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Page 1: La camera di Karlheinz Stockhausen - Architectureinabox · PDF fileLa camera di Stockhausen In un’intervista concessa ad una giornalista del “Corriere della sera”, Mya Tannenbaum,

LEZIONE II «LA CAMERA DI STOCKHAUSEN»

di Emanuela Giudice

Abstract

È curioso che Karlheinz Stockhausen si servisse, per comporre, di una camera esagonale. Che alla composizione musicale a quel tempo si lavorasse più per montaggi che per soluzioni dirette. La ragione filtra la partitura così da potervi leggere la scrittura che sta, inevitabilmente, dietro. Lavoro scelto, quello della lettura compositiva, che scompone il pentagramma e la relativa notazione o segno. Si potrebbe tentare un aggancio con l’architettura che vada al di là di questioni numeriche, come poteva essere l’utilizzo e l’applicazione della sezione aurea, e tentare di ricostruire il passaggio realizzatosi nel tempo dalla composizione fino al montaggio per approdare alla programmazione. La prima nell’analisi di esempi tratti dalla forma sonata, dal concerto classico e dall’arte della fuga, il secondo che ritaglia il nastro per modificare l’attacco e l’estinzione del suono modificato e che, tramite uno “schiacciamento” sulla realtà, ripropone tessere di suoni, o rumori, reali. Infine la programmazione che con il supporto informatico propone risultati aleatori. L’espressione sembra non esser mai stata di casa.

La lezione si articolerà nei seguenti punti: - La camera di Stockhausen (ascolto/Kontakte/1959/1960) - Il predomino della ragione - Appunti di armonia - Schonberg è morto - 4esempi: J. Haydn, Concerto in Re Maggiore per pianoforte e orchestra, Hob. XVIII: 11 (analisi della partitura) L. van Beethoven, Rondò in Sol maggiore, op. 129 (analisi della partitura)

M. Ravel, Sonatina in Fa diesis minore (analisi della partitura) A. Schönberg, Pierrot Lunaire, op. 21 (ascolto/Pierrot Lunaire/1912)

Bibliografia

A. SCHONBERG, Manuale di armonia, Il Saggiatore, Milano 1963. H. STUCKENSCHMIDT, La musica moderna. Da Debussy agli anni Cinquanta, Einaudi, Torino 1960. I. STRAVINSKIJ, Poetica della musica, Studio Tesi, Pordenone 1987. H. POUSSEUR (a cura di), La musica elettronica, Feltrinelli, Milano 1976. E. FUBINI, Estetica della musica, Il Mulino, Bologna 1995. M. TANNENBAUM (a cura di), Stockhausen. Intervista sul genio musicale, Laterza, Roma-Bari 1985. I. XENAKIS, Musiques Formelles, in “La Revue Musicale”, n. 253-254, Paris 1963. M. BANDUR, Serialismo integrale. La ricerca contemporanea dalla musica all’architettura, Testo&Immagine, Torino 2003.

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La camera di Stockhausen In un’intervista concessa ad una giornalista del “Corriere della sera”, Mya Tannenbaum, si legge che Karlheinz Stockhausen era solito comporre nella sua camera di forma esagonale. Gli studi dell’Ircam che condivideva, durante i soggiorni a Parigi, con Pierre Boulez non garantivano situazioni utili alla composizione. Al di là della strumentazione necessaria occorreva trovare la “condizione” adatta per comporre. Sembra strano che la musica per nastro, la music for tape, necessiti di questa condizione utile alla composizione eppure Stockhausen si serviva prima che dell’apparecchiatura tecnica e degli altoparlanti, di una matita. Un breve richiamo a quel disegno che H. Tessenow raccoglie tra le tavole delle sue Osservazioni elementari sul costruire, un testo curato da Giorgio Grassi edito dalla Franco Angeli nel 1993. C’è un uomo seduto, di spalle, curvo sulla scrivania. Era anche questo un disegno e lì - riprendo un po’ quello che si è detto ieri - c’era il campo lungo. L’omino è ricurvo sul tavolo nel vuoto di una stanza. Penso non ci siano problemi a raffigurarsi uno Stockhausen intento a comporre. Non fatevi ingannare, non tutti i compositori hanno bisogno di uno strumento per scrivere. C’è anche chi la musica la compone durante un tragitto in treno. Cajkovskij Lo schiaccianoci l’ha composto in treno mentre si apprestava al viaggio che l’avrebbe portato negli Stati Uniti. La composizione o l’azione del comporre accomuna l’architettura (concretezza) alla musica (astrazione). C’è un’opera, Stockhausen la intitola Licht, a cui lavora per tre anni. Tre ore di musica, tre anni di lavoro. Quest’opera, alla fine, avrà una durata di venti ore. L’equazione sembra non stare in piedi eppure ricorda da vicino quello che abbiamo visto ieri, i dieci anni passati da Sergio Leone alla regia e al montaggio. L’esame di composizione in Conservatorio ti impegna dodici ore. D’altronde quello di armonia, a livello di licenza come l’ho sostenuta io, cinque ore su un basso continuo di una trentina di battute. E poi ci sono le prove interminabili, perché al di là dell’aspetto compositivo intervengono anche questioni legate al suono e alla timbrica degli strumenti. Nei tre anni passati da Stockhausen a comporre Licht, un’opera a puntate che aveva come protagonista il figlio Michael - che sfruttava appieno l’etimologia della parola “musica” che nel mondo greco significava un complesso di attività e poteva andare dalla ginnastica alla danza sino alla poesia e al teatro, comprendendo la musica e il canto in senso stretto - bisogna mettere in conto le prove con gli amplificatori, e il cosiddetto “progetto acustico” di Stockhausen. Sin dall’inizio della composizione l’autore disegna una pianta spiegando in che modo avrebbe inteso proiettare i suoni nello spazio. Stockhausen era sempre più deciso a fornire al pubblico in sala la possibilità di percepire la provenienza delle onde sonore in un circuito di 360˚. Notavo che il punto di partenza per queste riflessioni sul rapporto architettura musica dovrebbero andare a parare sul passaggio, anche nell’architettura, che vede in un primo tempo la composizione, seguita dal montaggio e infine dalla programmazione. E che in questo passaggio, con la musica a 360 gradi, come la voleva Stockhausen ma come la vorrà ad esempio anche Xenakis, collaboratore di Le Corbusier nel Padiglione della Philips all’Esposizione di Bruxelles, è una musica che architettonicamente potrebbe essere definita “di spazio” anziché di “prospetto”. Penso che questo si riesca a vedere anche nel modo di concepire le regole dell’armonia, nell’utilizzare frammenti di realtà intessuti ai suoni prodotti dagli strumenti all’utilizzo dell’ottica acustica. Ecco, dal contenuto un po’ si passa al contenitore. Un passaggio sicuramente avvenuto anche grazie agli enti radiofonici che mettevano a disposizione dei “musicisti” la loro strumentazione. Stockhausen inizia così la sua carriera a Colonia in un istituto radiofonico.

Siamo sempre soliti parlare dell’armonia, in campo musicale ma anche in campo architettonico, come dell’arte “per condurre bene le parti”. Non voglio ritornare sempre sugli esempi visti ieri nei manuali per giovani registi – questo è esatto questo è sbagliato – ma se sfogliate il Manuale di Armonia di Arnold Schonberg, scritta tra il 1909 e il 1911 troverete riguardo alla condotta delle parti “ cattivo a causa delle ottave parallele” oppure “buono” o “non molto buono dato il raddoppio della terza” e infine “migliore” (p.89). Questo lo potete vedere ad esempio del Manuale di armonia di Schönberg ma anche in questo Paolo Delachi Raccolta di bassi – è questo un testo che si adotta nei Conservatori

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per preparare l’esame di armonia - anche qui si legge “i migliori raddoppi sono quelli della fondamentale, della terza e del basso nel primo e nel secondo rivolto”. Il manuale di armonia è un manuale di istruzioni, quello di Schönberg ha finalità didattiche, lo dice Schönberg stesso “questo libro l’ho imparato dai miei allievi”. E tuttavia questa ampia introduzione serve a sostenere che come nell’architettura, così nella musica, la composizione detta o suggerisce le sue regole. Ora vi farò ascoltare un’opera di Karlheinz Stoskhausen, Kontakte. Questo spartito che non ho potuto portare con me è alquanto particolare perché prima della partitura vera e propria presenta una legenda. Una serie di notazioni grafiche necessarie per la comprensione del testo. Penso che i riferimenti all’architettura dai progetti di B. Tschumi o r. Koolhaas per il Parco della Villette e ancor prima John Hejduck. E prima di farvi ascoltare vorrei leggervi alcune parole di Markus Bandur che dedica proprio alla tecnica seriale un breve saggio pubblicato da Testo&Immagine (p.29). Si legge: “È affascinante abbandonarsi alla convinzione che la musica che non ci è gradita al primo o al secondo ascolto sia creata non da compositori incapaci di offrirci il piacere che ricerchiamo, ma da compositori che non intendono farlo”. …ascolto di Kontakte

Il predominio della ragione L’operazione che faremo oggi è quella di analizzare come l’armonia, la nostra “buona condotta delle parti” può restituirsi attraverso alcuni esempi della storia della musica. Dal Concerto in Re maggiore di Haydn al Rondò in Sol Maggiore di Beethoven, partendo magari da una raccolta di studi, i Klavierstucke di Karlheinz Stockhausen. E però occorre dire che questa dell’analisi delle partiture, l’azione che facciamo noi in questo momento, la lettura compositiva fa si che si assegni alla ragione un valore fondamentale. Sembra che l’espressione, il dato soggettivo non sia mai di casa se riesco a decomporre un partitura e dimostrare che è soggetta a delle regole. Enrico Fubini, nel suo Estetica della musica, un testo intitola un paragrafo “Istinto e ragione nella musica” sostenendo che

la musica sin dai tempi più antichi, più di ogni altra forma d’arte fa appello a quegli aspetti istintuali, a-logici, pre-razionali e pre-linguistici della natura umana; e ciò sembra contrastare con un altro carattere della musica, da molti sottolineato, e cioè con la sua profonda razionalità, con il suo carattere iper-linguistico, con la sua rigida organizzazione matematica. (p.39)

C’è una contraddizione che vuole la musica da una parte arte naturale che sceglie il proprio ritmo non tanto dalla regolarità dell’orologio quanto, magari, dal nostro ritmo interiore. Questo è particolare, mi porta a riflettere sul ruolo giocato dal metronomo. Il metronomo è uno strumento che non ti fanno acquistare subito, perché perderesti la tua capacità di contare, questo è un aspetto non facile di quando ci si avvicina alla musica. Non sono tanto la notazione musicale, dopo che hai imparato a leggere le note sul pentagramma ma facilmente collegare il testo con lo strumento, ma il tempo! Capire che devi avere lo statto tempo dall’inizio alla fine del pezzo, perché dopo la chiave c’è scritto “4/4” e devi evitare quegli accelerandi improvvisi che in un bambino o comunque in chi è all’inizio trasforma subito una semiminima in una croma. E tu sei lì a riprenderlo, “stai a tempo”. Al di là di tutto, continua Fubini “chi ha indagato nella natura matematica della musica” è sicuramente “più portato a sottolineare i valori intellettuali e metafisici connessi all’arte dei suoni piuttosto che i suoi valori emozionali”. Così tutto quello che poteva essere realizzato o percepito sensorialmente decade un poco o so situa ad un gradino più in basso rispetto a ciò che invece sottintende una conoscenza logica – razionale. E noi oggi facciamo un po’ questo, analizziamo, leggiamo compositivamente. E sapere leggere, o iniziare a leggere, presuppone dei rudimenti di alfabeto musicale, un po’ di grammatica che quella è con l’accento si legge così e non come una congiunzione. Come ad esempio in questa spartito di studi per pianoforte realizzati da Stockhausen negli anni Cinquanta. Compositivamente il pensiero di Stockhausen si rifaceva alla questione della “nota” e del “punto”. Questa la lettura di Bandur “ognuno era collegato non solo con il grado di tonalità, ma anche

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con un valore di durata fisso e proporzionalmente diverso (o un punto di entrata nel tempo musicale, successivo ai precedenti), con un certo livello sonoro, un modo di attacco e proprie caratteristiche sonore. Grazie a questo metodo, ogni nota veniva resa unica, così che non esistevano due note, all’interno del medesimo intervallo di ottava, con le stesse caratteristiche. Questa tecnica, definita punktuelle Musik o «musica pointilliste», era una naturale conseguenza della musica dodecafonica: l’idea di ordinare le altezze veniva applicata anche alle altre tre dimensioni musicali”.

Appunti di armonia Che cosa intendiamo per serialità? Il concetto di musica seriale viene introdotto dal compositore René Leibowitz, il quale utilizza questo termine per indicare la musica atonale di Schönberg basata sulla successione di dodici suoni all’interno dell’ottava. Pierre Boulez suo allievo andrà oltre. Per questo intitola il suo saggio Schönberg est mort tenta di andare oltre preordinando non solo i toni ma anche i tempi, le dinamiche e gli attacchi o i “suoni”. Con suoni intendiamo anche la registrazione di input esterni. Stockhausen a sua volta va oltre, scrivendo su di una rivista che trattava la questione della musica seriale, cosicché questo metodo compositivo finiva per estendere “il controllo razionale a tutti i parametri musicali”. Ma il concetto di serie, l’oggetto è lo stesso ma con infinite sfumature, non è forse quello utilizzato dallo stesso Andy Warhol nelle sue “ripetizioni” a colori? Schönberg è morto Quando il musicista Pierre Boulez scrive il saggio Schönberg è morto vuole alludere alla nuova era che si apriva per la musica dopo gli anni Cinquanta, e soprattutto ai problemi del tutto nuovi dal punto di vista estetico, filosofico e linguistico che si presentavano allora per la prima volta, problemi ben vivi non solo nella coscienza dei critici, ma della maggior parte dei musicisti d’avanguardia. Bisogna anche dire che buona parte della musica d’avanguardia è nata molto più spesso da un impulso critico e filosofico che da ragioni di ordine strettamente musicale, e non è un caso che molti musicisti oggi abbiano scritto non solo musica, ma anche numerosi saggi di carattere filosofico estetico e teorico. Cage, Stockhausen, Boulez, Berio, per non citare che i più noti, con i loro scritti hanno indubbiamente lasciato un contributo importante non solo per penetrare e capire le loro opere musicali, ma anche per afferrare le motivazioni di ordine più propriamente estetico e filosofico che stanno alla base della cultura e del pensiero musicale odierno. Andando oltre la serialità, successivamente ai primi lavori di Boulez, si fa strada la musique concrète, una musica generata dal computer. Bandur non sembra guardare con favore a questa tecnica compositiva, parla di “uso arido del computer”. L’utilizzo di strumenti elettroacustici rende possibile sormontare le carenze tecniche degli esecutori e permette di realizzare meglio la serialità. Si parla di aspetto “superumano”. Ma musica concreta voleva dire anche che spesso i suoni erano “concreti” nel senso che venivano recuperati dalla realtà e rielaborati al computer.

4esempi La scelta delle partiture da analizzare è stata dettata da un ordine di complessità. Il primo, è un concerto, classico, per pianoforte e orchestra scritto da Haydn. Siamo nel Settecento, Haydn fa parte del trittico Haydn, Mozart, Beethoven. Il secondo fa un salto indietro. A quel Bach e all’arte della Fuga così spesso ripresa nella musica jazz. La possibilità di scrittura a più voci fa sì che queste possano essere riprese e adattate per più strumenti. Infine la “simmetria” restituita in un Rondò beethoveniano, una Sonatine composta nel 1906 da Maurice Ravel per poi passare al Pierrot Lunaire che Schönberg compone su libretto di Albert Girauds nel 1912.

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J. Haydn, Concerto in Re Maggiore per pianoforte e orchestra, Hob. XVIII: 11

(analisi della partitura) Con il termine concerto indichiamo una composizione per un complesso di strumentisti, uno dei quali ricopre il ruolo di solista, mentre gli altri si presentano in maniera collettiva. L’etimologia, da concertus, in realtà prevedeva la mancanza di un solista, significava “insieme”. Tuttavia anche al tempo dello stesso Haydn la scelta compositiva era tale per cui le due parti – orchestra e solista – si integrassero vicendevolmente. La scelta cada sul primo tempo. Il concerto classico prevedeva tre tempi: L’Allegro o il Vivace come in questo caso, l’Adagio, e un tempo veloce. Questo concerto in particolare prevede come terzo tempo un rondò all’ungherese. La struttura è così e si può leggere bene sulla partitura – dimentico di dire che gli strumenti sono il pianoforte, violini, fiati, viola. Logicamente questa è una trascrizione per pianoforte e quindi la parte orchestrale è tenuta insieme anziché suddivisa in verticale. Così è ad esempio per un direttore d’orchestra. -Esposizione orchestra solo archi tipico l’attacco dei violini sostenuto subito dopo da -Esposizione grande orchestra e cioè archi più fiati. Il tema musicale è ormai stato espresso e ribadito. Prima di arrivare al solista c’è una parte di transizione in cui si arriva alla -Seconda idea tematica e chiudere con l’orchestra. -Ecco che parte il solista. Fa l’identica cosa dell’orchestra che intanto sta ferma. E come l’orchestra, tutti, ribadiva il tema così il solista è aiutato nella seconda entrata del tema dai violini. La transizione è definita solo dagli archi che sostengono il pianoforte. La tonalità è sempre la stessa Re Maggiore che porta in chiave il fa e il do diesis. -La seconda idea tematica è subito riproposta dall’orchestra -così si passa alla parte dello sviluppo -una parte fondamentale è la Ripresa. Questa volta alla dominante. La dominante significa il quinto grado della scala che si è considerato. Quindi da re arrivo a la. Ecco, Schönberg della dominante non sapeva che farsene. Già dominante significa che ha potere maggiore sui gradi della scala e questo non funziona in una musica che vuole essere atonale. Ad un certo punto il solista smette di suonare e l’orchestra prepara la modulazione in tonalità minore e cioè in si minore. Una terza sotto. Il ritorno nella tonalità principale che è il Re maggiore si ha attraverso una progressione. Progressione significa ripetere l’elemento per più battute con gradi che si distanziano alla stessa maniera e stessi valori. Per terminare con una progressione totale, solista più orchestra che ci porta nuovamente a Re Maggiore. Un po’ per movimentare Haydn riprende la seconda idea tematica e tramite un’altra serie di progressioni si arriva alla coda. Con alla fine una brevissima ripresa della cellula tematica e la Cadenza. Ora, cos’é la cadenza? La cadenza è il passaggio dal penultimo suono alla chiusura. A seconda del grado che porta alla nota finale dirò se una cadenza perfetta, imperfetta, evitata e così via. In questo caso è perfetta perché dal quinto grado (dominante) al primo (tonica). Ecco una vera e propria musica tonale!

L. van Beethoven, Rondò in Sol maggiore, op. 129 (analisi della partitura) In realtà questo spartito l’ho portato per farvi vedere come il concetto di simmetria sia applicabile in musica. L’analisi è alquanto breve ma dato che è una pubblicazione della Henle (che pubblica i manoscritti con pochissime revisioni) ad un certo punto ci si è accorti che l’indicazione di ritornello doveva essere inserita perché Beethoven stava procedendo per otto battute di seguito e poi ritornava con il suo incipit tematico e così doveva fare in seguito. Mi ricordo di una edizione Ricordi dove questo ritornello non c’era e si sentiva che mancava qualcosa così acquistata l’edizione della Henle ci siamo accorti che i ritornelli erano, giustamente, stati segnati. Mentre studiavo questo pezzo per il Diploma stavo leggendo La fine del Classico di Peter Eisenman, una raccolta di saggi pubblicata negli anni settanta e c’erano alcuni esempi, suoi diagrammi che tendevano a ricomporre prospetti, architetture, a far riacquistare loro il disegno logico. Per questo vi ho portato questo spartito Beethoviano.

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M. Ravel, Sonatina in Fa diesis minore (analisi della partitura)

Non bisogna farsi sorprendere dal titolo “sonatina”. La forma sonata, classicamente, intende quattro movimenti, un Allegro, un Andante o Adagio, un terzo movimento o Allegretto e infine un Allegro in forma di Rondò. Dubito che qui la sonatina di Ravel possa essere intesa come una composizione “con minor impegno formale” come vorrebbero i manuali di armonia. Questa Sonatine è composta di tre tempi, uno Moderato, un Adagio e infine un presto. Ho scelto il primo tempo, Ravel suggerisce di suonarlo in maniera aristocratica. Tenete conto che qui ogni voce aiuta l’altra. C’è un raddoppiamento del tema al basso, c’è un rafforzamento delle voci. Ravel è un po’ un autore che scrive in verticale. Un po’ contrappuntistico, con sezioni che ritornano anche in altre composizioni per pianoforte. Ad esempio questa scrittura la trovate anche nella Pavane. Iniziano ad esserci precise indicazioni di tempo ma soprattutto il timbro. Ecco, qui ci avviciniamo agli studi di Schönberg e più in là di Stockhausen. Ad esempio c’è un passo che sfrutta la potenzialità del pedale e degli armonici. Quando suoni questa sonatina senti che nell’aria, come si dice, rimangono i suoni che hai ascoltato prima. Per chiudere vi farò ascoltare una delle opere più conosciute di A. Schönberg, l’op. 21, tratta da un libretto di Albert Giraud. Questa composizione è stata scritta per voce “recitante”, pianoforte, clarinetto, flauto, violino e violoncello. La storia è ripresa da un testo che Giraud pubblica a Parigi nel 1884. Otto anni dopo appare la traduzione in tedesco. Nel Pierrot vengono potenziate le caratteristiche timbriche di ogni strumento e direi che la voce è anche uno strumento. Pierrot ama Colombina la camerierina che appartiene ad Arlecchino è amato e non riama. Il testo è stato molto attaccato per i contenuti, testo malato, grottesco. E qualcosa, ascoltando, esce fuori. Prima ascolteremo l’incipit del pierrot. La prima traccia non dura neppure due minuti e poi ci concentreremo su un brano. La voce recitante si può seguire con molta facilità. L’esecutrice è molto brava dal momento che riesce a sviluppare diversi timbri e a rendere la verticalità della scrittura. Chiudiamo con Schönberg con, magari, una nuova curiosità. …A. Schönberg, Pierrot Lunaire, op. 21 (ascolto/Pierrot Lunaire/1912)