mori, — a cui fu caro il sole del mattino — alto sopra il Gargano e sopra il piano: — gli protegga l’Arcangelo il suo grano.

Londra, novembre 1952

Traduzione di ANTONIO CASIGLIO

239

JOHN GAWSWORTH___________________________________________________________________________

III

« LA FRATERNA STRETTA DI MANO... » And. overall, Gargano smiles... — And Michael’s cornspears prick

the piain — With bursting goodwill in sharp spires — Of molten Apu-lian grain — To mark the day his Province thinks — Umberto used most goiden inks.

I would I were where once we walked — In his grey town, when War’s dark cloud — Obliterated most we talked. — And yet our whi-spers have grown loud — In echo of our love and peace — When now I cannot find release — Momently. Still I yet shall come — To my most dear friend’s harvest home.

* * * E, al di sopra di tutto, il Gargano sorride... — e le lance dei grano

dell’Arcangelo bucano la pianura — con erompente buon volere in aguzzi steli — di liquefatto frumento d’Apulia — per segnare il gior-no in cui la sua provincia crede — che Umberto usò gl’inchiostri più dorati.

Vorrei star dove un tempo passeggiammo — nella sua città grigia, quando l’oscura nube della guerra — cancellava gran parte di quel che dicevamo. — Eppure i nostri bisbigli son divenuti voce alta — nell’eco dei nostro amore e della nostra pace — or quando io non posso trovare respiro — un momento. Eppure, ancora tornerò — al raccolto dell’amico mio carissimo.

Londra, aprile 1957

Traduzione di SALVATORE ROSATI 240

Solidarietà della poesia anglosassone∗ … Sono nuovo su questa terra di Puglia, o meglio voi potreste

considerarmi nuovo perché prima d’ora mai vi avevo posto il piede. Eppure quando ho attraversato queste campagne per giungere nella

città di Umberto Fraccacreta, ho subito inteso che mi erano familiari. Con sguardo avido ho frugato queste dolci pianure, mi sono sof-

fermato sulle distese ondeggianti di grano, mi son perduto con lo sguardo nelle dolci trasparenze di questo cielo, e dovunque ho ricono-sciuto la contrada operosa che Umberto Fraccacreta canta con tanta incisiva immediatezza.

Io non sono uomo di lettere, ma amo la letteratura e per questa ra-gione ho potuto accostarmi con umiltà di intenti all’opera di Umberto Fraccacreta. Altri hanno detto e diranno meglio di me e con più pro-fonda cognizione di causa le origini, il senso e il fondamento della sua lirica e potranno richiamarvi alla memoria i suoi pregi ed ogni altra caratteristica.

Io non posso tacere però di esternarvi la profonda impressione che mi ha fatto il suo « realismo », e cioè quel senso della vita semplice ma eterna che aleggia su tutta la sua opera.

I suoi versi asciutti ed essenziali hanno avuto la capacità di tra-sfondere anche in me la visione del suo paese.

Ora voi dovete sapere che Umberto Fraccacreta ha in Inghilterra un grande amico, il poeta inglese John Gawsworth, di cui io sono me-dico personale e soprattutto intimo amico. Fu egli infatti ad indiriz-zarmi alla lettura dell’opera di Umberto Praccacreta sottolineandome-ne i tratti essenziali.

Perciò quando s’è parlato di questo festival, è stato con grande commozione che ho accolto l’incarico del mio amico John Gawsworth di rappresentarlo tra voi, data la sua impossibilità di muoversi.

A questo titolo io mi sento onorato di avere il privilegio di rivol-germi a voi oggi a nome del poeta inglese John Gawsworth per atte-starvi la solidarietà della poesia anglosassone in questa commemora-zione e farvi partecipi che lo spirito della sua lirica è vivo anche sulle rive del Tamigi.

In altri tempi, quando i poeti erano più onorati, essi potevano per-mettersi di viaggiare con i loro dottori. Così Byron quando venne in Italia portò con sè il suo dottore, Gaetano Polidoro.

∗ E’ il saluto di John Gawsworth recato dal suo medico Precope all’assegnazione

del 2° premio di Poesia « Umberto Fraccacreta » (San Severo, 16 giugno 1957).

241

DOTTOR PRECOPE____________________________________________________________________________

Oggi i tempi sono cambiati ed è soltanto un dottore che viene a voi

senza il poeta, perché John Gawsworth è costretto dalle esigenze della vita moderna a occuparsi di problemi editoriali che non gli permettono di abbandonare la sua scrivania.

Certo egli avrebbe potuto illustrarvi con altro spirito il senso della sua amicizia con Umberto Fraccacreta.

Penso tuttavia che vi interesserà conoscere le origini della loro a-micizia perché è legata ad un tempo oscuro della vita degli uomini.

Fraccacreta e Gawsworth si conobbero infatti in tempo di guerra, in un momento cioè in cui le differenze tra i popoli diventano più pro-fonde e quindi più difficile è la reciproca comprensione.

La Il guerra mondiale era alle ultime battute quando essi si incon-trarono, e solo il loro credo poetico potette unirli, foggiando un’amicizia che ha resistito al vaglio del tempo.

I poeti infatti conoscono anche troppo bene che le guerre, in defi-nitiva, si originano nelle menti degli uomini. Io aggiungerei che fini-scono quando essi giungono alla disperazione, nello stesso modo che il sonno si esaurisce con la compensazione fisiologica (scusate la di-sgressione medica).

In realtà il desiderio della pace è profondamente radicato nel vo-stro popolo come nel mio come lo prova la concezione della Pax Ro-mana e della Pax Britannica, che indicano attraverso lunghi periodi storici gli sforzi di questi popoli di mantenere la giusta pace, talvolta anche a costo della guerra.

John Gawsworth sente profondamente questa esigenza, e perché voi possiate conoscere un po’ questo amico di Umberto Fraccacreta mi è caro citarvi la stanza finale del suo famoso poema « Sober Vic-tory » pubblicato nel 1945, che suona:

No, blow no bugles over our turn dead: Silence befìts them better than words said The Victory was hollow if none feel An iron resolve, a purpose hard as steel To build a world for body, out of brain; So War may never, never come again∗.

Così, in questa comunanza di amore per la pace, Umberto Fracca-

creta e John Gawsworth poterono presto comprendersi in quel clima di reciproca stima che solo la Repubblica delle lettere può offrire.

La lunga consuetudine amichevole dei due poeti resterà documen-tata anche tra voi perché il mio amico ha voluto che ritornassero a Foggia i molti volumi che con tante affettuose dediche Umberto Frac-cacreta ha inviato a Gawsworth.

∗ No, non suonate trombe sui nostri morti straziati. Il silenzio si addice loro meglio che le parole non dicano, Vuota sarebbe la Vittoria se nessuno concepisse Una ferrea risoluzione, un proposito forgiato nell’acciaio Di costruire un mondo umano, sgorgato nella mente Di modo che la guerra non possa mai, mai tornare ancora. 242

__________________________________________________SOLIDARIETÀ DELLA POESIA ANGLOSASSONE

Per il tramite di questa amicizia, noi, ammiratori inglesi di Umber-

to Fraccacreta ci siamo resi conto che la sua poesia, con le notazioni realistiche che la distinguono, costituisce una sublimazione della vita semplice e tende alla rigenerazione del vero senso della vita attraverso la pura poesia.

Ora il poeta tace e potremmo ricordare con lui (Motivi lirici):

Triste è il poeta senza canto; più triste che selva senza fronde.

Noi sappiamo però che gli echi della sua voce non sono spenti,

sicché vibra ancora nell’aria la dolce cadenza del suo canto. Confidiamo quindi che sull’aspro colle del Parnaso ove egli è a-

sceso, Umberto Fraccacreta ignori la tristezza e possa contemplare con pacata serenità la duratura opera della sua poesia.

Ecco, Eccellenza, Signore e Signori, consentite a me straniero (Umberto Fraccacreta avrebbe detto che « ho ineffabile odore d’altre contrade ») di complimentarsi con voi per il successo di questa mani-festazione, indice indubbio della vasta risonanza della lirica di Umber-to Fraccacreta e dell’amore italiano per l’arte, e di assicurarvi che an-che in Inghilterra l’ideale di Umberto Fraccacreta continuerà a vivere nei nostri cuori.

dott. PRECOPE

Una mostra d’arte sacra E’ così. Tu visiti una mostra d’arte sacra, come questa per il di-

segno, che recentemente si è chiusa a Trinitapoli (Foggia), e ti vien fatto di pensare che dovendo raccontare Cristo, e addirittura la Sua Passione, necessariamente l’artista deve raccontare l’uomo. E’ un fatto che trascende il dato artistico.

Trinitapoli è in Puglia, e in Puglia come del resto nel Sud, e non soltanto nel Sud, l’arte figurativa tende in genere al paesaggio e alle nature morte; e questo facilita, in un certo senso, i rapporti pittura pubblico, malgrado le tenaci riserve di banalità, di decorativo e di car-tolina illustrata, che il grosso pubblico inforca a cavalcioni sul suo na-so, dinanzi a un quadro. E se c’imbattiamo nell’informale, eccoci cala-ti in una moda di arte che gioca coi colori, li astrae dalle cose e li combina e li mescola e li scombina in un mondo, direbbe lo scrittore Marino Piazzola, che non è più fisico e nemmeno metafisico.

Anche queste rassegne di Trinitapoli (sei con questa del 70) sono nate col paesaggio. La campagna pugliese, il paesaggio pugliese; e poi subito, nel 64, il tema « l’uomo nel suo mondo di lavoro »; e allora la galleria di quadri, tutti premiati, che fanno un bel vedere nell’aula consiliare del Comune di Trinitapoli, si arricchì di un quadro di Pu-rificato, « un Contadino » (primo premio); e di uno di Salvatore Sal-vemini, « muratore che cade » (secondo premio).

Si andava dunque già delineando o era già in atto un qualcosa co-me una rottura con la moda figurativa corrente. Forse questo sarà stato dovuto al fatto che il Premio trinitapolese, ch’è a tutt’oggi l’unico in Puglia a non mancare all’appuntamento, sia nato in un mondo di con-tadini che faticano da una notte all’altra attorno ai pozzi e alle moto-pompe, per tirar su carciofi e altro (donde il nome dato al Premio, di « Carciofo d’oro »).

O forse perché Antonio Di Pillo, che con me divide le fantasie e la realtà di queste rassegne d’arte, tutti sanno ch’è scultore di chiara fa-ma, e uno scultore, quando non incappa in avventure di getti lebbrosi di fonderia, di rottami e di tubi e di bulloni, comincia e finisce col vol-to umano, con la figura umana. E da anni egli comincia e finisce con la figura di Cristo, del Cristo in croce; e questo forse è il modo miglio-re, pensa lui, di raggiungere le case dell’uomo.

O forse perché da anni io mi affanno attorno a una via Crucis: ven-ti poesie per quattordici stazioni, le cartelle si accrescono, le can-

244

MOSTRA D’ARTE SACRA

EUGENIO DRAGUTESCU: « Padre Pio » (1° premio “ex equo”)

__________________________________________________________________________DOMENICO LAMURA

cellature s’infittiscono, fino a rendere illeggibile la pagina, e io devo ogni volta toccar con mano quanto son lontano lontanissimo dall’al-tissimo tema; come uno stagno balordo da una costellazione.

Tutto questo crogiuolo di motivi può forse spiegare in qualche modo il volto e la figura umana nel Premio trinitapolese, e a un certo momento la Mostra della Settimana Santa del 68, e il tempo della Pas-sione, un riflesso dei dolori di Cristo in umana figura.

Il tema è tornato puntualmente come una rondine, in questa pri-mavera del 70, e il Santo Padre n’è stato informato, se ne n e com-piaciuto; e ha fatto arrivare una copia del Vangelo secondo Marco per ogni artista espositore.

In genere questi artisti, fra cui larghe rappresentanze romane e na-poletane oltre agli abituali dell’appuntamento biennale di Trinitapoli, si sono avvicinati o riavvicinati all’alto tema con sofferta sensibilità religiosa; e il fatto che diversi ne abbiano tentato una elaborazione tut-ta propria, fuori di ogni iconografia tradizionale, sottolinea a mio pare-re un impegno e un tormento non soltanto stilistico: è chiaro che l’artista facendo dell’arte sacra cerca di scoprire vie nuove per arrivare alle Indie; che in questo caso è la comunità cristiana, il sentimento di questa comunità. E’ chiaro anche che il racconto gli nasce dal sentire quel tema come cronaca e tragedia dei nostri giorni violenti, e per al-cuni anche come esperienza « personale », come dato umano prima che stilistico.

Non tutto è resa di poesia, si capisce, in quest’esperienza nuova; che andrebbe comunque approfondita e affinata, direbbe l’amico Ana-cleto Bupo, in interiore homine, e non soltanto stilisticamente.

Alcuni esempi di questa che potremmo chiamare l’arte figurativa della ricerca: l’Ecce Homo di Mario Colonna pugliese, uno scuro e pesante casco di spine in primo piano, che quasi nasconde il Volto sconosciuto e misconosciuto di Cristo, e abituali del mitra che mon-tano la guardia, con una faccia qualunque.

Di Giuseppe D’Alessandro di Cerignola (Medaglia Presidenza del-la Camera): un Cristo stretto e deriso da una siepe selvaggia e stipata di bocche insultanti e di pance e di pugni e di elmetti, un racconto drammaticamente rozzo e popolaresco.

O Franco Poli (del valoroso clan molfettese): un Ecce Homo con la canna e senza volto; una lanterna è a terra, e il mozzicone di candela oramai fumiga; di fiati umani nemmanco l’ombra. Ma ci sono insetti, una cicala spaesata, due mosche, tre scarafaggi che si arrampicano in-disturbati sulle pareti della campana del Cristo su cui scende l’ombra. Solitudine spaventosa. Cristo deserto in un mondo paurosamente in-differente.

Il primo premio acquisto di L. 300 mila è andato ex aequo a Raoul Vistoli e ad Eugenio Dragutescu, ambedue provenienti da Roma. Vi-stoli ha un Crocifisso in primo piano, un disegno essenziale con tenui sfumature di pannello aurorale, che documenta l’intatta qualità

245

LA MOSTRA D’ARTE SACRA...__________________________________________________________________

poetica dell’opera. Un racconto fatto con purezza di linea, con equi-librio dei volumi (Vistoli è scultore, e si vede), e con particolare sen-sibilità espressiva. Una sintesi grafica, con evidenti tracce della dolo-rosa partecipazione dell’artista al tema, e che non ci si stanca d’in-terrogare.

Dragutescu presenta un P. Pio che richiama alla realtà attuale della Passione il mondo contemporaneo. Un P. Pio antico d’anni e di soffe-renze e raccolto in preghiera, come abbiamo potuto vederlo su nel de-serto matroneo di S. Maria delle Grazie a S. Giovanni Rotondo; e co-me l’ha potuto contemplare un pittore, con occhio di artista che crede; pochissime linee sapienti e tormentate, una severa organizzazione del-la figura nello spazio; una discretissima fluidità coloristica.

Di Dragutescu è anche un S. Francesco, anch’esso testimone della Passione, in cui la tensione del sentimento è tenuta ed equilibrata dal severo rigore della linea.

Eolo Costi di Roma (secondo premio acquisto di L. 100 mila, « Lelio La Notte ») presenta un Cristo morente, in cui è notevole l’in-tensità spirituale del marcato segno grafico e l’unità poetica dell’ispi-razione. L’altro secondo premio La Notte sempre di Lire 100 mila è andato a Francesco Spizzico di Bari, per la sua composizione « Cristo e la Maddalena ».

All’atto della premiazione lo scrittore Marino Piazzola, in questa occasione premiato anche lui con medaglia d’oro per la sua poesia do-lorosamente religiosa, ha ripreso l’argomento già dibattuto da altri du-rante la precedente Mostra del ‘68, di liturgia e arte moderna.

« Noi forse possiamo dire, ha affermato lui, che nella storia vi so-no artisti autentici, che vi è stata e vi è arte serena e consolatrice, sol-tanto quando tutte le condizioni reali del vivere, e soprattutto l’ar-monioso senso dell’unità del mondo, vengono sentiti e intrecciati dallo spirito rimasto per così dire pensoso davanti alla fragilità delle cose e degli eventi; perché splendano come segno di una vita meditata e col-legata con la natura, con l’uomo, con Dio, con i fatti più solenni; dai quali la fantasia ha attinto sempre una sorta di segreta e inesauribile musica, propria per illuminare i dolori degli uomini ».

Ecco, illuminare e confortare i dolori degli uomini. Dinanzi a quest’alta vocazione dell’artista (che il grido paolino « estote factores Verbi » potrebbe forse spiegare e contenere) rimane l’augurio che l’arte moderna, in gran parte incapace, come dice l’oratore, di dare emozioni luminose, e « capace solo di provocare sensazioni elemen-tari », apra il cuore al messaggio del Vaticano II agli artisti; e si guardi attorno, e riscopra anch’essa la comunità cristiana, che si avvia a di-ventare adulta, e che le chiede l’espressione nuova, e in linguaggio u-niversale, del sentimento religioso. Saranno gli artisti in grado ancora una volta, di dare alla comunità cristiana, il miracolo di un’arte che sappia raccontare alla moderna Cristo che muore ogni giorno?

DOMENICO LAMURA

246

Il bilancio di previsione 1971 nel quadro del Quinquennio provinciale

PREMESSA In seguito alla consultazione elettorale del 12 giugno 1966 il Con-

siglio Provinciale risultava così composto: D.C.: 1) Sig. Alberto De Santis (Troia); 2) Dott. Paolo De Tullio

(Foggia I); 3) Dott. Pasquale D’Orsi (Roseto V.); 4) Dott. Franco Ga -lasso (Foggia IV); 5) Sig. Primiano Magnocavallo (Serracapriola); 6) Avv. Giuseppe Matassa (Vico 0.); 7) Avv. Filippo Mondelli (S. Gio-vanni Rotondo); 8) Dott. Alberto Perfetto (Ascoli Satriano); 9) Avv. Matteo Renzulli (Monte S. Angelo); 10) Geom. Giuseppe Scirpoli (Manfredonia Il); 11) Avv. Berardino Tizzani (Manfredonia I); — M.S.I.: 1) Avv. Ferdinando Marinelli (Torremaggiore) — P.C.I.: 1) Prof. Emilio Amoroso (San Severo II); 2) Sig. Gaetano D’Alessandro (Cerignola II); 3) Geom. Nicola D’Andrea (Manfredonia I); 4) On. rag. Michele Magno (Manfredonia II); 5) Prof. Matteo Merla (S. Gio-vanni R.); 6) Sig. Pasquale Panico (Cerignola); 7) Sig. Michele Pistil-lo (Apricena); 8) Prof. Pasquale Ricciardelli (Torremaggiore); 9) Prof. Angelo Rossi (Ascoli Satriano); 10) Avv. Savino Vania (Trini-tapoli- S. Ferd.) —P.D.I.U.M.: 1) Dott. Vittorio Barbetta (Troia). — P.L.I.: 1) Dott. Renato Rocca (Vico G.). — P.S.D.I.: 1) Dott. Antonio Grosso (Accadia); 2) Dott. Michele Protano (Vieste). — P.S.I.: 1) Sig. Bios De Maio (Ortanova); 2) Per. ind. Michele Lattanzio (Margherita S.); 3) Dott. Teodoro Moretti (Vieste). — P.S.I.U.P.: 1) Sig. Filippo Di Venosa (Ortanova).

L’undici ottobre 1966 il Consiglio Provinciale, convocato in ses-sione straordinaria, presidente ff. il consigliere anziano prof. Amoro-so, procedeva alla elezione del presidente della Giunta, a norma dell’art. 5 della L. 8 marzo 1951 n. 122, modificata dalla L. 10 set-tembre 1960 n. 962 e pubblicata sulla G. U. n. 224 del giorno 12 dello stesso mese.

La votazione segreta — partecipanti 28 consiglieri sui 30 assegnati alla Provincia (assenti giustificati Barbetta e Pistillo) — scrutatori Merla, Perfetto e Rocca, dava il seguente risultato: presenti e votanti n. 28; maggioranza n. 15, voti n. 10 al dott. Savino Vania, voti n. 16 all’avv. Berardino Tizzani; schede bianche n. 21.

1 Verbale n. 4, delibera n. 9, esecutiva in Prefettura il 14 ott. col n. 2649/13.3, div.

Gab.

247

PALAZZO DOGANA

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

L’avv. Tizzani era proclamato presidente con maggioranza assolu-

ta dei voti. Nella seduta del giorno 21 dello stesso mese erano eletti assessori

provinciali effettivi i seguenti consiglieri col numero di voti a fianco di ciascuno di essi indicato: sig. Bios De Maio (v. 16), sig. Alberto De Santis (v. 15), per. ind. Michele Lattanzio (v. 15), sig. Primiano Ma-gnocavallo (v. 15), avv. Giuseppe Matassa (v. 15), dott. Michele Pro-tano (v. 15). Erano altresì eletti assessori provinciali supplenti, ciascu-no con 16 voti: dott. Antonio Grosso e avv. Matteo Renzulli2.

Pertanto nella seduta dell’8 novembre, il Presidente disponeva che gli incarichi amministrativi e di vigilanza ai componenti effettivi e supplenti della Giunta Provinciale venissero assegnati come segue: PRESIDENTE: avv. Berardino Tizzani, Affari generali e Contenzio-so; Assessore Anziano : sig. Bios De Maio, Caccia, Pesca, Agricoltu-ra, Turismo, Sport; ASSESSORI EFFETTIVI: sig. Alberto De Santis, Personale; per. ind. Michele Lattanzio, Assistenza e Beneficenza; sig. Primiano Magnocavallo, Finanze e Bilancio; avv. Giuseppe Matassa, Pubblica Istruzione; dott. Michele Protano, Lavori Pubblici; ASSES-SORI SUPPLENTI: dott. Antonio Grosso, Igiene e Sanità; avv. Mat-teo Renzulli, Cantieri di Lavoro. La Giunta deliberava in conformità3.

Successivamente: il sig. Antonio Nardella (P.C.I., collegio di S. Marco in Lamis) era nominato consigliere, in sostituzione del sig. Ga-etano D’Alessandro, eletto sindaco di Cerignola (delib. cons. n. 417 del 16-1-1968, esec. il 24-1-1968, n. 237/13-5 Div. Gab.); il sig. Vin-cenzo Cornelio Grimaldi (P.C.I., Serracapriola) era nominato consi-gliere in sostituzione del rag. Michele Magno, eletto senatore della Repubblica ed il sig. Mario Di Gioia (P.C.I., Lucera) era nominato consigliere in sostituzione del sig. Michele Pistillo, eletto deputato al Parlamento (delib. cons. n. 523 del 16-7-1968, esec. il 23-7-1968, n. 1868/13-5 Div. Gab.); l’avv. Gabriele Consiglio (D.C., Bovino) era nominato consigliere in sostituzione del sig. Primiano Magnocavallo, deceduto (delib. cons. n. 694 del 20-1-1969, esec. il 27-1-1969, n. 321 Div. Gab.); il sig. Antonio Berardi (P.C.I., San Severo I) era nominato consigliere in sostituzione del geom. Nicola D’Andrea, eletto sindaco di Manfredonia (delib. cons. n. 826 del 30-7-1969, esec. il 7-8-1969, n. 1653 Div. Gab.); l’avv. Giuseppe Rinaldi (P.S.I., Monte Sant’Angelo) era nominato consigliere in sostituzione del dott. Teodo-ro Moretti, eletto sindaco di Rodi Garganico (delib. cons. n. 1201 del 5-10-1970, esec. il 28-10-1970, n. 2165/13-5 Div. Gab.); per effetto della scissione del Partito Socialista Italiano, il cons. prof. Matteo Merla e l’ass. supplente dott. Antonio Grosso passavano, rispettiva-mente, dal gruppo comunista e dal gruppo del P.S.I. al gruppo del P.S.U.

La Giunta Provinciale, per la morte dell’assessore effettivo sig.

2 Delibere Cons. n. 14 e 15, esec. il 23 ott. al n. 2754/13.6 - Div. Gab. 3 Del. Cons. n. 16. esec. il 14 nov. al n. 2980/13.6 - Div. Gab. 248

______________________________________________________________________IL QUINQUENNIO 1966-71

Primiano Magnocavallo, subiva le seguenti variazioni di incarichi: l’assessore effettivo Alberto De Santis passava dal Personale a Finan-za e Bilancia (delib. della Giunta n. 180 del 20-1-1969, esec. il 29-1-1969, n. 323/Gab.); il consigliere avv. Filippo Mondelli era nominato assessore effettivo (delib. cons. n. 695 del 20-1-1969, esec. il 27-1-1969, n. 322/Gab.) ed era assegnato al Personale (delib. Giunta n. 180 del 20- 1-1969).

Le successive sedute del 16 e 28 dicembre impegnavano il Consi-

glio nella trattazione del programma elaborato dalla Giunta: « Appun-ti, considerazioni e indirizzi per un’azione amministrativa ». Il dibatti-to si concludeva con l’approvazione del documento, che il Presidente aveva presentato e illustrato4.

Le attività dell’Amministrazione nel quinquennio sono affidate an-

che a numerose pubblicazioni. Con un « quaderno »5 si è voluto rende-re tempestivo resoconto dei lavori espletati dal Consiglio nelle ultime tre sedute del 1970.Di esse la prima (24 nov.) è stata dedicata alle re-lazioni sui bilanci, morale e finanziaria (questa, per le cure dell’ass. De Santis, raccolta in fascicolo e diffusa prima della seduta tra i mem-bri dell’Assemblea); la seconda (1 dic.) ha occupato gl’interventi dei sigg. Consiglio, Renzulli, Grosso, Amoroso, Mondelli, Protano, Pani-co, De Tullio; nella terza (10 dic.) hanno parlato i sigg. De Maio, Ros-si, Galasso, Rinaldi, Grosso, De Santis e ha replicato, in chiusura, il Presidente.

Presenti in aula e votanti 28 sui 30 Consiglieri assegnati alla Pro-vincia, il bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 1971 ha ri-scosso 17 voti favorevoli e 11 voti contrari.

RELAZIONE FINANZIARIA Muovendo dal disavanzo economico del bilancio di previsione, «

conseguenza della crisi cronica in cui versa tutta la finanza degli enti locali », il relatore illustra il documento contabile proposto all’esame dell’Assemblea. Dalla rassegna critica delle cifre, che riflettono l’im-pegno e l’indirizzo della Giunta di Centro-sinistra, l’assessore De San-tis allarga il discorso alla situazione politico-economica del Paese sof-fermandosi sui problemi fondamentali della finanza locale, e così con-clude:

Con questi due formidabili strumenti a disposizione: « Riforma Tributaria » e « Riforma della Legge Comunale e Provinciale » e della

4 Pubblicato col titolo Per una azione amministrativa della Giunta di Centrosinistra

in Provincia di Foggia. Foggia, 1966 (« Atti, documenti e studi dauni. Quaderni dell’Amministrazione Provinciale », n. 3).

5 Il bilancia di previsione 1971 nel quadro dell’attività quinquennale della Giunta di Centro-sinistra. Foggia, 1971 (quaderno compreso col n. 10 nella stessa raccolta dell’A. P.).

249

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

« Finanza Locale », i Comuni e le Province vedranno risanarsi i loro bilanci e si trasformeranno, da un peso economico per lo Stato, in or-ganismi operanti fattivamente e proficuamente per lo sviluppo socio-economico delle popolazioni loro affidate,

E chi, più di noi meridionali, è interessato ad accelerare l’avvento di questo tempo? Il Mezzogiorno non può ulteriormente attendere.

Il fenomeno della emigrazione (anni fa inevitabile, anche se dolo-roso) non può più continuare. Sere fa, alla TV, un operaio l’ha definito « flagello biblico », e per i problemi che crea al Nord (case, trasporti, scuole) e al Sud (depauperamento delle forze di lavoro, spopolamento delle forze di lavoro, spopolamento delle campagne, difficoltà eco-nomiche).

Ci conforta l’orientamento generale (Governo-Partiti-Sindacati) di voler dirottare verso il Mezzogiorno al cento per cento gli investimenti produttivi, allo scopo di creare, « in loco » posti di lavoro, per far la-vorare operai e contadini là dove sono nati. Ebbene: contribuiamo an-che noi a trasformare la realtà della nostra Capitanata nel contesto del-la rinascita di tutto il Mezzogiorno, con una duplice azione:

a) come politici: stimolando opinione pubblica, Sindacati e Parti-ti, affinché tutti — nella sfera di competenza e nel ruolo della topogra-fia politica in cui si trovano — agiscano perché riforma tributaria e ri-forma della L.C.P. e del T.U.F.L., siano al più presto una realtà con-creta;

b) come amministratori: operando in modo che la nostra Provincia non sia assente all’appuntamento coi prossimi tempi nuovi.

E tempi nuovi ci saranno per la nostra Provincia, ove si consideri che essa:

1) ha una ricchezza enorme nella sua agricoltura, che — se tra-sformata scientificamente e con sistemi moderni, specie dopo la pros-sima entrata in funzione della diga di Occhito — potrà creare un im-ponente numero di posti di lavoro e divenire fonte di redditi alti;

2) possiede il metano di Biccari e del quadrilatero Ascoli-Candela-Deliceto-Rocchetta, che dovrà essere utilizzato principalmen-te in loco per mettere in moto una serie di industrie ad alto livello oc-cupazionale;

3) dispone di zone turistiche di fama internazionale (Gargano), e di potenziale sviluppo (Subappennino), capaci di convogliare inso-spettati flussi di turisti e di redditi nella nostra economia;

4) conta un artigianato operoso e di alta qualificazione profes-sionale, che potrà inserirsi validamente come forza di lavoro interme-diaria fra piccole e medie industrie, così come previsto da un costi-tuendo Consorzio di Cooperative tra Artigiani, di cui si è resa promo -trice la Camera di Commercio ed alla cui realizzazione anche il nostro Ente sta attivamente collaborando.

E’ l’ora, quindi, questa di agire con serietà e dinamismo, nell’inte-resse delle nostre popolazioni.

Noi, intanto, abbiamo cercato di fare il nostro dovere, preparando 250

_____________________________________________________________________RELAZIONE FINANZIARIA

un bilancio che rispondesse all’esigenza di allacciarsi a quelli prece-denti (per completare alcune iniziative già in atto) e gettasse contem-poraneamente un ponte verso «quell’avvenire migliore », nel quale vogliamo far trovare inserita la nostra Provincia. E ciò anche in osse-quio alla volontà di questo Consiglio, che così decise approvando il « Piano di sviluppo socio-economico della nostra Provincia »6, che pone come condizione di successo la necessità di legare i bilanci annuali ad un piano pluriennale di sviluppo ».

Certo, è un bilancio costretto nei limiti delle attuali leggi e dei vi-genti regolamenti, e che si trascina dietro il solito fardello delle antici-pazioni di cassa, del disavanzo, di capitoli di spese insufficienti, anche se per alcuni di fondamentale importanza — come la viabilità —sono previsti interventi notevoli. Ma tutto ciò trova la sua giustificazione in quanto abbiamo precedentemente detto a proposito della crisi finan-ziaria degli enti locali.

E’ opportuno, comunque, sottolineare che l’aumento del disavanzo economico — che per il 1971, come abbiamo detto, registra un incre-mento netto di L. 3.872.300 — non è sintomo di una particolare situa-zione patologica del nostro bilancio.

Le notevoli realizzazioni e i nostri interventi perché il « piano plu-riennale » di sviluppo possa continuare a realizzarsi in tempo, non ci fanno, però, perder di vista la vastità delle cose non fatte e da farsi.

Non fatte, non per negligenza o per mancanza di volontà realizza-trice; ma solo perché esse trascendono i limiti delle possibilità econo-miche e finanziarie del nostro Ente e i limiti di un breve ciclo ammi-nistrativo.

Abbiamo fatto quanto abbiamo potuto, e quanto i mezzi finanziari ci hanno permesso.

Ai futuri amministratori l’augurio di poter utilizzare gli strumenti che per loro abbiamo approntato, di usufruire dei maggiori mezzi eco-nomici che le riforme in vista potranno loro assicurare, e di poter rag-giungere un’ulteriore tappa nel cammino del progresso sociale, eco-nomico e culturale della gente di Capitanata.

Progresso che — come nobilmente ha sancito l’ente Regione di Puglia nell’art. 3 del suo statuto — mira al fine ultimo di assicurare il « pieno sviluppo della persona umana ».

6 Pubblicato anch’esso nelle edizioni della Provincia.

251

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

RIASSUNTO GENERALE DELLE ENTRATE E DELLE SPESE

A N N O 1 9 7 0

Il pareggio finanziario del bilancio 1970 avviene a quota 14.615.640.310.

E N T R A T E Avanzo di amministrazione = = Tit. I - Entrate tributarie 1.408.413.666 9.64% » II - Entrate compartec. a trib. 3.046.009.749 20.84% » III - Entrate extratributarie 1.088.446.721 7.45% » IV - Alienazioni, ecc 251.648.714 1.72% » V - Assunzione prestiti 6.712.833.000 45.93% » VI - Contabilità speciali 2.109.288.460 14.42% ______________ _________

14.615.640.310 100.00%

S P E S E

Tit. I - Spese correnti 7.871.851.398 53.86% » II - Spese in c/capitale 2.229.133.000 15.25% » III - Rimborso prestiti 2.406.367.452 16.46% » IV - Contabilità speciali 2.108.288.460 14.43% ______________ ________ 14.615.640.310 100.00%

RIASSUNTO GENERALE DELLE ENTRATE E DELLE SPESE

A N N O 1 9 7 1

Il pareggio finanziario del bilancio 1971 avviene a quota 19.282.209.770.

E N T R A T E Avanzo di amministrazione = =

Tit. - I Entrate tributarie 1.366.755.127 7.09% “ - II Entrate compartec. a trib. 3.563.347.150 18.48% “ - III Entrate extratributarie 1.222.760.725 6.34% “ - IV Alienazioni, ecc. . 273.983.348 1.42% “ - V Assunzione prestiti 10.626.480.000 55.11% “ - VI Contabilità speciali 2.228.883.420 11.56%

_______________ _______ 19.282.209.770 100.00% 252

_____________________________________________________________________RELAZIONE FINANZIARIA

S P E S E

Tit. I - Spese correnti 12.290.809.644 63,74% » II - Spese in c/capitale 2.292.400.000 11,89% » III- Rimborso prestiti 2.470.116.706 12,81% » IV- Contabilità speciali 2.228.883.420 11,56%

________________ ________ 19.282.209.770 100.00%

RELAZIONE DEL PRESIDENTE

…..Meno di un anno ci separa dalla nuova consultazione elettorale delle popolazioni daune, che saranno chiamate ad esprimere il giu-dizio sulla nostra opera; a confermarci o ad affidare ad altri il mandato di amministrare la Provincia nel successivo quinquennio. Pertanto, in-sieme col bilancio preventivo dell’esercizio finanziario 1971, tratte-remo anche quello consuntivo dell’intera gestione.

Per questo, così come per ogni altro consuntivo, non si può pre-scindere dalle previsioni, costituite nel caso specifico dal documento programmatico della Giunta di centro-sinistra, presentato nel novem-bre 1966 ed approvato dal Consiglio provinciale il giorno 28 del mese successivo.

Ricordo gli interventi spiegati dalla opposizione in quella seduta: il consigliere Rossi rilevò che il programma mancava di immaginazione ed era disancorato dai grossi temi politici; il consigliere Ricciardelli apprezzò lo sforzo nell’approntare un programma, contenente non po-chi elementi positivi; il consigliere Marinelli lamentò che vi si erano compresi quasi tutti i più importanti problemi, ma in modo puramente indicativo; pur tuttavia, prese atto, con fiduciosa attesa, dei propositi della Giunta.

Ma, insieme col compiacimento generale per il fatto che, la prima volta nella storia del nostro Ente, si formulava un preciso e dettagliato programma pluriennale, dalle stesse dichiarazioni rese in aula trapelò un sottile scetticismo sulla esecuzione di quel documento, definito da alcuni, anche della maggioranza, un repertorio di buone intenzioni, e che oggi conviene rileggere, per confrontare le previsioni analitica-zioni e dare, con immediatezza, un giudizio esatto sulle nostre attività. E mi riferisco al Consiglio, perché la grande maggioranza delle deci-sioni, che hanno qualificato la nostra gestione, appartengono unani-memente a quel consesso, e questo sia per la dominante competenza istituzionale, sia per il metodo politico nel quale si è attuato il rapporto da noi instaurato fra Giunta e Consiglio. Un rapporto, ce ne darete at-to, estremamente democratico, basato sul massimo rispetto delle mi-noranze e che si è configurato anzitutto nella frequenza, molto notevo-le rispetto al passato, delle riunioni consiliari, nell’irrilevante

253

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

numero di provvedimenti adottati dalla Giunta con i poteri e con la successiva ratifica del Consiglio; nel grande numero di deliberazioni assunte dal Consiglio alla unanimità; ed infine, nella ricerca, tra gli i-nevitabili contrasti, di confluenza degli orientamenti dei vari gruppi; ciò nel tentativo, quasi sempre riuscito, di far risaltare, nelle decisioni finali, tutto ciò che ci univa e minimizzare tutto ciò che ci divideva. Pertanto, a buon diritto, ciascun consigliere, di questo o quel settore politico può ascrivere a suo merito le realizzazioni dell’Ente.

Dall’esame del nostro programma chiunque può verificare i suoi punti realizzati. Con esso ci proponemmo di lavorare su tre direttrici: azione indiretta, azione diretta ed in concorso con altri enti, azione di-retta ed in esclusiva e cioè nei settori di competenza istituzionale.

Il primo gruppo di problemi (quelli riguardanti l’azione indiretta), comprendeva l’approvvigionamento idrico, l’industrializzazione, lo sviluppo turistico e il miglioramento dei collegamenti stradali, ferro-viari e marittimi. Il loro svolgimento, senza dubbio, non ha soddisfatto in pieno tutte le pur legittime aspettative della nostra gente, ma è an-che vero, senza tema di smentite, che abbiamo fatto tutto quanto era possibile per stimolare, accelerare, sollecitare gli interventi degli or-ganismi (dalla Presidenza del Consiglio alla Cassa per il Mezzogiorno, al CIPE, ai vari Ministeri) cui apparteneva il potere decisionale. Per riconoscerlo, basta riandare all’occupazione dei pozzi metaniferi, ai ripetuti incontri di delegazioni unitarie di questo Consesso e di rappre-sentanti del Governo, ai dibattiti ed agli ordini del giorno sull’irriga-zione e sull’approvvigionamento idrico, sul piano Pitigliani, sui piani zonali del Subappennino, sulla programmazione regionale.

Il polo chimico di Manfredonia è una premessa di ulteriori grandi sviluppi, mentre si avvia a diventare una realtà il suo grande, moderno porto industriale. Anche la fabbrica SNIA di Ascoli è il primo punto fermo di un discorso generale, che può essere svolto con l’approva-zione del piano regolatore del Nucleo Industriale, finalmente trasfor-mato in Area di sviluppo. Né per l’irrigazione il quinquennio è tra-scorso invano. E’ recentissimo il compimento della galleria di Finoc-chito, opera ciclopica di sedici chilometri, costata sedici miliardi, che renderà produttiva l’altra grande impresa della diga di Occhito. Ricor-do a tal riguardo l’azione programmata dal nostro Ente per altre due dighe: quella detta « Marana-Capacciotti », già appaltata, e l’altra sul Carapelle, in corso di progettazione esecutiva.

A parte il problema dei finanziamenti — ce ne siamo occupati da poco tempo —, cade opportuno considerare che, per l’irrigazione, i tempi tecnici delle esecuzioni si misurano in quinquenni e decenni.

Nel settore delle infrastrutture si è finalmente ottenuto l’inizio dei lavori sul primo tronco della Candela-Foggia e l’approvazione del progetto del secondo tronco (recente comunicazione degli on.li Russo e Di Vagno); mentre sono a buon punto la galleria di Volturara e la superstrada del Gargano da Lesina a Rodi.

Anche l’allargamento della Foggia-Manfredonia e le circumvalla- 254

__________________________________________________________________RELAZIONE DEL PRESIDENTE

zioni di Lucera, San Severo e Manfredonia sono realizzate o prossime ad esserlo in base a progetti già finanziati, ed è recente un congruo fi-nanziamento della circumvallazione di Cerignola.

Nel secondo settore di interventi, in concorso con altri enti, si sono verificate quasi tutte le previsioni del nostro programma.

Per l’Università dauna abbiamo sviluppato l’iniziativa del Con-sorzio, convinti che, per questo problema valgono meditati progetti e non le improvvisazioni, avulse dalla realtà nazionale. Naturalmente, nella realizzazione dei nostri interventi, abbiamo sofferto anche noi del ritardo con cui, in sede nazionale, si procede alla riforma degli studi universitari.

Anche per questo settore aderiamo alla politica di programmazione e ci attendiamo il riconoscimento del nostro diritto alla terza Universi-tà pugliese, come è stato già ufficialmente stabilito a livello regionale: una università che sia vero ateneo di studi e di civili usanze, e non spaccio di diplomi, che aggraverebbe la depressione. A tal riguardo, senza tentennamenti e concessioni alla retorica paesana, il nostro di-scorso è stato ed è chiaro ed univoco.

L’approvazione recente e in via definitiva da parte del Senato (con l’astensione significativa dell’opposizione di sinistra) della legge « Codignola bis » ha posto, comunque, fine ai tentativi di varare libere università ed ha finito per confermare quanto abbiamo sempre soste-nuto.

Siamo intervenuti anche per il potenziamento dei porti e dei tra-sporti marittimi, finanziando la costruzione dei magazzini di calata in Manfredonia e contribuendo ad intensificare, a mezzo di una seconda nave, il servizio di collegamento tra il Gargano e le Tremiti.

Per la via aerea è allo studio la soluzione più idonea, essendocene occupati in tante riunioni ed anche in questo Consesso. Comunque, fra poco entrerà in funzione l’aeroporto « Gino Lisa » di Foggia, riattivato dalla Camera di Commercio, e perciò il tema dei collegamenti potrà essere trattato in una nuova, più favorevole prospettiva, anche in rela-zione al traffico delle merci.

Ricorderete le iniziative per lo studio geologico del Subappennino, per la valorizzazione delle acque curative di Margherita e dei laghi di Lesina e di Varano, per la costituzione del Consorzio di profilassi e polizia veterinari. Ne sono documento le dettagliate comunicazioni al Consiglio, per investirlo dei provvedimenti di sua competenza.

Ancor più numerosi sono i risultati raggiunti nei settori di stretta competenza istituzionale, ai quali — come era ovvio — si sono rivolte le maggiori cure, tanto che in alcuni casi il successo raggiunto ha su-perato le stesse previsioni.

Per tutti i problemi dell’assistenza ricorderete l’esauriente dibattito consiliare, su relazione dell’assessore Lattanzio, e i provvedimenti di attuazione adottati, con particolare riguardo al regolamento del Centro di igiene mentale ed all’istituzione di scuole per subnormali. Final-mente elaborata è la nuova convenzione con l’Ospedale psichiatrico,

255

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

senza trascurare, purtuttavia, la esigenza di un simile nostro istituto, per il quale nel bilancio di previsione 1971 è compreso uno stanzia-mento per l’acquisto del suolo e l’espletamento di un concorso nazio-nale per la progettazione. Abbiamo imboccato questa strada (quella stessa che ci ha fatto costruire l’Ospedale di maternità) ritenendola la più seria e più breve, per i compiti e le responsabilità di un ente pub-blico.

Delle finanze vi ha informato esaurientemente l’assessore De San-tis ; alla sua relazione, a suo tempo speditavi, non ho da aggiungere che una parola di gratitudine per l’impegno col quale ha assolto il suo non facile compito.

Molto è stato fatto anche per la sistemazione in ruolo di una gran parte del personale, con l’adeguamento degli organici e la ristruttura-zione degli uffici, cui sono stati assegnati nuovi locali con l’acquisizione e sistemazione del secondo piano di Palazzo Dogana. Si è adeguata la situazione del personale delle scuole, regolata l’assunzione di personale delle categorie speciali; si è provveduto con regolarità al collocamento in pensione del personale anziano — cui, per nostra iniziativa, viene assegnata una medaglia d’oro in ricordo—, e altresì alle assunzioni solo per concorso.

Con l’« Ufficio di piano », recentemente istituito, è stato, infine, potenziato il Gruppo di studio, i cui elaborati si sono ampiamente di-scussi in quest’aula e poi pubblicati.

Intensa è stata l’attività anche nel settore dei lavori pubblici. Eli-minato da tempo il divario tra finanziamenti e progettazioni, per tre esercizi, compreso quello 1971, abbiamo varato piani di sistemazioni straordinarie per il Subappennino, per un importo complessivo di lire 2 miliardi e 150 milioni, e quello con nuovo sistema, della manuten-zione triennale. Ottenuta la consegna all’ANAS delle strade statizzate, si sono avviate le pratiche per la statizzazione di molte strade provin-ciali e la provincializzazione di molte strade di bonifica. Il residuo chi-lometraggio a macadam, che costituisce, ormai, solo il 25% del chi-lometraggio totale delle strade provinciali, sarà sistemato con il rilan-cio della legge n. 181. Si è avviato il risanamento, con tappetino, delle strade bitumate ed introdotto, gradualmente, la meccanizzazione del corpo dei cantonieri.

Si sono attuati tutti i punti programmatici per l’edilizia pubblica. Completato l’Orfanotrofio « Maria Cristina », che si è adibito provvi-soriamente a scuola; consegnata la Caserma dei Vigili del fuoco, in funzione da oltre un anno, è in via di ultimazione il primo lotto dell’Ospedale di maternità, e sono quasi a termine anche i lavori della nostra storica sede, dal consolidamento delle fondazioni al rifacimento dei tetti, alle sistemazioni interne, al ripristino di un bel salone, desti-nato alla Giunta, e si è votata la spesa per il restauro esterno.

Al di là delle previsioni programmatiche, si sono deliberate le nuove sedi del Provveditorato agli studi e dell’Archivio di Stato, la costruzione del nuovo albergo alla foresta Umbra, sulla base di un

256

__________________________________________________________________RELAZIONE DEL PRESIDENTE

concorso nazionale, in via di espletamento con la partecipazione di in-gegneri ed architetti di ogni parte d’Italia.

Abbiamo, poi, impostato il più poderoso, lungimirante piano di e-dilizia scolastica nella storia del nostro Ente, che tra poche settimane inaugurerà la nuova modernissima sede dell’Istituto Tecnico « Gian-none » di Foggia, fondato 90 anni or sono per iniziativa dell’ente:

otto nuovi edifici e altri due da completare con finanziamento ot-tenuti per oltre tre miliardi, con il secondo triennio della legge sull’edilizia scolastica. Reperiti i suoli, in pochi mesi si sono avviate le pratiche al punto che, con l’impegno e la dedizione totale che fa o-nore ai nostri uffici, siamo in grado di indire, fra pochi giorni, le dieci gare di appalto. Tutto ciò mentre, su scala nazionale, non si riesce an-cora ad avviare la maggior parte delle opere previste dal primo biennio della legge ed i finanziamenti disponibili vanno ad incrementare i re-sidui passivi.

In aggiunta al piano di edilizia scolastica sovvenzionato, a carico del bilancio provinciale, si è completata la sede dell’Istituto tecnico di Lucera, di prossima inaugurazione, con una palestra di dimensioni o-limpioniche, laboratori e locali per uffici ed abitazione del custode. E’ questa la migliore risposta del Consiglio alle attese degli studenti, che manifestano anche per queste cose.

La nostra attività non si è limitata all’edilizia scolastica. Ci accin-giamo ad iniziare i lavori della nuova biblioteca, che sarà la più mo-derna e meglio funzionale d’Italia, per la spesa L. 800 milioni.

Ed ecco un quadro delle scuole per le quali si è ottenuto: lo sdop-piamento dell’Istituto tecnico industriale e dell’Istituto tecnico com-merciale « Giannone », entrambi di Foggia; l’autonomia dell’Istituto tecnico industriale di San Giovanni R. e del Liceo scientifico di Vie-ste; il triennio per l’Istituto industriale a San Severo ed a Cerignola e l’istituzione dei Licei scientifici di Sannicandro, Lucera, Cerignola, Margherita di Savoia e dell’Istituto tecnico a Rodi. Inoltre, per il se-condo Istituto industriale di Foggia, si sono ottenuti i corsi con indi-rizzi in elettronica ed in costruzioni aeronautiche, per i quali, superan-do mille difficoltà e con spese notevoli, si sono apprestati gli appositi locali.

Possiamo rilevare, con orgoglio, che nessuna delle nostre scuole ha doppio turno, a differenza di quanto avviene in altre province, anche meno depresse e più favorite.

Documenti culturali della nostra gestione, vanno, inoltre, consi-derati il pregevole piano della istruzione superiore, strumento indi-spensabile di lavoro anche per le Amministrazioni future, e la promo -zione del Liceo musicale « Umberto Giordano », elevato a conservato-rio di Stato, per il quale appalteremo fra poche settimane la nuova se-de. Abbiamo, infine, inserito in bilancio un contributo di 50 milioni, per le spese di trasporto degli alunni pendolari, che frequentano le scuole in sedi diverse dalle loro residenze.

Chi può contestare tutte queste realizzazioni, chi può negare che

257

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

la nostra provincia sta compiendo, grazie ad esse, un vero e proprio salto di qualità sul piano culturale e sociale?

Anche l’agricoltura, la caccia e la pesca, ci hanno impegnato a li-vello dei compiti e delle possibilità con la costruzione di strade con fondi FEOGA e di strade interpoderali per diversi miliardi, grazie al meccanismo finanziario che vi ha illustrato l’assessore De Santis; gli interventi per la siccità e per le altre calamità naturali; la lotta alla bru-cellosi e il risanamento del bestiame; l’istituzione del Gabinetto di a-nalisi dei terreni e dei Laboratori di biologia marina a Lesina ed a Manfredonia; i generosi ripopolamenti di selvaggina, la distruzione dei nocivi e il potenziamento del corpo di vigilanza; la disciplina della pesca nelle acque interne e nei laghi di Lesina e di Varano; la costru-zione di un acquario permanente alla Fiera di Foggia, e, con tante altre iniziative, che richiederebbero tutte una dettagliata illustrazione, vieta-ta dai limiti di tempo impostimi dal rispetto per l’Assemblea.

Lo stesso dicasi per gli altri settori. Igiene e Sanità: riammoder-namento della sede del Laboratorio ed acquisto di nuove attrezzature; costruzione della nuova sede della Maternità e costituzione dell’ente ospedaliero; riordinamento del Brefotrofio, per il quale, presto, vi sot-toporremo concrete proposte; intesa col Comune di Margherita per la costruzione dello stabilimento per le cure termali e per il turismo; rea-lizzazione di cantieri di lavoro in quasi tutti i Comuni della Provincia, ecc.

Nell’area della cultura e dell’educazione permanente, possiamo e-sibire un attivo che, in proporzione delle disponibilità di bilancio, può gareggiare con le più favorite province d’Italia. Non ho bisogno di ri-correre alle cifre, perché a tutti, cominciando dagli amministratori provinciali, è ben noto lo sviluppo da noi dato non soltanto alla Bi-blioteca provinciale e al Centro-rete, con essa funzionante, ma anche alle sue edizioni, che ne documentano il patrimonio e l’attività, valo-rizzano e incrementano gli studi locali, rappresentano la Provincia ol-tre i suoi limiti geografici, se addirittura non la scoprono anche a noi medesimi.

Iniziate dalle precedenti Amministrazioni, da noi hanno ricevuto grande impulso il periodico « la Capitanata », la raccolta collaterale dei suoi « Quaderni » che ha raggiunto l’undecimo numero, « Atti del-l’Amministrazione Provinciale » a suo tempo fermatosi al XII volume, « Quaderni » dell’Amm.ne, mentre abbiamo avviato due nuove colla-ne: « Miscellanea per il XIV Centenario del Convento di San Matteo » e « Civiltà della Daunia », che raccoglie le lezioni svolte dalla Catte-dra di Studi, istituita dalla benemerita Società Dauna di Cultura. So-printendono generosamente a quest’attività di studi e documentazione il dr. Angelo Celuzza, direttore della Biblioteca e del Centro-rete, l’avvocato Mario Simone, consulente editoriale.

A mezzo del Centro-rete, d’intesa col M.ro della P.I. e con parziale finanziamento, abbiamo concorso decisivamente all’impianto di bi-blioteche in tutti i Comuni della provincia, che ne erano sprovviste. A livello diverso, inoltre, abbiamo allestito due grandi mostre bibliogra-

258

__________________________________________________________________RELAZIONE DEL PRESIDENTE

fiche, in Palazzo Dogana per la « Giornata nazionale della lettura », e a S. Marco in Lamis, presso quella Badia, presentando circa 500 titoli d’interesse garganico, raccolti in un catalogo illustrato, completato da originali contributi monografici e illustrazioni.

Il bilancio 1971 costituisce il degno completamento della nostra

gestione. Le innovazioni principali rispondono, da una parte, all’esigenza di

portare a termine le iniziative in atto e di non lasciare pendenze finan-ziarie alla prossima gestione, che elaborerà il bilancio 1972 e, dall’altra, all’inclusione di nuove iniziative nell’ambito dei nostri im-pegni programmatici.

Per il primo gruppo gli stanziamenti di maggiore rilevanza riguar-dano: l’aumento di previsione delle spese di assistenza, come diretta conseguenza dell’aumento di rette per i vari Istituti, con particolare ri-guardo a quello psichiatrico e del pagamento di rette arretrate; lo stan-ziamento di mezzo miliardo per la revisione dei prezzi, lo stanzia-mento per il riassetto, l’aumento delle spese per gli istituti scolastici e per la Biblioteca prov.le, l’acquisto del secondo piano di palazzo Do-gana ed il rifacimento delle facciate.

Nel secondo gruppo vanno compresi i cento milioni per la costru-zione dello stabilimento psomoterapico di Margherita ed i sessanta milioni per lo sviluppo turistico in tre località del Subappennino: i bo-schi di S. Cristoforo e di Faeto, la zona di Monte Sambuco. La prima iniziativa costituisce un ulteriore contributo della nostra Amministra-zione al potenziamento delle attività termali a Margherita. Su questo problema abbiamo già disposto uno studio affidato al professor Mario Giordano, titolare della cattedra di idrologia medica dell’Università di Napoli ed indetto, in collaborazione con la locale Azienda di sog-giorno e turismo, un riuscito convegno. Ora pensiamo di realizzare di-rettamente, su suolo da ottenere in concessione dal Demanio, lo stabi-limento psomoterapico come indispensabile completamento dello sta-bilimento termale.

Gli altri interventi a favore del Subappennino vogliono rappre-sentare l’equivalente, sul piano turistico, dello sforzo compiuto dalla Giunta nel settore stradale a favore del Comprensorio più povero della nostra Provincia. Nella zona di San Cristoforo la Provincia sta co-struendo un albergo-rifugio con annesso ristorante. L’opera, già realiz-zata nel rustico, al più presto sarà completata nelle rifiniture e nelle at-trezzature.

L’innovazione più importante è costituita dagli aumentati stanzia-menti da 500 milioni a 2 miliardi, per la costruzione delle strade bitu-mate ed a macadam. L’importo di 500 milioni era stato ripetuto nei bi-lanci scorsi, ma era inadeguato al verificatosi aumento del chilo-metraggio stradale provinciale ed alla lievitazione dei costi della ma-nutenzione.

Con il bilancio 1971 abbiamo quadruplicato lo stanziamento com-

259

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

plessivo. Un miliardo è destinato alle strade bitumate, per le quali, fi-nalmente, il Consiglio ha approvato il principio della manutenzione triennale e della manutenzione diretta meccanizzata.

Un miliardo stanziato per le strade a macadam, che come ho detto costituiscono meno di un quarto dell’intera rete stradale, verrà impie-gato non per i tradizionali ricarichi di pietrisco ma per la bitumatura graduale dei tratti a macadam, per anticipare e stimolare l’intervento finanziario, che ci attendiamo dallo Stato con la proroga dell’art 6 del-la legge 181 del 21-4-1962.

Gli altri stanziamenti riguardano la sistemazione dell’area circo-stante la nuova sede dell’Ospedale di maternità, la ripetizione di ini-ziative già contenute nei bilanci scorsi per la costruzione delle strade vicinali, per integrazione fondi FEOGA, per la sistemazione straordi-naria delle strade del Subappennino, per la concessione di contributi alle cooperative artigianali e per il trasporto degli studenti pendolari.

Non ho altro da aggiungere a questa prima parte della mia rela-zione, costruita non di retorica ma di dati totalmente controllabili. Ed è con essi e per essi che nella storia di questo Ente il quinquennio tra-scorso si assume a uno dei più ricchi di risultati, ottenuti senza faziosi-tà e senza presunzione, con fede e, oserei dire, anche con la modestia di cui un uomo politico può essere capace, confidando nella buona fe-de e nella intelligenza di coloro che, chiamati ad avvantaggiarsi della sua opera, debbono giudicarlo.

Conclusa la doverosa elencazione di opere e di cifre, consentitemi alcune considerazioni, perché non è tutto dire « abbiamo risolto dei problemi », senza confrontarli con le difficoltà superate. I dati sono freddi numeri, ma quanto lavoro, ci costano, o amici Consiglieri, per svincolarli dalle pastoie della legislazione e della burocrazia! Attribui-re, bisogna, a nostra fortuna, a fortuna della Provincia se pur nell’ambito di leggi anacronistiche, che non consentono agli Ammini-stratori di far sbrigliare la fantasia, si è potuto realizzare qualcosa di nuovo tra quelle più indispensabili. E certamente il successo è dovuto in gran parte allo sforzo di suscitare il massimo interessamento intorno ai problemi posti sul tappeto, sollecitando la partecipazione di tutti gli enti che operano in provincia e, primi tra tutti, quelli amministrativi dei Comuni, e questo perché ci è stata sempre presente la « magna Capitana » nella sua interezza. Lo prova l’intervento eccezionale a fa-vore del Subappennino, che ci ha ricambiato con tanti riconoscimenti di sindaci e di cittadini, confermati anche in un convegno della D.C. tenutosi a Foggia con un ordine del giorno votato alla unanimità, nel quale si riconoscono gli sforzi dell’Amministrazione provinciale e del-le Amministrazioni che operano per il Subappennino. Invero il . fatto nuovo è che non abbiamo mai impostato un problema provinciale sen-za averne prima investiti i sindaci interessati, come per il Piano Piti-gliani, per quelli stradali, persino invitando i progettisti delle super-strade a discutere con gli amministratori comunali la scelta dei trac-ciati e la loro validità; e questo senza trascurare le occasioni eccezio-

260

__________________________________________________________________RELAZIONE DEL PRESIDENTE

nali, come le alluvioni, purtroppo così frequenti! Come era da preve-dersi, non è mancato il successo a questa concreta azione di coordi-namento, impostaci dalla necessità di portare avanti un discorso che non fosse soltanto quello dell’ente « Provincia », ma il discorso della Provincia. Nella scorsa riunione del Consiglio l’amico De Maio ricor-dava appunto due grossi problemi, ancora sul tappeto, che stiamo trat-tando con i sindaci: la pietra di Apricena ed i collegamenti delle auto-linee.

E che cosa non abbiamo fatto in altri settori di nuova competenza; a quanti convegni non abbiamo partecipato (e siamo grati alle catego-rie interessate, che hanno voluto affidarcene la presidenza) per discu-tere del mare e della pesca? E ricordo con particolare soddisfazione quello tenuto qui il 22 giugno 1967 sul porto di Manfredonia, con i rappresentanti dei Comuni e degli altri enti interessati.

Si discuteva in quel momento (mi si consenta la parentesi) del pia-no Paganelli e della necessità di trasformare l’attuale porto in un por-to-canale: fummo i primi e gli unici a riconoscere inaccettabile la pro-posta, perché dannosa alla funzione del porto e allo sviluppo indu-striale della provincia riaffermando, in un ordine del giorno, conse-gnato all’ing. Semola, che il porto doveva servire soltanto alla pesca ed ai traffici marittimi, mentre per altri fini doveva essere reperita una zona al di fuori delle attuali strutture (ed è recentissimo l’appalto dei 15 miliardi di lavori per il nuovo porto industriale).

E che cosa dire delle Isole Tremiti, per le quali la stampa recepiva le lamentele dei turisti, ivi diretti? Quest’anno nessuno si è lamentato, sia pure ignorando che noi avevamo invitato i sindaci del Gargano a discutere con noi dei collegamenti. Abbiamo persino organizzato un convegno in quel fantastico arcipelago, con la partecipazione dei diret-tori generali del Ministero della Marina, col risultato di non farci pri-vare della “Daunia”, in servizio tra Manfredonia e le Tremiti, e di far assegnare un’altra nave allo scalo abruzzese di quelle isole.

E quanti altri convegni sono stati tenuti alla Provincia, da quello sull’occupazione femminile a quello sulla letteratura italiana!

Ho parlato di leggi attuali: ebbene quello che esse ci hanno con-sentito, non abbiamo esitato a realizzarlo od a promuoverlo. Ed ecco i Consorzi per il Liceo musicale, l’Università di Foggia, il Mercato itti-co di Manfredonia, della Laguna di Varano (approvato qualche sera fa). E’ vero, sono strumenti inadeguati, consentiti da leggi superate dal progresso, ma che non respingiamo, pur di fare una politica di coordi-namento e di progresso per lo sviluppo economico e sociale.

E non solo con i Comuni e con gli altri enti, che operano in Capi-tanata, ma anche con i parlamentari i rapporti sono stati aperti e ampi, in specie per l’Area industriale di Foggia, formulando osservazioni sul parere dei tecnici. A premiarci di questa azione non è mai mancata la presenza ai nostri lavori delle popolazioni interessate, come quelle del Subappennino, che ci hanno fatto vivere forse gli episodi più belli e più significativi del nostro quinquennio.

Non va dimenticata l’attività dei Consorzi costituiti dall’Ammini-

261

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

strazione, a cominciare da quello che si chiamava Antirabbico e che, per l’impulso ricevuto dal suo presidente, il dott. De Tullio, con la col-laborazione prestataci dal Veterinario provinciale e da tutti i Comuni, si è trasformato in Consorzio per il potenziamento e l’ammodernamento dei mezzi profilattici e veterinari. Esso è uno dei primi in Italia ad avere abbandonato il settore limitato dell’antirabbia, per estendere la sua competenza in tutto il settore della polizia veteri-naria. Così dicasi dell’Ente provinciale antitracomatoso, presieduto dall’amico Perfetto. il quale ne ha esteso l’attività a tutti i servizi di of-talmologia sociale.

Uguali considerazioni e lodi valgono per il Consorzio antituber-colare di Foggia, la cui attività è rivolta alla prevenzione e non alla cu-ra, che spesso diventa un fatto burocratico. In questo modo ci prepa-riamo alla nuova realtà costituita dalle « unità sanitarie » locali, che dovrà trovarci pronti ad affrontare i compiti che ci saranno affidati per legge e per delega della Regione. Certo un sistema assistenziale effi-ciente ed organico potrà ottenersi solo quando, sul piano nazionale, Parlamento e Governo ne fisseranno globalmente indirizzi, lineamenti, obiettivi generali e sistema di struttura; e agli enti locali — Regioni, Province, Comuni — sarà affidata la competenza territoriale con la re-sponsabilità effettiva del coordinamento e dell’esecuzione.

Nella nuova impostazione delle strutture relative alla sicurezza so-ciale — al progresso sociale, direi — numerosi enti attuali saranno soppressi o trasformati in strumenti consultivi ed operativi degli enti locali. E’ ovvio che le soluzioni dovranno essere ricercate, conside-rando l’obiettivo primario della migliore attuazione dell’assistenza in Italia. E’ un problema che si troveranno ad affrontare i futuri ammini-stratori e noi ad essi lo affidiamo con la certezza che sapranno inserirsi in tempo in questa nuova tematica.

Ma la Provincia non può crescere da se sola, senza l’impegno e la collaborazione della classe dirigente e delle popolazioni, che sono le più direttamente interessate. Per questo non va, minimizzata la nostra azione indiretta, di stimolo, di ricerca della collaborazione con altri enti, come abbiamo fatto per l’acqua, per l’irrigazione, per l’Area in-dustriale. Per l’irrigazione vorrei dare la notizia ufficiale: il 4 di-cembre verrà finalmente abbattuto l’ultimo diaframma della galleria del Fortore.Questa cerimonia, cui siamo stati chiamati ad intervenire, segnerà una data storica per il progresso della nostra provincia. Circa l’Area industriale, spiacenti degli indugi sinora frapposti, ci auguria-mo noi tutti, che presto si insedi il nuovo Consiglio di amministrazio-ne per il quale a suo tempo abbiamo votato. Tra gli ultimi insediamen-ti votati dal CIPE (è vero si tratta di provvedimenti speciali, limitati ad alcune zone) ancora una volta non risulta la nostra Provincia.A tal proposito, ho spedito alle Autorità centrali questo telegramma, che ri-flette il voto consiliare del 23 febbraio c.a.: « A seguito decisione CI-PE investimenti ed insediamenti industriali Calabria e Sicilia, esprimo fiduciosa attesa prossima decisione insediamento nostra Provincia in-dustrie alta percentuale occupazionale tipo “Aeritalia” in accoglimen-to legittime attese ripetutamente espresse popolazioni ».

262

__________________________________________________________________RELAZIONE DEL PRESIDENTE

A tal riguardo non vi sarà sfuggita la simile condotta politica della Democrazia Cristiana e del P.S.I., così come si evince non solo da un comunicato-stampa, ma anche da un ordine del giorno con i quali si assumono atteggiamenti più decisi di contestazione nei confronti del Governo e del CIPE.

Conto di potermi incontrare il 4 dicembre con i deputati Di Vagno e De Meo per ridiscutere il problema dell’industrializzazione della Provincia e, in particolare, il problema dell’Aeritalia. Anche per que-sta azione è pacifico che essendo un’azione svolta a nome della Giun-ta, attendo da voi la più generosa collaborazione.

Circa la politica dei « contributi » mi riporto alla decisione della Giunta di contenerli mantenendoli fermi nella misura stabilita dalle precedenti Amministrazioni, e ciò soprattutto per non appesantire la situazione del bilancio in questa direzione. Ed è veramente significati-vo che la Giunta abbia agito con un concetto innovativo soltanto per fatti veramente nuovi, veramente giusti. Ha finanziato le « Giornate Mediche Daune » e quelle universitarie di Siponto, e numerosi con-vegni: « Internazionale di letteratura italiana », « Medico» di Mar-gherita di Savoia, « Sulla finanza locale » di Foggia, oltre tutte le con-ferenze, che dimostrano una politica nuova nell’assegnazione dei con-tributi ai soli enti responsabili e in base a specifici programmi, forieri di positivi risultati, e non solo per le manifestazioni culturali, che di solito sono le meno finanziate, ma anche, a volte, per anticipare e sol-lecitare, non per sostituirci allo Stato, come quando siamo andati in-contro agli artigiani e ai coltivatori diretti, per mitigare i danni causati dal maltempo e per la costruzione di strade vicinali.

Anche alcune manifestazioni pubbliche dell’Amministrazione so-no state accolte quali caratteristiche del nostro quinquennio: quelle in onore dei Consiglieri regionali e del prof. Soccio e per la consegna dell’autoambulanze, e l’altra, senza dubbio densa di significazione po-litica, per la targa all’on.le Moro, quale « costruttore di pace ». Mai, credo, iniziativa provinciale fu tanto di auspicio di una politica vera-mente nuova, come quella in corso del grande statista conterraneo. All’inizio di questa gestione interpretai il vostro sentimento, auguran-domi che il nostro fosse un quinquennio di pace. Il voto ha trovato ri-scontro nell’azione del Ministro degli esteri, che è riuscito a far valere le istanze del nostro popolo., li’ questi torbidi tempi, quale protagoni-sta di iniziative di pace nel mondo, egli ci ha liberati dal dubbio che l’Italia non potesse più dire una parola autorevole al confronto delle due superpotenze, la russa e l’americana. Moro, con una politica di-gnitosa ed autorevole, la più aperta possibile verso l’avvenire, ha sa-puto rispondere e far rispondere affermativamente all’aspirazione dei popoli, compreso quello dauno, ed ‘io mi reputo fortunato che, con la consegna della targa, il riconoscimento dell’opera svolta da lui in que-sti ultimi tempi sia stato anticipato proprio nella operosa Foggia, così provata dalla guerra.

Un’ultima considerazione, cari amici: non abbiamo mai portato

263

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

avanti un discorso per opportunismo, considerando ciascun fatto un anello della catena di un programma. L’amico Galasso, sul bilancio dell’anno scorso, osservò in Consiglio: «…se non vi fossero altri mo-tivi per un giudizio positivo, vi sarebbe la coerenza della Giunta ai programmi, alle impostazioni e soprattutto alle ispirazioni politiche che l’hanno guidata... ».

C’è stata in mezzo a noi qualche corrosione? Non lo so. Forse, ma essa, comunque, non ha inciso sulla colonna attiva del « consuntivo ».

Siamo stanchi, certamente, ma non affatto esauriti, e siamo in pace con la coscienza anche se avremmo voluto fare ancora di più per le nostre popolazioni. Siamo tranquilli, perché abbiamo risposto con tut-to il nostro impegno al mandato di fiducia conferitoci dall’elettorato dauno.

Attraverso un ente riportato alla normalità, abbiamo tutelato sem-pre ed in ogni sede gli interessi della Capitanata, assicurandogli quella stabilità, e continuità, che hanno prodotto i noti risultati. Col tener sempre fede agli impegni assunti, abbiamo istituito nuovi rapporti tra maggioranza e minoranza e scrupolosamente rispettato le prerogative sovrane di questo Consiglio, vero protagonista della vita provinciale.

Ricordiamo qui, oltre le relazioni sui bilanci degli amici Ma-gnocavallo e De Santis, quelle sui problemi del personale da parte di De Santis prima e di Mondelli poi; di Grosso, di Renzulli, e ancora di-battiti specifici, che hanno impegnato il Consiglio in più di una seduta, e si sono svolti su relazioni di esponenti dei diversi partiti: di De Maio sul primo schema regionale di sviluppo, di Matassa sulla istruzione pubblica; di Lattanzio sull’assistenza; di Protano sulle strade e di Buc-ci sull’acquedotto. Questo vi dice quanto sia stata felice la linea adot-tata, improntando alla massima lealtà rapporti tra consiglieri di mag-gioranza e di minoranza, creando i presupposti essenziali della colla-borazione nel pieno rispetto delle idee di ciascuno e della prassi de-mocratica, che nessuno ha potuto mai contestare. E che dire del con-tributo prezioso dei funzionari e degli impiegati? Ma se essi ci hanno dato piena collaborazione è anche vero che la Giunta li ha posti nella condizione ideale di custodire la loro dignità e adeguare la loro perso-nalità ai fini dell’Amministrazione.

Non si può negare che i nostri bilanci siano stati specchio del vero. Il primo di esso — voi ricordate — fu perfino legato alle delibere ope-rative delle somme messe a bilancio. Giorno per giorno è stata fatta la verifica delle cose da fare, con riferimento agli impegni del program-ma. Non ci siamo, poi, stancati — nonostante le delusioni — di ravvi-vare con crescente entusiasmo l’assunto impegno, senza sdegnare le legittime verifiche dei Partiti, grati a quelli del centro-sinistra che, a conclusione di esse, hanno riconosciuto il valore nuovo della nostra politica.

Ringrazio, perciò, della collaborazione tutti i consiglieri provin-ciali, e non soltanto quelli della maggioranza e la Giunta, che mi sono stati i più vicini col consiglio e nell’azione; ringrazio il personale

264

__________________________________________________________________RELAZIONE DEL PRESIDENTE

tutto di Palazzo Dogana, gli amici della Stampa, anche per le loro cri-tiche costruttive e le sollecitazioni; ringrazio, soprattutto le popola-zioni che ci hanno eletto e confortato della loro adesione.

E non è senza significato, amici consiglieri, che la discussione sul bilancio venga fatta in concomitanza con quella sullo statuto della Re-gione pugliese. E non ripeterò — perché l’abbiamo sottolineato in al-tre riunioni — i grossi temi della emigrazione, della occupazione e della programmazione dei quali — fatto più che normale — compete alla Provincia di occuparsi anche in sede regionale, dove ci spetta un sufficiente spazio politico.

Non si discute più se la Provincia debba o non sopravvivere; resta a vedere solo quale volto significante e quale spazio le resti e se que-sto dovrà venirle dalla Regione, con le leggi delegate o per legge con nuove attribuzioni istituzionali. Dell’aspirazione dei Dauni di aderire alla novazione politico-amministrativa credo siano significative prove il convegno e la consegna delle medaglie ai consiglieri regionali: all’indomani della loro elezione fu, quello, un fatto apprezzato e sotto-lineato positivamente da tutti, perché a promuovere la manifestazione fu il presidente dell’Unione delle province pugliesi, che, la prima vol-ta, è personificato da chi presiede questo ente, che con quel gesto ha voluto portare all’Unione il problema dei rapporti tra Province e Re-gioni, non in antitesi, ma in piena concordanza di vedute.

Occorre insistere affinché siano attribuiti compiti istituzionali nuo-vi alla Provincia, che da ente speciale deve trasformarsi in ente a strut-tura normale con autonomia che abbia contenuto e significazione. La legge comunale e provinciale, dunque, dovrà considerare i problemi non più soltanto su un piano settoriale, ma in una visione globale, per-ché la Provincia, con finanziamenti adeguati, possa rispondere alle at-tese, alle speranze, alle esigenze delle popolazioni. Sarà compito dei nuovi amministratori concorrere a formare e far vivere la Provincia dell’avvenire.

Concludo, cari amici, rinunziando al volo retorico di rito, per pie-garmi in meditazione nel ricordo di Primiano Magnocavallo. A due anni dalla morte, ne celebreremo l’apostolato civile il 7 dicembre, do-po la S. Messa, con la consegna ai vincitori studenti universitari delle borse che il Consiglio, unanime, volle istituire al suo nome.Egli ci ha lasciato una consegna, che crediamo aver adempiuta, e a nostra volta trasmettiamo ai nostri successori: « ...Noi che, in “Provincia”, affron-tiamo molti compiti anche diversi da quelli rigorosamente istituziona-li, non abbiamo ignorato il problema dell’uomo, che diventa persona, tanto "più persona”, quanto più diventa cosciente, e responsabile. Non importa essere o non credenti; Papa Giovanni ha detto che quando si tratta di bene comune, tutti devono e possono lavorare insieme per la soluzione di quei problemi. Ma dobbiamo cominciare noi, investiti di cariche pubbliche, noi Consiglio Provinciale, perché “nemo dat quod non habet” ».

Primiano Magnocavallo fu, uno di noi, senza dubbio, il migliore in

265

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

mezzo a noi, che ha sempre visto il potere pubblico come servizio del-l’uomo a favore dei suoi simili, nell’ordine della convivenza sociale; non ha mai difeso il potere per pura conservazione, per ciò ha sempre cercato di farlo rispondere alle attese della società, dandogli slancio e dedizione, nel perseguire il riscatto degli umili, la lotta per la giustizia, l’elevazione morale e materiale della gente dauna. Noi, amici Consi-glieri, continueremo a tenerne viva la memoria, a seguirne le orme e imitarne l’esempio.

DISCUSSIONE

Il cons. avv. Gabriele Consiglio (D.C.). Nel dare atto dell’impegno mantenuto in tutta la problematica pro-

vinciale dalla Giunta uscente, ne ha messo in ris alto lo spirito d’iniziativa nell’approntare i vari « piani », presupposto di un più va-sto processo di industrializzazione della Capitanata, che pertanto ne richiede l’aggiornamento, insieme con lo studio e la preparazione di altri nuovi, per potersi inserire nella programmazione regionale, con-tribuendo con opportuni suggerimenti alle decisioni del nuovo ente. In modo particolare l’avv. Consiglio ha rilevata la necessità di ampliare il « piano zonale » del Subappennino, che dovrebbe essere trasformato in « piano comprensoriale », operazione che può essere felicemente at-tuata attraverso l’« Ufficio studi e programmazione », istituito dalla prima Giunta di centro-sinistra, da lui presieduta.

Su l’aspetto tecnico del bilancio 1971, il consigliere si dichiara pienamente soddisfatto dell’aumento apportato ai fondi per l’assistenza e per la manutenzione stradale, ed ha rilevata la conside-razione che l’attuale Giunta ha rivolto alla funzione delle squadre di pronto intervento, risalendo anche queste — sia pure come semplice atto deliberativo — alla prima Giunta di centro-sinistra.

L’ass. avv. Matteo Renzulli (D.C.).

Anche in relazione alle difficoltà finanziarie in cui operano le am-

ministrazioni comunali e provinciali regolamentate da leggi superate, maggior merito dovrebbe venire alla Giunta per la sua attività, come dimostrano tutte le opere realizzate in quest’ultimo quinquennio o in corso di realizzazione.

Il cons. prof. Pasquale Ricciardelli (P.C.I.).

L’avv. Consiglio ha svolto una critica di fondo al bilancio 1971 e,

quindi, alla Giunta che nel documento approntato dall’ass. De Santis ha compiuto un notevole sforzo, per presentare cifre e fatti in modo ta-le da camuffare le insufficienze di carattere generale e particolare pa-lesate dalla gestione.

266

_________________________________________________________________________________DISCUSSIONE L’oratore si sofferma lungamente sulla situazione economica degli

enti locali italiani con riferimento alla situazione economica del Paese, criticandone i principi cui la politica finanziaria si ispira, come dimo-stra anche il « decretone », che, a suo parere, sarebbe stato addirittura esaltato dai democristiani.

Entrare nel merito del bilancio, a suo avviso, sarebbe un lavoro ar-duo ed inutile, che non cambierebbe certamente le cifre, così come non sono state cambiate, nel passato, di fronte a sia pur precise conte-stazioni del gruppo consiliare comunista. Pur tuttavia, notevole è stata la manutenzione stradale, anche se una cifra di 800 milioni di lire, re-legata a mutuo, non si sa quando ed in quale misura sia realizzabile. In ogni caso, occorre che le strade non siano più viste, come è accaduto fino ad oggi, in chiave elettoralistica, ma in rapporto alle loro effettive condizioni e alla urgenza dei lavori. Riconosce la opportunità delle squadre di pronto intervento, e ne auspica il potenziamento, aumen-tandosene il numero ed i mezzi a disposizione.

Tornando alla politica finanziaria, egli richiama l’attenzione del Consiglio sulla inadempienza da parte dello Stato nella erogazione dei contributi dovuti a quest’Amministrazione; inadempienza che provoca la richiesta al Tesoriere di anticipazioni di cassa per le quali la Pro-vincia è costretta a pagare centinaia di milioni di lire per interessi.

Nel bilancio 1971 si è parlato molto poco del turismo, come della Biblioteca provinciale e della politica della casa. Queste lacune, unita-mente alla mancanza di visioni prospettiche, fanno sì che il gruppo comunista consideri negativo questo bilancio e, pertanto dia voto con-trario.

L’ass. dott. Antonio Grosso (P.S.U.)

Anche quale commissario dell’Ospedale di maternità, esprime

plauso alla Giunta, che ha tenuto in vita il nosocomio, dando la spinta per arrivare a quel meraviglioso complesso che sta sorgendo a Foggia su la Via Napoli. Occorre, quindi, dare atto alla Giunta del merito di non aver trascurato compiti che non erano proprio del tutto istituziona-li.

Su la riforma tributaria, il dott. Grosso rivendica ai socialdemo -cratici il merito di averla per primi voluta, essendone promotore il mi-nistro Preti. Conclude, auspicando che la Giunta regionale, allo stesso modo di quella provinciale, curi i problemi del Subappennino e che i Parlamentari della Daunia, a qualunque colore politico appartengano, siano uniti per l’inserimento della Provincia nel processo di industria-lizzazione del Mezzogiorno.

Il cons. dott. Alberto Perfetto (D.C.).

Dopo aver elogiato l’assessore De Santis ed il ragioniere capo del-

la Provincia per l’ottimo lavoro svolto nella preparazione del bilancio 1971, ne rileva i molti aspetti positivi, che non si possono ignorare, per gli interventi operati o programmati nel settore sociale ed in quello

267

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

viario, quali ad esempio gli stanziamenti di oltre quattro miliardi di li-re per assistenza agli infermi di mente, agli illegittimi, ai ciechi ed ai sordomuti, nonché l’altro cospicuo stanziamento di tre miliardi e mez-zo di lire per la manutenzione stradale, per la quale la maggior parte della spesa è dedicata al Subappennino; cosa, questa, che non manche-rà di destare vasta eco nelle popolazioni interessate. Ma occorre insi-stere per ottenere altre realizzazioni, specialmente nel campo della in-dustrializzazione; del pari occorre sollecitare la realizzazione della strada Foggia-Ascoli, del raccordo con l’autostrada Bari-Napoli, e del-la Ascoli-Serra-La Caccia. Quindi, sottolinea la opportunità di tra-sformare l’Ente provinciale antitracomatoso in Centro di oftalmologia sociale, il dott. Perfetto propone che oltre nuovi simili centri in pro-vincia sia istituito anche un Centro Oncologico tramite un consorzio a costituirsi fra Provincia, Comuni e altri enti interessati.

Il cons. prof. Emilio Amoroso (P.C.I.).

Fra le relazioni scritta e orale sul bilancio a cura dell’assessore De

Santis sono molte contraddizioni, perché nella prima si esalta quella che dovrà essere la riforma tributaria, mentre la si critica nella secon-da.

Riportandosi all’intervento del cons. Ricciardelli, osserva che i nuovi tempi impongono un nuovo sistema di compilazione del bilan-cio, come del resto previsto dallo statuto regionale: quello della colla-borazione fra i vari gruppi che, tutti insieme, dovrebbero approntare il documento più importante dell’ente Provincia.

L’ass. avv. Filippo Mondelli (D.C.).

Definisce « sentita e sofferta » la relazione del Presidente. Egli

merita il plauso di tutto il Consesso, che non può ignorare la collabo-razione del personale di ufficio, impegnato e tradurre in cifre quello che è stato il lavoro politico della Giunta. Lavoro senz’altro positivo, come risulta dagli stessi interventi della opposizione, la quale — spe-cie tramite il prof. Ricciardelli — si è « arrampicata sugli specchi » nella sua critica preconcetta al bilancio 1971. Il sempre pacato Ric-ciardelli, infatti, ha dovuto essere eccezionalmente molto polemico su argomenti che, in conclusione, non hanno nulla a che vedere col bi-lancio, tirando in ballo il « decretone » (che la Giunta avrebbe esalta-to) la libertà dei popoli, e finanche impegnandosi in una gratuita di-stinzione tra cattolici e cristiani.

In altri termini, secondo l’avv. Mondelli, l’opposizione ha diva-gato, essendo a corto di altri argomenti, relativi alla discussione del bi-lancio, confermando così indirettamente la validità della formula di centrosinistra la quale ha fatto sì che il decollo della Provincia di Fog-gia, così come previsto nel discorso di insediamento della Giunta, si è puntualmente verificato.

Fra tutte le realtà odierne, però, quella che deve essere messa bene in risalto è l’aver agito da parte della Giunta senza scopi elettoralistici, ma impostando e cercando di risolvere i problemi nella piena visio-

268

_________________________________________________________________________________DISCUSSIONE

ne delle obiettive necessità delle zone per le quali si andava ad inter-venire.

L’assessore Mondelli conclude con l’invito alla Presidenza, alla Giunta ed all’intero Consiglio di tener sempre d’occhio i gravi pro-blemi del Subappennino, nonché quelli delle zone interne del Garga-no, tagliate fuori dal turismo.

Il cons. avv. Dino Marinelli (M.S.I.).

Critica il bilancio 1971, che non segue le linee programmatiche cui

si ispirava l’ass. Magnocavallo, il cui ricordo è sempre vivo in tutti i consiglieri provinciali. Egli, infatti, era dell’avviso che le spese cor-renti venissero contenute, mentre dal bilancio 1971 ne risulta una e-norme dilatazione. La Giunta si discolpa di ciò e si arriva fino alla e-saltazione, da parte dell’ass. Mondelli, della formula di centrosinistra, responsabile della situazione alla Provincia di Foggia come nel resto del Paese. La sua situazione economica, è infatti « fallimentare », così come è del tutto carente la produzione legislativa. E, poi che non si ri-solve il problema solo con la riforma della finanza locale, urge tutto ristrutturare, cercando di armonizzare per quanto possibile gli istituti vigenti, le Regioni con i Comuni, le Province, lo Stato.

Le « spese correnti » richiedono la più rigorosa responsabilità e una maggiore efficienza dell’Amministrazione, e si contengono anche con una più rigida politica dei contributi, cercando di risparmiare in tutti i settori; cosa, questa, sulla quale era d’accordo (fin dalla discus-sione sul bilancio 1968) anche il vice presidente De Maio. L’averle portate in quattro anni dal 38% al 70%, significa il fallimento com-pleto della cosiddetta programmazione.

Sul fondo per la manutenzione stradale, c’è da chiedersi come mai, se davvero era così facile aumentarlo, lo è stato fatto soltanto col bi-lancio 1971, con una situazione economica più difficile e in via di peggioramento.

Anch’egli, infine, è d’accordo sulla necessità di guardare i pro-blemi oltre il profilo campanilistico, se è vero come è vero che l’ente Provincia oggi ha ragione di esistere soltanto se, ristrutturata, diventa, nei riguardi della Regione, la rappresentanza vera di tutta la Provincia, amministrata con criteri imprenditoriali, come sosteneva l’assessore Magnocavallo.

L’ass. dott. Michele Protano (P.S.I.).

La Giunta ha portato a compimento il programma presentato

all’atto dell’insediamento, almeno per la grande maggioranza delle questioni in esso previste. Infatti, si è riordinato il settore del persona-le; ciascun bilancio non è stato, come per le passate gestioni, ritardata-rio, e perciò consuntivo, ma veracemente preventivo; molto è stato fat-to per l’assistenza sia con la ristrutturazione del Centro d’igiene men-tale, sia con la revisione dei sussidi per cure domiciliari e

269

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

per gli illegittimi, sia infine con la creazione delle scuole per i sub-normali.

Dopo aver sottolineato molte delle realizzazioni della Giunta in ca-rica nel settore dell’agricoltura e del turismo, il dott. Protano sostiene che qualcosa in più, invero, ci si attendeva come la costituzione di consorzi per i porticciuoli turistici e pescherecci del Gargano e per il finanziamento della nuova rete dell’acquedotto pugliese, a traverso un azione verso la Cassa per il Mezzogiorno.

Il dott. Protano passa, quindi, in rassegna le opere realizzate nei settori della pubblica istruzione e dei lavori pubblici, della igiene e sa-nità, dando atto agli assessori della solerzia impiegata nell’esplicare la loro funzione. Di particolare importanza l’opera della Giunta nel cam-po viario, specie nel Subappennino, per il quale è stato realizzato in pochi anni quanto non era stato mai fatto in decenni da altre gestioni.

Ma un problema che non è stato visto nella sua giusta luce è il rin-novamento dell’assistenza psichiatrica che, secondo la legge Manotti, avrebbe dovuto impegnare il Consiglio provinciale a realizzare un o-spedale psichiatrico provinciale e un istituto psico-medico-peda-gogico. Comunque, è degno di elogio l’aver previsto nel bilancio 1971 un fondo di 100 milioni di lire destinato all’acquisto del suolo e alla progettazione di questi due edifici.

I1 cons. Pasquale Panico (P.C.I.).

Il bilancio di quest’anno assume una duplice importanza, sia per la

fine della gestione (e per ciò compendio dell’attività quinquennale della Giunta) sia per la natura estrinseca di documento elettoralistico. Egli crede che nelle relazioni del Presidente e dell’assessore De San-tis, vi siano accenti da comizio.

Per quello che ha detto in ispecie l’ass. De Santis (l’aver studiato, impostato e risolto tutti i problemi delle nostre genti) il bilancio 1971 può definirsi senz’altro un « libro dei sogni », fuori com’è dalla realtà, che soltanto il gruppo comunista conosce, quotidianamente a contatto con i problemi dei poveri. Infatti, la Provincia non si è mai fatta spon-taneamente vessillifera delle istanze popolari, e se ha operato, quel poco lo ha fatto soltanto perché « rimorchiata », cioè costretta, dalle popolazioni. Infatti, la Giunta non ha voluto convocare la conferenza sulla occupazione e sulla scuola, pur sapendo quanto grave sia la si-tuazione nel campo della disoccupazione e in quello della pubblica i-struzione; nè vale vantarsi di aver istituito varie scuole nella provincia, essendo esse ancora allo stato di progettazione, e finanziate con mutui che non si sa se saranno realizzati.

Il bilancio 1971 è tutto negativo, e non dice una sola parola nuova nella pur mutata situazione generale della Capitanata.

I comunisti non sono d’accordo con il consigliere Maninelli nel 270

DISCUSSIONE

_________________________________________________________________________________DISCUSSIONE

contenimento delle spese correnti; incitano però a meglio vigilare per-ché il denaro pubblico sia speso bene, nè fa loro impressione la grossa cifra prevista per la manutenzione delle strade provinciali, perché si sa che il 25% della rete stradale provinciale non è ancora bitumato. Per-tanto è necessaria l’azione di tutto il Consiglio, per la ricerca dei fondi richiesti da questo primario compito istituzionale.

Il cons. dott. Paolo De Tullio (D.C.).

Le relazioni dell’ass. De Santis e del Presidente sono chiare, aven-

do impostato cifre giuste e rispondenti alla realtà dei fatti amministra-tivi. Senzà dubbio, che il disavanzo sia aumentato così notevolmente deve preoccupare il Consiglio, ma senza dramma, essendosi verificato per cause estranee ai propositi, degli amministratori (arretrati di rette di degenza per i folli, riassetto delle carriere del personale, revisione dei prezzi dei pubblici appalti, ecc.) un disavanzo cui in gran parte si rimedierà con l’aumentato gettito di tasse per la circolazione auto-mobilistica ed I.G.E.

Con le numerose opere realizzate o in via di realizzazione la Giun-ta in carica, ha attuato la massima parte del suo programma pur nelle ristrettezze economiche e nella carenza legislativa. Rilevante è la cifra prevista per la strada, presi all’« abito che indossiamo e ogni tanto va rinfrescato, pulito e stirato ».

Se qualcosa non è stata fatta o è stata fatta male, gran parte della responsabilità spetta ai comunisti, come è avvenuto per l’aeroporto ci-vile, che pure era tanto reclamato dallo sviluppo commerciale e turi-stico della provincia.

Il dott. De Tullio conclude, rilevando la contraddizione tra i due interventi dell’opposizione: quello dell’avv. Marinelli, sulla dilatazio-ne delle spese correnti, e l’altro del Panico sul compito del Consiglio di reperire i fondi necessari (anche dilatando tali spese) per la realiz-zazione delle opere e per la soluzione dei gravi problemi della nostra Provincia.

Il vice presidente Bios De Maio (P.S.I.).

Esordisce, chiedendosi se la odierna discussione sul bilancio di

previsione per il 1971 offra proprio « l’immagine di una opposizione che accusa e di una maggioranza che si difende, fuori della realtà no-stra, che è quella generale, degli enti locali, perché quando ci troviamo tutti insieme a livello di associazione degli enti locali (comu nisti, so-cialisti, democristiani), facciamo quadrato attorno a determinate ri-vendicazioni e tutti ci poniamo come oppositori dello Stato in difesa degli enti stessi ed alla loro vitalità.

Quando, infatti, siamo tutti insieme alle assemblee dell’A.N.C.I. o dell’U.P.I. per rivendicare giustamente la nostra autonomia, ci tro-viamo tutti d’accordo. Quando siamo al di fuori dell’aula del Consi-glio Provinciale, tesi opposte come quelle dell’assessore De Santis e

271

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

del consigliere Ricciardelli (che in quest’aula si sono scontrate viva-cemente) si allineano, perfettamente, anche se con piccole sfumatu-re.Ed è un fatto irreale questa opposizione che peraltro quest’anno è stata particolarmente violenta, per cui, per inciso, vorrei chiedermi se anche il modo di condurre l’opposizione non sia stato tale da far pen-sare a un interesse elettoralistico. E’, infatti, assurdo, per Foggia, que-sto scontro frontale in un momento particolare della vita del Con-siglio, che nel corso di un anno è stata intessuta da una saggia colla-borazione tra maggioranza e opposizione.

Invero, la critica di fondo al bilancio, che non avrebbe proiezione nel futuro regionale, forse trova la sua spiegazione in alcuni provincia-lismi che andrebbero eliminati. Provincialismo è il fossilizzarsi della critica in determinati schemi di angustia locale; provincialismo è an-che inneggiare alle opere compiute.Ed a questo siamo tentati un po’ tutti, come è accaduto al compagno Panico, affermando che nulla è stato fatto, che tutto va male, che questo bilancio è « un libro dei sogni », dimenticando quanto le ammissioni del suo compagno e collega di gruppo Ricciardelli, a proposito dell’assistenza, da lui definita « l’unico fatto qualificante di questa Amministrazione »e da Panico, in-vece, chiamato « una grande beffa ». Anche Ricciardelli è stato tentato dal provincialismo, quando ha ripetuto più volte, nel corso del suo in-tervento, la frase « vibrando la corda polemica della cattiveria ».

Se è vero che nel passato triennio la Provincia di Foggia è stata trascurata dagli interventi statali per l’edilizia scolastica, è anche vero che per l’attuale triennio questo intervento c’è stai o ed in maniera an-che massiccia. E ciò si è potuto verificare solo perché l’Ammini-strazione provinciale ha detto allo Stato che arrivava anche all’alienazione dei propri beni matrimoniali (come è avvenuto per l’ex Caserma dei Carabinieri in Piazza Cavour a Foggia) per costruire una scuola che costerà alla Provincia intorno ai 200 milioni! Comunque, occorre usare un linguaggio comune, se davvero vogliamo realizzare qualcosa in Capitanata, nell’ambito della programmazione regionale; sarebbe stupido beccarci tra noi, come i capponi di Renzo.

Il vice Presidente si chiede se il compagno Ricciardelli « vibrando la corda polemica della cattiveria », non si trovi d’accordo con lui su questa necessità, così come Ricciardelli si trova allineato sulle stesse posizioni di De Santis, con lievi sfumature, allorché i due si ritrovano, nei congressi, di fronte ai problemi della finanza degli enti locali.

« Ho ritenuto » — afferma Bios de Maio, avviandosi alla con-clusione — « di dover sottolineare questi aspetti della situazione, an-che non scendendo nel merito di alcuni peculiari aspetti del bilancio, anche perché ciò è stato fatto egregiamente dai colleghi che mi hanno preceduto, anche per seguire la impostazione che il compagno Ric-ciardelli dava al suo intervento, ma da un altro punto di vista.

Credo sia assolutamente indispensabile che la conclusione della discussione sul bilancio ritrovi maggioranza e minoranza su un piano

272

IL QUINQUENNIO PROVINCIALE

All’on. Aldo Moro, quale « Costruttore di pace », una targa della « Provincia » Dalla mani del suo Presidente.

(Foto Pipino)

IL QUINQUENNIO PROVINCIALE

FOGGIA – Sede nuova dell’Istituto tecnico statale commerciale-mercantile « Pie-tro-Giannone »

(Spesa di L. 600 milioni a totale carico dell’A.P.)

(Foto Pipino)

IL QUINQUENNIO PROVINCIALE

L’avv. Tizzani consegna a Zavattini la targa d’oro del Premio « Terra Salda », quale omaggio dell’Amministrazione provinciale.

IL QUINQUENNIO PROVINCIALE

FOGGIA, PALAZZO DOGANA- Consegna di tre autombulanze donate dalla Provincia alla C.R.I. e all’Ospedale di Maternità.

(Foto Pipino)

IL QUINQUENNIO PROVINCIALE

FOGGIA – Progetto della nuova Biblioteca Provinciale: ingresso principale (Spesa L. 800 milioni)

Progetto della nuova sede dell’Istituto tecnico statale commerciale e per geometri in Lucera.

(spesa a totale carico della Provincia)

PRIMIANO MAGNOCAVALLO

Primiano Magnocavallo (il nono da s.) all’insediamento della prima Giunta di Centrosinistra (ottobre 1966). Gli sono vicini (da s.): avv. Matassa, dott. Protano, dott. Grosso,

per. ind. Lattanzio, avv. Tizzani, sig. De Maio, sig. De santis e avv. Renzulli

_________________________________________________________________________________DISCUSSIONE

unitario di sforzo comune, così come si sono ritrovate su tanti proble-mi importanti della vita provinciale.

Non chiederò che si modifichi il risultato finale di un voto. Deside-ro soltanto richiamare l’attenzione del Consiglio ed avvertire i Consi-glieri che la comunanza di intenti e di operosità che può raggiungersi nel momento in cui all’Amministrazione Provinciale si approva l’atto più importante della vita amministrativa, è un fatto che non soltanto orienterà questo scorcio di amministrazione (quindi, l’attività di que-sto Consiglio provinciale) ancora di più verso un’azione unitaria ed ef-ficace a favore delle nostre popolazioni, ma raggiungerà mete sempre più alte ed ancora una volta potremo pretendere di essere col nostro esempio il massimo ente amministrativo pilota che ha indicato una via unitaria alle nostre popolazioni, in un momento in cui esse sono chia-mate a battersi e noi saremo chiamati ad interpretare le loro istanze e ad assumere le responsabilità derivanti; a batterci tutti insieme perché non si perda ancora una volta l’autobus per il decollo immediato dello sviluppo economico della Capitanata.

Il cons. dott. Angelo Rossi (capogruppo P.C.I.).

Rileva una nota « mesta » nelle conclusioni del vice Presidente,

per l’unità rappresentativa del Consiglio, necessaria al decollo della Provincia, sollecitata con tono diverso dal solito, segno dei tempi che vengono maturando con l’istituto della Regione, sia per la spinta delle masse popolari che si sono andate evolvendo fino a raggiungere l’atmosfera del cosiddetto « autunno caldo ». I comunisti notano que-sto mutamento in tutti i campi, a cominciare dal Parlamento, e non possono non compiacersi dei toni pacati, discorsivi, di dialogo, dei più responsabili interventi verificatisi in questo consesso.

Vanno tenute in gran conto la situazione politica generale del Pae-se, gli squilibri tra Nord e Sud, la efficienza delle lotte operaie e stu-dentesche; esse hanno fatto sì che anche la « Provincia » si muovesse, sebbene non per moto proprio, ma per la spinta delle masse popolari.

Secondo il dott. Rossi la Giunta ha presentato i piani senza capirne la funzione profondamente innovatrice, che era appunto quella di re-golamentare l’economia, facendo leva non sul piano dei tecnici, ma sulla spinta delle masse. Non solo, ma i piani sono stati redatti ed ap-provati senza che vi fosse la possibilità dei relativi finanziamenti.

Solo i comunisti hanno visto chiaro sulla industrializzazione, po-nendo osservazioni che li hanno allineati ai socialisti e agli uomini della sinistra democristiana. Alla Capitanata non occorre uno stabili-mento industriale fine a se stesso, per il quale si riprodurrebbe la delu-sione del Siderurgico a Taranto e della Montedison a Brindisi:

ancora una volta si rifletterebbe in Puglia l’antico nesso tra sotto-sviluppo da una parte e congestione dall’altra. Occorre, poi, pronun-ziarsi ai comunisti, d’accordo o meno con loro, per poter poi realizzare l’unità di intenti auspicata dal De Maio.

273

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

Non è vero che nella relazione De Santis abbia rilevato che le

promesse riforme fallirono per l’ostruzionismo delle opposizioni. E’ vero proprio il contrario: che, nonostante la spinta esercitata sul Paese dalle opposizioni, il Governo di centrosinistra non ha realizzato le ri-forme per le contraddizioni della sua stessa coalizione.

L’oratore, quindi, avanza le critiche del proprio gruppo alla legge n. 964, relativa alla riforma tributaria. Riconosce, quindi, giusta la de-nunzia del compagno De Maio; egli non ha sottaciuto che per il passa-to triennio il Governo ha ignorato la Provincia di Foggia e che sono venuti a cessare i benefici delle leggi 126 e 181. De Maio ha parlato anche dei rapporti tra maggioranza e minoranza, definendoli di « sag-gia collaborazione ». I comunisti, però, pensano che la vita del- l’Amministrazione non si esaurisca con una o due sedute consiliari con dibattiti le cui conclusioni ci possono anche trovare d’accordo, ma occorre che per i compiti istituzionali o non siano istituite commis -sioni consiliari che affianchino gli assessori e stimolino anche la buro-crazia, perché le minoranze diano il loro apporto costruttivo, senten-dosi seriamente impegnate.

Il cons. dott. Paolo Galasso (capogruppo D.C.).

Rileva preliminarmente la comunanza di idee che il suo gruppo ha

con l’odierno intervento del vice Presidente De Maio. Ammette che la relazione morale del Presidente — come del resto lo stesso bilancio — non poteva essere che consuntiva rispetto all’attività svolta dalla Giunta nel suo quinquennio di gestione. Non si è trattato, però, di una relazione di commiato, come qualcuno ha commentato, rispondendo essa a quella continuità storica della vita di un ente che i Partiti del centrosinistra hanno incanalato nei programmi, i quali, oggi impostati e avviati a svolgimento saranno continuati ed esauriti dagli ammini-stratori di domani. Quindi, un consuntivo che si affida al domani, reso sicuro dalla stabilità della maggioranza in Provincia dal centrosinistra, cui non si può far colpa di una crisi che si innesta in quella generale della società nella quale operiamo. La colpa non è di questo o di quel partito: si tratta di un momento storico che si va realizzando sotto i nostri occhi; e che ogni dirigente deve cercare di bene interpretare, come ha fatto la Giunta in carica e molto efficacemente, prendendo e mantenendo il contatto con le masse come ad esempio, per il metano, con sensibilità e vivo senso di responsabilità dimostrati in ogni altra occasione.

D’accordo i demo cristiani per le commissioni consiliari, ma occor-re che i comunisti chiariscano diversi punti fondamentali delle loro posizioni. La collaborazione tra forze diverse, auspicata dal vice Presi-dente, potrà avvenire, infatti, solo quando rinunzieranno, i comu nisti, a certi atteggiamenti come quelli del loro capogruppo, dott. Rossi. Questo senza dimenticare che concetti fondamentali, come la libertà, la democrazia, il rispetto della personalità umana, dividono profonda-mente i comunisti dai democristiani.

274

_________________________________________________________________________________DISCUSSIONE Vi sono problemi essenziali di interpretazione della personalità

umana; di interpretazione della libertà; di interpretazione di democra-zia che assolutamente non ci trovano d’accordo. Ed allora? Ed allora bisogna concludere che il Consiglio non può essere condotto che come è stato condotto dal Presidente e dalla Giunta; con questi rapporti at-tenti alla opposizione, con questo ricercare la possibilità di unità, ma non più oltre di questo. Perché, più oltre di questo, potremmo andare a delle confusioni pericolose che noi non vogliamo; noi teniamo molto alla chiarezza delle impostazioni. Quello che è libertà è libertà; quello che è democrazia è democrazia; quello che è interpretazione della re-altà da parte nostra non è certamente uguale da parte vostra. Quella che è interpretazione da parte nostra del movimento degli studenti non è la vostra interpretazione.Ci sono cose che ci dividono sostanzial-mente; quindi, non possiamo che andare avanti così, con un criterio di rispetto, con un criterio di collaborazione laddove è possibile, ma con un criterio di netta e precisa definizione dei nostri compiti, delle nostre parti, della nostra dottrina politica.

Questi mi pare siano — conclude il Dr. Galasso — i fatti politici salienti di questo bilancio; un bilancio di continuità; un bilancio di proiezione nel futuro; un bilancio di un’Amministrazione che ha cer-cato di portare un modo nuovo nella conduzione dell’ente ammini-strativo provinciale, dilatando anche i suoi compiti naturali di istituto proprio per ricercare, nella nuova realtà sociale, quel tanto che si do-veva ricercare, per poter essere, come siamo stati, noi di impulso. Non possiamo pretendere, infatti, di risolvere noi i problemi; non possiamo pretendere di essere gli indicatori dei problemi che sono al di fuori dei nostri compiti; dobbiamo pretendere di essere i vessilliferi di movi-menti nella Provincia di Foggia. Più in là di questo non possiamo an-dare. E mi pare che l’Amministrazione provinciale l’abbia fatto e si riproponga, con tutte le impostazioni di piani realizzati, di entrare nel-la realtà regionale e nazionale, con quello spirito di sprovincializza-zione del quale parlava De Maio. Siamo evidentemente in una nuova dimensione; non dobbiamo certamente fare un patriottismo di provin-cia; però dobbiamo rivendicare alla Provincia (e lo faremo, credo, quando parleremo dello statuto regionale) la sua autonomia e la defi-nizione dei suoi compiti.

Non mi resta che ringraziare, da parte della Democrazia Cristiana, per l’opera svolta dal Presidente e dalla Giunta e concludere con l’augurio che, a parte le persone che spero ci siano tutte nella prossima legislatura, questa formula politica, questo modo di portare avanti l’Amministrazione provinciale possa essere la stessa formula e lo stes-so modo nella futura legislatura.

Il cons. avv. Giuseppe Rinaldi (capogruppo P.S.I.). Rileva una certa contraddizione tra gli interventi del dr.Rossi e de-

gli altri consiglieri comunisti. Questi, infatti, hanno voluto valo-

275

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

rizzare l’apporto del loro gruppo ai lavori del Consiglio, mentre il primo ha cercato di sganciarsi da queste ammissioni.

Ad un esame superficiale il bilancio 1971 si presta certamente alla interpretazione data dai comunisti, che cioè sia un atto di intonazione elettoralistico, ma essa si rivela infondata sol che il documento sia e-saminato con serenità e con attenzione. E proprio la parte che riguarda i mutui, infatti, lo dimostra, perché si tratta di mutui non irrealizzabili. ma in parte già ottenuti, che si riferiscono ad opere in parte attuate od in via di attuazione. Stando così le cose, l’opposizione non ha il diritto di definire fantastico il bilancio, e dire che si tratti di promesse eletto-rali.

La legge n. 964, pur non costituendo l’«optimum» per lacune e vuoti che occorre colmare, deve essere considerata un buon passo a-vanti per il risanamento della finanza locale. Per le strade non risulta eccessiva la somma stanziata.Ormai è superato il tempo del sistema a Macadam, per cui occorre incentivare la bitumatura.Del pari è neces-sario aumentare di numero le squadre di pronto intervento e dotarle di mezzi meccanici, sufficienti ed idonei. Si affretti poi, l’espletamento degli appalti-concorso per l’edilizia scolastica, allo scopo di recupera-re i tre anni perduti, cui accennava De Maio; si guardino con maggiore attenzione i due problemi molto sentiti: la costruzione dell’Ospedale psichiatrico provinciale con annesso Istituto psico-medico-pedagogico e l’approntamento della nuova pianta organica del personale.

Per il turismo è necessario accelerare, spingere avanti la pratica dell’albergo alla Foresta Umbra e definire la destinazione della Casa del pellegrino in Monte Sant’Angelo. L’oratore non è d’accordo con l’affermazione del dott. Rossi, secondo il quale i « piani » sono sol-tanto esercitazioni accademiche. Il piano Pitigliani, infatti, con tutte le sue pecche ed i suoi difetti, andrebbe riproposto e rivisto, eliminando da esso i difetti, colmando le lacune e tenendolo pronto per l’attua-zione dall’Ente Regione.

Sono questi i voti e i propositi del gruppo socialista presente nella maggioranza di Palazzo Dogana, dove è stato determinante e decisivo, fin dalla prima Giunta di centrosinistra, presieduta dall’avv. Consiglio.

Nel concludere, l’avv. Rinaldi rivolge un’ultima raccomandazione alla Giunta perché sia presto approvato il piano dell’Area di sviluppo industriale di Foggia, premessa indispensabile degli insediamenti, co-me quello dell’Aeritalia. Sarà la conferma della volontà che certi inse-diamenti siano assegnati alla Provincia di Foggia e non vengano dirot-tati verso altre zone.

L’ass. Antonio Grosso (P.S.U.).

Interviene, per dichiarazione di voto, allo scopo di rilevare che sul

bilancio 1971, più che sui precedenti, si sono formulate valutazioni politiche importanti; conferma l’appoggio del suo Partito alla politica

276

_________________________________________________________________________________DISCUSSIONE

di centrosinistra e dichiara che i due rappresentanti del P.S.U. vote-ranno a favore del bilancio stesso.

L’ass. Alberto De Santis (D.C.).

In replica esprime il parere che i consensi ed i dissensi al bilancio

1971, alla fine, si sono bilanciati, con leggera preponderanza dei pri-mi. Le lacune rilevate dal prof.Ricciardelli nel bilancio non sono state occultate nella relazione, che illustra quel documento, perché è proprio dell’uomo il commettere errori. Egli non ha fatto il panegirico della legge n. 964, ma solo ha detto che non è trascurabile per la tormentata vita economica degli enti locali.

Il dott. Rossi si è abbandonate a critiche indiscriminate ed a volte preconcette al Governo, alla Democrazia Cristiana, al centrosinistra, facendo dubitare di essere rimasto ancorato al comunismo staliniano, pesante ed intollerante, che oggi lo stesso P.C.I. rifiuta.

Al consigliere Marinelli, preoccupato per la lievitazione delle spe-se correnti e sicuro che l’aumento non sarebbe stato così notevole se il bilancio fosse stato preparato dal compianto amico Magnocavallo, lo assessore De Santis fa osservare che, forse, il primo ad essere turbato da questa affermazione sarebbe proprio lo spirito del suo predecesso-re, così profondamente democratico, che non avrebbe mai seguito una sua linea di condotta personale, diversa da quella indicata dalla Giun-ta, della quale aveva il rispetto, che meritava. Il bilancio, infatti, non è frutto del lavoro di un solo uomo, ma di tutta la Giunta.

L’Assessore, quindi, ripete i motivi e le cause che hanno deter-minato un così notevole aumento delle spese correnti e ricorda che una notevole parte di esso non si ripeterà nei successivi bilanci, come per esempio, l’importo delle rette arretrate all’Ospedale di Maternità in conseguenza dell’aumento apportato e la spesa per il riassetto del personale.

Si è potuto anche sbagliare: l’essenziale è che non ci sia stata ma-lafede; e la Giunta ha dimostrato nell’arco di un quinquennio di aver agito sempre nella più perfetta lealtà.

REPLICA DEL PRESIDENTE Ho detto nella mia precedenti relazione che il nostro lavoro si era

sviluppato soprattutto in azione indiretta ed in azione indiretta, dichia-randomi soddisfatto della prima e non anche della seconda.

Chiarito ciò, credo che cada il presunto divario tra quanto di-chiarato da me e quanto detto dal vice Presidente De Maio. in quanto De Maio ha reso la sua dichiarazione che è stata perfettamente uguale alla mia, naturalmente però cori altre parole; altri concetti, altra per-sonalità.

277

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

E devo dire onestamente (cosa, del resto, detta chiaramente anche

dall’assessore De Santis) che sull’azione diretta della Provincia e i suoi compiti istituzionali, su quello che si è fatto in questi cinque anni, io non ho percepito critiche documentate, attinenti all’attività diretta dell’Amministrazione.

Comunque, a concludere questa ampia discussione può servire che puntualizzi alcune cose.

Mi sembra che sia stato riconosciuto da tutti, anche dalla opposi-zione del gruppo comunista, che nell’atmosfera formatasi tra maggio-ranza e minoranza, tra Giunta e Consiglio, con la cordialità e col rit-mo, che hanno caratterizzato i loro lavori, non si è fatta proprio avver-tire la mancanza delle commissioni, contro le quali — comunque —non siamo affatto prevenuti. Ritengo che con l’aver convocato così frequentemente il Consiglio provinciale, mobilitato quasi in perma-nenza sui problemi vitali della Provincia, esso abbia assolto bene le funzioni di ogni e qualsiasi commissione.

Badate che delibere di urgenza di Giunta non ve ne abbiamo porta-to, se non per le anticipazioni di cassa. Tutta la problematica dell’Amministrazione, tutta la materia di competenza del Consiglio è passata alla competenza del Consiglio cui non sono state tolte le sue attribuzioni, come avveniva di frequente nel passato.

Quando — è qui lo stile, il fatto sintomatico che va rilevato —c’è questo rispetto intimo, profondo, sentito, e tutto arriva al crogiuolo dell’Assemblea, e perciò è approfondito nel dibattito, io non so la Giunta che cosa possa fare di più nella tematica dei suoi rapporti con il Consiglio.

E c’è l’altro fatto, che nel passato occupava il settanta per cento dell’attività del Consiglio: la normalità della gestione. Quanti appunti non venivano alla Giunta, per il ritardo nella progettazione delle strade o nella presentazione dei bilanci? Orbene, i primi due anni vi abbiamo ratto quattro bilanci! Abbiamo ricondotto la vita dell’Amministrazione provinciale, con il concorso di tutta la burocrazia, lo abbiamo detto e lo ripetiamo, alla normalità. E ciò non è cosa facile, non è cosa di un giorno, di un momento, di un attimo.

E passiamo ai grossi temi di questo dibattito. Molti hanno am-messo che nel, campo dell’assistenza si è operato in maniera notevole e su programma. A tal riguardo si distingue la programmazione ester-na, che forse soddisfa a chi ne parla in un dibattito, più della nostra programmazione, fatta, sì, di piccole cose, che rispondono, però, al ve-ro imperativo da esaudire prima ancora di volgersi all’esterno. Pensate a quanto si è fatto (avete sentito da Protano e Perfetto) nel campo della medicina preventiva, anche se ai primi passi, può dirsi che abbiamo balbettato.

Per l’Ospedale psichiatrico, siamo d’accordo col consigliere Ri-naldi, come documenta la spesa in bilancio per l’acquisto del suolo e per la progettazione. Può darsi che la Commissione regionale, in vista di finanziamenti, possa darci la precedenza rispetto ad altre province,

278

_____________________________________________________________________REPLICA DEL PRESIDENTE

se ci presentiamo con il suolo ed il progetto. Così ci auguriamo per-ché, il numero di pazzi da assistere è veramente enorme: mille, mentre la legge Mariotti assegna a un ospedale il massimo di cinquecento ri-coverati.

Un settore, cari amici dell’opposizione, per il quale ci sono perve-nuti anche e soprattutto da lontano i riconoscimenti più ampi, è quello delle biblioteche, della informazione - documentazione e della stampa, come risulta dalle riviste specializzate (non sono quelle cui si è riferito l’amico Rossi, ma altre, autorevolissime come « Accademie e Biblio-teche del M.ro della P. I. e « Nostro Mezzogiorno » di Napoli, che ci hanno dedicato articoli molto lusinghieri). Quei tali venti milioni, a-mico Rossi, finiscono alla metà dell’anno e vengono integrati da altri finanziamenti, durante la gestione. Abbiamo comprato intere bi-blioteche private che hanno arricchito il patrimonio librario in maniera tanto rimarchevole da darci grandi soddisfazioni anche sul piano di as-sistenza ai laureandi. Noi lo abbiamo detto chiaramente che vogliamo la nuova biblioteca come struttura di base, per un discorso serio per l’università. E vi risparmio la lettura di articoli e di lettere di acca-demici, quali il prof. Ferri, del Rettore è del Preside della Facoltà di Lettere di Bari; testimonianze aperte sul piano della cultura alla Pro-vincia. Mai c’è stato tanto fervore di attività da noi sollecitate e finan-ziate.

Il programma realizzato per l’edilizia scolastica con i fondi della Provincia — come ha sottolineato questa sera De Maio — non ha for-se anticipato l’intervento dello Stato? Non sono piccola cosa, che bi-sogna mettere all’attivo dell’Amministrazione, tredici edifici scolasti-ci, per i quali — assicuro l’amico Rinaldi — le lettere di invito per gli appalti-concorso partiranno non più tardi di domani o posdomani.

Per i lavori pubblici, sì, capis co, è preminente la programmazione generale, ma non bisogna trascurare le programmazioni nostre, inter-ne, che sono state valide, amici Consiglieri. Sulle strade tenemmo un lungo dibattito in Consiglio, relatore Protano, seguito dai piani per la viabilità del Gargano e del Subappennino, presentati con relazioni del-la Giunta che, partendo dal piano del Subappennino, rivalutava tutta la problematica stradale in base a piani promossi e realizzati da noi.

Su le squadre di pronto intervento, abbiamo portato avanti il di-scorso da te avviato, amico Consiglio, e che trovò l’Ente impreparato. Occorreva il regolamento per mandare i catonieri sul posto; provvede-re alle nuove indennità. Sono d’accordo con l’amico Rinaldi, che ci invita a moltiplicare queste iniziative, convinto che l’intervento im-mediato rimargina tempestivamente la frana o la buca, ed è questo che si aspetta da noi il cittadino. Ma tu sai quanto sia difficile muoversi nell’ambito delle leggi e delle strutture attuali.Alle programmazioni esterne si è richiamato il piano Pitigliani. Io non ne riparlo, perché, ca-ri amici, ricordiamocelo, esso fu fatto dalla Cassa per il Mezzogiorno, ma non obbligava nessuno. Fu detto ai Comuni che, se volevano, po-tevano recepire queste cose nei loro piani di fabbricazione.

279

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

La Provincia ha colto l’occasione di convocare più volte i sindaci del Gargano, tecnici, gli urbanisti, avviare insieme anche qui il discorso sull’assetto territoriale nuovo per i nostri amministratori comunali: un discorso nuovo, che spingeva a vedere oltre l’ambito del Comune un problema turistico. Io non dico che il Piano fosse vangelo, ma che ab-bia servito di rottura di certi schemi clientelari, osservati ancora sul Gargano, lo affermo senza esitare. Valga questo anche per il piano del Subappennino, voluto da noi per esaudire le popolazioni delle quali vogliamo essere interpreti. E non si può negare che qualcosa è stato fatto per loro, come nel settore stradale attraverso il FEOGA. Abbia-mo messo in bilancio la parte nostra, cento milioni di lire, quale con-tributo da erogare per la realizzazione del piano delle comunicazioni (il FEOGA darebbe il 70%) proprio in ossequio alla nostra program-mazione, piccola, mo desta. Si chiede oggi di allargare la programma-zione a tutto il Subappennino, e sono lieto che a tal riguardo mi abbia avvicinato anche l’amico presidente Trisorio-Liuzzi, per un intervento della Regione. Vorrei approfondire meglio la tematica di questo imp e-gno e di questo incontro, sorpreso che lo stesso giorno in cui la Regio-ne annunziava l’estensione dei piani, il giornale che pubblicava la no-tizia, informava che, al Consiglio dell’Ente di sviluppo, si prospettava la esigenza di opportuni direttive e finanziamenti per i piani zonali: due cose che fanno a pugni fra loro.

Sì, sforziamoci di allargare i piani, ma operi la volontà politica di chi deve finanziarli. Noi non possiamo finanziare le opere irrigue e quelle di elettrificazione o le case coloniche. Ci siamo fermati al no-stro settore, che è quello stradale, e continuerò a mantenere i contatti con il presidente Trisorio-Liuzzi, anche perché autorizzato dal presen-te dibattito. Si è accennato al personale, da parte del consigliere Ri-naldi. Confermo la esigenza della pianta organica generale, non senza ricordare le piante settoriali, destinate a costituire l’unico tessuto or-ganico dell’Amministrazione, che mi auguro si possa ottenere prima della fine di questa gestione: nonostante le difficoltà, che tutti cono-scono o intuiscono. Naturalmente nella futura pianta dovremo dare posto anche al nuovo « Ufficio del piano », per il quale è stato da poco esperito il concorso; sarà compito suo, come ha ricordato l’amico Rossi, anche quello di coordinare i vari piani, per evitare confusione e contraddizioni.

Delle spese correnti ha detto l’amico De Santis: mi permetto inter-venire solo per informare l’amico Marinelli (che si compiace di fare il discorso di rapporto Stato-Provincia) che l’aumento delle spese cor-renti dello Stato è del 30%. percentuale non raggiunta dal nostro bi-lancio; che l’entità dei residui prestiti dello Stato, che raggiungono i 7 miliardi, da noi è ridotto, in proporzione, a cifre veramente modeste. Ciò significa che, pur nelle strettoie delle leggi superate, siamo riusciti ad operare e con profitto.

Diceva il cardinale Federico all’Innominato, parlando di se stesso (mi rifaccio ad un pensiero manzoniano anch’io, giacché De Maio lo

280

_____________________________________________________________________REPLICA DEL PRESIDENTE

ha fatto prima): « Sono un pastore sonnolento ». Come lo Stato con i settemila miliardi di residui passivi.

Avevo già detto (anche qui raccolgo la raccomandazione dell’amico Rinaldi) di sollecitare l’insediamento dell’Area Industriale.

Sui gravi problemi della occupazione. non è presunzione, ma legit-timo reclamo, affermare che a proporre un convegno siamo stati noi, e non altri, che se ne assumono la paternità. Lo abbiamo incluso nel no-stro ordine del giorno e dichiarato che a certe condizioni eravamo pronti a farlo. Ora ci si chiede di rinunziare a quelle condizioni? Ri-nunziamo, siamo i primi, noi della Giunta, a dirlo. Come presidente, posso assicurare che il Convegno si farà presto. Con l’amico Rossi, lo riconosco, ho presentato un ordine del giorno al Congresso nazionale delle Province d’Italia; il voto, partito dal gruppo di Foggia, si è esteso al gruppo pugliese ed ha avuto la quasi unanimità delle altre Province. Quell’ordine del giorno diceva all’U.P.I., d’intesa con l’A.N.P.I., di preparare il Convegno nazionale della occupazione e della emigra-zione. Il nostro convegno, quindi, potrebbe essere di preparazione a quello nazionale, se questo si farà, come è augurabile in primavera. Comunque sarà una occasione di arricchire la tematica della program-mazione provinciale proprio in questo settore.

Mi si è domandato se il mio può considerarsi un commiato. Non contesto: alla presentazione dell’ultimo bilancio del quinquennio, e per mia correttezza, dovevo fare un discorso di commiato. Il bilancio è stata l’occasione per un discorso consuntivo di tutta la nostra gestione.

Devo prima di tutto ringraziare gli amici quali Galasso e Rinaldi, che nei loro conclusivi interventi, mi hanno dato attestazioni persona-li. Le accetto anche a nome dei colleghi di Giunta che hanno lavorato come me e più di me intorno alla problematica della Provincia. Ma ringrazio tutti per la serietà del dibattito, per la vastità degli argomenti.

Certo, una cosa è stata veramente notevole e mi piace sottolineare: ci siamo confermati, cari amici, come Provincia, interpreti veri, au-

tentici delle istanze, delle speranze, delle attese dei cittadini; i portato-ri più autorevoli (e sarei tentato di dire a nome del Mezzogiorno) degli interessi delle popolazioni amministrate; i loro servitori umili e devoti.

Ma tutto questo è stato possibile realizzare perché abbiamo sempre potuto avere con noi la collaborazione piena, incondizionata di Comu-ni, enti, consorzi, autorità, parlamentari, partiti e sindacati che operano nella nostra provincia; ed io, nel dare loro atto della fattiva e proficua operosità, li ringrazio a nome di tutti voi. Il loro apporto lo giudico de-terminante ai fini dei risultati raggiunti.

Il dibattito, ricco e proficuo ha mantenuto lo stile della nostra ge-stione, sereno, e per ciò, dignitoso. Ne vada riconoscimento alla Giun-ta, che ne ha proposto i temi senza spirito di scuderia, che non li ha mortificati in concezioni settarie o angustiati con la procedura del re-golamento. Il nostro dialogo è stato davvero « corale » essendo stati sempre vigili e presenti, vicino sia agli amministratori comunali che

281

IL BILANCIO DI PREVISIONE 1971_______________________________________________________________

agli studenti, agli operai ricorrenti a noi per chiederci consiglio e inter-vento. Abbiamo così potuto verificare la presenza dell’ente Provincia in tutta la realtà sociale del Paese. Dirà il domani se, nell’ambito della Regione, la Provincia potrà continuare sulla buona strada intrapresa, con noi medesimi o con coloro, più degni di noi, che nel cammino ci sostituiranno.

MANIFESTAZIONI PROVINCIALI

L’assemblea dei Comuni per la finanza locale Il Comune capoluogo è tornato a discutere della finanza locale,

convocando e ospitando l’assemblea dei Comuni dauni, svoltasi nella seconda metà dell’ottobre c. a.

Il Convegno è stato aperto dal Sindaco di Foggia e dalla motivata adesione del presidente della Provincia, avv. Tizzani. Il consigliere re-gionale avv. Ciuffreda ha portato il saluto al Convegno del presidente della Giunta regionale, avv. Trisorio-Liuzzi.

La cronaca registra la relazione-chiave, tenuta dal prof. Imbimbo, vice-sindaco di Foggia, sul tema « La Regione, quale strumento di va-lorizzazione delle autonomie locali e come momento di esaltazione del ruolo insostituibile dei Comuni ». Premesso che con la istituzione del-le Regioni, conquista tra le più significative della Repubblica, si è a-perto un nuovo capitolo nella vita politica del Paese, il relatore ha sot-tolineato che non è privo di senso che questa istituzione, nata dagli i-deali della Resistenza, abbia dovuto subire la resistenza delle forze an-tistoriche, burocratiche e centralizzate, che l’hanno avversato proprio perché rappresenta la fine di strutture oppressive ed antidemocratiche e l’inizio di una nuova era di libertà e di giustizia.

Il prof. Imbimbo ha quindi avvertito che perché la Regione effetti-vamente dia luogo ad un profondo rinnovamento della vita democrati-ca del Paese, alla sua istituzione dovrà seguire una riforma generale di tutto l’ordinamento statuale. Dopo aver indicato le cause che hanno portato al deterioramento delle istituzioni esistenti ed al vuoto di fidu-cia apertosi tra Stato e cittadino, l’oratore ha affermato che deve porsi la parola fine all’andazzo che ogni potere decisionale lascia agli stru-menti di Governo da una parte ed ai meccanismi dei Partiti dall’altra, in quanto sono propri questi strumenti e meccanismi che danno vigo-re, valore prestigio al potere centrale, che si vuole invece indebolire. Oggi l’autonomia degli enti locali è un fatto puramente virtuale, che deve diventare reale, anche a costo dei vecchi equilibri di potere nell’organizzazione dello Stato, nella vita economica e nell’ambito dei partiti. -

“Vorranno e sapranno le Regioni evitare l’errore di concentrare il massimo dei poteri nell’organizzazione centrale della Regione stes-sa?” questo interrogativo — si è chiesto Imbimbo — riguarda diretta-mente gli amministratori locali. Contro il pericolo di una burocrazia di tipo regionalista e per un decentramento totale delle funzioni ammini-strative e delle deleghe ai Comuni bisogna invocare il senso democra-tico delle forze regionaliste.

L’obiezione di coloro i quali sostengono che allo stato attuale i Comuni non sono in grado di affrontare i nuovi compiti, non è valida se questo particolare aspetto viene affrontato al momento stesso della ristrutturazione dell’ordinamento locale, della riforma della legge co-munale e provinciale e di quella della finanza locale.

283

PER LA FINANZA LOCALE______________________________________________________________________

Il relatore ha infine affrontato la delicata questione del passaggio

dei controlli sugli enti locali dagli organi prefettizi a quelli regionali e si è chiesto: « Quando ci sarà tale passaggio? Non dovrebbe essere e-sercitato subito, utilizzando le norme della legge del 1953? ».Ha per-ciò auspicata la nomina sollecita della Commissione di controllo degli enti locali alla Regione ed ha sollecitato a battersi per l’affermazione dei principi costituzionali affinché il ruolo del Comune sia esaltato co-sì come auspicato dalla stessa Costituzione. Occorre in definitiva che il controllo della Regione non si esaurisca in un rapporto burocratico, ma realizzi un collegamento politico con i Comuni e le Province. Tut-to ciò naturalmente richiede nuove strutturazioni all’interno dei grandi Comuni, con la istituzione dei consigli di quartiere e la cooperazione intercomunale per i comuni minori. L’oratore ha quindi concluso la sua interessante relazione con un appello alle forze politiche e sinda-cali perché siano sempre più sensibili a questi problemi che si posso-no, nei diversi aspetti così sintetizzare: « l’educazione alla libertà si consegue con l’esercizio effettivo di essa ».

La seconda relazione è stata tenuta dall’assessore al Bilancio del Comune di Poggia, geom. Graziani, che dopo aver esposto la situazio-ne deficitaria dei Comuni italiani ha ravvisato nel fenomeno dell’inurbamento la causa principale dei deficit, unita alle molteplicità di funzioni che gli Enti Locali sono venuti assumendo, in maniera sempre crescente, nelle comunità locali. Ha trattato, infine, più detta-gliatamente la situazione dei Comuni Capoluogo ed in particolare del Comune di Foggia.

Nella discussione sono intervenuti l’on. Cavaliere che si è dichia-rato favorevole alle modifiche sostanziali riguardanti la legislazione sulla finanza locale, ma ha sostenuto che esse vanno attuate nel rispet-to del sistema costituzionale con proposte del Parlamento intese a cor-reggere l’attuale sistema delle autonomie.

L’on. de Meo ha affermato che la problematica degli enti locali, ora che è nata la Regione, esige un’azione attenta ed oculata, e non af-frettata e sconsiderata che mira addirittura ad abolire alcuni Ministeri. Per quanto riguarda il decentramento, esso va impostato con un crite-rio di coordinamento, basato su alcuni principi di fondo da cui non si può prescindere.

Il senatore Magno ha sostenuto che per non perdere del tempo pre-zioso è necessario non indugiare in certe sterili attese e perplessità. Le Regioni devono essere strumenti operativi efficienti nell’ambito di una piena autonomia, dalla quale, perciò, va allontanato ogni potere accen-tratore dello Stato.

Sono quindi intervenuti nel vivace dibattito i consiglieri regionali Augelli, Romano, Rossi e Panico, il vice presidente dell’Am- ministrazione Provinciale, Bios De Maio, i sindaci di Torremaggiore De Simone, di Lucera Scarano, di Trinitapoli Sarcina, di Sannicandro Garganico Di Lella, di Bitonto (Ba) Gesualdo, e il capo gruppo D.C. al Comune di Foggia, dott. Tavano. Ha concluso il sindaco di Poggia, avv. Salvatori.

Il Convegno ha votato un documento conclusivo in cui si ribadi-scono: la necessità della delega di tutte le funzioni amministrative ai Comuni ed alle Province da parte dell’Ente Regione, il ruolo insosti-tuibile dei Comuni, la partecipazione dei cittadini nel momento deci-sionale e tanti altri aspetti di una complessa problematica.

284

________________________________________________________________MANIFESTAZIONI PROVINCI ALI

Su la politica sociale in agricoltura Il 5 dicembre presso il Palazzetto della Cultura e dell’Arte, si è

svolta una importante tavola rotonda organizzata dalla Sezione di Foggia del Sindacato CISL dei dipendenti del Servizio Contributi A-gricoli Unificati.

All’On. Natale Pisicchio è toccato il comp ito di introdurre il dibat-tito al quale, nell’ordine, si sono succeduti:

il presidente dell’Amministrazione Provinciale, avv. Tizzani; il se-gretario dell’U.S.P. - C.I.S.L. di Foggia, Bruno Mazzi; l’assessore comunale e direttore dell’Ufficio C.A.U., geometra Graziani; l’on. avv. Donato De Leonardis; il dott. Carlo Gatta, redattore capo della ri-vista « La Previdenza Sociale in Agricoltura; il dott. Diego Miraglia, segretario nazionale C.I.S.L. dei dipendenti del Servizio Contributi Agricoli Unificati; l’avv. Vito Donvito, segretario Aggiunto dell’U.S.P. - C.I.S.L. di Bari; il signor Pasquale Martellotta, segretario regionale della Federbraccianti C.G.I.L.; il dr. Arnoldo Patuzzi, Diret-tore Generale del Servizio Contributi Agricoli Unificati; il signor Fi-lippo De Finis, della Segreteria provinciale del Sindacato C.I.S.L. col-locatori comunali; il sen. Michele Magno; il signor Carlo Romei, pre-sidente della Commissione Centrale del Servizio Contributi Agricoli Unificati.

Nel corso dei lavori è stato affermato che la riforma delle strutture, fra le quali quella del settore agricolo, non può trovare una soluzione verticistica; ma dev’essere il frutto di meditati studi da affrontare e ri-solvere con la partecipazione attiva e qualificata dei lavoratori, non di certo mediante la pura e semplice audizione di essi e per essi delle Or-ganizzazioni che li rappresentano.

Questo indirizzo dev’essere seguito dai responsabili regionali onde evitare che gli errori fin qui registrati a livello di Governo nazionale non determinino altri motivi di contestazione da parte delle comunità interessate.

Particolare attenzione è stata dedicata all’analisi della grave crisi che angustia l’agricoltura italiana, vittima di una errata politica agraria che, sebbene caratterizzata da massicci investimenti, non è riuscita ad eliminare o ridurre il deficit che annualmente grava sulla bilancia dei pagamenti, con evidente danno a carico della comunità nazionale e dei lavoratori subordinati, soggetti ancora oggi, ad un regime di sottoccu-pazione.

L’attuazione delle indicazioni Mansholt, una agricoltura industria-lizzata, il potenziamento delle attività turistiche e dei servizi, gl’insediamenti industriali nel Mezzogiorno sono gli obiettivi da rag-giungere a breve scadenza per conseguire la piena occupazione, l’aumento del reddito ed il blocco dell’esodo dalle campagne, destina-te, ove ciò non si verifica, a registrare la presenza di sole unità non più validamente impegnabili nel settore.

La qualificazione dei lavoratori agricoli non può ulteriormente es-sere procrastinata; gli anni settanta debbono, compiutamente, offrire la figura dell’operaio agricolo con il totale superamento, quindi, di quel-la del bracciante.

Analizzati il costo della previdenza agricola e la spesa sostenuta dagli imprenditori; rilevata la esistente disparità previdenziale tra la-voratori agricoli e lavoratori di altri settori dell’economia nazionale, è

285

LA POLITICA SOCIALE IN AGRICOLTURA

apparsa evidente la denuncia del disordine che ha toccato gli enti chiamati dalla vigente legislazione ad offrire i loro servizi.

L’affermazione di moda, secondo la quale taluni enti sono dichia-rati in crisi, è stata validamente contestata. La crisi ad essi addebitata è la conseguenza della inefficienza dell’indirizzo politico ed ammini-strativo ancora oggi, da più parti, sostenuti.

Del Servizio Contributi Agricoli Unificati, degli strumenti di in-dubbio valore dei quali si dispone, ai quali sovente dovrebbero farne ricorso gli Organi Regionali, e della preparazione tecnica acquisita dal suo personale, gli intervenuti si sono diffusamente occupati, senza tra-scurare l’opera dei dipendenti degli Uffici Comunali del Lavoro, che va potenziata, anche per una migliore disciplina del Collocamento che superi la dimensione municipale.

Il premio letterario "Gargano" La Commissione giudicatrice del premio letterario « Gargano » e

del premio giornalistico « Mario Ciampi » per il 1969, composta da Vincenzo Buonassisi, Giuseppe D’Addetta, Carlo Cavalli, Pasquale Soccio, Oronzo Valentini e Matteo Vigilante, riunita presso la Sede dell’Ente Provinciale per il Turismo di Foggia, promotore dell’iniziativa, ha preso in esame i lavori dei 13 concorrenti al premio letterario « Gargano ». In essi ha avuto così modo di apprezzare una notevole serietà d’impegno nel porre a fuoco problemi particolari e at-tuali, o storici o comunque diretti ad illustrare e a far conoscere pae-saggi e attività del Gargano e della Puglia.

La Commissione sulla base dei giudizi dettagliati offerti dal relato-re prof. Soccio ha comunque ris tretto la sua attenzione ai lavori di Ma-rio Gismondi, Alfredo Zallone, Domenico Lamura e Tommaso Nar-della.

Mario Gismondi in « Taranto: la notte più lunga . Foggia: la tragi-ca estate »offre un libro che si fa leggere con interesse vivo e costante. E’ una rievocazione efficace di eventi drammatici e funesti per le due città pugliesi prese nel vortice della guerra. L’agile taglio nella narra-zione dei fatti, l’abilità nel definire l’essenza simbolica e reale di un evento o di un momento, la lingua snella per Sintassi e puntuale per lessico, mostrano un giornalista nel pieno possesso dei mezzi espres-sivi. La rappresentazione degli avvenimenti, pur rimanendo nell’am-bito di un servizio giornalistico, si fa apprezzare per vivacità e com-mossa partecipazione.

« Il mio Gargano » di Alfredo Zallone presenta una appassionata e vivace visione panoramica dell’ormai nota montagna entrata nel giro turistico internazionale. Vi è un’appendice di alcuni scritti interessanti suggestivi centri pugliesi. Ha il doppio pregio costruttivo di illustrare le bellezze naturali e di proporre problemi indicandone possibili solu-zioni.

La Commissione ha, infine, rivolto la sua attenzione alle opere di Domenico La Mura e Tommaso Nardella, rilevando nel primo un’ansiosa e sofferta ricerca di linguaggio e nel secondo un rigore di metodo storiografico non comune.

« Adamo e la terra » di Domenico Lamura s’inserisce validamente nel solco della migliore letteratura, non solo meridionale, nella indivi-duazione di alcuni problemi inerenti all’esistenza e all’umana condi-

286

________________________________________________________________MANIFESTAZIONI PROVINCI ALI

zione di vita. Le iniziali difficoltà di linguaggio sono, appunto in rap-porto al grosso nodo o groviglio di sentimenti e di problemi, di que-stioni ed eventi che agitano la nostra gente. Alla permanente dialettica di vecchio e nuovo, di tradizione e rivoluzione, di lavoro manuale, ar-tigianale e industriale, in una parola dell’uomo e della macchina, si af-fianca l’eterno parallelo del dramma generazionale di padri e figli. Il verghiano attaccamento dell’uomo alla propria casa, al proprio lavoro e, in questo caso, alla terra, urta contro la vorticosa sopraffazione di questa era tecnologica. La tradizionale fame di terra dei padri si con-verte nei figli in quella più pressante di fame di lavoro e di novità. Le conseguenze sociali di tali termini del contrasto sono viste e rap-presentate dal La Mura con efficaci accenti in un’aura di biblica rasse-gnata saggezza.

« Marco Centola e lo sbarco garibaldino a Mèlito » di Tommaso Nardella è un lodevole esempio di serio impegno storiografico. Con-centrando l’attenzione sullo storico sbarco garibaldino a Mèlito di Porto Salvo, nell’agosto del 1860, l’autore ha modo di porre meglio in luce situazioni, Stati d’animo, opinioni e sentimenti nel caos del mo-rente stato borbonico; di precisare l’inefficienza militare e individuare la funzione effettiva della borghesia meridionale e l’amletica azione e reazione della classe dirigente. In tale clima storico viene così confi-gurata la personalità di un magistrato, di non comune cultura per quei tempi e di specchiata onestà, e della sua famiglia che nell’arco di un secolo ha servito lo Stato quasi indipendentemente dai regimi e dal co-lore politico. Il lavoro si distingue pertanto per ampiezza d’indagine e per la riproduzione di preziosi documenti in gran parte inediti.

Pertanto la Commissione ha deciso di assegnare il premio « Ga r-gano » per il 1969. di lire 1.000.000, ex aequo agli scrittori Domenico Lamura e Tommaso Nardella, autori rispettivamente dei libri « Adamo e la Terra » (Editoriale Adda,

Bari, marzo 1969) e « Marco Centola e lo sbarco garibaldino a Mèlito » (Fausto Fiorentino Editore, Napoli, luglio 1969), segnalando i libri: « Taranto: la notte più lunga - Foggia: la tragica estate » (Deda-lo Litostampa, Bari, ottobre 1958) di Mario Gismondi e « Puglia bella e sconosciuta - Il Mio Gargano » (Edizioni Giustizia Nuova, Bari, 15 luglio 1969) di Alfredo Zallone.

Per il premio giornalistico « Mario Ciampi » la Commissione ha espresso innanzi tutto il suo compiacimento per il numero e la qualità degli scritti partecipanti, sottolineando come tutti i giornalisti concor-renti abbiano profuso impegno e notevole capacità di penetrazione dei vari problemi trattati.

La Commissione ha deciso di assegnare il primo premio di L. 300.000, comprensivo dell’importo del secondo premio di L. 200.000, ex aequo ai giornalisti Carmine Leo e Antonio Rossano.

Carmine Leo con i suoi tre articoli « Un fantastico mondo di leg-genda e di suggestiva bellezza »; « Le grotte gemme segrete sulle co-ste del Gargano »ed « Il Gargano perla europea sul mercato delle va-canze », pubblicati dal quotidiano « La Gazzetta del Mezzogiorno » di Bari, rispettivamente in data 11, 12 e 14 ottobre 1969, rileva ampiezza d’informazione e preparazione coscienziosa che è intelligentemente utilizzata al fine di rendere meglio lo spirito della gente, con i suoi problemi, le sue difficoltà millenarie e l’anima reale del promontorio garganico.

287

IL PREMIO LETTERARIO « GARGANO »__________________________________________________________

Antonio Rossano con i suoi due articoli « Sono partiti i turisti - il

Gargano torna alla pace antica » e « Necessaria per il Gargano una co-scienza turistica », pubblicati sulla « Nuova Gazzetta del Popolo » di Torino in data 4 e 8-10-1969 nonché sul « Piccolo » di Trieste in data 5-10-1969 e sul « Mattino » di Napoli in data 17-10-69, rivela tono espressivo e calore di partecipazione, in maniera agile, in una divertita veduta d’insieme del Gargano e dei suoi problemi, visti sotto l’angolatura dello sviluppo turistico.

(Dalla relazione ufficiale)

Autoambulanze ad ospedali e alla Croce Rossa L’Amministrazione provinciale è andata generosamente incontro

ad urgenti necessità di ospedali e della Croce Rossa Italiana, donando loro modernissime autoambulanze.

Il 3 ottobre, nel cortile di Palazzo Dogana, ove ha sede l’Ente, l’avv. Tizzani, suo presidente, ha proceduto alla consegna delle prime tre di esse: una all’Ospedale prov. di Maternità, due al Comitato prov.le della C.R.I. Erano presenti, tra gli altri, il prefetto, dr. Di Ca-prio, il dr. Quaranta, per l’on. Quaroni, presidente g.le della C.R.I., il dr. Bilancia, presidente della C.R.I. in Capitanata, i proff. Lucentini e De Filippis, degli istituti ospedalieri del Capoluogo.

Dopo la benedizione degli automezzi, impartita dal Vescovo di Foggia, ha parlato l’avv. Tizzani, per considerare che la nostra comu-nità provinciale, ovunque dilatandosi, è cresciuta a dismisura anche nel settore delle macchine. Siamo arrivati a circa 90.000 auto circolan-ti. Questo fatto pone due problemi: quello dell’aggiornamento delle strutture del soccorso stradale e quello dell’aggiornamento delle strut-ture delle nostre strade.

L’Amministrazione Provinciale di Centro-sinistra di Palazzo Do-gana ha la coscienza tranquilla di aver adempiuto, nel limite delle pro-prie possibilità e oltre (attraverso l’indebitamento), e per l’uno e per l’altro aspetto del problema e oggi può donare le tre ambulanze che rappresentano quanto di meglio, sul piano tecnico europeo, può essere fornito e per il soccorso stradale e per il trasporto malati ».

L’avv. Tizzani ha concluso sottolineando come l’azione dell’Am- ministrazione non sia spinta soltanto da un bisogno di aggiornamento tecnico, ma dalla necessità di servire meglio e più compiutamente l’uomo e il cittadino.

Il prof. Bilancia, presidente della CRI di Foggia, dopo aver saluta-to il dott. Quaranta del Comitato Centrale, in risposta all’avv. Tizzani ha considerato il gesto generoso ed umanitario compiuto dall’Amministrazione Provinciale, gesto che ha maggior rilevanza perché compiuto in un momento di tale confusione e di tale indiffe-renza da rendere gli uni estranei agli altri. Il prof. Bilancia ha anche ri-cordato la collaborazione e l’aiuto concreto fornito dal-l’Amministrazione al Comitato Provinciale della CRI.

Il dott. Quaranta ha ringraziato, anche a nome del Presidente Ge-nerale on. Pietro Quaroni, l’Amministrazione di Capitanata nella per-sona del suo Presidente per il suo munifico dono.

288

I N M E M O R I A

Anniversario di Primiano Magnocavallo

Sembrava, in vita, un uomo solo,

e stupiva per ciò li consenso unanime che lo circondava. Poi l’incidente stradale e la morte, scoprirono attorno a Lui adesioni, consensi, ammirazione, stima. Tutti infatti, hanno pianto e piangono Primiano Magnocavallo: autorità e popolo, dirigenti e cittadini. Lo dimostrarono i solenni funerali, in Serracapriola, con si largo, affettuoso concorso di popolo; lo stringersi attorno alla Bara e ai familiari dei cittadini di ogni ceto sociale, già largamente e au-torevolmente rappresentati da mons. Vescovo, dal Prefetto, dai Parlamen-tari, dalle autorità provinciali e comunali.

Chi non ricorda la solenne cerimonia in suo onore in Consiglio Provinciale, convocato in seduta straordinaria; la partecipazione dei gruppi politici, gli interventi commossi dei capi-gruppo; e le simili manifestazioni fatte nei Con-sigli Comunali delle Città della nostra Provincia? E ai commossi discorsi, il nostro Ente aggiunse la pubblicazione di un quaderno rievocativo e la istituzione di cinque borse di studio per studenti bisognosi.

Unanimi furono le attestazioni di stima della stampa di Capitanata, sincero e profondo il lutto della DC e finanche il PSI lo ricordò in un suo convegno provinciale, per la voce di un autorevole esponente, che ricordò l’opera dell’amministratore Magnocavallo e l’assemblea, sensibile e pronta, sottolineò con un lungo e prolungato applauso le parole dell’oratore.

In una parola, volendo riassumere, non potendo ricordare e citare tutto e tutti, ci viene spontaneo

di chiederci il perché di tutto questo. Come spiegare questo fenomeno di rimpianto unanime e collettivo per la morte di un uomo, che pure militava attivamente nella politica e poteva suscitare antagonismi!

Non certo solo con l’apporto, anche se decisivo e costruttivo, dell’uomo Magnocavallo alla soluzione dei numerosi problemi della sua Città e della Provincia, ma soprattutto con la testimo nianza che al fondo della sua azione, era una singolare, siamo tentati di dire di fronte ai tempi che attraversiamo, eccezionale coerenza e forza morale.

Nulla si può spiegare di Magnocavallo senza scavare e scoprire l’uomo di fede, di assidua meditazione religiosa, di preghiera convinta.

L’uomo pensa con tutto se stesso. Le grandi scelte di Magnocavallo non sono soltanto frutto di meditazione e di in-telligenza, un fatto di cultura o di erudizione, ma anche, e direi soprattutto, il risultato di una grande forza morale e dell’intensa religiosità.

Magnocavallo ci dice, con la sua vita e con le sue opere, che l’amore verso Dio non annulla affatto l’amore verso gli uomini, che anzi, lo rinnova e lo esalta. Incontrando Dio, ritrova se stesso e incontra gli altri, aprendo il proprio spirito ad una capacità nuova, nell’amore, di ascoltare, di comprendere e di dialogare con i fratelli che soffrono e che chiedono giustizia. Rinnega se stesso per fare spazio agli altri.

Primiano Magnocavallo è stato per molti anni, prima sindaco della sua Serracapriola e poi assessore all’Amministrazione Provinciale di Foggia. Ma egli si serve del potere

289

BERARDINO TIZZANI______________________________________________________________________________________

pubblico come servizio: servizio dell’uomo ai suoi simili, nell’ordine della convivenza sociale. Non, difende il potere, per pura conservazione, ma lo rende capace di rispondere agli aneliti, alle speranze ed alle attese della Società, dandogli slancio e dedizione, nel perseguire il riscatto degli umili, la lotta per la giustizia, l’elevazione morale e materiale della gente dauna.

Vi sono due modi di esistere, che implicano due diverse concezioni della vita.

Il primo, che vede la vita come « possesso » di quanto essa può dare, come qualcosa da vivere fino in fondo, da « sfruttare » e da « impiegare » al massimo. Vivere per « avere » quindi, e questa « preoccupazione continua dell’avere » si risolve irreparabilmente in una delusione angosciosa, perché più esposta alle offese del tempo e della morte.

C’è, poi, il modo di concepire la vita come « dono » e come risposta a Colui che ce l’ha data.

Qual’è stata la « risposta » di Pri-miano Magnocavallo, con la vita, alla sua esistenza terrena?

La troviamo formulata nelle pagine del Suo diario: « Più essere, più donarsi, più sacrificarsi ». E tutti noi sappiamo quanto questa non sia stata, per Primiano Magnocavallo, soltanto una formula, una etichetta grafica, un impegno verbale e verboso!

Abbiamo visto con quanto rigore intellettuale e morale egli sia giunto a questa regola di vita e sappiamo tutti l’altrettanto rigore che egli chiedeva a se stesso, ed anche agli altri, nel viverla. Rigore che a volte si traduceva in certe spezzature, nel contatto umano, in certa rigidità di atteggiamento che non ammetteva e non indulgeva ai mezzi toni, alle mezze misure, alle improvvisazioni

in voga nel mondo politico: gli è che aveva sceverato il problema, l’aveva guardato in tutte le sfaccettature possibili ed aveva la Sua soluzione, maturata, studiata, a volte sofferta.

Parlare di lui come amministratore, politico, dirigente di partito, uomo pubblico?

Non si coglierebbe l’essenza dell’uomo Magnocavallo e della sua azione quotidiana, se si togliesse la componente spirituale del suo operare terreno. Anzi è lì che va ricercata la chiave e la motivazione profonda di ogni sua azione ad orientamento, di ogni suo atteg-giamento e valutazione politica.

Dietro l’uomo pubblico e nell’uomo pubblico c’è il cristiano, il militante di Cristo.

La vita di un uomo pubblico coi suoi impegni continui, assillanti, sfi-branti e il bisogno di interrogarsi ogni tanto, nel silenzio, di meditare I bisogni della fede e dell’anima più urgenti di quelli del corpo che pur richiedevano un attimo di tregua e di riposo, lo facevano, di tanto in tanto, ritirare ed isolare nei suoi esercizi spirituali, per tornare poi, alla sua attività, rimesso nel fisico, più sorridente e sereno, con ancor più vigore morale.

Indubbiamente, una vena di misticismo si può riscontrare nella sua anima, ma era come una riserva di forza interiore, una luce di fede e di amore, che custodiva ed alimentava ed alla quale faceva ricorso nei momenti di stanchezza, di dubbio, di smarrimento.

Primiano Magnocavallo era uno dei pochi uomini della nostra provincia cui dedicava un impegno sempre concreto, fattivo, fruttuoso.

Modesto, schivo, senza iattanza, profondamente convinto di compiere soltanto il suo dovere, umile nella sua preziosità, povero nella sua interiore ricchezza, sembra rispondere perfettamente all’appello

290

_______________________________________________________________IN MEMORIA DI PRIMIANO MAGNOCAVALLO

del suo pensatore preferito, quel Maritain, che nelle discussioni sul bilancio alla Provincia trovava sempre modo di citare.

Primiano Magnocavallo fu, come ho detto, anche uomo concreto.

Interessante, per esempio sapere come la pensasse su due grossi problemi affidati alle sue cure e le soluzioni da lui dettate.

Primo, il problema della finanza locale, essendo assessore alle Finanze alla Provincia. Ecco cosa scrive, dopo aver consultato, studiato e discusso a fondo la letterature tecnica più aggiornata, in quel suo studio « Questioni di finanza ed economia degli Enti Lo-cali »: « Si tratta di penetrare, nella ragione di vita degli enti locali, in quella scuola di libertà e di liberazio-ne democratica, in tutto quel processo di espansione della persona umana e delle comunità locali verso più alte forme e più reali contenuti di solidarietà, di maturità, di civiltà a cui noi miriamo... C’è, tuttavia, uno scarto tra la legge e la realtà, tra la teoria astratta e l’uopo concreto, che sfugge all’economista, ma che l’amministratore pubblico deve, spesso con angoscia, affrontare...

Ma la vera soluzione del pro-blema non è politica, non è tecnica, non è economica, non è giuridica, non è amministrativa: è soluzione

morale ». Secondo problema: l’assistenza sani-taria nel Comune di Serracapriola.

Troviamo la risposta su « Il Borgo » del gennaio 1955: « L’assistenza sanitaria ai non abbienti trova il suo fondamento religioso-morale nel diritto naturale e nella legge evangelica. La parabola del buon samaritano è un mo nito severo agli uomini di tutti i tempi, poiché è colpa innanzi a Dio abbandonare sulla strada il fratello bisognoso.

Nella comprensione cordiale dei bisogni materiali del prossimo gli uomini possono trovare la via dell’intesa e della concordia ».

Dietro ogni problema, il cristiano Magnocavallo vedeva un uomo, un fratello, e operava, perciò con amore.

Nel secondo anniversario della morte, abbiamo voluto ricordare Primiano Magnocavallo a quanti lo conobbero, ne apprezzarono le doti e le virtù, ed a quanti, pur non conoscendolo, ne vorranno seguire l’esempio, ripercorrendo le sue orme e le sue tracce.

Certo, e ne siamo profondamente convinti, Primiano Magnocavallo non è « passato » invano tra di noi; la sua vita e la sua testimonianza costituiscono un monito ed un insegnamento.

BERARDINO TIZZANI

la Capitanata Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia

Direttore: dott. Angelo Celuzza, direttore della Biblioteca Provinciale.

Direttore responsabile: m° Mario Taronna

Direzione tecnica di Mario Simone - Tipografia Laurenziana - Napoli Autorizzazioni del Tribunale di Foggia 6 giugno 1962 e 16 aprile 1963

la Capitanata Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia

BOLLETTINO D'INFORMAZIONE

della

Biblioteca Provinciale di Foggia Anno VIII (1970) n. 1-6 (gen.-dic.)

Compito educativo della stampa Durante un dibattito parlamentare alla Camera francese qualcuno

affermò che soltanto il 5% della realtà può formare oggetto delle scelte politiche. Supponiamo vera questa asserzione: resta da chiedere quali for-ze governano l'altro 95%. Lo stesso uomo politico aggiungeva esser ne-cessario un complément d'âme, senza il quale nella società tutto diviene ine-splicabile. Pur non discutendo le percentuali, le quali tendono a segnalare le condizioni nuove derivanti dall'evoluzione tecnologica, ci chiediamo però chi, e come, darà quel complément a cui s'è accennato.

Proprio nel campo libero della realtà non soggetta sono chiamati a operare come recuperatori i giornalisti. Non sembri eccessivo questo nuovo ruolo che noi intravediamo nella attività giornalistica. Un tempo gli inse-gnanti erano gli specialisti nel comportamento umano, ma di un compor-tamento individuale; oggi occorrono altri specialisti di comportamento, non individuale ma collettivo, di massa. E' questa la nuova funzione del giornalista: comunicare un sapere alla massa e sviluppare il campo dell'in-telligenza.

Quando diciamo infatti che l'informazione deve tendere alla forma-zione ci appaiono, sebbene con contorni meno evidenti, le stesse esigen-ze. Sono necessari perciò metodi nuovi, espliciti, dato che abbiamo neces-sità di elevare i ceti meno abbienti con procedimenti che non possono essere quelli validi per l'individuo o per un gruppo di

1

élite. Si vogliono, per la scuola, elaborare nuovi programmi scolastici, te-nendo presenti i nuovi mezzi di comunicazione. Ma c'è un'altra operazio-ne da compiere che consiste nel dare ai mass media quei valori nuovi che sono propri quelli per cui sono nati. I giornalisti perciò non sono chiamati a trasmettere moduli di comportamento a un individuo o ad un gruppo, ma alla massa.

Non c'è da illudersi che la buona scuola ci darà la buona società, perché il pensare non è più un esercizio solitario essendo diventato un esercizio collettivo. Non si tratta infatti di convertire l'individuo alla ra-gione, ma la massa alla ragione. Chi vuole essere veramente eccellente, ci insegnavano, deve scostarsi più che sia possibile dagli altri; oggi è vero il contrario, perché tutto ci porta a fonderci con la massa. Quei processi per cui le idee e i sentimenti si trasmettono, i meccanismi della comunicazio-ne, oggi non hanno più come oggetto l'individuo, ma un campo aperto in cui la stimolazione reciproca crea una massa attiva e attivante. La direzio-ne di volontà, i discorsi, i propositi, non punteggiano più una linea retta ma una curva, che circonda un campo in cui ci sono idoli che spingono a vivere in frenesia, e ci sono dei conduttori, impregnati talvolta di pessimi-smo e talvolta di ottimismo, ma sempre esaltati.

Nella massa su cui devono operare i giornalisti si incontrano lo spi-rituale e il temporale, che nascondono però gli interessi ben precisi. Que-gli scozzesi che nel XVII secolo si sgozzarono l'un l'altro, lo fecero per nozioni astruse, si scrive e si ripete, o per eliminare invece dei competitori di una gara tra mercanti? L'individuo da solo può essere un settario, ma con gli altri diventa una setta. L'opera del giornalista perciò non è più quella del fornitore di notizie, perché oggi è chiamato a soddisfare le aspi-razioni di quella struttura a doppia faccia che è la massa. Funzioni nuove e tuttavia ben precise son le sue, perché ci sono zone inesplorate di com-portamento, a cui non si arriva che attraverso le vie proprie e dirette della stampa.

Concepire la comunicazione di massa come comunicazione d'indi-viduo a individuo significa dimenticare che esiste un'originalità sociale nuova, dinamica, che conferisce al pensiero stampato un senso estensivo, ove il conflitto si configura in una necessità di progredire e in cui le realtà vissute e da vivere impegnano tutti, e forme di opposizione, di imitazione, di compensazione, che sono i tre meccanismi razionali abituali dell'indivi-duo (e non come è stato detto del solo bambino) non possono essere che manovrate, dirette e purificate da

2

quegli strumenti di propagazione verticale e orizzontale che sono gli or-gani di stampa.

I giornalisti sono gli unici a poter manovrare questi meccanismi ap-portatori di una novità induttrice, perché sono gli unici che possono ri-spondere a una domanda non formulata, ma che tuttavia travaglia e squi-libra.

Una funzione infatti del giornale è quella di liberare i lettori da mol-te inibizioni anteriormente elaborate, ma sempre presenti nella coscienza finché non trovano un loro portavoce, cioè un collaboratore di fiducia, che dica quelle cose che non si osano dire, ma forse appena pensare.

Dare al giornale il compito di quell'educazione permanente di cui ogni giorno più si sente la necessità, può sembrare eccessivo, ma se quel compito è essenziale, chi può efficacemente assolverlo su quel piano so-ciale che ogni giorno più si estende, è il giornale. Il giornale però deve far suo quel consiglio di William James, secondo cui chi sa riempire gli uomi-ni di una « curiosità divorante », li sa parimenti portare sempre più in alto nel mondo dello spirito. Il giornale alimenta come nessuno questa curiosi-tà divorante, perché di tale curiosità vive; ma, ciò che William James non dice, ma lascia intendere, è che una discriminazione tra i molteplici e spes-so contraddittori desideri di rendersi conto di ciò che accade nel mondo, è assolutamente necessaria, affinché non avvenga che la loro congerie caoti-ca non lasci alcun margine di libertà alla persona. Anche queste ultime considerazioni ci portano a meglio comprendere la funzione del giornali-sta oggi, dato che la massa esiste, e le sue curiosità sono davvero divoran-ti.

GIUSEPPE PADELLARO

Aspetti e problemi della pubblica lettura

1. I CENTRI SERVIZI CULTURALI DELLA CASSA PER IL MEZZOGIORNO

Com'è noto con la legge 26 giugno 1965, n. 717, che proroga di quindici anni l'intervento straordinario dello Stato nell'Italia Meridionale, all'art. 20 si definisce un programma inteso allo sviluppo civile delle popo-lazioni, attraverso il finanziamento di attività sociali ed educative. Per questa politica del « fattore umano » nel Mezzogiorno il Formez, autoriz-zato dal Ministero, si è servito di enti e istituti specializzati. Negli anni 1967-70 il Formez ha istituito 80 CSC nell'Italia Meridionale per un'opera di « promozione e animazione culturale », imperniata su un Centro Co-munitario, sede delle iniziative varie e « organizzato intorno a un moderno servizio di biblioteca » e alla scuola. All'art. 2 della convenzione stipulata tra la Cassa e l'Umanitaria, al quale Ente fu affidato l'incarico di istituire in Puglia i Centri di Altamura, Massafra e Manfredonia, si legge tra l'altro che: « Il Centro dovrà provvedere alla organizzazione ed al funzionamen-to della biblioteca cittadina - alla quale dovrà far capo il Centro - e della relativa rete comprensoriale ». Nella convenzione successiva dell'anno 1968 tale articolo fu sostituito da un altro nel quale si precisava che il CSC deve contribuire alla organizzazione dei servizi culturali della biblioteca cittadina e di quelle comunali del comprensorio, e istituire a titolo speri-mentale, quasi come prototipo, un proprio servizio di lettura, non in con-correnza con la biblioteca civica, ma possibilmente in collaborazione con la medesima.

Prima di soffermarci sul problema biblioteca sul quale indubbiamente siamo chiamati a dire una parola da « addetti ai lavori », ci cade l'obbligo di rile-vare come l'inizio dell'attività di questi Centri in Puglia è coinciso con una serie di attacchi e polemiche. Si è detto da parte di qualcuno che la rinascita culturale del Mezzogiorno deve trovare protagonisti e artefici non in organismi assisten-ziali, calati dall'alto di un

4

Empireo burocratico, ma nelle energie intellettuali locali che devono essere messe in grado di gestire proprie e autonome scelte culturali; si è aggiunto che i Centri con le loro biblioteche « galleggiano come palloncini » nel cielo dell'astrazione; che comportano sprechi di energie, confusione di compe-tenze, che mortificano gli organismi già esistenti. Indubbiamente noi, men-tre siamo dell'avviso che sarebbe stato molto meglio potenziare i normali organismi già esistenti, pure riconosciamo la grande utilità dell'azione svolta da alcuni Centri. Per questo giudizio ci avvaliamo però, evidentemente, del-la nostra sola esperienza diretta relativa all'attività svolta dal C.S.C. di Man-fredonia, non avendo mai avvertito la presenza dei Centri ISSCALL di Foggia. Tutte le attività finora svolte da questo Centro - a parte la carenza finora esistente e avvertita a livello operativo di un serio studio sociologico del milieu in cui si trova ad operare - sono state indirizzate a porre la comu-nità nelle migliori condizioni per riconoscere, esprimere e far valere le pro-prie esigenze. Va notato, a questo punto, come tali Centri, sorti per sburo-cratizzare (rammentiamo a titolo di esempio il « moderno servizio di lettura » cui si accennava prima) i normali canali amministrativi preesistenti all'in-tervento straordinario, il più delle volte, nella loro azione, si sono visti sbar-rare la strada da numerosi inciampi burocratici e amministrativi, soprattutto da parte degli Enti gestori i quali si sono mostrati oltretutto settari sul piano politico (meglio sarebbe dire partitico), radicalizzando l'azione per meri in-teressi di parte. Per quanto riguarda la biblioteca del Centro, affidata alle cure dell'animatore-bibliotecario, credo che, sia nelle fasi programmatiche che nei piani di attività dei singoli Centri, si parta da un macroscopico erro-re di presunzione. Poco più di tremila volumi, scelti tutti con criteri partico-lari, al servizio di una cultura impegnata in una sola direzione, affidati a un bibliotecario improvvisato, non fanno assolutamente una biblioteca, che non solo dovrebbe servire la comunità cittadina, ma anche un vasto com-prensorio. Del resto tali carenze sono state chiaramente avvertite anche all'interno dell'organizzazione se nel numero 1 (1970) della rivista « La Cul-tura Popolare » nel "Notiziario" a pag. 24 si legge, a proposito delle Biblio-teche « ...una notevole carenza si riscontra nelle discipline della storia (so-prattutto per quel che riguarda la storia contemporanea e gli avvenimenti del periodo 1955-69), della pedagogia, della psicologia, della linguistica (per-fino dei manuali di grammatica e di linguistica generale), della geografia (specialmente per ciò che riguarda i luoghi del comprensorio e la costitu-zione degli Stati di recente formazione), della saggistica, letteraria soprattut-to;

5

infine si nota una carenza di classici della letteratura italiana commentati e narrativa italiana contemporanea. Facciamo ancora rilevare che la dota-zione dei libri per ragazzi a disposizione, dopo due mesi di gestione del servizio, si è rivelata estremamente insufficiente ». Basterebbe scorrere il catalogo di una delle nostre biblioteche di tipo medio, messe su all'insegna dell'economia e quindi senza disporre di notevoli fondi, per registrare an-che in questa occasione la sacrosanta pertinenza del motto « tractant fabri-lia fabri ».

Perché le biblioteche dei Centri non si riducano a inutili doppioni, riteniamo che il Formez non farebbe male a pensare alla costruzione, nella sede dei Centri, di una vera biblioteca-casa della cultura che, ben dotata e tecnicamente organizzata, potrebbe essere la sede di biblioteca di un sub-bacino diretto alla alimentazione della rete di biblioteche costituite nel-l'ambito del sistema bibliotecario. In tal modo nella nostra Provincia, la quarta per superficie in Italia, avente 3 comuni compresi nel raggio di 20 km., 5 comuni nel raggio di 30 km., 16 comuni nel raggio di 50 km., 11 nel raggio di km. 70 e 26 oltre i 70 km., per una equilibrata struttura bi-bliotecaria, accanto al Centro del sistema esistente nel Capoluogo, l'alimen-tazione delle varie biblioteche sarebbe per il Subappennino, dal Centro di Lucera (da istituire assolutamente); per il Gargano, dal Centro di Manfre-donia; per parte del Gargano e della Valle del Fortore dal Centro di S. Se-vero e per il Tavoliere dal Centro di Foggia. Tali biblioteche, istituite in città ove la civica biblioteca indubbiamente langue, soprattutto per man-canza di mezzi finanziari e per scarsezza di personale, potrebbero final-mente riempire un notevole vuoto nella attuazione di un pubblico servizio di primaria importanza.

I centri, che pure avevano il fine primario di aiutare i cittadini a maturare capacità di auto-istruzione, non sarebbero più costretti, come sono in gran parte, a svolgere un'attività di copertura (spettacoli, etc.), ma, dopo aver effettuato uno studio sociologico dell'ambiente nel quale essi operano, svolgerebbero una vera attività di supporto a tutte le strutture della comunità. Il Formez a sua volta sarebbe finalmente costretto a chiarire i limiti concreti e precisi dei compiti dei Centri, senza dover anch'esso - come abbiamo rilevato dai vari rapporti e riunioni interregionali etc., - camuffare un proprio intervento che risulta, in atto, quanto mai carente e piuttosto confusionario, paternalistico, burocratico e repressivo. Una maggiore aderenza alla realtà da parte dei Centri, una democratizzazione degli stessi, un coordinamento della loro attività con gli organismi tradizionali che hanno alle loro spalle una lunga e inso-

6

stituibile esperienza, sarebbe l'optimum e scongiurerebbe il rischio insito in tutte le operazioni paternalistiche e colonialistiche cui viene sottoposto il nostro Mezzogiorno; quello cioè di contrabbandare sotto le vesti del « recupero », la sovrapposizione di modelli culturali verificati in contesti sociali totalmente diversi, a spese delle radici storiche delle varie comunità meridionali, depositarie di una cultura contadina che non può essere can-cellata con un colpo di spugna. Tutto ciò in attesa della precisazione dei limiti di competenza regionale al riguardo, il cui intervento si spera sia adeguato alle condizioni locali per un più razionale impiego delle risorse e quindi per un migliore funzionamento di tutti gli organismi, ordinari e straordinari. 2. L'EDILIZIA DELLE BIBLIOTECHE PUBBLICHE

Il settimanale « Il Mondo » n. 938 del settembre 1970 a proposito del panorama piuttosto desolante della cultura in Italia, si domanda tra l'altro: « Si può studiare in Italia? ». Certo si può - risponde - con fatica, con fastidio, con ritardo e male.

E ciò per poi concludere che è necessaria e urgente una nuova poli-tica per la cultura. E tutti coloro che si occupano con impegno e con pas-sione dei problemi molteplici e gravi delle nostre biblioteche, non posso-no non riconoscere la piena validità delle asserzioni del settimanale citato. Chiunque voglia ancora oggi studiare seriamente nel nostro Paese, ed ef-fettuare ricerche per lavori scientifici, fa fatica, lo fa a prezzo di gravi ri-tardi, con fastidio e male. Perché tutto questo? Mentre dovrebbe essere il libro ad andare verso l'uomo comune, al fine di provocarlo a divenire let-tore, si attende il lettore nelle nostre sedi, solenni e spesso monumentali, ma inidonee a un moderno servizio bibliotecario. Il perché di tutto ciò, potrebbe essere noto a tutti, così come sono note le ragioni storiche di tali ritardi. Essendo prevalsa la ragione conservatrice, il lettore non solo non è ancora diventato il protagonista, ma è ancora costretto a muoversi tra mil-le inciampi, tenuto lontano dal libro, cui possono avvicinarsi soltanto i sacerdoti del tempio, e spesso guardato a vista.

Perché questa premessa, essendo il tema del nostro discorso quello della edilizia bibliotecaria e quindi della « migliore sistemazione del libro a vantaggio del lettore » ?

Perché credo opportuno brevemente dire della (mia) esperienza di

7

una politica di liberalizzazione adottata dall'anno 1965 presso la « Provin-ciale » di Foggia, nei limiti consentiti(mi) dalla vetustà e dalla inidoneità degli ambienti e dalla scarsezza del personale a disposizione. Ho permesso al lettore una maggiore libertà di iniziativa e di movimento; ho sollecitato la sua collaborazione, ascoltando e accogliendo ove possibile proposte e suggerimenti; ho istituito un efficace ufficio di consulenza bibliografica e arricchito l'istituto di importanti opere di studio e di consultazione. E ciò con il consenso dei collaboratori, tutti ormai convinti della necessità di non trincerarsi dietro la norma con eccessivo formalismo, e in uno con l'attuazione di iniziative culturali quali conferenze, mostre e dibattiti, e con la pubblicazione di una rivista « La Capitanata », ormai all'ottavo anno di vita; di una collana di quaderni (dieci) e di libri (sono apparsi in edizio-ne critica importanti manoscritti posseduti dalla Biblioteca).

Queste iniziative hanno richiamato intorno alla Biblioteca il con-senso degli studiosi, dell'opinione pubblica e degli studenti, i quali, soprat-tutto sotto la pressione delle ricerche per una tesi, ne hanno riconosciuto il beneficio, per convincere, anche in tal modo, le competenti autorità ad occuparsi con urgenza e con serietà del problema della nuova sede. I tem-pi evidentemente erano maturi e propizii. La società oggi anche in questo campo, sollecita investimenti e riforme, e i ritardi non sono più consentiti. Non possiamo escludere infatti che, prima o poi, quelle forme di impa-zienza e di contestazione che hanno investito finora la scuola, l'università, la giustizia, la sanità, etc. arrivino anche alle biblioteche, già, autorevol-mente definite « vitali e indispensabili strumenti di democrazia e condi-zioni di ogni vera democrazia ». Annunciai, al Convegno « Biblioteche per ogni Comune » tenuto nell'anno 1969 a Bologna, che l'Amministrazione Provinciale di Foggia intendeva realizzare, con una spesa di L. 800.000.000 la nuova sede della Biblioteca Provinciale di Foggia. Qui de-sidero chiarire in quali modi e forme da una provincia del sud è stato af-frontato (e si è data risposta adeguata) questo importante problema.

E' stato predisposto un capitolato per appalto-concorso nel quale, oltre a elencare tutti i servizi che si desiderava fossero presenti nella nuo-va biblioteca, si indicavano ai progettisti quattro elementi limite: a) un suolo di mq. 4.000 di forma rettangolare (m. 100 x 40); b) Pubicazione dello stesso in un quartiere centrale, nel quadrante sud orientale della cit-tà, in forte espansione; c) la disponibilità della somma di L. 800.000.000, procurata attraverso un mutuo contratto dall'Ente Pro-

8

vincia; d) il tipo di biblioteca da realizzare, non tendente alla conservazione dei libri, ma avente di mira l'uso di questi e soprattutto la diffusione della cultura, e in modo tale da poter rispondere adeguatamente a ogni richiesta di informazione e di cultura, proveniente non soltanto da parte degli utenti del capoluogo e dei pendolari che ivi si recano per ragioni di lavoro e di studio, ma anche dell'intera provincia, che oggi, con la realizzazione del S.N.L. in Capitanata, dispone finalmente di una biblioteca in ogni comune.

Gli orientamenti e le richieste distributive e di dimensionamento del-l'istituto culturale erano, come si è detto, contenuti nel capitolato dell'appal-to-concorso, redatto dall'Ufficio Tecnico Provinciale, che configurava chia-ramente il tipo di biblioteca da realizzare, destinato a diffondere la cultura, a tenere nel dovuto conto il lettore oltre che il libro, e a considerare che sarà chiamata non solo a soddisfare le esigenze degli utenti urbani ma anche a portare il libro, in condizione di estrema parità, ovunque nella provincia, mediante l'organizzazione di un centrorete e di un sistema bibliotecario provinciale. Andava messo in conto, inoltre, opportunamente non solo l'aumento dei lettori, conseguente al miglioramento della offerta di lettura e di tutti gli altri servizi, ma anche in conseguenza del relativo avvicinamento dei comuni compresi nelle fasce Tavoliere, Gargano, Sub-Appennino, in-quadrabili in percorrenze contenute in raggi in linea d'aria di km. 20, 40 e 70, e per pochi comuni del Gargano, di oltre 75 km. e ciò in seguito al mi-glioramento delle strade, e alla costruzione delle due autostrade Avellino - Bari e Vasto - Canosa.

Il progetto vincente, opera degli architetti Leonardo Fiori e Luigi Pel-

legrin, e aggiudicato alla Ditta FEAL di Milano, operante nel settore della edilizia industrializzata, tiene conto di quanto richiesto nel disciplinare di appalto, dei rilievi e delle modifiche apportati dalla commissione all'uopo nominata dall'Amministrazione provinciale di Foggia. Dopo aver ascoltato il parere della Direzione generale delle Accademie e Biblioteche, detto pro-getto si può ritenere il più aderente alle complesse esigenze dell'istituto da realizzare, quale centro di cultura al servizio degli utenti della città e degli utenti della provincia e quale « polo » di attrazione per le prevedibili future attività universitarie. Quindi, considerata la forma rettangolare del terreno, la tipologia, imposta in certo senso dalla realtà, è in linea e molto compatta. Inoltre, il progetto tiene giustamente nella dovuta considerazione non sol-tanto i costi di costru-

9

zione, ma anche quelli non meno importanti di gestione e di manutenzio-ne e della quantità del personale necessario 1 per il suo funzionamento.

La distribuzione è stata impostata su criteri di massima elasticità, che risultano conciliabili con le funzioni e con i servizi pubblici.

Il pubblico, che accede da ingressi diversi da quelli adoperati dal personale e dai libri, potrà liberamente orientarsi verso i settori prescelti e incontrerà a ogni piano e a ogni cambiamento di direzione personale ed uffici di assistenza e guida. I libri e le riviste (ingresso in biblioteca fino agli scaffali e da questi alla distribuzione, alle varie sale di lettura, al prestito) seguono due circuiti autonomi, i quali non si intralciano e non prevedono remore dannose. Il progetto inoltre esclude interferenze tra il circuito dei libri e quello dei lettori. Gli itinerari previsti per il pubblico sono stati studiati in modo da favorire, man mano che il pubblico si inoltra tra i locali seminterrati che ospitano il servizio nazionale di lettura, fino alle sale di consultazione di alta specializzazione e ai fondi speciali che sono all'ultimo piano, una naturale selezione.

Tutto ciò senza inciampi burocratici e in piena libertà, attraverso percorsi indipendenti, ma intercomunicanti e tutti collegabili al grande auditorium che potrà ospitare trecento posti.

Particolare spazio e importanza sono stati riservati alla biblioteca per ra-gazzi, che potrà contare su un ingresso separato, e su itinerari interni attraverso la biblioteca per adulti. Sono previsti, in base agli « standards » accettati comu-nemente, oltre 80 posti a sedere, sale di lettura pubblica, sale di consultazione e di ascolto. Lo spazio a disposizione di ciascun ragazzo è di circa 2,30 mq. di superficie.

La Biblioteca è stata progettata con una ricettività di circa 400.000

volumi, dei quali 50.000 destinati al Sistema Bibliotecario Provinciale e i rimanenti alle sale a scaffali aperti, ai magazzini, alle sale di consultazione, alle salette dei fondi speciali.

La biblioteca è localizzata sulla tangente meridionale, all'incrocio con il Corso del Mezzogiorno. Tale tangente, a tre ampie corsie sarà la arteria di scorrimento posta a cardine del nuovo piano regolatore. Lo

1 La Deliberazione n. 1058, adottata all'unanimità dal Consiglio Provinciale di Foggia in data 21 luglio 1970, in aggiunta ai posti già in organico (2 della carriera direttiva; 1 della carriera di concetto; 1 della carriera esecutiva e 2 uscieri) prevede: 1 bibliotecario (carriera direttiva); 11 posti della carriera di concetto; 6 posti della carriera esecutiva; 4 posti del ramo servizi tecnici; 2 rilegatori e 13 uscieri.

10

aspetto esterno dell'edificio, ben inquadrato nell'ambiente circostante, è tale da delineare subito un volto in antitesi con l'aspetto che la tradizione ha dato agli istituti bibliotecari. La nuova Biblioteca Provinciale presenterà all'esterno percorsi-passeggiate, delimitati da un ampio portico, proiezione dell'ultimo livello sugli accessi principali. Tale aspetto attraente, sulla strada, è finalizzato al richiamo e al facile inserimento del passante nel percorso di accesso.

Gli accessi sono tre: - dalla quota stradale alla quota +4,25 mediante una rampa che si

snoda al coperto; - dalla quota stradale alla quota +1,10 mediante un breve raccordo

in pendio per facilitare l'accesso delle persone anziane o invalide; - dalla quota stradale alla quota +4,25 mediante scala esterna per

l'ingresso alla biblioteca dei ragazzi. Tale scala esterna continua fino a quota +7,40 per l'ingresso in auditorium. I due accessi all'atrio e alla biblioteca dei ragazzi sono raccordati con una passeggiata coperta che consente il colle-gamento anche con l'atrio-auditorium. Sul retro dello edificio accessi per i libri e per i locali sottostanti (magazzini, bibliobus a diretto contatto con i magazzini del S.B.P. e centrali tecnologiche).

Quota meno 1,75: magazzino generale che potrà contenere fino a 180.000 volumi, servito da montacarichi e da nastri trasportatori; magazzi-no del S.B.P. per un massimo di 50.000 volumi, direttamente a contatto con la rimessa del bibliobus e con un nucleo di uffici e una sala convegno; ser-vizi di rilegatura e di restauro; nucleo delle centrali termica ed elettrica. Tut-to il materiale è protetto da impianti di segnalazione antincendio « Cerberus » e da impianti antincendio.

Opere di alta ingegneria sono previste per lo smaltimento delle acque piovane in regime normale ed eccezionale, poggianti su reti fognanti esterne integrate da drenaggi, e raccordate con pozzi pendenti.

Tutta la superficie dei magazzini è ricoperta inoltre da una vasca im-permeabile a protezione di locali interni. Una ulteriore protezione è costi-tuita dal fatto che gli accessi esterni sulla rampa, sulla quale si affacciano i locali a quota +1,75, sono rialzati in contropendenza fino a quota +0,65, rispetto alla quota stradale.

Quota +1,10: ingresso indipendente dei libri verso le necessarie ope-razioni fino allo scaffale; atrio secondario con ascensore verso i piani supe-riori; sale per i fondi speciali; alloggio del custode.

11

A quota +4,25: si arriva a una piazzetta coperta che disimpegna l'atrio principale e l'atrio dell'auditorium. Il primo atrio porta alla sala cataloghi e alla sala di lettura per adulti a scaffali aperti (20.000 volumi e 200 posti a sedere), a un nucleo di uffici amministrativi e alla vice direzione. L'atrio-auditorium disimpegna il bar, una sala mostre, che può essere messa in co-municazione diretta con la biblioteca dei ragazzi e che, attraverso una scala, porta al piano superiore. Alla stessa quota infine è sistemata la biblioteca per ragazzi con tutti i relativi servizi.

Affacci e vuoti interni sovrapposti, oltre a costituire una forma di al-leggerimento estetico-strutturale, consentono una migliore sorveglianza da parte del personale e un richiamo per ulteriori scoperte da parte del lettore, il tutto suggerito dal concetto-cardine della trasparenza che presiede alla intera elaborazione del progetto. Anche il patrimonio bibliografico conte-nuto nei magazzini è visibile dall'esterno, a simbolica e chiara anticipazione di accessibilità del medesimo.

A quota +7,40: sale di consultazione specializzate, di più alto livello qualitativo, distinte in sale per le scienze umane e per le scienze tecniche con le relative raccolte di riviste in proseguimento dei percorsi.

A diretto contatto il reparto per gli audiovisivi, la discoteca, la nastro-teca, i microfilms, le foto-copie, le sale di ascolto; l'ufficio del direttore, se-greteria e ufficio del soprintendente, sale di riunioni per l'animatore cultura-le a contatto diretto con l'auditorium, ove sarà sistemato anche un impianto di filodiffusione ad alta fedeltà.

Tutti gli spazi pubblici e quelli riservati agli uffici fruiscono di servizi igienici e sanitari.

I servizi tecnologici sono rappresentati da un impianto di condizio-namento degli ambienti, dall'impianto elettrico e di forza motrice, di segna-lazione e di protezione antincendio, da impianti idrico-sanitari, da ascensori per il pubblico e per il personale, da montacarichi e da un sistema di posta pneumatica. Il sistema costruttivo impiegato sarà il sistema VAR M3 della Società FEAL, cui è stato aggiudicato l'appalto, operante da venti anni nel settore della edilizia coordinata. Tale sistema prevede l'uso di strutture por-tanti in acciaio, verticali e orizzontali con solai misti di acciaio e calcestruz-zo. Le facciate sono realizzate con pannelli di tamponamento cementizi e serramenti modulari in alluminio anodizzato. Le pareti interne sono in ges-so con telai metallici, con controsoffitte fono-assorbenti.

La modernità, la eleganza e la funzionalità dell'edificio concorreranno non solo a conferire un volto più moderno a un moderno quar-

12

tiere della città, ma costituiranno anche un notevole richiamo per tutti i vir-tuali lettori.

Il progetto è stato già approvato dalla Commissione edilizia del Co-mune di Foggia e dal Provveditorato regionale alle Opere Pubbliche, e i lavori sono stati consegnati alla ditta FEAL il 20 gennaio 1971 per cui, ra-gionevolmente, si pensa di poter arrivare alla inaugurazione della Biblioteca entro la fine dell'anno 1972.

Non si può non plaudire all'opera di solerti e illuminati amministrato-ri dell'Ente Provincia dauno per quanto di veramente cospicuo e importan-te hanno fatto in favore della cultura in Capitanata, Terra laboriosa e ospitale, la quale, nella realizzazione della nuova Biblioteca, troverà occasione e stimo-lo per il proprio rinnovamento culturale, sociale e civile.

Dal piano di marciapiede parte una scalea che giunge fino a un balla-toio di smistamento (quota + 1,30) dal quale si accede direttamente all'atrio del piano delle consultazioni e dei fondi speciali (a destra dell'atrio) e del-l'ufficio dei diritti di stampa e del reparto ordinazione preparazione e cata-logazione (a sinistra dell'atrio). Quest'ultimo reparto, al fine di evitare so-vrapposizione di percorsi (libri-personale-lettori) è raggiungibile anche di-rettamente dall'atrio di servizio (n. 21), previsto per l'arrivo, carico e scarico del materiale e per l'ingresso del personale. Lo stesso atrio è servito dalla rampa di accesso, a ridosso dell'edificio e tra questo e l'esistente Orfanotro-fio.

L'estremo sud-est dell'edificio è servito da un altro ingresso a rampa, che consente l'accesso diretto e autonomo alla Biblioteca dei ragazzi, situata al primo piano. Alla biblioteca dei ragazzi si può arrivare anche con percor-si interni. La rampa prosegue quindi fino al secondo piano, per garantire il rapido sfollamento dell'auditorium.

All'altro estremo (nord-ovest), cioè a sinistra guardando la facciata prospiciente sul Viale Michelangelo, è stato previsto l'alloggio del custode.

Ai piani superiori, destinati a reparti speciali, e al piano seminterrato, destinato a deposito, si può arrivare anche con percorsi interni, con ascen-sori e montacarichi e col rampante esterno che parte dal primo ballatoio di smistamento (C). Da tutte le sale sistemate nei piani superiori si possono raggiungere le aree previste e attrezzate per lettura all'aperto, per mezzo di collegamenti verticali diretti.

La distribuzione delle richieste a tatti i piani verrà garantita da un im-pianto di posta pneumatica.

13

Al primo piano si trovano la sala di lettura pubblica a scaffali aperti per adulti (n. 1) e la sala di lettura pubblica per ragazzi (n. 23). Tra le due sale un loggiato di smistamento presenta, a sinistra, la sala cataloghi, gli uf-fici, il prestito, il guardaroba e i servizi; a destra il bar, il fumoir e la galleria per mostre. Tale galleria ha anche la funzione di « invito all'auditorium », posto al piano immediatamente superiore, e collegato con la sala mostre con una comoda scalea.

Tutta la parte relativa alla biblioteca dei ragazzi dispone di una balco-nata sotto portico, lungo la quale la libera circolazione dei giovani lettori conferirà una impronta viva e piacevole in armonia con il carattere « aperto » del pubblico servizio offerto.

Al secondo piano si giunge soltanto con traffico interno, dai piani inferiori, per mezzo di scale e di ascensori. Tutto il piano è caratterizzato da ampi spazi, che rendono agile il percorso e l'accesso ai libri - distinti in due ampi gruppi di consultazione: quello delle scienze morali e quello delle ma-terie tecniche - alla emeroteca, ai posti di lettura e all'auditorium.

Tra questi due gruppi di servizi trovano sistemazione la direzione, la segreteria, la sala convegni, la discoteca con cabine di ascolto, il servizio di microfotografia e xerocopie, con annessa sala per la lettura dei microfilms, l'ufficio di economato, dell'animatore culturale e l'ufficio pubblicazioni.

I solai di divisione orizzontale presentano spesso asole vuote di in-tercomunicazione con i piani inferiori, e ciò conferisce particolare risalto all'architettura degli interni.

Nel seminterrato trovano sistemazione circa duecentomila volumi e annate arretrate di periodici; gli uffici, la sala riunione per i bibliotecari del sistema provinciale, e il Centro-Rete del Sistema Bibliotecario Provinciale.

In altri locali del medesimo seminterrato sono previsti il laboratorio di restauro e di legatura, l'autorimessa per il bibliobus.

In locali indipendenti, ma direttamente accessibili dall'esterno trove-ranno posto la centrale termica e di condizionamento, la centrale elettrica e il serbatoio contenente la riserva di acqua. Tutto lo scantinato verrà protet-to da un complesso sistema di isolamento idrico che si otterrà per mezzo di speciali impianti di idrofugazione e di intercapedini canalizzate fino alla fal-da freatica.

14

3. DEI CONSORZI BIBLIOTECARI *

Al Convegno di Bologna del marzo 1969, il consigliere di Stato, dottor Pianese, nella sua qualità di direttore generale dell'Amministra-zione civile, intervenendo dopo la brillante e applaudita relazione della dottoressa Carini sul tema « Il Piano della Scuola e le Biblioteche », disse tra l'altro: « Mi sia consentito di aggiungere che la cultura esalta e raffor-za i principi inalienabili di libertà e di democrazia, e perciò sono convin-to che gli enti locali saranno particolarmente sensibili, anzi orgogliosi - sot-tolineò l'oratore - di concorrere al raggiungimento di questi ideali, come è nei voti di tutti; ma occorre che gli sforzi siano comuni... Concluden-do, posso affermare che gli organi di controllo hanno consentito, come ho detto in precedenza, l'espansione della spesa per le biblioteche, per-ché convinti appieno della utilità, anzi della necessità che esse siano sempre più potenziate ».

Dopo questa premessa in termini di aulica solennità, intervenendo sulla sostanza attuale del problema, preso in esame dall'angolo visuale della provincia Dauna, devo porre in azione tutti i freni inibitori per l'e-vidente utopia. E ciò solo che io pensi - se le parole hanno ancora un significato - alla discrepanza abissale verificabile tra le affermazioni del dottor Pianese e il severissimo trattamento riservato dalla Commissione Centrale della Finanza Locale agli impegni di spesa previsti nel bilancio 1969 dall'Amministrazione Provinciale di Foggia in favore della Biblio-teca del Capoluogo e del Sistema Provinciale di Lettura.

Com'è noto, è in corso di completamento - le ultime 17 bibliote-che saranno inaugurate al più presto - in Provincia di Foggia l'attuazione del « Sistema Bibliotecario Provinciale », in una provincia cioè che è la quarta per territorio tra le consorelle italiane e che, pur contando una popolazione complessiva di circa 700.000 abitanti, poteva non certo vantarsi di possedere, fino alla data del gennaio 1969, soltanto 8 biblio-teche: cinque delle quali raggruppate nei comuni maggiori del Tavoliere (che conta 15 comuni per complessivi 340.721 abitanti al 31-12-1968) (Foggia, Cerignola, S. Severo, Torremaggiore, Lucera); e tre nei comuni di Manfredonia, Monte S. Angelo e di S. Nicandro Garganico, apparte-nenti al distretto garganico, che al 31-12-1968 vantava una popolazione complessiva di 192.496 abitanti. Tutta la zona subappenninica, a incre-

* Comunicazione letta a Roma, nel mese di ottobre 1970, presso l'Istitu-to di Patologia del Libro al Convegno di studio sulla biblioteca pubblica, orga-nizzata dal Ministero della P.I.

15

mento demografico negativo, comprendente 29 comuni per complessivi 133.138 abitanti (al 31-12-1959 gli abitanti erano 161.062) non possedeva all'epoca, neppure una sola biblioteca, di quelle che la signora dr.ssa Carini definisce di « cultura generale », « aperte - cioè - alla generalità dei cittadini capaci di assicurare a tutti gli uomini, le donne e i ragazzi che vivono e la-vorano in tutto il nostro paese un incontro con il libro e la cultura ».

Ma quale la sorte riservata ai finanziamenti previsti per la realizzazio-ne di questo programma meraviglioso, perché ogni comune abbia la sua biblioteca aperta a tutti, con un dirigente preparato, in locali sufficienti e idonei?

Il Ministero dell'Interno, con decreto n. 3352 Div. II, Sez. I, Affari Generali dell'Amministrazione Civile, in data 31 luglio 1970, ha eliminato integralmente gli articoli 1-5 del capitolo 87 predisposto dal Consiglio Pro-vinciale all'unanimità per il miglior funzionamento del Centro-Rete e delle 52 Biblioteche comprese nel Sistema. Tra l'altro è stato bocciato l'articolo che prevedeva una spesa di L. 240.000 annuali in favore di ogni biblioteca, e quindi resta inoperante quello che ritengo sia il provvedimento più quali-ficante e lo stimolo più funzionale a dimostrazione dell'interesse concreto dell'Ente Provincia al buon funzionamento delle biblioteche comunali nel-l'ambito del Sistema, per il progresso civile delle popolazioni daune. Allora, signori, c'è poco da stare allegri! Ma perché - candidamente mi domando - si spolverano concetti di « unicità della finanza statale e locale »; ci si viene a par-lare della « cultura fondamento della libertà e condizione di democrazia »; si assicura la competente Direzione Generale delle Accademie e Biblioteche e per la diffu-sione della cultura, pur in quel Convegno altamente rappresentata, che si sa-rebbe guardato con particolare benevolenza e attenzione alle esigenze vitali delle biblioteche?

E' doveroso chiedersi, egregi colleghi, a questo punto che cosa si vuole effettivamente da noi bibliotecari, una volta usciti fuori della cittadel-la degli alti studi e della mera conservazione, per impegnarci a pagare di persona nella penosa ricerca di portare - come è giusto e sacrosanto che sia, oggi, a soli tre decenni dall'anno 2000 - il libro incontro al lettore. Ed è do-veroso anche rendere i dovuti riconoscimenti all'Ente dal quale mi onoro di dipendere: uno dei più sensibili e impegnati nel campo della cultura e della scuola, se è vero che nel prossimo mese di dicembre potrà procedere alla solenne contemporanea inaugurazione di due importanti istituti Tecnici, a Foggia e a Lucera, e

16

a mettere la prima pietra alla nuova grande Biblioteca Provinciale la quale, da sola, graverà sul suo bilancio per circa un miliardo.

E pertanto, noi ci saremmo attesi anche da parte della C.C.F.L. lo stesso rigoroso, ma intelligente trattamento riservato da tempo ai proble-mi della scuola e della cultura da parte del locale Organo Tutorio che ha approvato tutte le spese necessarie per il funzionamento del Centro-Rete di Foggia, per i locali e per il personale dirigente delle 52 biblioteche co-munali, regolarmente assunto da ogni Comune con relativa deliberazione, nella quale pur si fa cenno, però, anche al contributo di L. 240.000 desti-nato dalla Provincia. Che cosa accadrà dopo l'« ukase » della C.C.F.L.?

Il Consiglio Provinciale di Capitanata, all'unanimità, ha riproposto nel bilancio 1970 in favore dei 52 comuni aventi biblioteche di nuova isti-tuzione la somma di L. 20.732.000 per il loro miglior funzionamento.

Ma sarebbe ben triste se, anche il bilancio '70 subisse il medesimo assurdo trattamento riservato al precedente. E ciò dipenderà anche da noi bibliotecari e studiosi qualificati, dai nostri dibattiti liberi e animati. Le cose non potranno certo restare nell'attuale situazione, inaccettabile da parte di ogni cittadino onesto e pensoso delle sorti della cosa pubblica e quindi della nostra stessa libertà.

1. DEMOST

2. ALEXAN

3. GIUSEPPdi A. Pan

4. FERDINA

PROFILI STORICI E LETTERARI a cura dello Studio Editoriale Dauno

In 8° (mm. 170 x 240)

ENE di R. Onorato (Pp. 42)

DER PUSKIN di E. Paoletta (Pp. 64)

E ROSATI, AGRONOMO ED ECONOMISTA AGRARIOerai (Pp. 32)

NDO VILLANI di C. Prencipe (Pp. 24).

La politica di intervento culturale in Francia Le " Maisons de la culture"*

P R E M E S S A

Le Maisons de la Culture nascono in un preciso momento della storia della Francia: situazione algerina, ascesa al potere di De Gauíle. Sono frutto di un programma messo in atto da André Malraux e ben si inseriscono nel quadro della politica nazionalista del periodo gollista.

Nelle Memoires d'espoir 1 del Generale leggiamo che, salito al potere e costituito il Governo, egli chiama A. Malraux al suo fianco, affidandogli il Ministero degli Affari Culturali.

E' opportuno vedere come nasce questo « ambizioso » programma di intervento culturale dello Stato ed attraverso quale processo si è definito.

Il 22 genn. 1947, in sostituzione del Ministero dell'Informazione, fu creato quello della Jeunesse, des Artes et des Lettres, col preciso intento di ab-battere il vecchio concetto di curare la protezione e la conservazione di tut-to il patrimonio artistico a favore di pochi eletti. Questo Ministero fu affi-dato da Paul Remadier a Pierre Bourdan; e non sopravvisse alla morte di costui, avvenuta accidentalmente nel 1948.

Già all'indomani della Liberazione m.lle Jeanne Laurent, autrice di La République des Artes, molto lavorò per la decentralizzazione artistica. M.lle Laurent divenne responsabile degli spettacoli alla Direzione delle Arti e del-le Lettere; mentre Mr. Jean Vilar nel 1951 divenne direttore del Teatro Na-zion. Popolare 2. Grazie alla loro azione ogni giorno di piú, si fece strada, nel pubblico potere, l'idea di diffondere la cultura a tutti gli strati sociali.

La Quinta Repubblica, con decreto del 3 febbr. 1959, creò il Ministe-ro degli Affari Culturali, che assommava in sè la direzione: 1) di l'Architecture et des Archives de France (prima di competenza del Ministero dell'Ed. naziona-le); 2) delle attività culturali dell'Alto

* Note su un viaggio di studi presso il Ministero degli Affari Culturali, le «

Maisons de la Culture » di Rennes ed Amiens e il « Relais Culturel di Plougonven » (Morlaix) - (7 - 30 nov. 1970)

1 Ed. it. Memorie della speranza, Rizzoli, 1970, in 8° pp. 273. 2 MESNARD: L'action culturelle des pouvoirs publics (ciclostilato).

18

Commissariato della Gioventù e dello Sport. Il nuovo Ministero assunse anche il controllo e l'organizzazione del Centro Nazionale della Cinemato-grafia, sino allora di competenza del Ministero dell'Industria e del Commer-cio.

Accentrati questi servizi, soprattutto a livello amministrativo, il Mini-stero degli Affari Culturali si diede a realizzare una politica culturale, incen-trata sulla creazione e diffusione della cultura.

Il 27 luglio 1959 André Malraux era nominato Ministro agli Affari Culturali, col compito di rendere accessibile « les oeuvres capitales de l'humanité et d'abord de la France au plus grand nombre des Français, d'assurer la plus vaste au-dience de nôtre patrimoine culturel et de favoriser la creazione des oeuvres d'art de l'esprit qui l'enrichessent ».

Malraux si mise all'opera, convinto di tale programma, pur disponendo di un budget molto modesto, che tale resterà sino al 1967. Infatti, i finanziamenti del Ministero degli Affari Culturali, sino a questa data, hanno oscillato tra lo 0,34 e lo 0,64 di tutta la finanza dello Stato 3.

Si incominciò a pensare anche a cose solide e durature. Si costituì, infatti, accanto al Commissariato Generale del Piano di « Equipement et de la Productivité », una Commissione « de l'Equipement culturel et du Patrimoine artistique », che lavorò dal febbraio al luglio 1961. Nel suo rapporto generale di studio, la Commissione sottolineò che « il n'est que d'organiser cette action de l'Etat en sorte, qu'elle soit une forme nouvelle de services publics et non pas un instrument de pression ».

Nel quadro d'azione del IV piano, la Commissione pensò ad una operazione sperimentale e novatrice: la creazione delle Maisons de la Culture, definite come nuovi luoghi di incontri culturali nella Francia del duemila, dove « troupes des comédiens et des danseurs, musiciens ou émissions synphoniques, films devenus classiques, expositions d'oeuvres d'art originales ou reproduites, temporaires ou parfois permanentes . . ., conférences, bibliotèques, discothèques, ateliers alimenteront la vie spirituelle de tous ceux qui voudront s'y retrouver » 4.

Fatta tale premessa, genericamente informativa, ci sembra giusto mettere il lettore nella condizione di capire attraverso quali stadi si è venuto realizzando in Francia il programma d'intervento culturale delle Maisons.

Fermeremo la nostra attenzione, brevemente, sulla « Decentralizzazione artistica », prima di parlare dell'« origine e concezione delle Maisons de la Culture.

3 « Revue du Droit Public ... », Paris - n. 5, sett.-ott. 1969, pag. 822. 4 Rapport général de la Commission de l'Equipement culturel e du Patrimoine

artistique pour le IVe Plan, pag. 37, Paris, Plon, 1970.

19

1. LA DECENTRALIZZAZIONE ARTISTICA

La « decentralizzazione drammatica », che assunse uno sviluppo notevole nel 1945, sotto la Direzione delle Arti e delle Lettere, mise in atto un programma di azione culturale « generalizzata », la cui definizione è data dal decreto del 14 luglio 1959.

Quest'intervento così concepito, voleva permettere al pubblico della provincia di usufruire di spettacoli che sul piano della qualità artistica fossero dello stesso livello di quelli che si davano a Parigi; nonché di agire in maniera incisiva presso un pubblico molto vasto, in modo che venissero totalmente scavalcati i gruppi sociali privilegiati, che erano praticamente i soli a poter usufruire di rappresentazioni teatrali di livello culturale.

Pertanto, nel 1968 in Francia funzionavano dieci « C'entri drammatici » nazionali e dieci « Compagnie permanenti » di decentralizzazione 5. Questi organismi corrispondono, ciascuno, ad una determinata regione. Essendo delle compagnie teatrali private, hanno con lo Stato un contratto mobile, ricevendo le sovvenzioni annualmente. A secondo dei casi, esse riescono ad avere dei contributi anche dagli Enti locali: ma il contributo dello Stato è quello più cospicuo.

I direttori delle compagnie si assumono l'impegno di condurre, nelle regioni ove operano, una « azione di decentralizzazione drammatica », che è indipendente « dalla sua vocazione artistica, universale nella sua significazione sociale, di natura strettamente professionale e qualitativamente ineccepibile », come rilevasi dal testo della convenzione tra Ministero e Compagnie teatrali.

Il loro impegno è quello di presentare, per ogni stagione, un minimo di 100 rappresentazioni e 3 spettacoli nuovi. I direttori dei Centri e delle Compagnie sottopongono, all'inizio di ogni anno, all'approvazione del Ministro degli Affari Culturali, un preventivo di spesa. Alla fine dell'anno producono al Ministero un consuntivo delle attività e il rendiconto delle spese a tutto il 31 dicembre. Inoltre, essi danno al Ministero, anche, alla fine di ogni trimestre, un rendiconto di attività, accompagnato da un programma preventivo del trimestre successivo.

Tutti gli organismi preposti alla decentralizzazione artistica hanno veste giuridica differente: « aziende personali », « cooperative di produzione », « società anonime », « associazioni della legge del 1901 ».

Ogni Compagnia cerca di conservare la sua originale veste giuridica, nonché la propria autonomia nei confronti del potere pubblico, per evitare che la sua azione culturale sia da esso condizionata.

5 Centri drammatici dell'Est, del Sud-est e dell'Ovest e del Nord, di languedoc-

Roussillon, Commedie de Saint-Etienne, Théatre de la Cité Le Villeurbanne, de Gramier de Toulouse, la Commedie di Bourges, le Théatre de l'Est Parisien. Il teatro di Bourgogne, di Caen, di Champagne, la Comédie des Alpes, les Tréteaux di Francia, il Teatro di Cothurne di Lione, il Teatro Popolare delle Fiandre, il Teatro dei paesi della Loira, il Centro Teatrale del Limousin, il teatro del Bassin del Longwy.

20

Il servizio di decentralizzazione drammatica, inaugurato all'indomani della Liberazione, è da ritenere come la più idonea forma di preparazione all'attuale sviluppo della diffusione della cultura. Si spiega, così, come il Ministero degli Affari Culturali, per una certa analogia di metodi, ha incoraggiato lo sviluppo e la diffusione di tutte le altre forme di espressione artistica; in particolare, della musica. Infatti, in seguito alla nuova ripartizione delle cariche, nell'ambito della Direzione Generale delle Lettere e delle Arti, avvenuta in data 28 marzo 1966, il Servizio della Musica ha ingaggiato, in data 9 maggio 1966, una azione che mirava non soltanto alla riorganizzazione, ma anche alla rianimazione di tutte le attività musicali 6.

Il Ministro ha pensato di istituire forme di collaborazione tra le Maisons de la Culture e gli organismi musicali, al fine di renderle utili strumenti per la diffusione della cultura. Pertanto, a partire dal 1968, alcuni musicisti, usufruendo di questi istituti, furono incaricati di svolgere non solo una attività di animazione permanente, ma anche di organizzare delle orchestre regionali. Le « Maisons » dovevano suggerire i gusti del pubblico, sino ad allora poco interessato da attività musicali.

Va precisato che lo Stato dà sovvenzioni ad una compagnia solo quando lo ritiene utile e dopo che questa ha fatto le sue prove in provincia.

2. CONCEZIONE E ORIGINE DELLE « MAISONS »

Con decreto del 24 luglio 1959 il Ministero degli Affari Culturali veniva investito di compiti precisi sull'azione di promozione e diffusione della cultura. Dopo la pausa dell'8 gennaio 1961, fu deciso di costituire la Commission de l'Equipement culturel et du patrimoine artistique, al fine di definire i termini e i metodi dell'azione culturale.

Questa Commission lavorò dal febbraio al luglio 1961. La Commission constatò, sin nella prima parte del suo rapporto, il carattere limitato delle concezioni che vogliono la cultura come allant de soi. Invece, sottolineò l'importanza di ricercare le condizioni del nuovo orientamento dell'azione dei pubblici poteri, che dovevano tener conto del fatto che tutti gli strati sociali, l'intera Nazione, erano ormai parte determinante in tutto ciò che prima era stato privilegio di pochi.

Il rapporto evidenziava, anche, la necessità di impiegare mezzi nuovi e diversi, al fine di poter meglio rispondere ai nuovi bisogni: « Il n'est que d'organiser cette action de l'Etat en sorte qu'elle soit une forme nouvelle de services publics et non pas un instrument de pression » 7.

6 Lo Stato, per facilitare la creazione musicale, ha stanziato un contributo per i compositori, per i teatri, per gli organismi che curano i concerti, i festivals. Dopo gli avvenimenti di maggio e giugno 1968, l'azione culturale in campo musicale è un po'... rallentata. Cfr.: « Le Monde », 13 novembre 1968.

7 Vedere il Rapporto generale della Commissione de l'Equipement culturel et du Patrimoine artistique per il IV Piano, pp. 5-7.

21

Nel quadro del IV Piano, la Commission pensò di mettere in atta le ipotesi teoricamente ribadite, intraprendendo una operazione, definita sperimentale inizialmente, che è la creazione delle Maisons de la Culture. La Commission definì le Maisons « luoghi idonei agli incontri culturali della Francia del 2000 ».

I redattori del piano sottolinearono l'importanza della creazione del Ministero degli Affari Culturali, come la più pertinente ad una nuova concezione della cultura, che deve penetrare nella vita quotidiana e soprattutto diventare elemento di garanzia, sempre presente nei diversi settori del sistema produttivo di lavoro.

Il compito dello Stato era, dunque, quello di creare le condizioni atte a rendere possibile, nonché fruttuoso, ogni sforzo in campo culturale, sviluppando ed incrementando infrastrutture di sale per spettacoli e Maisons de la Culture in rapporto ai bisogni delle popolazioni.

Il « Rapporto generale della Commission d'Equipement culturel et du Patrimoine artistique » per il V Piano, doveva riaffermare il carattere di servizio pubblico per l'azione culturale. Il compito dello Stato doveva essere tutto concentrato in un impegno di pianificazione democratica dello sviluppo culturale. Vale a dire, non piú assolvere al compito di conservare il patrimonio artistico del passato per una utenza di pochi e privilegiati amatori, ma mettersi a disposizione dell'intera nazione, nell'elaborare una azione promozionale, disponendo dei mezzi tradizionali di diffusione (cinema, teatro, musica, museo), al fine di facilitare l'accesso ad essi a tutte le popolazioni.

In tal senso, le Maisons de la Culture, « mezzo nuovo e polivalente », vengono ritenute gli unici strumenti per un'azione culturale valida per tutti ed in ogni tempo.

La legge del 12 dicembre 1961, creò, nel seno del Ministero degli Affari Culturali, la Direzione del Teatro, della Musica e dell'Azione culturale. Nel 1966, a causa dell'importanza degli obiettivi che tale Direzione doveva raggiungere, fu applicata una riforma: i servizi della musica furono staccati e, con decreto del 28 ottobre 1968, si creò una Direzione del Teatro e delle Maisons de la Culture.

NOTE DEL VIAGGIO DI STUDI

Già nel primo incontro con Mr. Charpentier, presso il Ministero degli

Affari Culturali (9 nov.), ci è apparsa chiara la « macchina » e il « meccanismo » di questa grossa « entreprise » statale, di cui qui si citano alcuni dati forniti da documenti ufficiali all'uopo consultati: a) Missione delle Maisons: « ... luogo privilegiato destinato a favorire

l'incontro di un pubblico il più vasto possibile, senza eccezione alcuna ». « ... preoccupazione importante è quella di sforzarsi di abbattere tutti gli ostacoli di origine diversa che impediscono alla gran parte

22

della popolazione di potere accostarsi al patrimonio culturale esistente e in creazione ... ».

b) La costruzione: « ... è necessario che una maison sia dotata di strutture culturali locali attive e, in modo particolare, di attrezzature specifiche come museo, teatro, biblioteca, ecc., rispondenti ai bisogni permanenti e tradizionali ... ». « Città e Stato elaborano insieme il progetto architettonico; definiscono, cioè, essi il contenuto della maison ... ».

c) La gestione: « ... comprende due categorie di membri: membri di diritto, rappresentanti in numero uguale la maison e la municipalità; i membri scelti, in numero superiore a quelli di diritto (personalità locali di tutti gli ordini) ... ».

Le sovvenzioni pervengono: dallo Stato + Municipalità, dagli incassi.

Il Ministero non ha un programma sistematico di messa in opera dell'impianto. Esso tiene conto delle possibilità locali: l'esistenza di una troupe teatrale, di solito, può animae una maison. Avvenuto l'accordo tra Ministero degli Affari Culturali e Municipalità sull'impianto della maison, subito, in luogo della maison, un'associazione prende posto.

Comincia, così, un'azione di « prefigurazione », animata nella maggior parte di essi da una troupe teatrale.

Al momento attuale: 10 prefigurazioni, 8 maisons, 9 relais culturels. (I relais sorgono in città di una certa importanza dove, per molteplici ragioni, non è ancora possibile costruire una maison).

Per ritornare al discorso iniziale: nelle visite alle due maisons di Rennes ed Amiens, un'idea precisa si è maturata. Ovviamente, si è cercato di vedere al di là della facciata: di conseguenza, molte sono le contraddizioni rilevate.

★ RENNES - Rennes è importante città universitaria della Bretagna. La permanenza non è stata tra le più fattive (lutto nazionale per la morte di De Gaulle + una festa nazionale). Films, spettacoli, varietà: questi i moduli di azione culturale della maison, che è di fresco impianto e non è ancora funzionante in tutte le sul, strutture (manca, ad es. la prevista biblioteca).

La maison è ubicata di fronte alla casa dello studente e nel cuore della città: si spiega l'enorme clientela che detiene la sua cafetèria ! ...

Dagli incontri avuti con Mr. Goubert, condirettore de la Maison, è emerso chiaro l'imposto: un programma di qualità, soprattutto incentrato sul teatro e lo spettacolo in genere. Nella maggior parte dei casi, ad ogni rappresentazione segue un dibattito, al quale prendono parte solo la settima parte delle persone che lo hanno visto (statistica fornitaci dall'Ufficio pubbliche relazioni).

Le proiezioni cinematografiche sono frequentatissime: i cicli molto interessanti, rispecchiano un programma d'essai.

23

Questo il calendario della nostra settimana di permanenza: 10 novembre: La lune dans le fleuve jaune (lettura-spettacolo della C.D.O.); 11 novembre: Jules et Jim (film). Daniel Laloux (varietà); 13 novembre: L'Infame di Roger Planchon.

Inoltre una mostra personale del pittore italiano Magnelli. Discoteca ottima come dotazione, ma con orario, a nostro avviso, limitato e insufficiente (12-14.30).

Si è avuta l'impressione che tutto cascasse dall'alto, essendosi registrato tra i frequentanti e le persone intervistate un interesse sommario. La maison, in sostanza, è un luogo ove si può usufruire di un cartellone piú serio di quello del teatro municipale. E' un punto di riferimento di quasi tutti gli universitari, ma, a dire di alcuni di essi, con i quali abbiamo parlato, il programma della maison è quasi subìto ...

Ci si può chiedere, allora: l'équipe della maison cosa fa? Si è mai preoccupata di conoscere la morfologia socio-culturale di Rennes? Ha preso contatto con le varie classi sociali, al fine di individuare il tipo di domanda culturale? Non sembra, nulla di tutto questo, trattandosi di un lavoro di « erogazione » per interessare dei gruppi, delle associazioni capaci, successivamente, di realizzare un vero e proprio lavoro di animazione.

A nostro avviso, tutto è un po' assurdo, a per lo meno poco funzionale, forse perché la maison è giovane e in fase operativa sperimentale, destinata a diventare centro di riferimento, non soltanto, ma fucina di idee nuove per la comunità di Rennes, così complessa e con grossi problemi sociali, essendo città a fortissima espansione demografica (la sua popolazione, dalla fine della guerra ad oggi, si è triplicata!).

Uno spettacolo teatrale come quello di Planchon, L'Infame, è davvero lo sforzo per creare un gusto nuovo del teatro, nei confronti del Rigoletto, che in quelle sere dava il Teatro comunale. L'iniziativa rivelava, però, tutta una serie di problemi, emersi chiaramente nella serata successiva alla rappresentazione, attraverso il dibattito, che vanno dalla preparazione del pubblico al teatro a quello di una più pertinente forma di provocazione al torpore culturale della comunità.

★ MORLAIX - A.D.A.C. (Association D'Animation Culturelle)

Plougonven (15-21 nov. 1970). Nel Nord-Finistère l'intervento culturale è stato organizzato

attraverso due istituzioni: 1) S.E.M.E.N.F. (Società d'economia mista di studi del Nord-Finistère), sovvenzionata da tutto il « Dipartimento » (114 Comuni); e le organizzazioni finanziarie incaricate di coordinare lo sviluppo economico della regione; 2) l'Ufficio municipale della cultura di Morlaix, che ha il compito di offrire alla popolazione della Città delle manifestazioni culturali.

I rappresentanti di queste istituzioni hanno ottenuto dal Ministero degli Affari Culturali un animatore permanente, per tentare un esperimento, nella Regione, di attività promozionali socio-educative.

24

Il lavoro svolto dall'animatore, sino ad oggi, non è stato, né attualmente è, facile: il Dipartimento è vasto e i collaboratori sono insufficienti. Tutta l'attività è incentrata su l'animazione drammatica: suo obiettivo centrale è sensibilizzare alla « espressione teatrale classica » la gran parte degli scolari. Gli interventi vengono effettuati presso le scuole, attraverso un lavoro di preparazione, costituito da incontri con gli insegnanti, al fine di legare l'attività di animazione al normale lavoro scolastico, da svolgere o in svolgimento.

Si tenta, così, anche di fare un discorso sul metodo di insegnamento, nonché un intervento che facilita ai ragazzi la comprensione degli autori drammatici oggetti, poi, del loro normale corso di studi.

Noi abbiamo assistito ad un « montaggio » che illustrava la vita di Molière.

In tutta onestà, bisogna dire che la drammatizzazione è stata abbastanza buona ed efficace: al momento, però, di avviare una discussione con gli scolari, il tutto è risultato senza incidenza. Vale a dire: è stato evidente una carenza d'intesa tra l'équipe degli attori-animatori e gli insegnanti. Ancora di più: l'impressione più netta è che è risultato Molière l'autore da trattare non necessariamente. E' l'autore che più si studia a scuola, ma non è quello che forse potrebbe interessare i ragazzi, a cui è stato rappresentato.

Vediamo, però, con ordine e in schema, le formule di animazione tipiche dell'A.D.A.C. Animazione teatrale, che si realizza attraverso un montaggio classico. Opere teatrali (esperienze di teatro per la scuola: molto successo pare che abbia trovato la Guerre Picrocholine, ricavata da Rabelais). Opere teatrali per adulti (è un'azione di decentralizzazione rurale per adulti e giovani studenti. Lo spettacolo è presentato, spesso, nelle sale da ballo, con un dispositivo a forma di T e con l'aiuto di diapositive. Di solito, lo spettacolo tratta un tema che interessa da vicino la popolazione del posto).

Animazione musicale: illustra ai ragazzi del 1° e 2° ciclo la storia dei vari strumenti musicali.

Animazione coreografica. Un balletto contemporaneo illustra le tecniche moderne della coreografia.

Abbiamo visitato i vari paesi del Nord-Finistère e della Bretagna insieme a Mr. Chalosse che è l'animatore permanente dell'A.D.A.C. e abbiamo visto da vicino qualche attività della sua équipe. Abbiamo preso parte anche a degli incontri con rappresentanti della comunità, ecc. Tuttavia, la domanda che intimamente ci siamo posti, è stata sempre la stessa: questo tipo di azione, quale incidenza ha in una località come questa? Quale ruolo gioca e quali obiettivi reali ci si prefigge di colpire? Sono davvero queste le tecniche piú giuste e i modi di intervento culturale più idonei?

Domande che ci siamo posti nel tenere presente un sommario quadro socio-economico della Bretagna. La Bretagna è una regione inquieta, sul piano sociale: l'emigrazione registra indici molto alti, l'economia è eminentemente agricola, ma non sempre bene organizzata; an-

25

ora, la scolarità è bassa. Caratteri che diventano più salienti nel Finistère. E' in atto una lotta politica che tende a rivendicare prerogative privilegi, sulla base di un regionalismo fortemente sentito. Si aspira, addirittura, ad avere una radio ed una televisione, tutta bretone nella programmazione e nella lingua!

C'è realmente da chiedersi, dinanzi ad un tale quadro, qui sommariamente tracciato, se i sopracitati moduli di animazione siano i più pertinenti!..

Abbiamo avuto l'impressione che gli animatori, spesso, operassero a caso, senza un programma preciso; e che poco fruttuosa fosse la loro collaborazione con Mr. Chalosse, che cura i programmi di attività. Non si sono, essi, mai preoccupati di fare una analisi sociologica del luogo, oppure di localizzare gli aspetti più caratteristici e individuare le brecce, ove far penetrare un'azione culturale incisiva.

In linea di massima, va detto che l'équipe di Plougonven, sede del dipartimento del relais culturale, è in una fase di ripensamento del lavoro svolto, protesa in uno sforzo, per superare una serie di contraddizioni, sorte e provocate dal lavoro svolto durante il 1968-69.

Si auspica una intesa piú reale tra gli « animatori », spesso forniti dalla M.J.C. di Quimper (Maisons des jeunes e de la culture) e l'équipe di attori, al fine di mettere in atto una operazione d'azione culturale, più omogenea e più consona alle reali esigenze della regione.

Durante questa permanenza nel Finistère, il giorno 19, si è pensato, con Mr. Chalosse, di fare una visita a Mr. Picheral a Quimper. Mr. Picheral è il responsabile della M.J.C. (Maison des jeunes et de la culture).

La visita è stata dettata dalla necessità di vedere da vicino una Maison des jeunes, essere informati della sua attività, della sua costituzione giuridico-amministrativa. Va precisato che tale organismo è molto diverso nei compiti dalle Maisons de la Culture: svolge preminentemente un'azione di assistenza sociale e svolge attività socio-educative nell'ambito dello sport e del turismo. Tali attività sono organizzate nello spirito del buon uso del tempo libero.

Il ritorno a Parigi presso Mr. Charpentier (23 nov.) ci ha consentito di manifestare le osservazioni che qui stiamo esponendo. L'interesse ai nostri discorsi critici ha spinto Mr. Charpentier a organizzare un programma di incontri presso le Service des études e recherches du Ministère des affaires culturals, dove siamo venuti a contatto col sociologo Mr. Mieje, che ci ha innanzitutto illustrato la funzione del Service.

Esso è costituito da: tre economisti e sociologi, esperti in ricerche sullo sviluppo culturale; due esperti in documentazioni, con il compito preciso di costituire un archivio di documentazione; un responsabile dell'amministrazione. Loro compito è di studiare tutti i problemi che riguardano gli sviluppi delle politiche culturali, con l'aiuto delle scienze statistiche, dell'economia e della sociologia. Il tutto si esplica, in so-

26

stanza, nell'elaborazione di programmi di ricerche, nella realizzazione di inchieste e loro relativa sistemazione e divulgazione. « ... Son rôle essentiel consiste à traduire en termes d'hypothèses de recherche les préoccupations de ceux qui ont pour charge de mettre en oevre la politique culturelle ... ».

Con Mr. Milliard, che cura le ricerche dal punto di vista specificamente sociologico, abbiamo avuto uno scambio di opinioni; ed è emerso il discorso sopra accennato, sia a proposito di Rennes, sia dell'Action culturelle du Finistère.

Da alcune indagini effettuate dall'Istituto, infatti, è emerso chiaramente come la gran parte della popolazione delle città, in cui le Maisons sono ubicate, non viene interessata, nè comunque agganciata. Inoltre, gli abituali sono i « bourgeois »: gli operai costituiscono lo 0,4% degli utenti delle Maisons !

In sostanza, le Maisons nell'intento di realizzare la politica della decentralizzazione delle attività artistico-culturali, vanno acquisendo non le caratteristiche di autentiche centrali di promozione e diffusione della cultura; ma quelle di diffusione e creazione di una cultura e di un pubblico d'élite.

★ AMIENS - Ultima tappa del viaggio. La maison de la culture di Amiens ha cinque anni di vita; ha una

strutturata funzionale, per una gamma di settori di attività, così ripartiti: Teatro: - opere classiche e grandi opere di repertorio; opere

conosciute e contemporanee; marionette; spettacoli di mimi e teatro-cabaret.

Cinema: films di grandi registi e di grosso successo. Quando è possibile anche degli incontri con registi come: Otzenberger, Godard, Lapoujade, ecc.;

Danza: per tale attività in primo piano è la troupe del Ballet-Théatre contemporain che lavora, prepara spettacoli e attività di animazione sulla conoscenza della danza, presso la Maison. Ovviamente si dà anche spazio ad altri balletti moderni e con repertorio classico nazionale e internazionale.

Musica: come per il teatro: opere classiche e opere poco conosciute e contemporanee; concerti di musica jazz e pop-music; incontri con il pubblico, con esecuzioni ad alto livello e dibattito; incontri con i ragazzi delle scuole per la conoscenza degli strumenti musicali; attrezzato servizio di discoteca con prestito dei dischi.

Grossa novità della Maison è l'atelier-bibliothèque per minori. Vi possono accedere i ragazzi nati tra il 1957 e il 1964. E' il luogo ove i ragazzi, con il pretesto della lettura, colgono l'occasione per dare sfogo liberamente alle loro capacità espressive, sia attraverso la pittura, che drammatizzando alcuni brani delle loro letture. Un vero e proprio laboratorio di ricerca espressiva, che ha come scopo l'arricchimento logico-espressivo del ragazzo, la frantumazione delle inibizioni

27

e la facilitazione dei rapporti interpersonali. Vi è anche una sala di lettura per adulti con una biblioteca di circa

duemila volumi: nella dotazione sono largamente rappresentate opere che riguardano il teatro, soprattutto.

La Maison, inoltre, è in relazione con circa 250 collectivites (scuole, associazioni giovanili, comitati vari, ecc.).

Gli utenti della Maison sono stati classificati, in percentuali, in tal modo: Studenti universitari 33,80%; Studenti da 16 anni in su 10%; Insegnanti 12,80%; Liberi professionisti 2,60%; Operai 2,20%; Agricoltori 0,39%.

L'esercizio relativo all'anno 1969, ha fatto registrare le seguenti cifre: Spese Fr. 2.683.539; Incassi Fr. 2.694.738; In avanzo Fr. 11.198. Durante la nostra permanenza (25-28 nov.) abbiamo preso parte a delle attività di animazione musicale, alla proiezione di due films sulla resistenza di Malraux; oltre ad avere trascorso delle giornate a contatto diretto delle singole équipes specializzate dei vari settori. Ad esempio: esperienza interessante è stata quella di vedere da vicino come viene realizzato un manifesto, che illustri pubblicamente un'attività; come pure la preparazione di una scena per una rappresentazione teatrale. Esperienza ancora più interessante è stata quella dell'atelier-biblioteca per ragazzi, che gode dell'organizzazione e assistenza di animatori specialisti nel settore.

Lo scambio di opinioni, l'informazione sull'impianto di tale servizio e sulle tecniche pedagogiche, che vengono adottate, è stata di estrema utilità.

Bisogna dire che l'esperienza di Amiens sia stata la più positiva, nei confronti delle precedenti: migliore organizzazioni, razionalizzazione dei programmi, ogni attività è preceduta da un incontro che mette il pubblico nella condizione di non essere sprovveduto nella informazione di programmi.

Tuttavia, in sostanza, ritornano le osservazioni già fatte: e ancora esse affiorano, allorché noi guardiamo gli indici statistici dell'utenza e le voci di spesa e di incasso.

Sebbene possa contare circa 10.000 aderenti, la Maison non è frequentata da molti, che addirittura ignorano le sue attività.

Dove la causa di ciò? E' sufficiente un'azione di capillare publicizzazione per ovviare a tale situazione, come hanno ultimamente tentato di fare gli Animatori della Maison?

Non si spera molto. Si è convinti diversamente e nella misura piú volte esplicitata in questa relazione.

Si può continuare a ribadire quanto già ci è stato detto presso il Service des études e recherches: « ... non si può parlare tanto di ostacoli di ordine pratico spesso avanzati in ipotesi (difficoltà finanziarie, mancanza di tempo da dedicare alla Maison, ecc.). Gli impedimenti sono piuttosto di tipo psicologico-politico: ad una comunità disinteressata verso le attività culturali, arretrata sulle nuove forme e moduli dell'azione culturale, la Maison assume, nel collocarsi nella

28

comunità, tutte le caratteristiche di una istituzione borghese, che tenta di diffondere una cultura d'élite ... ».

Tuttavia, per quanto concerne Amiens, non si può non sottolineare che i maggiori utenti della Maison sono gli studenti, i giovani: e si punta, quindi, su di essi per una politica di pubblicizzazione e credibilità nei confronti della comunità.

CONCLUSIONI

Non si vuole tentare una valutazione, per esplicitare giudizi di merito o demerito di ciò che abbiamo visto realizzare. Si vuole solo trarre spunto per formulare alcune ipotesi su come, a nostro avviso e in base alla modesta esperienza, un programma d'azione culturale andrebbe impiantato tenendo presente i mezzi a disposizione. Sottolineamo, innanzitutto, la necessità inequivocabile di un'azione d'animazione, più incisiva, preoccupati come si è, in Francia, di operare una « decentralizzazione artistica », qualunque sia il nuovo pubblico con cui si intende « comunicare ». Il lavoro degli animatori dovrebbe, in tal caso, essere tutto teso allo sforzo di garantire, al maggior numero di persone, la possibilità di partecipare a l'« oevre culturelle », ovviamente nei limiti fissati dagli obblighi quotidiani di natura economico-sociale.

Vale a dire « ... aménager la remontre et la confrontation entre la culture et ceux qui veulente y accéder ... ».

La strategia di intervento culturale non può non essere impiantata senza la conoscenza dell'ambiente. In tal caso l'animazione deve prendere la veste di un'indagine attiva e permanente presso la popolazione: è il passo per agganciare il nuovo pubblico, sforzandosi di cambiare i comportamenti dei pubblici esistenti.

Si può realizzare, così, un esercizio di politisation di coscienza, non dall'esterno, attraverso gli strumenti della propaganda, ma dall'interno, attraverso l'instaurazione di un dialogo approfondito che non deve supplire o sostituirsi all'azione politica propriamente detta.

Attraverso il dialogo, naturalmente, gli animatori non devono mirare ad altro che ad affinare il giudizio, ad accrescere le facoltà di «immaginazione » del pubblico. E' l'unica maniera, a nostro avviso, per favorire l'accesso alla cultura: una strategia, cioè, che mira da una parte a ridurre il conflitto tra una informazione di avvenimenti e l'azione quotidiana; dall'altra a mettere il pubblico nella condizione di classificare le informazioni e di prendere parte attiva alle decisioni del tipo di lettura e di decodifica.

Con queste due osservazioni conclusive non si vuole certo dettare un vademecum: bensì puntualizzare il taglio che un'azione culturale deve avere, nella misura in cui in Francia, la grossa macchina dello Stato ha messo in moto un'« entreprise » che dovrà pur produrre, non sul piano quantitativo, ma qualitativo l'auspicato miglioramento socioculturale.

LUIGI MANCINO

29

Le biblioteche della Cassa Tra gli squilli e i rintocchi di quest'anno comprendiamo alcune « pezze d'ap-

poggio », che rivelano due episodi dauni dell'intervento pubblico nel Mezzogiorno, disposto con la legge n. 717 del 26 giugno 1965, formativa - ad opera del Comitato interministeriale della Ricostruzione - del primo Piano di coordinamento degli interventi pubblici nel Mezzogiorno, « strumento fondamentale per dare organicità e unitarietà all'intervento pubblico, diretto a trasformare la struttura produttiva e le condi-zioni sociali delle regioni meridionali, al fine di conseguire la piena ed armonica loro integrazione nel processo di sviluppo civile del Paese ».

I documenti riguardano i rapporti corsi fino al dicembre 1970 tra la Cassa per il Mezzogiorno - creata il 1950, per inserirsi quale « protagonista » nella Questione meri-dionale -, e le Municipalità di Manfredonia e di S. Severo. Con lettera n. 40468 le s'in-formava di voler costruire in quei Comuni una specie di casa della cultura, comprendente una biblioteca, capace di svolgere tutti i compiti di un simile istituto moderno, e di accogliere le sedi dei Centri Servizi Culturali, costituiti negli ambiti (comprensori) di quegli ex-capoluoghi circondariali, e affidati rispettivamente alla Società Umanitaria di Milano e al Movimento di Collaborazione Civica di Roma, « specializzati » alla bisogna.

Due mesi dopo (8 nov.) la Cassa, esperite le trasferte di funzionari dei suoi vari ser-vizi tecnici, ritornava sull'argomento, chiedendo che le fossero segnalati suoli, della estensione di mq. 1.200, ubicati in zone centrali e, comunque, provviste dei necessari servizi. A tal fine chiedeva planimetrie quotate dei terreni proposti, planimetrie delle zone, dati catastali ed even-tuali offerte di vendita, ove si trattasse di proprietà private.

I Comuni avendo adempiuto, si rinnovarono accessi, carteggi, deliberazioni, fino a quando non si distese la retorica coltre del silenzio. Frattanto il C.S.C. di Manfredo-nia utilizzava la sede con biblioteca del Centro di Cultura Popolare « Antonio Simone », che ne aveva promosso la costituzione e l'ospitò, senza locupletare, fino a quando poté trasferirsi in sede autonoma (febbraio 1968).

Dal 14 al 16 settembre 67, presso la succursale napoletana del FORMEZ, si svolse un « seminario per i responsabili dei Centri Servizi Culturali » fino allora costi-tuiti e approssimativamente funzionanti. Il tema della biblioteca fu all'ordine del giorno insieme con quelli della scuola e della integrazione operaia. Per spiegare l'importanza datagli dalla Cassa, il direttore del FORMEZ citò largamente il Piano di

84

A N N I 7 0

coordinamento, riportando passi che ci sembrano basilari e impegnativi. « Le vicende dell'ultimo quinquennio e in particolare la crescita economica con i

suoi fenomeni di industrializzazione e di esodo, hanno indotto, nella struttura sociale e culturale del Mezzogiorno, una serie di elementi di carattere innovativo, talora contrad-dittori, che si sono comunque rivelati tutti fattori di rottura del costume e delle relazioni sociali tradizionali. Tale evoluzione, se ha già portato alla liberazione di fermenti posi-tivi, è spesso condizionata da una inadeguata partecipazione ai processi di sviluppo in atto, da parte delle popolazioni interessate, non ancora sufficientemente preparate sul piano culturale e su quello tecnico.

« Le scelte formulate discendono, appunto, dalla consapevolezza di questo limite e mirano al generale obiettivo del progresso civile della popolazione. Al raggiungimento di tale obiettivo dovranno collaborare tanto coloro che professionalmente fanno gli opera-tori sociali (assistenti sociali, educatori sanitari, dietisti, educatori degli adulti, ecc.) quanto coloro che, dagli insegnanti specialmente della scuola primaria, ai sindacalisti, agli assistenti tecnici in agricoltura, ecc., per il loro diuturno contatto con la popolazione, risultino costituire il veicolo più adatto alla sollecitazione di un impegno per la promo-zione civile. Ed il Piano offre una risposta operativa: Le attività sociali ed educative finalizzate all'obiettivo del progresso civile, vanno articolate secondo quattro direttive fondamentali, specificate in funzione delle più rilevanti esigenze delle popolazioni meri-dionali. Tra esse, in primo luogo quella relativa alla promozione e animazione culturale: . . . Essa si impernierà su di un centro comunitario, sede delle iniziative di base a carat-tere sociale ed educativo (quali quelle giovanili, di lotta contro l'analfabetismo, di educa-zione degli adulti, ecc.). Questi centri comunitari saranno organizzati intorno ad un moderno servizio di biblioteca locale e alla scuola, e corredati di quegli strumenti di dif-fusione culturale che costituiscono anche mezzo indispensabile per la realizzazione di particolari programmi di intervento economico e tecnico (mezzi di sussidi audiovisivi, ecc., ecc.)" ».

Alle proposizioni messianiche del dr. Zoppi, rampollate dal Piano, seguì di rin-calzo il consulente della Cassa, dr. Pampaloni, traboccante, quasi un'arnia, di esperien-ze « promozionali » e libero d'inceppi burocratici, e per ciò conformistici. Ma la dottri-na, i propositi, gli annunci del FORMEZ, contraddetti « in partenza » dalla sua stessa biblioteca napoletana - a quel tempo, invero, montata, rifornita e funzionante con molta ingenuità -, erano smentiti ufficialmente in una sua conferenza informativa romana del 6 novembre 1968, quando comunicò di voler anticipare i tempi dell'intervento e istituire biblioteche nelle sedi dei Centri Servizi Culturali con una suppellettile iniziale di 4.000 titoli: soluzione quanto mai opportuna, ma estemporanea, inconciliabile con la qualifica tecnica e il potere decisionale di chi l'adottava e la imponeva, anche contro il motivato dissenso di numerosi enti gestori. Si appellavano questi alla pianificata funzione dei Centri, che si sarebbe

85

dovuta svolgere appunto « intorno a un moderno servizio di biblioteca locale e alla scuola », e chiedevano a tal riguardo che da parte della Cassa si realizzasse al centro e alla periferia l'auspicata e mai realizzata collaborazione con i poteri pubblici, come quelli esercitati dalle Municipalità e dai Provveditorati agli Studi. Tesi ben certo calzan-te, se con l'autorità delle cariche ricoperte, i dottori Marongiu e Matera, l'uno presidente e l'altro vice del FORMEZ, assicuravano che i fondi librari a costituirsi presso i Centri sarebbero passati alle biblioteche comunali quando, per capacità strutturale e burocrati-ca, consentissero di attuare un moderno servizio di pubblica lettura e, addirittura, acco-gliere i Centri; ché, anzi, a risolvere uno dei problemi di fondo di quegli istituti - quale una efficiente direzione -, la Cassa avrebbe assicurato le prestazioni di elementi formati a sua cura in un corso di 30-45 giorni.

L'estate dell'anno successivo, nelle sedi dei C.S.C. furono scaricate attrezzature me-talliche e scatole su scatole di libri; e all'inizio del '70 vi precipitò una valanga di quotidiani e periodici, di cataloghi, bollettini e locandine editoriali, procurando pregiudizievoli traumi alla stentata organizzazione. Gli innocenti impiegati furono seppelliti dalla grazia, piovuta loro addosso all'improvviso, e si dové ricorrere ai soliti volontari, per alcune operazioni materiali (gli schedari dei libri arrivarono belli e fatti).

Non ci proponiamo di esaminare in questa sede i criteri e la tecnica di un simile, davvero « straordinario » intervento: ci basta riferire che quelle biblioteche, così come sono sorte, con dotazioni librarie « standardizzate », che quasi ignorano il Sud, e con bibliotecari improvvisati, non avrebbero potuto assolvere, come ha confermato l'esperien-za, una funzione molto più pregnante di quella dei giustamente bocciati « Centri di let-tura » della P. I., oggi etichettati, ma ugualmente improduttivi « Centri di educazione permanente ».

Come si è detto all'inizio, gli squilli, qui di seguito registrati, risalgono al primo balzo in avanti della Cassa, per impulso della L. 717. Altri certamente ci sarà dato di accogliere l'anno venturo nella presente rubrica, che vuol essere gaia e forte, fedele alla lezione di Angelo Fortunato Formìggini. Ma non s'illudano i vecchi meridionalisti di trovare un linimento alla loro pena, né i giovani non ancora strumentalizzati un esau-dimento delle loro contestazioni, che hanno dato argomenti ai convegni degli operatori culturali di Roma e di Vico Equense (maggio e ottobre c. a.). Bisognerà attendere che, scaduto l'ultimo quinquennio di esperimento, dai suoi risultati e dalle escogitazioni nuo-ve l'intervento sia ristrutturato nelle assemblee legislative, che a quest'ora avrebbero dovuto già deliberare, così evitando la paresi dei già malati ed ambigui Centri, tanto impegnati a risolvere l'antinomia tra i precetti del Piano e il mutevole indirizzo della Cassa, le motivazioni ideali degli enti gestori e la realtà socio-politica dei destinatari dei servizi, non più chiamati a scegliere, come si predica, bensì a subire le attività.

MARIO SIMONE

86

la Capitanata Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia

★ In questo fascicolo scritti di: dott. ANGELO CELUZZA, dirett. della Biblio-teca prov.le e del Centro-rete prov. di Foggia; LUIGI MANCINO, respons. del Centro Servizi Culturali di Manfredonia; GIUSEPPE PADELLARO, dirett. g.le alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; MARIO SIMONE.

S O M M A R I O

GIUSEPPE PADELLARO: Compito educativo della stampa 1

ANGELO CELUZZA: Aspetti e problemi della pubblica lettura:

1) Centri Servizi Culturali della Cassa per il Mezzogiorno;

2) L'edilizia delle biblioteche pubbliche 4

LUIGI MANCINO: La politica di intervento culturale in Francia:

le « Maison de la culture » 18

SCHEDARIO - 1) Fondo « Regno di Napoli - Puglia - Capita

nata », posseduto dalla Biblioteca Provinciale di Foggia;

2) Nuove accessioni 30

ANNI 70 - MARIO SIMONE, Le biblioteche della Cassa 84

SQUILLI E RINTOCCHI - Biblioteche (o quasi) daune: oggi,

domani, posdomani 87