la ca’ granda - Policlinico di Milano

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vita ospedaliera e informazioni culturali - milano - fondazione IRCCS ospedale maggiore policlinico, mangiagalli e regina elena - anno XLVI - n. 4 - 2005 la ca’ granda

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vita ospedaliera e informazioni culturali - milano - fondazione IRCCS ospedale maggiore policlinico,mangiagalli e regina elena - anno XLVI - n. 4 - 2005

La copertinaLe opere d’arte dell’Ospedale Maggiore nei Musei del Castello. Due dei quattro angeli di terracotta policromafacenti parte un tempo della prima crociera della Ca’ Granda, oggi sede dell’Università degli Studi.

Direttore responsabile: FRANCA CHIAPPA. Attività e programmi culturali della Fondazione.Direzione, redazione, amministrazione: via F. Sforza 28, 20122 Milano, telefoni 02-55038311 e 02-55038376fax 02-5503.8264

È consentita la riproduzione totale o parziale degli articoli, purché di volta in volta autorizzata e citando la fonte.

sommario

Ai lettori 1

pagina

Intervista - Nel mondo dell’infermiera. Lavorare lontano Alvise Mamprin a Paola Maiocchi 2

Più cultura di base per una tecnologia al servizio dell’uomo Ferruccio Bonino 6

Medicine complementari o alternative? Beppe Rocca 8

La telecamera deve anche difendere la dignità e fragilità dell’uomo Luigi Offeddu 17

Mediazione e clinica: una relazione possibile Simonetta Bottardi 13

Etica, diritto, economia in sanità Giancarlo Dal Sasso 23

la ca’ granda

Asterisco 12

Asterisco 34

Pusterla e pusterle Vincenzo Bevacqua 36

Il contagio delle malattie. Una lunga storia tra credenze, diffidenza e indifferenza Marco Segala 19

Malattia di Parkinson. La voce del parkinsoniano può migliorare graziealla Cantoterapia? Livio Bressan 31

Sanità e managerialità per l’Ospedale Maggiore.Un incontro ben riuscito Alessandro Fenyves, Fabio Pansa Cedronio, Pino Tassara 35

Notiziario 45

Cronache amministrative 47

Indice generale dell’annata 49

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“Medicine complementari o alternative”. L’autore, lungi dall’ignorare discussioni econtroversie, quando non veri scontri ancor oggi fra autorità del mondo medico edesperti delle medicine “altre”, riporta qui risultati di approfondimenti di ricerche edesperienze in materia, per nostre libere possibilità di giudizi e conoscenze.

La mediazione: Simonetta Bottardi ci offre con una chiarezza da non perdere, defini-zione e conoscenza della mediazione nelle sue straordinarie capacità e nei privilegid’uso: “un processo, quasi sempre formale, attraverso il quale una terza persona neu-trale cerca, tramite l’organizzazione di scambi tra le parti, di consentire alle stesse diconfrontare i propri punti di vista e di cercare con il suo aiuto una soluzione al conflit-to che le oppone”.

Una pagina significativa di Luigi Offeddu, scrittore e giornalista, sull’etica professio-nale dei mezzi di comunicazione, sulla coscienza morale di ognuno e sulla indispensa-bilità di tener conto in ogni caso della “dignità e fragilità dell’uomo”.

Le lunghe faticose e anche tortuose scoperte in tutti i campi della medicina hannoportato gradualmente ad aumentare la fiducia nelle cure, nel curante e nei complessidi assistenza. Indispensabile tuttavia la massima attenzione e prudenza individuale ecomunitaria. Marco Segala ripercorre la storia del contagio, esemplifica fatti e perso-naggi, ricorda l’apporto di uomini straordinari cui l’umanità deve molto ancor oggi.

Etica, diritto, economia: un testo molto richiesto, impegnato e coraggioso nella stesu-ra di Giancarlo Dal Sasso, noto ai nostri lettori per la competenza e l’attenzione rigo-rosa a ogni aggiornato riferimento.

Ci fermiamo sulla cultura dando spazio e respiro alla storia, alla memoria, alle belleimmagini delle sempre attese pagine di Vincenzo Bevacqua, che anche oggi ci guidaalla scoperta felice della nostra città.

Il dottor Livio Bressan, perseverante con i suoi collaboratori nell’attenzione e nel-l’“invenzione” di metodi di cura a sollievo di determinati sofferenti, illustra per la Ca’granda l’avviata interessante sperimentazione della Cantoterapia per i malati parkin-sioniani.

Una pagina essenziale sull’incontro-collaborazione fra l’ALDAI e il Policlinico, afirma di Alessandro Fenyves e coll. induce a disporre da ora nella rivista spazi ulte-riori per le future attese realizzazioni.

Notizie dalla nostra comunità, le cronache amministrative e l’indice annuale per auto-re e per argomento chiudono il fascicolo.

ai lettori

stampe trimestrali - Sped. abb. post. 70% - filiale di Milano - n. 4 - 2005 - registrazione Tribunale di Milanon. 5379, II-8-1960.

stampa: Stampamatic Spa - Settimo Milanese (MI) - via Albert Sabin, 20; fotocomposizioni: Artea (SettimoMilanese) - via E. Fermi, 28; fotolito: Digital Seleprint s.r.l. - Milano - via Cortina d’Ampezzo,12.

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Paola Maiocchi, infermiera, da tre anni vive elavora in Cambogia.

Come ha deciso di andare a lavorare in Cam-bogia piuttosto che rimanere in Italia?Prima ancora di diventare infermiera avevodeciso di essere missionaria. Mi sono formatapresso la Comunità delle Missionarie Laichedel PIME. Questa organizzazione è dal 1996che è presente in Cambogia; quando, nel 2001,è arrivato il momento di partire, la mia “desti-nazione” è stata Phnom Pehn, Cambogiaappunto.

Come si è inserita in una realtà così differentee complessa?I primi tempi sono stati parecchio difficili. Misembrava di essere una “mosca bianca” in uncontesto dove il diritto alla salute, la qualità edil livello dell’assistenza medica e la preparazio-ne professionale sono scandalosamente bassi.Ma devo dire che sono stata accolta moltobene. Il primo anno si può dire che praticamen-te non ho lavorato. Era essenziale imparareprima di tutto la lingua Khmer per poter capiree farmi capire dalla gente. Ho studiato molto,una vera faticaccia! Ad essere onesti i risultati

delle prime conversazioni erano delle sonorerisate da parte dei miei interlocutori. Ho pensato:“Meglio così, queste persone non hanno molteoccasioni per sorridere e se un po’ di buon umoreriesco a darglielo io con i miei strafalcioni lingui-stici, ben vengano questi ultimi…”

Cosa si può dire della situazione attuale in Cam-bogia?È una nazione ancora profondamente segnata dalsangue. Un periodo lunghissimo di guerre e unmomento di una tragicità unica, se è possibileancor più grave, il genocidio portato avanti duran-te gli anni ’70 dal regime di Pol Pot. Sono feriteche hanno bisogno di molto tempo per rimargi-narsi, figuriamoci per non dolere più. Ora poi c’èuna corruzione diffusissima, se non istituzionaliz-zata. È una pratica che arriva a immobilizzarequalsiasi tentativo di programmazione ed azione,in tutti i campi. Si bloccano i grandi progetticome la vita quotidiana se non si hanno soldi,merce di scambio o più semplicemente perchénon c’è la voglia o la volontà.La politica è, per usare un eufemismo, malgestitae l’economia che è grandemente legata agli aiutiprovenienti dall’estero, non ingrana.Il popolo vuole credere e spera in un futuro più

Un incontro casuale con Paola Maiocchi, infermiera e - soprattutto - missionaria, la sua serietà, la sua fermezzanella scelta di vita, l’impegno delle sue forze e del suo tempo ci sono parsi un dono: un dono da far conoscere epartecipare.Siamo all’apertura del fascicolo quarto della nostra ca’granda. Alvise Mamprin l’ha abilmente indotta a parlaree raccontare.

Intervista

Nel mondo dell’infermieraLavorare lontanoALVISE MAMPRIN a PAOLA MAIOCCHI

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sereno e costruttivo. I giovani, soprattutto gli stu-denti universitari con cui lavoro cominciano arendersi conto della situazione e si stanno attrez-zando per cominciare a cambiarla. A tal propositoho un ricordo, risalente ai primi mesi dopo il mioarrivo. Stavo parlando con il mio insegnante diKhmer, un sopravvissuto al genocidio. Egli men-tre mi raccontava dei lavori forzati, della fame,della stanchezza perenne e della morte che colpi-va il suo popolo mi disse: “Noi cambogiani stia-mo ancora cercando una risposta alla domanda:perché, perché è successo tutto questo…?”

Oggi uno dei grandi problemi della Cambogia èla diffusione dell’Aids-HivPiove sul bagnato, come spesso succede. Sitratta di una piaga, una bruttissima piaga checolpisce purtroppo soprattutto i bambini.La sindrome da immunodeficienza acquisita siè manifestata in tutta la virulenza in pocotempo, direi alcuni anni. Nessuna barriera,scarsissima conoscenza e il virus ha avuto vitafacile. Dopo i primi casi di morte dovutaall’Aids si è subito pensato al peggio, sia comenumero di malati e di decessi sia come velocitàdi diffusione. Previsioni azzeccate!Il dilagare del contagio ha fatto sì che diverseorganizzazioni internazionali non governativesi sono impegnate in Cambogia nella cura degliadulti e nella prevenzione dal contagio. Tra iprimi sono stati i missionari statunitensi diMaryknoll, con cui io ho poi in seguito collabo-rato. Essi hanno posto le basi e portato avantiun progetto rivolto alle persone che, essendosegnate e quindi discriminate da questa “male-dizione”, avevano perso la casa, non erano piùpercepiti come uomini ma erano solo emargina-ti, anzi direi invisibili in quanto ammalati diAids. La morte per queste persone arrivava edarriva veloce. Poco prima di morire questiuomini si dicevano pronti al passaggio maesprimevano anche la profonda angoscia nelpensare ai loro figli, ai loro bambini, spessoanch’essi ammalati e di lì a poco abbandonati ase stessi.

Ha detto che ha collaborato con questa Organiz-zazione, come si è preparata al lavoro a contattocon i bambini ammalati?Dopo sei mesi dal mio arrivo in Cambogia, men-tre studiavo ancora lo Khmer, ho cominciato alavorare con Maryknoll.All’inizio, sul campo, la frase più diffusa e depri-mente era: “Non c’è via di scampo. I bambinisono una battaglia già persa. L’Aids è una malat-tia che fa morire”.Ma i Maryknoll hanno comunque aperto tre“case” che adesso sono diventate sei, dove i bam-bini che non hanno più nessuno a causa dellamorte dei genitori, dell’abbamdono da parte deimedesimi per mancanza di mezzi di sostentamen-to, possono essere ricoverati, essere sottopostialle terapie del caso e, cosa importantissima,mangiare.

In che condizioni sono i bambini che arrivanoda voi?Per la gran parte sono molto malati. Arrivanoda noi dopo che gli è stata diagnosticata, tardi-vamente, la sieropositività. Altri bimbi sonoportati da noi da un loro familiare. Mi viene inmente una bimbetta di sei anni, si chiama SrayLang. È stata la nonna a portarcela. Vivevanosole, in strada. Si mantenevano grazie al buoncuore degli abitanti delle case lì attorno, chedavano sempre loro qualcosa da mangiare. MaSray Lang era molto malata, non avrebbe potu-to farcela ancora per molto. Triste e “silenzio-sa”, (già qui la parola ammalato è uguale asilenzioso) questa bambina, una volta assistitae curata, ha ritrovato forza, spirito ed entusia-smo. Va alla scuola materna, ride, gioca e quan-do ti vede corre verso di te e dopo il formalesaluto a mani giunte ti salta al collo, sicura chele farai fare un bel volo verso l’alto. Niente piùsilenzio.

Niente silenzio ma la malattia rimane. Qualisperanze ci sono per i bambini sieropositivi?Sono i farmaci antriretrovirali l’unica possibi-lità a fronte di una prospettiva di morte certa.

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Tutt’altro che facile è garantirli. Si tratta di unaterapia da seguire quotidianamente, per tutta ladurata della vita. E poi, e poi siamo al solitopunto; sono farmaci molto costosi e quasi nes-suno laggiù ha abbastanza soldi per comprarli.È la generosità, l’attenzione ai problemi nonprossimi, l’umanità di molte brave persone chehanno voluto fortemente diventare genitoriadottivi a distanza che ha permesso e continuaa darci la possibilità di curare dei bambini altri-menti spacciati.Rimane sempre nei miei ricordi Panny, 11 anni,che l’anno scorso si sentiva dire da dei dottorisenza cuore: “Che cosa continui a venire qua?Non lo sai che stai morendo?”.Panny ora sta per iniziare la prima elementare,è fiero di se stesso e ripete sempre: “Tutti dice-vano che stavo per morire, ma io no! Io sonoancora qui, perciò spero!”Panny deve ringraziare quelle persone di cuiparlavo prima.I farmaci sono però solo un elemento del cock-tail che permette la speranza.

Quali sono gli altri ingredienti?La ricetta si compone così. Le terapie unite adaccoglienza e familiarità, cibo buono e abbondan-te, igiene, riposo e poi l’amore, tanto amore.A Lakany, una ragazzina che un anno fa mi stavamorendo tra le braccia e adesso invece sembrauna piccola donna nel pieno delle forze, un gior-no dico: “Non capisco proprio come faccio adamarti così tanto, a volerti così bene!” Lei sempli-cemente mi risponde: “Semplice, perché Lui havoluto che ci incontrassimo e diventassimo comemadre e figlia”.Qualcuno si stupisce che io possa ricordare inomi di tanti bambini e le loro storie, io rispondoche non c’è nulla di strano. Non si tratta di unosforzo, ognuno di questi piccoli uomini entradirettamente nel cervello e nel cuore.

La passione, la dedizione, l’amore sono fonda-mentali per fare l’infermiera in Cambogia, manello specifico come è organizzato il suo lavoro?

Io lavoro nelle “case” di accoglienza per i pic-coli malati, ma una porzione importante delmio tempo è impegnata nelle visite a domicilionelle baraccopoli di Phnom Pehn. Parlo con iparenti, do consigli circa l’igiene e le cose giusteda mangiare. A volte bisogna impegnarsi moltoper scalzare i pregiudizi pesanti come macigni,spesso dovuti alla povertà quasi totale e alla igno-ranza, Davin, una bambina molto malata, quandol’ho incontrata per la prima volta era un’alcolista.Certo, le davano da bere birra. Suo padre, anch’e-gli malato, rifiutava di farsi curare e di far curaresua figlia. Diceva: “Non voglio portare la miabambina da nessuna parte, niente medicine. Sedeve morire, morirà tra le mie braccia”.Mi tocca anche aver a che fare con l’inefficienzadel sistema sanitario cambogiano. Su questoaspetto della mia quotidianità mi viene in mentela storia di Samy. Era un bambino che dovevaessere operato di tonsille. Il suo intervento erastato rifiutato perché Samy era sieropositivo. Inun primo momento l’intervento era stato pro-grammato (e pagato) perché i medici non erano aconoscenza della malattia. Una volta accertata lasieropositività hanno iniziato a parlare della cro-nicità della malattia, dell’importanza delle tonsil-le per il sistema immunitario… e il bambino èstato mandato a casa.Qualche tempo dopo le tonsille si sono infiamma-te ancora, unite a un febbrone preoccupante.Rifiutata l’operazione una volta ancora ho dovutominacciare di rivolgermi alla stampa e ai compe-tenti organismi internazionali. Con questo spau-racchio l’operazione è stata fatta ma ho dovutofornire ai medici e agli infermieri guanti, masche-re e occhiali per “difendersi”.Un lato del mio lavoro che mi dà molta soddisfa-zione è organizzare e vivere quindi insieme aibambini gite al mare, piccole feste, giochi e garesportive. Sono momenti di enorme felicità per mema innanzitutto per i bambini.È parte integrante del mio lavoro anche la forma-zione ai giovani sia cambogiani che di altre nazio-nalità che si avvicinano alle nostre proposte per lavoglia, la curiosità, il fascino di capire qual è il

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segreto della serenità e della bellezza che si spri-gionano da questi bambini...

Soddisfatta della decisione?Pienamente. Da quando sono in Cambogia, hovisto e ascoltato storie di infelicità, dure egravi. Ma gli adulti con cui lavoro, i giovaniche incontro e i bambini che curo mi trasmetto-no ogni giorno la loro voglia di restare in vita ecapire il senso di quest’ultima.È una grandissima soddisfazione. Non fossealtro perché tutto ciò ha cambiato la mia vita.

Ora è in Italia, cosa le manca e cosa invece haportato con se?Il distacco dai “miei figli Khmer” e dalla Cam-bogia non è stato facile, mi ha aiutato la possi-bilità di riprendere la mia professione qui inItalia. Ora lavoro con persone anziane. L’iniziomi ha come sempre un po’ frastornato.Ma dal primo giorno ho scoperto una cosa, quel“filo rosso” che unisce e marca di significatopieno tutte le esperienze che ho fatto.Questo filo rosso è la passione per la mia profes-sione, così unica, cosi privilegiata. Un lavoro cheti permette di arrivare dove a pochi è dato arriva-re, là dove si può fare qualcosa per il bene dellapersona e poterlo fare come se fosse una lezioneper la vita. È lo stesso filo rosso che ho vistoriflesso negli occhi dei bambini cambogiani e cheora vedo in quelli di molti pazienti. Non c’è nes-suna differenza, questi occhi vogliono sprigionarevita, nonostante spesso siano ora racchiusi in uncorpo indebolito, deformato, invecchiato.

Quali sono i suoi progetti?Il mio anno in Italia sta quasi per terminare. Miè servito molto per il mio aggiornamento pro-fessionale ed anche per elaborare le esperienzeche ho vissuto in Cambogia. Ora ho voglia ditornare a lavorare “sul campo”. Ecco, il mioprogetto è essenzialmente uno: tornare in Cam-bogia. Credo che questo avverrà molto presto.Mi aspettano Sray Lang, Panny, Lakany, Samye tanti altri bambini.

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siero. Ogni giorno non si legge più un solo gior-nale, ma si vuole averne il più possibile a portatadi mano per la rassegna stampa più estesa e indi-scriminata. Nell’intento di sapere un po’ di tuttofiniamo per conoscere niente. Ogni messaggio diposta elettronica è inviato in copia a tutti i parte-cipanti di un progetto e così ogni giorno il diri-gente è investito da centinaia di lettere di postaelettronica che non può leggere. Per cercare dicontrollare tutto rimaniamo al corrente di nulla.Esausti dalla corsa frettolosa della settimana dilavoro tutti pensiamo solo nei week-end. Illunedì ci richiamano tutti contemporaneamenteper riprendere nel modo più caotico e frettolosoun altro vorticoso giro di fretta tecnologica. Anche in medicina la ricerca clinica ha esaltatosoprattutto la tecnologia e le metodologie chemirano alla verifica di mercato degli strumentitecnologici di diagnosi e cura. La corretta valuta-zione di un nuovo farmaco o mezzo diagnosticoimpone ampi studi per verificare se il nuovo stru-mento sia significativamente più utile e conve-niente di quello già in uso. Malati uguali, anoni-mi sono seguiti da medici uguali, anonimi perpoter confrontare senza interferenze gli strumen-ti anonimi di cura. I soli numeri rimangono asignificare le diversità e le evidenze fornite dallacura cieca dove ciechi guidano anonimamentealtri ciechi. Ne consegue che la malattia siadiventata il principale e impersonale oggettodella cura e che il malato ne sia spesso solo lostrumento. L’uomo è ormai al servizio della tec-nologia di cui ha perso il controllo. La medicinadella quantità copiata sul modello dell’industriaper la produzione di massa sta però segnando ilpasso a favore di una medicina ispirata all’indu-stria per la produzione di qualità. Oggi, infatti lo

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Nel 1950 la velocità media dell’auto era di circa30-40 km all’ora e ci volevano 2-3 settimane perspedire o ricevere la posta. Due mila anni fa, aitempi di Giulio Cesare la velocità del carro, ilpiù comune mezzo di trasporto di allora era dicirca 15-20 Km all’ora. La velocità della postaera di circa 3-6 settimane. Dal 1950 a fine seco-lo, in soli 50 anni si è realizzato il progresso tec-nologico più significativo della storia dell’uomo.Oggi servono solo pochi secondi per inviare unalettera per posta elettronica in qualsiasi parte delmondo. Per l’automobile addirittura il progressotecnologico ha invertito la rotta e non mira piùad aumentarne la velocità, ma al controllo dellasicurezza. Fino ad oggi ogni progresso tecnologi-co ha implicato un significativo miglioramentodella qualità di vita dell’uomo. D’ora in poi inve-ce appare evidente che in molti settori ogni ulte-riore miglioramento tecnologico non produrràpiù necessariamente significativi vantaggi per lavita dell’uomo. Anzi la diffusione esponenzialedell’uso dell’automobile alle nuove e più nume-rose popolazioni del mondo costituisce unaminaccia più che una speranza per il futuro. Adun attento osservatore i segni del cambiamentosono evidenti anche in molti aspetti della medici-na. Non è casuale che molte persone preferisca-no le proposte di cura delle vecchie medicine tra-dizionali piuttosto che quelle della medicinamoderna per la cura dei disturbi funzionali. Lasfrenata corsa tecnologica e i suoi continui suc-cessi applicativi hanno proposto l’illusione diuna medicina “certa e sicura”, capace perfino diesorcizzare la morte. L’accelerazione tecnologicaè sfuggita però al controllo della mente e ilnostro tempo è scandito dalla fretta tecnologicache riduce sempre di più lo spazio libero di pen-

Più cultura di base per una tecnologia al serviziodell’uomo

FERRUCCIO BONINO

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nere al nostro servizio solo se sapremo guidarlacon la forza di un pensiero nuovo, più adeguatoai bisogni dell’umanità del XXI secolo.

studio e la conoscenza del genoma umano cirivelano come ogni persona sia unica, irripetibi-le. La cura nella pratica clinica deve tornare adessere soprattutto un equilibrato esercizio diesperienza, responsabilità e prudenza mirata allapercezione delle sfumature che permettono l’usoadeguato e personalizzato degli anonimi stru-menti di cura nel singolo malato. Anziché misu-rare esclusivamente le diversità degli strumentidi cura si inizierà a valutare la diversità degliesiti della cura e misurarne la qualità che dipen-de dalla capacità e esperienza degli operatori piùche dalla tipologia degli strumenti da loro utiliz-zati. Il diritto alla salute non può garantire banal-mente la stessa cura a tutti perché ciò significa almassimo la cura appropriata nel 25 % dei casi,insufficiente nella metà e non appropriata nelrimanente 25% dei casi. Il diritto alla salutedovrebbe perciò garantire la pari opportunità adogni individuo di accedere alla cura giusta perlei\lui o personalizzata, magari proprio con il far-maco ritirato dal commercio perché inutile nellamaggioranza dei casi. Questo è infatti il casoparadossale che si verifica frequentemente comeconseguenza del sistema attuale di commercia-lizzazione e rimborso dei farmaci che mira agarantire la cura media per la malattia o malatomedio. Purtroppo nella pratica clinica il malatomedio assomiglia solo lontanamente a circa il 25per cento dei malati veri. In medicina come intanti altri aspetti della vita umana occorre oggiutilizzare le risorse tecnologiche per ridaretempo al pensiero. Filosofia, fisica, politica eteologia devono tornare a riassorbire appienol’interesse delle menti più fulgide e creative deigiovani per recuperare tanto tempo perduto. Unadomanda sorge spontanea, se il pensiero dell’uo-mo che pretende di governare le moderne tecno-logie e di fondare la nuova civiltà cosmopolitapossa fare riferimento solo e sempre ai principidella filosofia di Aristotele e Platone, ai capisaldidel Diritto Romano e ai dogmi di duemila annifa. Il cammino di ricerca nell’ambito delle prin-cipali categorie del pensiero umano è statodistratto e attirato dalle sirene tecnologiche pertroppo tempo. La tecnologia ci ha dato tantissi-mo, ma d’ora in poi essa potrà continuare a rima-

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Quando nell’inverno del 1886 Freud rientrò a Viennada Parigi, dopo la sua esperienza alla Salpetrière conil grande Charcot, impaziente di comunicare ai colle-ghi medici il suo entusiasmo per la scoperta dell’im-portanza che la mente ha sulle malattie del corpo,trovò ad attenderlo un notevole scetticismo. Le sueconferenze davanti ai colleghi più autorevoli dellascienza medica tedesca si rivelarono fin dalle primebattute, un dialogo tra sordi. In particolare il collegaMeynert, che era stato maestro di Freud, diventòmolto aggressivo di fronte all’entusiasmo per i feno-meni di suggestione (non solo l’ipnosi) e il granderuolo delle nevrosi per la clinica (1). Molti autorevoli colleghi non avevano esperienzapersonale concreta con i fenomeni in discussione,ma rifiutavano i casi presentati da Freud come nonscientifici.

Il clima che oggi circonda le medicine complementa-ri o alternative è molto simile, e ora come allora, ilgiudizio sprezzante di molte eminenti autorità delmondo medico contrasta con la crescente popolaritàdi forme di terapia complementari o alternative(CAM: Complementare and Alternative Medicine)alla biomedicina occidentale. Invitato recentemente ad organizzare una tavolarotonda sul tema delle CAM, invitai sia mia sorellaNadia, che lavora come medico pediatra in GuianaFrancese, sia mio fratello Walter che è un ricercatoredella Mayo Clinic. La loro risposta è istruttiva. Miasorella rispose: no grazie, in Sudamerica avremmobisogno di molta più medicina occidentale tradizio-nale, ma non abbiamo i soldi per pagarla. Mio fratel-lo partecipò con entusiasmo alla discussione e il suocommento fu: oggi negli Stati Uniti tutti i grandi cen-tri di ricerca dimostrano grande interesse per formedi terapia diverse dalla biomedicina occidentale. Eccoci davanti ad una situazione apparentementeparadossale: mentre l’ottanta percento della popola-zione mondiale potrebbe trarre vantaggio da molteterapie occidentali ma non ha i soldi per pagarle, ilrestante venti percento, cioè proprio gli occidentaliche le hanno inventate, guardano con crescente inte-resse alle CAM.Già nel 1990 negli Stati Uniti, il numero delle visitea guaritori delle CAM superava il numero delle visitedei medici di medicina generale. Una verifica ripetu-ta nel 1997 rivelò che la popolarità delle CAM inAmerica è in crescita esponenziale con 628.000 visi-te contro le 385.000 della medicina generale ( 2, 3,4).A questo punto, il lettore incuriosito potrebbe chie-dere: cosa sono queste medicine complementari ealternative?L’American Medical Association (AMA) ha classifi-cato le CAM in 16 tipi principali: 1. Piante medicinali2. Medicina naturale

Medicine complementari o alternative?

BEPPE ROCCA

Sigmund Freud

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non potendo entrare nei dettagli delle statisticheemerse nei singoli paesi, ciò che sorprende sonole enormi differenze nelle percentuali d’uso inculture e paesi diversi.

3. Omeopatia4. Ipnosi5. Agopuntura6. Massaggio7. Chiropratica8. Pranoterapia ed energy healing9. Biofeedback10. Tecniche di rilassamento (meditazione)11. Megavitamine12. Diete lifestyle (vegetariana, macrobiotica)13. Diete commerciali14. Gruppi di self help 15. Uso di immagini (imagery, santini, immagini

sacre)16. Pratiche spirituali. Sono tutte in aumento? Chi le utilizza? Perché?Per quali indicazioni? Sono efficaci?Il medico con una formazione occidentale tradi-zionale non è formato e neppure informato ade-guatamente sul problema. Nel 1997 e 1998 l’Ame-rican Medical Association (5) sottolineò l’impor-tanza del tema e stimolò il finanziamento di gran-di progetti di ricerca su: Alternative Medicine: AnObjective Assessment (6) che fornirono le primerisposte in articoli pubblicati su JAMA e sugliArchives nel 1998 e anni successivi (7). Quali risultati sono emersi da uno sforzo cosìimponente?Molti luoghi comuni e pregiudizi sono stati sfatatie non sono mancate le sorprese. Vediamo alcuniaspetti in dettaglio.I ricercatori si scontrarono immediatamente conun ostacolo importante. Molte delle fonti disponi-bili non permettono di distinguere tra: a) proveesterne e obiettive d’efficacia b) resoconti aned-dotici senza elementi di prova verificabili c) teo-rie religiose, filosofiche, ideologiche… mescolatein modo inestricabile con resoconti d’efficacia 4)opinioni e credenze di autorità e tradizioni le piùdiverse e incompatibili tra loro (8). Quali tipi di CAM godono di maggiore popola-rità? Dagli studi americani ed europei è emersa unamappa estremamente variegata: tipi diversi di pra-tiche sono ritenute più efficaci e godono di mag-giore popolarità a seconda delle tradizioni stori-che della cultura in cui vengono impiegate. Pur

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Quali sono veramente efficaci?Non dobbiamo avere la presunzione di risponderead una domanda così generica. Sarebbe comechiedere ad un medico occidentale: ma l’aspirina,serve? La sua risposta non potrebbe che essere:dipende! Nelle situazioni in cui è indicata, e pre-stando la dovuta attenzione alle indicazioni e con-troindicazioni, è uno dei farmaci più efficaci dellanostra farmacopea. Invece spesso si sentono discussioni interminabilitra chi crede che le medicine alternative e com-plementari non siano scientifiche in assoluto equalcuno che ne pratica una forma specifica daanni e fa di tutto per dimostrare il contrario. Oppu-re tra chi crede alla fitoterapia, ma non crede all’o-meopatia o alla chiropratica. Si tratta di conversazioni non sempre pacate e rara-mente pertinenti, che hanno poco in comune con laricerca scientifica. Al ricercatore scientifico nondovrebbe interessare chi crede o non crede ideologi-camente o per credenze personali e conoscenze fram-mentarie a questa o quella CAM.

Samuel Hahnemann, il padre dell’omeopatia

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Come per l’aspirina, è scientifico discutere indi-cazioni e controindicazioni precise e risultatiobiettivi verificabili.Non potendo per ovvie ragioni, e non essendoquesta la sede più idonea per farlo, discutere ana-liticamente indicazioni, controindicazioni ed effi-cacia di ciascuna pratica CAM, possiamo cercaredi sfatare alcuni pregiudizi molto diffusi e alcuniluoghi comuni che stendono una cortina fumoge-na e impediscono anche solo l’inizio di un dialo-go pacato e pertinente.Si sente dire spesso: si tratta d’ignoranza! Le per-sone intelligenti vanno dal medico.È il tipo di risposta che senza dubbio tranquillizzachi si crede intelligente, ma non è suffragata dainformazioni obiettive. Coloro che ricorrono allemedicine alternative hanno in media più anni distudio alle spalle e si tratta spesso d’impiegati,dirigenti, professionisti. In Italia, come negli StatiUniti, non sono le regioni più povere del Sud, male ricche città del Nord a presentare i fatturati piùalti per le CAM. Inoltre le donne colte e benestan-ti sembrano essere le prime ad esplorare – sarebbemeglio dire a riscoprire – pratiche di cura cheabbiamo ereditato da tradizioni millenarie.I critici della medicina e più in generale della tec-nologia occidentale dicono che il motivo di ricor-so alle CAM è perché finalmente le persone –grazie ai media e a Internet - si sono emancipatedalla figura autoritaria e paternalistica del medicoe si sono rese conto che esistono delle alternative.Ma è vero? Le ricerche epidemiologiche hannomostrato chiaramente che le persone nella grandemaggioranza dei casi si rivolgono prima allamedicina occidentale e solo in seconda battutaalle CAM, non perché si sentano emancipati oInternet abbia aumentato la loro capacità di auto-determinazione… semplicemente perché il loroproblema non è stato risolto in modo adeguato dalloro medico di fiducia.Quindi non ci sono medicine alternative in sensoradicale? Solo medicine complementari alla medi-cina occidentale?Anche questa domanda richiede una rispostamolto precisa: se per alternativo intendiamo con-trappositivo alla medicina occidentale, meno del5 percento del ricorso alle CAM si configura

come radicalmente alternativo. Si tratta di un 5percento di persone che pur esistendo ed essendoampiamente dimostrata ed accettata l’efficaciadella terapia occidentale tradizionale, rifiutano ilricorso alle istituzioni sanitarie occidentali e sirifugiano in prima battuta presso un guaritoreCAM.Chi sono? Perché si comportano in questo modo?Si tratta di un gruppo di persone che negli ultimisei mesi o a livello d’esperienza biografica anno-verano un grave episodio di malattia in un paren-te, figlio, conoscente stretto, da loro interpretatonon come la conseguenza del limite della medici-na, ma come un errore e una inadeguatezza deimedici e della medicina occidentale. Un esempioper tutti: dopo aver perso un figlio per una formaoggi incurabile di leucemia, una madre rifiuta lachirurgia per cancro del seno e si rifugia in unAshram della California o dell’India o in un cen-tro di meditazione di una grande città dell’Italiadel Nord.Sono emersi due gruppi di persone radicalmentediversi: a) un cinque percento di risentiti verso lamedicina occidentale, che si contrappone ad essab) il 95 percento delle persone che riconosce lagrande efficacia delle medicine occidentali inmolte situazioni, ma nello stesso tempo si rivelaaperta, e si orienta verso altre forme di cura, con-gruenti con i suoi valori, credenze e orientamentiverso la salute e la vita (9, 10). Alcuni sociologi, sulla scia di Ivan Illich, hannosuggerito che oggi le persone vogliono riappro-priarsi della salute, togliendo la cura dalle manidel medico che se ne è impossessato come altriprofessionisti si sono impossessati dell’insegna-mento o dell’amministrazione dell’economia edella giustizia. Il successo delle CAM conferme-rebbe la forza di tale rivendicazione (11, 12). I dati epidemiologici disponibili evidenziano alcontrario una tendenza crescente dei pazienti adelegare ad altri, siano essi medici o guaritorialternativi, la cura della loro salute, e se si rivol-gono a guaritori diversi, non è certo per riappro-priarsi della loro salute. Al contrario, sono pro-prio alcune pratiche alternative ad essere centratesul malato e a basarsi sul ruolo attivo del pazientenella cura.

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Lama: Santità, lei si cura con la medicina tibetanao con quella occidentale? il Dalai Lama - oceano disaggezza - rispose: con tutte e due. Se ha un attimodi pazienza e mi vuole scusare, è l’ora del mio anti-biotico. Dopo, possiamo gustarci la buona tisanatibetana che il medico ha preparato per me e senzadubbio farà bene anche a lei!E allora?Chi scrive ha studiato e praticato la medicina soloin grandi città dell’Italia del Nord, a Londra enegli Stati Uniti, ha un’esperienza iniziale e alta-mente insufficiente di alcune CAM, e non è quin-di nella posizione migliore per tirare delle conclu-sioni. Ma ha una netta impressione: le CAMhanno successo. Le assicurazioni in America e ipolitici nei welfare state europei sono già in garaper chi riuscirà a cogliere meglio e prima i profittio i voti di questo grande movimento culturale. La storia recente insegna che il grande successo ela grande popolarità hanno già portato alle stelle efatto crollare sia la psicanalisi sia l’omeopatia.Sarebbe un’altra occasione perduta se anche que-

Chi sono gli utilizzatori delle CAM, e per qualiindicazioni le persone si rivolgono ad esse?Schematicamente possiamo distinguere tra: a)persone in buona salute della popolazione genera-le b) disturbi comuni e funzionali c) malattie cro-niche d) neoplasie e) malattie in fase terminale.Le aspettative cambiano notevolmente da un sot-togruppo all’altro. Le persone in buona salute,negli studi epidemiologici su campioni dellapopolazione generale ricorrono ai rimedi delleCAM per: a) mantenere la salute e la vitalità (13) b)prevenire la comparsa di malattie in futuro (14). Nella maggioranza dei casi si tratta di autopre-scrizione o di ricorso ai rimedi alternativi su con-siglio di un amico, il farmacista, una rivista oInternet (15). Nel caso di disturbi comuni e funzionali, spessole CAM si rivelano veramente alternative rispettoagli scarsi successi terapeutici conseguibili con leterapie tradizionali. I pazienti si dividono in modobilanciato tra casi di autoprescrizione e ricorso aguaritori e medici delle CAM.Le malattie croniche spesso sono controllate, manon in modo ottimale dalle terapie tradizionali ele CAM vengono affiancate ad esse per ridurre ilconsumo di farmaci, o per migliorare il compen-so. Ad esempio l’omeopatia nella terapia dell’a-dulto è spesso prescritta per condizioni croniche.Nel caso delle neoplasie si debbono distingueredue tipi di situazioni: 1) le CAM vengono usatecome complementari alle terapie tradizionali, percontrollare meglio i sintomi o ridurre gli effetticollaterali, ad esempio della chemioterapia oradioterapia (16); 2) le CAM vengono usate comeultima speranza, dopo il fallimento delle terapietradizionali. Nelle malattie in fase terminale sono impiegatesia per la loro efficacia terapeutica, sia per la sug-gestione positiva che può derivare dalla loroassunzione (effetto placebo).In sintesi, sembra che un numero crescente di per-sone intelligenti dei paesi occidentali dimostri unarinnovata apertura mentale verso pratiche di curaereditate da tradizioni e culture diverse e tenda adintegrarle nella cura di sé. Si può a ragione parla-re di un nuovo sincretismo della cura?Alla domanda di Tiziano Terzani (17) al Dalai

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Louis Pasteur (1822-1895)

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sta volta non si approfondisse proprio ciò che dipiù innovativo hanno da offrire alcune CAM: unmodo diverso di vedere il medico e il malato, lasalute e la malattia, la vita e la morte, superandoin saggezza anche lo stesso Dalai Lama.Ma è proprio l’affascinante ed enigmatica diffe-renza di paradigma di alcune CAM, che molti deimiei illustri colleghi continua a vedere come nonscientifica o antiscientifica.

Bibliografia

1 - Freud S. Opere. Torino: Boringhieri; 1967. In particolareVol 1. Studi sull’isteria e altri scritti. 1886-1895

2 - Diehl DL, Eisenberg D. Complementary and alternativemedicine (CAM): epidemiology and implications for research.Progress in Brain Research. 2000;122:445-55.

3 - Eisenberg DM, Kaptchuk TJ, Laine C, Davidoff F. Comple-mentary and alternative medicine-an Annals series.(comment).Annals of Internal Medicine. 2001 Aug 7;135(3):208.

4 - Eisenberg L. Complementary and alternative medicine:what is its role? Harvard Review of Psychiatry. 2002 Jul-Aug;10(4):221-30.

5 - Istituzione corrispondente a grandi linee ai nostri Ordini deimedici.

6 - Le medicine alternative: una valutazione obiettiva.

7 - Si tratta di riviste mediche americane che rispecchiano laposizione della medicina accademica.

8 - Fontanarosa P. Alternative Medicine. An Objective Asses-sment. American Medical Association USA: JAMA and Archi-ves Journals; 2000.

9 - Tindle HA, Davis RB, Phillips RS, Eisenberg DM. Trendsin use of complementary and alternative medicine by USadults: 1997-2002. Alternative Therapies in Health & Medici-ne. 2005 Jan-Feb;11(1):42-9.

10 - Eisenberg L. Complementary and alternative medicine:what is its role? Harvard Review of Psychiatry. 2002 Jul-Aug;10(4):221-30.

11 - Ivan Illich. Nemesi Medica. L’espropriazione della salute.Bruno Mondadori, Milano 2004.

12 - Ivan Illich. Disabling Professions. Marion Boyars, Lon-don, 1977.

13 - Si parla di promozione della salute.

14 - Prevenzione delle malattie.

15 - Eisenberg DM. The Institute of Medicine report on com-plementary and alternative medicine in the United States - per-sonal reflections on its content and implications. AlternativeTherapies in Health & Medicine. 2005 May-Jun;11(3):10-5.

16 - Rientrerebbero nell’ambito delle terapie palliative in sensoampio.

17 - Terzani T. Un altro giro di giostra. Viaggio nel male e nelbene del nostro tempo. Milano: Longanesi; 2004.

Asterisco

La memoria è un occhio sempreaperto

Un mondo senza memoria sarebbe un mondocieco, chiuso nell’ansia del presente. Per que-sto motivo i totalitarismi censurano, proibi-scono, gettano alle fiamme. Così uccidono losguardo del pensiero, il ricordo, l’espressionedelle differenze: la terra dove nascono l’arte, isogni, le illusioni, la libertà.Ritornare su ieri significa, però anche amarel’oggi perché la memoria è riflesso, ombra,proiezione. E l’uomo di oggi è fratello diquello di ieri.La storia degli uomini è fatta di compagnistraordinari e tenaci. Frequentarli nel ricordoè come scrivere un romanzo: quello dei per-sonaggi e dei luoghi che il secolo, voltandopagina, ha portato via con sé per ritrovare lapropria anima all’ombra della propria memo-ria. Non ci si separa dalla Storia, ci si convi-ve, cercando di notte, nei sogni, l’isola chenon c’è.Il Giorno della Memoria è ricordare piccoli,anonimi, smarriti protagonisti, i loro cieli intempesta, le vite perdute, i sentimenti brucia-ti, i fiori appassiti, le speranze cadute, i sorrisidimenticati, le lacrime che caddero e quellemai piante.Le luci si spensero e Hitler fece dell’Europaun cimitero sotto la luna: quella malattia dellospirito che Camus chiamò il “regno dellebestie”. Il paganesimo nazista e il suo Führer,immaginifico inventore dell’estetica dellamorte, uccisero la pietà, gli uomini e la ragio-ne. Oggi altre sfide sono portate alla Storia,nel nome di religioni di morte, utopie malate,controrivoluzioni medioevali.Un frammento del Giorno della Memoriacada sui dinosauri secondo cui l’Olocausto èuna leggenda. Un altro protegga Israele, figliodi una straordinaria avventura umana. E ilnostro tributo sia anche un atto d’amore.

MARCO INNOCENTI

(Da Il Sole 24 Ore 27.1.06)

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1. La mediazione. Note intorno alla sua definizionee al suo usoL’idea di mediazione, nei tempi e nei modi odierniche si fanno sempre più complessi, sembra esserediventata di moda. Si parla di mediazione penale, sco-lastica, familiare, sociale, lavorativa, con tecniche,attori, scopi, competenze e referenti istituzionali dif-ferenti. Ma, dando uno sguardo più ravvicinato e cer-cando un denominatore comune possiamo definire lamediazione come “un processo, quasi sempre forma-le, attraverso il quale una terza persona neutrale cerca,tramite l’organizzazione di scambi tra le parti, di con-sentire alle stesse di confrontare i propri punti di vistae di cercare con il suo aiuto una soluzione al conflittoche le oppone.” (1) Il ricorso alla mediazione si inscrivein un movimento, più ampio ed articolato, di ricercadi modelli “alternativi” alla giustizia retributiva, per laregolamentazione delle liti, la composizione deglieffetti devastanti dei conflitti, e non da ultimo, perrispondere in un modo diverso, alla lentezza, ai costie all’inadeguatezza delle strutture giudiziarie di fronteall’insoddisfazione sempre più crescente dei cittadini.Questi gli scopi e le ragioni presenti fin dall’inizio delmovimento di alternative dispute resolution (ADR),nato intorno agli anni ’60-’70 negli Stati Uniti (e ingenerale nel mondo anglosassone). Ma, nonostantel’impiego ormai decennale di questi percorsi “altri”,la riflessione sul concetto di mediazione sembra por-tare con sé, negli usi e negli ambienti più differenti,un alone di incertezza e di perplessità.Perché la mediazione (2) genera dubbi sul suo opera-to e sulla sua natura? Le risposte possono esseremolteplici e riguardare più punti di vista: la novitàdel suo impiego in Italia, il cambiamento che il suoparadigma propone, la flessibilità propria del con-sensualismo…..Forse, però, il punto decisivo sembra essere un altro:cioè quello delle “idee guida che portano all’afferma-zione delle tecniche di mediazione nella gestione

della conflittualità sociale”(3) . Infatti, la mediazione,attraverso il tentativo di cambiamento e ridefinizionedegli interessi personali contrastanti in vista di unaccordo comune, può aiutare le parti a concepire unorizzonte più vasto di riferimento per quanto riguardail “lavoro” da svolgere insieme. La mediazione segna-la due livelli di intervento: il primo come individua-zione delle modificazioni relazionali all’interno delrapporto fra i confliggenti e il secondo come amplifi-cazione di questa trasformazione a livello di “con-fronto pubblico”, civico. Le parti in campo si incon-trano con dei ruoli – malato, cittadino, professionistadella salute – che possono e devono intrecciarsi ecompenetrarsi. In questa prospettiva assume un rilie-vo fondamentale la proposta di un’idea molto diversadi giustizia: quella conciliativa, del “fare insieme”, diuna progettualità condivisa, del dialogo fra i protago-nisti in gioco per poter raggiungere un obiettivo con-creto, cioè la riapertura di un linguaggio, di unacomunicazione interrotta e distrutta dal conflitto cheallontana e separa le parti. L’incontro di mediazione èconsegnato interamente ai confliggenti: il mediatore(4)

non ha nessun potere, non impone nessuna soluzioneesterna, osserva quello che accade. “Sta” in mezzoalle parti ed assiste, “come uno specchio”, a quelloche succede, rendendolo percorribile e sostenendolo.Quello del mediatore è un ruolo molto difficile:appartiene al medesimo spazio delle parti in lotta, nonsi “chiama fuori”, ma pur rappresentando solo un“catalizzatore” delle energie degli attori, realizza,nella differenza dalla parti, la sua identità. Mentre iconfliggenti litigano, il mediatore cerca di vedere ilterreno comune che li unisce, cioè la comunicazione.Solo così, stando nel mezzo pur non appartenendo anessuna parte, “il mediatore (…) è mezzo per la paci-ficazione, rimedio per il conflitto grazie allo stare tra icontendenti.” (5)

Il cammino di mediazione si prefigge, si diceva, unoscopo concreto: quello di ottenere un progetto di rior-

Mediazione e clinica: una relazione possibile

SIMONETTA BOTTARDI

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gressività, l’amarezza di un tradimento, la violenzaverbale e fisica che viene generata da una situazioneirrimediabile, può rappresentare un’occasione dilibertà incondizionata per incontrare la parte che ci ha“fatto del male”, che ci ha “rovinato la vita”. Questa èun’opportunità per parlarsi, per vedersi come personee non come nemici da annientare. La mediazione sipropone come orizzonte di consapevolezza dovepoter raccontare i fatti accaduti, così come sono stativissuti e percepiti: “(…) le ingiustizie, il “male com-messo” non vengono dimenticati in nome di un indul-genzialismo e un “buonismo” privi di significato, essivengono accolti e ben identificati; ma questo lavoronon serve, nella mediazione, per imputare unaresponsabilità, bensì per rendere possibile una ripara-zione, un superamento, una trasformazione”(7). Non necessariamente il cammino di mediazione portaad una soluzione comune: l’incontro può anche essereinterrotto dalle parti per qualsiasi motivo. Ma, credoche l’importanza e la rivoluzione che la mediazioneesprime risiedano proprio nel consegnare interamenteai cittadini in gioco la possibilità di scegliere e deci-dere in prima persona un “altro modo” di affrontare iconflitti, modo che pone le proprie radici nell’autono-mia costitutiva di un essere umano.

2. Partecipazione, clinica, mediazione sanitaria. Unincontro possibileLo scenario che si apre sulla medicina contemporaneamette il cittadino di fronte a realtà estremamentecomplesse in continua evoluzione: una tecnologiciz-zazione iper-specialistica ormai consolidata della pra-tica medica, la compenetrazione di clinica e ricerca,la relazione medico-malato percorribile in una dimen-sione terapeutica più orizzontale e democratica,hanno portato progressivamente alla modificazionedell’intera rete di cura con la creazione di linguaggi emodelli nuovi e diversi per la comprensione delledinamiche della salute. Le persone coinvolte nei pro-cessi di cura sono costantemente chiamate ad impara-re come relazionarsi fra competenze, saperi, diritti edoveri nella consapevolezza di essere parte in gioconell’integrazione di scelte da compiere e valori darispettare. Questo panorama apre le porte ad una politica sanita-ria intesa quale costruzione della salute, dove la clini-ca diventi luogo pubblico, aperto e disponibile per un

ganizzazione delle relazioni sociali che sia il più sod-disfacente possibile per le parti coinvolte a partire dalconflitto che le oppone. Questo programma passaattraverso il riconoscimento della propria responsabi-lità e capacità di decisione: la mediazione è confiden-ziale, libera, non coercitiva e qualsiasi sia la decisionepresa (o non presa) risponde pienamente e soltantoalla volontà dei singoli attori.La messa in campo attraverso la mediazione, di unadomanda di giustizia che nasce da una prospettiva diverità frutto di confronto, mette in gioco un ripensa-mento della colpa e della pena in termini che assicuri-no un miglioramento delle procedure partecipativedei singoli cittadini ai processi sociali, politici e civili.La mediazione potrebbe rappresentare, nella pluralitàdelle sue declinazioni, il recupero di spazi decisionalie d’azione che una disciplinarietà legislativa semprepiù capillare ha via via depredato. Con ciò non siintende opporre la mediazione al diritto, ma piuttostoesplicitare una diversità di funzione: la mediazionearriva a ricucire quel sostrato sociale strappato dalconflitto che il diritto tralascia. Così agendo, lamediazione sottolinea un elemento di importanza fon-damentale, quello del riconoscimento di una differen-za che da individuale si fa etica: i soggetti, nello spa-zio e nel tempo accogliente della mediazione, si rico-noscono diversi in quanto portatori di competenze,valori e vissuti, che possono intersecarsi in vista di unsapere condivisibile. Le sentenze proprie del processogiurisdizionale hanno natura dualistica e conduconoad un esito rigido ed intoccabile: ci sono vincitori evinti, rancori ancora cocenti, lacerazioni non ricucite.“La pace assicurata dal diritto, rimanendo alla super-ficie degli eventi, si dimostra carente sia sul pianoetico generale, sia su quello pratico dell’effettiva riso-luzione del conflitto: sul piano etico, non solo nonspinge i contendenti alla consapevolezza delle propriereali motivazioni ma non va oltre la mera tolleranza,senza pervenire a un vero riconoscimento dell’altro;sul piano pratico, confonde quasi sempre la verità conla vittoria, lasciando lo sconfitto solo col suo rancoree il suo desiderio di rivalsa”(6). Proprio per questo isentimenti che animavano il conflitto, invece di esseretrasformati, sono amplificati e rimasti inespressi sottola sofferenza e il senso di aver subito un’ingiustiziairreparabile. Forse, soltanto il percorso di mediazione,che offre un luogo sicuro per incanalare l’odio, l’ag-

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confronto serio e partecipativo per tutti i cittadini egli operatori del campo. La pratica clinica si evi-denzia, allora, come spazio d’elezione per l’assun-zione e la partecipazione responsabile ai processidecisionali nelle varie esperienze che li compongo-no. Il malato e gli operatori sanitari, insieme, ognu-no con le proprie conoscenze e competenze, lavora-no all’elaborazione di una cura personalizzata edindividuale che meglio risponda ai bisogni dellapersona. Ciò porta a chiedersi cosa si intenda vera-mente per “comprensione” di una persona malata,ovvero l’equità della salute e il benessere psico-fisi-co hanno a che fare non solo con uguali opportunitàdi cure per tutti, ma anche con la diversificazionedelle aspettative di ciascuno di fronte alla salute.(8)

La pratica clinica nella sua complessità si legge, dun-que, anche come atto etico e culturale oltre che pre-ventivo, diagnostico, clinico, genetico. Il malato refe-rente unico ed insostituibile del proprio potere deci-sionale, esperto della propria malattia, polo attivo edattento nel proprio processo di cura, dovrebbe esserecapace di esprimere bisogni e preferenze intorno alledecisioni terapeutiche che lo riguardano. A questo punto, la mediazione si declina, in ambitomedico-sanitario, come l’espressione di una sceltaautonoma non solo nei confronti di una cura, maanche in caso di conflitto con l’équipe medica. Molte-plici sono le cause di conflitto: dalla rottura di unafiducia, dal tradimento di una relazione, dalla delusio-ne e dall’amarezza di una collaborazione rovinata,fino all’inflizione di un danno come caso estremo.Spesso, il contenzioso giudiziario non lascia emergerequella quota di emozioni e sofferenze suscitate dallacomunicazione interrotta fra malato e operatori sani-tari. L’esito compromesso di una cura molte volte haa che fare con aspettative non colmate, con desideri disoluzioni non appagate. Credo che sia questo lo spa-zio entro il quale auspicare il percorso di mediazione:l’interrelazione fra le parti dove dare “via libera”all’espressione di sentimenti suscitati dal contenziosoin vista di una potenziale sua trasformazione. Non èsempre facile e possibile, per il personale sanitario,confrontarsi con l’eventualità dell’errore: lo spettrodella ghettizzazione, della sospensione e dell’esclu-sione dal lavoro viene vissuta come un marchio stig-matizzante molto pericoloso. Ma, se si riesce adaccettare l’idea della mediazione come l’occasione

privilegiata per un incontro libero e partecipato, adisposizione interamente delle parti, dove dall’e-sposizione dei fatti accaduti si arriva al riconosci-mento di un’umanità dolente, si accoglie una dellesfide più importanti dell’esistenza, quella del dialo-go. Il risultato della mediazione, frutto di un giocodi relazioni estremamente complesso, non è classi-ficabile come la somma dei singoli interessi, ma èriconducibile al cambiamento dei modi di comuni-care fra la parti interessate. Cambiamento che puntadirettamente alla ricostruzione e alla riparazione deirapporti sociali attraverso la riappropriazione dellemodalità decisionali e della condivisione delle scel-te degli attori coinvolti.La mediazione trova impiego, con metodologie eforme diverse, in gran parte del mondo. Gli StatiUniti sono il paese dove è maggiormente utilizzataanche in campo sanitario con applicazioni che si spin-gono fino alla gestione della malpractice. Chi arrivain mediazione nasconde sentimenti molto forti e vio-lenti, caratterizzati dal vissuto che non sia possibile“tornare indietro”, del “mai più come prima”(9). Lamediazione rappresenta, a questo punto, lo spazio piùaccogliente per cercare quelle spiegazioni che hannoportato agli eventi incancellabili ed indelebili chehanno modificato per sempre la vita del malato edella sua famiglia. Si chiedono i “perché” delle azio-ni, delle parole mal dette o negate, degli sguardi indif-ferenti, dei toni irrispettosi ed irriverenti. Parallela-mente a queste richieste, ci sono quelle del medico,che si sente “sotto accusa” e vive la responsabilitàdella vita del malato come un peso insopportabile,come un’angoscia insostenibile: il suo compito non siesaurisce nella manipolazione del corpo del malato –diventato oggetto pubblico – , ma richiede energie evolontà ben più ampie. All’interno della mediazione,malato e medico potranno ascoltarsi: il malato vedràche le sue sofferenze e il suo dolore non sono giudi-cate, né accantonate, ma riconosciute come vere ereali; il medico avrà l’occasione di manifestare il suopunto di vista e le ragioni della sua condotta. La tra-sformazione della relazione che lega le parti porta consé anche l’opportunità di una revisione dei motori chespingono i confliggenti in mediazione. Forse questo èil lato più ambizioso del progetto di mediazione: scar-dinare gli atteggiamenti differenti che connotano leparti (desiderio di “sapere come è realmente andata”,

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Note bibliografiche

1 - Bonafè-Schmitt, J.P. (1992), La médiation: une autre justice,Paris: Syros Alternatives, pp. 16-17.

2 - L’idea di mediazione non è assimilabile a quella di ADR, sullabase dello schema “conflitto – gestione – soluzione (eventuale)”.La mediazione cerca di creare un spazio condiviso per la mutuaresponsabilità fra le parti in vista di una eventuale trasformazionedel conflitto che le oppone. In più, la mediazione mira alla riaper-tura di una comunicazione interrotta dalla disputa che separa econtrappone i confliggenti.

3 - Foddai, M.A. (2003), Mediazione e postmodernità, in AA.VV.Lo spazio della mediazione, a cura di G. Cosi e M.A. Foddai,Milano: Giuffrè, pp. 61-62.

4 - Vorrei precisare che, per l’economia della trattazione, si parladi “mediatore” al singolare, ma nell’incontro di mediazione sonopresenti almeno tre mediatori, per meglio assicurare alle parti l’o-biettività e l’equidistanza dal conflitto.

5 - Resta, E. (2001), Giudicare, conciliare, mediare in AA.VV. Ilcoraggio di mediare, a cura di F. Scaparro, Milano: Guerini eAssociati, p. 50.

6 - Cosi, G., Foddai, M.A. (2003), op. cit., p. 7.

7 - Mazzucato, C. (2003), Mediazione e giustizia riparativa inambito penale. Fondamenti teorici, implicazioni politico-crimo-nali e profili giuridici, in AA.VV. Lo spazio della mediazione, acura di G. Cosi e M.A. Foddai, Milano: Giuffrè, p. 164.

8 - Crf. Sen, A. (1999), “Uguali e diversi” davanti alla salute, inKéiron, n. 1, giugno 1999, pp. 10-16.

9 - Mi riferisco qui ad alcune riflessioni sviluppate nelle lezioniche il prof. Ceretti tiene alla “Casa della Carità” a Milano, perl’anno 2005-2006.

rassicurazione che “ciò non accada più”, paura del-l’onere economico, “scampato pericolo” di unacitazione in giudizio…) che si incontrano per cerca-re insieme una nuova percezione e una nuovadimensione del problema.Lentamente e non senza fatica, forse, si vedrà lacondivisione e la comune consapevolezza di unpeso fino a quel momento portato in solitudine efatto di dolorose decisioni e di paure inespresse.Questo percorso segna la tappa fondamentale siaper rivedere le posizioni dei confliggenti all’internodel conflitto che li oppone, sia per riprendere unacomunicazione interrotta, portando, di conseguen-za, dove possibile, una soluzione condivisa allacontroversia. I tempi e i modi della pacificazionesono tutti da inventare e nascono da un accordocomune. Solo se il conflitto viene rielaborato puòripristinarsi un dialogo che può dar vita a proceduredi riparazione della vicenda che possono ancheessere puramente simboliche. Perché la stessa domanda di mediazione può essereconsiderata valida occasione per la pratica medica?Perché incontrare chi si ritiene responsabile deldolore infinito, del dramma che ha sconvolto lanostra esistenza?Le risposte a queste questioni possono leggersisotto una pluralità di punti di vista. La mediazionepuò essere strumento alternativo per risparmiarerisorse ospedaliere e sanitarie tagliando i costi degliinterminabili ricorsi giudiziari; può essere naturalee logica conseguenza di una governance clinicaspendibile anche soltanto in termini di efficienza equalità delle cure. Ma quello che credo sia piùimportante risponde alla declinazione della medici-na integrata che si situa nel nodo fra dimensionepubblica e privata della salute. In questo modo, lamediazione usata in ambito clinico può ridefinirel’opportunità che entrambi, malato e medico, hannodi essere responsabili verso la stessa relazione che liunisce.La responsabilità si delinea come un orizzonte disenso e di significato entro il quale esiste e si tutelala possibilità di scegliere non solo il proprio percor-so di cura, ma anche il procedimento che megliorisponde all’espressione del dissenso ragionevole incaso di conflitto sanitario.La mediazione quindi richiama una scelta consape-

vole, fatta da un cittadino competente e partecipe,disposto a mettersi in confronto con l’altro, interlo-cutore e referente primo della collaborazione tera-peutica. La medicina della complessità non dovreb-be perdere questa occasione che non è soltantoetica, ma assume connotazioni politiche nell’espli-citazione del progetto di cura come cammino aper-to, pronto ad essere rivisto e ridefinito secondo lenecessità e i bisogni di ciascuno.

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Chissà che cosa avrebbe detto il maestro Manzi: luiche aveva ideato una trasmissione Rai, “Non è maitroppo tardi”, rivolta agli ultimi della società del suotempo, gli italiani analfabeti o semianalfabeti lasciatiai margini dal turbinoso sviluppo industriale deldopoguerra. Chissà che cosa avrebbe detto il maestroManzi, morto solo pochi anni fa, davanti ai palcosce-nici luccicanti della televisione contemporanea, popo-lati da persone che fanno “audience”, ascolto - e dun-que portano in alto gli incassi pubblicitari della rete -proprio per le loro debolezze o fragilità di ogni tipo:fragilità culturali, intellettuali, psicologiche, fisiche,cliniche, economiche; “handicap” piccoli o grandi,seminascosti o tragicamente evidenti; “analfabetismi”individuali non più legati al testo di grammatica o alvocabolario di carta ma al vocabolario della vita,della salute, dell’integrazione sociale.L’ultimo caso, di questo inverno: due trasmissioni chehanno avuto come protagonisti dei giovani con la sin-drome di Down, intervistati, invitati a ballare e canta-re, o anche a una serie di “scherzi”: una delle due tra-smissioni, dopo le dure proteste di alcuni gruppi digenitori e ascoltatori, è stata poi cancellata per deci-sione della stessa conduttrice, Maria de Filippi (“Noncambio idea - ha dichiarato alla stampa - era giustoinvitare quei ragazzi e nessuno ha mai voluto offen-derli o deriderli, ma ho riflettuto sulle critiche e hodeciso di fare un passo indietro”). Ma altri genitori,ascoltatori e critici televisivi hanno invece approvatole iniziative, hanno respinto le critiche: così si è aper-to un dibattito arroventato e anche doloroso, a riprovadel fatto che nulla è così semplice e scontato, nel

mondo della comunicazione di massa, come invecepuò talvolta sembrare.La giustificazione offerta per la comparsa sul palco-scenico di persone con problemi, handicap o fragilitàdi ogni genere, è quasi sempre la stessa: lo si fa peraiutarli e per sensibilizzare la “gente” ai loro proble-mi, li si invita per farli sentire uguali a tutti gli altri. Esono, tutti, ospiti e figuranti “volontari”, apparente-mente felici di essere applauditi, compianti o anchesommersi dalle risate, pronti a firmare la rituale“dichiarazione liberatoria” che assolve da qualsiasiresponsabilità i dirigenti della televisione di turno.Ospiti “volontari” sì, obiettano in molti, ma oggettiva-mente “deboli” e potenzialmente indifesi davanti a unmezzo di comunicazione che è in sé “innocente”come tutti i mezzi di comunicazione: e che però èanche capace di profonde distorsioni e strumentaliz-zazioni; lo stesso mezzo dove il semplice lampo di unriflettore o il fruscio inavvertito di un microfono pos-sono trasformare una persona in bersaglio, in zimbel-lo, in oggetto di riso, di scandalo, o di smarrimento edisperazione.Se non firmano loro, gli ospiti “volontari”, perchéminorenni o giuridicamente incapaci, firmano i lorogenitori o comunque i tutori legali, e le spese vengonosempre pagate quand’anche non siano previsti deiveri e propri compensi: per la legge tutto è a posto,formalmente non vi è neppure un sospetto di reato odi imposizione. Ma il problema è sempre lo stesso:che cosa si può intendere davvero per libera responsa-bilità, per piena consapevolezza? Ed è un problema alquale forse il codice penale e civile, da solo, non può

Abbiamo già scritto che noi teniamo conto delle segnalazioni e richieste dei lettori i quali, al di là degli articolinaturalmente graditi ma connaturati alla rivista (il mondo medico e scientifico nel quale essa è nata e vive) sen-sibili al richiamo della vita di ogni giorno, ai fatti quotidianamente diffusi da stampa e televisione, gradirebberoin alcune pagine della Ca’ granda interventi ed eventualmente commenti appunto vicini alla materia del quoti-diano. Ospitiamo qui un contributo di Luigi Offeddu, inviato speciale del Corriere della Sera, con il nostro rin-graziamento.

LUIGI OFFEDDU

La telecamera deve anche difendere la dignitàe fragilità dell’uomo

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guinarietà; e possibilmente qualcuno dei legali o por-tavoce dello stesso imputato/a, tanto più graditi agliorganizzatori della trasmissione quanto più aggressi-vi, pittoreschi, chiassosi (il pensiero può correre subi-to al caso di Cogne, ma in fondo questo è stato solouno, fra decine e decine di drammi simili, approdatisul palco negli ultimi anni).Altro “ospite fisso”: la persona, irrimediabilmente solao accompagnata da coniuge e genitori, spesso giova-nissima, che si gioca la sua faccia, il suo presente e ilsuo passato sul palcoscenico, nel sogno di una “com-parsata” da velina, di quattro inquadrature ginecologi-che su un calendario o anche di un semplice ruolo dafigurante: una poltroncina fra il pubblico, un’inquadra-tura fulminea della telecamera durante venti secondi diapplauso, valgono anni di preparazione e sacrifici, tal-volta la rinuncia a un posto di lavoro “grigio” ma con-creto, a un corso di studio “normale” ma vero.Lo si può impedire tutto questo? No, e naturalmentenon sarebbe neppure giusto. Il pubblico è composto damilioni di cittadini, ognuno con il suo “diritto di tele-comando”. E ciascuno, è chiaro, deve essere libero didesiderare per sé quello che meglio crede: anche uncalendario, se la cosa gli - o le - garba. Né ha moltosenso fare del moralismo spicciolo, quando si parla diun mezzo così potente e invadente come la Tv.Tutto quello che si vorrebbe, però, è che si eviti l’usodella parola “cultura”, o “informazione”, o “giornali-smo”: specialmente quando davanti alle telecameresfilano casi che reclamano - consapevolmente, o no -pietà e attenzione per il loro vero o presunto disadat-tamento nella società dei videofonini cellulari, delleTv al plasma, del “benessere a ogni costo. Sul palco,a “esaminare” e “aiutare” questi casi, spesso si statutti insieme fra filosofi, giornalisti, cantanti, scienzia-ti, medici, politici, magistrati, poeti, tuttologi in gene-re: “tutti insieme, appassionatamente”, come diceva iltitolo di un vecchio film, insieme purché davanti allatelecamera.Ma non è cultura, non è giornalismo: “è la stampa,bellezza”, cioè “lo show”, cioè lo spettacolo, cioèl’audience, e il mercato degli spot pubblicitari, cherichiede prima di ogni altra cosa l’incasso. “È loshow, bellezza!”: e lo show non dice quasi mai “Nonè mai troppo tardi”, o “Questo è davvero troppo”, per-ché sembra avere regole assai diverse da quelle delmaestro Manzi. O anche, del presidente Ciampi.

offrire una risposta esauriente: entrano in gioco altricriteri, legati all’etica professionale dei mezzi dicomunicazione ma anche alla coscienza morale deisingoli, della famiglia, dei medici, di chiunque abbiauna sola parola da pronunciare in questi campi.Forse il maestro Manzi avrebbe detto quello che hadetto il presidente Carlo Azeglio Ciampi, proprio nelvivo della polemica sulle trasmissioni con i ragazziDown: basta, basta, o che almeno venga fissato unconfine fra telecamere, che protegga i più deboli.Ma quello dei ragazzi Down è solo un esempio fratanti. In realtà il fenomeno è molto più diffuso,profondo, radicato, in tutte le televisioni. E si connettedirettamente al dibattito sulla cosiddetta “realtà televi-siva”, cioè sul presunto trasferimento della vita reale,la vita di ogni giorno e della “gente” comune, davantiall’obiettivo di una telecamera. Si è discusso tantosull’ammissibilità morale e legale del “Grande Fratel-lo”, ma anche quella è una frontiera ampiamentesuperata, ormai lasciata alle spalle. Perché la logicaintrinseca del “Grande Fratello” ha ormai inzuppatomoltissime trasmissioni, anche quelle che si dichiara-no per principio e per tradizione lontanissime dal“Big Brother”.Forse è solo il classico gatto che si morde la coda -(forse basterebbe offrire qualcosa di diverso, e la cor-rente si invertirebbe?) - ma i dati sull’ascolto e sugliintroiti pubblicitari parlano chiaro: sono le presunte“storie vere” della presunta “reality Tv”, ad attirare ilgrande pubblico, e questo vale ormai per qualsiasicanale pubblico e privato.L’ospite preferito rientra ormai quasi sempre in cate-gorie ben definite: l’attricetta, con un passato più omeno salace, che racconta la sua conversione moraleo religiosa; il transessuale (o qualunque altro presunto“trasgressivo” dei costumi sessuali) che vuole consul-tare “la gente” sulle traversie della sua vita intima: lacoppia, dai 14 agli 85 anni, che vive il suo quartod’ora di celebrità confessando le proprie avventure dicorna e di letto; il politico che schiude i sipari dellasua “privacy”, meglio se imbarazzante o “trasgressi-va” ma sempre convenientemente arredata dal consu-lente personale per l’immagine; il sacerdote o il medi-co, sempre più di frequente, trasformato in intratteni-tore multi-uso; la vittima o il colpevole (o comunqueimputato-imputata) di reati che hanno ipnotizzato l’o-pinione pubblica per il loro grado di violenza e san-

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Ai giorni nostri pensare a germi, virus, batteri e paras-siti è normale. I media parlano di contagi, di micror-ganismi provenienti da altre nazioni, di epidemie, nemostrano immagini. Si pubblicizzano farmaci, siparla di prevenzione e di sistemi di protezione da pro-pagazioni di malattie infettive.La consapevolezza dei microrganismi e della loro tra-smissibilità tra persone, è una conquista recente cherisale a nemmeno centocinquanta anni orsono con ladivulgazione delle scoperte di Louis Pasteur (1822-1895) considerato, giustamente, benefattore dell’uma-nità e di Robert Koch (1843-1910). A fronte delle evi-denze di questi scienziati, anche le persone più scetti-che hanno dovuto ricredersi.

Ma la storia del modo in cui si trasmettono le malattieinfettive comincia molto tempo prima con grandiintuizioni di uomini straordinari che, sovente, hannopagato il loro intuito geniale con l’indifferenza, la dif-fidenza, l’ostracismo fino alla messa al bando.Se oggi si è portati a credere a qualsiasi novità, o pre-sunta tale, in campo medico-scientifico, nei secolipassati le cose nuove erano vissute come contrariealle leggi naturali, come una contraddizione a tradi-zioni millenarie o, a volte, contrarie alla morale o allareligione.La storia dei microrganismi e della trasmissione dellemalattie infettive è, per molti versi, istruttiva. Fa partedella storia della medicina, ma spesso è una storia dipregiudizi, di presunzione e di arroganza.Tre uomini in particolare, prima di Pasteur, si sonodistinti per genio ed intuizione. Uno fra essi, comevedremo, pagò il tentativo di salvare vite umane, afronte di ottusità e arroganza, col prezzo più caro pos-sibile: la propria vita.La prima intuizione tramandata per iscritto, geniale,risale al Rinascimento col fisico, astronomo, medico epoeta veronese Girolamo Fracastoro (1478-1553) cheipotizzò l’esistenza di organismi viventi invisibili,detti seminaria, ed abbozzò una teoria scientificasecondo la quale questi erano agenti di malattia: cor-puscoli che si trasmettevano o per contatto diretto oattraverso materiali o attraverso l’aria (è del 1546 ilcorposo trattato De contagione et contagiosis morbiset curatione). In quel secolo la dottrina dominantepropendeva più per l’idea di impurità dell’aria respi-rata (i miasmi) che per una trasmissione da uomo auomo, con una visione “magica” di infezione, diimpurità morali, di peccato originale, di colpa patoge-na o punizione divina. Non stupisce che le idee diFracastoro, troppo nuove, non avessero grande riso-nanza nel Cinquecento e venissero presto dimenticateed offuscate dalle dottrine a sfondo mistico del medi-co Paracelso.

Il contagio delle malattieUna lunga storia tra credenze, diffidenza e indifferenza

MARCO SEGALA

Louis Pasteur (1822-1895)

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nella stessa divisione, a seguito di un taglio accidenta-le riportato in sala anatomica, dove venivano praticatele autopsie, gli fece sorgere l’idea che la causa diquella terribile malattia si trovasse nel sangue e chefosse in qualche modo trasmissibile da persona a per-sona. Naturalmente curioso ed acuto osservatore, notòche nella sua divisione i medici e gli studenti eranosoliti andare ad assistere le puerpere passando diretta-mente dalla sala delle autopsie, mentre nella secondadivisione erano per lo più le ostetriche ad assistere lepartorienti che in entrambe le divisioni erano mante-nute comunque isolate tra loro. Arrivò quindi alla teo-ria che particelle di cadaveri potevano contaminare ilsangue attraverso le mani dei medici reduci dalla salaanatomica. Impose quindi il lavaggio delle mani atutti quelli che andavano ad assistere un parto posizio-nando una bacinella con un disinfettante (cloruro dicalcio) all’ingresso della divisione. Con questa impo-sizione, malvista dai suoi colleghi, ridusse la morta-lità della prima divisione di ostetricia ad una percen-tuale dell’1% (sovrapponibile a quella dell’altra divi-sione e dieci volte minore a quella precedente).

Soltanto il XVII secolo fu testimone, non consapevo-le, della scoperta di microrganismi: nel 1673 un mer-cante di stoffe che viveva in Olanda, VanLeeuwenhoek, descrisse, di fronte alla British RoyalSociety, le sue osservazioni ottenute con l'aiuto di unmicroscopio elementare, confezionato da sé. Per ilfatto che non lasciò copiare le sue tecniche e quindiverificare i suoi risultati ma, soprattutto, perché nonassociarono, a quel tempo, i microbi con le malattie(rapporto causa-effetto), bisognerà aspettare ancora200 anni prima che le cause infettive di alcune malat-tie venissero riconosciute.La vita del secondo, medico, è la più emblematica e,allo stesso tempo drammatica, nella storia delle sco-perte che hanno portato a definire la trasmissibilitàdelle malattie infettive. Il suo caso risale alla Viennadei primi dell’Ottocento. Qui arrivò il medico unghe-rese Ignaz Philipp Semmelweiss, nato a Buda nel1818, con l’incarico biennale di assistente di ostetri-cia. Presto rimase colpito dalla elevata mortalità dellepartorienti per sepsi puerperale nella divisione dovelavorava: dieci volte più alta rispetto alla secondadivisione. La morte di un amico, medico anch’esso

Girolamo Fracastoro (1478-1553)

Ignaz Semmelweiss (1818-1865)

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Nonostante questi risultati, la teoria di Semmelweisssulla causa della sepsi puerperale provocò addiritturascandalo tra autorità ospedaliere ed universitarie.Queste si rifiutarono categoricamente di accusare imedici di igiene insufficiente. La mancanza di cono-scenza sui microrganismi, la concezione tradizionaledella generazione spontanea delle malattie, le teoriesull’impurità dell’aria, i miasmi, quindi la mancanzadell’idea di contagio, unitamente al carattere impe-tuoso del medico ungherese ed il fatto che il lavaggiodelle mani venisse considerato oltraggioso dai medi-ci, costrinsero Semmelweiss a lasciare Vienna. Tornòallora a Budapest e trovò lavoro nella maternità del-l’ospedale. Ma anche qui le sue teorie non venneroben accolte trovando resistenze anche per il modo, avolte brusco, con cui imponeva le sue regole. Il colpofinale gli venne però inferto dalla pubblicazione, nel1861, della sua stessa opera: “L'eziologia, il concettoe la profilassi della febbre puerperale”. L'opposizionenei confronti di Semmelweiss divenne ancor piùagguerrita e venne aspramente criticato da tutto ilmondo accademico europeo al punto che venne

espulso anche dalla cattedra universitaria di Budapest. Stanco e deluso, cadde in un lungo periodo di depres-sione e nell’ultimo anno di vita cominciò a manifesta-re segni di squilibrio mentale. Venne fatto internare inun manicomio, dove poco dopo morì.Solo anni dopo la sua morte venne riconosciuto ilsuo lavoro: gli venne intitolata la clinica ostetrica diVienna e nel 1894 gli venne eretto un monumento aBudapest.Prima di Pasteur un altro uomo merita di essere ricor-dato: il medico inglese John Snow.Questi si trovò, studente in medicina, a Londra duran-te l’epidemia di colera del 1831-2 dove osservò, inospedale, molti pazienti colpiti dall’epidemia. Unaseconda epidemia di grandi proporzioni (15.000morti) colpì Londra nel 1848. Attento osservatore edanalizzatore dei dati raccolti, oltre che delle abitudinidei malati, radunò una serie di informazioni che loportarono a fare stampare nel 1849 una pubblicazionesul modo di trasmissione del colera dove affermavache la trasmissione avveniva da malato a sano permezzo di qualche “veleno”, anche a notevole distanzatra loro. Snow, in questa pubblicazione, ipotizzò l’ac-qua quale possibile via di trasmissione di tale velenoche poi si “moltiplicava” nella persona. La tesi diSnow contrastava quella corrente secondo la quale lemalattie venivano contratte per inalazione di esalazio-ni. Nel mondo scientifico le sue teorie vennero accol-te freddamente e fatte cadere alla stregua di infinitealtre teorie dell’epoca sul colera, prive, però, di qual-siasi fondamento scientifico.Già in occasione dell’epidemia del 1848 Snow notòche la diffusione della malattia era particolarmentealta in alcuni quartieri serviti da due società diapprovvigionamento idrico che si rifornivano diacqua dal Tamigi in una zona vicina al centro città.Ma fu con l’epidemia seguente, negli anni 1853-4,che a Snow si presentò l’opportunità, in condizionidrammatiche per la diffusione della malattia, di pro-vare le sue idee. Infatti egli osservò che le morti percolera erano nettamente inferiori nelle abitazioni ser-vite dalla società di rifornimento idrico che avevaspostato molto più a monte il prelievo di acqua dalTamigi rispetto a quelle registrate nelle case servitedall’altra società che continuava a prelevare acqua dalfiume in città. Una seconda ondata di colera, a tardaestate, proprio nel suo quartiere (attualmente Soho) lo

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John Snow (1813-1858)

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spinse addirittura a fare una mappa molto dettagliatadel quartiere nella quale vi riportava i decessi e lepompe di acqua con le rispettive società fornitrici.Dall’analisi di quella mappa, divenuta in seguito leg-gendaria, emergeva che la maggior parte di decessierano concentrati attorno ad una pompa pubblica (inBroad Street, dove oggi esiste il John Snow Pub checonserva, si dice, la maniglia originale della pompa).Snow riuscì ad ottenere la chiusura della pompa d’ac-qua in seguito alla quale si assistette ad una progressi-va riduzione dei casi di malattia sino alla sua estinzio-ne. Pur se l’epidemia era già probabilmente in via dirisoluzione spontanea, e pur essendo Snow convintoche la causa fosse da ricercare nei rifiuti, molto piùpresenti nel Tamigi del centro della città, il meticolo-so lavoro di analisi spaziale resta ancor oggi un validoesempio di metodo nell’approccio ad un problema diigiene pubblica.Pochi anni dopo Louis Pasteur, professore di chimicaall’università di Scienze di Lille dal 1854, studiandola fermentazione, stimolato dai produttori di bevandealcoliche di quella regione del nord della Francia,scoprì diversi microrganismi tra cui anche i batteri. Aquesto primo passo, cui seguì il noto processo dellapastorizzazione per eliminare i batteri indesideratidalle bevande, Pasteur diede un ulteriore importanteimpulso studiando l’origine dei batteri. Arrivò prestoa confutare la teoria dominante della generazionespontanea (per la quale le larve degli insetti, ad esem-pio, nascevano spontaneamente nella carne in putrefa-zione) e formulare una teoria generale sui germi pato-geni oltre che metterli in relazione all’origine e allosviluppo delle malattie. Il grande scienziato arrivòanche a dare i fondamenti della prevenzione con levaccinazioni. Nel 1888 fu fondato a Parigi l’IstitutoPasteur, diretto da Pasteur stesso fino alla morte; oggiè uno dei centri più importanti del mondo per la ricer-ca in biologia e genetica molecolare e per gli studisulle malattie infettive.Successivamente lo scienziato tedesco Robert Koch,Nobel per la medicina nel 1905, isolò e identificò gliagenti responsabili di una serie di malattie infettive(tra cui quello della tubercolosi detto bacillo di Koch),identificandone anche i vettori. Da allora la brancadella medicina che studia i batteri, la batteriologiamedica, ha avuto una continua ascesa fino ai giorninostri. Le scoperte di Pasteur e i postulati di Koch

hanno fornito non solo un metodo per dimostrareche microrganismi specifici provocano malattiespecifiche, ma anche un notevole impulso allo svi-luppo di quel ramo della scienza biologica che sioccupa dello studio degli organismi microscopici eultramicroscopici sia vegetali sia animali: la micro-biologia moderna.La strada dello studio delle malattie infettive e dellaloro prevenzione e cura, è stata molto lunga e dram-matica. L’insegnamento di questa strada complicata èche è stata ideata da uomini di grandi intuizioni egenio e sempre da uomini è stata resa particolarmentetortuosa, nonostante il vecchio precetto di Cartesio:“È bene non cader nella stortura di pensare che tuttociò ch’è contro le nostre consuetudini sia ridicolo, econtro ragione…” (René Descartes 1596-1650).

La pompa dispensatrice di morte (quotidiano londinese dell’epoca)

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PremessaProseguendo un filone di ricerca e di approfondimentoda tempo svolto in precedenti articoli pubblicati daquesta rivista, suggeriti dalla sua responsabile FrancaChiappa, che è tramite rispettoso, ma autorevole tra icontributi dei collaboratori e le attese dei lettori, rite-niamo opportuno riprendere il tema sempre attuale del-l’etica sanitaria, esaminandola nei suoi rapporti con ildiritto e l’economia.Tale scelta è motivata sia dalla recente pubblicazionedi interessanti studi in materia, ai quali faremo riferi-mento nella nota finale dell’articolo, sia dalla necessitàdi ritornare a un’etica riformata o rigenerata, con lamotivata convizione che il diritto senza etica sia uncorpo senz’anima (1), che il diritto postuli il primato del-l’etica e della politica sull’economia(2), che per unabuona medicina e per una buona economia occorrasempre una buona etica (3).Per evitare analisi complicate e offrire all’attento letto-re una panoramica essenziale, anche se documentata,cercheremo di rispondere all’assunto del primato del-l’etica sul diritto e sull’economia, analizzando a lar-ghe linee i seguenti passaggi: 1. principi etici; 2. per-sona umana e dignità; 3. diritto alla tutela della salutee dovere di solidarietà; 4. riforme sanitarie; 5. aziendesanitarie e ospedaliere; 6. risorse finanziarie e presta-zioni sanitarie; 7. operatori sanitari.Con tale disamina cercheremo di far emergere la tramadel nostro discorso, dimostrando che l’effettiva tuteladel diritto sociale alla salute di ogni cittadino nonrichiede certo un’artificiosa alternativa tra etica e dirit-to, tra etica ed economia, ma bensì una feconda intera-zione tra etica, diritto ed economia, che renda effettivoper tutti tale diritto.

1. Principi etici (4)

EticaDiciamo etica per designare un punto di vista sopra -individuale e morale per situarci al livello della deci-

sione e dell’azione degli individui, pur usandoindifferentemente l’uno o l’altro termine. L’etica simanifesta a noi, in maniera imperativa, come esi-genza morale. È stato acutamente osservato che “ilsuo imperativo nasce da una fonte interna all’indi-viduo che sente nella sua mente l’ingiunzione di undovere. Proviene anche da una sorgente esterna: lacultura, le credenze, le norme di una comunità. C’è,senza dubbio, una fonte anteriore, nata dall’organi-smo vivente, trasmesso geneticamente. Queste trefonti sono correlate come se avessero una falda sot-terranea comune” (5)..Ogni sguardo sull’etica deve considerare che la suaesigenza è vissuta soggettivamente, deve riconoscerein essa sia il carattere vitale dell’egocentrismo sia lapotenzialità fondamentale dello sviluppo dell’altrui-smo. Non si tratta, dunque, di trovare dei nuovi prin-cipi morali, di elaborare “un‘etica adattata al nostrotempo”, ma si tratta invece di “rigenerare l’etica”non per adattarci al nostro tempo ma, vista la caren-za etica del nostro tempo, per adattare il nostrotempo all’etica.

Riforma etica e istituzioni giuste La riforma etica, che ha bisogno di riattivare nellanostra coscienza e nella nostra personalità le poten-zialità altruistiche e comunitarie, è accompagnataperò sia dalla riforma della mente, attraverso l’edu-cazione, cioè “il lavorare a pensare bene” (Pascal)sia dalla riforma della società, cioè l’instaurarsi dinuove solidarietà; la regolazione del profitto; il pri-mato della qualità della vita; la tutela effettiva dellasalute; in sintesi, una convivialità.Aspirazione etica, cioè l’aspirazione a una vitabuona, significa una vita buona che si realizza con eper gli altri in istituzioni giuste (6), con la conseguenzache le riforme (etica, educativa e sociale) sono traloro interdipendenti e si alimentano le une con lealtre in un circolo virtuoso.

Etica, diritto, economia in sanità

GIANCARLO DAL SASSO

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l’O.N.U. (Parigi, 10 dicembre 1948), che afferma:“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali indignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e dicoscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spi-rito di fratellanza” (1) e, nell’ambito europeo, nellaCarta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea(Nizza, 7 dicembre 2000), che dispone: “La dignitàumana è inviolabile. Essa deve essere rispettata etutelata” (art. 1).

Diritti civili ed etico-socialiTra i diritti civili ed etico-sociali costituzionali dob-biamo ricordare: “il diritto alla libertà personale che èinviolabile (art.13 ); “il diritto sociale alla salute che èfondamentale ed è tutelato dalla Repubblica” (art. 32,comma 1°); “il diritto al rispetto della persona umananei trattamenti sanitari” (art. 32, comma 2°).I diritti della persona si realizzano mediante l’attivitàdi promozione/liberazione dello Stato sociale, ilquale trova il suo fondamento etico-sociale in treprincipi: 1 - il principio di solidarietà: che diventaanche inderogabile “dovere di solidarietà “(art. 2),nel senso che i cittadini si devono assoggettare alleiniziative dello Stato sociale dirette a garantire l’u-guaglianza sostanziale di tutti i membri della colletti-vità; 2 - il principio di sussidiarietà: la sussidiarietàcomporta che lo Stato trattenga soltanto le funzioniche, per la loro natura, sono incompatibili con ledimensioni degli altri Enti locali (Regioni, Province,Comuni), con un federalismo legislativo e ammini-strativo e con una fattiva collaborazione tra Stato eEnti locali, nonché tra pubblico e privato nei servizisocio-sanitari (art. 41; 119 Cost.); 3 - il principio diproporzionalità e/o ragionevolezza: pur nel doverosobilanciamento dei diritti e degli interessi sociali,significa in generale idoneità dei mezzi adottati aconseguire le finalità adottate e, in campo sanitario,idoneità delle risorse finanziarie per conseguire ilfine della tutela della salute nel sistema sanitario (10).

3. Diritto alla tutela della salute e dovere di solida-rietàDiritto alla tutela della saluteVale la pena di ribadire che il principio fondamentale- che ha ispirato sia la riforma sanitaria del 1978(con l’istituzione del servizio sanitario nazionale -SSN-, con l’organizzazione e la gestione territoriale

Va precisato però che mentre la riforma etica e quel-la educativa si fondono su un’auto-etica (che disci-plina l’egocentrismo e sviluppa l’altruismo) e un’au-to-educazione, la riforma sociale, pur recependo deiprincipi etici, è attuata mediante meccanismi giuridi-ci vincolanti. In pratica, tali auspicate riforme restano esortazionietiche se non realizzate con provvedimenti normati-vi, che sappiano trasformare i principi etici in dirittie doveri giuridici, le scelte economiche in doveri disolidarietà, con adeguati controlli sociali sulla loroconcreta attuazione (7).In altre parole, poichè l’ etica è problematica, fragile,modesta, disarmata nei confronti della scienza, dellatecnica, della politica, deve perciò essere rafforzata etutelata con norme legislative condivise, che, ispiratedall’umanesimo etico dell’universale rispetto reci-proco, riconoscano a tutti gli esseri umani gli stessidiritti (8).

2. Persona umana e dignitàNel vigente ordinamento costituzionale italiano ècentrale la posizione della persona umana, stante ilprincipio fondamentale del riconoscimento e dellagaranzia dei diritti inviolabili dell’uomo che vieneposto al vertice di detto ordinamento. La nostraCostituzione (Roma, 1 gennaio 1948), come delresto tutte le costituzioni democratiche moderne, èuna costituzione di valori, tra i quali primeggiaappunto il valore sostanziale della persona umana.In particolare, nella persona si mette in luce ladignità umana, cioè l’uguale dignità di ogni essereumano, sulla quale si fondono i diritti, riconosciuti egarantiti dalla carta costituzionale. Sul punto, è sufficiente ricordare l’art.2: “La Repub-blica riconosce e garantisce i diritti inviolabili del-l’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni socialiove si svolge la sua personalità ..”; l’art.3: “Tutti icittadini hanno pari dignità sociale”. ...Tale dignitàumana significa a un tempo sia rispetto di sé sia ilrispetto negli altri della medesima dignità che rico-nosciamo in noi...; con il motto “rispetta il prossimotuo come te stesso” ( 9 ).Il principio costituzionale italiano del riconoscimen-to e della garanzia della dignità umana ha trovatosignificativa conferma a livello internazionale nellaDichiarazione universale dei diritti dell’uomo del-

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della sanità affidata alle unità sanitarie locali) sia lesuccessive riforme sanitarie - è rimasto immutato edispone che: “La Repubblica tutela la salute comefondamentale diritto dell’individuo e interesse dellacollettività mediante il servizio sanitario nazionale eche la tutela della salute fisica e psichica deve avve-nire nel rispetto della dignità e della libertà della per-sona umana” (art. 1 della legge n. 833/1978).Va sottolineato che la dignità umana è il nucleoessenziale di ogni persona e che tale dignità è l’unitàdi misura, ragionevolmente accettata e generalmentecondivisa, per valutare la congruità delle risorsefinanziarie programmate.

Dovere di solidarietà sociale Tra i doveri costituzionali ci sembra opportuno sotto-linearne almeno due: il dovere di solidarietà e ildovere di concorrere alle spese pubbliche. Sul dove-re di solidarietà, che si fonda sul principio di ugua-glianza formale “tutti i cittadini sono eguali davantialla legge” (art. 3) e su quello di uguaglianza sostan-ziale “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”(art.3), è sufficiente ricordare che tale dovere riguar-da ogni cittadino ed è, nel contempo, compito delloStato sociale: 1 - “La Repubblica richiede l’adempi-mento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,economica e sociale” (art. 2); 2 - “È compito dellaRepubblica (Stato) rimuovere gli ostacoli di ordineeconomico e sociale, che, limitando di fatto la libertàe l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pienosviluppo della persona umana e l’effettiva partecipa-zione di tutti i lavoratori (cittadini) all’organizzazio-ne politica, economica e sociale del Paese” (art. 3).

Dovere di solidarietà economicaSul dovere di solidarietà economica, e cioè sul dove-re di pagare le tasse, l’art. 53 della Costituzione è diuna chiarezza cristallina: “Tutti sono tenuti a concor-rere alle spese pubbliche in ragione della loro capa-cità contributiva. Il sistema tributario è informato acriteri di progressività”.Ci sia consentito di commentare questa norma costi-tuzionale con tre semplici considerazioni: la primariguarda l’obbligo per tutti di pagare le tasse, cheperò diventa di fatto incentivo all’evasione fiscale,quando a livello legislativo si approvano periodicicondoni fiscali, pessimi sotto il profilo civico e quasi

nulli sotto quello finanziario; la seconda riguarda l’ob-bligo dell’equità e della progressività fiscale, che, ingenerale, sembra trovare attuazione con provvedimen-ti, da una parte iniqui e, dall’altra, progressivi sì, ma insenso contrario, cioè nel far pagare di più chi ha meno,con ben protetti paradisi fiscali, nazionali e internazio-nali; la terza riguarda la scandalosa tendenza a spreca-re le risorse finanziarie anche in sanità!

4. Riforme sanitarieTutela della saluteLe quattro riforme sanitarie via via approvate dal Par-lamento avevano e hanno lo scopo di meglio tutelare ildiritto alla salute fisica e psichica di ciascun cittadino edi tutta la popolazione, senza distinzione di condizioniindividuali e sociali, con servizi che assicurino l’egua-glianza dei cittadini nei confronti del servizio sanitario,nel rispetto della dignità e della libertà della personaumana (art. 1 legge 23.12.1978, n.833, prima riformasanitaria). Dopo la prima riforma sanitaria, che ha isti-tuito il Servizio sanitario nazionale (SSN), sono emersirilevanti problemi sia organizzativi che finanziari,determinati non dal garantire “tutto a tutti”, ma dallanecessità di assicurare a tutti i cittadini almeno “essen-ziali livelli di assistenza”, per rendere compatibile unaspesa sanitaria in crescita con un finanziamento sem-pre più razionato. Tali problemi sono stati affrontaticon le successive riforme.

Aziendalizzazione Con la seconda riforma (decreto legislativo30.12.1992, n.502) è stata riordinata la disciplinadella materia sanitaria, trasformando le unità sanita-rie locali in aziende sanitarie; con la terza riforma(decreto legislativo19.06.1999, n.129) sono stateapprovate norme per la razionalizzazione del SSNsia con il completamento dell’aziendalizzazioneanche ospedaliera sia con un maggior equilibrionella competizione tra strutture pubbliche e privatenel mercato sanitario; con la quarta riforma (decre-to-legge 18.09.2001, n.347, convertito con la legge16.11.2001, n.405) è stato avviato il federalismosanitario regionale, con distinti modelli regionalisanitari, autofinanziati dalle singole regioni, federali-smo completato con la riforma costituzionale del-l’art. 117 della Costituzione (approvata con la leggecostituzionale 18.10.2001, n. 3). Tale riforma federa-

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le dispone che la tutela della salute è “materia dilegislazione concorrente tra Stato e Regioni”, ma indetta materia “spetta alle Regioni la potestà legislati-va, mentre è riservata allo Stato” la determinazionedei principi fondamentali”.

Regionalizzazione Da tale quadro riformatore risulta con evidenza chein sanità la Regione sta diventando sempre più unaazienda unica (11), perché essa programma, organizza,finanzia e controlla le aziende sanitarie e quelleospedaliere. Si rileva che, nonostante tale regionaliz-zazione sanitaria, i mali che affligono l’organizza-zione e il finanziamento del servizio sanitario resta-no immutati, perché la spesa sanitaria pubblica è incontinuo aumento per ragioni demografiche e per icrescenti bisogni sanitari della collettività.

5. Aziende sanitarie e ospedaliereDefinizioniSi può definire l’azienda come “il complesso di beniorganizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’im-presa” (art. 2555 Codice Civile). In altri termini, sitratta di una forma organizzata di svolgimento diun’attività che impiega beni economici; è uno stru-mento tramite cui si perseguono delle finalità; fina-lità che possono essere economiche (nelle impreseper il profitto) e non economiche (come nel casodelle Usl, delle aziende sanitarie e degli ospedali cheforniscono un servizio pubblico ) (12).L’azienda sanitaria è stata definita un’azienda suigeneris, cioè un istituto etico di carattere pubblico, dierogazione di servizi, dotato di personalità giuridica,di un proprio sistema contabile e di un proprio siste-ma di responsabilità (13). In tale forma organizzativastrumentale si possono evidenziare almeno tre rap-porti: 1. rapporto etica - razionalità; 2. rapportogestione - clinica; 3. rapporto bisogni - risorse.

Rapporti 1. Rapporto etica - razionalità: occorre ricordare chel’etica è la scienza della condotta che si occupa deifini e dei mezzi necessari per raggiungerli, deducen-do gli uni e gli altri dal diritto alla tutela della salute(art. 32 Cost.). Tale diritto sociale, oltre a essere unrapporto fini/mezzi, è anche un movente morale, cherichiama i principi di equità, di uguaglianza, univer-

salità. La razionalità economica e l’efficienza orga-nizzativa (management) ha, invece, un movente bendiverso, cioè il risultato, condizionato dalla disponi-bilità delle risorse (14). L’azienda sanitaria pubblicadeve perciò affrontare una sfida difficile, perché devecontemporaneamente realizzare tre fattori, le cosid-dette “tre E”: efficienza (intesa come massima quan-tità di servizi sanitari resi con il minor impiego dirisorse): efficacia (intesa come risultati in termini disalute); equità (intesa come tutela della salute in casiconcreti) (15), coniugando efficienza e solidarietà, effi-cacia ed equità, senza sottomettere la solidarietàall’efficienza e l’equità etica all’efficacia, cioè dandola preferenza ai fini etico-sociali rispetto ai mezzieconomici.2. Rapporto gestione-clinica (clinical governance):la deontologia medica impone, come è noto, l’acco-glimento del “principio dell’alleanza terapeutica”, inbase al quale il medico svolge la funzione di garantedella difesa del diritto soggettivo dell’utente allatutela della salute.Il medico - manager o no - nel difendere tale dirittocon prestazioni adeguate, suggerite dalla scienza,esperienza, coscienza, è chiamato ad affrontare la que-stione dell’appropriatezza (il rapporto risultati/risorse),ma, troppo spesso, il medico deve subire una deci-sione presa dall’alto (direzione generale), senza alcu-na co-decisione, con l’assurda condizione di chi deverispondere dei risultati di decisioni a lui impostesenza il rispetto della sua autonomia e senza il suocoinvolgimento.3. Rapporto bisogni - risorse (management): lo stru-mento aziendale sanitario protegge il paziente con leclassiche forme dell’educazione, prevenzione, cura,riabilitazione. Le forme organizzative che offronoprestazioni sanitarie sono articolate, come sappiamo,in ospedali, dipartimenti, distretti, servizi, integrazio-ne delle competenze, mobilità, lavoro d’équipe, ecc.In questo quadro aziendalistico la priorità non è ilgoverno della spesa, che va ricondotto alla sua fun-zione strumentale, come strumentale è l’azienda, mabensì il modello di consumo, che poi determina laspesa (16).È quindi sul consumo sanitario che va posta partico-lare attenzione. In Italia si consuma male e si spendemale e, nello stesso tempo, si consuma troppo e sispende troppo, perché la spesa è conseguenza del

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consumo. In pratica, si verifica quanto segue: 1) a pocaprevenzione corrispondono troppe cure; 2) a pocamedicina interna segue troppa tecnologia; 3) a pocadiagnosi generale consegue troppo consumo farmaceu-tico, ecc.. A questo punto ci chiediamo: e se l’inversio-ne di tendenza fosse possibile anche mediante l’utiliz-zo di altre risorse a costo zero, rappresentate da unamaggiore educazione sanitaria e da una più diffusaetica sanitaria?

6. Risorse finanziarie e prestazioni sanitarie Livelli essenziali di assistenza (LEA)Occorre ricordare che con l’accordo Stato-Regioni,sottoscritto in data 22.11.01, sono stati definiti i livelliessenziali di assistenza (LEA), ossia quelle prestazioniritenute essenziali e garantite dal Servizio sanitarionazionale e dai sistemi sanitari regionali in modo com-pletamente gratuito o prevedendo una compartecizionealla spesa da parte dei cittadini. Con il decreto legisla-tivo n. 56/2000 il servizio sanitario risulta finanziatoper circa il 95% dalla fiscalità generale (tasse pagatedai cittadini), mentre la quota residua è rappresentatada altre entrate varie e straordinarie delle aziende sani-tarie. Le Regioni devono garantire i livelli essenziali diassistenza e provvedere con finanziamenti regionaliaggiuntivi alle eventuali ulteriori prestazioni non inclu-se tra quelle essenziali.Va tenuto presente che in base all’art.119 della Costitu-zione italiana “le Regioni - come le Province e iComuni - hanno autonomia finanziaria di entrata e dispesa… con risorse autonome, tributi ed entrate propri,in armonia con la Costituzione e secondo i principi dicoordinamento della finanza pubblica e del sistema tri-butario anche se la legge dello Stato istituisce un fondoperequativo, senza vincoli di destinazione, per i territo-ri con minor capacità fiscale per abitante”.

CostiPer quanto riguarda la previsione dei costi dei LEApossiamo ricordare che nel 2003 i costi sono stati di81.704.000 milioni di Euro circa, mentre il finanzia-mento del Servizio sanitario era di 78.565.000 milionidi Euro, con un disavanzo di 3.139.000 milioni diEuro; nel 2004 i costi sono stati di 87.798.021 milionidi Euro, mentre il finanziamento era di 81.837.290milioni di Euro, con un disavanzo di 5.961.175. milio-ni di Euro; nel 2005 i costi sono stati di 88.650.878

milioni di Euro, mentre il finanziamento era sempredi 81.837.290 milioni di Euro con un disavanzo di6.813.588 milioni di Euro (17). La salute della popola-zione ha certamente continuato a migliorare, aumen-tando la speranza di vita, ma questo non vuol dire chevi siano meno malati, anzi la tendenza all’invecchia-mento della popolazione indica che si vivrà di più macon più cronicità e quindi la spesa sanitaria sarà ten-denzialmente sempre in aumento (18), con una forbicecrescente tra il finanziamento approvato in via preven-tiva e la spesa a consuntivo.

Risorse finanziarie e priorità nelle cure sanitarieSul rapporto risorse finanziarie e bisogni sanitari ènecessario rammentare la sentenza della Corte Costitu-zionale (del 23.07.1992, n.356) che stabilisce: “In pre-senza di un’inevitabile limitatezza delle risorse finan-ziarie, non è consentito poter spendere senza limite,avendo riguardo solo ai bisogni, quale ne sia la gravitàe l’urgenza; al contrario, occorre commisurare la spesaalle effettive disponibilità finanziarie, le quali condi-zionano la quantità e il livello delle prestazioni sanita-rie, da determinarsi previa valutazione delle priorità edelle compatibilità e tenuto ovviamente conto dellefondamentali esigenze connesse alla tutela del dirittoalla salute” (19).Da tale pronunciamento qualche commentatore hadedotto che il diritto alla salute è un diritto finanziaria-mente condizionato (20), essendoci sempre una correla-zione tra possibilità di soddisfazione del diritto socialee mezzi a disposizione (21). Noi condividiamo, invece,l’interpretazione di chi ritiene che la Corte, pur senten-ziando tra diritto e disponibilità, non ha considerato ildiritto alla tutela della salute come un diritto finanzia-riamente condizionato (22).Sul problema delle priorità sanitarie e delle compatibi-lità finanziarie ci sembra doveroso puntualizzare il rap-porto tra diritto (aspettativa tutelata) alle cure sanitariee razionamento (riduzione) delle risorse finanziarie inbase al criterio fondamentale dell’equità (giustiziasostanziale).Anche il nostro Paese registra, purtroppo, un’emergen-za finanziaria, che ha imposto una priorità metodologi-ca: come ridurre la spesa sanitaria, con una “sorta diossessione finanziaria” (23), che ha condizionato il pro-cesso di riforma del servizio sanitario, anche se unacontrazione della spesa di fatto non si è verificata, per-

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ché i costi sanitari, pur essendo a consuntivo sempremaggiori rispetto ai bilanci preventivi, vengono allafine finanziati con provvedimenti di ripiano dei disa-vanzi accumulati (24).Nonostante alcune utili correzioni che hanno portato: auna razionalizzazione del sistema sanitario; a interven-ti restrittivi sul numero degli esenti; alla compartecipa-zione alla spesa sanitaria da parte degli utenti con ilpagamento di ticket su alcune prestazioni, il raziona-mento è divenuto realtà - con un’identica previsione difinanziamento per gli anni 2004 e 2005, pur essendociuna crescita di spesa - con effetti negativi in tema ditutela del diritto alle cure e di equità sanitaria.Il problema delle priorità nelle cure sanitarie non puòessere risolto soltanto con scelte politico - amministra-tive (nazionali e regionali), ma richiede la sinergia ditre centri decisionali, determinanti in sanità: i politici,che devono garantire risorse ed efficienza compatibilicon la solidarietà; i medici, ai quali spettano giudizi diefficacia degli interventi; gli eticisti, che intervengonosulle questioni etico-sanitarie problematiche. Si impo-ne quindi il superamento del muro d’ incomunicabilità,tuttora esistente, tra i soggetti operanti in sanità, conuna nuova progettualità, che sappia coordinare etica erazionalità economica, bisogni sanitari e risorse sanita-rie in un quadro normativo, coerente ed equo.

7. Operatori sanitari Compiti e impegni Vanno certamente ottimizzate anche le indispensabilirisorse personali, impegnate in sanità: in tal senso ènecessario sviluppare le capacità degli operatori sanita-ri e rispettare le loro competenze professionali. Il loroprezioso ruolo nell’espletamento di compiti e nell’as-sunzione di impegni, svolti in generale con autonomiadecisionale e responsabilità personale, deve trovare sulpiano economico adeguate ricompense e gratificantiattribuzioni (25). È stato evidenziato che gli operatorisanitari sono, nel contempo, agenti morali che mettonoal centro non soltanto le loro azioni, compiute concompetenza e disponibilità, ma la loro stessa persona-lità morale (26).

Etica della responsabilitàSi ritiene opportuno suggerire che nell’ambito dellaformazione universitaria degli operatori sanitarivenga riservato un adeguato spazio didattico all’etica

professionale, che si potrebbe definire etica dellaresponsabilità. Nell’ambito dell’etica privata, ciòsignifica che ciascuno deve misurare le conseguenzedelle proprie azioni sotto il profilo del rispetto edello sviluppo dell’altro. Nell’ambito dell’etica pub-blica, più che un’arsenale di principi, regole, essa èun insieme di chiamate in causa di tutti coloro chepretendono di agire in nome di una collettività (27).Per restare in campo sanitario, riteniamo sia urgenteun recupero di etica della responsabiltà sia degliamministratori, specie pubblici, che degli operatorisanitari in generale e dei medici in particolare. È statoautorevolmente affermato che “la tradizione del buongoverno agevola la vita dell’ospedale e fa della saggez-za amministrativa e del rispetto dei beni uno dei punticardine non solo della buona amministrazione, maanche del servizio all’uomo e al cittadino” (28).Un chirurgo italiano di fama mondiale, specialista intrapianti d’organo, trattando del mestiere del medicotra missione e disincanto, ha osservato: “Incalzatodalla tecnologia, controllato dalle esigenze economi-che e di bilancio, trattato con sospetto dai pazienti, ilmedico appare oggi in balia di una crisi profonda ediffusa, la missione perde terreno, gli ideali appassi-scono. Nella pratica quotidiana molti medici tendonoa chiudersi in un guscio, lavorano per aumentare gliintroiti, si limitano alle poche attività che danno sod-disfazione, allontanandosi però dal vero senso dellamedicina. È drammatico assistere alla perdita deivalori umani della medicina. E se è davvero così, checosa resta della missione? Dove sono andati a finire iprincipi della cura dell’uomo, dell’empatia, del dialo-go, dell’umanità?(29).Per recuperare tali valori è quindi necessario legare ilprogresso cognitivo al progresso morale, con la siner-gia di due forze: la razionalità (comprensione) e la pas-sione (compassione) nonché la sinergia di due coscien-ze: la coscienza intellettuale e la coscienza morale (30).

Deontologia professionalePer i professionisti sanitari - come abbiamo già messoin evidenza in un precedente articolo (31) - un’etica dellaresponsabilità si rigenera anche attraverso la deontolo-gia professionale, intesa come “l’insieme delle regolemorali che disciplinano l’esercizio di una determinataprofessione”. Mai come oggi, nella tormentata e con-traddittoria epoca che stiamo vivendo, “vi è stato tanto

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bisogno di deontologia” (32). Si potrebbe dire che questaè la stagione dei codici deontologici, via via ripensati eaggiornati, al fine di offrire punti fermi al professioni-sta sanitario, specie con il progressivo venir meno diun’etica unanimemente condivisa, con la definizione diregole deontologiche, che, per l’operatore professiona-le sanitario, sono legittima fonte e garanzia della suaidentità, definendone la responsabilità, scolpendone ladignità, presidiandone l’autonomia” (33).

ConclusioneNel chiudere questo itinerario di ricerca sull’affasci-nante tema dell’ etica e dell’economia in sanità, rite-niamo di poter colmare lacune e limiti, riprendendo ilpensiero del cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovodi Milano, espresso con lucidità intellettuale e con sag-gezza pastorale in occasione della Festa del Perdono2005 della Ca’ Granda (24 maggio 2005 ): “Se è veroche il momento culturale attuale è segnato da unagrave crisi di senso, si deve riconoscere che proprioquesta stessa crisi, per i suoi esiti negativi e talvoltadrammatici, esige un di più, un supplemento di razio-nalità, meglio un supplemento di coraggio e di auda-cia… con scelte concrete che esprimano il valore dellasolidarietà e la sua centralità sociale e civile” (34).

10 - Caferra V.M., opera citata, pagg. 43-44

11 - Cavicchi I., Sanità, Un libro bianco per discutere, EdizioniDedalo, Bari, 2005, pag.224

12 - Borgonovi E., Sul concetto di azienda sanitaria occorre farechiarezza, in,” Mecosan”, n.9/1994

13 - Cavicchi I., opera citata, pag.316

14 - Cavicchi I, opera citata, pag.108

15 - Sacchini D., Sistemi- sanità: una lettura “integrata”, in Eticae giustizia in sanità, opera citata, pagg. 92-96

16 - Cavicchi I.,opera citata, pagg. 110-112;130;303

17 - Il Sole-24 Ore Sanità, n.25/2004, indicato da Cavicchi I.,opera citata, pag.162

18 - Cilione G., Diritto sanitario, Maggioli Editore, 2003, pag.241

19 - Cilione G., opera citata, pag.26

20 - Ferrara, Salute (diritto alla salute), Voce del Digesto discipli-ne pubblicistiche, Torino, 1997, pag.530

21 - Onida V., Diritto alla salute e risorse disponibili, in Prospet-tive sociali e sanitarie,1996, Milano, n.21-22, pag.20

22 - Cavicchi I., opera citata, pag.161

23 - Zamagni S., Equità, razionamento, diritto alle cure sanitarie,in Medicina e Morale, Roma, n.2005/5, pag.348

24 - Cilione G., opera citata, pag.240

25 - Cavicchi I., opera citata, pag.330-331

26 - Pessina A., Operatori sanitari come agenti morali, in Etica egiustizia in sanità, opera citata, pag.24

27 - Viano C.A., Etica pubblica, Editori Laterza, Roma-Bari,2002, pag.116

28 - Martini C.M., L’Ospedale Maggiore nel nuovo millennio:un’antica istituzione milanese a servizio della persona. Aprirealla speranza, Milano, 26 marzo 2001, pubblicazione a cura del-l’Ospedale Maggiore per la Festa del Perdono 2001, pagg.10-11

29 - Marino I.R., Credere e curare, Giulio Einaudi editorre, Tori-no, 2005, pagg..86-88

30 - Morin E., opera citata, pagg.8;202

31 - Dal Sasso G.C., Riscoprire la dignità della persona umana,in la ca’granda, Milano, n.1/2005, pagg. 21-26

32 - Busnelli F.D., Prefazione a Il Codice di deontologia medica,Milano, Giuffrè, 1996, pag.IX, citato da Oppes M., Quale futuroper la deontologia medica?, in Medicina e Morale, n.2005/5,Roma, pag.3.

33 - Barni M., Diritti-doveri-responsabilità del medico, dallabioetica al biodiritto, Giuffrè, Milano, 1999, pag.15

34 - Tettamanzi D., La Ca’ Granda, ospitalità e speranza, in laca’granda, Milano, n.2/2005, pagg. 15-17.

Bibliografia

1 - Sgreccia E., Congresso nazionale della società italiana per labioetica e i comitati etici su “Comitati etici e giustizia nel sistemasanità” (Roma, 9 aprile 2005), in Medicina e Morale, 2005/2,pag.460

2 - Caferra V.M., Diritti della persona e Stato sociale, Il dirittodei servizi socio-sanitari, Zanichelli, Bologna, 2003 ,pag.53

3 - Spagnolo A.G., La relazione medico-paziente nella sanitàaziendalizzata, in Etica e giustizia in sanità, Questioni genera-li, aspetti metodologici e organizzativi, McGraw-Hill, Milano,2004, pag.180

4 - Morin E., Il metodo 6. Etica, Raffaello Cortina Editore, Mila-no, 2005. Da tale opera, un capolavoro in materia, di cui consi-gliamo la lettura, abbiamo ampiamente attinto per la stesura delparagrafo, “Principi etici”.

5 - Morin E., opera citata, pag.3

6 - Ricoeur P. in Morin E., opera citata, pag.3

7 - Caferra V.M., opera citata, pag.53

8 - Morin E., opera citata, pagg.199-201

9 - Zagrebelsky G., Imparare la democrazia, La Biblioteca diRepubblica, Roma, 2005, pag.48

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Nel febbraio di quest’anno, durante il lancio di uncd a favore delle ricerca contro la malattia diParkinson, un noto cantautore italiano - che dellasua malattia non ha mai fatto segreto - ebbe adire: “Quando da giovane ho cominciato a canta-re la mia voce tremava. Ora, invece, è una spadache uso come una clava”. Il celebre cantautoreaggiunse senza esitazione: “Il canto è una formadi cura contro il Parkinson. Il continuo esercizioha migliorato la mia voce e, nel contempo, hafatto sentire meglio anche me”.Può il canto - se eseguito sotto la guida di riedu-catori esperti - integrarsi con la logopedia tradi-zionale? È questa la domanda che ci siamo posti quandoabbiamo iniziato uno studio pilota sulla “Cantote-rapia”. Oggi, a distanza di circa due anni dall’ini-zio dei lavori di ricerca, possiamo affermare chela Cantoterapia ci sembra un trattamento utile epossibile, non solo per i comprovati risultati posi-tivi sulla capacità comunicativa del paziente ma,soprattutto, perché tale metodica ha ripercussionifavorevoli sulla vita relazionale e sociale dellepersone con Parkinson.

Parkinson: cos’è?

La malattia di Parkinson - descritta per la primavolta dal medico inglese James Parkinson in unlibretto intitolato “Trattato sulla paralisi agitante”pubblicato nel 1817 - colpisce più di 220.000 perso-ne in Italia. È una malattia cronica che toglie pro-gressivamente autonomia a chi ne è colpito: movi-menti involontari eccessivi, blocchi motori improv-visi, tremore e rigidità, difficoltà di parola, depres-sione ed allucinazioni sono solo alcuni dei problemiche il malato quotidianamente si trova ad affrontaree con i quali deve imparare a convivere. Per quanto riguarda l’epidemiologia, si segnala chela malattia di Parkinson si riscontra più o menonella stessa percentuale nei due sessi ed è presentein tutto il mondo. I sintomi possono comparire aqualsiasi età anche se un esordio prima dei 40 anniè insolito e prima dei 20 è estremamente raro. Nellamaggioranza dei casi i primi sintomi si notanointorno ai 60 anni. Sotto il profilo neuropatologico, la malattia diParkinson consiste in un disturbo del sistema nervo-so centrale caratterizzato da degenerazione di alcu-ne cellule nervose situate in una zona profonda delcervello denominata sostanza nera. Queste cellule

Malattia di ParkinsonLa voce del parkinsoniano può migliorare grazie alla Cantoterapia?LIVIO BRESSAN

Il presente articolo espone in modo divulgativo i risultati parziali di uno studio pilota condotto dall’autore LivioBressan, e dalla specializzanda in Neurologia presso l’Ospedale S. Raffaele di Milano Daniela Ceppi su pazientiseguiti presso il reparto di Fisioterapia del CTO di Milano (Istituti Clinici di Perfezionamento), con la supervi-sione del locale Centro Parkinson, e del Centro Diurno Integrato ACLI-Torpedone di Cinisello Balsamo.Nel corso delle prime sperimentazioni i pazienti portatori di malattia di Parkinson sono stati affidati ad undocente di canto con esperienza nella rieducazione vocale (Ambra Noè) o ad una logopedista tradizionale(Alessandra Basili). Attualmente il lavoro di ricerca sta proseguendo e il gruppo di lavoro si è arricchito conl’inserimento di due musicoterapiste con esperienza nel settore della Cantoterapia individuale (RaffaellaGentile) e corale (Santa Infantino).In sintesi, la rieducazione della voce mediante il canto può rappresentare per i pazienti con malattia diParkinson un metodo efficace e ben tollerato per recuperare un’emissione vocale forte e chiara con ricadutepositive anche sulla vita relazionale.

Sulla pagina accanto: Medici e malati, da un’antica stampa dellaRaccolta Bertarelli

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tiva o complementare - si pongono il fine ultimo dialleviare la sofferenza dei malati di Parkinson concui si deve stringere le necessarie sinergie per scon-giurare l'isolamento e per combattere quel senso diimpotenza che prende sia i malati che le loro fami-glie.Il nostro utilizzo della medicina complementare(recenti dati dell’OMS indicano che il 15% degliitaliani ricorre alla medicina complementare alme-no una volta all’anno) non è acritico, bensì vienecontinuamente suffragato dall’utilizzo di vari stru-menti metodologici finalizzati ad approfondire leconoscenze relative alle medicine complementari danoi utilizzate, nell’intento di acquisire criteri disicurezza ed efficacia in grado di tutelare tanto inostri malati di Parkinson, quanto gli operatoristessi. D’altra parte, siamo convinti che sia “etica-mente inaccettabile” sostenere nuove pratiche tera-peutiche, se la loro sicurezza ed efficacia non è parialmeno a quella di altre terapie disponibili. Pertanto, il presente lavoro sulla “Cantoterapia” siinserisce nel contesto più ampio del “Metodo” chel’autore del presente lavoro ha realizzato con l’aiutodei suoi collaboratori e che cerca di integrare alcuniaspetti della medicina complementare con quellidella medicina scientifica tradizionale e che vuolecostituire un primo contributo clinico-sperimentalea favore delle persone con Parkinson, disponibiletuttavia, a modificarsi con l’innesto di nuove idee eulteriori contributi scientifici.

Problemi di parola nella malattia di Parkinson

Parlare è un’attività motoria che implica meccani-smi altamente specializzati dei muscoli che control-lano la respirazione, la fonazione, l’articolazione ela prosodia. Nella malattia di Parkinson le altera-zioni della voce sono dovute ad un alterato coordi-namento di tali muscoli. I sintomi a carico dell’ap-parato fonatorio che si possono manifestare comeconseguenza di queste alterazioni sono: indeboli-mento del volume della voce; affievolimento dellavoce; monotonia del timbro con espressione pove-ra; peggioramento progressivo della qualità dell’e-loquio; pronuncia indistinta delle parole; progressi-va accelerazione del ritmo; involontaria esitazioneprima di iniziare a parlare; ripetizioni incontrollatedi parole, frasi e periodi.

producono il neurotrasmettitore dopamina, che èresponsabile dell'attivazione di un circuito che con-trolla il movimento. Con la riduzione di almeno il50% dei neuroni dopaminergici viene a mancareun'adeguata stimolazione dei recettori delle stazionidi arrivo nello striato. Per quanto riguarda la sintomatologia clinica, lamalattia di Parkinson è una patologia ad evoluzioneprogressiva che si arricchisce nel suo decorso dinumerosi sintomi, al punto tale che ne sono statielencati oltre 45. I sintomi cardinali della malattiadi Parkinson, facilmente riconoscibili sul piano cli-nico, variamente combinati fra di loro sono: rigi-dità, bradicinesia, tremore, instabilità posturale,disturbi psichici e altri sintomi accessori. La terapia è volta a recuperare al meglio la funzio-nalità motoria e deve essere adattata alle caratteri-stiche della vita e delle attività quotidiane di ognipaziente. I rimedi terapeutici attuali sono in gradodi correggere i sintomi, ma non di guarire la malat-tia definitivamente. La terapia deve includere tratta-menti sia di tipo farmacologico che non farmacolo-gico. La terapia farmacologica si basa sull'utilizzodi quei farmaci che si dimostrano in grado di con-trollare i sintomi primari della malattia di Parkin-son. Vengono privilegiati i dopaminoagonisti nelleprime fasi di malattia, mentre successivamente siintroducono levodopa e tutti gli altri farmaci neces-sari. L'obiettivo è quello di raggiungere un buoncompenso della sintomatologia con le dosi di far-maco più basse possibili.

Come prendersi cura delle persone con Parkin-son?

Poiché per l’OMS la salute non è la semplice assen-za di malattia, ma è un tripode di benessere fisico,mentale-affettivo e sociale e la qualità di vita è ungiudizio individuale e soggettivo, mutevole neltempo, abbiamo voluto porre in primo piano l'im-patto fisico, psicoemozionale e sociale della malat-tia di Parkinson dal punto di vista dell'individuomalato ed abbiamo ideato un insieme coordinato diinterventi rieducativi, assegnando le priorità in fun-zione delle ripercussioni di tali interventi sulla qua-lità di vita del paziente. Tali interventi riabilitativi -che si basano su di una armonica integrazione tramedicina scientifica e medicina cosiddetta alterna-

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Una difficoltà nel parlare insorge in circa la metàdelle persone affette da malattia di Parkinson. Lemodificazioni nell’abilità a comunicare possonosfociare nella tendenza a stare soli che può portareall’isolamento sociale. Non solo, molti malatihanno descritto le difficoltà del linguaggio come ilsintomo parkinsoniano più debilitante in quantorende incapaci di comunicare efficacemente e, inalcuni casi, limita le opportunità lavorative.I farmaci usati abitualmente nella terapia dellamalattia di Parkinson (come levodopa e dopaminoa-gonisti) spesso migliorano il volume e la chiarezzadella voce, anche se da soli non sono sufficienti permantenere nel tempo queste caratteristiche positive.

Il canto può diventare una cura?

La rieducazione della voce attraverso il canto puòrappresentare un metodo efficace per migliorare lavoce. È questa la conclusione di uno studio pilotacondotto dal nostro gruppo di lavoro a cui ne stannoseguendo altri ancora in corso. Senza entrare nella descrizione dei particolari tecni-ci - stante la funzione puramente divulgativa del-l’intervento presente – vogliamo solo segnalare chei pazienti sono stati suddivisi in due gruppi omoge-nei di cui il primo è stato casualmente assegnatoalla logopedia tradizionale, mentre il secondo èstato affidato ad una docente di canto con titoli edesperienza nel settore della rieducazione vocale,che ha applicato alcune tecniche precedentementeideate e concordate con lo scrivente. Al termine del trattamento, i risultati dei due diversischemi rieducativi sono stati valutati da tre medicispecialisti esperti nella diagnosi e cura della malat-tia di Parkinson, ignari del tipo di trattamento. I trespecialisti hanno ascoltato per ogni paziente dueregistrazioni della lettura di un “brano bilanciato”effettuata prima e subito dopo il termine del ciclorieducativo. Secondo il loro giudizio logopedia tra-dizionale e cantoterapia hanno ottenuto risultatipositivi qualitativamente diversi ma praticamentesovrapponibili sotto il profilo riabilitativo globale.Tuttavia, l’esame dei risultati ottenuti con alcunescale di misurazione della qualità di vita (LSI, IQ-39), ha evidenziato che la Cantoterapia ottiene,rispetto alla logopedia tradizionale, un netto miglio-ramento della vita di relazione, essendo nettamente

favorita nel recupero dell’espressione facciale,nell’aumento dell’autostima e nella elevazione deltono dell’umore.

Le sedute di Cantoterapia individuale e corale

Cantoterapia individuale. Attraverso esercizi indi-viduali e mirati sulla persona e che prevedono l’uti-lizzo sistematico di stimoli ritmico-melodici lanostra docente di canto coadiuvata da una musico-terapista e da una logopedista, cerca di riequilibrarei muscoli coinvolti nella fonazione e nell’articola-zione del linguaggio con il fine ultimo di aumentareil volume della voce, di migliorare l’intonazionemelodica, di scandire l’articolazione delle parole edi incrementare la mimica facciale. In sintesi, taliesercizi, attraverso scansioni ritmiche sequenziate,la corretta respirazione diaframmatica e la sommi-nistrazione di esercizi cantati arricchiti da scalediatoniche e cromatiche nonché da arpeggi e brevimelodie, mirano a sostituire progressivamente gliautomatismi perduti dell’apparato bucco-fonatoriocon altri movimenti semplici ma coordinati ed incorretta sequenza.

Cantoterapia corale. La rieducazione col canto,inoltre, ben si presta a tecniche ed a esercizi collet-tivi che mantengono, o addirittura migliorano, i rap-porti relazionali dei malati di Parkinson, spessosmorzati da disturbi depressivi frequenti in questamalattia. Il canto corale, nella nostra esperienza, siè dimostrato in grado di fornire uno stimolo dellecapacità cognitive, sfruttando, nel contempo, lecapacità creative ed emozionali delle persone mala-te. Infatti, il canto può costituire un’occasione dipotenziamento mnestico attraverso il richiamo dicanzoni familiari e con l’apprendimento e la ripeti-zione di melodie presentate ai pazienti per la primavolta. Però, il canto corale è soprattutto in grado diagire sul tono dell’umore dei malati e di incideresulle loro motivazioni, aiutandoli, in definitiva,nella loro vita di relazione. Il canto corale, infatti, inquanto attività di gruppo, enfatizza la socializzazio-ne, l’integrazione nell’ambiente, l’espressione deisentimenti, la consapevolezza di sé. Non solo, attra-verso il canto corale ogni paziente può ricostruire lapropria “biografia sonora” cantando, insieme aglialtri membri del gruppo, temi legati ad un particola-re periodo della propria vita passata.

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Conclusioni

Le esperienze positive provate con la Cantoterapiaindividuale e corale motivano i pazienti non solo apartecipare al trattamento stesso, ma anche ad usarele loro nuove capacità vocali nell’eloquio funziona-le quotidiano al di fuori delle sedute terapeutiche,promuovendo la socializzazione. Anche l’espressione facciale ne ha tratto giovamen-to con l’esercizio a sorridere, aggrottare le sopracci-glia e sogghignare. Anche se questi aspetti fisiono-mici non hanno influenza diretta sul linguaggio, icambiamenti dell’espressione facciale sono impor-tanti per accrescere la capacità di comunicare inmodo efficace. Inoltre, gli esercizi proposti durante le sedute di Can-toterapia hanno indotto anche a risolvere le conse-guenze comportamentali di un eloquio difficoltoso,come la paura di affrontare gli altri, ridando autosti-ma, affermazione di sé, coraggio ed allegria. Non solo, attraverso il canto ogni malato può entra-re in contatto con il proprio corpo. Ovvero, attraver-so le note gravi, può percepire le vibrazioni sonorenel petto e nel ventre, mentre con le note più acutepuò sentire le vibrazioni nel palato e nella fronte. Inaltre parole, attraverso il canto, il paziente puòamplificare il contatto con il proprio corpo prenden-do coscienza di parti “nascoste” del proprio appara-to respiratorio e bucco-fonatorio.Però non va dimenticato che il fine della Cantotera-pia (in particolare della Cantoterapia corale), non èsolo riabilitativo, ma è anche quello di promuoverela socializzazione, l’integrazione nell’ambiente, l’e-spressione dei sentimenti, la consapevolezza di sé.Ovvero, la seduta di Cantoterapia ha lo scopo di farcapire alla persona malata che i problemi del lin-guaggio non devono impedire la comunicazionecon la famiglia, con gli amici, né devono creare unisolamento sociale.Per concludere, la Cantoterapia individuale ecorale, ci sembra un trattamento utile e possibile,non solo per i comprovati risultati positivi nella capa-cità comunicativa del paziente, ma, soprattutto, per-ché tale metodica ottiene ripercussioni positive sullavita relazionale e sociale dei pazienti con Parkinson.

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Asterisco

Pellegrini

Viene il giorno in cui ci si stanca deiviaggi come ci si è stancati dei libri;in cui ci si stanca dei vivi come ci si èstancati dei morti. Per un impulsonaturale, che è soltanto bello, e ancherassicurante, ci si distacca da tutto ciòche si è conosciuto, da tutto ciò che siè posseduto; questi due termini nonsono sinonimi soltanto nella Bibbia.Mi sforzo, nell’attesa di fissare inqualche immagine definita il dupliceinsegnamento di visioni che passanoe di un Io non meno passaggero. Nonè detto che un popolo possa fallire lapropria vita; se è sventurato, ha isecoli per rifarsi; le personalità fittizienon conoscono la morte, e il loro ten-tativo può durare quasi quanto laterra. Ma noi abbiamo una sola vita;se anche avessi fortuna, se anche rag-giungessi la gloria, di certo sentirei diavere perduto la mia, se per un sologiorno smettessi di contemplare l’uni-verso. Arriva abbastanza presto ilmomento in cui, ricchi, appagati, sod-disfatti di noi stessi, indifferenti atutto ciò che prima ci dava pena o ciappassionava, noi cessiamo di vivere,per non fare altro che esistere.

MARGUERITE YOURCENAR

(Da Pellegrina e straniera, Einaudi, Torino1990)

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Nel quadro di una sempre più accentuata atten-zione al sociale, l’ALDAI (Associazione Lom-barda dei Dirigenti di Aziende Industriali) hasottoscritto recentemente con il Policlinico diMilano, una delle più prestigiose istituzioni pub-bliche della città ed un centro di eccellenza perla salute, un innovativo accordo che può portarea proficui risultati nell’interesse della Istituzionee dei cittadini.L’ALDAI è la più grande associazione territoria-le di dirigenti industriali in Italia ed è membrodella Federmanager, la confederazione delleassociazioni territoriali presenti su tutto il terri-torio italiano.Essa raccoglie sia i dirigenti in servizio che quel-li in pensione. I dirigenti in pensione costituisco-no un enorme patrimonio di professionalità epreziosa, variegata esperienza acquisita in lunghianni di attività presso aziende industriali. Ed èproprio attingendo tra i dirigenti in pensione, inparticolare a quelli animati da spirito di solida-rietà ed impegno civile, che l’ALDAI ha potutoimpegnarsi verso il Policlinico.L’accordo prevede che l’ALDAI metta a disposi-zione del Policlinico a titolo puramente volonta-ristico e gratuito, risorse manageriali da inserirenei vari dipartimenti con funzioni di supporto econsulenza nei settori in cui la dirigenza indu-striale è particolarmente votata ed esperta quali:la gestione delle risorse umane, la pianificazione,l’informatica, il controllo di gestione, il controllodi qualità, la promozione dell’immagine e ilmarketing, ecc.Questa collaborazione potrebbe liberare tempo erisorse dell’apparato medico e scientifico e per-mettere loro di dedicare ancor più del loro tempoa privilegiare gli aspetti più vicini alla salute deipazienti, delegando in parte molti degli inevitabi-li ed essenziali aspetti manageriali, sia diretti che

trasversali, a personale competente e di grandeesperienza ed affidabilità.L'accordo di collaborazione tra ALDAI e Policli-nico di Milano è entrato nella sua fase operativaa dicembre 2004. Coordinato dalla direzionescientifica del Policlinico e sotto la diretta super-visione dei direttori di alcune unità operative chehanno accettato di attuare un progetto pilota, nel-l'ambito del più ampio progetto tecnosalute, unprimo gruppo di dirigenti in pensione ha iniziatoa frequentare i dipartimenti pilota e, sulla basedella loro esperienza, a fare un quadro dello statodelle strutture visto con una "prospettiva mana-geriale". I direttori delle unità operative interes-sate hanno accettato di buon grado il tipo di col-laborazione prospettato e i rapporti instaurati trai rappresentanti dei due mondi possiamo definirlipiù che ottimi.Il dirigente ALDAI individuato come referentedipartimento era inoltre supportato nella sua atti-vità da un team di altri colleghi dirigenti che,avendo aderito all'iniziativa, hanno collaboratoper fornire complessivamente una copertura adampio raggio.I dipartimenti sono stati monitorati per un perio-do di tempo che, seppur ridotto, è stato significa-tivo ed ha permesso di elaborare un progettoorganizzativo unitario che è stato presentato alladirezione scientifica e ai direttori di dipartimen-to, e da questi apprezzato per completezza,obiettività e spirito costruttivo. Sulla base di que-sta esperienza iniziale ambedue le parti si augu-rano di poter proseguire in un cammino che per-metta di coniugare l'eccellenza scientifica con ilrigore gestionale.

Sanità e managerialità per l’Ospedale Maggiore Un incontro ben riuscito

ALESSANDRO FENYVES, FABIO PANSA CEDRONIO, PINO TASSARA

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A Milano la parola pusterla evoca persone e cose. Lepersone - delle quali esistono in città ancora una ven-tina di omonimi - erano i signori Pusterla. Le coseerano piccole porte che si aprivano nelle mura di città.Infatti secondo il Vocabolario Milanese-Italiano diFrancesco Cherubini (1) pusterla è una specie di secon-da porta che per lo passato si usava quasi sempre trala porta di via e il cortile delle nostre case, e invecedella quale usa oggidì comunemente un cancello diferro o di legno. A questa definizione si aggiungequest’altra: piccola porta di città per opposizione aporta primaja e principale.Qualcuno sospetta che dalla porticella piazzata dietroalla porta di casa derivasse il soprannome-cognomePusterla, poi affibbiato ai padroni abitanti nel palazzodotato di accesso blindato con doppia separazionedalla strada.A motivo dell’accesso di casa blindato o per altrimotivi, il primo personaggio attribuito ai Pusterlasarebbe stato Angilberto o Angelberto II, vescovo diMilano dall’824 all’859 e forse di discendenza franca.Dopo di lui, di Pusterla famosi la storia di Milano neregistra una cinquantina. Fra questi Francesco o Fran-cescolo che nel Trecento abitava un lussuoso palazzooggi in vicolo Pusterla, la traversa a fondo cieco divia della Palla che a sua volta collega via Torino conpiazza Sant’Alessandro.Francesco Pusterla esibiva nello stemma di famiglial’aquila imperiale quasi volesse far sapere al mondointero la sua nobiltà, il suo prestigio, la sua potenza esoprattutto la sua obbedienza solo all’imperatore e anessun altro. Questo signore possedeva un’abitazioneche finiva mai, una moglie bellissima di nome Mar-gherita nata Visconti e due figli che non davano fasti-di. La bella Margherita suscitava anche le voglie delcuginastro Luchino Visconti (1315-1349) i cuiapprocci però andavano immancabilmente a vuoto.

Disgrazia vuole che un brutto giorno del 1340 Fran-cescolo congiurasse contro Luchino e che la con-giura venisse scoperta. Fatale la conseguente con-danna a morte di tutta la famiglia Pusterla: France-scolo Margherita e figliolanza. Dicono che in piaz-za Mercanti si celebrasse solennemente la lorodecapitazione. Sicuramente meno solenne, ma piùredditizia la requisizione di tutti i loro beni mobili eimmobili che dovevano essere tanti.Della truce vicenda ne avrebbe approfittato, secolidopo, Cesare Correnti (1804-1895) per scrivere ilromanzo storico Margherita Pusterla, pubblicatonel 1838, dove naturalmente la protagonista è bel-lissima virtuosissima sventuratissima.Quanto a Luchino Visconti, le poche ciambelle riu-scite col buco alla fine sarebbero state pagate a caroprezzo.Inflessibile e tenace nell’odio, austero disordinato ecorrotto nelle abitudini, del tutto incurante dellamoglie, Luchino era carico di amanti e di figli ille-gittimi, tre dei quali però, Bruzio Forestino e Bor-sio, legalmente riconosciuti Visconti. In terze nozzesposava Isabella Fieschi dalla quale, nel 1343,avrebbe avuto Orsina e, nel 1346, i gemelli Giovan-ni (morto pochi mesi dopo) e Luchinetto.Nel 1347, in viaggio di piacere a Venezia in compa-gnia di altre dame milanesi, Isabella avrebbe datopubblico spettacolo di lussuria e nel 1349, pochimesi prima della morte del marito, avrebbe rilascia-to la dichiarazione che Luchinetto e Orsina li avevaavuti dal di lui nipote Galeazzo pur sempre Viscon-ti. Da notare che questa dichiarazione non è storica-mente accertata, ma anche se lo fosse, dato il conte-nuto compromettente ogni suo interesse, Isabellal’avrebbe sottoscritta in seguito a grave violenzamorale e materiale (2).A conoscenza di uno o di tutt’e due gli incidenticoniugali, Luchino minacciava la consorte di arro-stirla cum pulchro igne. Subito avvertita, la fedifra-

Pusterla e pusterle*

VINCENZO BEVACQUA

* L’articolo sulla pusterla mi è stato espressamente chiesto dalladott.ssa Franca Chiappa. E io con molto piacere lo dedicoespressamente a lei.

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questa l’occasione di rivalsa dei milanesi nei con-fronti del Barbarossa, per beffeggiare a dovere lui esua moglie con bassorilievo caricaturale sull’arco diPorta Romana e rispettivamente con bassorilievoscurrile a Porta Tosa.Ai tempi di Azzone Visconti (1302-1339) i terraggivenivano rinforzati con pietre e mattoni, in modoche, insieme a torri imbandierate porte e pusterle, lemura di Milano lambite da corsi d’acqua suscitava-no nella gente rispetto meraviglia e ammirazione.Riguardo poi agli scomparsi terraggi, ne sarebberimasta memoria nell’odierna toponomastica (4)

come via Terraggio a Porta Magenta.Nel citato elenco delle pusterle, quella di Sant’Am-brogio è la prima perché non solo ha doppio arco,ma conserva ben documentata la sua storia e man-tiene più o meno invariato il suo aspetto, comequello che appunto ancor oggi si vede. Tuttavia, sic-come le sembianze non erano solenni come quelledi una porta né modeste come quelle di una puster-la, il varco di Sant’Ambrogio è sempre stato consi-derato una curiosa anomalia della cinta murariamilanese e niente di più.Probabilmente esistita prima della citata distruzionedel 1162, la pusterla è stata ricostruita tra il 1171 e il1288 con alti fornici leggermente arcoacuti e conzoccolatura policroma costituita da pietre di diversanatura. Ai lati due torri quadrangolari di diversaaltezza (5). La spiegazione dei due fornici è semplice:uno indicava la strada per la basilica di Sant’Ambro-gio, l’altro quella per la basilica di San Vittore.

Nel Cinquecento, con lo spostamento delle muradalla Cerchia dei Navigli ai Bastioni, la pusterla,circondata e sommersa da case abitate, perdevaogni utilità salvo quella di prigione ricavata in unadelle due torri. Più tardi, ristrutturata in abitazioneprivata, la torre avrebbe ospitato il canonico diSant’Ambrogio Bernando Belloni. L’altra torreinvece sarebbe stata demolita e col ricupero delmateriale si sarebbero costruite altre opere in pietrae laterizio.Così per secoli nessuno più si sarebbe interessatodella pusterla lasciandola deperire e trasformarsi inrattera. Senonché nel 1937, in seguito a un rigurgi-to di nostalgia per il passato remoto, si pensava diripristinarla destinandola a funzioni culturali. Il pro-

ga non avrebbe perduto tempo perché poco dopo lasottoscrizione del citato documento, LuchinoVisconti sarebbe morto per veneficio a soli 34 anni.Esaurito l’argomento Pusterla, ecco le pusterle.Definite dal Cherubini piccole porte di città, lepusterle erano caratterizzate da un’arcata sotto torredifensiva, mentre le porte primaje erano caratteriz-zate da due arcate affiancate a destra e a sinistra dauna torre quadrangolare come le altre torri dellemura e come queste di tipo difensivo.Secondo lo storico Galvano Fiamma (1283-1344) esecondo le notizie che riporta da Bonvesin de laRiva (1240-1315), le pusterle che si aprivano lungole mille e più braccia di mura cittadine, erano unadecina. Cominciando da ovest e in senso orario, illoro nome era: Sant’Ambrogio, Azze, San Marco,Monforte, Sant’Eufemia, Chiusa e Fabbrica. A que-ste si dovrebbero aggiungere le Borgo Nuovo,Santo Stefano e Bottonuto (3) evidentemente ancorainesistenti al tempo del Fiamma.Dopo l’accurata distruzione della città da parte diFederico Barbarossa (1162), le mura di Milanovenivano costruite con terra riportata da una profon-da fossa scavata intorno al residuo abitato urbano.Nella terra riportata e battuta (terraggio) lungo l’ar-gine interno della fossa, si erigevano torri e si apri-vano porte e pusterle di pietra, che, per mancanza dimezzi, restavano tuttavia a metà per diverso tempo.Nel 1170 se ne riprendevano i lavori sotto la dire-zione di Guglielmo Burro e Marchino Prevede conl’assistenza di Gerardo da Castenega. Sarebbe stata

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Ricostruzione della pusterla Sant’Ambrogio com’era nel 1167(da Zanzottera F.: op. cit.)

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getto era favorito dal ritrovamento qua e là di pezziautentici di pusterla rappresentati dall’antone condoppio battente a sbarramento dei due fornici e daibattenti tutti con i rispettivi cancheri originari e conl’incastro ben conservato della spranga dichiusura. Inoltre si scopriva che in avanguardia, lapusterla aveva anche due torricine nelle qualimanovrare i ponti levatoi. L’insieme costituivaun’opera di ingegneria militare tale che, in caso ditentata invasione, manovrando opportunamenteantoni e ponti levatoi, il nemico poteva rimanereintrappolato sotto le arcate della pusterla e cosìridotto alla mercè dei milanesi.Tra i pezzi di pusterla ritrovati c’era anche un taber-nacolo gotico nel quale figurava Sant’Ambrogio trai santi Gervasio e Protaso. Attribuito ai MaestriCampionesi, è ancora visibile tra i due archi dellapusterla.Danneggiata nel 1943 dai bombardamenti dellaseconda guerra mondiale, a conflitto terminato veni-va riassestata e adibita a ricovero per milanesi rimastisenza tetto. Più tardi e per un po’ di tempo sarebbediventata museo d’armi e, più recentemente, museodegli orrori. Infatti vi erano stati raccolti tutti gli stru-menti di tortura che una fantasia perversa potesseimmaginare. Fortunatamente - molto criticato anchedal punto di vista storico - il museo degli orroriscompariva e i suoi ambienti adattati a uffici o abita-zioni con muri certamente traspiranti buon umore,piacevoli armeggi e gridolini di goduria.Al contrario delle porte Ticinese Romana e Orienta-le e data la sua funzione di indicare i percorsi perSant’Ambrogio e San Vittore, la pusterla diSant’Ambrogio non ha mai visto entrare in cittàfastosi cortei. È stata invece teatro di una beffa spie-tata giocata nel Trecento da Gian Galeazzo Visconti(1351-1402) a danno dello zio Bernabò (1323-1385). Questi infatti, credendo di salutare il nipotedi passaggio da Milano, si recava da solo allapusterla di Sant’Ambrogio dove invece senza tanticonvenevoli veniva catturato da Giacomo DalVerme, tradotto al castello di Trezzo d’Adda e quiassassinato con generoso veneficio. E dire che ilnipote e mandante Gian Galeazzo lo chiamavanoConte di Virtù (6).Lungo le mura di Milano, dopo pusterla Sant’Am-brogio veniva quella delle Azze. Si trovava dove

oggi c’è il Castello un secolo dopo chiamato Sfor-zesco che, costruito nel 1358 avrebbe fagocitatopusterla delle Azze e Porta Giovia. Della pusterlanon rimarrebbe più traccia e della sua denominazio-ne non rimarrebbe spiegazione attendibile. Si sup-pone solamente che nelle vicinanze della pusterlaesistesse una piazza, una contrada o un borgo delleAzze abitato da azzaioli (acciaioli) con le loro bot-teghe. Secondo alcuni (7), questi artigiani produce-vano azze o acce (asce) sfruttando le acque delNirone a portata di mano. Secondo altri storici,senza andar lontano, azze deriverebbe dalle lamedelle mazze oppure da una famiglia chiamataAzzi, magari appartenenti alla corporazione degliazzaioli, fabbricanti azze da servire per le mazzee via smazzando.È certo che questi artigiani sarebbero stati i precur-sori dei celebri speronari spadari armorari e agugia-ri che un secolo dopo avrebbero venduto i loro pro-dotti a tutta Europa con soddisfazione e orgogliodella città intera (8).Dopo pusterla delle Azze, c’era quella di Algisiodetta anche Adalgiso Brera Guercio Beatrice SanMarco.Si trovava dove oggi finisce via Brera e cominciavia Solferino con l’interposizione di via Pontaccio.Forse qui un tempo esisteva il pontaccio sganghera-to o sgraziato gettato sul Naviglio. Il Naviglio svol-tava poi in piazza San Marco e proseguiva per viaFatebenefratelli. Nelle acque del Naviglio di viaPontaccio, le donne abitanti in zona intra o extra-muraria sciacquavano i loro panni e li stendevano

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Pusterla Beatrice (op. cit.)

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tratto di via Borgonuovo. Da qui infatti si raggiun-geva la fiancata della chiesa di San Marco in con-trada Fatebenefratelli superando il ponticello chia-mato Marcellino.Ancora nel Settecento pusterla Beatrice era ununa costruzione rettangolare con un arco a sestoribassato al centro della facciata. Di notte a bat-tenti chiusi, la pusterla poteva essere confusacon una qualsiasi casa d’abitazione.Continuando lungo la Cerchia dei Navigli dopo gliarchi di Porta Nuova, in corrispondenza dell’attualevia Sant’Andrea si trovava la pusterla del BorgoNuovo. Un tempo, il borgo nuovo era l’insieme dineoborgate sorte fuori dalle mura romane e dentrol’anello dei navigli. Queste borgate si chiamavanoBorgonuovo, Borgo Spesso, Borgo del Gesù eBorgo Sant’Andrea. Così lo storico Latuada accen-nava all’ubicazione della pusterla Borgonuovosenza farne il nome (11): Secondando il Corso deno-minato Borgo di Sant’Andrea, ed anticamente"Burgus de Lissono" dove fu aperta unapuster1a... si giungeva a Porta Orientale. Perciò iltragitto del corso di Sant’Andrea seguiva le mura inparallelo con il naviglio e poi, a metà strada, lemura si sarebbero aperte con la pusterla. Della rela-tiva struttura architettonica però si sa niente.Più avanti tra Porta Orientale (a metà corso Vene-zia) e Porta Romana c’era la pusterla del Monforte.Una pusterla di Monforte ricavata nelle mura poiabbattute dal Barbarossa, con nome riferito al sitochiamato non si sa per quale ragione Monte forte (13)

è probabilmente esistita anche se mai documentata.Nell’Ottocento, sul percorso delle spianate muraspagnole, in corrispondenza dell’odierna piazza Tri-colore si erigeva una barriera daziaria disegnata dal-l’ingegnere Luigi Tenenti e inaugurata il 24 ottobre1888. Si chiamava Porta Tosa anche se non eraporta né pusterla. Formata da due caselli rettangola-ri collegati da una cancellata, la barriera risultavaun insieme di buon gusto. La cancellata di ferro eralunga più di 17 metri, interrotti da quattro pilastripure di ferro terminanti con un lampione illuminatoa gas (14). Ripensandoci, poteva aver ispirato la Bar-rière d’enfer, scena del terzo atto nella Bohème diGiacomo Puccini.Purtroppo al buon gusto dell’ingegner Tenentisubentrava il nessun gusto della Giunta Comunale

ad asciugare su canapi tesi tra un albero e l’altro.La fila di nomi attribuiti alla pusterla corrispondenon a contemporanee varianti d’intestazione comeper esempio Porta Ticinese detta anche Porta Cica,ma a successive denominazioni legate agli avveni-menti accaduti nella storia di questa pusterla.Il primo intestatario infatti sarebbe stato un certoAlgisio o Adalgiso che nel IX secolo, in epocacarolingia, sarebbe stato proprietario dei terreni aldi qua e al di là del Naviglio. Per comodità diaccesso alla sua transproprietà si sarebbe aperto unpassaggio attraverso la primitiva cinta urbana. Dallagente, questo passaggio sarebbe stato chiamato conil nome dell’autore. Dopo un imprecisato periodo ditempo, il passaggio prendeva il nome di Brera, deri-vato dalla corruzione di braida che al tempo deiLongobardi voleva dire terreno cintato. Nell’XIsecolo il passaggio di Algisio prendeva il nome diGuercio, personaggio più o meno strabico apparte-nente alla nota famiglia Baggi. Il Guercio regalavala braida dentro la cinta muraria ai frati Umiliatiper costruirvi la loro casa madre. Diventato pubbli-co e abbandonato, il passaggio-pusterla venivarestaurato nel 1232 dal podestà di Milano PietroVento senza che, dopo di lui, qualcuno si curassedell’opera edilizia. Se ne curava solo due secolidopo, Ludovico il Moro che in onore dell’adoratamoglie l’avrebbe restaurata e chiamata Beatrice. EBeatrice sarebbe rimasta sia quando veniva abbelli-ta dal nobile Pietro Foppa che vi innestava anche ilproprio stemma gentilizio (9) sia quando nel 1860sarebbe stata abbattuta secondo piano regolatore siaquando di pusterle era rimasta solo quella diSant’Ambrogio.Nell’ultimo Novecento infatti, i vecchi milanesi chia-mavano ancora porta o pusterla Beatris il limite divia Brera dove la strada viene interrotta da via Pon-taccio. Tra questi irriducibili nostalgici, il genuinoavvocato-poeta Ambrogio Maria Antonini che neisuoi versi la nominava con struggimento insieme atutto quello che le stava attorno: mulini con la palarotante sul Naviglio; botteghe col lanternino aciondolo su strada, somarelli che nella contradaconsumavano indisturbati il loro pasto (10).Qualcuno sostiene che la pusterla fosse chiamataanche San Marco (11). Potrebbe però trattarsi diun’altra portella ricavata nell’abitato dell’ultimo

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che nel 1919 decretava l’abbattimento dei due casellidaziari e cancellata, un insieme ora consideratoingombro tecnico e prospettico, tanto più grave inquanto, con l’abolizione della cinta daziaria costi-tuivano né un monumento architettonico apprezzabi-le né una memoria storica interessante (15). E così,addio al gusto e alle reminiscenze pucciniane.Lasciata Porta Tosa nota fin dal 1145 per un docu-mento che così l’affidava alla storia: Burgo de PortaTosa de Civitate Mediolani, lungo il percorso dellemura medioevali e del Naviglio si arrivava allapusterla di Santa Eufemia la cui origine forse risali-rebbe all’epoca romana quando si chiamava PortaErculea.Alla fine del Quattrocento la pusterla veniva rivedu-ta corretta abbellita arricchita e chiamata Ludovicaper merito di Ludovico il Moro che, agli antipodidella città, aveva fatto la stessa cosa con la pusterladel Guercio intestandola a sua moglie Beatrice.Qualcuno crede che la pusterla Ludovica non abbiasostituito quella di Sant’Eufemia ma tutt’e duesiano contemporaneamente esistite formando unadoppietta della quale: la santa indirizzava versoPorta Tosa, la laica verso Porta Ticinese.Il dubbio restava però senza soluzione e pusterlaLudovica avrebbe continuato a dominare il sito (16)

perché considerata

QUAE SUPER CETERAS PUSTERLAS EST

DECENTIORI OPERE FABRICATA

ET CLARIORI MARMORE

La costruzione consisteva in un unico fornice ogi-vale ricoperto da una bassa torre con due finestre.Sull’arco, stemma di Ludovico Sforza VI duca diMilano con questa iscrizione (17):

MEDIOLANI DUCES

UT RELIGIOSUM ITER AD DEI MATRIS

ET CELSI AEDES COMPENDIO CIVIBUS SUIS

LUDOVICUS DUX MEDIOLANENSIS

PORTAM NOMINE SUO LUDOVICAM

CUM BEATRICE CONIUGE

APERUIT

Pare che Ludovico incaricasse Bramante di abbel-lire porte e pusterle cittadine fra le quali natural-mente anche e più di tutte proprio quest’ultima.Tuttavia per quanto prediletta dal duca, nei secolisuccessivi la pusterla invecchiava deperiva eimpoveriva per noncurenza e per ripetute sottra-zioni delle sue pregevoli decorazioni. Ridotta acatapecchia, nel 1827 subiva la condanna alladistruzione.Dopo pusterla Ludovica e prima di Porta Ticinese,c’era la pusterla di San Lorenzo dalla quale parti-va la strada diretta a San Michele. Quando nel1171 si costruiva l’opera idraulica chiamata chiu-sa con la quale si regolava il livello dell’acqua neidiversi canali di città, la pusterla cambiava deno-minazione da San Lorenzo a pusterla della Chiu-sa. Mentre prima consisteva in una semplice arca-ta con sopra la solita torre, finita la costruzionedella chiusa (che poi consisteva in una saracine-sca che secondo necessità sbarrava il corso del-l’acqua) le veniva fabbricata vicino una torredifensiva a protezione del centro regolatore delleacque cittadine. In seguito la torre idroprotettivasarebbe stata chiamata torre dell’Imperatore, conriferimento probabile a Emanuele imperatore diBisanzio, finanziatore delle fortificazioni milanesiseguite ai disastri provocati dal Barbarossa (18).Superata Porta Ticinese, lungo la cinta murariamedioevale si arrivava alla pusterla dei Fabbri odelle Fabbriche, fra tutte le pusterle la più ricca distorie, a cominciare da quelle riguardanti la suc-cessione delle sue denominazioni (19).La prima denominazione infatti, risalirebbe all’e-poca romana. A quel tempo la pusterla si sarebbechiamata Fabia in onore di Quinto Fabio Massi-mo detto cunctator, celebre avversario del carta-

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Pusterla Ludovica (op. cit.)

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ginese Annibale. Da notare che la storia ricordaFabio come temporeggiatore, ma in realtà era unesitante, atteggiamento che i meneghini, più sma-liziati, non avrebbero esitato a definire pedoccaciappatemp. Forse è stato il primo stratega a tra-sformare la guerra in guerriglia, tecnica militareoggi di moda.Altri invece del cunctator, nella pusterla preferi-vano ricordare i sacerdoti Fabi depositari delculto di Giove con relativo tempio dalle parti del-l’odierna basilica di San Vincenzo in Prato. Altriancora insistevano sul Fabio adducendo che,secondo un documento cartaceo, la pusterla si tro-vava ad cassinam quae dicuntur “de Fabis”. Afavore di questo documento ne esisteva un altroche citava un vicus fabrorum nominato in unaiscrizione dei Fabi scoperta nella citata basilica inPrato.Dopo l’ultima attestazione di Pusterla dei Fabinel 1221, si tentava di dissociare Fabio Massimo,e discendenti più o meno autentici, dalla nostra

pusterla. Macché, anche se chiamata Pusterladelle Fave o addirittura dei Favreghi, il riferimen-to doveva essere sempre rivolto a Fabio e alla suasecolare famiglia milanese. La stessa connessionedoveva resistere oltre il Cinquecento, anche quandola pusterla si accollava Santa Caterina, protettrice diun’omonima confraternita con sede sull’angolodella contrada San Simone con quella di San Pietroin Camminadella. E solo più tardi, liberata da ognireminiscenza storica o fasulla, si sarebbe chiamata,fino al Novecento, pusterla dei Fabbri; tanto più chenella contrada con questo nome si erano apertenumerose botteghe di fabbro-ferraio costrette, per illoro lavoro rumoroso polveroso e senza orari, astare il più possibile lontano dall’abitato e vicinoalla Cerchia dei Navigli.Come testimonianze contemporanee ricordano, lapusterla dei Fabbri era stata costruita nel Trecentoinsieme alle mura medioevali volute da AzzoneVisconti. Consisteva in una sola arcata ricopertadalla solita torre quadrangolare. L’arcata di entrataaveva dimensioni diverse da quelle dell’arcata diuscita in modo da formare un imbuto. L’imbuto eralungo più di dieci metri.Quando le mura medioevali venivano abbattute, lapusterla restava intatta, schiacciata però tra le casedi abitazione costruitele addosso e finanche in cima.In cima, le porte-finestre della neocostruzioneposticcia erano collegate tra loro da una balconatacorrispondente alla ringhera delle prime case popo-lari del Settecento. È infatti probabile che sulla bal-conata della pusterla gli abitanti si affacciassero pergodere, specialmente d’estate, il va e vieni di cri-stiani animali derrate e carriaggi di ogni genere.Nel Medioevo, sull’arcata in uscita dalla città, tra lelettere HAS a sinistra e TA a destra, c’era una scul-tura che si diceva romana. Configurata a testa turri-ta di giovane, si credeva rappresentasse Imeneo. Epoiché Imeneo era una divinità che presiedeva allenozze, dopo la cerimonia del matrimonio gli sposiniandavano a offrirgli doni per propiziarselo.L’usanza trovava spiegazione nella mitologia dovesi racconta che Imeneo, giovinetto di rara bellezzacon fattezze delicate da sembrare una fanciulla,insieme alla sua e altre ragazze della città (Atene?)veniva rapito da corsari, imbarcato e spedito versoignota destinazione.

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Pusterla dei Fabbri (op. cit.)

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ni (1852-1917) si batteva contro la demolizionedella pusterla definita dagli avversari cumulo dimacerie pur conservando linee semplici ed ele-ganti. Di questo passo, ribatteva il Conconi, sisarebbe potuto sia frantumare tutti i vasi etruschiin circolazione perché di linee semplici sia smon-tare le piramidi nel deserto perché di linee sempli-ci e d’ingombro al traffico. Al Conconi si univaun quotidiano cittadino che, sapendo il guadagnodi diecimila lire in caso di demolizione, si doman-dava se non fosse il caso di proporre qualchepezzo di Duomo ai musei di Londra, conosciutiper ottimi intenditori e generosi dispensatori diquattrini per l’acquisto di autentiche antichità.Tutto però si concludeva nei primi anni del Nove-cento con tanto di delibera che condannava lapusterla alla soppressione. Poco tempo dopo, lasoppressione veniva eseguita accompagnata dalladistribuzione dei pezzi di valore anziché ai museidi Londra, a quelli casalinghi del Castello Sforze-sco (21).Infine le pusterle del Bottonuto e di Santo Stefa-no. Vengono per ultime perché sono le meno docu-mentate. Difatti salvo qualche cenno di cronaca esenza alcuna iconografia, se ne potrebbe mettere

Durante la traversata, in occasione di sosta notturnain isola sconosciuta, Imeneo faceva fuori i rapitoricolti nel sonno, ottenendo poi dalle ragazze rapitecon lui di ritornare a casa da solo per concludereimportanti trattative. Tornato a casa, infatti, daigenitori della sua ragazza avrebbe strappato ilconsenso al suo matrimonio con lei; dai genitoridella sua e delle altre ragazze prigioniere nell’iso-la, avrebbe ottenuto in cambio l’approvazione ple-biscitaria di riportarle tutte a casa. Finale: Imeneorealizzava il suo sogno nuziale, ricomponeva l’in-tegrità delle famiglie e, baciato dalla fama, diven-tava il dio protettore dei matrimoni.L’usanza però, seppur trasformata in tradizione disecoli, non trovava giustificazione nel Cinquecen-to. Miscela infatti di poco sacro e tanto profano, aSan Carlo sembrava sconveniente che dopo ritoreligioso benedetto in chiesa seguisse pellegrinag-gio a pusterla per offrir doni a divinità pagana. Ecosì le onoranze postmatrimoniali a Imeneo sitroncavano per sempre.Miglior sorte non subiva anni dopo anche la testaturrita di Imeneo con a fianco le lettere misterioseHAS TA. Abbattuta infatti la pusterla con le caseattorno, la scultura sarebbe finita alla PinacotecaAmbrosiana dove, insieme alle lettere, sarebbestata interpretata simbolo della città di Asti.A proposito di Asti, vale la pena ricordare che nel1378 Gian Galeazzo Visconti l’aveva conquistataesautorando il legittimo proprietario Conte diSavoia e costringendolo ipso facto a conferirgli lacarica di Governatore della città (20).Nel 1877, dopo aver nominato commissioni,ascoltato pareri e studiato rapporti, il Comune diMilano entrava in fase di tira e molla circa l’even-tuale demolizione della pusterla dei Fabbri o dellaFabbrica. Metà dei risultati infatti conduceva allademolizione, l’altra metà conduceva alla conser-vazione; nessuno decideva in proposito e tuttitiravano in lungo. Nel 1884 per esempio, laSocietà Storica Lombarda propendeva energica-mente per la conservazione dell’Arco dei Fabbri,ultimo esempio delle nove o dieci pusterle che,nelle mura della Città, si interponevano alle seiporte maggiori. Dopo altri tredici anni, il 6 marzodel 1900 la discussione proseguiva animatamentein Giunta. Qui lo scapigliato pittore Luigi Conco-

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Ponticello dei poveri (dell’Ospedale Maggiore) in corrispondenza delquale c’era probabilmente la pusterla del Bottonuto(da Chierichetti A.:”Itinerario nostalgico alla riscoperta del Naviglio”.Ottica Chierichetti Ed., Milano 1974).

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in dubbio anche l’esistenza. Tuttavia se ne parlain appendice, perché se proprio fossero pusterledell’immaginazione, sarebbero in ogni modoaccompagnate da un sospiro di poesia.Queste le notizie striminzite dello storico GiorgioGiulini (1717-1780) secondo il quale (22) Bottonutoderiverebbe da Pons Necis, Pont nugo, Butinugo,Botunugo, Botonuto, nucleo abitativo che, nellaparte centrale di Porta Romana, aveva una strada.Questa, con ponte costruito sulla fognatura cheincrociava, si dirigeva alle mura cittadine fuoriu-scendone da una pusterla con buona probabilitàcorrispondente, secoli dopo, alla porticina dell’O-spedale Maggiore con il ponticello sul Navigliochiamata Porta o Uscita dei poveri trasferiti alcosiddetto cimitero (Foppone) della Besana.Quando il nostro Ospedale non esisteva, la stradadel Bottonuto continuava dopo la pusterla colponticello fino a raggiungere la chiesa di San Bar-naba.Nel Novecento, vedendolo scorrere nottetemposotto il ponte nel tratto compreso fra la Mortuariada un lato e l’Accettazione ospitaliera dall’altro, ilNaviglio era perfino tragico: con quei fanali rossidella Guardia… che si riflettevano – striscia san-guigna – nell’acqua nera… In una di quelle notti,

appoggiato al parapetto di pietra e guardando ingiù, il poeta Delio Tessa (1886-1939) ha sognatoo gli è parso di sognare che il vecchio Naviglio,giunto ormai alla sua ultima ora (prima di essereprosciugato e trasformato in strada di scorrimen-to) fosse destato di soprassalto da un’autolettigain arrivo e dicesse (23):

Essus, quella trombetta! Nanca puSul fà della mattina poss dormì!D’ora in ora l’è chì – come ona sveja!Me seri giust carpiaa, voltaa viaPenna a penna on’idejaE trach, quella trombetta besiosa!

Tutti possono capire le lamentele del Naviglio,ma nessuno meglio dei medici che hanno prestatoe tuttora prestano servizio nel Pronto Soccorsodel Policlinico di via Sforza.Sempre secondo lo storico Giulini (24), ecco le altrenotizie riguardanti la pusterla di Santo Stefano.Quantunque sul fossato (naviglio) non resti piùindizio alcuno, abbiamo una carta del 1220, ovesi tratta chiaramente di essa. La chiesa di SanBarnaba era nel brolo; anzi ella è appunto vicinoalla Commenda de’ Cavalieri di Malta, dove anti-camente v’era la casa dei Templari, la loro chiesadi Ognissanti e l’alloggio dell’imperatore Federi-co. La pusterla di Santo Stefano metteva nel brolodi San Barnaba e aveva un ponticello poco lonta-no o quasi sul Laghetto che, prima di essere pro-sciugato, era descritto dall’Antonini con i seguen-ti versi (25):

El navili, lì apos, de nascondon,Slargandes el formava on laghettin,Con l’acqua ferma come in d’on cadin,E intorna on suss acquerellaa de ton.

De la Cà Granda sott’ai finestron.A l’ombra che sorrid dai baltreschin,El trusciava sui riv el brao tencinDescaregand barcon sora barcon.

Quij barcon che, travers el pontesell,Portaven a Milan, col marmo rosa,La carbonella per pizzà el fornell.

Lì la trusciada mai la se riposaDe dì e de nott, e in mezz a on mond alegherGh’è ona stramba armonia de rosa e negher.

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Ponticello che, dopo quello dei poveri, si trovava adiacente al Laghettoe in probabile corrispondenza dela posterla Santo Stefanp (op. cit.)

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Con la rievocazione finale in versi milanesi, vienvoglia di ripercorrere mentalmente tutta la cintamuraria cittadina per constatare che, pur senzamolti cimeli, a Milano la mega come la piccola ola microstoria (26)

l’è scritta anmò in del coeur de tanta gentche la gh’ha, oltre al coeur, anca memoria.

19 - Op. cit.

20 - Cognasso F.: op. cit.

21 - Zanzottera F.: op. cit.

22 - Giulini G.: riportato da Zanzottera F.: op. cit.

23 - Tessa D.: Ore di città. Evocazione. Einaudi Ed., Torino 1988.Traduzione: Gesù Gesù, quella trombetta! Neanche sul far delmattino posso dormire! D’ora in ora è lì come una sveglia! Mi erogiusto addormentato, appena appena un tantino... e tracchete,quella trombetta rompiscatole!

24 - Giulini G.: riportato da Zanzottera F.: op. cit.

25 - Antonini A.M.: op. cit. Traduzione: Il Naviglio lì dietro,quasi nascosto / si allargava formando un piccolo lago / con l’ac-qua ferma come in un catino / e tutto intorno c’era un movimentodai toni svariati e coloriti. / Da sotto i finestroni della Ca’Granda /all’ombra sorridente dei poggioli / il bravo tencin (ragazzetto conla faccia sporca) sulle rive si affannava / a scaricare berconi subarconi. / Quei barconi che attraverso il ponticello / portavano aMilano col marmo rosa, / anche la carbonella per accendere ilfuoco. / E lì l’affaccendarsi non aveva sosta / né di giorno né dinotte e in mezzo a un mondo allegro / c’era una strana armonia dirosa e nero.

26 - Op. cit. Traduzione: La storia... è scritta ancora nel cuore ditanta gente / che ha, oltre al cuore, anche memoria.

Bibliografia

1 - Cherubini F.: Vocabolario Milanese-Italiano. Dall’ImperialRegia Stamperia. Milano 1839.

2 - Cognasso F.: L’espansione milanese sotto Luchino Visconti inStoria di Milano. Fondazione Treccani degli Alfieri, vol. V.

3 - Barni G.L: La lotta contro il Barbarossa, in Storia di Milano.Fondazione Treccani degli Alfieri, vol. IV.

4 - Op. cit.

5 - Zanzottera F.: Storia arte e tradizione, in Crippa M.A. e Zan-zottera F.: Le Porte di Milano. Strenna Istituto Gaetano Pini,Milano 1999.

6 - Come noto, il titolo Conte di Virtù Gian Galeazzo Visconti l’a-veva acquisito non perché fosse virtuoso, ma perché avendo spo-sato (forzatamente) Isabella di Valois, figlia di Giovanni re diFrancia, la principessa si era portata in dote la contea deVertus.

7 - Giulini G.: riportato da Zanzottera F., op. cit.

8 - Bevacqua V.: Milano a sorpresa. VII. Rivista la ca’granda,Milano 2003, N°3.

9 - Giulini G.: riportato da Zanzottera F., op. cit.

10 - Antonini A.M.: San Marc in Quaderni dell’Accademia delDialetto Milanese. N° 1, 1979-1981. Lativa Ed., Milano 1981.Porta Beatris in Per le vie della vecchia Milano. Virgilio Ed.,Milano 1978.

11 - Zanzottera F.: op. cit.

12 - Latuada S.: Descrizione di Milano ornata di molti disegnidele Fabbriche più cospicue che si trovano in questa Metropoli. inMilano, MDCCXXXVII, tomo I.

13 - Giulini G.: riportato da Zanzottera F.: op. cit.

14 - Ferrini G.: riportato da Zanzottera F.: op. cit.

15 - De Albertis E.: riportato da Zanzottera F.: op. cit.

16 - Fiamma G.: riportato da Zanzottera F.: op. cit. Traduzione:quella costruita più accuratamente delle altre pusterle e con ilmarmo più pregiato.

17 - Zanzottera F.: op. cit. Traduzione: I duchi di Milano / perabbreviare ai loro cittadini il devoto percorso alle chiese dellaMadre di Dio e di San Celso / Ludovico duca di Milano / questaporta chiamata Ludovica / insieme sua moglie Beatrice / aprì.

18 - Op. cit.

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Per ricordare i benefattori, gliamministratori, i visitatori, i volon-tari e i dipendenti defunti

Un pensiero, un ricordo, un invitoche ritorna, nel mese dedicato allepersone che non sono più fra noi:invito che davvero vorremmo accoltocon più estesa e riconoscente parteci-pazione.Il 22 novembre una santa Messa èstata concelebrata dal vicario parroc-chiale don Daniele Grassi e dal retto-re vicario mons. Pietro Cresseri nel-l'antica chiesa dell'Annunciata.Riportiamo qui l'omelia del Cele-brante:«Le letture che accompagnano que-sto nostro ritrovarci di stasera sonoquelle del martedì della seconda set-timana di Avvento: entrambe, sia l'A-pocalisse sia il Vangelo, parlano diuna fine, una conclusione. Nell'Apo-calisse i due angeli che portano lafalce e procedono l'uno alla mietitu-ra, l'altro alla vendemmia, indicanoche qualcosa è giunto a maturazionee va quindi colto e vagliato. Il vange-lo ci presenta l'inizio di un discorsodi Gesù sulla fine dei tempi e sullanecessità della testimonianza per idiscepoli, ed esordisce con la profe-zia della distruzione del tempio diGerusalemme. L'evangelista Luca,che scrive circa nell'80 dopo Cristo,ha in mente bene quello che descrive,

duto; ciò che i grandi chirurghihanno trasmesso è rimasto, cosicchécoloro che hanno appreso al Monteg-gia l'arte chirurgica attualmente laesercitano in altri reparti o in altriospedali. Dunque cadono i muri, nonle persone e le loro grandi azioni.Così anche Gesù, dopo aver prean-nunciato la distruzione del tempio diGerusalemme, dà istruzioni ai suoidiscepoli perché la loro attività conti-nui, anche se non mancheranno per-secuzioni, tradimenti, tentazioni einganni. Occorre la perseveranza.Allora si potrà essere salvi, pur nellosfacelo di tutte le cose.Questa sera noi siamo qui a onorarecoloro che con perseveranza hannooperato a favore del nostro Ospedale:benefattori, amministratori, visitatori,volontari e dipendenti, perché sicura-mente ciò che essi hanno compiuto èrimasto e non potrà essere cancellatodalla memoria. Certo, la situazionelogistica del nostro ambiente è moltomutata dal 1456 a oggi: la demolizio-ne del Monteggia è stato solo l'ulti-mo atto di una serie di trasformazio-ni, la principale delle quali è stata,come sappiamo, il trasferimento del-l'Ospedale dalla sede storica in cui siera insediato ai padiglioni sorti pro-gressivamente al di là del Naviglio.Sappiamo che gli ospedali sorti suiniziativa del nostro: Niguarda, SanCarlo e Sesto San Giovanni, si sono

perché nel 70 ha assistito al saccheg-gio e alla distruzione di Gerusalem-me ad opera del generale romanoTito, divenuto poi imperatore; inquella circostanza il tempio è statoincendiato e di esso non è rimastache quella muraglia tuttora esistentee chiamata “Muro del Pianto”.Anche qui al Policlinico, nei giorniscorsi, abbiamo assistito a una con-clusione, a una distruzione, seppurein circostanze non drammatichecome quelle descritte dal Vangelo.Infatti è stato interamente demolito ilpadiglione Monteggia, risalente, perle sue parti più antiche, al 1928. Alculmine della sua attività, nei primianni '60 l'edificio poteva accogliere156 malati, disposti su quattro piani,e ospitava le specialità chirurgichepiù rinomate. Anche la sua caratteri-stica forma a V molto allargata nonpoteva sfuggire al visitatore che per-correva la strada tra i padiglioni Gra-nelli e Sacco e si trovava di frontel'ampia mole del nostro edificio. Tut-tavia le esigenze attuali hanno impo-sto la demolizione dell'attuale costru-zione che verrà sostituita da unmoderno monoblocco.Però, dobbiamo dire, sono statedistrutte le pietre e i muri, non è statacancellata la chirurgia. Il patrimoniodi conoscenze e specializzazioni cheè stato acquisito nei lunghi anni diattività del reparto non è andato per-

Notiziario

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resi indipendenti e percorrono la lorostrada in modo autonomo Quest'annoè sorta la Fondazione che coordina leattività del Policlinico e degli edificiche fino all'anno scorso anno faceva-no parte degli Istituti Clinici di Perfe-zionamento. Non è cessato però l'af-flusso dei malati e quindi non sonovenute meno l'assistenza e la cura;anche queste in forma diversa, condegenze più brevi rispetto a qualcheanno fa, con l'uso di strumenti dia-gnostici e terapeutici sempre più pro-grediti e raffinati Ma a operare in undiverso contesto ambientale e contecniche diverse ci sono sempre per-sone, così come a garantire il funzio-namento dell'ambiente ospedalierocon tutte le esigenze che esso com-porta non ci sono soltanto macchine,computer sempre più moderni; l'O-spedale ha bisogno, oggi come quan-do è sorto, di persone affezionate alproprio lavoro, disponibili alla colla-borazione, sensibili alle esigenze glo-bali della persona malala, quindiattente a favorire una sempre mag-giore umanizzazione dei nostriambienti.Oggi siamo qui a elevare preghieredi suffragio per benefattori, ammi-nistratori, visitatori, volontari edipendenti defunti, ma la nostraorazione diventa anche invocazioneperché ci siano uomini e donneveramente appassionati al lavorodella Fondazione, onesti e capaci,perché il nostro complesso ospeda-liero possa sempre essere conside-rato un'oasi di buona salute al cen-tro della città.»Ci uniamo al pensiero conclusivo didon Daniele, convinti che nella pre-ghiera e nel ricordo fermarci sull'o-perato e sui meriti di quanti cihanno lasciato è in un certo modoringraziarli e farli rivivere fra noi.

Partecipi alla Messa rappresentanzedella nostra comunità.Hanno accompagnato la celebrazio-ne le suore del gruppo cantori del-l'Ospedale Maggiore diretto dalmaestro Ennio Brugola.

****Collaboratori che hanno lasciato ilservizio nell’anno 2005

Dott. Andrea Agliardi ( dirigentemedico chirurgo pediatra - IstitutiClinici di perfezionamento); MariaBalestrieri (tecnico di laboratoriobiomedico - Ospedale Maggiore);Cesarina Baruffaldi (tecnico diradiologia medica - ICP); LionelloBonomelli (ausiliario specializzato -ICP); Lucia Bossi (infermiera generi-ca esperta - ICP); dott.ssa PaolaBrina (dirigente medico anestesista -ICP); Giuseppina Cabrini (assistenteamministrativo - ICP); dott. GiovanniCambiaghi ( dirigente medico inter-nista - ICP); Antonio Capobianco(infermiere generico - O.M.); Anto-nio Capoferri (infermiere generico -O.M.); Antonietta Cossu (operatoresocio sanitario - ICP); Bruno Cuccu-ru (infermiere generico - O.M.);Marilena Delvò (infermiera profes-sionale - O.M.); Pasquale D’Eugenio(operatore tecnico - ICP); dott.ssaEva Gellmann (dirigente medicointernista - ICP); Francesco Ghizzoni(operatore tecnico - ICP); MariaGraziella Giacomina (ausiliaria spe-cializzata - O.M.); Nella Giovannini(logopedista - O.M.); Rocco Grossi(operatore tecnico - ICP); VirginiaMaggioni (collaboratore amministra-tivo - O.M.); Viorica Marici (coadiu-tore amministrativo - ICP); AbramoMarrandino (collaboratore ammini-strativo professionale esperto - ICP);Teresa Marrazzo (infermiera generi-

ca esperta - ICP); Daniele Meregalli(operatore tecnico - ICP); AlbaMigliavacca (coadiutore amministra-tivo - O.M.); Floretta Moiso (infer-miera professionale - ICP); LucianaMolinari (tecnico di radiologia medi-ca - O.M.); Giovanna Moretti (caposala - ICP); Mariangela Muroni(infermiera professionale - O.M.);Franco Nardoni (operatore tecnico -ICP); dott. Rodolfo Perondi (dirigen-te medico cardiologo - O.M.); Giu-seppe Pirro (operatore tecnicoimpiantista - O.M.); dott. EmilioRivolta (dirigente medico nefrologo -O.M.); Gloria Roma (operatore tec-nico - O.M.); Patrizia Rubino (infer-miera professionale - O.M.); dott.ssaSusanna Rumeltt (dirigente medicooftalmologo - ICP); dott. Enrico Sca-razatti (dirigente medico patologo -ICP); Antonio Senatore (operatoretecnico - O.M.); prof. Demetrio Spi-nelli (primario oftalmologo - ICP);Sperantina Tromba (infermiera gene-rica - ICP).

****Per non dimenticarli

Alcune gravi perdite hanno colpitoquest’anno la nostra comunità ospe-daliera. Ci hanno lasciato il dott. GiovanniGasparini, dirigente medico derma-tologo, il dott. Eugenio Reschini,dirigente medico presso l’unità ope-rativa di medicina nucleare; la capo-sala Ornella Senatore e l’infermieregenerico Adriano Vismara dell’Ospe-dale Maggiore; il dott. Mauro Gio-ventù degli Istituti Clinici di perfe-zionamento.La Ca’ Granda è vicina alle famigliecon sincera partecipazione.

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Il Consiglio di Amministrazione della Fondazioneha, tra altro, adottato le seguenti deliberazioni:

a - direzione amministrativa- approvazione dell’atto convenzionale con Fonda-zione Fiera Milano e cooptazione del componentedesignato.

b - unità operativa risorse umane- trasformazione di posti d’organico;- aggiornamento di qualifiche riferite a posti dellapianta organica provvisoria a seguito di selezioneinterna di personale.

c - ufficio relazioni con il pubblico- ricognizione e presa d’atto della presenza all’internodella Fondazione delle Associazioni di volontariato;- ricognizione delle Associazioni o Enti con parifinalità, in rapporto di collaborazione con la Fonda-zione IRCCS e a supporto di studi e ricerche confinanziamenti, donazioni e assegnazioni di borse distudio.

d - unità operativa patrimonio- cessione volontaria in procedura espropriativa, afavore del Comune di Magenta, di terreni necessariper la realizzazione di una pista ciclabile di collega-mento con la frazione Ponte Vecchio;- cessione volontaria in procedura espropriativa, afavore del Comune di Asola (Mn) di terreni neces-sari per la costruzione della nuova scuola media.

e - servizio Beni culturali- convenzione di collaborazione scientifica tra laFondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico,Mangiagalli e Regina Elena e l’Università degliStudi di Milano per l’effettuazione di indagini dia-gnostiche e ricerche scientifiche sui Beni culturalidella Fondazione.

Il Direttore generale della Fondazione ha, tra altro,adottato le seguenti determinazioni:

a - direzione amministrativa- rinnovo della convenzione attiva con l’Agenzia delleDogane – Direzione Regionale per la Lombardia perl’effettuazione del Servizio di medico competente, aisensi del D.Lgs. n. 626/94;- costituzione “Commissione acquisizione apparec-chiature medico-scientifiche;- riordino e ricollocazione archivio remoto delle car-telle cliniche della Fondazione presso la strutturaannessa all’Abbazia di Mirasole;- ridefinizione dell’assetto delle unità operative di psi-chiatria dell’Azienda ospedaliera Fatebenefratelli diMilano e della Fondazione IRCCS Ospedale Maggio-re Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena ai sensidella D.G.R. n. VII/13642 del 14.7.2003 - Prorogadella convenzione con l’Azienda ospedaliera Fatebe-nefratelli di Milano fino al 31.12.2005;- convenzione passiva con l’Azienda ospedaliera G.Salvini di Garbagnate Milanese per interventi diemergenza presso il Centro Medico Specialistico diAssistenza per i problemi della violenza sessuale alledonne e ai minori (Centro S.V.S.);- donazione di un visualizer HV 560 XG della DittaNovartis per l’Unità operativa Trapianto di Fegato ePolmone - Accettazione;- convenzione tra la Regione Lombardia e la Fonda-zione Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli eRegina Elena di Milano per il funzionamento delCentro Regionale di Riferimento per le attività di pre-lievo e di trapianto di organi e di tessuti;- conferma dell’efficacia della concessione al funzio-namento presso la Fondazione del Centro di Collabo-razione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità:quadriennio 2004-2008;- programma regionale di collaborazione e sviluppointernazionale in ambito sanitario, gemellaggio con

Cronache amministrative

quarto trimestre 2005a cura del Consiglio di Amministrazione

e del Direttore generale della Fondazione IRCCS OspedaleMaggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena

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l’Ospedale Manuel De Jesus Rivera “La Mascota” diManagua (Nicaragua): utilizzazione del finanziamen-to, liquidazione spese secondo semestre 2005, appro-vazione relazione finale;- obiettivo di interesse regionale 2005 “Patologie car-diocerebrovascolari: interventi di prevenzione, dia-gnosi e cura”: recepimento;- copertura assicurativa dell’Ente - RCT/O II Rischio- Presidio Mangiagalli e Regina Elena: determinazioni;- coperture assicurative nel triennio 2006/2008: deter-minazioni.

b - unità operativa risorse umane- unificazione attività cardiologia trasferita dall’A-zienda ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamentocon l’U.O. di ricovero cardiologico e unità di curecoronariche dell’ex IRCCS Ospedale Maggiore;- selezione interna per la copertura di n. 135 posti diinfermiere generico esperto - Cat. C - Approvazionedei verbali rassegnati dalla Commissione esaminatri-ce e conseguenti adempimenti;- concorso pubblico per titoli ed esami per la copertu-ra di n. 50 posti di collaboratore professionale sanita-rio - infermiere (cat. D) a tempo pieno. Nomina dellaCommissione esaminatrice;- concorsi per assunzioni a tempo determinato di n. 4medici presso varie UU.OO;- direttori di Dipartimenti Sanitari;- richiesta di autorizzazione per la copertura di postivari;- immissione nella attività assistenziale del professoredi IA fascia Luigi Fedeli;- immissione nell’attività assistenziale in regime diconvenzione del professore di IIA fascia Stefano Bian-chi presso l’U.O. di Ostetricia e Ginecologia 2;- affidamento della responsabilità del Servizio Con-trollo di Gestione e Programmazione al docente di I^fascia prof. Francesco Auxilia;- assunzioni a tempo determinato e indizione di sele-zioni interne;- determinazioni inerenti la copertura di posti vacantiin organico;- assunzioni a tempo indeterminato di 6 dirigentimedici e selezioni interne per la copertura di postirelativi a vari profili;- incarico di direttore di struttura complessa dellaunità operativa di chirurgia pediatrica al dott. Mau-rizio Torricelli.

c - direzione scientifica- accettazione del contributo di Euro 50.000,00 messoa disposizione dall’industria farmaceutica SeronoS.p.A. per l’esecuzione del progetto di ricerca “Fol-low-up di pazienti dopo criopreservazione del semepre chemio-radioterapia per tumore” nell’ambitodella procreazione medicalmente assistita sotto laresponsabilità scientifica del dott. Guido Ragni –U.O. Ostetricia e Ginecologia III – Sterilità di coppiaed andrologia;- conferimento di un incarico di collaborazione coor-dinata e continuativa nell’ambito del progetto “Malat-tie rare”: identificazione della causa genetica dellasordità. Applicazione sperimentale di un percorso cli-nico-diagnostico per le forme rare finanziato dall’Isti-tuto Superiore di Sanità – Responsabile Scientificodott. Umberto Ambrosetti, alla dott.ssa PierangelaCastorina;- progetto a concorso 2005 n. 23 cod. 533/04: “Corre-lazione dell’acidemia, effetti su funzione mitocon-driale e sopravvivenza cellulare” - Responsabile prof.Luciano Gattinoni - Borsa di ricerca sul tema n. 1:attivazione dell’avviso di concorso;- progetto a concorso 2005 n. 6 cod. 170/05: “Signifi-cato clinico-prognostico dei geni che codificano perle cicline del mieloma multiplo” - Responsabile dott.A. Neri - Borsa di ricerca sul tema n. 3: attivazionedell’avviso di concorso;- ricerca corrente 2005 cod. 230/01: “Isolamento,caratterizzazione e applicazione in modelli sperimen-tali di cellule staminali primitive in origine neuronaleed ematopoietica per una terapia cellulomediata dellepatologie del motoneurone” - Responsabile prof. Gia-como Comi: parziale utilizzo del finanziamento;- ricerca corrente 2005 - Prog. Cod. 170/02 “Studioimmunofenotipico e genetico-molecolare nel mielo-ma multiplo e nelle MGUS” - Responsabile prof.Luca Baldini: parziale utilizzo del finanziamento;- programma nazionale di ricerca sull’AIDS: “Azioneconcertata per lo studio clinico di fase II per il tratta-mento del sarcoma di Kaposi classico con l’inibitoredella proteasi di hiv Inidinavir” - Responsabile scien-tifico dott.ssa L. Brambilla: parziale utilizzo delfinanziamento;- convenzione n. CS 137 per lo svolgimento del pro-gramma di ricerca: “A bank of extensively characteri-zed human stem cells suitable for in vitro studies andfor therapeutic purposes. Acronym: stembank 2003”

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- incarichi di ricerca vari nell’ambito dei progetti e dicollaborazione coordinata e continuativa;- accettazione del contributo di Euro 50.000,00 messoa disposizione dall’Industria Farmaceutica SeronoS.p.A. per l’esecuzione del progetto di ricerca “fol-low-up di pazienti dopo criopreservazione della pro-creazione medicalmente assistita sotto la responsabi-lità scientifica del dott. Guido Ragni - Unità operativaOstetricia e Ginecologia III - Sterilità di coppia edandrologia.

d - unità operativa progetti speciali e processi ammi-nistrativi- gara mediante pubblico incanto per l’affidamentodei servizi di progettazione preliminare, definitiva edirezione lavori per il successivo affidamento ai sensidell’art. 19, comma 1, lett. B) della L. 109/94 (appal-to integrato) per la realizzazione della sede dell’Istitu-to Nazionale Genetica Molecolare presso il Padiglio-ne “Romeo Invernizzi ed Enrica Pessina” (ex Convit-to Infermiere): aggiudicazione e approvazione deldisciplinare di incarico.

e - unità operativa approvvigionamenti- progetto n. CS 137 - Acquisto di n. 4 centrifugherefrigerate per il Centro Trasfusionale e Immunolo-gia dei Trapianti – Pad. Marangoni: aggiudicazione;- trattativa privata diretta per la fornitura “in servi-ce” di un sistema per estrazione automatica di DNA(da sangue periferico o tessuti) per tipizzazionegenomica HLA su donatori e riceventi di organi etessuti, comprendente l’apparecchiatura in uso, uni-tamente agli accessori, i relativi reagenti e tutti imateriali di consumo necessari, nonché il serviziodi assistenza tecnica atto a garantire la funzionalitàdel sistema stesso: aggiudicazione;- indizione trattative private per l’acquisizione diuno stimolatore per ionoforesi da installare presso ilLaboratorio di patologia clinica - Clinica del Lavo-ro Devoto e di una bilancia analitica da installarepresso il Centro Fibrosi Cistica - Clinica De Marchimediante l’utilizzo dei fondi stanziati dalla GiuntaRegionale della Lombardia al Centro di riferimentoregionale per la fibrosi cistica;- licitazione privata per la fornitura “in service” diun sistema diagnostico per l’esecuzione di tipizza-zioni eritrocitarie da utilizzarsi nel Laboratorio diImmunoematologia dell’U.O. Centro Trasfusionale

nell’ambito del progetto dal titolo: “Programmanazionale sulle cellule staminali” proposto dall’Istitu-to Superiore di Sanità (finanziamento euro2.300.000,00): istituzione di n. 8 borse di ricerca suitemi nn. da 16 a 23;- ricerca finalizzata 2004: “Accoglienza e governancedell’urgenza: motivazione e partecipazione nella curapersonalizzata” (convenzione n. 94) - Responsabilescientifico locale dott. P. Salvini: parziale utilizzo delfinanziamento;- progetto di ricerca integrata per la riparazione cellu-lare delle malattie del fegato invalidanti e il fegatoartificiale assegnata dal Ministero della Salute -Responsabile scientifico dott. F. Bonino: istituzione dinn. 2 borse di ricerca sui temi nn. 2 e 3;- progetti di ricerca vari e istituzione di borse distudio;- ricerca corrente 2006 - Istituzione di nn. 56 borse diricerca;- finanziamento per studi e ricerche sulle tecniche dicrioconservazione dei gameti e degli embrioni orfanida parte del Centro Trasfusionale e Immunologia deiTrapianti assegnato dal Ministero della Salute (D.M.4 agosto 2004) - Responsabile Scientifico locale dott.Paolo Rebulla: assegnazione di una borsa di ricercasul tema n. 2;- assegnazione di n. 214 borse di studio di ricerca;- collaborazioni varie e conferimento di incarichi dicollaborazione coordinata e continuativa nell’ambitodei progetti tra i quali:- collaborazione della Fondazione IRCCS OspedaleMaggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena alprogetto di ricerca finalizzata 2004: “Trapianto di cel-lule staminali emopoietiche e mesenchimali per scopidi terapia cellulare sostitutiva, riparativa e rigenerati-va” - Convenzione n. 120 - assegnata dal Ministerodella Salute all’IRCCS Policlinico San Matteo;- collaborazione della Fondazione IRCCS OspedaleMaggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elenaal progetto di ricerca finalizzata 2004: “Approcciinnovativi per l’introduzione di tolleranza al tra-pianto di cellule staminali emopoietiche” - Conven-zione n. 122 - assegnata dal Ministero della Saluteall’IRCCS Fondazione Centro San Raffaele delMonte Tabor;- progetti di ricerca vari e conferimento di incarichi dicollaborazione coordinata e continuativa nell’ambitodi progetti;

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e di Immunologia dei Trapianti comprendente irelativi reagenti gli accessori materiali di consumonecessari, nonché il servizio di assistenza tecnicaatto a garantire la funzionalità del sistema stesso,sino al 31.12.2007: aggiudicazione definitiva;- acquisto a seguito di trattativa privata diretta, di unvideogastroscopio originale Pentax da installarepresso l’U.O. Chirurgia d’Urgenza e Pronto Soccor-so;- licitazione privata per l’acquisizione di n. 6 ecoto-mografi da installare in reparti diversi dell’Ospeda-le Maggiore Policlinico: aggiudicazione;- licitazione privata per l’acquisizione di n. 1 dia-gnostica polifunzionale digitale e n. 1 diagnosticaossa-toraci tradizionale da installare presso la radio-logia del padiglione Zonda: aggiudicazione;- licitazione privata per l’acquisizione di una TacMultislice di ultima generazione da installare pres-so la radiologia del Padiglione Zonda: aggiudica-zione.

f - unità operativa funzioni tecniche- affidamento dell’attività di verifica e validazione delprogetto esecutivo relativo alla realizzazione dell’in-tervento di ricostruzione del Padiglione Monteggiadell’Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli eRegina Elena;- appalto per “demolizione, scavi e formazione para-tie e piano di fondazione” del Padiglione Monteggiadell’Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli eRegina Elena – Autorizzazione al subappalto.

g - ufficio marketing sanitario- progetto di ricerca: “Studi e ricerche sulle tecniche dicrioconservazione dei gameti e degli embrioni orfani”,presso l’U.O. Sterilità di Coppia ed Andrologia.

h - direzione medica di presidio- istituzione del Comitato Qualità e Sicurezza dellaFondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico,Mangiagalli e Regina Elena;- estensione del progetto di certificazione secondola normativa UNI EN ISO 9001:2000 alla Fonda-zione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Man-giagalli e Regina Elena.

i - ufficio relazioni con il pubblico- ricognizione nucleo permanente carta dei servizi.

l - unità operativa patrimonio- indizione di aste pubbliche per l’alienazione dicespiti per un totale base di asta di Euro 3.270.000.

m - servizio Beni culturali- accettazione del dono di altare e fonte battesimaleper la chiesa dell’Annunciata dell’Ospedale;- conclusione e approvazione del catalogo delleopere d’arte realizzato dalla Università Cattolica delSacro Cuore di Milano;- interventi urgenti di restauro su cornici di dipintidell’Ospedale Maggiore di Milano nell’anno 2005.

n - unità operativa sistemi informativi e informatici- trattativa privata diretta per la fornitura di serviziper l’aggiornamento tecnologico del sistema infor-matico di Accettazione e Prenotazione delle presta-zioni (ADT/CUP) della Fondazione IRCCS Ospe-dale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e ReginaElena;- decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003:determinazioni;- servizi di assistenza ordinaria e specialistica delsistema informatico di accettazione-cup del presidioOspedale Maggiore Policlinico Fondazione IRCCS -Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e ReginaElena per il primo semestre 2006;- servizi di assistenza ordinaria e specialistica delsistema Triage di bancone del pronto soccorso perl’anno 2006 della Fondazione IRCCS OspedaleMaggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena;- progetto Carta Regionale Sanitaria - Sistemainformatico strutture sanitarie (CRS-SISS), recepi-mento approvazione documento di progetto e primiadempimenti di inizio lavori..

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Per la continuità di questa rivista concorre ancheuna disposizione testamentaria della benefattriceGemma Sichirollo.

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per autore

Bevacqua, VincenzoPeste manzoniana e “Madonna di tencitt”fascicolo 1 – pagg. 29-36 (ill.)Due Crocettefascicolo 3 – pagg. 23-27 (ill.)Pusterla e pusterlefascicolo 4 – pagg. 36-44 (ill.)

Bonino, FerruccioLa Festa del Perdono – Ricovero e cura: missione istituzionale e diricercafascicolo 2 – pagg. 38-40Più cultura di base per una tecnologia al servizio dell’uomofascicolo 4 – pagg. 6-7

Bottardi, SimonettaMediazione e clinica: una relazione possibilefascicolo 4 – pagg. 13-16

Bressan, EdoardoLa Festa del Perdono – Vita religiosa e assistenza nella storia dellaCa’ Grandafascicolo 2 – pagg. 36-37

Bressan, LivioMalattia di Parkinson. La voce del parkinsoniano può miglioraregrazie alla Cantoterapia?fascicolo 4 – pagg. 31-34

Cassinelli, DanieleArte sacra ritrovatafascicolo 3 – pagg. 39-42 (ill.)

Cenedella, CristinaTra arte e moda: seconda indagine curiosa tra i dipintidell’Ospedale Maggiore e del Pio Albergo Trivulziofascicolo 3 – pagg. 28-31 (ill.)

Cosmacini, GiorgioLa Festa del Perdono – Fundatio Hospitalis Magni: la rinascitaospedaliera fascicolo 2 – pagg. 34-35Obesità, consumi di lusso e stili alimentari nella storiafascicolo 3 – pagg. 6-8 (ill.)

Cremonese, AntonellaIl silenziofascicolo 1 – pagg. 27-28 (ill.)La convivenzafascicolo 3 – pagg. 34-35

Dal Sasso, GiancarloRiscoprire la dignità della persona umanafascicolo 1 – pagg. 21-25Etica, diritto, economia in sanitàfascicolo 4 – pagg. 23-30

Decleva, EnricoLa Festa del Perdono – Il saluto del Rettore dell’Università degliStudifascicolo 2 – pagg. 9-10

De Monticelli, RobertaUnità biologica e individualitàfascicolo 2 – pagg. 43-45

Eulisse, FrancescaIl 2005 anno internazionale della Fisicafascicolo 2 – pagg. 53-56 (ill.)

Eulisse, GiuseppeIl 2005 anno internazionale della Fisicafascicolo 2 – pagg. 53-56 (ill.)

Fagnani, EnricoBentornata Audiologiafascicolo 1 – pagg. 11-13

Fenyves, AlessandroSanità e managerialità per l’Ospedale Maggiore. Un incontro benriuscitofascicolo 4 – pag. 35

Finzi, AndreaIl “buonsenso” ha ancora senso? Riflessioni di un cardiologofascicolo 2 – pagg. 47-52

Fiorista, FrancescoLa medicina alle soglie del terzo millennio: ma è cambiatol’uomo?fascicolo 3 – pagg. 15-20

Franzini, PieroDal passato – Quello che la scienza sa di non saperefascicolo 1 – pagg. 49-52Dal passato – L’impegno autodidattico del medicofascicolo 3 – pagg. 47-49

Fumarola, GiuseppeLo spazio pubblico – La “piazza” ieri e oggifascicolo 1 – pagg. 40-44 (ill.)

Galimberti, Paolo M.L’Ospedale Maggiore partecipa alla mostra in Giappone “Milan:The Splendor of a Great City”fascicolo 3 – pagg. 36-38 (ill.)

Ghislandi, EnricoCurare l’ammalato, non curare solo la malattiafascicolo 1 – pagg. 14-15 (ill.)

Lerma, MilenaA.Ferrari, S.Marelli (a cura di): Il Big Bang della povertà.Obiettivi del Millennio: promesse non mantenute (rec.)fascicolo 2 – pagg. 57-59

Lotito, PieroL’edicola, libreria di quartiere affollata come un supermercatofascicolo 3 – pagg. 21-22 (ill.)

Indice generale dell’annata 2005

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Maiocchi, GiuseppeEfficacia e sicurezza dei farmaci e prodotti salutistici: un po’ dichiarezza sui terminifascicolo 3 – pagg. 9-14 (ill.)

Maiocchi, PaolaNel mondo dell’infermiera. Lavorare lontano. Intervista di AlviseMamprinfascicolo 4 – pagg. 2-5

Mamprin, AlviseLa Fondazione FieraMilano entra nella Fondazione OspedaleMaggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena. Intervista aLuigi Roth e a Carlo Tognolifascicolo 3 – pagg. 2-5Nel mondo dell’infermiera. Lavorare lontano. Intervista a PaolaMaiocchifascicolo 4 – pagg. 2-5

Montorsi, WalterNel ricordo del professor Vittorio Perottifascicolo 3 – pagg. 43-44

Offeddu, LuigiDalla Russia con amore: provvidenziale, da qualunque parte,l’amorevole assistenza a chi ne ha bisognofascicolo 1 – pagg. 16-20La telecamera deve anche difendere la dignità e fragilità dell’uomofascicolo 4 – pag. 17-18

Pansa Cedronio, FabioSanità e managerialità per l’Ospedale Maggiore. Un incontro benriuscitofascicolo 4 – pag. 35

Randazzo, AntonioLe riunionifascicolo 3 – pagg. 32-33

Rocca, BeppeFondazioni e filantropia nel futuro della ricerca medica e dellacura. Intervista a Walter Roccafascicolo 1 – pagg. 7-14Medicine complementari o alternative?fascicolo 4 – pagg. 8-12

Rocca, WalterFondazioni e filantropia nel futuro della ricerca medica e dellacura. Intervista di Beppe Roccafascicolo 1 – pagg. 7-10

Roth, LuigiLa Fondazione FieraMilano entra nella Fondazione OspedaleMaggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena. Intervista diAlvise Mamprinfascicolo 3 – pagg. 2-5

Segala, MarcoIl contagio delle malattie. Una lunga storia tra credenze, diffidenzae indifferenzafascicolo 4 - pagg. 19-22

Sirchia, GirolamoLa Festa del Perdono. - Gli IRCCS e le Fondazionifascicolo 2 - pagg. 11-12

Sironi, Vittorio A.Il mestiere di medico: bilanci e riflessioni sulla professione e sullastoria, sulla morte e sulla vitafascicolo 1 - pagg. 37-38

Somaini FrancescoLa Festa del Perdono. – Alle origini dell’Ospedale Grande: il duca,il papa, la cittàfascicolo 2 – pagg. 19-33

Tassara, PinoSanità e managerialità per l’Ospedale Maggiore. Un incontro benriuscitofascicolo 4 – pag. 35

Tettamanzi, DionigiLa Festa del Perdono – La Ca’ Granda, ospitalità e speranzafascicolo 2 – pagg. 13-18

Tognoli, CarloLa Festa del Perdono – L’adunanza commemorativa. Presentazionefascicolo 2 – pagg. 6-9La Fondazione FieraMilano entra nella Fondazione Ospedale MaggiorePoliclinico, Mangiagalli e Regina Elena. Intervista di Alvise Mamprinfascicolo 3 – pagg. 2-5

Zanarotti Tiranini, ElisabettaLa beneficenza, attualità di semprefascicolo 1 – pagg. 45-46M.Tuininga: Donne contro le guerre. Femminile plurale nonviolento (rec.)fascicolo 3 – pagg. 45-46

per argomento

Assistenza sanitariaNel mondo dell’infermiera. Lavorare lontano – Intervista di AlviseMamprin a Paola Maiocchifascicolo 4 – pagg. 2-5

BioeticaRiscoprire la dignità della persona umana – Giancarlo Dal Sassofascicolo 1 – pagg. 21-25

CardiologiaIl “buonsenso” ha ancora senso? – Andrea Finzifascicolo 3 – pagg, 47-52

FarmaciaEfficacia e sicurezza dei farmaci e prodotti salutistici: un po’ dichiarezza sui termini – Giuseppe Maiocchifascicolo 3 – pagg. 9-14

FisicaIl 2005 anno internazionale della Fisica – Giuseppe Eulisse,Francesca Eulissefascicolo 2 – pagg. 53-56 (ill.)

Gasparini, GiovanniPer non dimenticarlifascicolo 4 – pag. 46

Gioventù, MauroPer non dimenticarlifascicolo 4 – pag. 46

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Individuo e societàIl silenzio – Antonella Cremonesefascicolo 1 – pagg. 27-28Lo spazio pubblico: la “piazza” ieri e oggi – Giuseppe Fumarolafascicolo 1 – pagg. 40-44 (ill.)La beneficenza, attualità di sempre – Elisabetta Zanarotti Tiraninifascicolo 1 – pagg. 45-47 (ill.)Unità biologica e individualità – Roberta De Monticellifascicolo 2 – pagg. 43-45A. Ferrari, S. Marelli (a cura di): Il Big Bang della povertà. Obiettividel Millennio: promesse non mantenute (rec.) – Milena Lermafascicolo 2 – pagg. 57-59Le riunioni – Antonio Randazzofascicolo 3 – pagg. 32-33La convivenza – Antonella Cremonesefascicolo 3 – pagg. 34-35La telecamera deve anche difendere la dignità e fragilità dell’uomo– Luigi Offeddufascicolo 4 – pagg. 17-18

NeurologiaMalattia di Parkinson. La voce del parkinsoniano può miglioraregrazie alla Cantoterapia? – Livio Bressanfascicolo 4 – pagg. 31-34

Ospedale MaggioreAl via la nuova Fondazionefascicolo 1 – pagg. 2-4La ristrutturazione del padiglione Monteggiafascicolo 1 – pagg. 5-6 (ill.)Bentornata Audiologia – Enrico Fagnanifascicolo 1 – pagg. 11-13La Festa del Perdono 2005 – La cerimonia religiosafascicolo 2 – pagg. 2-5 (ill.)La Festa del Perdono – La Ca’ Granda, ospitalità e speranza –Dionigi Tettamanzifascicolo 2 – pagg. 13-18La Fondazione Fiera Milano entra nella Fondazione OspedaleMaggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena – Intervista diAlvise Mamprin a Luigi Roth e a Carlo Tognolifascicolo 3 – pagg. 2-5Tra arte e moda: seconda indagine curiosa tra i dipinti dell’OspedaleMaggiore e del Pio Albergo Trivulzio – Cristina Cenedellafascicolo 3 – pagg. 28-31(ill.)L’Ospedale Maggiore partecipa alla mostra in Giappone: “Milan,the Splendor of a Great City” – Paolo M. Galimbertifascicolo 3 – pagg. 36-38 (ill.)Arte sacra ritrovata – Daniele Cassinellifascicolo 3 – pagg. 39-42 (ill.)Sanità e managerialità per l’Ospedale Maggiore – AlessandroFenyves, Fabio Pansa Cedronio, Pino Tassarafascicolo 4 – pag. 35Alle origini dell’Ospedale Grande: il duca, il papa, la città –Francesco Somainifascicolo 2 – pagg. 19-33Fundatio Hospitalis Magni: la rinascita ospedaliera – GiorgioCosmacinifascicolo 2 – pagg. 34-35Vita religiosa e assistenza nella storia della Ca’ Granda – EdoardoBressanfascicolo 2 – pagg. 36-37

Perotti, VittorioNel ricordo del professor Vittorio Perotti – Walter Montorsifascicolo 3 – pagg. 43-44

Problemi del medicoIl mestiere di medico: bilanci e riflessioni sulla professione e sullastoria, sulla morte e sulla vita – Vittorio A. Sironifascicolo 1 – pagg. 37-39Dal passato – L’impegno autodidattico del medico – Piero Franzinifascicolo 3 – pagg. 47-49

Rapporto medico-malatoCurare l’ammalato, non curare solo la malattia – Enrico Ghislandifascicolo 1 – pagg. 14-15La medicina alle soglie del terzo Millennio: ma è cambiatol’uomo? – Francesco Fioristafascicolo 3 – pagg. 15-20Mediazione e clinica – una relazione possibile – SimonettaBottardifascicolo 4 – pagg. 13-16

Reschini, EugenioPer non dimenticarlifascicolo 4 – pag. 46

Ricerca scientifica Fondazioni e filantropia nel futuro della ricerca medica e dellacura – Intervista di Beppe Rocca a Walter Roccafascicolo 1 – pagg. 7-10 (ill.)Gli IRCCS e le Fondazioni – Girolamo Sirchiafascicolo 2 - pagg. 11-12Ricovero e cura: missione istituzionale e di ricerca – FerruccioBoninofascicolo 2 - pagg. 38-42

SanitàDal passato - Quello che la scienza sa di non sapere - PieroFranzinifascicolo 1 - pagg. 49-52Obesità, consumi di lusso e stili alimentari nella storia - GiorgioCosmacinifascicolo 3 - pagg. 6-8 (ill.)Medicine complementari o alternative? - Beppe Roccafascicolo 4 - pagg. 8-12Il contagio delle malattie. Una lunga storia tra credenze, diffidenzae indifferenza - Marco Segalafascicolo 4 - pagg. 19-22Etica, diritto, economia in sanità - Giancarlo Dal Sassofascicolo 4 - pagg. 23-30

Senatore, OrnellaPer non dimenticarlifascicolo 4 - pag. 46

Storia di MilanoPeste manzoniana e “Madonna di tencitt” – Vincenzo Bevacquafascicolo 1 – pagg, 29-36 (ill.)Due Crocette – Vincenzo Bevacquafascicolo 3 – pagg. 23-27Pusterla e pusterle – Vincenzo Bevacquafascicolo 4 – pagg. (ill.) 36-44

Vismara AdrianoPer non dimenticarlifascicolo 4 – pag. 46

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