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LA BIBBIA ha ragione 1 ERCOLE FERRETTI LA BIBBIA ha ragione COME SI PUO’ DIMOSTRARE CHE LA BIBBIA E’ IL LIBRO CHE CONTIENE IL PROGETTO INTELLIGENTE. ROMA 2011

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LA BIBBIA ha ragione

1

ERCOLE FERRETTI

LA BIBBIA

ha ragione

COME SI PUO’ DIMOSTRARE CHE LA BIBBIA

E’ IL LIBRO CHE CONTIENE IL PROGETTO

INTELLIGENTE.

ROMA 2011

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Dedico questo

lavoro

A tutti i miei

Ex alunni

E Colleghi

Dell’Istituto comprensivo

G.Garibaldi

Di Genzano di Roma.

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Ringrazio:

L’Ill.mo Prof. Edmondo Coccia

- mio carissimo ex Professore

di Lettere al Liceo -

per la sua consulenza.

*

Il M.Rev.do

P. Carlo Cicconetti

- già Provinciale

dei PP. Carmelitani -

per la disponibilità

e l’incoraggiamento.

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Premessa Questo scritto parte da un’ idea pensata da tanto tempo. Prima

in modo nebuloso, quasi una domanda che restava sullo sfondo che non riusciva a formularsi distintamente, poi, finalmente, si è presentata nella sua chiarezza. L’idea è contenuta in questa domanda: se la Bibbia rappresenta la fede e la scienza la realtà, quale dei due dice la verità?

Dopo averla, letta e riflettuta per molti anni; usata per l’insegnamento, in chiave religiosa; creduto come libro “rivelato” in chiave fideistica, la Bibbia, alla fine, mi ha posto la domanda sulla veridicità o meno del suo contenuto: è un libro che contiene la verità sulla storia del mondo e dell’uomo, o è uno dei tanti libri a sfondo storico-mitologico-religioso?

Mi sono anche chiesto che senso avesse attribuire a un libro, certamente scritto da uomini, il titolo di libro rivelato da Dio. Come si arriva a questa convinzione?

Se così fosse, perché Dio ha scelto questo sistema e non un altro per farci conoscere la sua volontà e la nostra verità?

D’altra parte cosa veramente Dio vuole farci sapere: la storia di Adamo ed Eva, la storia di Noè, quella di Mosè, o di Davide, e così via discorrendo? Cosa vuol farci sapere? Che l’umanità è sempre stata piena di persone particolari? In realtà, cosa c’è di rivelato in questo libro dove incontriamo racconti al limite della mitologia, personaggi accettabili (fino ad un certo punto) dal punto di vista morale (secondo le categorie attuali), ad esempio Abramo, Davide; che contiene momenti di teofanie, miracoli, situazioni ambigue e via discorrendo… per quanto riguarda l’Antico Testamento.

Arriviamo al Nuovo Testamento tutto incentrato sull’idea di Gesù Uomo-Dio, personalità entrambe presenti in modo autonomo e costante in questo Essere eccezionale che dicono essere nato da una Vergine, dice di voler salvare l’uomo dal peccato, e per questo muore e poi risorge. Fa miracoli al limite dell’impossibile, scaccia i demoni, ascende al cielo e manda lo Spirito Santo, terza persona della SS.ma Trinità (mistero del Dio unico in tre Persone) per consolidare, alla fine, il suo messaggio, con un’ istituzione umana come la Chiesa.

Alla quale mette a capo un suo Apostolo che, al momento opportuno, invece di dire che era vero ciò che aveva detto e fatto il maestro, lo rinnega. E questa storia va avanti da 2000 anni… con fatti e misfatti delle istituzioni ecclesiastiche che già in molti hanno cercato di evidenziare con o senza malizia… cito solo alcune pubblicazioni: Vaticano spa e I Segreti del Vaticano;1 ma anche con fatti e persone molto positive per l’intera umanità, a partire dal suo capo Gesù Cristo.2

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E allora: Prima di tutto ho voluto appurare se questa Rivelazione è

plausibile al setaccio della scienza. In secondo luogo appurare se il contenuto essenziale di questa

Rivelazione, la Storia della Salvezza, può far parte di un “progetto intelligente”.3

Infine ho voluto constatare la veridicità della Rivelazione. La Bibbia può essere veramente un libro “rivelato” che contiene davvero la verità sulla vicenda umana o è , appunto, solo uno dei tanti libri tra lo storico, il religioso, il simbolico?

In altre parole, ho cercato di appurare se la Bibbia è veramente il libro che contiene la Verità. Se fosse solo uno dei tanti libri potrebbe riguardare solo la mitologia, la cultura e la storia di un popolo, quello ebraico, per quanto riguarda l’A.T.; la storia di Cristo e della sua Chiesa per quanto riguarda il N.T. Nulla di più.

E di conseguenza… i suoi seguaci sarebbero coloro che fanno una scelta di vita guidati dalla sola fede al di là della verità (chi crede, crede che sia la verità, a prescindere); la salvezza farebbe parte di un cammino ascetico con la finalità di rendere l’uomo seguace di alcuni valori, magari migliori di altri, che lo aiutano a passare questa vita illudendosi che fare il bene sia meglio che fare il male. La Chiesa sarebbe un’ istituzione puramente umana che baratta valori eterni con la speranza illusoria di un’eternità inesistente…

Dalla letteratura intorno alla Bibbia non ho trovato nessun tentativo di parlare della Bibbia come di un libro “scientifico”. A parte Teilhard De Chardin, nei termini che dirò.

Il tema principale è provare a rispondere affermativamente alla domanda iniziale.

Riguardo alla figura di Cristo, la letteratura è talmente ampia che rimando alle bibliografie specializzate.

La prima risposta è: se “La Bibbia” è veramente un libro “rivelato” e se contiene il “progetto intelligente” del Creatore, a prescindere dalla mia fede, allora l’eternità non è una pia illusione ma è il destino ultimo dell’umanità.

Per Bultmann, che esclude ogni possibile spiegazione razionale della Bibbia, suppongo che il problema sia stato pressoché identico al mio, ma con conclusione diversa. Per lui il N.T. contiene racconti come l’Ascensione, la Pentecoste, la Resurrezione che non potendo essere spiegati, secondo lui, né scientificamente, né razionalmente, appartengono al “mito”. Sono veri e necessari, ma solo per la fede.

Io credo, invece, che il tentativo di interpretare la Bibbia anche con la sola ragione sia possibile. La fede e la ragione nella Bibbia

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possono coincidere. La Fede è solo il supporto del Mistero contenuto nella Bibbia.

Ho voluto andare oltre, per vedere il risultato. In altre parole: quando la mattina sorge il sole, sorge per tutti. Così potrebbe essere la Bibbia: la creazione, la storia dell’uomo,

la salvezza e l’eternità riguarda tutti, non è soltanto una questione riservata a chi ci crede.

Questo è ciò che si afferma, senza paura di essere smentiti, quando si parla di verità scientifiche appurate come tali. Così dovrebbe essere la Bibbia se il suo contenuto fosse vero.

Per quanto riguarda il “progetto di salvezza” che si evince come tema di fondo dell’intero scritto, anche se fosse vero, resta sempre e comunque la possibilità per ogni individuo, di aderirvi o meno. In tal caso non sarebbe più un fatto privato. Apparterrebbe a chi crede e a chi non crede.4 Sarebbe come il sole, appunto: sorge per tutti.

A chi mi ha chiesto se Dio esiste ho risposto: non è che se io credo Dio esiste, o se non credo Dio non esiste. Se esiste, esiste a prescindere. Spesso, infatti, si pensa che basta dire non ci credo e come d’incanto il problema Dio sembra risolto. Questo significa appartenere ancora al mondo del pensiero magico primitivo. Non è il pensiero che crea o non crea Dio, non è solo questione di Fede. Dio non è un problema soggettivo ma oggettivo.

La seconda risposta potrebbe essere che la Bibbia è un libro come un altro.

Ne è venuto fuori questo scritto, forse non troppo sistematico, ma essenziale, che affronta questi argomenti provando a dimostrare che, effettivamente, la storia che ci racconta la Bibbia può avere un suo fondamento, anche se questa “storia” non può essere intesa tutta nel senso tradizionale di questo termine.

Proverò a dimostrare che in essa è possibile trovare il “progetto intelligente” di un creatore, ricorrendo a concetti razionali, scientifici, psicologici, filosofici e storici. Progetto che riguarda sia l’universo, ma soprattutto l’uomo. L’uomo è il fine di tutta la creazione.

Immaginate un universo di cui nessuno si interessa. E’ una bellezza senza finalità.

Mi rendo conto che l’impresa può apparire velleitaria, specialmente se chi scrive non può fregiarsi di nessun titolo se non quello di una laurea in teologia e di un’altra in psicologia, senza un percorso accademico, ma solo quello dell’insegnamento in una scuola media statale. Non ha pubblicazioni, né ricerche a suo nome. Pertanto chiedo scusa ai miei lettori, se ho azzardato ipotesi che possono andare oltre le mie competenze. Il libro è pieno di citazioni molto lunghe, specie il primo capitolo, perché Egli crede necessario

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il massimo della documentazione. L’autore sarebbe grato a tutti i suoi lettori se lo aiuteranno nel trovare altre opere a favore o contro le sue teorie.

La domanda fondamentale, pertanto, alla quale ho cercato di rispondere è: ciò che dice la Bibbia è vero o non è vero? E allora il concetto definitivo, che poi è la risposta finale, può essere riformulata in questo modo: la Bibbia è il Libro che contiene tutta la Verità (esistenziale e non solo) sul mondo e sull’uomo. Questo è il tentativo, ed ecco il risultato.

L’autore. P.S. Nel libro di Dawkins (vedi nota 3) alle pagine 279-280

leggo: <<L’esempio più triste che conosco è quello del geologo americano Kurt Wise, che ora dirige il Center for Origins Research al Bryan College di Dayton in Tennessee. (…) Wise avrebbe potuto benissimo soddisfare il desiderio che aveva da sempre di diventare professore di geologia presentando domanda a una vera università il cui motto fosse “Coltiva il pensiero critico”, anziché a un collegio che espone nel suo sito web l’ossimoro:”Coltiva il pensiero critico e biblico”. Avrebbe potuto, dico, perché era qualificato: si era laureato in geologia e paleontologia (nientemeno) ad Harvard, dove aveva studiato sotto la guida di (nientemeno) Stephen Jay Gould. Era un giovane scienziato molto qualificato e promettente, avviato, come desiderava, sulla strada dell’insegnamento universitario e impegnato nella ricerca in un’università seria. Sventura volle che circostanze non esterne, ma interne, gli sconvolgessero la mente; una mente fatalmente minata e indebolita da una educazione religiosa integralista la quale lo costringeva a credere che la Terra, di cui egli si era occupato nei suoi studi geologici a Chicago e Harvard, avesse meno di diecimila anni di età. Wise era troppo intelligente per non riconoscere il conflitto insanabile tra religione e scienza e questo conflitto interiore cominciò a procurargli un crescente disagio. Un giorno, esasperato, sistemò la questione con un paio di forbici. Prese una Bibbia, la rilesse e tagliò tutti i brani che non si accordavano con la visione scientifica del mondo. Alla fine di quell’impresa faticosa e spietatamente onesta, del libro rimase pochissimo:

<<Nonostante i miei sforzi, e benché i margini fossero rimasti intatti, mi era impossibile prenderla in mano senza che si sbriciolasse tra le dita. Dovetti scegliere tra evoluzione e Scrittura. O la Scrittura era vera e l’evoluzione era falsa, o l’evoluzione era vera e dovevo gettare la Bibbia… Quella notte accettai la Parola di Dio e rifiutai tutto quello che l’avrebbe contraddetta, compresa l’evoluzione. Così, con grande dolore, gettai alle ortiche tutti i miei sogni e le mie speranza di scienziato. >>

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A me è capitato lo stesso. E non solo a me. Non butto né la

Bibbia, né la scienza. Credo che tra le due cose non ci sia un aut aut, ma che possano coincidere. Vorrei che il Dott. Wise un domani potesse leggere questo scritto e riacquistare la fiducia anche nella scienza e non essere più costretto al dilemma della scelta.

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Note Premessa.

1. NUZZI G.L., Vaticano S.P.A., Ed. Chiare Lettere, 2009. Cf. RENDENA, CLAUDIO, L’oro del Vaticano. New Compton editori, Roma, 2010. Alla fine del libro, p. 276, è contenuta una bibliografia nella quale si parla di questi argomenti. Da ultimo ci mancava AUGIAS, C., I segreti del Vaticano. Storie, luoghi, personaggi di un potere millenario, Mondadori, 2010. Questi libri, altri e i loro autori sono stati oggetto di critiche salaci e vere, da parte del Prof. Edmondo Coccia, mio ex professore di liceo, nel suo libro I nipotastri di Voltaire. Fango sulla Chiesa. Ed. Fede & Cultura. 2010.

2. Enumerarle tutte sarebbe impossibile. Pensiamo a quei campioni di

umanità verso i malati, i giovani, i carcerati, ecc. che la chiesa chiama Santi. 3. A proposito di “progetto intelligente” e altre teorie, nel libro

“L’illusione di Dio” di Dawkins, l’autore scrive:<<Scegliendo una pagina a caso del libro anonimo [Life: How Did It Get Here?] distribuito con tanta generosità, troviamo la spugna Euplectella aspergillum, il “cestello di Venere”, accompagnata da una citazione da David Attenborough, niente di meno: ”Quando osserviamo lo scheletro di spicole silicee di una spugna complessa come il cestello di Venere, si prova un profondo stupore. Come possono microscopiche cellule quasi indipendenti secernere insieme un milione di fili vitrei e costruire un reticolo di tale complessità e bellezza? Non lo sappiamo”. Gli autori della Watch Tower si affrettano a concludere il discorso a modo loro: ”Ma una cosa sappiamo: il progettista non è il caso”. Infatti: su questo siamo d’accordo. L’improbabilità statistica di fenomeni come lo scheletro di Euplectella è il problema centrale che qualsiasi teoria della vita deve risolvere. Più grande è l’improbabilità statistica, meno plausibile è che la soluzione sia il caso: questo significa <<improbabile>>. Ma le possibili soluzioni dell’enigma dell’improbabilità non sono, come viene artatamente [deliberatamente con inganno] lasciato credere, il progetto e il caso, bensì il progetto e la selezione naturale. Il caso non è una soluzione, dati gli alti livelli di improbabilità che osserviamo negli organismi viventi, e nessun biologo sano di mente ha mai suggerito che lo fosse. Nemmeno il progetto è, come vedremo più avanti, una vera soluzione; ma per il momento continuerò a illustrare il problema che qualsiasi teoria della vita deve risolvere: come liberarsi del caso. (…) ribadisco: è evidente che non è avvenuto per caso, ma il progetto intelligente non è l’alternativa giusta. La selezione naturale non è solo una soluzione economica, plausibile ed elegante, ma è anche l’unica alternativa concreta alla casualità che sia mai stata formulata. Il progetto intelligente ha gli stessi identici difetti del caso: non è una soluzione plausibile all’enigma della improbabilità statistica. Più alta è l’improbabilità, meno plausibile diventa il progetto. A ben riflettere, il progetto intelligente rende l’enigma doppiamente intricato, perché l’architetto (o l’architetta) solleva immediatamente il problema impegnativo della propria origine. Qualunque entità capace di progettare qualcosa di improbabile come un’Aristolochia tribolata (o un universo) sarebbe giocoforza altrettanto improbabile di un’Aristolochia tribolata. Lungi dal porre fine a un processo vizioso, Dio lo vizia alla grande>>. In DAWKINS R., L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere. Trad. di Laura Serra. Ed. Oscar Mondatori, Milano, 2008, pp. 121-122. Come si vedrà in appresso, l’autore non accetta il

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procedimento di causa-effetto e quindi crede di superare il caso e Dio, con la selezione naturale e il principio di antropia.

4. <<12Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche

senza la legge; quanti invece hanno peccato sotto la legge, saranno giudicati con la legge. 13Perché non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati. 14Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; 15essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono. 16Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo.>> (Rm., 2, 12-16). S. Paolo identifica con la Legge il contenuto dell’A.T. In tutte le coscienze, afferma, che c’è la legge naturale. Essa fa parte di un linguaggio, il linguaggio della realtà, della libertà di scelta. E’ quello che vuole dire: tutti debbono rispondere in base alla propria coscienza, alla legge rivelata gli uni, alla legge naturale gli altri. E’ questa la sua opinione, cioè il suo Vangelo. Possiamo dire che fin dall’inizio, nella Bibbia, sia con la creazione, che con il racconto del diluvio e della Torre di Babele c’è un chiaro riferimento all’intera umanità.

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Capitolo I.

Storia della salvezza interpretata da me. La Bibbia al vaglio della Scienza.

1. Storia dell’umanità. La storia del mondo è scritta dalle vicende dell’universo e dalle

vicende dell’uomo. E’ la verità. La verità è partire dalla realtà vera, dimostrabile, dimostrata e

inconfutabile per chiunque. Come ad esempio il sole (quello che chiamiamo sole)1 che splende e illumina tutti, come detto nella premessa.

Ma resta legittimo chiedersi sempre: esiste la realtà “vera”? Se riusciamo a metterci d’accordo su cose ovvie, da quelle si

potrebbe partire per un’avventura, (anche se quest’avventura si potrà differenziare durante il cammino), che ci porterà a dei concetti, a delle verità semplici che non ci divideranno mai. Il grosso problema, infatti, è solo uno: esiste qualcosa su cui è possibile andare tutti d’accordo? Se rispondiamo sì, allora possiamo andare in cerca di piccole verità che poi, messe insieme, diventeranno la verità.2 Altrimenti…3

Mi spiego. L’uomo non ha potuto assolutamente influenzare le vicende che

risalgono nella notte dei tempi, non era ancora presente (o se lo era non conosciamo le modalità di questa sua presenza). Mi riferisco alle origini del cosmo e alle ere geologiche.4 Per intenderci, dall’inizio fino a circa quattro-due milioni di anni fa. Infatti, a quel tempo, a quanto affermano gli studiosi di antropologia, paleontologia e archeologia, pare, risalga l’apparizione dell’uomo sulla terra.5

Fino a quell’epoca sicuramente le varie ere geologiche si sono alternate in modo naturale… intendo dire che l’alternarsi delle glaciazioni e dello scioglimento dei ghiacciai non è dipeso certamente dall’effetto serra come potrebbe avvenire oggi, come si pensa, a causa delle emissioni di CO2 che inquinano e possono provocarlo in modo poco naturale; per questo ritenuto causa ultima dell’interferenza del progresso tecnologico dell’uomo con la natura.

Quindi l’uomo non è stato in grado (per quanto ne sappiamo fino ad oggi) di influenzare il corso naturale dell’evoluzione del cosmo e della terra, come dice anche lo scienziato Lipton B.H., appena citato in nota. Nessuno, almeno credo, mette in dubbio questa evoluzione del cosmo.

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Il problema principe è l’uomo. Siamo noi gli ultimi arbitri della realtà, anche perché siamo gli unici a rendercene conto, vederla, viverla e a cercare di conoscerla.

E siamo sempre noi che dobbiamo collocare la nostra origine e, soprattutto, scoprirla.

Questo, nell’ambito del rapporto scienza-fede,6 aveva già negli anni ’50 suscitato il problema del monogenismo o del poligenismo, della “discontinuità nella continuità” della creazione, contenuto nelle opere di Teilhard de Chardin, che a sua volta lo riprendeva da Darwin.7 Teorie molto importanti e utili per capire l’apparizione dell’uomo sulla terra.

La mia riflessione parte da questa constatazione di fondo: se fosse vera la scienza dal punto di vista fenomenologico, cioè per come appaiono i fatti, e fosse vera la Bibbia, dal punto di vista dell’intervento creativo di Dio, che si accetta come Rivelazione, sarebbe, anzi è necessario, trovare un elemento che unifichi le due “verità”.

Pare che finora entrambe procedano per strade parallele, con la presunzione di possedere la verità.

La domanda, perciò, è questa: se la ricerca scientifica afferma che l’uomo è apparso sulla terra circa quattro-due milioni di anni fa, non ancora con le sembianze umane, acquisite, in seguito, attraverso l’evoluzione;8 e la Bibbia, invece, parla della creazione dell’uomo in un tempo non ben specificato,9 è certo, però, che l’uomo biblico è uomo a tutti gli effetti, con le sembianze dell’uomo di oggi. Allora la domanda è: ci è dato sapere chi tra scienza e Bibbia dice la verità? O ancora più intrigante: le due verità possono essere vere entrambe?

Credo che, prima o poi, bisognerà mettere termine al dilemma: “Chi ha ragione?”10

E’ questa la sfida di questo scritto. Un po’ presuntuosa, forse. Ciò premesso, dico che, a mio parere, la storia del mondo prima,

e quella dell’uomo poi, indirettamente, sono guidate da un preciso e intelligente disegno del suo creatore.11 E questo lo voglio dire portando una seria critica alle teorie che lo vorrebbero negare. Questa si trova nella nota 11.

2 . Il determinismo12 storico. Causalità o casualità?

La prima obiezione che si può fare all’affermazione di un determinismo storico, riguarda l’uomo e il suo libero arbitrio: come si salva la libertà dell’uomo?

Per questo ho detto indirettamente. Mi spiego. Immaginiamo un architetto che fa un progetto, una

volta realizzato questo progetto, l’architetto sa che qualsiasi cosa

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succederà in seguito (a meno di calcoli sbagliati, vedi per esempio, la diga del Vajont, o altri esempi simili) non dipende dal suo progetto, ma da chi e come lo usa. Porto ancora un esempio: se all’interno dell’edificio progettato e realizzato avvenisse un omicidio, la responsabilità non sarebbe dell’architetto, è ovvio; così come se avvenissero eventi meravigliosi, non sarebbe merito dell’architetto. Così possiamo dire del creatore dell’universo e dell’uomo: il progetto-uomo è ottimo, ma gli avvenimenti che riguardano l’uomo storicamente collocato, avvengono non per un influsso continuo diretto13 del creatore, o per uno sbaglio di calcolo, ma per la libera14 volontà dell’uomo, prima, e per il naturale evolversi degli eventi naturali (calamità, terremoti o aurore boreali, e quant’altro) all’interno della natura, per quanto riguarda la storia della terra, poi.

E’ il creazionismo darwiniano. Lo stesso discorso vale per il cosmo (supernove, buchi neri,

asteroidi ecc.). In altri termini, le leggi per l’ottima riuscita del progetto sono

quelle messe dal creatore (ad esempio, la legge di gravità), poi tutto si svolge secondo queste leggi predeterminate. Qualche volta per casualità imprevedibili, ci può sembrare che il determinismo non funzioni, fino a che non scopriamo la legge che regola quella apparente anomalia. In poche parole, però, l’universo “gira” perché il progetto è fatto bene, senza altri interventi diretti. E’ questa la cosa che mi sembra più normale.15

L’ipotesi della casualità nell’evolversi degli eventi, o meglio, invocare il caso per spiegare l’esistenza in atto, è un’ipotesi che potrebbe essere vera, come la leggiamo nei miti che parlano di un caos preesistente,16 perché anche la combinazione casuale degli elementi, inizialmente caoticamente sparsi, potrebbe essere stato un modo per organizzare il tutto.

Lo stesso ragionamento vale per il Big-Bang, o altre ipotesi. Importante è sempre e comunque “salvare” il principio del

progetto intelligente, che fa capo all’altro principio, quello di causa-effetto.

Non si può dare niente per scontato e sicuro, sia sulla ipotesi della creazione di un “caos” iniziale il cui ordine successivo viene affidato al “caso”, sia sulla ipotesi di una creazione ordinata, poichè le ipotesi sono tutte possibili, come è dimostrabile razionalmente dal momento che non esiste una teoria che sia diventata scientifica, cioè vera inconfutabilmente.

Se fosse vero il Caos iniziale, questo non toglierebbe nulla al “progetto intelligente”.

Pertanto: sia fosse vero il Caos iniziale, sia l’ordine descritto dalla Bibbia, resta sempre da accertare l’origine degli elementi

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contenuti nel Caos, e quelli che casualmente, o intelligentemente, hanno dato origine a ciò che noi chiamiamo universo e il suo contenuto. In sostanza ci chiediamo: come hanno avuto origine questi elementi, ordinati o caotici che fossero, all’inizio? Nulla esclude una creazione caotica e casuale degli elementi che successivamente si organizzano. E nulla esclude una creazione ordinata come dice la Bibbia.

In ogni caso bisogna comunque ricorrere a una “creazione”.17 Le ipotesi, sia la mia che quella degli altri, restano ipotesi fino a

che non si trovano le prove inconfutabili per cui l’ipotesi diventa verità.18 Ammettiamo che si organizzi il caos, bene: ma se il caos non esiste, come fa ad organizzarsi? Questo ragionamento è valido anche per le altre ipotesi. Prima bisogna spiegare l’esistenza delle cose e poi si può spiegare anche la loro organizzazione. Darwin ha studiato, con il metodo della classificazione, l’organizzazione della natura e non esclude a priori la creazione.

Quindi prima riflessione: nulla si organizza e si evolve se prima non è.

L’affermazione apodittica dell’evoluzione come spiegazione dell’origine della realtà avrebbe bisogno, da parte di chi la condivide, di una risposta dettagliata, precisa e inconfutabile.19 Neanche lo stesso Darwin l’afferma.

3. Storia dell’uomo. Per l’uomo le cose sono andate, forse, in modo diverso. Il percorso dell’uomo, mi pare in modo inconfutabile, segue la

linea della perfezione… Infatti, i passi sono lenti ma inesorabili. Se proviamo a partire dall’uomo che vive sugli alberi (è la probabile spiegazione data dall’evoluzionismo, non la prova scientifica20 che le cose siano andate veramente così), e che poi scende nelle caverne e poi… fino a noi, non possiamo che constatare un lento ma inesorabile (in senso positivo) miglioramento sia fisico, che mentale e spirituale, dovuto alle capacità innate21 proprie della natura umana, (rispetto alle altre specie animali), che guidate dalla sua intelligenza particolare, illuminata dalla consapevolezza e dalle sue scelte libere… e conseguentemente dalla volontà di migliorarsi giorno per giorno… hanno portato l’uomo a realizzare quello che la Bibbia afferma, in modo semplice ma autorevole, con queste parole:

<<Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra.>> (Gn. 1, 28).22

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Secondo il mio modo di vedere, in queste parole, in modo ampio, è contenuto quello che Darwin chiama evoluzione, non solo, ma in questa frase è contenuto anche l’obbligo dell’uomo di cercare la verità nel creato.

Se si tiene conto di tutto il discorso precedente, in questa visione può rientrare anche la selezione naturale invocata da Darwin e dai darwinisti.

Mentre scrivo, infatti, non è detto che quello che scrivo non possa essere soggetto a correzione, anzi. La selezione naturale, da questo punto di vista, è anche lo sviluppo di ricerca delle ultime verità. Man mano che l’evoluzione va avanti (quindi evoluzione a 360 gradi) alcune cose si perfezionano, altre scompaiono del tutto.

E’ questo anche il senso della storia: noi dopo aver conosciuto gli errori del passato, abbiamo chiuso con quegli errori (così ci auguriamo tutti) e abbiamo cercato di non ripeterli. L’Oggi non è esente da errori, chi verrà in appresso seguirà lo stesso criterio e così il progresso e l’evoluzione non si arresta mai. Così dicasi delle scoperte scientifiche, tecnologiche e quant’altro. Questo processo non si può fermare, né si può non tenerne conto. E’ questo il “senso ampio” con il quale interpreto le parole della Bibbia appena citate.

Questo cammino, credo sia, ripeto, inconfutabile. Basta leggere la storia… Basta pensare alla tecnologia…

Voglio citare alla lettera il Lipton:<<Non persi mai la certezza, risalente ai miei sette anni, che la vita delle cellule che studiavo avesse uno scopo preciso. Purtroppo, non pensavo che anche la mia vita avesse uno scopo. Non credevo in Dio, anche se confesso che a volte prendevo in considerazione l’idea di un Dio che governa con un senso dell’umorismo raffinatamente perverso. Dopo tutto ero un biologo classico, per il quale l’esistenza di Dio è una domanda inutile: la vita è il prodotto del caso, di una carta fortunata, per essere più precisi, del lancio casuale dei dati genetici. Il motto della professione, sin dai tempi di Darwin, è sempre stato:”Dio? Noi non abbiamo bisogno di nessun Dio ammuffito”. (…) Nel suo libro del 1859, L’origine della specie, Darwin sostiene che i tratti specifici degli individui si trasmettono dai genitori ai figli, e che tali “fattori ereditari” controllino le caratteristiche della vita di ogni individuo. Questa intuizione gettò gli scienziati in una frenetica ricerca nel tentativo di sezionare la vita riducendola ai suoi elementi molecolari di base, perché era lì che si dovevano trovare i meccanismi ereditari che controllano la vita. La ricerca si concluse con un notevolissimo risultato cinquant’anni fa, quando Watson e Francis Crick descrissero la struttura e la funzione della doppia elica del DNA, il materiale di cui sono composti i geni. Finalmente la scienza era riuscita a scoprire la natura dei “fattori ereditari” di cui Darwin

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aveva parlato nel XIX secolo. (…) Ricordo vivamente i titoli a caratteri cubitali che apparvero sulle prime pagine dei quotidiani di quel memorabile giorno del 1953:<<Scoperto il segreto della vita>>.23 Il Lipton continua:<<Come i giornalisti anche i biologi saltarono sul carro trionfante dei geni. Il meccanismo con cui il DNA controlla la vita biologica divenne il Dogma centrale della biologia molecolare, diligentemente esposto nei dettagli nei libri di testo. Nell’eterno dibattito “natura contro educazione”, il pendolo iniziò a oscillare decisamente da parte della natura. All’inizio il DNA era ritenuto responsabile soltanto dei nostri caratteri fisici ma, in seguito, si cominciò a pensare che i geni controllino anche le nostre emozioni e i nostri comportamenti. Quindi, se siete nati con un gene della felicità difettoso, potete aspettarvi una vita infelice.>>.24

Il Lipton non nega tutto questo, non nega l’evoluzione, ma nella sua ricerca fa un salto di qualità:<<Ma lì, immerso nel ricco ecosistema caraibico, cominciai a percepire la biologia come un sistema integrativo vivente, più che come un insieme di singole specie che condividono una porzione di crosta terrestre. (…) Mi convinsi che la moderna biologia dà troppo poca attenzione all’aspetto fondamentale della cooperazione, poiché le sue radici darwiniane sottolineano soprattutto la natura competitiva della vita. Con grande delusione dei miei colleghi di facoltà, quando ritornai nel Wisconsin iniziai a mettere radicalmente in dubbio le sacre convinzioni della biologia classica. Iniziai persino a criticare apertamente Darwin e la validità della sua teoria dell’evoluzione. Agli occhi dei miei colleghi biologi ero come un prete che irrompe in Vaticano annunciando che il Papa è un impostore. […] La mia ultima sosta nel mondo accademico tradizionale fu alla School of Medicine della Stanford University. Ormai ero diventato un impassibile difensore della “nuova biologia”. Non soltanto mettevo in discussione la visione darwiniana “mors tua vita mea” dell’evoluzione, ma anche il Dogma Centrale della biologia, cioè i geni che controllano la vita. Questa premessa scientifica presenta un difetto fondamentale: i geni non possono “accendersi” o “spegnersi” da soli, ovvero non entrano in funzione da sé. Deve esserci qualcosa nell’ambiente che innesca l’attività genetica. Benché questo fatto sia già stato confermato dalla ricerca più avanzata, la scienza convenzionale, accecata dal dogma genetico, ha continuato semplicemente a ignorarlo.>>25

E’ il principio della causa-effetto. Se si accettasse cadrebbero tante certezze basate sul pregiudizio scientifico dogmatico che il tutto è solo frutto del caso, o del principio antropico, dell’accumulo26 o della selezione naturale, sostenuto dal Dawkins.

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Il nostro va ancora più avanti:<<Avevo deciso di andarmene perché, nonostante l’appoggio ricevuto a Stanford, sentivo che il mio messaggio era caduto nel vuoto. Da quel momento, le ricerche non hanno fatto che confermare i miei dubbi sul Dogma Centrale e sul primato del DNA nel controllo della vita. Infatti, l’epigenetica27, lo studio dei meccanismi molecolari per mezzo dei quali l’ambiente controlla l’attività dei geni, è oggi uno dei campi più attivi della ricerca scientifica. (…) ritengo che le cellule ci parlino non solo dei meccanismi della vita, ma che possano insegnarci a vivere una vita più ricca e più piena. Nella torre d’avorio della scienza ufficiale, questo modo di pensare mi avrebbe senza dubbio fatto vincere lo stravagante “premio Dolittle” per l’antropomorfismo, o meglio per il citomorfismo per pensare come una cellula; ma per me questa è Biologia al 101%. Voi potete ritenervi degli individui, ma come biologo cellulare posso assicurarvi che in realtà siete una comunità di circa 50 trilioni di abitanti, cioè di cellule. Quasi tutte le cellule che compongono il vostro corpo sono simili ad amebe, organismi individuali che hanno sviluppato una strategia di cooperazione finalizzata alla reciproca sopravvivenza. In parole povere, gli esseri umani sono soltanto la conseguenza della “coscienza amebica” collettiva.>>

E ancora porta queste riflessioni sulle cellule a una conclusione affatto scientifica, secondo la scienza tradizionale:

<<Prendendo queste comunità di cellule come modello, giunsi alla conclusione che noi non siamo le vittime dei nostri geni, ma gli artefici del nostro destino, in grado di creare una vita traboccante di pace, felicità e amore. Ho messo personalmente alla prova la mia ipotesi in seguito a un richiamo da parte di una persona del mio pubblico, che mi chiese perché le mie intuizioni non mi avevano reso più felice. Aveva ragione: dovevo ancora integrare la mia nuova consapevolezza biologica nella vita quotidiana. Capii di esserci riuscito quando, in una luminosa domenica mattina al Big Easy, una cameriera mi chiese:”Tesoro, sembri la persona più felice che abbia mai visto. Come fai a essere tanto contento?” La domanda mi aveva colto alla sprovvista, ma risposi senza riflettere:”Perché sono in Paradiso!” La barista scosse la testa borbottando:”Santo cielo!”, e si occupò della mia colazione. Avevo detto la verità. Ero felice come mai in vita mia. Molti di voi che mi state leggendo potreste essere giustamente scettici riguardo alla mia affermazione che la Terra è il Paradiso. Dal momento che per definizione, il Paradiso è anche la dimora della Divinità e dei beati come facevo a credere che New Orleans, o qualunque altra grande città potesse far parte del Paradiso? Donne e bambini cenciosi e senza casa che vivono per strada; un’aria così piena di fumi che non si riescono a vedere le

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stelle; fiumi e laghi così inquinanti che solo forme di vita dell’orrore potrebbero viverci. Questa Terra un Paradiso? La Divinità abita qui? Questo tipo sa che cos’è la Divinità? La risposta alle precedenti domande sono: Sì, sì, e credo di sapere che cos’è. Per essere sincero fino in fondo, devo ammettere che non conosco personalmente tutto ciò che fa parte della Divinità perché non conosco tutti voi. Santo cielo, ci sono oltre sei miliardi di VOI. E, per essere ancora più sincero, non conosco neanche tutti i membri del regno vegetale e animale, anche se credo che anch’essi compongano Dio. Per dirlo con le immortali parole di Tim Taylor in Tool Time, “Ehi, aspetta, aspetta! Stai dicendo che gli esseri umani sono Dio?”. Proprio così, e non sono certo il primo a dirlo. E’ scritto nel libro della Genesi che siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio. Sì, questo razionalista tesserato adesso si mette a citare Gesù, Buddha e Rumi. Ho fatto un giro completo, passando da una visione scientifica e riduttiva della vita a una visione spirituale. Siamo fatti a immagine di Dio, e dobbiamo inserire di nuovo lo Spirito nella nostra equazione se vogliamo migliorare la nostra salute fisica e mentale. Dal momento che non siamo delle macchine biochimiche impotenti, la risposta ai momenti di disagio fisico o mentale non sta nel buttare giù una pillola. La farmacologia e la chirurgia sono strumenti potenti, quando non se ne abusa, ma l’idea che un farmaco possa mettere tutto a posto è profondamente sbagliata. Ogni volta che un farmaco viene introdotto nel corpo per correggere la funzione A, scombussola inevitabilmente la funzione B, C o D. Non sono gli ormoni e i neurotrasmettitori diretti dai geni, che controllano il nostro corpo e la nostra mente; sono le nostre convinzioni a controllare il corpo, la mente e quindi la nostra vita. Oh, voi di poca fede!>>28

Uno scienziato che fa il cammino a ritroso: si rende conto che la Bibbia potrebbe non essere una favola.

L’ho citato per intero di proposito per il motivo che nessuno si deve scomodare per andare in cerca di questo testo.

Ora voglio allargare il discorso a un altro aspetto dell’uomo, l’aspetto interiore, l’aspetto metacognitivo, quello che riguarda il cammino verso l’interrogativo che si è posto quasi fin da subito: “Come mai mi trovo in questo mondo? Come so di sapere?”

Credo, come già detto, che l’uomo non ci si trovi “casualmente” per una combinazione casuale di cellule, perché l’uomo29 sa (anche se non sempre riesce sempre ad ammetterlo) che non si dà nessuna cosa casualmente, ogni cosa che esiste, esiste perché dietro c’è sempre una causa diretta, indiretta o circolare che sia. E la causa prima è la consapevolezza che ciò che c’è, esiste. Se l’uomo non avesse scoperto questo principio, quello della causa e dell’effetto, e

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se questo principio non fosse vero, non ci sarebbe neanche la scienza.30

Qualsiasi ipotesi sottostà a questo principio, anche il principio dell’accumulo di Darwin-Dawkins.

Perciò è lecito dire che se qualcosa esiste, esiste perché qualcuno l’ha fatto, nel senso sopra esposto. Dalla cosa più semplice alla cosa più complessa.31 Non sono uno scienziato, ma leggendo quello che la scienza ci dice circa la vita, la cellula e quant’altro, non afferma mai il contrario del principio della causa e dell’effetto, anche se in teoria essa (alcuni scienziati) lo nega.

4. La riflessione scientifica e la Bibbia. Possono coesistere creazionismo e evoluzionismo?32

Quando Galileo scoprì con certezza che Copernico aveva

ragione, la Chiesa si arrabbiò, perché la Bibbia recitava il contrario,33

e qualcuno pensò: <<Se la Bibbia ha sbagliato su questa verità, chi ci può garantire che non sbaglia anche sulla creazione, l’esistenza di Dio34 e quant’altro?… è arrivato il momento di liberarci dal potere di questi papi moralizzatori (ritenuti i responsabili di questo oscurantismo scientifico) che in nome di un Dio, ritenuto creatore di tutto e che in realtà non “sa”35 neanche che la terra non è il centro dell’universo, ma in realtà si muove intorno al sole, vogliono imporci la loro verità e la loro morale fatta solo di no!>>

E chi può contestare questa scoperta? Nessuno. Però da questo a pensare di poter dimostrare che l’uomo può fare a meno di un creatore ce ne corre.

L’errore dell’illuminismo, secondo me, consiste nel non aver fatto questa distinzione: Creatore che può riguardare l’intero universo, e Dio che può riguardare la sola religione. Anche se, in realtà, alla fine le due realtà coincidono, ma il Creatore non è appannaggio della sola religione. Quindi la scienza può pure fare a meno di Dio inteso in senso religioso e legislatore morale, ma non del Creatore, inteso come Causa Prima del tutto. E mi pare, dalle parole di Darwin citate poco fa, che anche lui pensi così.

Con la scoperta di Galileo ha inizio il cosiddetto secolo dei lumi, l’esaltazione della ragione elevata a sostituto di Dio, fino a dichiarala Dea Ragione.

La cosa non ci deve meravigliare più di tanto. Era scontato che l’uomo si sentisse libero di iniziare un nuovo percorso, dopo la constatazione dell’errore biblico. Era ormai in atto il fatto che prima o poi qualcuno cercasse di sorpassare il dogmatismo ecclesiastico. Il

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povero Cartesio, cercava di non oltrepassare i limiti dettati dal dogma, per paura di essere scomunicato.36

Anche all’interno della Chiesa iniziò una corrente che cercava di confutare l’Illuminismo ma finiva poi, per mancanza di prove, per accettarlo. E’ quel movimento che la Chiesa condannerà con il nome di “Modernismo”.37 All’Illuminismo la Chiesa rispose direttamente con il Concilio Vaticano I,38 e indirettamente con il Vaticano II.

La scienza, una volta superata la barriera della scomunica, si sente libera da remore morali (non etiche),39 giustamente. Si inizia, perciò, il percorso della ricerca alternativa a un Dio creatore e legislatore morale.40 Si cerca un principio che non sia necessariamente frutto di un progetto intelligente. Legittimo. Ma la scienza sa, o dovrebbe sapere, che il suo campo è limitato al fenomeno, e ha inizio dopo che il fenomeno è avvenuto. La riflessione scientifica parte sempre dal dato di fatto, oppure fa ipotesi sul come è avvenuto il dato di fatto.

L’ordine trascendente-biblico è di dominare (che equivale a conoscere) le cose create, e solo quelle. Non a sconvolgere l’ordine preesistente. (Gen. 1, 28)

E’ chiaro che lo sforzo della scienza sperimentale non può che riguardare il fenomeno.

Come si potrà leggere all’interno di questo scritto, gli scienziati quando arrivano a un punto di non ritorno con i loro interrogativi e le loro scoperte, non osano oltrepassare il mondo fenomenico perché dovrebbero ammettere il mondo metafisico.41 E, forse, è giusto che sia così, altrimenti non sarebbe più scienza sperimentale; però occorrerebbe un po’ più di umiltà e riconoscere come Dante, ed esclamare: “State contenti, umana gente, al quia!”42 allorché si arriva di fronte alla barriera del metafisico. La verità è patrimonio dell’intero genere umano. Per ora, ancora non la conosciamo tutta intera. Certamente non si ferma al solo mondo fenomenico.

Intanto: nessuno può obiettare che ciò che esiste, esiste, mi pare. Ed è questo il campo della scienza sperimentale.

La teoria più innovativa e sconvolgente si è pensato, fosse stata la teoria evoluzionistica.

Con l’evoluzione sembra, per molti ma non per tutti, neanche per lo stesso Darwin, risolto il problema Dio. L’universo si è evoluto non creato, secondo alcuni, quindi non abbiamo più bisogno di un Dio.43

Una cosa importante da specificare e da tenere sempre presente, riguardo all’evoluzione, è che ciò che si evolve si evolve perché già esiste.

Sembra scontato, ma non per tutti.

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Qualcuno parte a metà del ragionamento: l’evoluzione. Salta la prima parte, quella che deve tener conto da chi o da cosa prende il via ciò che si evolve; non basta risolverlo con ipotesi scientifiche non ancora sperimentate o con la fatidica frase “non può che essere così!”.

Basterebbe riflettere su questo semplice aspetto per dire che l’evoluzionismo non solo non contraddice la creazione, ma anzi potrebbe essere stato il modo usato da Dio per dare concretezza alla creazione.44

Forse non è una eresia scientifica. L’illuminismo è restato abbagliato dalla nuova luce gettata sul

creato dall’evoluzionismo e questo abbaglio ancora impedisce all’occhio di vedere in modo normale. Come dice Lipton.45

Quello che ho affermato poco fa: Dio ha creato con leggi predeterminate,46 e l’universo segue la sua strada, senza ulteriori aggiustamenti; qualche volta, forse, aggiustamenti casuali, o da noi, presunti tali…47, aggiustamenti non dovuti ad un nuovo intervento specifico. Questo, mi pare, sia un modo lineare di pensare.

E’ chiaro, che anche in questo caso, non parlo di principio scientifico.

Ma tant’è, riflessione per riflessione… L’evoluzionismo rientra benissimo in questa visione deterministica. Lo dice lo stesso Darwin.

Noi pensiamo, per il principio di causa-effetto che, se il mondo esiste, è perché qualcuno l’ha creato, senza bisogno di portare il processo all’infinito, come pretendono Russel, Dawkins48 e altri; però questo principio non ci dice né il modo, né il quando, né il perché; quindi nulla vieta credere in questo principio, e neanche di credere nell’evoluzionismo che resta, comunque, una teoria.49

Quindi coloro che hanno pensato e pensano che la creazione faccia a botte con l’evoluzionismo, forse sbagliano. L’errore di fondo sta nell’escludere a priori la causa-effetto (ma come si fa a prendere alla lettera Hume? Mi sembra importante, invece, la retroattività introdotta da Köler e da Watzlawick), come alternativa inammissibile. In realtà il creazionismo non esclude l’evoluzione, mentre è impossibile il contrario. Ripeto, non si può dare l’evoluzione senza che prima ci sia qualcosa di preesistente, che poi si evolve. Per sua stessa natura e intrinseco significato, l’evoluzione prevede qualche cosa da cui poi prende le mosse per il suo sviluppo. L’evoluzione non può sostituire assolutamente il concetto di creazione: è intrinsecamente impossibile, sia filosoficamente che scientificamente.

Non occorre scandalizzarsi, basta la prova dei fatti, o se vogliamo, della ragione, o ancora, del vocabolario: evoluzione = passaggio graduale da… a…

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Altrettanto si può dire della teoria del Big-Bang. Sono modi possibili del come Dio possa aver dato origine alla

creazione, anzi possiamo dire che il Big-Bang potrebbe essere stato il modo iniziale della creazione,50 l’evoluzione non ne è che la logica conseguenza. Da questo punto di vista, dal punto di vista teorico, non si può escludere neanche la creazione come caos primordiale, come già detto. Non si può neanche escludere, di conseguenza, il determinismo.

Pertanto ciò che afferma la Bibbia, cioè la creazione dal nulla, è certamente la teoria dalla quale bisogna partire per comprendere poi il tutto. Senza il creato non ci sarebbe se non il nulla.

5. L’uomo nella Bibbia. E’ solo un linguaggio mitologico o è possibile intravedere una realtà scientifica nelle

affermazioni sulla natura umana? Per quanto riguarda l’uomo è indubbio che sia l’unico essere

vivente capace di conoscere la sua stessa conoscenza, cioè capace di riflettere sulle sue ipotesi, come abbiamo già detto.51

L’uomo pure, però, può rientrare in questa visione deterministica,52 ed è o può essere frutto di una evoluzione (per me, e non solo per me, susseguente alla creazione), ma non solo conseguenza dell’evoluzione della materia; una cosa può farci pensare a un essere speciale, anche all’interno del fenomeno evolutivo, e dal punto di vista della materia.53

Una domanda e un passo ulteriore: l’evoluzione riguarda solo la materia o anche le facoltà specifiche dell’uomo?

Occorrerebbe dimostrare, infatti, che l’evoluzione della materia, da sola, sia in grado di produrre il pensiero, la parola e la coscienza.54 Le caratteristiche, cioè, per cui un animale55 possa dirsi uomo, e facoltà che non sono materia… fino a prova contraria!56

Mi spiego. Quando inizia una nuova vita questa è una vita cellulare e la cellula contiene in sé già da subito le caratteristiche del soggetto che poi diventerà: uomo, altro animale, o pianta.57 Anche nel caso dell’uomo la cellula iniziale già doveva contenere e contiene le caratteristiche dell’uomo e cioè la capacità di pensare, parlare ed essere cosciente. Razionalmente non può che essere così. Quando compare per la prima volta nella storia la cellula uomo non poteva che contenerne anche le caratteristiche peculiari.58

L’evoluzione non ha fatto altro che perfezionare59 nel tempo queste peculiarità, come ho affermato fin dall’inizio, anche tenendo presente la selezione naturale.

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Penso che questa affermazione non sia confutabile, o se lo fosse, toccherà a qualcun altro farlo, in modo chiaro ed inequivocabile.

Ora veniamo alla Bibbia, che non è un libro “scientifico” nel senso usato comunemente per questo aggettivo. La Bibbia ci parla di un uomo creato direttamente da Dio, inizialmente perfetto, e che poi, vittima di un inganno e di una scelta conseguente, porta con sé, in maniera inevitabile, una colpa originale che ha determinato lo stato attuale dell’uomo che coincide con la capacità di conoscere il bene e il male, cosa che lo ha reso simile a Dio,60 e continuato poi nell’eterno combattimento esistenziale dell’umanità che cerca di liberarsi dal male e far vincere il bene. Così disse il serpente all’uomo, secondo la Bibbia: se tu mangi di quell’albero conoscerai il bene e il male e diventerai simile a Dio, e non è vero che morirai.61

Ammettiamo pure che questo linguaggio, questo fatto, rientri nella mitologia. Il mito, per definizione, è, comunque, un racconto che cerca delle risposte alle domande fondamentali dell’uomo.

In questo mito non si parla di caos iniziale nel quale l’uomo nasce per un incontro di elementi,62 né di personaggi fantastici (a parte il serpente, vedi nota 65), o di rapporti fra divinità e esseri umani (pensiamo a Giove e alle sue avventure), e così via. Si parla di creazione diretta dell’universo e dell’uomo da parte di un Essere trascendente, dotato di vita autonoma, anzi si definirà Io sono la Vita… (Es. 3, 14; Gv. 14,6). E per quanto riguarda l’uomo si parla già in termini di personalità completa: l’uomo, che è già uomo,63 sa che se mangia di quel frutto potrebbe morire, ma gli sorge il dubbio, (è, perciò, un essere consapevole, cosciente)64, dubbio che gli insinua il serpente,65 (definito l’animale più astuto della terra, sinonimo di maligno; certo figura simbolica, simbolo del male e antagonista di Dio nella Bibbia), che insinua nell’uomo il dubbio che forse sarà vero il contrario: non solo non morirà, ma addirittura può diventare simile a Dio perché quella esperienza gli farà conoscere la differenza tra il bene e il male.

Importante sottolineare che lo scrittore biblico, o la tradizione risalente a 4000-3000 anni fa, identifichi la conoscenza del bene e del male nella somiglianza con Dio.

E’ singolare, per la nostra tesi, sottolineare come Jung (nota 65) ricorra a citare il N.T. e soprattutto la figura di Cristo risorto (che per lui appartiene al “mito”) per spiegare i sogni di quella bambina. Se l’avesse fatto un teologo con l’intento opposto forse sarebbe stato tacciato di appropriazione indebita. Ma lasciamo da parte le polemiche.

E’ importante che autori come Freud e Jung, anticipando quando dirò più avanti, diano un contributo notevole alla dimostrazione di quanto è contenuto in questo libro. Infatti, saranno

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proprio gli studi di questi illustri psicologi a darmi una mano veramente importante per quanto verrò dicendo man mano.

Cosa è il Bene e cosa è il Male.66 Non sono oggetti materiali, ma sono il risultato di fisici buoni,

sani; o cattivi, malati. Sono il risultato di comportamenti conformi alle norme vigenti in quel tempo e in una qualsiasi società, antica e moderna (Bene), o comportamenti non conformi (Male). Nella Bibbia si dice che questa consapevolezza appartiene solo a Dio (<<Diventerai simile a Lui conoscendo il bene e il male>>), e apparterrà all’uomo dopo la decisione di trasgredire. Allora diventa chiaro anche la frase creatrice: <<Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza>>. E’ la consapevolezza, la conoscenza67 che rende l’uomo simile a Dio.

Mi chiedo: come è possibile che nel brano biblico sia presente la concezione della personalità dell’uomo in questi termini di autonomia e di libera scelta consapevole, che permette anche la disobbedienza al comando dell’Essere supremo, in un mondo (quello dell’autore materiale della Bibbia) dove l’autorità del re equivaleva alla persona di una divinità incarnata, e la trasgressione era punita con la morte, cioè una morte vera con esecuzione?68

Infatti, solo con questa fede, il monarca otteneva piena sudditanza e obbedienza. Le persone erano convinte di obbedire a un dio fatto uomo. Obbedire al monarca faceva parte di un convincimento sociale, pena la morte.

La Bibbia afferma esattamente il contrario, e cioè che l’uomo, tutti gli uomini, sono tali (compresi i re), e solo uno, invisibile, che non era possibile guardare in faccia, pena la morte, era Dio. Nella Bibbia, inoltre, presso gli ebrei, il concetto di re non viene accettato, fanno difficoltà ad accettare il passaggio da un governo di anziani e di un Giudice suscitato da JHWH stesso di volta in volta per cause eccezionali, a quello di un governo monarchico.69 La monarchia ebraica, non fa una bella figura davanti alla storia, anzi. Dura poco tempo rispetto all’intera storia contenuta nella Bibbia. E poi: prima si divide per questioni di richieste economiche insostenibili, in Regno di Giuda, o regno del sud, e Regno del Nord; entrambi, poi, terminano con l’annientamento materiale della loro esistenza storica per mezzo degli Assiro-Babilonesi. Questa fine, avrebbe potuto portare all’annientamento di tutto il popolo ebreo.

Il re, nella concezione dell’epoca, presso i popoli limitrofi, era appunto un dio-uomo, cosa assurda per gli Ebrei. Anche dopo l’esilio, non rifondarono un regno, ma ricostruirono subito il Tempio, l’unica reggia dove abita il Re dei Re.

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Questo vorrà pur dire qualcosa, nell’economia del testo biblico. Non nego che il racconto in sé potrebbe rientrare nella

letteratura mitica, (mi riferisco al linguaggio e alle immagini usate per la creazione dell’uomo e al peccato originale), come già detto, ma queste affermazioni sull’uomo, sono vere. Oggi, dopo circa 4000-3000 anni dalla data di origine di quei racconti, possiamo renderci conto che dietro il linguaggio di un racconto, intessuto da alcuni aspetti apparentemente mitologici, vengono affermate delle verità sull’uomo che sono vere sia psicologicamente che strutturalmente. L’uomo pensa, parla ed è cosciente. L’uomo è consapevole della sua libertà. Può disobbedire a un ordine divino! E non è poco per quei tempi, mi riferisco all’epoca dello scritto, ovviamente, considerando la mentalità dello scrittore, se non fosse un libro rivelato. Sono questi gli elementi, come abbiamo detto, che hanno permesso all’uomo di passare dalle cime degli alberi alle caverne e quindi alle case, fino all’uomo evoluto di oggi.

Se non vado errato, nella concezione di evoluzione darwiniana l’uomo all’inizio non è “uomo” a pieno titolo.70 E’ compito della scienza, perciò, dimostrare, non solo pensare o ipotizzare, in che modo le caratteristiche umane si sono instaurate in quella specie che poi sarebbe diventata uomo, e dimostrarlo con prove vere non solo attraverso delle possibili ipotesi. Quando Marconi scoprì che si potevano usare le onde hertziane, non disse “mi sembra che…” ma dimostrò che era possibile usare queste onde per comunicare, inventando la radio. Questa è la pura scienza sperimentale.

6. Le conseguenze del monoteismo. E’ certo che con il racconto biblico inizia il monoteismo.71 Fino

ad allora non conosciamo se non religioni che adorano più divinità immanenti. Anzi il “timore” (chiaro antropologismo, come tutti i sentimenti umani attribuiti a Dio) del Dio biblico è che il suo popolo possa tornare al politeismo, e questo influenza tutte le leggi e la storia di Israele. Non certo per uno sciocco antagonismo, ontologicamente e razionalmente inesistente, tra l’unico Dio72 e le divinità; ma era un modo per portare l’uomo ad abbandonare il suo immanentismo iniziale ed iniziare il cammino verso la conoscenza del trascendente, con conseguenze importanti sia conoscitive che morali-comportamentali.73

La caratteristica delle divinità politeiste è quella di appartenere tutte al mondo immanente (anche se si tratta di personaggi-déi fantastici, in genere, riconducibili agli archetipi di cui parla Jung) e fenomenologico, lo stesso sole, forma più alta di religione politeista,

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appartiene al mondo visibile, immanente.74 Allo stesso modo, quando si parla di animismo o spiriti, questi sono concepiti in forma immanente. Per l’uomo pre-biblico ed extra-biblico era (ed è) tutto racchiuso tra cielo (atmosfera) e terra.

La nascita del monoteismo coincide con la concezione nuova di una sola divinità che ha la particolarità di non essere immanente ma trascendente.75

La Bibbia dedica ad Abramo, prima come storia, e poi come punto di riferimento in assoluto, tutto l’A.T.

Il N.T. fa riferimento a lui in modo inequivocabile e praticamente come il personaggio chiave dell’intera Bibbia, in quanto, come uomo, anche Gesù è un discendente diretto di Abramo.76

Abramo, infatti, è definito il padre del monoteismo, colui che ha avuto a che fare direttamente con Dio (in ebraico verrà poi identificato con il nome JHWH),77 e al quale Dio ha rivelato non solo la sua esistenza, ma anche il suo progetto, sia sul mondo di cui si dichiara creatore, che sull’uomo, con il quale, per mezzo suo, stipula un patto o Alleanza. E’ l’Alleanza che contiene il progetto di salvezza, e che verrà non solo rispettata da Dio, ma darà a questa Alleanza una connotazione di eternità, cioè finirà quando la storia dell’uomo sarà conclusa. Come si afferma nel N.T.78

Ma torniamo alle conseguenze filosofiche e teologiche del monoteismo. E, perché no, anche scientifiche.

Con il monoteismo, come abbiamo detto, nel pensiero umano si sviluppa e prende forma consapevole il mondo del trascendente, cioè il mondo al di sopra del fenomeno e della materia.

Anche in questo caso, ci chiediamo: lo scrittore biblico se ne rendeva conto?

Credo, comunque, che, a prescindere dallo scrittore, questa sia una verità contenuta in modo inequivocabile nell’intera Bibbia.

Anche il mondo greco, soprattutto con Platone, aveva concepito un mondo al di sopra di questo: è il mondo dell’iperuranio. In termini filologici, al di sopra del cielo. Cioè un mondo invisibile all’uomo, ma che esisteva fuori e al di sopra di questa realtà, dove abitavano le anime prima della discesa sulla terra. Un secondo mondo trascendente era quello dei morti, ma sempre immanente perché era collocato al di là del Nilo nella religione egiziana; sotto il lago Averno, nella mitologia greco-romana; all’interno delle tombe nella religione etrusca, ad esempio.

La Bibbia, a differenza di Platone che ce lo presenta come un mito, ci parla di un mondo trascendente vero, spirituale “abitato”79

dal Creatore. Possiamo dire di un mondo fuori del tempo e dello spazio: infinito ed eterno. E’ un passo ulteriore a quello di Platone.

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Ma non è un mondo irreale o frutto della fantasia. Leggiamo dalla Bibbia stessa la storia di Abramo, figlio del

patriarca post-diluvio Terach: <<Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran,

figlio cioè del suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono.>> (Gen., 11, 31).

Così comincia la storia di Abram, figlio di Terach. L’incontro con JHWH nel racconto biblico non ha nulla di

trascendentale, anzi è una logica conseguenza dei capitoli precedenti (creazione, storia di Adamo, il Diluvio universale e la Torre di Babele): la presenza di JHWH nella Bibbia ha inizio fin da subito. Dare ad Abramo l’appellativo “padre del monoteismo” è un’affermazione storica, in quanto, la tribù dalla quale proveniva Abramo,80 non era monoteista. A lui sarà JHWH stesso a rivelargli la sua unicità e la storia dei suoi interventi precedenti.

Qual è la particolarità della storia di Abramo? E’ la nuova avventura dell’Alleanza e la rivelazione della missione da compiere: rivelare agli altri popoli l’esistenza di un solo Dio, Creatore di tutto, che verrà a salvare l’uomo.

<<Il Signore disse ad Abram: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra.>> (Gen. 12, 1-3).

Il brano ha dello storico in senso ampio,81 e contiene comunque un concetto: Abramo è designato dal “Signore” ad essere il patriarca di un nuovo popolo, in una nuova terra destinata a lui e ai suoi discendenti.

Questo popolo ha una missione da compiere. Per quello che noi oggi sappiamo di certo, è che veramente la

Terra di Canaan, oggi conosciuto con il nome di Palestina e/o Israele, esiste veramente, ed è stato teatro fin dai tempi di Abramo, di una storia singolare: la storia di quello che è conosciuto come “popolo eletto”.

Una digressione. Abramo e gli altri patriarchi dialogavano veramente a tu per tu con Dio? Cioè, parlavano con questo essere trascendente e invisibile che rivelava loro l’imminenza di un diluvio, la distruzione di una torre o di una città a causa della loro superbia e dei loro peccati? Noi oggi ragioniamo con altre categorie: il trascendente non è né il “cielo”, né l’iperuranio di Platone.82 Allora queste categorie erano sconosciute.

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Comunque, per noi, resta sia il problema del come avveniva questa comunicazione, e sia, in aggiunta, il problema di sapere se questi popoli sono frutto di una “evoluzione” darwiniana o appartengono al concetto di creazione biblica.

E’ certo che la storia di questo popolo esiste, ci sono non solo tracce archeologiche o antropologiche, a prescindere dalla Bibbia, è una storia come quella Egiziana, Greca, Romana ecc. che noi non pensiamo minimamente di mettere in discussione.

Quello che ci mette in imbarazzo è questo rapporto con un essere trascendente, invisibile, (vederlo avrebbe causato la morte), e un popolo che segue pedissequamente (anche se con molta ritrosia, fino a sfidare la sua ira) ciò che di volta in volta Egli diceva e ordinava.

Questo rapporto con la Divinità seguita ad influenzare ancora oggi la nostra società.

E’ vero, per esempio, che nessuno pensa che il Papa quando parla dica cose di cui ha prima discusso con Dio, ma è pur vero che Lui è ritenuto (dai cattolici, s’intende!) il vicario di Cristo, cioè del Figlio di Dio incarnato. E lo stesso Gesù è ritenuto Dio e Lui stesso si è dichiarato tale, anzi è lo stesso Dio di cui parla la Bibbia. Per i cristiani cattolici è valido il dogma dell’infallibilità quando il pontefice in forma solenne proclama verità che riguardano la fede o la morale.

Questa è storia attuale. Cosa significa, allora, “parlare con Dio”? La risposta è che non

c’è una sola forma per spiegare questa categoria. Occorre distinguere molto bene, ad esempio, all’interno della

società cattolica, tra istituzione e carisma, (per noi il Papa è il vicario di Cristo come istituzione, non ne consegue che debba anche avere il carisma della santità, ad esempio). Questa distinzione tra istituzione e carisma è fondamentale per non incorrere nella confusione di identificazione tra persona e dottrina; e non incorrere nell’altro errore consequenziale, che questa autorità sia solo un’invenzione umana, costruita a posteriori riflettendo sulla storia di Gesù di Nazareth, come pretendono alcuni. In ultima analisi “parlare con Dio” può significare anche altro. Ad esempio pensare, parlare o scrivere sotto ispirazione. Quindi non è necessario ritenere che Dio si sia manifestato in forma “visibile” nell’A.T. Dio ha certamente comunicato con l’uomo, ma il modo non è necessariamente uno solo.

Fine della digressione. Il tentativo di questo scritto è quello di affermare che sia

l’evoluzione che la creazione possono essere vere. E’ a questo punto dell’evoluzione (4000 ca. a.C.) che si inserisce, storicamente, il concetto di monoteismo trascendente.

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Come conciliare queste due realtà: un uomo che all’inizio è quasi un animale da una parte (la scienza); e che, dall’altra, nella Bibbia è descritto come inizio del genere umano, ma già uomo come lo siamo noi oggi, che “parla” con Dio e che pretende di dirci che questa è la verità?

E’ chiaro che le due realtà sono apparentemente inconciliabili: o è vera l’una o è vera l’altra.

7. La Bibbia e il concetto di “creazione dal nulla”83. Riprendo il concetto già accennato prima, e aggiungo alcune

altre considerazioni che estraggo dal racconto biblico della creazione.

Le prime tre parole con le quali inizia la Bibbia sono: <<In principio Dio creò>>, che in ebraico suonano ”Bereshit barà Elohim”.84 A detta degli studiosi di lingua ebraica, la parola “barà” implica il concetto di “creazione dal nulla.” Introduce un concetto, il nulla, che forse crediamo di sapere cosa sia, e perciò lo diamo per scontato; infatti sembra che questo concetto ci scivoli addosso, come se stessimo parlando del sole o della terra o qualsiasi altro oggetto o persona che cade sotto i nostri sensi; in realtà, è un concetto difficile da riempire con qualcosa. Noi non abbiamo l’esperienza del nulla, anche se è una parola, appunto, che usiamo correntemente non con il significato intrinseco,85 perché dovunque ci giriamo vediamo tocchiamo sentiamo sempre qualcosa, quindi il nulla, nella mente dello scrittore ebraico (e anche per noi), non può che descrivere un modo di essere precedente la creazione; scompare nell’attimo stesso della creazione, con il passaggio dal non-essere della materia, all’essere materializzato.

Concetto inesistente nelle letterature egiziane, mesopotamiche e così via, dove si presuppone qualcosa di preesistente.

Lo scrittore ebraico dove ha attinto questo concetto? Per la Bibbia è Dio, perciò, preesistente, che crea la materia: “in

principio”. Crea, cioè, il cielo e la terra, l’universo; la materia primordiale, il substrato necessario per la ricerca scientifica. Il nulla è assenza di materia. Dio, secondo questa accezione, è tutt’altro che materia. E’ Lui il creatore della materia, restando Lui un essere spirituale e trascendente.

O chi altro ha “fatto” la materia? Il caso? L’antropia? La selezione naturale?

Dawkins non accetta il concetto di un Dio semplice, perché non riflette con queste categorie. Pensando alla complessità di alcune forme di vita animale, ne deduce che se esistesse un Essere capace di

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creare queste forme, non può essere che un Essere più complicato delle cose stesse create.86

La Bibbia, a mio avviso, viene letta e interpretata, dalla stragrande maggioranza degli scienziati, come un libro inaffidabile. Troppo “religiosamente” da parte delle Religioni. Forse non sarà scientifico, inteso come scienza sperimentale, ma è razionale certamente, come vengo dimostrando.

8. La Bibbia e la “Parola”. Più avanti, la Bibbia ci dice con quale mezzo Dio crea, e cioè con

la Parola: <<E Dio disse:”Sia la luce. E la luce fu”>>.87 Non c’è traccia di elemento preesistente. Dio, infatti, come

abbiamo detto, non è materia. Crea la materia (la luce è composta per l’appunto da neutroni), ma usa la Parola. La Parola di Dio nella religione ebraica e cristiana è parola creatrice, salvatrice, legislatrice, con connotazioni religiose. La parola, in ogni caso, non è materia.

Ma cos’è la Parola?88 La parola, in genere, viene detta strumento di comunicazione. E’

vero. Ma la parola non appartiene solo alla comunicazione. La parola appartiene al simbolo,89 anzi è il simbolo per eccellenza. E’ per questa sua particolarità che permette di intenderci tra noi. E’ soprattutto lo strumento del pensiero per conoscere la realtà.90

Riflettiamo un attimo: che rapporto c’è tra la parola e l’oggetto o l’idea che essa rappresenta?

La risposta è che non c’è nessun rapporto se non quel rapporto che acquista nella lingua (o codice) di cui la parola fa parte. Faccio un esempio: se dico albero tutti coloro che conoscono la lingua italiana si rappresentano quell’oggetto, che per loro, se non ci si riflette come stiamo facendo in questo momento, equivale all’oggetto stesso, anzi acquista un valore universale conglobando tutti gli alberi, senza distinzione, diventando un elemento della categoria universale della “sostanza albero”. Sappiamo che non è così, per quanto riguarda la prima parte. Infatti, se dico albero a una persona che non sa l’italiano e non gli indico l’oggetto è la stessa cosa che succede all’italiano che non conosce, ad esempio, l’inglese e sente dire o trova scritta la parola tree, che equivale a un suono o uno scritto senza significato fino a quando non riesce a capire che le due parole anche se scritte e pronunciate diversamente hanno lo stesso significato per entrambe le lingue. Cioè si riferiscono e rappresentano lo stesso oggetto anche se con forme simboliche diverse.

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Questo significa che la parola è soltanto un simbolo sonoro o scritto che, se non produce l’effetto di far sorgere l’immagine o il concetto che essa rappresenta, non ha nulla a che fare con la realtà. In quel caso resta solo un suono o, come dicono i latini, “flatus vocis”.91 Perciò la parola ha senso solo quando produce un’immagine in chi lo ascolta, quando cioè diventa immagine attraverso il suo funzionamento fisiologico. O produce un concetto, un’idea. Ma la parola è solo un aspetto materiale e meccanico dell’uomo?

Usata da Dio, come nella Bibbia, la parola oltre che produrre l’immagine produce anche l’oggetto che essa rappresenta. La parola di Dio92 si materializza nel suo significato in quanto la Parola di Dio (nella Bibbia) non è una parola che appartiene a un codice ma è il codice, quella è l’unica parola che coincide con la realtà. Non a caso Dio dice ad Adamo di dare un nome alle cose create, non è Lui che impone il nome alle cose.

Domanda: lo scrittore biblico sapeva cosa affermava o no? Pensava di stare a scrivere una favola o una realtà?

Quindi un altro fatto importante che troviamo nel racconto biblico, e non in altri, è questa particolarità della parola che crea,93 usata da Dio; e parola che significa, usata dall’uomo. Ma come ha fatto lo scrittore di 4000-3000 anni fa a concepire questo concetto?

<<Il Signore Dio formò dalla terra tutti gli animali della campagna e tutti gli uccelli del cielo e li condusse ad Adamo per vedere con quale nome li avrebbe chiamati, poiché il nome che egli avrebbe loro imposto sarebbe stato il loro nome>> (Gen. 2,18-20).

Può sembrare una cosa scontata, una frase inserita in un contesto letterario, ma in realtà stiamo parlando di un testo, scritto qualche millennio fa, che afferma delle cose scientificamente esatte, almeno per quanto riguarda la parola e l’uomo.94 Gli oggetti, gli animali si distinguono nella realtà solo per forme, colori e quant’altro che li differenzia l’uno dall’altro. Anche se per effetto dell’evoluzione e del determinismo, ognuno si è evoluto ed adattato all’ambiente in modo autonomo e singolare. Non si distinguono per proprietà come la parola.

Fin dall’inizio, secondo il racconto biblico, l’uomo, invece, possiede la facoltà della parola, che non è solo la capacità di parlare (emettere suoni), ma la parola così come l’abbiamo descritta, simbolo ed evocatrice della realtà. Gli animali emettono suoni, hanno la facoltà di emettere suoni, che acquistano significati limitati, ad esempio, ho fame, ho sete, c’è un pericolo… non “parlano”, non hanno una grammatica e una sintassi;95 emettono suoni che, suppongo, essere uguali per tutti, che però noi distinguiamo con parole onomatopeiche da animale ad animale: abbaiare, miagolare e così via, è perciò è un “linguaggio” univoco ed evoca solo concetti

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riferiti a bisogni primari. Per fare un esempio: se porto il mio cane in Inghilterra e incontra un altro cane non fa difficoltà a capirlo… o occorre che segua un corso di lingua inglese?96

Ci sono, è vero, linguaggi universali quali la musica, l’arte, ma questo è un altro argomento.

Perché l’uomo, invece, acquista (o ha da subito?) la capacità di conoscere la realtà con il simbolo della parola?97

In greco, presso gli gnostici, abbiamo l’equivalente di questo termine che è detto “Logos”.98 Termine soprattutto che riguarda il linguaggio teologico, ma che in sé contiene le stesse categorie di cui mi sto occupando ora, ed ha in sé il concetto di pensiero che ordina la realtà.

Termine che ritroviamo negli scritti di Giovanni: nel Vangelo,99 nelle Lettere (1Gv. 1,1) e nell’Apocalisse (Ap.19,13), proprio nell’accezione detta in nota. E nella Lettera agli Ebrei, con riferimento a Cristo si afferma: <<Questo Figlio [Gesù], che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola…>> (Ebr. 1, 3) con cui si vuole alludere alla potenza creatrice della parola-logos identificato con Cristo. Questo concetto appartiene, perciò, alla Bibbia, tutta, per la quale la parola è lo strumento con il quale Dio ha creato ed ha comunicato con noi.

E’ importante estrapolare queste riflessioni dal suo modo tradizionale d’interpretazione, per dimostrare quanto si viene dicendo.

*** Nel racconto biblico (faccio una piccola digressione per

integrare il concetto di uomo con il concetto di sociale) quanto detto sulla creazione dell’uomo si completa con una “riflessione” di Dio: <<Non è bene che l’uomo sia solo: gli farò un aiuto simile a lui>> (Gen. 2, 18). La creazione della donna. Non significa necessariamente un ordine temporale, ma una conseguenza logica dell’aver creato l’essere umano come un essere destinato a vivere in società e padrone della riproduzione e sopravvivenza della propria specie. Questo non implica una gerarchia di poteri ma solo una differenza di ruoli, anche se poi nell’evoluzione e nella strutturazione sociale dell’uomo abbiamo assistito non solo a una differenziazione di ruoli ma anche a un predominio di un genere sull’altro.100 Credo difficile dimostrare che il Dio della Bibbia sia maschilista. Che nella società ebraica ci fosse il maschilismo è innegabile, ma c’è differenza tra Religione ed esistenza di Dio; anche se, in questo caso, Dio e la società religiosa coincidono, per un fine che già abbiamo esplicitato, che è la salvezza. Tanto è vero che il responsabile di tutto viene ritenuto Adamo, come dimostrerò nell’Appendice 1.

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9. Prime conclusioni. Riassumendo troviamo nei primi capitoli della Bibbia (solo nei

versetti esaminati), dei concetti nuovi rispetto alle letterature contemporanee, non solo, concetti che vanno oltre una concezione mitologica, e razionalmente valide:

• Creazione dal nulla. • Creazione dell’uomo (uomo e donna) a sua (di Dio)

immagine e somiglianza • La Parola come strumento creatore - identificato, poi nel

N.T., nel Cristo – Figlio e Logos = potenza creatrice di Dio stesso, nel linguaggio teologico.

• La differenza dei generi e dei ruoli umani. • Le riflessioni sul come e sul perché lo scrittore biblico sia

venuto in possesso di nozioni come creazione dal nulla, creazione con la parola, e l’imposizione di un nome a tutte le cose da parte dell’uomo.

a. Creazione dell’uomo.

Tralasciando i giorni usati come i tempi della creazione, appartenenti, forse, a un linguaggio mitologico-simbolico, arriviamo alla creazione dell’uomo, inteso come persona.

I verbi usati dallo scrittore per indicare la creazione degli altri esseri sono: “Brulichino”, per la creazione dei pesci e degli uccelli; “Produca” per creare gli altri animali terrestri. Quando arriva alla creazione dell’uomo usa la frase “Facciamo” l’uomo a nostra immagine e somiglianza.

Legittimamente possiamo chiederci il perché della differenza. E’ solo una necessità letteraria o un’intuizione dello scrittore? Anche questa è una novità che non troviamo presso le culture

limitrofe allo scrittore biblico di quei tempi. Ma, (e arriviamo alla novità di questo scritto), è per forza vero o falso la storia di Adamo ed Eva, il paradiso terrestre, il “peccato originale”, che presuppongono un uomo già evoluto? In quale altro modo si può interpretare questa storia? Come si può conciliare la creazione biblica dell’uomo con la storia “vera” su basi scientifiche dell’apparizione dell’uomo sulla terra?

b. Le dimensioni tempo-spazio.

Se prendo in considerazione il racconto del fango e dell’alito vitale, questo è possibile, magari, sotto forme equivalenti, trovarlo

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anche presso altre culture e mitologie antiche.101 Ma se prendiamo il racconto del <<facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza>> questa è una storia originale che non ha eguale nelle altre culture limitrofe né in altre mitologie.102

E’ una storia che va inserita nella dimensione tempo-spazio?103 Se fosse così è chiaro che presuppone un tempo e un luogo ben

preciso, che, però, sembra irrazionale ipotizzare, in quanto la creazione biblica, dovrebbe essere inserita in una fase post-evolutiva, anzi nella fase più avanzata, poiché si parla di un uomo a tutti gli effetti già ben fatto ed inserito completamente nel suo ambiente. In quale tribù sarebbe avvenuto il peccato originale? In quale luogo del pianeta? Monogenismo o poligenismo?

Mi spiego. L’uomo, secondo questa mia logica, non può essere stato creato in fase evolutiva primordiale perché la Bibbia ci parla già di un uomo “evoluto” come lo siamo noi oggi. Secondo la Bibbia, Dio crea l’uomo e non un suo antenato, e questo sembra chiaramente in contrasto, almeno fino ad oggi, con le scienze antropologiche, paleontologiche e archeologiche. Quindi occorre trovare una spiegazione che possa farci capire che il linguaggio biblico è un linguaggio il cui contenuto non va contro queste scienze.104

La Bibbia ci parla della caduta dell’uomo da uno stato di felicità a uno stato di infelicità, e cioè le conseguenze della condanna dopo il peccato originale,105 essa va oltre l’aspetto puramente fisico, affronta la sostanza dell’umanità. Tenta di rispondere alla questione chi è l’uomo.

Si può ipotizzare, perciò, che la sua creazione, fino al consumarsi della trasgressione e conseguente condanna, equivale a una fase pre-evolutiva della storia dell’uomo sulla terra. Il fatto, in questa ipotesi, non può essere accaduto, se così fosse, se non in una dimensione a-spaziale e a-temporale.

Credo che questa affermazione sia impossibile dimostrarla scientificamente. Può rientrare, comunque, nella categoria della razionalità, in armonia con gli attributi divini.

Per ora, quanto affermato, va considerata, è ovvio, solo un’ipotesi per poter far rientrare la storia dell’uomo pre-peccato originale in una dimensione pre-evolutiva e quindi in una fase pre-temporale e pre-spaziale.106

La seconda parte di questa ipotesi è che la cellula uomo appare nella fase evolutiva con la sua storia già inscritta nella cellula stessa.

In altre parole l’uomo appare sulla terra, cioè nel tempo e nello spazio, solo come embrione, con il retaggio della prova fallita, già inscritta nella cellula. L’idea del Lipton che nella cellula c’è già il pensiero è la mia ipotesi di fondo.

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Platone, parla di una reminiscenza, come abbiamo visto. Reminiscenza di un mondo collocato nell’iperuranio. E’ solo un’intuizione, o potrebbe essere una verità? Inteso come

sto intendendo la verità biblica. Cosa intende precisamente con il mondo delle idee? forse la

vera collocazione dell’uomo, in contrapposizione al mondo reale? Qual è la verità vera?

Freud e Jung parlano di “trauma” che ha provocato la coscienza.107

Ho proposto già l’interrogativo circa la parola, la coscienza e il pensiero in rapporto all’evoluzione. Teilhard de Chardin pensa che nella materia ci sia già la coscienza.

Jung, come già detto, parla di archetipi. E anche Darwin si occupa di archetipi.108

E, come già citato, il simbolo del serpente è considerato come un archetipo universale. Jung parla della coscienza anche in termini evolutivi.109

La Bibbia, a sua volta, parla di peccato originale, che è, appunto, un grosso trauma.

L’ipotesi inizialmente formulata, e cioè quella di un creatore deterministico, potrebbe avere due aspetti: quello nel creare le cose inanimate, appunto, e quello nel creare l’essere vivente per eccellenza, con capacità di autodeterminazione, che noi sappiamo essere il solo uomo.

La Bibbia sottolinea la differenza con l’uso dei verbi: brulichino, produca e facciamo, come abbiamo già fatto notare.

Dopo questo stadio a-temporale e a-spaziale, nel quale si potrebbe essere consumato il racconto della Genesi, abbiamo l’apparizione dell’uomo preistorico evolutosi, anche lui come tutte le altre creature, con la differenza che ha già in sé il peso, il retaggio di quello che chiamiamo “peccato originale”. Anche Freud dedica una riflessione a questa ipotesi a-temporale,110 riferendosi ai processi psichici dell’inconscio. E Jung per quanto riguarda gli archetipi.

Certamente non avevano in mente questa nuova prospettiva. Ma è interessante che questo concetto di a-temporalità venga

invocato dal padre della psicanalisi. L’uomo potrebbe essere precipitato nella dimensione tempo-spazio e abbia iniziato così il suo percorso come essere decaduto che deve riacquistare una sua dignità nei confronti del creatore, verso il quale ha mancato di fiducia con un atto di disobbedienza.

Né Jung né Freud, certamente, tenevano presente né direttamente né indirettamente, questa ipotesi, è ovvio, ma introducono, secondo me, questo processo dell’origine dell’uomo facendo risalire l’inconscio e gli archetipi a una dimensione al di là

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del tempo. Cosa che appunto sto facendo con queste riflessioni partendo da un fatto biblico (il peccato originale) che certamente non è storicamente111 vero, ma sostanzialmente può (o vuole?) farci capire il processo di come l’uomo, attraverso la coscienza o consapevolezza, frugando nell’inconscio e negli archetipi, e facendo riferimento, come nel mito della caverna di Platone, al mondo delle idee, (dove lo stesso Platone colloca l’uomo “vero”), recupera, una volta arrivato nel tempo e nello spazio, questa consapevolezza, quasi fosse dovuta a una lontana reminiscenza.

E aggiungiamo: l’uomo è solo frutto di un processo evolutivo? L’evoluzione avviene nel tempo e nello spazio. Cosa è successo

prima dell’avvento delle dimensioni112 tempo-spazio? Cosa intendiamo quando parliamo di eternità e infinito? Sono

dimensioni inventate (concepite cioè come termini linguistici senza contenuto reale) in contrapposizione al tempo e allo spazio, o sono le dimensioni dell’essere che chiamiamo Dio-Creatore?113

Da questa reminiscenza, da questo trauma può dimostrarsi vera la storia dell’uomo non solo materia ma anche spirito, e della sua esigenza di essere salvato. E cioè, portando all’estremo la teoria darwiniana, quando appare la prima cellula umana, questa ha già in sé questo processo avvenuto nella fase a-spaziale e a-temporale.114

E allora il linguaggio della Bibbia e dei sette giorni che possono essere stati visti come forme mitologiche, acquistano un valore di reminiscenza di un evento di cui l’uomo ha perso la consapevolezza a causa del trauma subìto. Ne sono restate, però, le tracce nei suoi archetipi e nel suo inconscio, che, a questo punto, veramente, potrebbe essersi formato nella fase pre-temporale, come pare asserire lo stesso Freud. La Bibbia ce lo ha riportato alla memoria (riferimento alle tracce mnestiche115 di cui parlano sia Freud che Jung) in un modo semplice, con un racconto che usa immagini quasi da favola con contenuti assolutamente scientifici circa l’essenza e l’intima natura dell’uomo.

Potrebbe essere questo il significato di “libro rivelato”. In poche parole, l’uomo ha perso il “filo di Arianna” della sua

storia durante il passaggio dalla fase a-temporale e a-spaziale, a quella temporale e spaziale.116 Dio, con un linguaggio tra il mito e la storia, ce lo ha riportato alla coscienza e alla memoria. E’ solo fantascienza antropologica?

D’altronde, nella teoria freudiana e junghiana (teoria accettata dal mondo scientifico, anche se esse hanno subito delle revisioni e ha prodotto degli scettici), il trauma è la causa della nascita prima, e della perdita dopo, della coscienza del comportamento normale, nella dinamica della natura umana; per guarire da questa distorsione percettiva della realtà nasce l’esigenza della terapia. Una

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volta eliminata la distorsione e riportato alla luce il modo normale di percepire la realtà e metabolizzato dall’individuo in terapia, questi può tornare a una vita di relazione normale.

E’ altrettanto vero, però, che loro consideravano l’uomo una specie di macchina e non un essere dotato anche di anima.117

E’ solo un’ipotesi, quella di Freud? Per chi conosce la psicanalisi sa che è possibile eliminare i postumi del trauma con la terapia, tenuto presente quanto appena citato. Ma Freud nella sua opera Al di là del principio del piacere, prova a scrivere un’opera di metapsicologia, come gli era stato richiesto dalla sua amica e discepola Lou Andreas-Salomè,118 ed è arrivato a parlare di “a-temporalità”, specificando che <<So che tali affermazioni suonano molto oscure, ma devo limitarmi a questi cenni>>, e cioè non sa bene neanche lui come gli sia venuto in mente, e quindi come spiegarlo. E non solo.119

Quale ipotesi si può contrapporre a questa? Che l’apparizione dell’uomo sulla terra va contenuta nei tempi biblici? Credo che in questo, almeno, dobbiamo inchinare la fronte davanti alla scienza, se i resti fossili appartengono veramente ad esseri umani. Gli elementi che abbiamo estrapolato dalla Genesi possono benissimo essere considerati una descrizione dell’uomo nella fase a-temporale, da ricollocare nel post-trauma, come archetipi e inconscio.120

Apro una parentesi. Questa ipotesi potrebbe far ridere, perché attribuire alla Bibbia i concetti di inconscio e archetipi dopo che per circa due secoli queste posizioni hanno creato lotte e pregiudizi da entrambi le parti, sembra fuori della realtà. Darwin, Freud, Jung eccetera, sono stati visti dalla Chiesa (in questo caso come detentrice della Fede biblica) solo come antagonisti. Questi autori scrivono le loro scoperte sull’onda dell’Illuminismo,121 e, direttamente o indirettamente, si riferiscono all’oscurantismo ecclesiastico. Per loro stessa ammissione si dichiarano materialisti. Viceversa, oggi da un appartenente alla Chiesa, li si vuole far riappacificare, anzi, inserire nelle loro intuizioni, i concetti di trascendenza contenuti nella Bibbia. A me, sia come cristiano, sia come psicologo, l’ipotesi sembra plausibile, pensando che della natura dell’uomo e della sua origine ancora non ne sappiamo a sufficienza da poter escludere un’ipotesi o l’altra.

In sintesi. Primo: se possiamo accettare da parte del mio essere cristiano

la creazione degli angeli e la loro caduta collocandola fuori del tempo e dello spazio, perché non poter fare l’ipotesi dell’uomo felice a tempo pieno, prima della sua caduta “sulla terra” e cioè prima di essere nel tempo e nello spazio? E se fosse questo il “filo di Arianna” perso al momento del passaggio nel tempo e nello spazio?

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Secondo: se possiamo accettare da parte del mio essere psicologo il concetto (parlo di concetto non di verità assolute o scientifiche), e di conseguenza l’esistenza fenomenologica di inconscio e archetipo; come filosofo l’esistenza del concetto di reminiscenza e del mondo delle idee, perché non è possibile collocare tutto questo nel racconto biblico delle origini? E non solo: Platone parla di metempsicosi, così come nell’Induismo si parla di reincarnazione come processo catartico dell’uomo; infatti, la fine delle reincarnazioni coinciderebbe con la purificazione definitiva dell’anima, che, così purificata, può finalmente tornare nel Brama iniziale. Nella metempsicosi, però, c’è un problema simile a quello dell’uovo e della gallina: il primo uomo non era certamente un reincarnato… La domanda la so formulare, ma la risposta? La risposta potrebbe essere proprio l’ipotesi di questo libro: un uomo a-temporale e a-spaziale, che a un certo punto della storia, arriva come embrione e incomincia a raccontare il suo iter e a scrivere la nuova storia.

Perché queste strade teoriche non possono approdare a questa tensione interna dell’uomo verso la totalità del sapere, e verso il desiderio di una felicità eterna? Che senso avrebbe conoscere tutto questo per poi finire nel nulla? O nella tristezza dell’Ade greco-romano?

In sintesi la scienza sperimentale ha rifiutato la creazione contenuta nella Bibbia, relegandola a un aspetto quasi mitologico, escludendo a priori l’esistenza di un creatore. Per questo ha dovuto professare un materialismo immanente fino all’esasperazione; ipotizzare una vita fine a se stessa senza prospettive future; trovare altre fedi o ideali per dare senso a questo tempo della nostra esistenza; facendosi un dio a propria immagine e somiglianza rifiutando a priori un altro modo di leggere la Bibbia;122 escludendo categoricamente la prospettiva che dietro la parola fede possa non esserci solo un’illusione, ma, forse, anche un contenuto di realtà; e, infine, escogitando altre ipotesi da contrapporre a quella, troppo ovvia, della causa-effetto per negare la trascendenza.

Chiusa parentesi. Allora mi chiedo: l’idea di una causalità fine a se stessa,123 non

potrà mai dare una risposta articolata se non quella di affidare tutto al caso, o ad altre ipotesi surrogate, e cioè ragionare come se l’universo si fosse originato per caso o per altre ipotesi, e tutto quello che è avvenuto da allora ad oggi è solo un susseguirsi di pure e semplici combinazioni casuali, articolato statisticamente con l’accumulo e la selezione naturale, o invocando il principio antropico, escludendo qualsiasi finalità, può essere sufficiente per dire che è la verità?

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L’uomo, così com’è, può essere compreso in questa visione materialistica, come fosse, meccanicisticamente parlando, una macchina qualsiasi, ma che si è evoluto, casualmente, con caratteristiche che vanno solo apparentemente al di là della materia?124 Anche per una mente razionale e illuministica in assoluto, questa risposta può essere soddisfacente? Il racconto della creazione contenuta nella Bibbia è solo fantasia mitologica? Io, a questo punto, credo di no… e come scriveva qualcuno, “ai posteri l’ardua sentenza!”

Riprendendo l’ipotesi appena accennata, credo sia possibile pensare che l’apparizione dell’uomo sulla terra possa essere collocata nell’attimo (per noi che non conosciamo se non le dimensioni spaziali e temporali) che intercorre tra la creazione, il peccato originale e la condanna. E cioè tra la dimensione a-spaziale e a-temporale e la sua “caduta” (caduta è un chiaro antropologismo letterale) sulla terra che dà inizio alla sua temporalità e spazialità. E’ così che potrebbe aver avuto origine la storia a ritroso di questo essere assolutamente unico all’interno del sistema cosmologico. Nessun animale assomiglia all’uomo.

La creazione che avviene per mezzo della “parola” risolverebbe anche il concetto di un Dio semplice e non complesso, come sostenuto dal Dawkins. La parola nella sua semplicità ci dimostra al tempo stesso l’onnipotenza di Dio nella sua semplicità.

La Bibbia è un libro “costruito” con un solo intento raccontare il progetto di Dio nei confronti dell’uomo, e dell’intera creazione, finalizzata all’accoglienza dell’uomo (intenzionale, cosciente dell’autore, o una forma di scrittura “automatica” che definiamo rivelazione?). Ha solo un intento religioso? o che abbiamo solo e sempre interpretato nel senso religioso? Voglio dire: è solo qualcosa che riguarda la sola FEDE?126

Non c’è all’interno dell’animo umano questa tensione verso una forma di atarassia permanente, una pace rispettosa verso tutto e verso tutti? In fondo anche il mondo sociale, “laico”, non aspira, come ultimo desiderio, di vedere, finalmente, l’uomo andare in pace verso l’altro uomo?

Anche il mondo “laico”127 si scandalizza di fronte a delitti di frode economica, di associazioni a delinquere, di delitti sessuali e quant’altro. E questo mondo “laico” non giustifica questi delitti neanche in nome di una libertà assoluta o relativa. Se qualcuno può smentire che questa è l’aspirazione ultima dell’umanità, allora quello che ho appena detto, rientra nel mondo della fantasia. Volevo dire “utopia”, ma sarebbe stato un vocabolo improprio, in quanto l’utopia resterà tale fino a quando non ci sarà una società quasi perfetta

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(ipotesi non di terzo tipo), mentre la fantasia sarà sempre creatrice di un mondo inesistente.

La parola chiave della Bibbia è “Alleanza”. Dio si rivela e vuole proporre all’uomo questo patto: Io ti salverò dal tuo male (il peccato) che ha interrotto, e che per questo impedisce ancora un rapporto completamente amichevole con me, (ma non solo, anche con i tuoi simili); IO farò in modo che tu “autonomamente” e in piena libertà possa diventare eternamente felice, se accetti il mio patto dopo che tu hai perso la guerra dell’illusione di diventare completamente simile a me. Questo aspetto, a mio modo di vedere, conferisce una forte autonomia e personalità all’uomo, anche se si è reso schiavo del suo tentativo di ribellione. Dio non lo considera un suo schiavo ma una persona, soggetto di diritti e di doveri, a tutti gli effetti, nonostante la ribellione.

La novità della Bibbia è proprio questa seconda iniziativa128 di Dio nei confronti dell’uomo. L’uomo, nella persona di Noè prima, di Abramo, di Mosè, di Davide e dei profeti nell’A.T., e nella persona di Cristo nel N.T., il quale conclude la sua apparizione terrena stabilendo la nuova ed eterna (non ce ne sarà più nessun’altra) Alleanza, che sarà suggellata (dobbiamo dire che ormai è stata suggellata) con il suo sacrificio, il quale simbolicamente per noi, materialmente per Lui, racchiude e riassume tutti i sacrifici129 offerti a JHWH fino a quel giorno, è l’uomo dell’Alleanza, è l’umanità.

Cristo, contenuto ultimo di questa Alleanza, inizia, accetta e conclude nella storia questo percorso, che dopo la sua Resurrezione, diventa, contemporaneamente, un cammino individuale e comunitario del singolo uomo e dell’intera umanità.130

Si tenga presente che in questo processo è chiamato in causa come arbitro indiscusso la sola libertà dell’uomo: può accettare o rifiutare la proposta di Dio. Così com’era già avvenuto in occasione del “peccato originale”.131 E’ importante sottolineare questo aspetto della accettazione libera del progetto di salvezza. Solo con questo principio possiamo capire l’atteggiamento del Creatore.

La libertà è il valore assoluto sul quale si è giocato la sfida tra l’uomo e Dio, e che seguita ad essere il valore con il quale ci giochiamo la nostra stessa esistenza.

A questo punto si può dire che la Religione, in questo caso quella Cristiana, e in precedenza quella Ebraica, non sono che trasmettitori della notizia. Esse hanno una missione intermediaria e non sono fine a se stesse. Né tantomeno arbitri della salvezza altrui.

Può essere anche una risposta a coloro che pensano che Dio non esiste perché c’è il male. Il male (morale) è una scelta individuale, tenendo presenti tutte le attenuanti. Così per il male fisico: fa parte della natura mortale e decaduta dell’uomo. Non è una punizione

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della divinità. Una risposta la troviamo nel Vangelo di Giovanni (Gv. 9, 1-3):

<<1Passando vide un uomo cieco dalla nascita 2° i suoi discepoli lo interrogarono: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?”. 3Rispose Gesù: “né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio”.>>

Dio ricorda all’uomo il perché di questo patto e la necessità che questo patto venga stipulato accettato e rispettato: la sua felicità.

Qualcuno, all’uso di questa parola felicità giustamente, si chiederà dove si può trovare la prova di queste affermazioni e perché l’uomo ha bisogno di essere eternamente felice, e salvato… Se si invoca il libero arbitrio, e giustamente, chi non vuole non è costretto ad accettare questo tipo di felicità… La risposta, un’altra risposta, può essere trovata, sempre, nella Bibbia, e nella stessa natura dell’uomo: la felicità è il rimpianto del “Paradiso perduto”,132 e allora invocando l’a-temporalità dell’inconscio freudiano e degli archetipi junghiani, possiamo riportare questo bisogno al DNA della cellula umana. Chi ci proibisce di pensare che questi linguaggi saranno unificati dalla prova della realtà?

Ripartendo dall’ipotesi che il “peccato originale” possa essere avvenuto nel momento stesso della creazione dell’uomo, in un momento a-temporale e a-spaziale, l’uomo fa parte del grande progetto intelligente del creatore, e a questo punto possiamo dire che il fine dell’intera creazione è quello che Dio vuole: farsi conoscere o meglio, ri-conoscere, da un altro essere da lui stesso creato con il quale intraprendere un colloquio e al quale ri-trasmettere133 il sommo della conoscenza: la felicità. Dio non ha bisogno dell’amore dell’uomo, semmai il contrario. L’uomo appare sulla terra nel momento opportuno, quando cioè tutto è pronto per accoglierlo e permettergli di iniziare un cammino verso il suo totale sviluppo fisico e spirituale.134

Questo serve per spiegare in modo razionale (non scientifico)135 il perché l’uomo all’inizio è sì un uomo, ma sembra (o è) piuttosto un animale (come vorrebbero alcuni). L’ipotesi che io faccio è che l’uomo ha sperimentato uno stato di felicità iniziale nella dimensione a-temporale e a-spaziale e le parole di condanna <<lavorerai per vivere>> e <<partorirai con dolore>> e <<dalla polvere sei venuto e polvere ritornerai>> corrispondono al momento della sua apparizione sulla terra (a questo punto, non come un soggetto già sviluppato, ma come cellula) già con questo retaggio. E d’altra parte, nel racconto biblico sembra proprio una caduta dall’alto verso il basso (nell’accezione sopra spiegata), la condanna dell’uomo:

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<<All’uomo disse:”Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! (…) Con il sudore del tuo volto mangerai il pane: finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere sei e in polvere tornerai!>> (Gen. 3, 17-19).

Lipton, nel libro più volte citato, in fondo racconta questa sua evoluzione interiore: da semplice biologo agnostico, passa all’acquisizione della certezza che nella cellula già c’è il pensiero che influenza poi ogni singolo DNA individuale.

Dal punto di vista fenomenologico è evidente che l’apparizione dell’uomo fisico sulla terra è quello legato al fenomeno evolutivo (per far capire meglio la mia ipotesi di cellula, la teoria evoluzionistica non dice dell’origine della vita come di esseri già differenziati, ma di un brodo primordiale che dà origine alla vita,136 allora ancora indifferenziata), ma è anche vero che, sempre fenomenologicamente, l’uomo non è un semplice animale, il quale si è evoluto solo fisicamente e morfologicamente senza nessun altro tipo di evoluzione, se non quella di adattamento. Per me l’uomo è uomo (concetto di animal rationale) fin da subito, come fin da subito un altro animale è così nella sua specie, anche se morfologicamente, nel tempo, subisce degli adattamenti… all’inizio può sembrare morfologicamente piuttosto un ominide o una scimmia, ma è essenzialmente uomo.137

Agli altri animali mancano le facoltà specifiche dell’uomo, e in primis, la consapevolezza. Per questo hanno mantenute intatte le loro caratteristiche e abitudini iniziali e cioè l’istinto138 finalizzato alla sopravvivenza. L’uomo ha modificato il suo habitat, ha affinato le sue caratteristiche di migliorare la permanenza sulla terra, e quindi ha modificato anche il suo status sociale, non venendo mai meno all’altra sua caratteristica fondamentale, appunto, di essere sociale. E’ questa la seconda parte dell’evoluzione dell’uomo, non il passaggio da una specie che era quella di appartenere alla specie “scimmia”, che si evolve in specie “homo”, che è ora. L’uomo come tutto e tutte le specie, si è evoluto all’interno della sua stessa specie che da sempre è stata la specie “homo”. Per cui credo che non sia necessario andare in cerca dell’anello mancante. Si può partire fin da subito considerando i nostri antenati antropomorfi, se sono veramente tali, già uomini a tutti gli effetti. E d’altronde mi chiedo, perché solo per la specie umana mancherebbe questo anello? Per le altre specie animali l’evoluzione procede senza salti e sbalzi di sorta. Perché? Qualcuno ce lo dovrebbe spiegare. Gli altri animali non hanno bisogno di un salto di qualità, mentre l’uomo per diventare

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tale sì… Forse l’anello è questa ipotesi di cui stiamo parlando? Il ricorso a una fase a-temporale e a-spaziale.

Di conseguenza nella prima cellula umana era contenuta tutta la dimensione fisica, ma anche la dimensione metafisica e spirituale dalla quale proveniva. Non è certamente un principio scientifico in quanto non più sperimentabile, ma…

La scienza deve partire dal fenomeno uomo, e deve spiegare in che modo questo animale speciale è stato capace prima di fare il salto di qualità (se veramente ci fosse stato…), e poi di diventare padrone di se stesso e delle leggi della natura. E’ sufficiente la risposta-ipotesi solo per un fortuito caso di combinazioni favorevoli, o, in alternativa, è possibile ipotizzare che la cellula “homo” contenesse, fin dall’origine, già tutta la sua storia?

Non basta dire “non può che essere così”.139 Già l’ho detto, la scienza deve studiare il fenomeno, cioè quello che già esiste, perché, piaccia o non piaccia, la realtà è ormai stabilizzata in questo modo. L’affermazione di Leibniz <<questo è il migliore dei mondi possibili>> può essere interpretato come una rassegnazione, ma anche come una certezza.

E’, pertanto, ipotizzabile per l’uomo una fase pre-evolutiva avvenuta fuori del tempo e dello spazio. E’ contenuto nel concetto di creazione dell’uomo biblico: l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza del Creatore nelle sue peculiari particolarità di “uomo”. Se la Bibbia non racconta favole, la storia dell’uomo biblico non contiene solo la storia temporale ma anche quella precedente che essa ci ha “rivelato” partendo dalla creazione fino all’apparizione sulla terra.

E’ solo un’ipotesi? La scienza, inoltre, ci deve ancora spiegare che cosa è il

pensiero, la parola e la coscienza come anticipato, e come sto per dire.

c. Il Pensiero.

In qualche manuale di psicologia nel capitolo riguardante il pensiero si resta alla formulazione della domanda. In altri manuali l’argomento non viene affrontato in modo diretto.140 Nei dizionari di psicologia non si dice che cosa è il pensiero, ma se ne descrivono le operazioni attribuite al pensiero.141

Oppure leggiamo questa definizione:<<Comportamento condotto in termini di operazioni mentali (rappresentazione o processi simbolici); soluzione dei problemi a livello astratto distinta dalle soluzioni di natura percettiva e da quelle implicanti una diretta manipolazione.>>142

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Anche Jung quando parla di pensiero non si preoccupa di cosa sia, ma parla solo della funzione del pensiero che, per lui, equivale a un prodotto della mente .143

E Vladimir Levi per superare la domanda “che cosa è il pensiero” ricorre al concetto di macchina.144

E Pascal:<<Tutta la dignità dell’uomo sta nel pensiero. Ma che cos’è questo pensiero? Com’è sciocco!>>145

Ma in definitiva, veramente, che cosa è questo “pensiero”? In altre parole, alla domanda che cosa è il pensiero, come si può e si deve rispondere?

Il pensiero è la principale attività del “cervello”146 umano. Non è possibile, finché siamo in vita, smettere di pensare neanche per un solo istante, anche se non ne siamo perfettamente consapevoli. Come è impossibile smettere di respirare. Il che significa che la natura umana, l’uomo in sé e per sé, è strutturato per pensare, fin dall’inizio. Non credo sia necessario chiedersi qual è il primo pensiero di un bambino, come si chiede il Levi. Il pensiero esiste come il respiro, il tempo ci dice solo il momento della consapevolezza del pensiero. Un bambino pensa, nella cellula c’è il pensiero come dice il Lipton. Il pensiero è come l’aria: è dappertutto.

La natura dell’uomo è basata su tre aspetti. Il primo è quello fisico e cioè il “fenomeno” uomo, e questo è

indiscutibile: l’uomo esiste così come sappiamo: bianco o nero, sano o malato, ecc. Tutti sono uomini se rientrano nella specie “homo”.

Il secondo aspetto riguarda quello della sua assoluta immanenza. E’ parte integrante di questa natura.

Il terzo aspetto si può esprimere con questa domanda: c’è nell’uomo anche una reale trascendenza, riferendoci alle sue specifiche caratteristiche?

La specie “homo” proprio perché è quello che abbiamo detto, va approfondito, non solo in merito alla sua origine, ma anche in merito al perché della sua natura “razionale”: se egli ha un’anima, se questa è immortale, ecc. e tutto questo non è che la conseguenza di un altro fattore molto importante, e cioè che l’uomo è anche un essere pensante. Pensare147 secondo la definizione del dizionario, è la funzione che distingue l’uomo dall’animale. Quando l’uomo ha capito di capire ha anche scoperto il pensiero, quella facoltà che ha nella mente148 che corre veloce più di qualsiasi altra cosa che lui conosce, che gli ha fatto dire che nel pensiero ci doveva essere qualcosa di diverso dal corpo, dal fisico, dalla materia.

Facendo il cammino a ritroso possiamo immaginare di tornare a quell’uomo che per primo ha scoperto di possedere questa facoltà e che noi, ovviamente, non sapremo mai chi è, il quale si è anche chiesto: cos’è il pensiero? Come faccio a pensare? Come si genera il

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pensiero? Ebbene per queste domande io propongo queste due possibili risposte:

1. Aspetto immanente.

Se il pensiero è soltanto il risultato di una elaborazione, esso è il risultato di una sinapsi,149 così come lo è qualsiasi movimento, gesto o parola (inteso solo in senso meccanico o fisiologico), dell’uomo fisico. Infatti, l’uomo fisico non è se non il risultato di un meccanismo perfetto e sincronico di un elaboratore (il cervello)150 che trasmette ordini a qualsiasi altro organo, dopo aver preso informazioni dal mondo esterno attraverso i cinque sensi; informazioni che rielabora e sintetizza in un ordine: fai questo, vai lì, stai fermo ecc. In questo caso il pensiero non sarebbe che la vetta del fisicismo assoluto dell’uomo, e quindi destinato a morire con lui.

2. Aspetto trascendente.151

L’altra ipotesi è quella che esso pur appartenendo alla fisicità dell’uomo sfugge a qualsiasi tipo di studio, o di inquadramento scientifico immanente, in quanto esso appartiene alla unicità della persona. Ogni uomo (persona), infatti, pur essendo dotato degli stessi cinque sensi e dello stesso cervello, elabora un proprio autonomo pensiero anche in presenza di stesse percezioni fisiche e stesse realtà esteriori.

In concreto, pur essendo dotati degli stessi strumenti, non produciamo gli stessi effetti in modo univoco.152

Mi spiego: un treno può passare su tutti i binari del mondo e quello che fa un treno, allo stesso identico modo, lo possono fare tutti treni, senza cambiamento sostanziale (il treno, per esempio, può essere di diversi colori, diverse dimensioni ecc. ma non può che usare sempre gli stessi binari per arrivare a una determinata stazione), per il pensiero no, non è così. Un tramonto, ad esempio, fisicamente è uguale per tutti coloro che lo vedono lo stesso giorno alla stessa ora e allo stesso luogo, ma le emozioni, e di conseguenza, i pensieri che provoca no; essi sono tanti quante sono le persone che assistono a quel tramonto.153

Questo esempio ci dimostra che pur elaborando ogni uomo il pensiero questo non provoca in tutti le stesse emozioni, parole, scritti ecc.

Qualcuno potrebbe obiettare che questo fenomeno della soggettività della percezione non è possibile nella percezione dei numeri, in quanto non può esistere che una sola percezione, ad

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esempio: 2+2=4. Non è ammessa una percezione personale. E così si può dire delle leggi scientifiche e quant’altro risponde ad una effettiva oggettività univoca. Ma anche nella freddezza dei numeri e di una legge scientifica è presente un aspetto emotivo della singola persona, e quindi percettivamente significativo.

A parte quest’ultimo aspetto, ci chiediamo, comunque, il perché di queste differenze: sono solo dovute all’educazione, all’istruzione, alle circostanze e così via, oppure sono dovute al fatto che in ciascun uomo è presente una persona “invisibile” (il dualismo rifiutato da alcuni scienziati, o i “due soggetti” invocato da Jung) che trasforma un evento o un discorso, o semplicemente una parola, in una percezione,154 che come meccanismo è uguale per tutti, ma che diventa unico perché quell’elaborato percettivo appartiene solo a quella persona e a nessun’altra; questo fenomeno, questa unicità nella diversità, è causata da quella “persona invisibile” (o stato interiore) che possiamo chiamare anima, che alla fine non potrebbe essere altro che la vera unicità di ciascuno di noi. Il pensiero perciò, anche se può essere dimostrato fisiologicamente con il meccanismo della sinapsi, porta risultati diversi per ogni singola persona. Possiamo dire che in ogni uomo è presente una entità invisibile ma che ne definisce le qualità singolari, che gli psicologi chiamano personalità. E che il cristianesimo asserisce quando insegna che ognuno di noi è un capolavoro di Dio. E’ la presenza della realtà trascendente nell’immanente.

E’ sufficiente per uscire dalla pura e semplice meccanicità e fisicità dell’uomo?

d. La coscienza o consapevolezza.

La stessa cosa si deve dire della coscienza. E’, anch’essa, solo frutto di sinapsi, o le va aggiunto un aspetto trascendente?

Scrive Tart:<<Noi non sappiamo scientificamente quale sia la sua [della coscienza] natura ultima, ma è questo il punto dal quale partiamo.>> E aggiunge in nota:<<Il lettore può chiedere:”Come possiamo studiare la consapevolezza o coscienza quando non sappiamo cosa sia fondamentalmente?”. La risposta è: ”Nello stesso modo in cui i fisici hanno studiato e ancora studiano la gravità: essi non sanno che cosa sia , ma possono studiare come agisce e in che modo sia in rapporto con altre cose.”>>155

Anche in questo caso vale quanto detto del pensiero e della mente: conosciamo il risultato ma non sappiamo dire esattamente cosa sono scientificamente “in sé”. E’ quasi (dico quasi con un po’ di ironia riferendomi a Dawkins) certo che non è materia assoluta.

Abbiamo già affrontato l’argomento in precedenza (vedi la lunga citazione di Freud), che differenza c’è tra pensiero e coscienza? Così

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all’impronta si potrebbe dire che il pensiero spazia nel campo di una libertà assoluta nella percezione; la coscienza, intesa come auto-consapevolezza naviga nell’ambito della percezione delle regole etiche e morali, delle scelte consapevoli che regolano la vita individuale e sociale. E’ un pensiero strutturato entro confini ben precisi, quello della conoscenza e applicazione delle regole, e comprende valori come responsabilità, moralità, ecc. Sono essi, alla fine, che distinguono il comportamento umano da quello animale. E’ una facoltà che fa del trascendente (valori e scelte comportamentali), un’applicazione nell’immanente.

Anche in questo caso se fa parte solo di un funzionamento fisiologico, si può dire che è la strutturazione del pensiero libero in una sequenza di atti risultanti da una scelta valoriale che hanno solo la finalità di dare la possibilità, alla natura sociale dell’uomo, un minimo di rispetto di regole comportamentali comuni.

Se invece non è così, allora, anche in questo caso, dobbiamo dire che è una facoltà trascendente, che ha come finalità quella di portare la persona al fine ultimo della felicità. Oppure, come dice Lidz della mente, possiamo dire noi del pensiero, della parola e della coscienza <<nessun pensatore serio può rinchiuderli nel cranio come parte del cervello>> (o.c. p. 40).156

Anche Jung, come in precedenza Freud (vedi citazioni precedenti), si sono occupati, e non poteva essere altrimenti, della coscienza. Jung se ne occupa ne “L’uomo e i suoi simboli”, come detto in precedenza.

Il mio ragionare vuole essere semplice e immediato. E’ vero che le risposte sono aperte, ma è altrettanto chiaro che il tutto ci lascia non nel dubbio, ma nella certezza che questi tre elementi costitutivi della natura umana, oltre che un funzionamento fisiologico immanente, hanno in sé l’aspetto della trascendenza umana. Chiunque, però, è libero, di trovare quella che ritiene sia la soluzione giusta per dimostrare la loro immanenza, purché con prove scientifiche nel senso pieno del termine, poiché se non si ammette il trascendente, l’immanente ricade tutto nel campo della scienza sperimentale e in quanto tale può e deve sperare di acquisire prove scientifiche.

e. L’anima.

A questo punto diventa impossibile, anche alla luce del pensiero materialista, non introdurre, parlando di uomo, il concetto religioso (solo?) di anima.157

Platone le colloca nell’iperuranio, nel mondo delle idee. Lipton lo colloca all’interno del mondo cellulare. La scienza ufficiale lo ha eliminato dal suo vocabolario.158

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Cicerone, invece, crede nella sua immortalità,159 come del resto tutto il mondo egiziano, greco, romano, società di una religiosità immanente.

Anche nel mondo preistorico troviamo tracce della credenza nella sua immortalità, ipotizzando che la sepoltura presupponesse questa credenza.

Troviamo il concetto di anima trascendente, ovvio, nella cultura ebraica e in quella cristiana.

Inoltre la ritroviamo come concetto trascendente nelle culture medio-orientali (Islam) e orientali, che ha come scopo la purificazione che coincide con la fine delle reincarnazioni.

Nella Bibbia questa parola appare la prima volta nel cap. 49 della Genesi, versetto 6, sulla bocca di Giacobbe: <<Nel loro conciliabolo non entri l’anima mia, al loro convegno non si unisca il mio cuore. Perché con ira hanno ucciso gli uomini e con passione hanno storpiato i tori>>. In questo contesto, però non si parla di anima separata dal corpo, ma piuttosto di un sentimento.

La incontriamo ancora nel Deuteronomio, cap. 4, versetto 29:<<Ma di là cercherai il Signore tuo Dio e lo troverai, se lo cercherai con tutto il cuore e con tutta l’anima.>> Anche in questo caso si parla di un sentimento.

La prima volta che incontriamo questa parola come sinonimo di vita è nel I Samuele, cap. 25, versetto 29:<<Se qualcuno insorgerà a perseguitarti e a cercare la tua vita, la tua anima, o mio signore, sarà conservata nello scrigno della vita presso il signore tuo Dio, mentre l’anima dei tuoi nemici egli la scaglierà come dal cavo della fionda>>.

Si parla della vita dell’anima, intesa come dovuta a comportamenti buoni, nell’episodio di Uria, fatto tornare a casa dalla guerra dal re Davide, il quale aveva messo incinta la di lui moglie, Bersabea; Davide, per mascherare il malfatto, avrebbe voluto che quella notte Uria dormisse a casa con la sua consorte. Uria dice a Davide:<<L’Arca, Israele e Giuda abitano sotto le tende, Joab mio signore e la sua gente sono accampati in aperta campagna e io dovrei entrare a casa mia per mangiare e bere e per dormire con mia moglie? Per la tua vita e per la vita della tua anima, io non farò tal cosa!>> (2Sam., 11, 11).

Arriviamo a parlare di dualismo corpo anima, per la prima volta, nel Primo libro dei Re: è un miracolo del Profeta Elia:<<Si distese [Elia] tre volte sul bambino e invocò il Signore:”Signore Dio mio, l’anima del fanciullo torni nel suo corpo” . Il Signore ascoltò il grido di Elia; l’anima del bambino tornò nel suo corpo e quegli riprese a vivere.>> (1Re, 17, 21-22).

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Si parla di anima che cadrà nella fossa, verosimilmente fossa sta per condanna, in seguito a comportamenti sbagliati, quindi se ne asserisce l’immortalità:<<Dio parla in un modo o in altro, ma non si fa attenzione. Parla nel sogno, visione notturna, (…) per distogliere l’uomo dal male e tenerlo lontano dall’orgoglio, per preservarne l’anima dalla fossa e la sua vita dalla morte violenta>>. (Gb., 33, 15-18).

E nel Salmo 16, versetto 9 si canta:<<Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima anche il mio corpo riposa al sicuro.>>

In Zaccaria 12,10 si parla di “spirito” formato nell’intimo dell’uomo dal <<Signore che ha steso i cieli e fondato la terra>>.

Altri autori che parlano di spirito sinonimo di anima sono Ezechiele e Isaia.

Riguardo alla sua immortalità nel 2 libro dei Maccabei è famoso il settimo capitolo in cui si racconta il martirio di sette fratelli e della loro madre che accettano la morte in vista della resurrezione.160

Di questa, cioè della resurrezione dell’uomo e quindi di un’anima immortale, parla anche Gesù ai Sadducei:<<23In quello stesso giorno vennero a lui dei sadducei, i quali affermano che non c’è resurrezione, e lo interrogarono: 24”Maestro, Mosè ha detto: Se qualcuno muore senza figli, il fratello ne sposerà la vedova e così susciterà una discendenza al suo fratello. 25Ora, c’erano tra noi sette fratelli; il primo appena sposato morì e, non avendo discendenza, lasciò la moglie a suo fratello. 26Così anche il secondo, e il terzo, fino al settimo. 27Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. 28Alla resurrezione, di quale dei sette essa sarà moglie? Poiché tutti l’hanno avuta”. 29° Gesù rispose loro: “Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture né la potenza di Dio. 30Alla resurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo. 31Quanto poi alla resurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: 32Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi”. (Gv., 22, 23-32)

Esaminando la Bibbia, pertanto, anche nel N.T., non c’è nessun dubbio che il concetto di anima è quello di un elemento separato dal corpo, destinato a sopravvivere al corpo stesso.

Ma ciò che non cade sotto i nostri sensi, non è materia, e, per definizione, non appartiene all’indagine scientifica.

E’ sufficiente per negarne la realtà? E’ chiaro che no, perché come dice Tart, anche i fisici studiano

la gravità, di cui conoscono gli effetti e quant’altro, senza sapere bene cosa sia e senza che essa cada sotto i nostri sensi, se non gli effetti da essa prodotti. Qualcuno potrà obiettare che gli effetti della gravità sono palpabili. Ma, si può rispondere che anche l’anima

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sembra produrre effetti palpabili… ognuno ha la propria singola e unica personalità.

Nell’indagine su Dio ci viene in aiuto la causa-effetto; per quanto riguarda l’anima, invece, lo scienziato coscienzioso può solo concludere con la frase, ormai abusata da me, di Lidz:<<La mente (in questo caso l’anima) non può certamente stare dentro il cranio con il cervello!>>

Ciononostante, non significa che possiamo dimostrarne con prove scientifiche la sua esistenza e la sua immortalità. La prova può essere quella della ragione: se non so spiegarmi che cosa siano “in sé”, all’interno del mondo materiale, il pensiero, la parola, la coscienza pur tuttavia non posso negarne l’esistenza, la stessa cosa si deve affermare dell’anima. Siamo nel campo del trascendente.

10. Conclusione. Concludendo questo capitolo possiamo dire che l’ipotesi

principale in esso contenuto, è quella della iniziale storia dell’uomo collocata fuori del tempo e dello spazio perché solo così sembra possibile conciliare ciò che afferma la scienza sull’origine dell’uomo con quello che asserisce la Bibbia. E’ una prima risposta alla domanda iniziale: La Bibbia racconta cose vere?

Mentre la Bibbia argomenta in modo coerente in quanto parte da una creazione, all’interno della quale è possibile collocare anche l’evoluzione, la scienza (parte di essa, in verità) tiene in considerazione la sola evoluzione, e non riesce a chiudere il processo, in quanto non dà risposte certe circa l’origine della evoluzione. Darwin, però, non nega la Creazione, mentre i suoi seguaci si.

L’evoluzione, per noi, è un meccanismo all’interno di un sistema già esistente. Anche l’ipotesi Bing Bang come origine del tutto, per la scienza anch’esso è solo una pura esplosione di energia, della quale non sa dire, o non vuole porsi la domanda, chi l’ha originata.161

Spesso si confonde la scienza con le sole ipotesi scientifiche. Abbiamo cercato di argomentare le nostre affermazioni con

categorie razionali e filosofiche in genere; con categorie scientifiche, citando autori sia delle scienze biologiche che di quelle psicologiche, psicoanalitiche e glottologiche, quando è stato possibile.

In questo modo è stato più facile affermare che la Bibbia è un libro “rivelato”, cioè contiene una verità che attinge a quelle categorie quali inconscio e archetipo, anche se chiaramente non presenti esplicitamente nel testo biblico; e viceversa, per motivi opposti, negli autori che parlano di quelle categorie non sono

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presenti le categorie bibliche. Esse, però, messe insieme, potrebbero farci risalire al “filo d’Arianna” che si potrebbe essere perso nel passaggio dalla dimensione a-temporale a quella temporale.

Inoltre, se tutta questa ipotesi fosse vera, l’antropologia biblica della storia della salvezza si potrebbe e dovrebbe applicare all’intera umanità.

La novità, quindi, è l’ipotesi della collocazione della creazione dell’uomo in una dimensione a-spaziale e a-temporale nella quale si consuma il peccato originale; e, secondariamente, quando appare sulla terra, in una fase evolutiva avanzata, ci arriverebbe come cellula embrionale con inscritta già la sua storia.

Il campo resta aperto, è ovvio, e anche la domanda iniziale sulla veridicità o meno di quanto contenuto nella Bibbia.

Per quanto riguarda l’aspetto “metafisico” dell’uomo (cioè le sue prerogative qualificanti come il pensiero, la coscienza e la parola), la scienza slitta sul problema. Di fronte a questi argomenti, Darwin, nella sua funzione di naturalista, cerca di attribuire ad alcune categorie evolutive come l’uomo, la presenza in esso di “altissime facoltà”, come lui le chiama. In teoria le ascrive come facoltà collocate nell’immanenza dell’uomo, ma non riesce ad escluderne una possibile e scientifica trascendenza. Nella Bibbia la trascendenza è un concetto evidente. E, come ho cercato di dimostrare, la scienza non si arrende asserendo un uomo non metafisico, ma con prerogative metafisiche. Cerca di spiegare queste prerogative con la sola immanenza con la convinzione che “non può che essere così”. Non riesce a dimostrarne categoricamente la sola immanenza. La dimostrazione, pertanto, di un uomo assolutamente immanente e frutto della sola evoluzione non è (ancora? La storia non finisce oggi) una dimostrazione certa e probante dal punto di vista scientifico.

Noi, partendo dalla Bibbia, elaborando soprattutto il concetto di Parola abbiamo cercato, invece, di argomentare anche sulla coscienza e il pensiero, dimostrando che pur operando nella immanenza, esse non sono facoltà spiegabili con la sola materialità. La Parola è la sintesi del pensiero e della coscienza. Parola che in Dio, analizzando bene le categorie bibliche, non è simbolo ma realtà, in quanto coincide con la realtà creata.

Nell’uomo la parola, in quanto elemento indicante la realtà, è la sintesi sia della sua immanenza che della sua trascendenza.

E’ un’ipotesi che può essere sostenuta proprio dal non sapere ancora che cosa siano in sé, materialmente, come dice Jung, il pensiero, la coscienza e la parola.

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Note Capitolo I. 1. Si capirà in seguito il senso di questa frase, quando si parlerà della

parola. 2. Non vorrei che queste “piccole verità” venissero, in seguito, confuse

con l’accumulo di “piccole probabilità” di cui parla il Dawkins nel suo libro. 3. <<E’ molto bello ed elegante partire da idee semplici, tesserle

lentamente in strutture interconnesse e arrivare a far emergere alla fine un modello teorico complesso e concatenato. Seguire la tessitura di un tale modello, passo passo, può essere un’esperienza estremamente stimolante. Ma purtroppo è facile impantanarsi nei dettagli.>> In TART C.T., Stati di coscienza, Ed. Astrolabio, Roma, 1977, p. 15. Anche V. Levi quando parla del pensiero e dice che se esso fosse qualche cosa di tangibile e materiale, e pertanto, se si potesse riuscire ad “afferrare il pensiero” e ad “addomesticarlo”, si potrebbe mettere tutti d’accordo. In LEVI V., I misteri del cervello. p. 155. Vedi anche più avanti. Il tentativo perciò non è originale, almeno nell’essere stato pensato. Se teniamo, poi, in considerazione anche i pre-socratici, allora dobbiamo sottolineare che il tentativo è già stato fatto: la ricerca, cioè, di un elemento unico ed unificatore. Da Talete di Mileto passando per Anassimandro, Anassimene, Pitagora, Eraclito, Parmenide, Empedocle, Anassagora, fino a Democrito l’ultimo dei grandi pensatori dell’età presocratica, che hanno tentato la via della conoscenza attraverso un principio unificatore. Democrito ha posto i fondamenti della fisica moderna elaborando i concetti basilari quali “atomo”, “vuoto”, “moto”, elaborazione che, come qualcuno ha detto, fa di lui un “precursore spirituale di tutti i grandi fisici da Galilei a Newton fino a Bohr e Einstein.” Anche Cartesio ha cercato un punto unico sul quale basare lo studio della realtà: le sue “idee chiare e distinte”. Credo che appartenga, comunque, alle profonde radici della natura umana cercare un punto d’incontro unico per sintetizzare il tutto.

4. <<L’evoluzione della nostra biosfera è stata segnata da cinque

“estinzioni di massa”, compresa quella che causò la fine dei dinosauri. Ogni estinzione ha quasi spazzato via tutta la vita del pianeta. Alcuni ricercatori credono, come ho detto nel primo capitolo, che ci troviamo ormai nel cuore della sesta estinzione. A differenza delle altre, causate da forze cosmiche come le comete, l’attuale estinzione è causata da una forza che ci è molto più vicina: l’uomo.>> In LIPTON, B.H. La biologia delle credenze. Come il pensiero influenza il DNA, Macro Edizioni, Diegaro di Cesena, 2008, p. 218.

5. E’ chiaro, do per certo che l’apparizione della vita e dell’uomo sulla

terra sia quella affermata dalla scienza. Almeno come ipotesi metodologica. Qualche tempo fa, infatti, (13/02/2010) nella trasmissione di Alberto Angela “Ulisse”, che trattava dell’apparizione dell’uomo sulla terra; quando si parlò dell’uomo di Neanderthal si affermò che secondo gli studiosi questo uomo, come poi in appresso l’Homo Sapiens, non si sarebbero riprodotti. Se ho capito bene, mi domando: ma allora noi di chi siamo eredi? E poi leggo: <<L’uomo di

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Neanderthal e l’homo sapiens non sono parenti. Lo sostiene uno studio di ricercatori dell’Università di Ferrara secondo il quale le due specie sono rimaste sempre distinte. Il test del Dna per l’uomo di Neanderthal e alcuni esemplari di Homo sapiens dimostra che i due gruppi, pur avendo abitato insieme in Europa, non si incrociarono tra loro, rimanendo sempre due specie distinte, fino a che Neanderthal, perdendo la battaglia evolutiva con Sapiens, si estinse. E’ quanto affermano ricercatori italiani dell’università di Ferrara, guidati da Giorgio Bertorelle, dopo aver confrontato il Dna di esemplari di uomini di Neanderthal con quello di esemplari di Homo Sapiens rinvenuti in Puglia nel 1988 e con quello di uomini contemporanei, in tutto 2.500 tra europei, asiatici ed africani. Come riferito sulla rivista Proceedings of the National Academy of Science (Pnas), il test del Dna mostra che i nostri geni non hanno ricevuto alcuna eredità sostanziale da Neanderthal, cosa interpretata dagli scienziati come risultato del fatto che il nostro diretto antenato non si è mai accoppiato con uomini di Neanderthal, limitandosi a dividere con loro i territori colonizzati durante il tardo Pleistocene, circa 40 mila anni fa.>> (Homo sapiens idaltu-Wikipedia). E ieri, 27 dicembre 2010, nella trasmissione “Leonardo” in onda su Rai 3, è stata annunciato un ritrovamento di un altro uomo preistorico, che a detta del commentatore rende ancora più cespuglioso l’albero genealogico delle nostre origini. Questo dicono gli studiosi. Io non credo di possedere gli strumenti necessari per confutare con prove scientifiche che tutta la teoria sull’apparizione dell’uomo sulla terra non sia quella che gli antropologi ci hanno raccontato. E’ chiaro, però, che se anche quelle teorie fossero indimostrabili, e cioè, quei resti che gli studiosi dicono di appartenere alla specie umana… non appartenessero alla verità scientifica, le date attribuite fossero senza un fondamento scientifico… beh, allora bisognerebbe riscrivere l’intera storia…

6. Cfr. l’enciclica Fides et Ratio di GIOVANNI PAOLO II. La Chiesa

autorizza questa ricerca, come recita al n. 3, e al n. 4:<<Molteplici sono le risorse che l’uomo possiede per promuovere il progresso nella conoscenza della verità, così da rendere la propria esistenza sempre più umana. Tra queste emerge la filosofia… (…) Quando la ragione riesce a intuire e formulare i principi primi e universali dell’essere e a far correttamente scaturire da questi conclusioni coerenti di ordine logico e deontologico, allora può dirsi una ragione retta o, come la chiamavano gli antichi, orthòs, logos, recta ratio.>>

7. <<Dal punto di vista teologico, mi sembrano opportune le seguenti osservazioni destinate al lettore cattolico non informato: 1. L’autore ha posto all’inizio della sua opera una Avvertenza che assume una importanza capitale per intendere correttamente il suo pensiero e situarlo ove deve essere esaminato: non si tratta di una descrizione analitica della realtà cosmica quale si presenta agli occhi dello scienziato. E’ pacifico che l’autore presuppone da per tutto la presenza di un Dio personale e creatore che determina e dirige l’evoluzione del mondo. 2. Dalle pagine dedicate all’origine dell’uomo, che sono certamente tra le più interessanti, potrebbe darsi che alcuni, non abbastanza informati sullo stato attuale della conoscenza scientifica, siano tentati di dedurre che l’autore spinga la continuità della vita a un tale punto che non si tiene più sufficientemente conto della distinzione tra uomo e animale, e che, forse, l’intervento stesso di Dio nella genesi dell’anima umana diventa inutile. Ma una lettura più attenta ci farà vedere quanto tale interpretazione sia sbagliata. E’ infatti evidente che, in tutta la trattazione della questione, l’autore vuole porre in piena luce “la discontinuità nella continuità” e che la sua

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descrizione fenomenologica lascia ampio spazio agli argomenti filosofici e teologici che esigono un intervento divino. Quale prova, si rilegga, ad es. particolarmente la nota a p. 223.3. A proposito della questione del monogenismo, anche in questo caso bisogna tener conto della differenza dei piani sui quali si pongono rispettivamente la scienza e la teologia. L’autore rimane sul piano prettamente scientifico, pur constatando che, data l’inevitabile cancellazione delle origini filetiche, la scienza non dispone degli elementi richiesti per decidere se l’umanità sia nata da una sola coppia oppure da parecchie coppie. Fino a prove contrarie vi è posto una discussione – quale quella dell’enciclica Humani generis che conclude per il monogenismo (v. note a pp. 248 e 249 [dell’opera di T. citata]). Evidentemente sussistono incognite abbastanza numerose, sia sul terreno scientifico che su quello teologico, perché lo studio debba continuare>>. In TEILHARD DE CHARDIN, P., Il Fenomeno Umano. Ed. il Saggiatore, Milano 1968. Questa è la traduzione italiana, l’opera originale fu stampata a Parigi nel 1955. Teilhard, secondo me, non ha avuto il coraggio di andare fino alla radice del problema e rispondere alla domanda: è vero o non è vero ciò che dice la Bibbia? Darwin si chiese nel cap. 12 della sua opera sull’origine della specie se esse erano state create, sottolineo create e non evolute, in un solo punto o in più punti:<<Frattanto noi siamo giunti alla questione se le specie siano state create in un solo punto o in diversi punti della superficie della terra; questione che è stata ampiamente discussa dai naturalisti. Certamente vi sono molti casi, nei quali riesce assai difficile il comprendere, come una medesima specie possa avere emigrato da qualche punto nei diversi luoghi distanti ed isolati in cui attualmente si trova. Eppure la semplicità dell’idea che ogni specie fu in origine prodotta in una sola regione appaga lo spirito. Chi la respinge nega la vera causa della generazione ordinaria, insieme alla migrazione susseguente, e ricorre all’azione di un “miracolo”.>> E ancora, se da una sola coppia o da più coppie:<< Le precedenti osservazioni sui “centri di creazione singoli e multipli” non risolvono direttamente un’altra questione congenere, cioè, se tutti gl’individui di una stessa specie siano provenuti da una sola coppia, o da un solo ermafrodito, oppure se discendano da molti individui creati simultaneamente, come alcuni autori hanno supposto.>> In DARWIN, C., Sulla origine delle specie per elezione naturale ovvero conservazione delle razze perfezionate nella lotta per l’esistenza. Traduzione di Giovanni Canestrini. Edizioni <<A. Barion>> della Casa per Edizioni popolari – S.A. Sesto San Giovanni (Milano), p. 211. A questo punto voglio citare per intero il pensiero della Chiesa contenuto nell’Enciclica Humani generis di S.S. PAPA PIO XII, cap. IV:<<Rimane ora da parlare di quelle questioni che, pur appartenendo alle scienze positive, sono più o meno connesse con le verità della fede cristiana. Non pochi chiedono instantemente che la religione cattolica tenga massimo conto di quelle scienze. Il che è senza dubbio cosa lodevole, quando si tratta di fatti realmente dimostrati; ma bisogna andar cauti quando si tratta piuttosto di ipotesi, benché in qualche modo fondate scientificamente, nelle quali si tocca la dottrina contenuta nella Sacra Scrittura o anche nella tradizione. Se tali ipotesi vanno direttamente o indirettamente contro la dottrina rivelata, non possono ammettersi in alcun modo. Per queste ragioni il Magistero della Chiesa non proibisce che in conformità dell’attuale stato delle scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e di discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina dell’evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull’origine del corpo umano, che proverrebbe da materia organica preesistente (la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente da Dio). Però questo deve essere fatto in tale modo

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che le ragioni delle due opinioni, cioè di quella favorevole e di quella contraria all’evoluzionismo, siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura e purché tutti siano pronti a sottostare al giudizio della Chiesa, alla quale Cristo ha affidato l’ufficio di interpretare autenticamente la Sacra Scrittura e di difendere i dogmi della fede (Cfr. Allocuzione Pont. ai membri dell’Accademia delle Scienze, 30 novembre 1941; A. A. S. Vol. , p. 506). Però alcuni oltrepassano questa libertà di discussione, agendo in modo come fosse già dimostrata con totale certezza la stessa origine del corpo umano dalla materia organica preesistente, valendosi di dati indiziali finora raccolti e di ragionamenti basati sui medesimi indizi; e ciò come se nelle fonti della divina Rivelazione non vi fosse nulla che esiga in questa materia la più grande moderazione e cautela. Però quando si tratta dell’altra ipotesi, cioè del poligenismo, allora i figli della Chiesa non godono affatto della medesima libertà. I fedeli non possono abbracciare quell’opinione i cui assertori insegnano che dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra veri uomini che non hanno avuto origine, per generazione naturale, dal medesimo come da progenitore di tutti gli uomini, oppure che Adamo rappresenta l’insieme di molti progenitori; non appare in nessun modo come queste affermazioni si possano accordare con quanto le fonti della Rivelazione e gli atti del Magistero della Chiesa ci insegnano circa il peccato originale, che proviene da un peccato veramente commesso da Adamo individualmente e personalmente, e che, trasmesso a tutti per generazione, è inerente in ciascun uomo come suo proprio (cfr. Rom. V, 12-19; Conc. Trident. sess. V, can. 1-4)>>. A una lettura scevra da pregiudizi, il testo appare aperto e lungimirante in fatto di evoluzione; si parla di ipotesi scientifiche non di verità accertate. Resta fermo solo il punto della creazione dell’uomo unico (monogenismo) in quanto portatore della colpa originale, come descritto dalla Bibbia. Non ci sono, a tuttora, controprove scientifiche del contrario. L’ipotesi contenuta in questo mio scritto è per un monogenismo del tutto particolare, come si potrà leggere in seguito.

8. <<Quando alcuni seguaci di Darwin cominciarono ad applicare la teoria dell’evoluzione all’uomo in quanto animale apparentemente ragionevole, essi scivolarono in affermazioni nelle quali la stessa essenza della ragione e delle capacità intellettive veniva negata. Non ho alcuna obiezione contro l’idea dell’evoluzione. Al contrario ritengo che solo poche altre idee hanno allargato il nostro orizzonte quanto questa rinnovata prospettiva biologica. Assai meno mi entusiasmano quei principi particolari dell’evoluzione che da soli spiegherebbero, secondo gli ultimi seguaci di Darwin, il mutamento delle specie esistenti e il sorgere di nuove forme di vita. Tuttavia poiché sino ad ora non possediamo una teoria migliore, appare inutile oggi mettere in discussione questo punto.>> In KÖLER, WOLFANG, Il posto del valore in un mondo di fatti, p. 20. In questo primo capitolo, il Köler racconta di un’intervista, da lui fatta all’autore di un articolo di una rivista tedesca, datata 1930-31, nel quale vengono interrogate alcune personalità del mondo della scienza in merito alla crisi della medesima in quel periodo. La scienza, specifica l’autore, sta per “sapere in generale”. Il direttore di questa rivista gli espone le sue idee sul problema, tra le quali questa sull’evoluzione. Riprenderemo in seguito questo libro.

9. Il calendario ebraico inizia dalla creazione del mondo, e secondo l’età

dedotta dalla Bibbia, all’incirca 5772 anni fa, oggi 2011 dell’era cristiana.

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10. Questo dilemma è stato ripreso in modo sistematico dal libro di AUGIAS C., MANCUSO V., Disputa su Dio e dintorni, Mondadori, Milano 2009. <<Io credo, infine, che possiamo vivere anche senza un’immagine di Dio inteso come un ente esteriore che sovrasta i nostri destini e i nostri comportamenti, un Dio “totalmente altro” rispetto a noi, che abita in una dimensione “totalmente altra” rispetto alla nostra. Sono convinto che di un Dio tanto lontano ed estraneo sia opportuno liberarsi. Io me ne sono liberato. Ma, se viviamo secondo la logica del bene e della giustizia, io penso che compiamo il divino che è in noi, e questo, credo, ci apre scenari d’essere inaspettati. Già in questa vita, e ancor più dopo la morte.>> p. 12. Se riesco a capire bene quello che Augias vuole dire, e mi pare sia valido per tutti i suoi scritti, il suo è un problema di coerenza che non riscontra in chi crede nel Dio biblico. Non conosco la sua vita, ma suppongo che l’impatto con le istituzioni religiose cattoliche sia stato deludente, e allora il sillogismo è consequenziale. Credo anche che se fosse veramente convinto del suo ateismo non concluderebbe rifacendosi al dopo morte. Se fosse un convinto materialista della morte non ne parlerebbe proprio. In realtà, mi pare che escluda solo un Dio lontano, ma non dice le caratteristiche di questo “altro” Dio più a lui confacente. Sono sufficienti il bene e la giustizia presenti nell’uomo? E sono solo questi gli attributi di un dio non altro da noi, ma coabitante in noi, e, suppongo, “proprietà” di nessuna religione? Sotto questo aspetto usa gli stessi argomenti emotivi e sociologici del Dawkins, di Russell e altri più o meno famosi. In fondo la sua tesi è che si può fare a meno della religione, specialmente di quella cattolica, perché Dio, secondo Augias, da questa religione non è reso credibile, non solo, ma la stessa è frutto di una elaborazione “a tavolino” per opera di un certo Paolo di Tarso, come afferma in un altro suo libro. Come ipotesi potrebbe andare, ma le ipotesi restano tali fino a che non se ne provi la certezza scientifica. Come detto nella premessa se Dio esiste, esiste a prescindere dalla Fede, dalla Religione e quant’altro. Perciò, a mio parere, bisogna restringere il campo. Analizzare la Bibbia, perché anch’essa appartiene all’umanità, e se da essa si potesse dimostrare non solo l’esistenza di Dio, ma anche un suo “progetto”, allora il problema Dio sarebbe un problema che si può risolvere a prescindere dalle “religioni”. Nel caso che il “progetto” fosse vero, le religioni, nella fattispecie quella Ebraica e quella Cristiana, avrebbero o hanno solo un posto importante in questo “progetto” in quanto messaggeri:<<Andate e predicate a tutte le genti>>.

11. Per me, che credo nel principio di causa ed effetto, esiste un creatore

dal momento che ci stiamo occupando di un creato. Affermando questo intendo contraddire, come si vedrà in seguito, coloro che non accettano il “progetto intelligente” ma credono che sia possibile la spiegazione delle origini delle cose solo con la “selezione naturale”, la casualità, il principio di antropia o quello dell’accumulo. Anche se può sembrare un’eresia scientifica, asserisco fin da ora che la teoria di Darwin può benissimo inserirsi in un progetto intelligente. La critica al concetto di causa-effetto è stata fatta per primo da HUME con il famoso argomento della palla di biliardo. Dice Hume che ogniqualvolta si assiste a due eventi in rapida successione, è logico pensare che ci sia una qualche connessione fra i due eventi, e in particolar modo, che l’evento che viene cronologicamente per primo produca il successivo e che quindi l’evento A sia la causa dell’evento B. Lui rifiuta però questo punto di vista: infatti egli si domanda con quale procedimento e su quali basi si può desumere B, dato l’evento A? Sul principio di causalità si basavano tutti quei procedimenti di

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“previsione” con cui ad un evento se ne fa seguire un altro teoricamente collegato al precedente. L’esempio famoso è quello della palla da biliardo lanciata contro un’altra: per qualunque osservatore apparirà sempre prima una palla che si scontra con un’altra e poi il mettersi in moto di quest’ultima. Così facendo tutti gli osservatori, dopo qualche lancio, potranno affermare che la seconda palla si muoverà vedendo soltanto la prima palla che viene lanciata verso di essa. Hume tentò di capire quale fosse il ragionamento che ci fa prevedere il moto di B conoscendo soltanto quello di A. Escluse subito un ragionamento a priori, ovvero una inferenza necessaria che ad A fa seguire necessariamente B, in quanto fra due eventi è impossibile ricavare una qualsiasi relazione necessaria. Ma non si può pensare nemmeno ad un discorso empiristico, in quanto, come ragionamento a posteriori, può essere effettuato solo successivamente ai due eventi. E anche in questo caso non ci possono essere prove che confermino che B sia la conseguenza di A in quanto il rapporto fra A e B è di consequenzialità e non di produzione, cioè si può affermare in base all’esperienza solo che A precede B e che A è molto vicino a B ma non si può dedurre niente che leghi indiscutibilmente l’evento A a quello B. Con Hume la ragione scopre di non poter dimostrare necessariamente la connessione delle cose ma di poterla soltanto asserire per mezzo dell’immaginazione. Il fatto insomma che ad un evento A segua da milioni di anni un evento B non può darci la certezza assoluta che ad A segua sempre B e nulla ci impedisce di pensare che un giorno le cose andranno diversamente. Per ovviare a ciò ci vorrebbe un principio di uniformità della natura che si incarichi di mantenere costanti in eterno le leggi della natura stessa, cosa che per Hume non è né intuibile né dimostrabile. Da questo principio, certamente discutibile, nasce il presupposto scientifico della casualità assoluta. Comunque per chiuderla brevemente: è vero che il colpo della palla A sulla B produce sempre un movimento diverso ma è anche vero che senza A, B non si muoverebbe. La causa del movimento di B è sempre e comunque A, circoscritto, s’intende, in quel determinato evento del gioco del biliardo, non solo, ma solo a quel tiro. Per cui una causa produce sempre un effetto anche se, in questo caso, gli effetti possono essere infiniti come risultato immediato, ma sempre uguali se pensiamo al movimento. Un altro libro che parla del rapporto causa-effetto è il libro di P. WATZLAWICK, Pragmatica della comunicazione umana, che cerca di applicare le scoperte della cibernetica [informatica] alla psicologia: <<Freud si distaccò dalla psicologia tradizionale quando introdusse la teoria psicodinamica del comportamento umano. Non occorre qui sottolineare l’importanza delle sue scoperte. Ma non possiamo non soffermarci su un aspetto che ha una attinenza particolare col nostro assunto. La teoria psicanalitica si basa su di un modello che non è in contrasto con l’epistemologia predominante al tempo in cui furono formulati i principi della psicanalisi. Si parte dal postulato che il comportamento sia in primo luogo la conseguenza di una ipotizzata azione reciproca di forze intrapsichiche che si ritiene seguano strettamente le leggi della fisica sulla conservazione e sulla trasformazione dell’energia. Norbert Wiener, riferendosi proprio a quel periodo, asserisce che “il materialismo aveva evidentemente messo a punto la propria grammatica, ed era una grammatica dominata dal concetto di energia” [(WIENER N., “Time, communication, and the Nervous system”, in Teleological Mechanism, a cura di R.W. Miner, Annals of the N.Y. Academy af Sciences, vol. 50, Art. 4, pp. 197-219, 1947.) p. 199.] In linea di massima, la psicanalisi classica restava anzitutto una teoria dei processi intrapsichici, che considerava di secondaria importanza l’interazione con le forze esterne anche quando tale interazione era evidente. In questo senso è

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esemplare il concetto di ‘guadagno secondario’ (naturalmente, i cosiddetti neo-freudiani hanno sottolineato con molta maggiore energia l’interazione individuo-ambiente). La ricerca psicoanalitica ha trascurato l’interdipendenza tra l’individuo e il suo ambiente, ed è proprio a questo punto che diventa indispensabile il concetto di scambio di informazione, cioè di comunicazione. C’è una differenza sostanziale tra il modello psicodinamico (psicoanalitico) da una parte e ogni schema che elabori il concetto di interazione individuo-ambiente dall’altra. E’ una differenza che ci auguriamo di chiarire con la seguente analogia. Se il piede di un uomo che sta camminando colpisce un sasso l’energia viene trasferita dal piede al sasso. Il sasso verrà messo in movimento e spostato finché non si fermerà in una posizione che è determinata esclusivamente da fattori come la quantità di energia trasmessa, la forma e il peso del sasso, la natura della superficie su cui è rotolato. Se l’uomo dà un calcio a un cane anziché a un sasso, il cane può saltare su a morderlo. In questo caso il rapporto tra il calcio e il morso è di un ordine assai diverso. E’ chiaro che il cane prende energia per la sua reazione dal proprio metabolismo e non dal calcio. Non si ha dunque trasmissione di energia ma di informazione. In altre parole, il calcio è un comportamento che comunica qualcosa al cane, e a questa comunicazione il cane reagisce con un’altra comunicazione-comportamento. La differenza tra la psicodinamica freudiana e la teoria della comunicazione, in quanto principi esplicativi del comportamento umano, in sostanza è tutta qui. Come si vede, appartengono a ordini diversi di complessità; non si può estendere il primo al secondo, né il secondo si può dedurre dal primo: nel loro rapporto non c’è continuità concettuale. Che l’attività di pensiero abbia spostato i suoi interessi dal concetto di energia a quello di informazione è stato di una importanza fondamentale per lo sviluppo quasi vertiginoso della filosofia della scienza dalla fine della seconda guerra mondiale e ha dato un impulso eccezionale alla nostra conoscenza dell’uomo. Rendersi conto che l’informazione su un effetto, se correttamente trasmessa indietro (feed back) all’effettore, garantisce la stabilità di quest’ultimo e l’adattamento al cambiamento d’ambiente, non soltanto ha aperto la porta alla costruzione di macchine di ordine più elevato [computer] (cioè macchine perseguitrici di scopi e con controllo d’errore) e ha permesso di postulare la cibernetica come nuova epistemologia, ma ci ha anche dato la possibilità di osservare in un modo davvero nuovo e illuminante il funzionamento di sistemi d’interazione assai complessi esistenti in biologia, psicologia, sociologia, economia e altri campi. Anche se per il momento non possiamo valutare – neppure sperimentalmente – l’importanza della cibernetica, i principi fondamentali che implica sono assai più semplici di quanto ci si aspetti. Li passiamo brevemente in rassegna qui di seguito. Finché la scienza si è interessata allo studio dei rapporti lineari, unidirezionali e progressivi di causa-effetto, molti fenomeni di estrema importanza sono stati esclusi dall’immenso territorio che la scienza ha conquistato negli ultimi quattro secoli. Semplificando molto, si può asserire che tali fenomeni hanno il loro comune denominatore nei concetti affini di crescita e cambiamento. Per includere tali fenomeni in una visione unitaria del mondo, la scienza ha dovuto far ricorso fin dal tempo degli antichi greci a concetti di cui ha dato varie definizioni ma che sono sempre rimasti nebulosi e tortuosi. Essi si basano sulla nozione che esista un fine che determina il corso degli eventi e che il risultato finale ‘in qualche modo’ condiziona i passi che ci conducono gradatamente a questo fine; oppure erano fenomeni caratterizzati da una certa forma di ‘vitalismo’ e quindi esclusi dal dominio della scienza. In tal modo circa 2.500 anni fa si pose la base per una delle maggiori polemiche epistemologiche,

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e la polemica è continuata fino ai nostri giorni. Se volgiamo la nostra attenzione a quelli che sono gli studi specifici sull’uomo, vediamo subito che la psicanalisi è classificabile nella scuola deterministica, mentre non lo è, ad esempio, la psicologia analitica di Jung che fa molto assegnamento alla ipotesi di un ‘entelechia’ [Nella filosofia aristotelica è la condizione di assoluta perfezione dell’essere in atto, cioè l’uomo, che ha già realizzato in sé ogni sua potenzialità] immanente all’uomo. L’avvento della cibernetica ha cambiato tutti questi schemi e ha dimostrato che i due concetti possono unificarsi in una struttura più esauriente. La scoperta della retroazione ha reso possibile questo nuovo modo di vedere le cose. Una catena in cui l’evento a produce l’evento b, e poi b produce c, e c a sua volta causa d, ecc. può sembrare che abbia le proprietà di un sistema lineare deterministico. Ma se d riconduce ad a, il sistema è circolare e funziona in un modo completamento diverso. Rivela un comportamento che è sostanzialmente analogo a quello di quei fenomeni che non consentono di compiere l’analisi nei termini di un rigoroso determinismo lineare.>> In WATZLAWICK P., BEAVIN J.H., JACKSON D.D., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971, pp. 22-24. Questo testo chiarisce bene una cosa: non nega il principio causa-effetto, ma dimostra che il sistema non è solo lineare, può anche essere circolare e casuale. Al contrario di Hume che, pur rendendosi conto di concetti come casualità, non riesce ad differenziarlo, cosa che lo porta a negare a-priori la relazione a monte, cioè la causa-effetto. Inoltre, chiarisce bene anche il concetto di determinismo, che implica anche quello di retroazione casuale ma che in sé non contraddice assolutamente il principio generale. Ho voluto citarlo per intero così non si perde nessun passaggio del ragionamento, e inoltre per non costringere il lettore ad andare in cerca del testo. Cito ancora il Köler:<<Prima che esistesse una qualunque specie di scienza la natura appariva all’uomo come affine a se stesso. Le cose erano della stessa sua specie e gli eventi naturali lo riportavano al suo stesso agire o alle sue sofferenze. E’ ancora così presso quelle tribù che chiamiamo “popolazioni primitive”. (…) Sebbene tali rapporti venissero visti spesso come pericolosi e alcuni persino come terrificanti, tuttavia essi erano per lo meno familiari nelle loro varietà e in questo senso, quindi, comprensibili. Con lo svilupparsi della scienza questa visione del mondo fu gradualmente distrutta. La natura, affermavano i fisici, presenta scarsa somiglianza con l’uomo. Né è lecito pensare che possa esserci un qualunque nesso nei rapporti tra l’uno e l’altra. Quelle particolari connessioni che la primitiva visione del mondo aveva trovato tra le parti concrete del nostro ambiente, a eccezione di poche, sono inesistenti per la scienza. (…) …e il principio fondamentale che la scienza ravvisa nel loro comportamento è il caso puro e semplice.>> Secondo Köler, la scienza invoca il caso come l’origine di tutto. p. 12. [per Dawkins non apparterrebbe alla categoria degli scienziati sani di mente.] E alla fine del capitolo conclude: <<”Che cos’è la verità?” Chiese Ponzio Pilato. Ci sottomettiamo remissivamente perché ci sembra che un principio valga l’altro, cioè che sia sullo stesso piano di arbitrarietà. Mancando qualsiasi convinzione, è impossibile attendere da qualcuno del coraggio. E’ tardi, amico mio, e lei desidera andare. Torni da me qualche volta e allora discuteremo che cosa può accadere alla stessa scienza quando vi si scopre che essa è incapace di trattare i problemi del valore e dell’insigth. L’uomo non è soltanto oggetto della scienza: è anche autore di essa.>> In KÖLER,WOLFANG, Il posto del valore in un mondo di fatti, p. 27. In questo primo capitolo del libro si ridimensiona il potere della scienza. Se non stiamo attenti, ci dice l’interlocutore, essa può diventare divoratrice del suo stesso autore e cioè dell’uomo. Infatti il principio causa-effetto presente fin

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dall’inizio nella mente dell’uomo, la scienza ha cercato di superarlo con l’assoluta casualità, ritenuta evidentemente molto pericolosa, capace di destrutturarla nel suo insieme.

12. Il principio antropico, invocato da Dawkins per spiegare l’origine della realtà, è contro il determinismo e opta per la probabilità; teoria ripresa e difesa dal medesimo. Vedi cap. II di questo scritto.

13. Lutero parla di servo arbitrio: tutto dipende da Dio l’uomo non può che accettare ciò che Dio decide. Lutero, prova le sue idee interpretando solo una parte della Lettera ai Romani. Questa teoria luterana mette in dubbio la libertà dell’uomo. E’ importante, ragionando, salvare il progetto intelligente che non deve e non può escludere il libero arbitrio dell’essere umano. Lutero, facilmente, nell’elaborazione della sua teoria, deve aver tenuto presente un fatto tragico capitatogli nell’adolescenza. Un giorno, tornando da scuola con un suo compagno, si racconta, incapparono in un temporale e un fulmine colpì a morte quel suo compagno Lui si salvò. Si può legittimamente pensare che una domanda può averlo tormentato a lungo: perché è morto il mio compagno e non io? La risposta potrebbe essere nella sua teoria: è già tutto scritto. Nulla dipende da me. Sono ancora contrastanti i giudizi emessi dagli storici sulla conversione di Lutero. La tradizione vuole (e lo stesso Lutero nei suoi discorsi autobiografici sembra confermarlo) che a causa del forte spavento causatogli da quel fatto, egli abbia fatto voto di prendere l’abito sacerdotale. Ad ogni modo si trattava certamente di un uomo inquieto, la cui religiosità era fortemente improntata ad una concezione di Dio come giudice terribile e vendicatore. In base a ciò che egli stesso racconta, da giovane fu indotto a meditare sull’ira divina sempre a causa della morte prematura di quel compagno di studi. Secondo i critici, l’ansia e la paura costituirono un importante elemento nelle scelte di Lutero, e forse fecero maturare nella sua mente la scelta improvvisa di entrare nel convento agostiniano di Erfurt. Persino la psicanalisi si è interessata a Lutero. Secondo alcuni nel riformatore si riscontrano «eredità di alcolismo, amore anormale per sua madre, educazione in un clima di paura, tendenza alla malinconia, ossessioni sessuali (sublimate, è vero, con una potente attività intellettuale) sono gli elementi che spiegherebbero... perché e come Lutero è giunto a rifiutare il valore salvifico delle opere» (in ERIKSON E.H., Il giovane Lutero. Studio storico-psicoanalitico. Roma 1967, p. 33). In conformità con la teologia protestante della fede, i due illustri teologi Barth e Bultmann, sostengono che la conoscenza di Dio avviene solo attraverso la fede. Secondo Bultmann nella teologia naturale viene falsificato il concetto di Dio, ridotto a causa prima, “un essere alla maniera del mondo”, oggetto di conoscenza e fenomeno. <<La fede parla di Dio come Al di là del mondo. Esemplare, anch’egli, per la sua drasticità: “resta dunque che ogni discorso umano su Dio al di fuori della fede, non parla di Dio ma del diavolo”.>> In BULTMANN R., Nuovo testamento. Il manifesto della demitizzazione, Queriniana 1970. Il problema di Bultmann, forse, è che non sentendosi capace di negare la verità dei Vangeli, cerca la scappatoia della demitizzazione. Alcuni fatti, secondo lui, non possono essere “veri” storicamente, ma lo sono solo per la fede. In questo scritto, al contrario, sostengo sostanzialmente che la Fede, se non è, oltre che certezza di cose sperate, come afferma S. Paolo, anche certezza di ciò che essa asserisce, è solo una pia illusione che può aiutare, forse, solo a vivere meglio. Sostengo anche che la ragione può confermare il mistero contenuto nella Fede, anche se il mistero resta tale. Mistero che per definizione non è contro la ragione ma oltre la ragione. E, cioè, se la Bibbia non fosse un libro “rivelato” può essere anche “il

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libro dei libri” certamente, ma resta solo un libro. Dice ancora Bultmann: <<Colui che volesse andare più lontano, cercando quali siano le necessità, i titoli, i fondamenti della fede, non riceverebbe che una risposta: sarebbe rinviato al messaggio della fede che lo interpella, esigendo di essere creduto. Non riceverebbe risposte tali da giustificare i titoli della fede davanti ad una qualsiasi istanza.>> In fondo è come se stesse dicendo che il mio tentativo è inutile. E’ chiaro, però, che per me il Vangelo e la Bibbia in toto, non appartiene alla categoria “mito” e né solo alla categoria “fede”, come vorrebbero quei tanti o pochi (secondo le proprie vedute), che si affannano a dimostrare la non storicità di Cristo e quant’altro. Ma ribadisco che il contenuto della Fede o è vero in toto, o in toto falso. Come si dice in latino “Tertium non datur”. Dire che la fede aiuta a vivere meglio può equivalere al mantra del buddismo. Ma non è così. Quello che la fede ci fa credere deve essere anche la verità. Dimostrabile anche. Con tutte le limitazioni del concetto di storicità sia per testi che risalgono a migliaia di anni fa, sia per il contenuto di fatti umanamente inspiegabili.

14. Sulla libertà vedi Appendice 1. 15. Mentre scrivo mi sono imbattuto in due autori quali Linden e

Dennett che hanno pubblicato due volumi. Uno, Linden (LINDEN, D. J., La mente casuale. Come l’evoluzione del cervello ci ha dato l’amore, la memoria, i sogni e Dio. Centro scientifico editori, Torino, 2009), tenta di dimostrare come “l’evoluzione del cervello ci ha dato l’amore, la memoria i sogni e Dio”. Mentre il Dennett (DENNETT, DANIEL C., Coscienza. Che cos’è. Trad. di Lauro Colasanti. Illustrazioni di Paul Weiner. Laterza, Roma-Bari, 2009), cerca di dimostrare che la coscienza non è altro che una produzione del mondo fisico. Lo sforzo è notevole, ma il risultato si ferma al campo delle ipotesi. Credo sia difficile riprodurre una macchina che si innamora o che si riproduca naturalmente. Infatti se l’uomo fosse solo una macchina sarebbe una vita senz’”anima”. Anche il progetto in atto a Losanna (Blue Brain Project) di riprodurre un neurone “umano”, sarà completo solo quando questo neurone insieme ad altri miliardi di neuroni sarà in grado di riprodurre non solo un uomo capace di operazioni meccaniche, tipo robot, ma un uomo capace di innamorarsi, di riprodursi e pensare in maniera autonoma. Questo è il mio punto di vista. Se la scienza, un domani, riuscirà a fare un individuo capace di assolvere queste funzioni che presiedono le capacità autonome dell’uomo allora sarà più facile parlare di una natura umana che ha il suo unico fondamento nella materialità e immanenza, poiché sarà un esperimento ripetibile all’infinito. Anche la struttura del cervello, sede centrale per le varie operazioni umane, fa parte del “progetto intelligente”. Oggi, la scienza sa sezionarlo e estrapolarne i vari componenti, assegnando a ciascuno di essi una funzione specifica. Quando quel determinato spicchio di cervello viene a mancare perché si ammala o viene danneggiato, o asportato, quella funzione non è e non può più essere esercitata. Questo, però, è solo l’aspetto materiale del problema. Credo che il Lidtz, nella sua semplicità, quando afferma che << nessun pensatore serio può rinchiudere la mente nel cranio come parte del cervello>> resta l’ipotesi più appropriata. La mente non è il cervello. Vedi bibliografia: LIDZ T., La Persona umana. Suo sviluppo attraverso il ciclo della vita. Astrolabio, Roma, 1971, p. 40.

16. Il mito egiziano detto “della città di Eliopoli”, prevede proprio questo

caos preesistente che poi si armonizza fino allo stato attuale. Da questo caos nasce anche l’uomo nelle persone di Osiride, suo fratello Set (il cattivo). E sua

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sorella-moglie Iside. Il mito greco parla di spazio cosmogonico vuoto e senza fine dove c’era solo il CAOS, senza forma, al di là del tempo e dello spazio.

17. Per la scienza ufficiale, sto citando Micromega, non si parla di

creazione:<<La creazione è una certezza per chi crede, neanche per tutte le religioni oggi esistenti, ma, diciamo, certamente per le tre grandi religioni del Libro. Ma è semplicemente una immaginazione, chiamiamola così, per chi non crede.>> E ancora: <<Ora la maggioranza delle persone che vivono nelle società occidentali non crede affatto alla creazione, [è una opinione di Flores D’Arcais, ovvio, non supportato da statistiche certe. Ma anche se fosse vero…], crede che tutto sia nato secondo un certo sviluppo cosmologico… (…) Certamente l’idea della creazione non può essere il fondamento di una società pluralista dove molti non credono, e dove molti pensano che l’universo in cui noi viviamo è nato dal famoso Bing Bang, e ha avuto uno sviluppo che non era definito a priori. La scienza, per i suoi più recenti approdi, ci dice che vi è stata una evoluzione nell’universo che non era stabilito a priori [non c’è determinismo], poteva prendere altre vie. Uno dei più grandi divulgatori scientifici, Stephen Jay Gould, ha ricostruito proprio sette momenti cruciali dell’evoluzione, dal Big Bang alla nascita dell’uomo, in cui l’evoluzione poteva prendere direzioni totalmente diverse, e, dice lui, se l’avesse prese – e non c’era nessuna probabilità a favore di quella che ha preso [Flores d’Arcais forse non si rende conto che questa frase del Gould non conferma quello che sta dicendo, semmai il contrario, perché sarebbe più giusto chiedersi: se non c’era nessuna probabilità a favore dell’eventualità poi avvenuta, qual è stato il motivo per cui si è avverata l’ipotesi più improbabile?], ne poteva prendere altre – noi non saremmo qui a discuterne. Quindi da questo punto di vista gli scienziati riconoscono quello che un grandissimo biologo del nostro tempo, Jacques Monod, diceva qualche decennio fa, e cioè: siamo il frutto del caso [ma, ancora, il Dawkins non afferma che nessuno scienziato benpensante può credere al caso? “Il caso non è una soluzione, dati gli alti livelli di improbabilità che osserviamo negli organismi viventi, e nessun biologo sano di mente ha mai suggerito che lo fosse.”!] e della necessità.>> In Il fondaco di MicroMega, Dio esiste? Joseph Ratzinger, Paolo Flores d’Arcais. Un confronto su verità, fede, ateismo moderato da Gad Lerner. Suppl. al n. 2/2005 di MicroMega (rivista bimestrale). Gruppo editoriale l’Espresso, pp. 39-40. Sembra che fino ad oggi andiamo avanti per due strade parallele, come ho già detto, entrambe dogmatiche: la Fede e la Scienza. Ma la presunzione della verità, mi pare, ci sia più nella scienza che nella Fede. Credo, anche, che non bastano affermazioni su quello che uno pensa per dire che quella è la verità; la scienza, soprattutto, dovrebbe fornire prove inconfutabili quando afferma certi risultati. Non basta formulare ipotesi.

18. Dawkins crede che la selezione naturale sia la soluzione

giusta:<<Come mai la selezione naturale risolve il problema, laddove il caso e il progetto restano al palo? Perché è un processo cumulativo, che scompone il problema in piccole parti. Ciascuna parte è leggermente, ma non totalmente, improbabile. Quando innumerevoli eventi leggermente improbabili si accumulano uno dietro l’altro, il prodotto finale è molto, molto improbabile; così improbabile da non poter essersi verificato per caso. E’ di questi prodotti finali che parlano tanto i creazionisti portando sempre gli stessi, triti argomenti. […] Non capisce il potere dell’accumulazione.>> In DAWKINS R., L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, p. 123. E’ questa l’alternativa secondo l’autore: no al progetto intelligente, no al caso, sì all’accumulo delle piccole improbabilità

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dell’evento che poi diventa realtà. Ma lo stesso autore si rende conto che non è possibile risolvere il tutto con la sola selezione naturale:<<L’origine della vita, invece, si trova oltre la portata della gru [l’evoluzione], in quanto la selezione naturale non può innescarsi a partire dal nulla.>> (p. 143). E’ la più logica delle conclusioni, ma evita di continuare la seconda parte: il come e il chi può aver dato il primo impulso e uscire fuori dal nulla. Il suo ragionamento, come quello di molti altri, si ferma lì.

19. Il Dawkins ci prova, vedi nota precedente e il capitolo secondo di

questo libro. Non mi pare che ci riesca. E neanche Julian Huxley, più darwinista di Darwin stesso, che asserisce in modo apodittico:<<Nel pensiero evoluzionistico non c’è più bisogno e spazio per il soprannaturale. La terra non è stata creata, si è formata attraverso l’evoluzione[…]>> In AGNOLI FRANCESCO, Perché non possiamo essere atei. Il fallimento dell’ideologia che ha rifiutato Dio, Ed. Piemme, Casale Monferrato, 2009, p. 87.

20. Il principio della scienza è quello della realtà: è dimostrabile sempre e

resiste all’infinità degli esperimenti. Pensiamo alla Radio di marconiana memoria, non è più solo un’ipotesi, è la dimostrazione scientifica che si può comunicare anche attraverso le onde hertziane. Altra, invece, è l’ipotesi scientifica, che resta tale fino a una sua inconfutabile ulteriore dimostrazione.

21. Non credo sia necessario mettersi qui a discutere se le prerogative

dell’uomo sono innate nella struttura uomo. Asserire il contrario è solo una posizione pregiudiziale: <<La storia dell’empirismo è strettamente connessa alle diverse interpretazioni del concetto di esperienza. Nel pensiero di Epicuro l’esperienza è identificata con la sensazione: tutte le idee sono frutto di sensazione, anzi, sono esse stesse sensazioni, cioè configurazioni materiali di atomi che si distaccano dai corpi fisici ed entrano nel nostro corpo attraverso i canali costituiti dagli organi dei sensi. Questa versione dell’empirismo, più tardi chiamata sensismo, è stata spesso ripresa, anche se in forme meno rigidamente materialistiche; in epoche diverse, Hume, Condillac, Mach, e anche i filosofi del Circolo di Vienna nella prima fase della loro attività filosofica, posero come dato di partenza della nostra conoscenza la sensazione, pur divergendo riguardo al modo in cui le sensazioni vengono organizzate per dar luogo alle idee complesse e alle elaborate teorie di cui la conoscenza effettivamente consiste. A Kant sembrò invece insostenibile la tesi dell’origine soltanto sensibile della conoscenza, non tanto per la difficoltà di far derivare contenuti di conoscenza complessi da dati sensibili semplici e immediati, quanto piuttosto perché una parte almeno delle proposizioni di cui la nostra conoscenza consiste (soprattutto la conoscenza scientifica) possiede caratteri di universalità e necessità, che la costanza di certi rapporti tra sensazioni non basta a giustificare (e che infatti Hume coerentemente negava). Egli definì perciò l’esperienza come l’organizzazione delle sensazioni, operata da determinate funzioni a priori (forme e categorie) [Ciò che Kant invoca come categorie a priori possiamo dire che sono le dimensioni (ad es. spazio e tempo) che preesistono e sorreggono la struttura preesistente che supporta questa realtà. Senza di esse questa realtà non potrebbe esistere.] Dopo Kant, l’empirismo ammise quasi sempre che il puro dato sensibile è un’astrazione filosofica, e che le sensazioni sono già sempre organizzate secondo regole che possono essere considerate inerenti al funzionamento del nostro corpo, oppure determinate in generale dai caratteri del nostro rapporto col mondo, o anche indotte dagli strumenti, naturali o

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artificiali, che vengono messi in opera nel processo conoscitivo, e dalle ipotesi e teorie secondo cui tali strumenti vengono costruiti e usati. Nella filosofia contemporanea il sensismo perde terreno e posizioni come quelle di Mach o del primo neopositivismo devono piuttosto considerarsi sopravvivenze di concezioni filosofiche più antiche.>> Anche la Psicologia ha le sue posizioni: <<Concezione secondo la quale il comportamento si struttura sulla base dell’esperienza passata dell’individuo, non esistendo fattori innati alla sua origine, come sostiene invece la concezione opposta dell’innatismo. La psicologia è stata inizialmente profondamente influenzata dalle concezioni empiriste, e in particolare dai filosofi inglesi A. BAIN e J. STUART MILL. La prima scuola psicologica dichiaratamente innatista è stata quella della GESTALT, che ha sostenuto l’esistenza di leggi strutturali innate nella percezione e nel pensiero. [L’autore di questi appunti è stato formato nella teoria della Gestalt, quindi ne ha sposato, consapevolmente, anche le idee scientifiche.] Negli stessi anni però sorgeva negli Stati Uniti il behaviorismo, il movimento che ha sostenuto con maggior coerenza in psicologia le posizioni empiriste. Successivamente sono nate nuove correnti di pensiero che si richiamano alle posizioni innatiste, in particolare la psicologia cognitiva. Occorre peraltro osservare che oggi nessuno nega radicalmente l’esistenza di fattori innati, o viceversa acquisiti, nella genesi del comportamento. La differenza tra empiristi e innatisti va vista piuttosto sulla base dell’accento che viene messo sui primi fattori più che sui secondi>>. In /www.riflessioni.it/enciclopedia/empirismo.htm

22. Sono consapevole che l’esegesi del brano fatta in modo tradizionale non coincide con questa da me proposta, ma vedremo, con l’evolversi del ragionamento, che questa esegesi può benissimo essere accettabile.

23. LIPTON, B.H., La biologia delle credenze, Come il pensiero influenza il DNA. Macro Edizioni, Diegaro di Cesena, 2008, p. 21.

24. Ibidem., p. 22.

25. Ibidem p. 24-25.

26. La teoria dell’accumulo, invocata dal Dawkins è contenuta all’interno della selezione naturale di Darwin che lo spiega con questo esempio: <<L’unito diagramma ci gioverà per intendere questo argomento molto difficile. Supponiamo che le lettere da A ad L rappresentino le specie di un genere assai ricco in un dato paese; e che queste specie si rassomiglino in diverso grado, come generalmente si osserva nella natura e come viene rappresentano dal diagramma, essendo le lettere situate a distanze differenti. Io ho scelto come esempio un genere molto ricco, perché noi vedemmo nel secondo capo che in media variano più le specie dei generi grandi che non quelle dei generi piccoli; e le specie variabili dei generi ricchi presentano un maggior numero di varietà. Noi abbiamo anche notato che le specie più comuni e più largamente diffuse variano assai più delle specie rare in luoghi ristretti. Sia dunque A una specie

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comune, molto diffusa e variabile, appartenente ad un genere ricco e situata nel paese nativo. Il piccolo ventaglio di linee punteggiate - e divergenti, di diversa lunghezza, che partono dal punto A, può rappresentare la sua discendenza variabile. Queste variazioni si ritengono estremamente piccole, ma di una natura molto diversa; né si ammette che esse possano manifestarsi tutte simultaneamente, ma a lunghi intervalli di tempo; inoltre non può supporsi che durino tutte per uguali periodi. Quelle variazioni sole che sono in qualche modo profittevoli, saranno conservate, o scelte naturalmente. Qui fa d’uopo notare l’importanza del principio che un vantaggio nasce dalla divergenza del carattere, poiché questo principio generalmente condurrà alle variazioni più diverse o più divergenti (rappresentate dalle linee punteggiate esterne), che saranno poi conservate ed accumulate per mezzo dell’elezione naturale. Quando una linea punteggiata incontra una delle linee orizzontali, e il punto d’incontro è segnato con una piccola lettera numerizzata, si suppone che una somma sufficiente di variazioni sia stata accumulata per formare una varietà ben distinta e tale da essere particolarmente classificata in un’opera sistematica.>> In DARWIN, C., Sulla origine delle specie per elezione naturale ovvero conservazione delle razze perfezionate nella lotta per l’esistenza, pp. 64-65. In sostanza, dice Darwin, all’interno della selezione naturale, quelle piccole variazioni vantaggiose, si accumulano un po’ alla volta fino ad evolvere quella variazione in una nuova specie. A me sembra essere una normale legge all’interno dell’evoluzione, altrimenti si dovrebbe parlare di staticità. Ci sono tante altre citazioni, e la parola accumulato/i/a/e, è detto 38 volte all’interno dell’opera di Darwin.

27. L’epigenetica è una branca della Biologia Molecolare, che ha a che

fare con la Genetica ma si differenzia da essa per il fatto che l’epigenetica si focalizza sulle modifiche che il materiale genetico può subire durante la vita. Alcune malattie, come i tumori, hanno una base detta appunto “epigenetica”. Un tumore si origina infatti quando si ha un’alterazione del materiale genico che porta ad un aumento del turn-over cellulare, ad una alterazione delle funzioni cellulari, ad un’invasività delle cellule colpite. Un’alterazione delle strutture che riducono, o aumentano, l’accessibilità alla trascrizione e traduzione dei geni, si configura come un evento epigenetico che va ad alterare l’equilibrio cellulare. Lo stesso fatto che una cellula embrionale, totipotente, si indirizzi verso una funzione specifica, e come ciò possa avvenire, è oggetto di studio dell’epigenetica. http://www.windoweb.it/guida/medicina/epigenetica.htm.

28. Ibidem, p. 27-29. 29. Intendo dire che l’uomo senza pregiudizi, crede senza reticenze al

principio di causa ed effetto. In ogni caso anche l’evoluzione, comunque la si ponga, è un processo di causa-effetto.

30. Questo concetto dovrebbe essere pane quotidiano per uno

scienziato:<<Le risposte della scienza ai grandi “perché” non possono, per loro natura, retrocedere all’infinito. C’è sempre un perché dietro a ogni perché. Dateci un’ottima spiegazione razionale e scientifica di un fenomeno e alcuni di noi saranno lieti di fermarsi a questa. Io fra loro.>> In AGNOLI FRANCESCO, Perché non possiamo essere atei. Il fallimento dell’ideologia che ha rifiutato Dio, p. 77. La frase è dello scienziato ateo italiano Massimo Piattelli Palmarini

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critico nei confronti di Dawkins e di Dennett. Detto da uno scienziato onesto mette ottimismo e dà fiducia alle capacità intellettive della natura umana.

31. La domanda più ovvia, secondo me, sarebbe, invece, quella del

perché l’uomo deve andare in cerca delle sue origini e di quella dell’universo. Non sarebbe stato più semplice che il creatore ce le avesse rivelate direttamente? Ma forse la risposta sta sempre nelle parole della Bibbia che sottomette all’uomo tutto il creato, anche quello di cercare finché non troverà la verità, comando che, se fosse vera questa ipostesi, fa parte della condanna conseguente al peccato.

32. Ciò che io intendo per creazionismo (anche biblico) non è quello dell’intervento diretto-definitivo per ogni atto creativo di Dio, ma è l’atto con cui si dà inizio ad un evento, esempio la vita, e questa si evolverà nel corso del tempo seguendo le leggi insite nella natura stessa messe dal Creatore, al momento della creazione. Come dimostrerò in seguito, la parola creatrice di Dio è l’unica che coincide con la realtà. Per intenderci: come la legge di gravità regola l’equilibrio dell’intero universo, così la vita, una volta avviata, segue l’itinerario dell’evoluzione con le regole della selezione naturale per quanto riguarda il mondo animale, e vegetale. Per l’uomo, se fosse (è solo un dubbio metodico) dotato di anima propria unica e irripetibile, è sottinteso l’intervento personale diretto in un continuum storico. Darwin scrive a proposito: <<Alcuni autori fra i più eminenti sembrano pienamente soddisfatti dell’opinione che ogni specie sia stata creata indipendentemente. Nel mio concetto, si accorda meglio con ciò che noi sappiamo, intorno alle leggi impresse dal Creatore alla materia, l’idea, che la produzione e l’estinzione degli abitanti passati e presenti del mondo siano dovute a cagioni secondarie, simili a quelle che determinano la nascita e la morte degl’individui (…) Vi ha certamente del grandioso in queste considerazioni sulla vita e sulle varie facoltà di essa, che furono in origine impresse dal Creatore in poche forme od anche in una sola; e nel pensare che, mentre il nostro pianeta si aggirò nella sua orbita, obbedendo alla legge immutabile della gravità, si svilupparono da un principio tanto semplice, e si sviluppano ancora infinite forme, vieppiù belle e meravigliose.>> pp.277-278. E ancora:<< La semplicità e l’utilità di questo sistema [il sistema è quello della classificazione usato dai naturalisti] sono incontestabili. Ma molti naturalisti pensano che l’espressione “Sistema naturale” denoti qualche cosa di più; essi credono che riveli il piano del Creatore; però finché non sia meglio specificato se le parole “il piano del Creatore” significano l’ordine nel tempo o nello spazio, o in ambedue, ovvero denotino qualche altra cosa, mi sembra che con esse nulla si aggiunga alla nostra scienza.>> In DARWIN, C., Sulla origine delle specie per elezione naturale ovvero conservazione delle razze perfezionate nella lotta per l’esistenza, p. 238. L’espressione <<piano del Creatore>>, usato da molti naturalisti, Darwin non l’accetta senza riserve e si chiede cosa si vuole dire con quella espressione, se riguarda la categoria tempo, o spazio, o entrambe, da usare per la catalogazione, gli va bene; non aggiungerebbe nulla alla sua ipotesi. Ma se invece si intende “progetto intelligente”, aggiungo io, allora le cose cambiano per lui, dovrebbe introdurre un aspetto che rientra non più nell’ordine della classificazione materiale, ma va oltre e non compete al suo metodo. Mi pare di non interpretare in modo sbagliato il pensiero di Darwin se dico che anche per lui viene prima la creazione e poi l’evoluzione. Darwin è consapevole che non può catalogare un aspetto spirituale o metafisico, quindi

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propende per la sua esclusione metodologica, non di principio. Ma c’è un piano del Creatore, a prescindere…Cito la Bibbia: <<4bQuando il Signore Dio fece la terra e il cielo, 5nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata - perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo6 e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo – 7allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.>> (Gen. 2, 4-7). Queste parole seguono la creazione dell’uomo del capitolo I, 26-28, quella con le parole “Facciamo l’uomo…”. Pare che qui si voglia aggiungere che il processo evolutivo era appena iniziato (non dimentichiamo la relatività delle categorie tempo-spazio applicate a Dio), e l’uomo seguirà questo processo con il lavoro delle sue mani. E’ importante evidenziare che il processo evolutivo è presente nei primi capitoli del Genesi, come testimoniano, appunto, queste parole, secondo la mia interpretazione. Esse potrebbero avvalorare la tesi che sosterrò più avanti sull’apparizione dell’uomo sulla terra. Tralascio i problemi (interpretativi, esegetici, storici e quant’altri) connessi in questi due racconti della creazione dell’uomo, però è importante estrapolare dalla Bibbia il concetto della progressione o evoluzione all’interno del creato. Anche l’enciclica Humani Generis non esclude a priori l’evoluzionismo, come detto nella nota 11.

33. <<Fu allora che Giosuè si rivolse al Signore, in quel giorno in cui Dio

diede l’Amorreo in potere d’Israele, e gridò al cospetto di tutto il popolo:<<O sole, fermati su Gabaon, e tu, o luna, sulla valle di Aialon!>> Gs. 10, 12.

34. In questo libro è Dio l’essere autore del “progetto intelligente”,

metodologicamente, non necessariamente il Dio biblico, cristiano o riferentisi a qualsiasi religione, anche se in realtà esso, in ultima analisi, coincide con quello biblico. Ma quando si fa riferimento alla Bibbia, come in questo caso, sì. A scanso di equivoci: se Dio esiste, non può che essere che uno, quindi la distinzione riguarda solo le religioni che hanno nomi tradizioni, leggi e quant’altro, diversi sempre in nome di un Dio o più divinità.

35. Per la Chiesa Cattolica la Bibbia è il libro che contiene la rivelazione.

Nel Medio Evo era anche il libro che conteneva la verità scientifica. 36. DESCARTES, RENÉ, Discorso sul metodo. Ed. La Nuova Italia,

Firenze 1932. 37. Voglio dire qualcosa anche sul modernismo perché si capisca meglio

il mio pensiero. E’ il movimento di pensiero mirante al rinnovamento interno del cattolicesimo. Fu promosso da alcuni intellettuali, specialmente sacerdoti, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, i quali si prefissero lo scopo di collegare il cristianesimo storico a tutte le conquiste dell’epoca moderna nel dominio della cultura e del progresso sociale (Programma dei modernisti 1908). Essi manifestarono il proposito di attuare la loro riforma restando dentro la Chiesa, ma questa espresse una dura condanna del movimento prima con il decreto Lamentabili sane exitu (1907), quindi, due mesi dopo, con l’enciclica Pascendi Dominici Gregis. Fra il 1903 e il 1907 numerose opere di modernisti furono poste all’indice e nel 1910, con il motuproprio Sacrorum antistitum fu prescritto anche il giuramento antimodernista. Poliedrico e difficilmente riducibile a un sistema unitario organico, il modernismo cercò di superare gli

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schemi dell’aristotelismo scolastico e di applicare il metodo storico alla conoscenza del fenomeno religioso. Presente in molti paesi europei, ebbe vasta diffusione anche in Italia dove, soprattutto per opera di R. Murri prevalsero finalità politico-sociali. Credo di non sbagliare se affermo che il Modernismo voleva far accettare i principi dell’Illuminismo, ritenuti veri o per lo meno più veri, al magistero ecclesiastico ritenuto retrogrado e non a passo con i tempi. In fondo cercava un compromesso di fronte ad alcune affermazioni scientifiche in aperto contrasto con la Bibbia. Mi sembra di non andare oltre le righe se dico che per i modernisti i principi della scienza sono molto più suggestivi di quelli della Bibbia. Vogliamo parlare della reazione della Chiesa? La conosciamo e possiamo anche non condividerla. Se qualcuno ne ha fatto le spese, è stato all’epoca, perché oggi all’interno della Chiesa c’è molto più dialogo e circolazione di opinioni, senza che qualcuno si scomunichi a vicenda. Anche la chiesa segue una sua evoluzione. L’evoluzione del pensiero è sempre in atto, come prevede Gen. 1,28.

38. Il Concilio Vaticano Primo fu convocato da Papa Pio IX con la bolla Aeterni Patris del 29 giugno 1868. La prima sessione fu tenuta nella Basilica di San Pietro il giorno 8 dicembre 1869. Vi parteciparono quasi 800 Padri conciliari. La preparazione del concilio (il primo ad essere preparato in modo molto approfondito ancora prima della sua apertura) venne affidata ad una commissione di cardinali assistita da cinque commissioni speciali, le quali dovevano trattare i problemi riguardanti l’adeguamento della dottrina ecclesiastica, il ruolo del Papa, valutare gli errori del razionalismo, i rapporti tra la Chiesa e lo Stato. Il primario scopo del Papa fu di ottenere la conferma della posizione che egli aveva assunto nel suo Sillabo (1864), condannando una vasta gamma di posizioni associate al razionalismo, al liberalismo e al materialismo e al fideismo. Il fine del Concilio fu, accanto alla condanna, di definire la dottrina riguardante la chiesa. Nelle tre sessioni ci fu discussione e approvazione solo di due costituzioni: Dei Filius, la Costituzione Dogmatica sulla Fede Cattolica (che definiva, tra le altre cose, il senso in cui la Bibbia è ispirata da Dio secondo la dottrina cattolica) e Pastor Aeternus, la Prima Costituzione Dogmatica sulla Chiesa di Cristo, che tratta il primato e l’infallibilità del vescovo di Roma quando definisce solennemente un dogma. E’ evidente che da parte dell’autorità ecclesiastica contavano di più i contenuti della fede che quelli della ragione. A torto o a ragione. Forse più a ragione, con la solita prudenza ecclesiastica.

39. La differenza tra i due termini è che morale fa riferimento a una legge

divina, etica a un comportamento umanamente accettabile senza riferimenti a imperativi provenienti dall’alto, ma insiti nella natura stessa dell’uomo.

40. I.Kant: <<Io devo>> che sostituisce il <<tu devi.>> La legge morale

dentro di me , il cielo stellato sopra di me. E’ sicuro che con queste parole Kant voglia escludere Dio? Kant scrive: <<La fede in un Dio e in altro mondo è talmente intessuta col mio sentimento morale, che io non ho da preoccuparmi che la prima possa mai essermi strappata, nella stessa misura in cui non corro pericolo di perdere il secondo>> (Critic. R. Pura, 537, 2-6). Kant si occupa anche del destino dell’uomo dopo la morte in un piccolo trattato spedito nel 1794 all’amico editore Erich Biester dal titolo La fine di tutte le cose, Bollati-Boringhieri, 2006, nel quale Kant ipotizza che <<si passerebbe dal tempo all’eternità>> questa frase sembra suggerire, ipotizza il filosofo di Königsberg,

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un’immagine secondo la quale da un certo momento (l’ultimo momento propriamente inteso) in poi si entrerebbe in una diversa dimensione temporale, una dimensione inconoscibile per il nostro intelletto ma non certo quella di un tempo che procede semplicemente all’infinito ([...]questa espressione non vorrebbe dir nulla, di fatto, se qui per eternità si dovesse intendere un tempo che si protrae all’infinito. In tal modo l’uomo non uscirebbe mai dal tempo, ma si limiterebbe sempre solo a passare da un tempo a un altro tempo.[328]). Questo pensiero indefinito di una <<”Grandezza del tutto incommensurabile rispetto a quella del tempo” trova perfettamente il suo posto all’interno della conosciuta concezione kantiana del sublime e così questo abisso dell’eterno viene visto in questo trattato come un pensiero terribile e immenso, dove la nostra mente sprofonda senza poterne uscire e verso il quale è continuamente attirato.>> Quest’ultimo aspetto del tempo verrà approfondito in questo scritto, quando si parlerà della dimensione tempo.

41. Leggendo Darwin, devo dire che il suo pensiero non esclude né esplicitamente né implicitamente il metafisico:<< Io non trovo alcuna ragione per pensare che le opinioni espresse in questo volume possano ferire i sentimenti religiosi di chicchessia. Del resto per dimostrare quanto siano fugaci queste impressioni, ci piace ricordare che la più grande scoperta che sia mai stata fatta dall’uomo, vale a dire la legge dell’attrazione di gravità, fu anche attaccata dal Leibnitz (sic!) “come sovversiva della religione naturale e, conseguentemente, della religione rivelata”. Un celebre autore ed eminente teologo mi scrisse “che egli aveva gradatamente imparato a riconoscere che possiamo formarci un giusto e nobile concetto della Divinità, pensando che Essa abbia create poche forme originali, capaci di svilupparsi da se stesse in altre forme utili, anziché professando l’opinione che Essa debba ricorrere a nuovi atti di creazione, per riempiere i vuoti cagionati dall’azione delle sue leggi”.>> in DARWIN, C., Sulla origine delle specie per elezione naturale ovvero conservazione delle razze perfezionate nella lotta per l’esistenza. pp. 273-274. Più chiaro di così non si può. L’evoluzione è il seguito dell’atto creativo di Dio! Se si ragiona senza pregiudizi questo non inficia gli attributi di Dio. La volgarizzazione delle idee di Darwin, però, hanno superato di gran lunga il pensiero stesso dell’autore!

42. DANTE A., La Divina Commedia, Purg. Canto III. 43. Darwin aveva studiato presso una scuola anglicana e poi studiò

teologia a Cambridge per diventare pastore. Cominciò a mettere in dubbio la Bibbia (è un passaggio quasi obbligato!) pensando alle bellissime creature che vivevano negli abissi marini che nessuno poteva mai ammirare, osservando come una vespa paralizzava i bruchi per darli in cibo alle proprie larve. Cominciò a pensare che il Vecchio Testamento fosse inaffidabile, e perse definitivamente la fede nel cristianesimo dopo la morte della figlia Annie, nel 1851. E ancora:<<Darwin non negava l’esistenza di Dio; riteneva semplicemente che il caso, [anche lui deve far parte dei non benpensanti.] e non l’intervento divino, fosse il responsabile del carattere della vita sulla Terra.>> In LIPTON, B. H. La biologia delle credenze, Come il pensiero influenza il DNA, p. 21. Ancora oggi si discute se Darwin sia stato ateo, agnostico o credente. In ogni caso vedi nota al cap. II, quando il Dawkins cita Darwin, che a sua volta cita la parola Creatore nella sua opera fondamentale. Rileggere le precedenti citazioni. Non è possibile pensare che egli escluda, a priori, un Creatore!

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44. Il principio del caso, dell’accumulo ecc. partono da concetti sorretti dal retro pensiero “non può che essere così”, che mi sembrano non risultati della scienza sperimentale, ma considerazioni e riflessioni filosofiche che, a chi le fa, possono sembrare conclusioni scientifiche. Pierre Teilhard de Chardin tenta di superare la concezione materialistica del darwinismo opponendovi una cosmologia, che pur assumendo il principio dell’evoluzione, ne rifiuta l’interpretazione puramente determinista. <<Credo che l’Universo – scrive ne In che modo io credo – è una Evoluzione. Credo che l’Evoluzione va verso lo Spirito. Credo che lo Spirito si compie in qualcosa di Personale. Credo che il Personale supremo è il Cristo-Universale.>> In www.igor patruno.it Come ho detto in un’altra nota, forse non ha avuto il coraggio di affrontare il percorso verso la veridicità o meno di ciò che il Genesi asserisce. Questa idea dell’evoluzione e la Bibbia, in realtà, è già stata proposta da Jérôme Lejeune, in una prospettiva diversa, che afferma:<<La Bibbia è il primo libro evolutivo poiché evidenzia le tappe della creazione>> In AGNOLI FRANCESCO, Perché non possiamo essere atei. Il fallimento dell’ideologia che ha rifiutato Dio, p. 85.

45. LIPTON, B.H., La biologia delle credenze. Come il pensiero influenza il DNA, p. 22.

46. D’altra parte un universo abbandonato al suo capriccio senza regole

precise che ne determinano il funzionamento credo che sia teoricamente inammissibile. Si può progredire nella scienza solo se ci si può fidare di regole certe.

47. Ad esempio alcuni asteroidi che sembra non obbediscano alla legge

delle orbite ordinate. 48. <<La logica creazionista è sempre la stessa. Un dato fenomeno

naturale è statisticamente troppo improbabile, complesso e mirabile per essersi originato per caso. Il “progetto intelligente” è l’unica alternativa al caso che il creazionista sa immaginare. Dunque dev’esserci stato un autore. Anche la risposta della scienza a questa logica fallace è sempre la stessa. Il progetto non è l’unica alternativa al caso. La selezione naturale è un’alternativa migliore. Anzi, il progetto non è una vera alternativa, perché solleva un problema ancora più grande di quello che risolve: chi ha progettato il progettista?>> DAWKINS R., L’illusione Dio. Le ragioni per non credere, Mondadori, Milano 2008, pp. 122-123. Il Dawkins pone la terza alternativa: no al progetto intelligente, no al caso, il problema si risolve con la selezione naturale e l’antropia, come dirà più avanti.

49. In termini semplici si ipotizza che la vita abbia avuto origine dalla reazione di aminoacidi che hanno dato origine alla primordiale vita monocellulare. <<L’ipotesi sull’origine della vita, insegnata oggi, è quella formulata dal biochimico sovietico A. Oparin nel 1922, e riguarda la sintesi spontanea degli amminoacidi, che sono i “mattoni” di cui è costruito il materiale fondamentale di tutte le forme viventi: le proteine. Secondo Oparin sulla terra primitiva esisteva un oceano diverso da quello attuale, chiamato “brodo prebiotico”, ricco di sostanze quali ammoniaca, indispensabili per poter immaginare la sintesi degli amminoacidi. Nel 1951 il premio Nobel H. Urey ipotizzava che anche l’atmosfera della terra primitiva fosse diversa da quella attuale e non contenesse ossigeno (condizione indispensabile per poter immaginare che gli amminoacidi, eventualmente sintetizzati, non si sarebbero

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immediatamente decomposti). La verifica sperimentale delle ipotesi di Oparin e Miller è stata effettuata nel 1953 da Stanley Miller, all’epoca non ancora laureato e studente di Urey. Creando in laboratorio le condizioni del brodo e dell’atmosfera primordiali ipotizzati, Miller è infatti riuscito ad ottenere alcuni amminoacidi mediante scariche elettriche intese a simulare i fulmini sulla Terra primitiva. L’esperimento di Miller ha avuto vasta risonanza sui mass media dell’epoca, e fa dichiarare ancora oggi, 50 anni dopo, da uno dei più diffusi testi scolastici di biologia negli Usa ed in Italia, che “la maggioranza dei biochimici ritiene che le reazioni chimiche che hanno dato origine agli amminoacidi fossero inevitabili”.>>http://www.narkas.org/IT/index.php?option=com_content&task=view&id=18&Itemid=27. Non fa nessuno scandalo. Nemmeno per un credente. Basta anche qui applicare il principio di causa ed effetto. Ammesso che sia avvenuto proprio così, questo brodo, come viene comunemente detto, è l’effetto, cioè il risultato, ma la causa qual è? Non è un principio scientifico ancora dimostrato come, ripeto, lo è la radio di Marconi, ma il ragionamento da cui partire è sempre questo. Aggiungo: nell’esperimento dell’acceleratore di Ginevra sembra abbiano potuto vedere riprodotto questo brodo iniziale. La cosa è veramente interessante, ma non inficia ancora il principio di causa-effetto, in quanto la causa viene indotta con l’inserimento di una particella già esistente. Ritengo che l’evoluzionismo, nel senso che sto cercando di dire, è un principio che può rientrare nel campo della scienza e non solo delle ipotesi. Esso, però, non è la causa ma l’effetto.

50. La solita domanda: chi ha condensato tutta quell’energia che esplodendo avrebbe provocato l’universo? Se non si dà una risposta a questa domanda, il resto è pura fede… nelle ipotesi scientifiche! La risposta che io do è la più semplice possibile: non si è prodotta da sé ma la volontà creatrice di qualcuno che ne aveva le capacità. Lo stesso Darwin non lo esclude.

51. La metariflessione. E’ quella che stiamo facendo scrivendo tutto

questo. 52. E’ venuto il momento di dire cosa è il Determinismo: <<Dottrina

secondo cui ogni processo dell’universo è completamente regolato da leggi universali. Il d. è presente nella filosofia antica, con particolare forza nell’atomismo di Leucippo e Democrito e nello stoicismo. Ma l’idea fu criticata tanto da Aristotele quanto da Platone, i quali, pur non negando che in natura operi una necessità deterministica, sostennero che la piena comprensione del mondo può avvenire solo prendendo in considerazione anche le cause finali (che per Platone sono ideali). Aristotele ammise anche l’esistenza di eventi contingenti. I fondatori della scienza moderna del sec. XVII furono ispirati dalla fede nella possibilità di scoprire una struttura reale intelligibile della natura obiettiva. La visione meccanicistica che divenne il fondamento dell’intera scienza seicentesca presupponeva un ordine senza eccezioni, una realtà strutturata secondo rapporti determinati e stabili che trovano la loro espressione nella matematica. Per G. Keplero, Galilei G. R. Cartesio, G.W. Leibniz il postulato deterministico costituito dal principio di causalità non esprime altro che la convinzione dell’identità di matematica e natura. In I. Newton il d. assume la forma di un postulato, un convincimento circa una natura semplice e sempre conforme a se stessa. Vari autori reagirono contro il d. del meccanicismo tipico della scienza moderna (D. Diderot, la filosofia della natura del romanticismo, E. Du Bois-Reymond, A. Cournot, E. Boutroux, H.

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Bergson, lo storicismo tedesco, ecc.), ma il più duro attacco all’ideale deterministico è venuto proprio dall’interno della scienza stessa, quando nel ‘900 è sorta la fisica atomica che, secondo l’interpretazione dominante dovuta a W. Heisenberg, N. Bohr e M. Born, parla di un mondo di particelle attraverso leggi statistiche, non più deterministiche, e pone a proprio fondamento il principio di indeterminazione. Grandi scienziati come A. Einstein e M. Planck rifiutarono questa teoria per il suo essenziale indeterminismo, ma solo negli anni ’50 è stata presentata una teoria alternativa, la “teoria dei parametri nascosti”, che ha tentato di recuperare una visione deterministica delle particelle elementari, incontrando peraltro grossissime difficoltà.>> In L’Enciclopedia della Filosofia e delle Scienze Umane. Istituto Geografico De Agostini, Novara, 2000, voce Determinismo. Non sono uno scienziato quindi mi limito a citare e a interpretare a modo mio questa teoria. Che mi pare corrispondere a una visione realistica del mondo.

53. Leggendo le varie ipotesi dell’apparizione dell’uomo sulla terra e poi

via via le varie fasi dell’evoluzione ho trovato approcci molto differenti e basate soprattutto su ipotesi spesso indimostrabili (ad esempio l’antropia, ipotesi delle piccole improbabilità, e così via). Io mi limiterei nell’affermare che è evidente solo una cosa: l’apparizione dell’uomo sulla terra risale a circa quattro o due milioni (come potrebbe essere l’ipotesi più attendibile) e poi seguire come metodo l’evoluzionismo, senza complicarsi la vita ad inseguire questa o quella teoria. Quel campo è relegato agli specialisti, che un giorno, forse, forniti di prove certe e inconfutabili, potranno dimostrarle scientificamente. Le teorie sono tutte rispettabili, ma restano teorie fino a quando non faranno parte di prove provate da parte della scienza sperimentale come certezze assolute.

54. Non parlo di intelligenza perché gli animali sono intelligenti.

L’intelligenza non è una discriminante tra l’uomo e l’animale. L’intelligenza è una conseguenza del pensiero ed è quella facoltà che attraverso le associazioni mentali permette di risolvere problemi e aprirne di nuovi, base della propria evoluzione e sviluppo. Negli animali è una facoltà indirizzata solo alla sopravvivenza in quanto non supportata dalla coscienza o consapevolezza di sé. A mio parere, il motivo di questo è che gli animali non hanno la percezione delle dimensioni tempo-spazio. E’ altrettanto chiaro che anche gli animali hanno una forma primordiale e irriflessa di pensiero, che si esprime solo per far funzionare l’istinto e non per articolare parole e, forse, addestrati possono produrre parole, ma non produrre idee oltre quelle istintive. E’ evidente che essi posseggono un linguaggio che permette loro di comunicare, ma è il linguaggio è diverso dalla lingua e dalla parola. Almeno fino ad adesso. Vedi più avanti nota 70.

55. Qualche tempo fa ho letto su una rivista (1 settembre 2010) un

articolo che citava una notizia dal TIME, in cui si dice che gli animali possono parlare, se addestrati bene, e addirittura che qualcuno è riuscito a distinguere, facendolo notare, l’attribuzione sbagliata. Comunque sia, per arrivare a pronunciare delle parole hanno bisogno di un lungo addestramento, che non si trasmette, almeno finora, alla specie intera modificandone la natura. Ognuno si può sbizzarrire come vuole, resta il fatto che finora esiste la distinzione di natura tra quella umana e quella animale. E aggiungo che anche Darwin dice che la razionalità, in qualche forma, appartiene al mondo animale, ma è specifica dell’uomo:<<È stato asserito che l’uomo solo è capace di progressivo miglioramento, che egli solo adopera strumenti o fa fuoco, addomestica gli altri

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animali, possiede proprietà, fa uso di un linguaggio; che nessun altro animale ha la coscienza di se stesso, si conosce, ha la forza di astrazione o possiede idee generali; che l’uomo solo ha il senso del bello, è soggetto a capricci, ha sensi di gratitudine, di mistero, ecc.; crede in Dio, o è fornito di una coscienza. Mi arrischierò a fare alcune osservazioni intorno ai punti più importanti ed interessanti fra questi.>> In DARWIN, C., L’origine dell’uomo e la scelta in rapporto col sesso. Traduzione di Michele Lessona. A. Barion Editore. Sesto San Giovanni, 1926. p. 32. In precedenza aveva affermato:<<Fra tutte le facoltà, della mente umana, si riconoscerà, credo, che la Ragione è la più elevata. Sono pochi quelli che vorranno negare che gli animali non siano forniti di un certo potere di ragionare. Si possono vedere costantemente animali che si fermano, deliberano e risolvono. È un fatto significante che quanto più un naturalista studia i costumi di un dato animale, tanto più fa larga la parte alla ragione e minore al semplice istinto. Nei capitoli seguenti vedremo che alcuni animali affatto al basso della scala danno apparenti prove di un certo grado di ragione. Senza dubbio spesso è difficile distinguere fra la potenza della ragione e quella dell’istinto.>> p. 30. Mi pare evidente ciò che afferma Darwin, ma la differenza, secondo me, sta nel fatto che la ragione, la consapevolezza umana, hanno determinato il progresso e una evoluzione dell’uomo al di sopra del semplice problem solving dell’immediato, (che può appartenere anche al singolo animale); ed ha determinato categorie razionali di ordine universale e cioè le idee. Accettando le osservazioni di Darwin sugli animali non si può non tener conto di questo secondo aspetto presente solo nell’uomo, e della sua ammissione della difficoltà di discriminare il confine tra la ragione e l’istinto. Ancora Darwin:<<Sono stati riferiti tanti fatti in varie opere per dimostrare che gli animali sono forniti di un certo grado di ragione, che non farò qui menzione se non di due o tre esempi, accertati da Rengger, e ove trattasi di scimmie americane che sono le più basse del loro ordine.>> p. 31. “Di un certo grado di ragione”, giusto, fruibile nella lotta per la sopravvivenza. Ma lo stesso Darwin è costretto ad ammettere che:<<Coscienza di sé, individualità, astrazione, idee generali, ecc. – Sarebbe inutile tentare di discutere queste altissime facoltà, le quali, secondo parecchi recenti scrittori, costituiscono la sola e compiuta differenza tra l’uomo e i bruti, perché appena due soli scrittori sono d’accordo nelle loro definizioni.>> p. 39. Le chiama altissime facoltà, e questo mi pare più che sufficiente che gli si riconoscano una fondamentale diversità. Afferma anche che sulle loro definizioni non c’è accordo, e, aggiungo, perché non sono definibili solo con categorie immanenti. Successivamente, cerca di provare che questa diversità si può annullare:<<Ma possiamo noi essere certi che un vecchio cane, dotato di eccellente memoria e di qualche potenza d’immaginazione, come lo dimostra nei suoi sogni, non rifletta mai alle antiche cacce ed ai piaceri che gli hanno procurato? E questa sarebbe una forma di coscienza di se stesso. Inoltre, come osserva Büchner, la moglie di un selvaggio dell’Australia degradata e dedita a opere manuali, che non adopera quasi vocaboli astratti e non sa contare oltre quattro, non può esercitare molto queste facoltà, o riflettere intorno al problema della propria esistenza.>> p. 40. Sono costretto a sottolineare che contiene un dubbio irrisolvibile “possiamo noi essere certi?…” e’ una deduzione la quale anche se corrispondesse a realtà non sarebbe che una forma di coscienza di se stesso. Questa consapevolezza nell’animale non arriverà mai (mai dire mai, è vero, ma…) a dire sono consapevole di esistere. Tralascio il commento alla forma di razzismo contenuto nelle affermazioni sulla donna australiana e nell’opera tutta di Darwin, che comunque, proprio perché donna, è consapevole della sua esistenza… La forma di consapevolezza di cui parla

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Darwin è una forma di consapevolezza che fa parte di tutte le forme di vita. Anche le piante, dal momento che cercano la luce, che diffondono radici nel terreno in cerca di acqua dimostrano una “consapevolezza” naturale per risolvere il problema della sopravvivenza, hanno questa forma primordiale di consapevolezza. Ma non è difficile capire che una consapevolezza dovuta alla sopravvivenza naturale e, non catalogabili in quelle che lo stesso Darwin dice essere altissime facoltà se riferite all’uomo, sono la discriminante tra la natura umana e quella animale e vegetale. Il suo ragionare resta nell’ambito di una evoluzione meccanicistica, presente certamente anche nell’uomo, ma nell’uomo non è solo una forma meccanica e immanente. E’ il solito sforzo che la scienza continua a fare, quello di dimostrare che anche l’uomo è solo materia.

56. Questo sforzo è contenuto nel libro del Levi, I misteri del cervello,

del Dennett, Coscienza, e del Linden, La mente casuale, e anche in quello del Dawkins. E, generalmente, nelle ricerche scientifiche.

57. Questa affermazione, che a me sembra scontata, non lo è. Il Lipton a

p. 37 nel capitolo I: Le cellule: essere umani in miniatura, afferma:<<La nozione di cellule come esseri umani in miniatura, che stavo considerando, sarebbe ritenuta un’eresia dalla maggior parte dei biologi. Spiegare la natura di qualcosa di non umano riferendolo al comportamento umano viene chiamato “antropomorfismo”. I “veri” scienziati considerano l’antropomorfismo una sorta di peccato mortale e mettono al bando i colleghi che lo utilizzano consapevolmente nei loro lavori>>. Una opposta opinione la troviamo in MicroMega: <<Prendiamo, solo per accenno, poi lo approfondiremo, l’elemento più discusso in questi anni, di norma naturale, la questione dell’aborto. Veniva ricordato prima. Per un cristiano l’aborto è un delitto, e il cristiano dice: non lo dico solo per fede, penso di poterlo dimostrare razionalmente. In linea di principio questo è vero, tanto è vero che vi sono anche dei non credenti contro la possibilità dell’aborto – ricordo uno di questi, anche se in forma non molto rigida, fu a suo tempo Norberto Bobbio. E tuttavia vi sono tantissimi altri esseri umani che non sono convinti di poter dimostrare che, argomentando razionalmente, l’aborto è una cosa molto dura, ma non è un omicidio, non ha nulla che fare con l’infanticidio. Questo è tanto vero che perfino per secoli nella Chiesa cattolica si discusse. Esistono dei passi di Sant’Agostino, in cui sant’Agostino che riteneva che invece fin dal primo attimo già vi fosse un’anima nel grembo materno, polemizzava duramente con i vescovi dell’epoca, e dalle parole di sant’Agostino si capisce che questi vescovi dovevano essere in maggioranza, che ritenevano che invece l’anima entrasse solo al terzo mese di gestazione, e che quindi fino al terzo mese di gestazione, e che quindi fino al terzo mese non vi fosse nessun essere umano; e quindi non vi fosse neppure alcun delitto ad abortire. (…) In questo modo noi stabiliamo che è fuori dalla razionalità e dall’umanità chiunque argomenti, io credo spesso con motivi migliori, più convincenti, e contro il punto di vista della Chiesa. Per la quale, diciamo, il delitto incomincia dal primo giorno della gestazione, quando ancora l’embrione, come sapete, torneremo anche su questo, nei primi sedici giorni non è ancora neanche… sono cellule indifferenziate.>> In Il fondaco di MicroMega, Dio esiste? Joseph Ratzinger, Paolo Flores d’Arcais. Un confronto su verità, fede, ateismo. Moderato da Gad Lerner. Suppl. al n. 2/2005 di MicroMega (rivista bimestrale). Gruppo editoriale l’Espresso. p. 32. Per quanto mi riguarda concordo con il Lipton perché mi sembra talmente evidente che la cellula contenga in nuce tutto quello che poi sarà in seguito. Non avviene un

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cambiamento di sostanza dal primo al sedicesimo giorno, è solo una massa della stessa sostanza che si ingrandisce, con leggi interne sue proprie, e via via prende le forme dell’individuo umano in questo caso, (animale o vegetale che sia, con lo stesso principio scientifico e filosofico per animali e piante), fino alla maturazione e alla nascita di quel dato individuo. Il tempo non modifica la sostanza. Lo so che psicologicamente fa meno impressione pensare a un grumo di sangue che a un individuo vero e proprio, ma è solo una questione psicologica che non muta la sostanza dei fatti. E’ chiaro che la citazione di S. Agostino, a questo punto, appare strumentale. Le posizione dei vari Padri della Chiesa non sono posizioni supportate da scoperte scientifiche, ma solo da opportunità sociologiche del momento. Non sono dogmi della Chiesa.

58. La notizia di qualche tempo fa (maggio 2010) circa la creazione della

prima cellula, non eucariotica, ma batterica, non fa altro che confermare quanto vengo dicendo. Nella cellula batterica non ci sono se non le caratteristiche materiali.

59. Vedi il n. 2 del presente capitolo. 60. Mi sono sempre chiesto, e col tempo, mi pare di averlo risolto, quale

fosse il confine tra linguaggio mitologico e le verità rivelate all’interno della Bibbia. Questo della conoscenza è uno degli aspetti che, secondo me, riguarda sia la rivelazione che la scienza. Vedi Appendice 1, La libertà, e la conclusione di questo capitolo.

61. <<Il serpente era il più astuto di tutti gli animali della campagna, che

il Signore Dio aveva formato. Egli domandò alla donna:<<E’ vero che Dio vi ha detto: Non mangiate del frutto di tutti gli alberi del giardino?>> La donna rispose: <<Noi possiamo mangiare del frutto degli alberi del giardino; solo del frutto dell’albero che è nel mezzo del giardino Dio ha detto: Non ne mangiate, né lo toccate, altrimenti morrete!>> il serpente disse alla donna: <<No, voi non morrete; anzi, il Signore sa che qualora ne mangiaste, s’aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscitori del bene e del male>>. Gen. 3, 1-5. Per l’”esegesi” del brano vedere l’appendice n. 1.

62. Vedi il mito della città di Eliopoli citato più sopra. 63. Intendo in questo momento uomo come personalità e non solo come

entità fisica. 64. Il Cogito, ergo sum di Cartesio. Ma che può benissimo essere

rovesciato: Sum, ergo cogito. 65. Riguardo a questo animale, che la Bibbia indica come il male (vedi

cap. 12 dell’Apocalisse di Giovanni), cito letteralmente da Jung: <<Un caso molto interessante mi venne offerto da uno psichiatra. Un giorno egli mi portò un quadernetto scritto a mano che aveva ricevuto in dono per Natale dalla propria figlia di 10 anni. Esso conteneva tutta una serie di sogni che la bambina aveva fatto all’età di otto anni, i sogni più misteriosi che mi fosse capitato di osservare. Mi rendevo ben conto dell’imbarazzo del padre: benché infantili, erano strani e inquietanti e contenevano immagini che egli non riusciva assolutamente a comprendere. I motivi principali erano i seguenti: 1. “L’animale

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infernale”, un mostro a forma di serpente provvisto di numerose corna, uccide e divora tutti gli altri animali. Ma Dio interviene dai quattro angoli (si tratta in realtà di quattro dèi separati) [suppongo che la parentesi sia di Jung o chi per lui, e comunque si occuperà in appresso di spiegare quali siano questi quattro dèi che, secondo Jung, diventano tre nel cristianesimo], e resuscita tutti gli animali morti; 2. una ascesa al cielo, dove si stanno celebrando danze pagane, e una discesa all’inferno, dove si trovano angeli intenti a compiere buone azioni>>. E così via fino a 12 punti. Seguito la citazione:<<Nel testo completo originale, scritto in tedesco, ciascun sogno comincia con le antiche parole della favola: “C’era una volta…”. Esse stanno a significare che per la bambina ogni sogno è una specie di favola che essa vuole raccontare al padre come dono di Natale. Il padre cercò di spiegare i sogni sulla base del loro contesto, ma non vi riuscì perché erano privi di qualunque associazione personale. Naturalmente la possibilità che questi sogni costituissero mere elaborazioni consapevoli può essere esclusa solo da chi abbia conosciuto la bambina sufficientemente a fondo da garantire della veridicità del suo racconto. (Tuttavia, anche se si trattasse di semplici fantasie, questi sogni esigerebbero pur sempre un’adeguata interpretazione). Nel nostro caso, il padre era convinto che i sogni fossero autentici e io non ho alcuna ragione per dubitarne. Ho conosciuto personalmente la bambina, ma in epoca anteriore a quella in cui essa consegnò il quaderno dei sogni a suo padre e perciò non ho avuto la possibilità di farle domande in proposito. Essa viveva all’estero e morì di malattia infettiva circa un anno dopo quel Natale. I sogni hanno un carattere decisamente peculiare: i loro concetti fondamentali sono essenzialmente filosofici. Il primo [quello che ho citato per intero], ad esempio, allude a un mostro infernale che uccide gli altri animali, ma Dio interviene a resuscitarli attraverso una restituzione divina o Apokatastasis. Nel mondo occidentale questa idea è conosciuta dalla tradizione cristiana. Essa è presente negli Atti degli Apostoli, 3, 21:”[Cristo] che il cielo deve accogliere fino ai tempi della restituzione di tutte le cose…” I primi Padri della Chiesa (per esempio Origene) insisterono in modo particolare sull’idea che, alla fine dei tempi, ogni cosa verrà restaurata dal Redentore nel suo stato originario e perfetto. Tuttavia, secondo S. Matteo, 17, 11, esisteva anche un’antica tradizione ebraica secondo la quale Elia “in verità verrà a restaurare tutte le cose”. Nella I Lettera ai Corinzi, 15, 22, si ritrova la stessa idea in questi termini:”Poiché come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo tutti torneranno a vivere”. Qualcuno potrebbe sospettare che la bambina si sia imbattuta in questo pensiero nel corso della sua educazione. Ma essa aveva una ridottissima preparazione di questo genere. I suoi genitori erano formalmente protestanti, ma di fatto conoscevano la Bibbia solo per sentito dire. In particolare è estremamente improbabile che l’immagine recondita dell’Apokatastasis sia stata spiegata alla bambina. E’ certo che suo padre non aveva mai sentito parlare di questa idea mitica. Nove dei dodici sogni sono influenzati dal tema della distruzione e della restaurazione e nessuno di essi mostra traccia di una educazione cristiana o di qualche influenza specificamente cristiane. Al contrario, essi si rivelano strettamente connessi con i miti primitivi. Questa relazione è corroborata dall’altro motivo, quello del “mito cosmogonico” (cioè la creazione del mondo e dell’uomo), che appare nel quarto e nel quinto sogno. La stessa connessione si rinviene nella I Lettera ai Corinzi, 15, 22, da me già citata. Anche in questo passo Adamo e Cristo (cioè la morte e la Resurrezione) sono legati fra loro. L’idea generale del Cristo Redentore appartiene al tema universale e precristiano dell’eroe e del salvatore che, benché divorato da un mostro, torna di nuovo ad apparire in modo miracoloso, dopo

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aver sconfitto il mostro che lo aveva ingoiato. Nessuno sa quando e dove questo motivo abbia avuto origine. Noi non sappiamo neppure in che modo sia possibile affrontare questo tipo di ricerca. L’unico elemento certo è che tutte le generazioni hanno conosciuto questo motivo sotto forma di una tradizione tramandata dalle epoche precedenti. Perciò possiamo legittimamente supporre che “esso abbia avuto origine” in un periodo in cui l’uomo non sapeva ancora di possedere un mito eroico; in un’età cioè, in cui egli non era ancora in grado di riflettere consapevolmente su ciò che diceva. La figura dell’eroe è un archetipo che è esistito da tempo immemorabile. La produzione di archetipi da parte di bambini è particolarmente significativa, poiché in alcuni casi si può essere assolutamente sicuri che il bambino non ha avuto alcun accesso alla tradizione concernente questo motivo.>> In JUNG C.G., L’uomo e i suoi simboli. TEA, Milano, 2009. Questo testo che Jung usa per dimostrare le sue idee sugli archetipi, torna bene anche per dimostrare la mia ipotesi, come si vedrà.

66. Riguardo alla concezione della morale, ecco cosa scrive Darwin: <<Io

mi unisco pienamente al giudizio di quegli scrittori i quali asseriscono che di tutte le differenze che esistono fra l’uomo e gli animali inferiori, la più importante è il senso morale o la coscienza. Questo senso, come dice Mackintosh, “ha una giusta supremazia sopra ogni altro principio di azione umana”; e si riassume in quel breve ma imperioso vocabolo dovere, tanto pieno di alto significato. È il più nobile di tutti gli attributi dell’uomo, quello che lo spinge senza esitare un momento a porre in pericolo la sua vita per salvare quella del suo simile; oppure, dopo debita deliberazione, a sacrificarla a qualche grande causa, spinto solamente da quel profondo sentimento del giusto o del dovere.>> In DARWIN, C., L’origine dell’uomo e la scelta in rapporto col sesso. p. 44. E’ il pensiero di Darwin, che, di seguito, cita Kant:<<Emmanuele Kant esclama: “Dovere! Meraviglioso pensiero, che non operi né per amorevole insinuazione, né per lusinga, né per minaccia, ma solo per mantenere alta nell’anima la tua legge, acquistandoti così ognora il rispetto, se non sempre l’obbedienza; innanzi a te tutti gli appetiti rimangono muti, sebbene segretamente ribelli; d’onde la tua origine?>> p. 44. Che viene poi spiegato con quanto segue:<<Questa grande questione è stata discussa da molti scrittori di provata abilità; e la mia unica scusa nel parlarne è l’impossibilità di lasciarla in disparte, e il fatto che, per quanto mi sappia, nessuno l’ha toccata esclusivamente dal lato della storia naturale. Inoltre questa investigazione ha in sé qualche interesse indipendente; è un tentativo per vedere fin dove lo studio dei sottostanti animali possa spander luce sopra una delle più alte facoltà dell’uomo. A me sembra un fatto probabilissimo questo asserto, che ogni animale fornito d’istinti sociali molto spiccati debba inevitabilmente acquistare un senso morale o coscienza, appena le sue facoltà intellettuali siansi sviluppate tanto o almeno approssimativamente quanto nell’uomo. Perché in primo luogo, gli istinti sociali fanno sì che un animale prova piacere nella compagnia del suo simile, sente un certo grado di simpatia per esso, e fa per lui qualche servizio. Questi servizi possono essere di una natura definita ed evidentemente istintiva; o vi può essere solo un desiderio e una premura, come nella maggior parte degli animali superiori, ad aiutare i propri compagni in certi modi generali. Ma questi sentimenti e questi servigi non si estendono menomamente a tutti gli individui della medesima specie, ma solo a quelli della stessa associazione. In secondo luogo, appena le facoltà mentali si saranno molto sviluppate, le immagini di tutte le azioni e i movimenti passati attraverseranno incessantemente il cervello di ogni individuo: e quel sentimento di scontento che risulta invariabilmente,

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come vedremo in seguito, da ogni istinto insoddisfatto, verrà in campo ogniqualvolta apparirà che l’istinto sociale persistente e sempre presente abbia voluto cedere il posto a qualche altro istinto, attualmente più forte, ma non tenace nella sua natura, e non tale da lasciare dietro a sé nessuna impressione molto vivace. È bene evidente che molti desiderî istintivi, come la fame, sono per loro stessi di breve durata; e, dopo essere stati soddisfatti, non lasciano vive e pronte rimembranze. In terzo luogo, dopo che è stata acquistata la facoltà del linguaggio ed i membri di una stessa società hanno potuto comunicarsi distintamente i loro desiderî, deve essersi naturalmente estesa l’opinione che ogni membro doveva avere per scopo delle sue azioni il pubblico bene. Ma gli istinti sociali saranno ancora per dare l’impulso all’operare pel bene della comunità, quando questo impulso venga rinforzato, diretto, e talora anche deviato dalla pubblica opinione, la forza della quale riposa, come vedremo ora, sulla istintiva simpatia. Infine, l’abitudine nell’individuo avrà in ultimo luogo una parte importantissima nella condotta di ogni membro; perché gli istinti e gli impulsi sociali, come ogni altro istinto, acquisteranno grande forza dall’abitudine, come sarebbe l’obbedienza ai desiderî ed ai giudizi della comunità. Ora dobbiamo discutere intorno a queste varie proposizioni subordinate, e intorno ad alcune anche con una certa estensione. Prima di tutto sarà bene premettere che non voglio asserire che qualunque animale puramente sociale, qualora le sue facoltà morali fossero per divenire attive ed elevate quanto quelle dell’uomo, potrebbe acquistare esattamente lo stesso senso morale che possediamo noi. Nello stesso modo che vari animali hanno un certo sentimento della bellezza, sebbene ammirino in complesso oggetti differenti, così possono avere un sentimento del bene e del male, sebbene li conduca poi a seguire una linea di condotta grandemente diversa. Se, per esempio, per prendere un caso estremo, gli uomini fossero allevati precisamente nelle stesse condizioni di un alveare di api, non c’è guari [nessun] dubbio che le nostre femmine nubili crederebbero essere loro sacro dovere, come le api operaie, quello di uccidere i loro fratelli, e le madri tenterebbero di trucidare le loro figliuole feconde; e nessuno penserebbe ad opporvisi. Nondimeno l’ape, o qualunque altro animale sociale acquisterebbe, a me pare, nel nostro supposto caso, un certo senso del bene e del male, ossia una coscienza. Perché ogni individuo avrebbe un senso intimo di possedere certi istinti più forti o più tenaci, ed altri meno forti o meno tenaci; cosicché vi sarebbe sempre una lotta cui terrebbe dietro l’impulso; e si proverebbe soddisfazione o scontento, quando le impressioni del passato fossero messe in confronto durante il loro continuo passaggio attraverso la mente. In questo caso un interno ammonimento direbbe all’animale che sarebbe stato meglio seguire quell’impulso invece di quell’altro. Una linea di condotta doveva venire seguita; l’una sarebbe stata la buona, l’altra la cattiva: ma avrò da tornare su questo.>> pp. 44-46. Secondo Darwin sarebbe possibile ritrovare negli animali il senso morale di bene e male, così come si trova nell’uomo, se si avverassero certe condizioni. Devo ripetere quanto detto sopra, sottolineando l’enorme differenza con il bene e il male presente nella natura umana. Per Darwin è da attribuire al linguaggio il diffondersi del senso morale. Il linguaggio umano è fondato sulla parola e quindi sulla lingua. Il linguaggio inteso in senso generico, invece, definito da WITTGENSTEIN nelle Ricerche filosofiche come “una struttura unitaria che rappresenta un insieme di relazioni che si caratterizza in un insieme di relazioni collegate nei rapporti e nei significati”, è evidente che è altra cosa rispetto alla lingua e alla parola. Il linguaggio da solo non è sufficiente per spiegare la comunicazione umana, mentre è sufficiente per spiegare la comunicazione nella natura animale, il

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quale sviluppa solo un insieme di relazioni che proprio per questo non può avere la stessa concezione morale sia concreta che astratta di bene e di male presente nell’uomo. Il linguaggio, da solo, senza una lingua e una parola, non può produrre idee e collegamenti fra le idee, che sono il requisito per il favorire delle scelte morali responsabili. Il linguaggio animale resterà solo una forma di comunicazione che non può superare l’elemento istintuale, anche se nelle relazioni che sviluppa c’è un significato; significato che possiamo ricondurre alla comunicazione dei bisogni primari. Secondo Darwin, se nell’animale si sviluppassero le stesse capacità sociali umane, non dovute solo al linguaggio, e aggiungiamo, ma alla lingua e alla parola, e alle altre “altissime facoltà” di cui lui parla, sarebbe simile all’uomo anche nel senso del bene e del male. Ma ciò non è ancora avvenuto.

67. Anche la conoscenza occupa capitoli interi dei trattati di psicologia. In filosofia il mito della caverna ci parla di conoscenza come reminiscenza del mondo dell’iperuranio nel quale si trovava l’anima prima di incarnarsi: le anime erano nel mondo delle idee. Si pensi se questo non fosse un mito ma una realtà, che concatenata alla ipotesi di Jung… quali possono essere le conseguenze? Il “mito della caverna”, che costituisce uno dei punti chiave del pensiero di Platone (428-348 a.C.), descrive degli uomini incatenati in una caverna sotterranea costretti a guardare solo davanti a sé. Sul fondo della caverna si riflettono immagini di statuette, che sporgono al di sopra di un muricciolo alle spalle dei prigionieri e raffigurano tutti i generi di cose. Dietro si muovono, senza essere visti, i portatori delle statuette e più in là brilla un fuoco che rende possibile il proiettarsi delle immagini sul fondo. I prigionieri scambiano le ombre per la sola realtà esistente; ma se uno di essi riuscisse a liberarsi dalle catene, voltandosi si accorgerebbe delle statuette e capirebbe che esse, e non le ombre, sono la realtà. Se egli riuscisse in seguito a risalire all’apertura della caverna scoprirebbe, con ulteriore stupore, che la vera realtà non sono nemmeno le statuette, poiché queste ultime sono a loro volta imitazioni di cose reali, nutrite e rese possibili dall’astro solare. Dapprima, abbagliato da tanta luce, non riuscirà a distinguere bene gli oggetti e cercherà di guardarli riflessi nelle acque. Solo in un secondo tempo li scruterà direttamente, ma, ancora incapace di volgere gli occhi verso il sole, guarderà le costellazioni e il firmamento durante la notte. Dopo un po’ sarà finalmente in grado di fissare il sole di giorno e di ammirare lo spettacolo scintillante delle cose reali. Ovviamente lo schiavo vorrebbe rimanere sempre là, a godere, rapito, di quel mondo di superiore bellezza, tanto che “preferirebbe soffrire tanto piuttosto che tornare alla vita precedente”. Ma se egli per far partecipi i suoi antichi compagni di schiavitù di ciò che ha visto, tornasse nella caverna, i suoi occhi sarebbero offuscati dall’oscurità e non saprebbero più discernere le ombre: perciò sarebbe deriso e spregiato dai compagni, che accusandolo di avere gli occhi “guasti”, continuerebbero ad attribuire i massimi onori a coloro che sanno più acutamente vedere le ombre della caverna. E alla fine infastiditi del suo tentativo di scioglierli e di portarli fuori dalla caverna, lo ucciderebbero. La simbologia filosofica di questo mito è ricchissima: La caverna oscura simboleggia il nostro mondo; Gli schiavi incatenati - gli uomini; Le catene – l’ignoranza e le passioni che ci inchiodano a questa vita; Le ombre delle statuette – le cose del mondo sensibile corrispondenti al grado della credenza; Il fuoco – il principio fisico con cui i primi filosofi spiegarono le cose; La liberazione dello schiavo – l’azione della conoscenza e della filosofia; Il mondo fuori della caverna – le idee; Le immagini delle cose riflesse nell’acqua – le idee

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matematiche che preparano alla filosofia; Il sole – l’idea del Bene che tutto rende possibile e conoscibile; La contemplazione delle cose e del sole – la filosofia ai suoi massimi livelli; Lo schiavo che vorrebbe starsene sempre là – la tentazione del filosofo di chiudersi in una torre d’avorio; Lo schiavo che ritorna nella caverna – il dovere del filosofo di far partecipi gli altri delle proprie conoscenze; L’ex schiavo che non riesce più a vedere le ombre – il filosofo che per essersi troppo concentrato sulle idee si è disabituato alle cose; Lo schiavo deriso – la sorte dell’uomo di pensiero di venir scambiato per pazzo da coloro che sono attaccati ai pregiudizi e ai modi di vita volgari; I grandi onori attribuiti a coloro che sanno vedere le ombre – il premio offerto dalla società ai falsi sapienti; L’uccisione del filosofo – la sorte toccata a Socrate. La luce del fuoco quindi rappresenta la condizione di conoscenza della verità parziale in quanto ci permette di vedere le ombre delle Idee (ossia le ombre della realtà vera); la luce del sole invece simboleggia l’idea del Bene che tutto rende possibile e conoscibile, permettendo così all’uomo “liberato” di ammirare lo spettacolo scintillante delle cose reali. In: http://www.lacaverna.it/caverna/mito.htm. E aggiungo: l’uomo che potrebbe essere sceso dall’alto, ha la reminiscenza di queste cose sottoforma di archetipi, tradotti in racconti simbolici, però ancora non sa come tradurle da archetipi e simboli a categorie storiche. E la figura dello schiavo potrebbe riportarci, sempre come archetipo, al biblico Servo di JHWH, arrestato, deriso e ucciso. Senza voler far dire a Platone cose che non ha mai pensato, ma risalendo con la teoria degli archetipi alle nostre origini, anche Platone vede nel filosofo il portatore della verità che non viene riconosciuto da coloro che ancora vivono nelle tenebre della caverna. Volendo, perciò, si potrebbe trovare appigli dalle categorie di Platone, non solo, ma anche da quelle di Jung, per risalire a categorie contenute nella Bibbia sotto forma di racconto simbolico. Che noi oggi potremmo tradurre in categorie storiche.

68. Mi rendo conto che sto dicendo qualcosa che va contro corrente: dico

che nella Bibbia l’uomo afferma la sua libertà di scelta che esercita anche contro la volontà del suo Creatore, mentre si pensa all’uomo biblico solo come ad un uomo sottomesso ai capricci di JHWH. Si pensi alla situazione femminile, alla storia di Abramo in Egitto e così via, che evocano una morale molto approssimativa da una parte, e un Dio esigente dall’altra. Il giudizio universale, Sodoma e Gomorra, la conquista della terra promessa dopo il ritorno dall’Egitto. Temi di cui ci occupiamo, direttamente o indirettamente, durante il prosieguo del testo. Essi rappresentano questa ribellione dell’uomo, che va oltre la semplice cultura. Ma è questa la novità.

69. Cfr. I Sam. 8, 1-9. 70. Questo modo di pensare appartiene solo a un modo di fare

divulgazione scientifica, ma chi vuole fare divulgazione un po’ più seria scrive: <<Affermare ad esempio che l’uomo discende dalla scimmia, come spesso si sente dire, è infatti un errore grossolano e gravissimo che commettono coloro che ignorano i dettagli di questa importante conquista del genere umano. Le scimmie e l’uomo (nonostante condividano gran parte del corredo genetico) appartengono infatti a due rami evolutivi diversi (e separati) con un antenato comune (!?) [anche questo mi sembra ancorarsi ancora in una teoria indimostrabile ma comunque fa una affermazione chiara, almeno inizialmente] che oggi non esiste più in quanto tale. Ed è indubbio che comprendere la teoria in tutte le sue sfaccettature è una impresa ardua per molti, ma che potrebbe

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essere affrontata per esempio fin da giovani in un ambiente scolastico idoneo, come gli ultimi anni del livello superiore di studi.>> In http://www.gravita-zero.org/2009/02/buon-bicentenario-mr-arwin.html. Il pensiero di Darwin circa lo sviluppo delle facoltà mentali è questo: << In qual modo siansi sviluppate dapprima le potenze della mente negli organismi inferiori, è una ricerca senza speranza, al par di quella intorno al modo in cui siasi sviluppata la vita. Questi sono problemi serbati per un lontano avvenire, se pure l’uomo riuscirà mai a scioglierli.>> In DARWIN C. L’origine dell’uomo e la scelta in rapporto col sesso, p. 24.

71. Tralascio volutamente le disquisizioni tra il plurale Elohim e il singolare JHWH, che occupa parte del libro di Odifreddi, non ritengo questa analisi del testo necessaria ai fini di quanto vengo dicendo. Il monoteismo biblico è un dato di fatto.

72. Anche se nella Bibbia leggiamo che JHWH è un Dio geloso. E’ un chiaro antropologismo attribuito dallo scrittore a Dio.

73. Qualcuno si scandalizza dei comportamenti immorali di alcuni personaggi biblici, ma se teniamo presente questo passaggio tutto diventa più accettabile, e forse più ragionevole. E si può accettare il monoteismo come progresso evolutivo. Vedi cap. II su Dawkins.

74. Il primo tentativo di monoteismo è quello del Faraone Akenaton che fondò appunto la città di Eliopoli e tentò di far adorare soltanto il sole durante il suo periodo di regno. Un altro tentativo è l’adorazione del dio Mitra (il sole).

75. Oltre che nella Bibbia questo concetto lo ritroviamo nella “metafisica” di Aristotele e in Platone e in tutta la storia della filosofia, anche se con connotazioni diverse.

76. E’ chiaro che il mio intento non è quello di dimostrare la veridicità

assoluta della storia di Abramo fino a coinvolgerlo come diretto antenato di Cristo. Per quanto riguarda l’intento di questo libro, questi particolari sono assolutamente irrilevanti.

77. JHWH, nome che la Bibbia ci dice essere stato rivelato da Dio stesso

a Mosè, ha un significato molto profondo che da solo ci può spiegare la trascendenza, la causa–effetto e quant’altro: il significato è “IO SONO”, tradotto più semplicemente IO SONO L’ESISTENZA, IO SONO LA VITA, IO SONO LA CAUSA ULTIMA DI TE UOMO E DI TUTTO IL CREATO. L’autore biblico come ha potuto concepire un concetto così lontano, per quei tempi, da una cultura basata sull’immanentismo?

78. Nell’ultima Cena Gesù richiama questa parola ed afferma: <<Questo

è il calice della nuova ed Eterna Alleanza>> (Liturgia) come raccontano sia i Vangeli che S. Paolo.

79. E’ un linguaggio antropomorfo dire abitato, in quanto Dio è una

dimensione non un luogo e un tempo fisico. 80. Abramo era originario di Ur nella Caldea, approssimativamente

nell’attuale Kwait: << Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questo paese.>> (Gen. 15, 7. e anche versetti precedenti: Gen. 11, 28 e 31).

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81. Dico in senso ampio perché sia la storia di Adamo ed Eva, di Caino ed

Abele, del diluvio e della torre di Babele, non appartengono al genere storico con il quale noi oggi definiamo questo genere. Ma è altrettanto ovvio che credo che tutto questo non è frutto di pura fantasia. In questo linguaggio sono contenuti simboli che risalgono sia il tempo che lo spazio; tenendo presente la teoria di Jung degli archetipi, che esistono comunque al di là del tempo e dello spazio, come afferma lo stesso Jung.

82. <<Di Platone possiamo subito affermare che l’intero sistema di questo

filosofo gravita intorno al concetto di “necessarietà”. E come il mio amico [vedi note precedenti], il filosofo greco appare profondamente preoccupato da questa unica idea: di trovare un posto adeguato al concetto “di qualcosa che dovrebbe essere”. Sappiamo come egli cercò di risolvere il problema. “Gli uomini avvertono degli obblighi morali”, egli soleva dire, “riconoscono degli ideali, parlano di verità. Benché non abbiano molta chiarezza a proposito di tali obblighi, ci deve tuttavia essere un’origine anche per le convinzioni imperfette di questo genere. Intorno a noi comunque esiste il mondo empirico denso di eventi piuttosto confusi. Questi da soli non potrebbero aver indotto gli uomini a scoprire dei concetti come quello di verità e di obbligo. Deve esserci quindi un’altra fonte di conoscenza. Se tratterete gli uomini con particolare arte, potete ricavare dalla loro stessa mente una nuova cognizione delle cose quali esse dovrebbero essere. Ciò può accadere anche quando non abbiano mai avuto nella loro vita questa specifica cognizione e anche se, con certezza, non l’apprendono direttamente attraverso l’esperienza esterna. Tutto ciò si spiegherebbe facilmente se questa nuova cognizione non fosse dopo tutto completamente nuova, se fosse un caso di reminiscenza o di memoria di fatti non certo sperimentati in questa vita ma in una vita precedente, in un mondo migliore e inalterabile, dove gli esseri fossero circondati da cose “quali dovrebbero essere”. In un certo senso anche i fatti confusi del mondo circostante sembrano risvegliare in noi il ricordo di questo mondo superiore; altrimenti non potremmo capire l’ansia degli uomini che lottano alla ricerca del meglio, degli uomini i quali sanno che qualcosa “è richiesto”, che dovrebbe essere.>> In KÖLER, WOLFANG, Il posto del valore in un mondo di fatti, p. 31. Chi vuole ragionare può arrivare molto in là, oltre la materia, con la verità, anche se è uno scienziato.

83. Sul DIZIONARIO ITALIANO del Sabatini-Coletti: <<Ciò che non

esiste>>, termine filosofico: <<Il non essere>> alla voce Nulla. Esattamente creare dal nulla significa far diventare essere ciò che un attimo prima era non-essere.

84. Odifreddi si appiglia al doppio nome di ELOHIM e JHWH per dire

che nella Bibbia si parla di politeismo, o perlomeno che c’è un po’ di confusione.

85. In genere la usiamo per dire ”non è successo nulla”, “non c’è nulla” e così via.

86. DAWKINS R., L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, p. 152 87. Gen. 1,3.

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88. Una premessa d’obbligo. La parola non è la stessa cosa di lingua e di linguaggio. Il linguaggio, come già detto, è una struttura unitaria che rappresenta un insieme di relazioni collegate nei rapporti e nei significati, secondo Wittgenstein. La lingua è, invece, il codice base sulla quale si innesta la parola. Vedi anche Appendice 2.

89. <<L’uomo usa la parola parlata o scritta per esprimere il significato

di quello che egli vuole comunicare. Il suo linguaggio è pieno di simboli, ma egli spesso fa uso anche di segni o di immagini che non sono descrittivi in senso stretto. (…) Ciò che noi chiamiamo simbolo è un termine, un nome, o anche una rappresentazione che può essere familiare nella vita di tutti i giorni e che tuttavia possiede connotati specifici oltre al suo significato ovvio e convenzionale. Esso implica qualcosa di vago, di sconosciuto o di inaccessibile per noi. (…) Perciò una parola o un’immagine è simbolica quando implica qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio e immediato. Essa [la parola riferita alla spiegazione di un simbolo] possiede un aspetto più ampio, “inconscio” che non è mai definito con precisione o compiutamente spiegato. Né si può sperare di definirlo o spiegarlo. Quando la mente esplora il simbolo, essa viene portata a contatto con idee che stanno al di là delle capacità razionali.>> In JUNG, C.G., L’uomo e i suoi simboli. Ed. TEA Milano,2009 pp. 5-6. Ho citato per evidenziare il fatto che Jung affronta l’argomento “che cosa è la parola in sé” e afferma che non ci potrà mai essere una spiegazione perché possiede un aspetto “inconscio”.

90. <<La logica è lo studio del logos - cioè del pensiero e del linguaggio -

e poiché le più profonde realizzazioni del pensiero e le più sofisticate espressioni del linguaggio si trovano nella filosofia e nella matematica, la logica permea le storie di queste due discipline.>> Da una recensione a “Il diavolo in cattedra” di Odifreddi. Anche lui, però, non sa dire cosa sono in sé il pensiero, la parola e la coscienza.

91. Questa idea è già contenuta nel “De Corpore” di Hobbes. 92. Mi sembra ovvio pensare che in Dio la parola non equivale né a una

lingua né a un linguaggio, ma è la coincidenza perfetta con il creato. E’ chiaro che queste affermazioni non le ritengo scientifiche, in quanto non credo si possa dimostrare Dio scientificamente, ma solo consequenziali a un ragionamento che suppone vere le premesse… contenute nella Bibbia.

93. Come ho già detto, non sono incompatibili il concetto di creazione

biblica e l’ipotesi Bing Bang. La Parola di Dio poteva, o ha potuto, creare prima l’energia e poi farla esplodere. L’una non annulla l’altra, semmai si completano.

94. Gli uomini si sono chiesti l’origine della parola… Ci sono opere

classiche come quella di De Saussure, e altre, che se ne occupano. Chi vuole può approfondire questa materia molto importante per conoscere l’uomo. Cfr. SAUSSURE, FERDINAND DE, Corso di linguistica generale. Introduzione, traduzione e commento di Tullio De Mauro. Ed. Laterza, Bari 1972. E inoltre Chomsky, Sapir, Wittgenstein, La Scuola di Francoforte, De Mauro…

95. Quello che sto affermando può benissimo essere confutato, spiegato

e approfondito dagli etologi. Il discorso è aperto a qualsiasi tipo di

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approfondimento ed essere anche smentito. Servirebbe a non farmi affermare cose inesatte e a dare un contributo fattivo a questa ricerca.

96. Proprio qualche tempo fa ho sentito che, secondo gli etologi,

bisognerebbe conoscere circa 100 parole per comprendere il linguaggio dei gatti, che è l’animale che usa più suoni degli altri (Rai Uno-L’eredità-dic. 2009).

97. Dopo aver citato Jung che parla della parola come simbolo ma non ne dà una definizione, rimando, per la mia definizione di parola e la mia teoria, all’Appendice 2.

98. <<Termine greco d’uso assai vasto e dai significati molteplici, essenzialmente significa parola, ma, più originariamente, pensiero, atto e principio ordinatore della realtà, legge che struttura l’universo.>> Vedi Enciclopedia del cristianesimo, De Agostini, Novara 1977, voce Logos.

99. Il Vangelo di Giovanni inizia appunto con queste parole:<<In principio era il Verbo>> (“Logos”, parafrasando l’inizio della Genesi:<<In principio Dio creò>> (con la Parola; anzi Dio, secondo S. Giovanni è la “Parola”).

100. Non dimentichiamo che nella storia si è verificato sia un patriarcato

che un matriarcato. Comunque il pensiero di Darwin è il seguente:<<Così gl’istinti sociali, che debbono essere stati acquistati dall’uomo quando era in uno stato molto rozzo, o forse anche da’ suoi primi progenitori simili alle scimmie, lo spingono a compiere le sue migliori azioni; ma le sue azioni sono grandemente determinate dai desideri e dai giudizi espressi da’ suoi simili, e disgraziatamente anche più spesso dai suoi forti ed egoistici desiderî. Ma siccome l’abitudine rinvigorisce i sensi d’amore e di simpatia e il potere di padroneggiarsi, e siccome la forza della ragione diviene più chiara per modo che l’uomo può apprezzare quanto giusti siano i giudizi de’ suoi confratelli, egli sarà indotto a seguire una data linea di condotta indipendentemente da ogni piacere o dolore che potrebbe provare in quel momento. Egli allora può dire: sono il giudice supremo della mia condotta, e colle parole di Kant io non voglio violare nella mia persona la dignità del genere umano.>> In DARWIN, C. L’origine dell’uomo e la scelta in rapporto col sesso, p.54. La socievolezza umana dipende anch’essa dalla evoluzione, però a differenza del regno animale ha una sua dignità. E continua:<<Gl’istinti sociali più durevoli vincono i meno persistenti. – Abbiamo tuttavia da considerare ancora il punto principale che è il pernio sul quale riposa tutta la questione del senso morale. Perché un uomo si sente spinto ad obbedire ad un desiderio istintivo piuttosto che ad un altro? Perché sente egli un amaro rincrescimento per aver ceduto al forte senso della propria conservazione, invece di arrischiare la vita per salvare quella di un suo simile, o perché gli rincresce di aver rubato qualche alimento spinto da una fame crudele? In primo luogo è evidente che gl’impulsi istintivi hanno nel genere umano differenti gradi di forza; una giovane e timida madre, spinta dall’istinto materno, si getterà senza la menoma esitazione, incontro al maggior pericolo per amore del suo nato, ma non per salvare un suo simile. [Non credo sia una legge generale applicabile a tutte le madri]. Molte volte un uomo, od anche un ragazzo, che non si erano mai esposti a perdere la vita per altri, ma nei quali erano bene sviluppati il coraggio e la simpatia, si sono slanciati, contro l’istinto della propria conservazione, di colpo in un torrente, per salvare un loro simile prossimo a perire annegato. In questo caso l’uomo è spinto dallo stesso istintivo movente che fece sì che quella eroica scimmietta americana, di cui abbiamo parlato

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sopra, aggredisse il temuto babbuino per salvare il suo custode. Azioni come quelle da noi menzionate sembrano essere il semplice effetto della maggior potenza degli istinti sociali e materno sopra qualunque altro istinto o movente; perché vengono compiute troppo istantaneamente per essere opera della riflessione, o della sensazione di piacere o di pena; sebbene, qualora non fossero state compiute, sarebbero causa di dolore.>>. p. 54. In un gesto eroico la componente istintuale è determinante, anche nell’uomo. Comunque l’essere socievole con regole e leggi ben precise è una prerogativa umana.

101. Basta pensare al mito di Deucalione e Pirra. Nel secondo racconto

della creazione dell’uomo (Gen. 2, 4-7), già citato, io intravedo l’apparizione dell’uomo sulla terra, come cellula, e l’inizio della vita affidata all’evoluzione.

102. Odifreddi prende questi due racconti come due cosmogonie, e le

liquida con molta fretta, in coerenza con le sue idee… 103. Nella prima parte della Critica della ragion pura, Kant studia i

princìpi a priori della sensibilità cioè lo spazio e il tempo. In quel periodo Newton aveva supposto l’esistenza di uno spazio e di un tempo assoluti, mentre Leibniz aveva negato che spazio e tempo avessero una realtà in se stessi e aveva proposto di considerarli come semplici relazioni tra corpi. Kant affronta questo problema tentando di conciliare le due ipotesi e giunge alla soluzione che spazio e tempo non sono né una realtà oggettiva in se stessa, né semplici relazioni tra oggetti, ma piuttosto forme a priori della sensibilità umana. Esse condizionano ogni nostra esperienza sensibile in quanto le cose ci sono presentate sempre situate all’interno di uno spazio e di un tempo. Da un lato questi, dunque, operano solo in presenza dei dati dell’esperienza, ma dall’altro sono ricavati per astrazione dalla sensazione. Non credo si possa aggiungere altro a quanto ipotizzato da Kant. Integra con nota 40.

104. A questo punto, il mio assunto è: la Bibbia e la scienza non possono

fare a pugni, se una contiene delle affermazioni che in se stesse non contrastano con la scienza circa la natura delle cose e dell’uomo stesso, non è possibile che venga smentita poi dai fatti, occorre trovare una via d’uscita. O altrimenti una delle due racconta il falso. Non è, comunque, possibile liquidare la Bibbia come un libro pieno di favole o menzogne, e neppure la scienza come fosse detentrice solo di ipotesi fantasiose.

105. Il peccato originale qui viene inteso come la condizione di debolezza

fisica, psicologica e morale dell’uomo successiva a un momento precedente in cui l’uomo era integro e perfetto nella sua natura. Vedi Genesi, cap. 3.

106. Se così non fosse, il racconto biblico fa a pugni con le conoscenze

scientifiche sull’uomo delle origini e le origini dell’uomo. O se ci riferiamo alla nota 5, possiamo chiederci: la scienza da dove trae le prove per affermare che l’apparizione dell’uomo sulla terra è contenuta nella teoria dell’evoluzione, visto che neanche Darwin lo afferma?

107. <<Poiché la coscienza fornisce essenzialmente percezioni di

eccitamenti che provengono dal mondo esterno, e di sensazioni di piacere e dispiacere che possono derivare dall’interno dell’apparato psichico, si può

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assegnare al sistema P-C [P=Piacere e C=Coscienza] una precisa collocazione spaziale. Esso dovrà trovarsi al confine tra l’esterno e l’interno, essere rivolto al mondo esterno e includere gli altri sistemi psichici.>> E ancora:<<Se pensiamo alle scarse conoscenze che si ricavano da altre fonti sull’origine della coscienza, ammetteremo che la tesi secondo cui la coscienza sorge al posto di una traccia mnestica merita di essere presa in considerazione, se non altro perché è formulata in termini piuttosto precisi.>> In FREUD S., Al di là del principio del piacere. Paolo Boringhieri, Torino, 1975. Trad. di A.M. Marietti e R. Colorni. pp. 41-56. <<Si può altresì pensare che le prime origini delle capacità riflessive dell’uomo siano derivate dalle conseguenze dolorose di violenti conflitti emotivi. (…) Non siamo in grado di sapere se questo tipo di esperienza costituì veramente la causa iniziale dello sviluppo della coscienza umana.>> In JUNG, C.G., L’uomo e i suoi simboli. Ed. TEA, Milano, 2009. p. 59.

108. Ecco ciò che Jung scrive sugli archetipi (cito per intero per il solito

motivo): <<In questi casi [si riferisce all’interpretazione dei sogni] dobbiamo prendere in considerazione il fatto (osservato e commentato originariamente da Freud) che in un sogno ricorrono spesso elementi non individuali e non ricavabili dall’esperienza personale del sognante. Tali elementi, come ho indicato precedentemente, sono quelli che Freud chiamava “resti arcaici”, cioè forme mentali la cui presenza non può essere spiegata da alcun elemento della vita individuale del paziente e che si rivelano come dati primordiali, innati ed ereditari della mente umana. Come il corpo umano costituisce un complesso museo di organi, ciascuno dei quali possiede una lunga storia evolutiva dietro di sé, così dobbiamo prevedere che la mente sia organizzata in modo simile. Essa deve essere un prodotto storico alla stessa stregua del corpo in cui si trova ad esistere. Per “storia” non intendo il fatto che la mente si venga sviluppando da sola attraverso riferimenti coscienti al passato tramite il linguaggio e altre tradizioni culturali. Io mi riferisco bensì allo sviluppo biologico, preistorico e inconscio della mente dell’uomo arcaico, la cui psiche era altrettanto chiusa di quella dell’animale. Questa psiche straordinariamente antica costituisce la base della nostra mente (…) Lo studioso sperimentato della mente può ugualmente rinvenire analogie equivalenti fra le raffigurazioni oniriche dell’uomo moderno e i prodotti della mente primitiva, le sue “immagini collettive” e i suoi motivi mitologici. (…) La mia teoria sui “resti arcaici” da me definiti “archetipi” o “immagini primordiali”, è stata sempre criticata da coloro che non hanno una conoscenza appropriata dei sogni e della mitologia. Il termine “archetipo” è spesso frainteso in quanto viene identificato con certe immagini definite o precisi motivi mitologici. Questi, in realtà non sono altro che rappresentazioni consce sarebbe assurdo pensare che tali rappresentazioni variabili fossero ereditarie. L’archetipo invece è la tendenza a formare singole rappresentazioni di uno stesso motivo che, pur nello loro variazioni individuali anche sensibili, continuano a derivare dal medesimo modello fondamentale. Esistono, per esempio, molte rappresentazioni del motivo dei fratelli nemici, ma il motivo rimane sempre lo stesso. I miei critici hanno sempre erroneamente sostenuto che io presupponga l’esistenza di “rappresentazioni ereditarie” e su questa base hanno liquidato l’idea di archetipo come mera superstizione. Essi non hanno preso in considerazione il fatto che se gli archetipi fossero veramente rappresentazioni create (o acquisite) dalla nostra coscienza, noi dovremmo essere sicuramente in grado di comprenderle senza trovarci stupefatti e perplessi quando essi si presentano alla coscienza. Essi, in realtà sono tendenze istintive altrettanto marcate quanto lo è l’impulso degli uccelli a costruire il

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nido, o quello delle formiche a dar vita a colonie organizzate. A questo punto è necessario chiarire la relazione fra istinto e archetipi. Quelli che noi chiamiamo propriamente istinti, sono costituiti da stimoli fisiologici e risultano percepibili dai sensi. Essi però si manifestano contemporaneamente anche in veste di fantasie e spesso rivelano la loro presenza solo per mezzo di immagini simboliche. Queste manifestazioni sono ciò che io chiamo archetipi. La loro origine è ignota e si riproducono in ogni tempo e in qualunque parte del mondo, anche laddove bisogna escludere qualsiasi fattore di trasmissione ereditaria diretta o per “incrocio”>> In JUNG C.G., L’uomo e i suoi simboli, pp. 51-52. A me preme sottolineare soprattutto la riflessione di Jung che dice “la loro origine è ignota”, in quanto questa sottolineatura avvalora la teoria dell’origine a-spaziale e a-temporale della storia dell’uomo, che, unita alla riflessione di Freud della a-temporalità dell’inconscio, come vedremo, mi porta a dire che in fondo i due maggiori psicanalisti si incontrano nel dire che questo inconscio che essi hanno accertato esistere nel “fenomeno” umano, e cioè l’uomo, non sanno spiegarne l’origine. Esattamente come l’uomo comune (ognuno di noi), non sa spiegare l’origine di se stesso in quanto uomo. Darwin individua l’archetipo con “l’antico progenitore”:<<Se noi supponiamo che l’antico progenitore, l’archetipo, come potrebbe chiamarsi, di tutti i mammiferi, avesse le sue estremità costrutte sul modello generale attuale, qualunque ne fosse l’uso, possiamo tosto comprendere la significazione chiara della costruzione omologa delle membra in tutta la classe.>> p. 250. E, a sua volta, cita un altro autore che parla di archetipo:<<L’idea archetipa, scrisse nel 1849 il prof. Owen, è stata manifestata nel regno animale del nostro pianeta sotto forme diverse molto tempo prima della esistenza delle specie animali che oggi la rappresentano. A quali leggi naturali o cause secondarie possa essere stato sottoposto l’ordine di successione e di progressione di tali fenomeni organici noi l’ignoriamo.>> In DARWIN, C. Sulla origine delle specie per elezione naturale ovvero conservazione delle razze perfezionate nella lotta per l’esistenza, p. 4 Come si può notare nelle riflessioni di questi autori, questa idea di una entità preliminare che precede anche l’esistenza delle forme di vita, è presente come una categoria a priori, per esprimerci come Kant, di cui si ignorano le origini.

109. <<L’uomo ha sviluppato la coscienza con lentezza e laboriosamente

in un processo che condusse dopo numerosissimi secoli allo stadio della civiltà (che arbitrariamente vien fatta risalire all’invenzione della scrittura intorno al 4000 a.C.). Questa evoluzione è tutt’altro che completa dal momento che larghe zone della mente umana sono ancora avvolte dall’oscurità. Ciò che noi chiamiamo <<psiche>> non corrisponde affatto alla coscienza e ai suoi contenuti.>> In JUNG, C.G., L’uomo e i suoi simboli. Ed. TEA , Milano 2009, p. 7.

110. <<A questo punto mi permetterò di toccare un argomento che in verità meriterebbe di essere trattato nel modo più approfondito. Sulla base di alcune scoperte psicoanalitiche, oggi la tesi kantiana che il tempo e lo spazio sono forme necessarie [suppongo voglia dire “a priori”] del nostro pensiero può essere messa in discussione. Abbiamo imparato che i processi psichici inconsci sono di per sé “atemporali”. Ciò significa in primo luogo che questi processi psichici inconsci non presentano un ordine temporale, che il tempo non li modifica in alcun modo, che la rappresentazione del tempo non può essere loro applicata. [Se capisco bene sta dicendo che esso, l’inconscio, non rientra nella categoria a priori “tempo”!] Sono queste caratteristiche negative, che possono essere capite chiaramente solo se i processi psichici inconsci sono confrontati

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con quelli consci. La rappresentazione astratta che noi abbiamo del tempo pare derivare interamente dal metodo di lavoro del sistema P-C e corrisponde alla percezione che questo metodo ha di se stesso. Questo modo di funzionare può forse costituire un’altra forma di protezione contro gli stimoli. So che tali affermazioni suonano molto oscure, ma devo limitarmi a questi cenni.>> In FREUD S., Al di là del principio del piacere. Paolo Boringhieri, Torino, 1975. Trad. di A.M. Marietti e R. Colorni. pp. 64-66. Dopo quanto detto credo che anche al sig. Sigmund le sue intuizioni potrebbero apparire meno oscure. In teoria ciò che chiamiamo inconscio potrebbe essere la reminiscenza dell’uomo prima della sua apparizione nel tempo e nello spazio. Sarebbe interessante fare uno studio approfondito su tutta la mitologia greco-romana e su tutte le opere che contengono l’esplicitazione dei miti nelle opere letterarie greche e latine, alla ricerca della conferma di queste ipotesi.

111. Per storia intendo un susseguirsi di elementi documentati con sui si

può ricostruire un evento, collocato nel tempo e nello spazio. 112. Per dimensione intendo “modo di essere”, Kant le invoca come

categorie a priori. In fondo, forse, è la stessa cosa. Come d’altronde ragionando con le categorie kantiane sono “a priori” l’eternità e l’infinito in Dio.

113. Per Odifreddi l’infinito rientra nella categoria “paradosso”. In

ODIFREDDI, PIERGIORGIO, C’era un volta il paradosso. Storie di illusioni e verità rovesciate, Einaudi, 2006. Se ci limitiamo al mondo immanente è chiaro che il concetto di infinito è un paradosso, in quanto l’immanenza comprende solo la categoria del finito. Ma se andiamo oltre e accettiamo le categorie kantiane e un aspetto metafisico, non è un paradosso.

114. Ricordare Lipton. 115. Un altro elemento importante è la memoria che, però, non appartiene

solo alla specie “homo” ma anche agli altri animali. La memoria di cui si parla qui, però, non è questa memoria frutto della percezione, qui stiamo parlando di una memoria che risale all’origine della specie. E’ la domanda che si pone Köler nel capitolo “Memoria e trascendenza” del suo libro già citato KÖLER, WOLFANG, Il posto del valore in un mondo di fatti, nel quale cerca di prendere le distanze dal trascendente con queste parole:<<Se esistono delle tracce che si interpongono tra la mia precedente vita mentale e un ricordo presente, tali tracce appartengono a un regno posto al di fuori del mondo fenomenico. Fuori di questo regno ho già posto la natura, più in particolare nel quale si sono formati i correlati della precedente esperienza. Sembra quindi buona regola cercare di non moltiplicare questi mondi oltre lo stretto necessario e cercare di costruire le tracce dell’esperienza passata come entità del mondo fisico, cioè del sistema nervoso. Poiché ancora non è stata appurata l’inutilità di questo tentativo, sarebbe illogico assumere che queste tracce appartengono a un terzo mondo mentale mai sperimentato.>> p. 181. Proprio queste ultime parole ci stanno ad indicare che uno scienziato che voglia portare fino alle ultime conseguenze i suoi ragionamenti e le sue ricerche a un certo punto sente che le risposte che vengono dal solo mondo fenomenico non soddisfano in modo completo le sue domande. Ma la deontologia di scienziato non gli permette di credere in un mondo oltre il fenomenico, e allora è costretto a fermarsi. Vedi Freud, Jung, Levi, Dennett e Linden, e adesso Köler. Io, però, non posso

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fermarmi al solo fenomeno perché trovo nelle parole della Bibbia l’esistenza di un trascendente che non sembra pura invenzione della fantasia umana, come sto cercando di dimostrare man mano che vado avanti.

116. <<Il mistero della vita mi affascina. L’esistenza del creato è un dato

di fatto ma l’uomo si affannerà chissà fino a quando per dargli una spiegazione. Chi, come, quando, perché questo mondo è stato creato… se è stato creato, oppure…Ci riuscirà? Io so quello che credo io: e cioè che ciò che esiste, esiste e basta, il contrario ormai non si può più dare poiché equivarrebbe alla non-esistenza. Si può anche affermare che di quest’esistenza nulla è immutabile, al contrario, tutto è in continua, lenta o veloce, evoluzione. Verso dove? Di quest’evoluzione l’uomo è l’ultimo arrivato? Certamente è la vetta consapevole: è l’unico che riesce a capire di esistere e di capire. L’uomo è l’unico osservatore di ciò che lo circonda e di se stesso. Il suo potere è meraviglioso in quanto è riuscito a dare un nome a tutto… però una cosa gli manca: il filo d’Arianna per ritornare indietro fino alla sua origine. Il primo uomo che ha capito di capire è arrivato che era già tardi.>> Così scrivevo durante gli anni di liceo, in un quaderno di appunti. Ma ero molto lontano, allora, dal trarre le conclusioni di oggi. Mi rendevo conto soltanto che gli interrogativi li avevo. Questa ipotesi potrebbe essere il capo del “filo di Arianna”? Scusate se mi sono auto citato. Ma forse in questa citazione va fatto risalire l’origine di questo libro.

117. <<Secondo una felice espressione di Arthur Schnitzle resistono in realtà tre virtù: l’oggettività, il coraggio ed il senso di responsabilità. E mi sembra non poco attraente ricollegare a ciascuna di queste virtù uno degli orientamenti psicoterapeutici fioriti nel suolo viennese. E’ di per se stesso chiaro che la virtù del “coraggio” deve essere attribuita alla psicologia individuale di Adler. (…) Allo stesso modo è possibile attribuire alla psicanalisi un’altra delle suddette virtù, ossia l’”oggettività”. (…) Tuttavia, al merito di aver reso omaggio all’oggettività bisogna aggiungere il rimprovero di esserne divenuta schiava: l’oggettività ha infatti condotto la psicanalisi a cosificare, a reificare ciò che propriamente è la “persona”. La psicanalisi, infatti, vede il paziente dominato da “meccanismi”, e nella sua ottica il medico è come colui che cerca di maneggiare tali meccanismi, dominando quindi le tecniche che lo aiutano a rimetterli in ordine, non appena subiscono qualche guasto. Quale cinismo si nasconde dietro una tale concezione della psicoterapia intesa come tecnica, come “psico-tecnica”! Riflettiamoci bene: possiamo pensare al medico come un puro tecnico solo se in precedenza abbiamo inteso il malato come una specie di macchina. Solo un homme machine ha bisogno di un médecin technicien. Come giunse la psicanalisi ad una tale concezione tecnico-meccanicistica? Si è già accennato che tale dottrina deve essere compresa partendo dall’epoca storica in cui nacque e si sviluppò; ma non solo da essa, bensì anche dall’ambiente sociale di quel tempo: un ambiente pervaso da un notevole senso di pruderie. La psicanalisi rappresenta appunto una reazione a tale spirito di puritanesimo esasperato; una reazione, ovviamente, che – per lo meno in certi aspetti – oggi [1973] viene ritenuta del tutto superata, reazionaria. Eppure Freud non solo ha “reagito” al suo tempo; egli ha anche “agito”, partendo proprio da esso: allorché egli ha elaborato la sua dottrina, sottostava completamente all’influsso dell’allora crescente, e più tardi dominante, psicologia dell’associazione. Ebbene, questa era in tutto e per tutto un prodotto del naturalismo del XIX secolo. Ciò risalta immediatamente quando si considerano le due direttrici fondamentali della dottrina psicanalitica: la concezione atomistica e quella energetica. La

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psicanalisi ha osservato l’animo umano, nella sua totalità, in prospettiva atomistica, in quanto l’ha pensato come frutto di accostamento di parti diverse: gli impulsi, a loro volta formati da impulsi parziali o componenti impulsive. In questo modo, tutto ciò che è psichico viene non solo atomizzato, ma completamente ana-tomizzato l’analisi della psiche si è trasformata con l’andar del tempo nella sua anatomia. Così è venuta distruggendo la persona umana nella sua totalità: la psicanalisi “spersonalizza” del tutto l’uomo; ovviamente non senza personificare, a sua volta, le singole istanze – spesso in lotta tra loro – nell’ambito dell’intera compagine psichica, e cioè il cosiddetto Es, oppure i “complessi” per associazione. In tal modo le singole istanze sono state rese indipendenti, entità pseudo personali fornite di forza propria: si potrebbe quasi dire che vennero demonificate. Così facendo la psicanalisi distrusse la persona umana nella sua unità e totalità, per vedersi poi alla fine posta di fronte al compito di ricostruirla da capo, partendo dai frammenti. Questo appare in forma molto chiara in quella concezione psicanalitica che considera l’io come costruito da “impulsi dell’io”. Ciò che allora reprime gli impulsi, in fondo dev’essere la stessa impulsività. Si potrebbe, con un esempio, dire che il muratore, il quale ha edificato con i mattoni una casa, è fatto egli stesso di mattoni. Proprio sulla scia di questo paragone così calzante, vediamo come sia autenticamente materialistico il modo di pensare della psicanalisi, come cioè parta dal materiale grezzo (e non dalla vera e propria sostanza). Su questo si basa ovviamente ed ultimamente anche la sua “atomistica”. Dicevamo, però, che la psicanalisi, oltre ad essere atomistica, è anche energetica impulsiva e dinamica affettiva. Gli impulsi e le componenti impulsive agiscono, secondo la psicanalisi, alla stessa stregua di un parallelogramma di forze. Qual è l’oggetto di tali forze? Si risponde: l’Io. Ciò vuol dire che, nella prospettiva psicanalitica, l’Io costituisce in fin dei conti lo zimbello degli impulsi; oppure, secondo la stessa espressione di Freud: l’Io non è padrone in casa sua. Osserviamo allora che lo psichico non solo viene ridotto geneticamente all’impulsività, ma viene anche determinato causalmente partendo dall’impulsività, ed entrambe le cose in senso totalitaristico. L’essere umano viene interpretato a priori dalla psicanalisi come un essere-spinto. In questo sta anche il motivo ultimo per cui l’Io umano deve in seguito essere ricostruito a partire dagli impulsi. Secondo una tale concezione atomizzante, energetica e meccanicistica (fu lo stesso Freud ad indicare gli psicanalisti come “incorreggibili meccanici e materialisti”, in Schriften, Londoner Ausgabe XVII, p. 29), la psicanalisi vede nell’uomo nient’altro che l’automatismo di un apparato psichico.>> In FRANKL, VIKTOR E., Dio nell’inconscio. Psicoterapia e religione. Morcelliana, 1977, pp. 9-14. La citazione l’ho fatta per intero perché non è solo un pensiero mio ma trova sostenitori anche tra gli psicanalisti stessi, e non viene accettato per ovvi motivi. L’atomismo scientifico lotta con il dualismo per via del trascendente presente nell’uomo, secondo la visione dualistica. Polemica presente anche in Dennett e in altri scienziati.

118. FREUD S., Al di là del principio del piacere, p. 7. 119. Leggendo e rileggendo “Al di là del principio del piacere”, mi sono

reso conto che le conoscenze mediche di Freud sul cervello ha delle intuizioni che lo portano a considerare la realtà non solo come tale ma come una visione assolutamente immanente e materialistica, come lui si definisce. Senza volerlo, però, va al di là della materia. Invito il lettore a leggere bene tutto quanto segue, anche se è lungo e di difficile comprensione per i non addetti ai lavori:<<Quello

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che segue ora è speculazione, spesso una speculazione che spinge molto lontano, e che il lettore potrà apprezzare o trascurare secondo le sue predilezioni. E’ anche il tentativo di svolgere coerentemente un’idea, per curiosità di vedere dove può portare. La speculazione psicoanalitica prende le mosse dall’impressione, suscitata dall’indagine dei processi inconsci, che la coscienza non possa essere il più universale attributo dei processi psichici, ma solo una loro funzione particolare. Esprimendosi in termini metapsicologici, essa afferma che la coscienza è la funzione di un particolare sistema che chiama C. Poiché la coscienza fornisce essenzialmente percezioni di eccitamenti che provengono dal mondo esterno, e di sensazioni di piacere e dispiacere che possono derivare dall’interno dell’apparato psichico, si può assegnare al sistema P-C una precisa collocazione spaziale. Esso dovrà trovarsi al confine tra l’esterno e l’interno, essere rivolto al mondo esterno e includere gli altri sistemi psichici. Osserviamo che queste nostre ipotesi non rappresentano affatto un’audace novità, ma si ricollegano all’anatomia cerebrale, che localizza la “sede” della coscienza nella corteccia, e cioè nello strato superiore e più esterno dell’organo centrale da cui gli altri strati sono avvolti. L’anatomia cerebrale non ha bisogno di preoccuparsi del perché – in termini anatomici – la coscienza sia collocata proprio alla superficie del cervello, invece di trovarsi bene al sicuro nella sua parte più interna. Forse noi riusciremo a rendere ragione di una posizione siffatta per il nostro sistema P-C. La coscienza non è l’unico sistema peculiare che attribuiamo ai processi che hanno luogo in questo sistema. Sulla base di impressioni ricavate dalla nostra esperienza psicoanalitica, formuliamo l’ipotesi che tutti processi di eccitamento che avvengono negli altri sistemi lascino in essi tracce permanenti che costituiscono la base della memoria: residui mnestici dunque, che nulla hanno a che fare con la coscienza. [Il sistema memoria, per Freud è indipendente dal sistema Coscienza]. Tali residui sono spesso assai marcati e durevoli se il processo dal quale sono risultati non ha mai raggiunto la coscienza. Ma troviamo difficile credere che l’eccitamento lasci tracce permanenti siffatte anche nel sistema P-C. Se rimanessero sempre consce, ben presto limiterebbero la capacità del sistema di ricevere nuovi eccitamenti; se invece diventassero inconsce, ci metterebbero di fronte al problema di spiegare l’esistenza di processi inconsci in un sistema il cui funzionamento è per il resto caratterizzato dai fenomeni propri della coscienza. [Il dubbio gli viene che i due sistemi forse hanno una correlazione]. Con la nostra ipotesi che situa il processo del diventare cosciente in un particolare sistema non avremmo per così dire cambiato nulla né guadagnato nulla. Pur ammettendo che questa considerazione non sia probante in modo assoluto, essa può tuttavia indurci a supporre che il diventare cosciente e il lasciare dietro di sé una traccia mnestica siano processi tra loro incompatibili all’interno di uno stesso sistema. Potremmo allora dire che nel sistema C il processo di eccitamento diventa conscio, ma non lascia tracce permanenti; che l’eccitamento viene invece trasmesso ai sistemi interni adiacenti, e lascia in questi sistemi le tracce che costituiscono il fondamento del ricordo. [Fondamentalmente si potrebbe dire che è come un comune nostro registratore: è un meccanismo magnetico. La differenza che Freud non poteva tener presente è che in un normale registratore le tracce fino a quando sono presenti sul nastro o altro supporto elettronico sono sempre e per sempre le stesse, per la memoria no…] (…) Se pensiamo alle scarse conoscenze che si ricavano da altre fonti sull’origine della coscienza, ammetteremo che la tesi secondo cui la coscienza sorge al posto di una traccia mnestica merita di essere presa in considerazione, se non altro perché è formulata in termini piuttosto precisi. Il sistema C avrebbe dunque la peculiare

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caratteristica che in esso – diversamente da quanto accade negli altri sistemi psichici – i processi di eccitamento non lasciano dietro di sé una durevole trasformazione degli elementi del sistema, esaurendosi, per così dire, nel fenomeno del diventare cosciente. Una siffatta eccezione alla regola esige di essere spiegata con un fattore che si riscontra esclusivamente in questo sistema; questo fattore assente negli alti sistemi potrebbe consistere verosimilmente nella posizione esposta del sistema C, il quale confina direttamente con il mondo esterno. Rappresentiamo l’organismo vivente nella sua forma più semplificata possibile come una vescichetta indifferenziata di una sostanza suscettibile di stimolazione; in questo caso la superficie dell’organismo rivolta verso il mondo esterno sarà differenziata in virtù della sua stessa posizione, e funzionerà come organo che riceve gli stimoli. L’embriologia, che ripercorre le stesse tappe della storia dell’evoluzione, mostra effettivamente che il sistema nervoso centrale deriva dall’ectoderma; la sostanza grigia della corteccia cerebrale è ancora un residuo della superficie primitiva dell’organismo, e potrebbe aver ereditato alcune delle sue proprietà essenziali. Verrebbe dunque da pensare che l’incessante urto degli stimoli esterni sulla superficie della vescichetta determini una continua trasformazione della sua sostanza fino a una certa profondità, sicché i processi di eccitamento si svolgerebbero in essa diversamente da come si svolgono negli strati più profondi. Si sarebbe così formata una corteccia che la continua stimolazione ha talmente temprato che alla fine essa presenta le migliori condizioni possibili per la ricezione degli stimoli, e non è più suscettibile di ulteriori modificazioni. Applicata al sistema C, questa ipotesi significherebbe che il passaggio di un eccitamento non può più produrre nessuna modificazione permanente degli elementi del sistema, perché da questo punto di vista essi sono già stati modificati al massimo. Ma allora essi hanno acquistato la capacità di generare la coscienza. [In fondo la coscienza viene generata da questi ripetuti eccitamenti della materia che la rendono “consapevole”. Questo passaggio produrrebbe, però, uno stato immateriale qual è la consapevolezza!] Sulla natura di questa modificazione della sostanza e del processo di eccitamento si possono avanzare varie ipotesi che per il momento non possono essere sottoposte a verifica. Si può supporre che nel suo passaggio da un elemento all’altro l’eccitamento debba superare una resistenza, e che questa diminuzione della resistenza produca appunto la traccia permanente dell’eccitamento (istituisca cioè una facilitazione); dunque nel sistema C tale resistenza al passaggio da un elemento all’altro non esisterebbe più. Questa ipotesi può essere messa in rapporto con la distinzione stabilita da Breuer fra l’energia di investimento quiescente (legata) e l’energia liberamente mobile negli elementi dei sistemi psichici (Vedi di Freud e Breuer, studi sull’isteria, del 1892-95); gli elementi del sistema C non porterebbero energia legata, ma solo energia libera idonea scarica. Penso che per il momento sia preferibile che ci esprimiamo su queste cose con la massima cautela. In ogni modo possiamo dire che queste speculazioni ci hanno permesso di porre la nascita della coscienza in una certa correlazione con la posizione del sistema C e con le particolari caratteristiche che devono essere attribuite ai processi di eccitamento che in questo sistema si verificano>>. In FREUD S., Al di là del principio del piacere, pp. 41-46. Il tentativo di Freud sembrerebbe essere quello di dimostrare la materialità del processo che genera la coscienza, e che questa sia solo frutto dell’evoluzione, ma si rende conto che non è proprio così. C’è qualcosa che gli sfugge ma non sa cos’è, o non vuole ammetterlo. Io sto con la prima ipotesi. D’altra parte Freud non tiene presente la Bibbia. Sarebbe stato interessante

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sapere, se fosse stato possibile, cosa avrebbe detto Freud di questa interpretazione di un suo scritto.

120. La Bibbia in questi primi capitoli contiene anche un messaggio

“religioso” (quello che noi percepiamo solo come religioso, ma è solo così?), dal peccato alla salvezza. Ma, se fosse vero quanto detto, è solo un messaggio religioso? O si può riferire a un messaggio insito nella stessa natura dell’uomo e quindi all’intero sistema umano, presente come “tracce mnestiche”? Affronteremo anche questo argomento. Anzi è l’argomento principale di questo libro. Per Barth e Bultmann questo è il “messaggio” che va al di là di qualsiasi altra considerazione, cioè la Bibbia è solo Fede.

121. Quello volterriano e post-volteriano, cattivo, per intenderci. Dico

questo in quanto se ne parla in un dibattito avvenuto nel 2000, il 21 Settembre, nel Teatro Quirino di Roma tra l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della S.C. per la Fede, e il direttore di MicroMega Paolo Flores d’Arcais sul tema “Dio esiste?”. In questo libro si parla appunto di questi due aspetti dell’Illuminismo. In Il fondaco di MicroMega, Dio esiste? Joseph Ratzinger, Paolo Flores d’Arcais. Un confronto su verità, fede, ateismo moderato da Gad Lerner. Suppl. al n. 2/2005 di MicroMega (rivista bimestrale). Gruppo editoriale l’Espresso. Testo già più volte citato.

122. Cito ancora il libro di MicroMega alla pagina 11: <<In S. Paolo si

trova molte volte la pretesa che la ragione possa arrivare a Dio, e certamente questo era il suo confronto anche con i filosofi, ma mai che ciò che è distintivo del cristianesimo, e cioè la fede in Cristo risorto, possa essere dimostrato con la ragione. D’altro canto, se non fosse così, la fede non sarebbe un dono, la fede sarebbe qualche cosa alla portata del ragionamento di ciascuno. (…) Quanto alla domanda di Gad Lerner: si può vivere senza fede? Basta intendersi sulla parola fede. Se per fede si intende una qualsiasi passione esistenziale per alcuni valori che appunto facciano della propria esistenza qualcosa di sensato, e della propria relazione con gli altri qualcosa di sensato, no, ma questa sarebbe davvero una definizione di fede davvero generica. Se per fede si intende una credenza religiosa, io rispondo tranquillamente sì, si può vivere senza fede, la fede non è affatto necessaria per dare senso alla propria esistenza, si può dare senso alla propria esistenza in tanti modi. Pascal usava questo argomento per impostare la sua idea della scommessa. E cioè Pascal, il più grande pensatore cristiano dell’epoca moderna, e che sosteneva: non si può dimostrare l’esistenza di Dio, l’esistenza dell’anima, eccetera, in termini esclusivamente umani (ecco anche in lui c’è questo elemento di qualche cosa nella fede che non è riducibile alla ragione, anzi che può essere in contrato con la ragione) e però diceva ai suoi amici dell’epoca, scettici di un mondo ricco che era abituato a giocare d’azzardo: provate a scommettere, che cosa vi conviene scommettere, sulla vostra immortalità e sulla verità della religione cattolica o sul fatto che non vi sia più nulla dopo? Il suo ragionamento, come capite, era: in fondo, se dopo non c’è nulla, che cosa avete perduto scommettendo sulla immortalità? Niente. Ma se dopo c’è qualcosa, scommettendo sulla mortalità, avete perso tutto. Ecco, in questo ragionamento c’è un elemento che non funziona, che non è vero che ad avere una fede si abbia solo qualcosa in più, e non si perda nulla, io penso che una fede dà certamente qualcosa in più in termini di speranza o di illusione….>> In Il fondaco di MicroMega, Dio esiste? Joseph Ratzinger, Paolo Flores d’Arcais. Un confronto su verità, fede, ateismo. Suppl. al n. 2/2005 di

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MicroMega (rivista bimestrale). Gruppo editoriale l’Espresso. In fondo il dubbio è che dietro la fede non ci sia nulla. E sarebbe così se veramente non ci fosse nulla… l’illusione può aiutare a vivere meglio, ma resta comunque un’illusione… e per nessuno può bastare. Il tentativo di questo scritto è di riempire la fede con un contenuto razionale. A che serve illudersi che Cristo è risorto se non fosse vero? Appunto come dice S. Paolo.

123. Come è stato citato sopra, Platone è contro il determinismo perché non vede una finalità nel mondo, al contrario di Aristotele che porta come prova dell’esistenza di Dio proprio il fine della creazione.

124. Vedi più avanti la teoria di Vladimir Levi. 125. Considerando che l’autore materiale della Bibbia non è uno solo ma

tanti, il filo conduttore chi lo guida? 126. Se fosse così la Fede potrebbe essere anche peggio di una illusione,

addirittura un’alienazione dalla realtà. Intendo dire se fosse una Fede priva di riscontri reali. Ma anche se la realtà Dio, nella sua essenza, fosse avvolta nel Mistero, la Fede non può essere illusione, ma fa da supporto al mistero, che non va contro la razionalità, anzi, la supera senza contraddirla perché la causa-effetto è una realtà ragionevole…

127. Per laico intendo neutrale, al di sopra delle parti, e non contrario di

religioso. Per la sua origine storica vedi COCCIA E., I nipotastri di Voltaire. Fango sulla Chiesa, p. 131.

128. La prima iniziativa è la sua creazione. 129. A proposito di sacrifici alla divinità, è un uso costante di tutte le

civiltà, anche dell’uomo preistorico. Perché non poterlo riferire a quel desiderio inconscio di purificazione, di espiazione di una colpa di cui l’uomo sapeva ma non riusciva a rendersene conto? Vedi VANNICELLI, PRIMO LUIGI, Storia delle Religioni. Introduzione generale. L’offerta delle primizie a Dio Essere Sommo. Editrice Civiltà Brescia, 1973.

130. Intendo dire che la libera adesione dell’uomo al progetto di salvezza

di Dio, è una accettazione individuale, che automaticamente, diventa un fatto sociale, proprio per la natura sociale dell’uomo. Per cui la scelta individuale di accettazione introduce l’uomo all’interno della comunità di salvezza che è la Chiesa. La frase Extra ecclesia nulla salus, va interpretata appunto in questo senso. Anche chi non sa che cosa sia l’ Alleanza, la Chiesa, e quindi non conosce il “progetto di salvezza”, ma vive come se lo avesse accettato e conosciuto, automaticamente appartiene a questa comunità. Secondo me, come recitava il catechismo di S. Pio X, e il nuovo catechismo della Chiesa Cattolica, si auto esclude dal progetto di salvezza inscritto nel DNA dell’intera umanità, solo chi intenzionalmente e in piena malafede, cioè sa e non vuole, e quindi non permetterà al sacrificio di Cristo di essere efficace nei suoi confronti. In questo senso si può interpretare il titolo del libro di BAGET BOZZO, Il cristianesimo non è una religione, ma una proposta.

131. Vedi Appendice 1.

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132. Nell’opera di Milton “Il Paradiso perduto” si esprime questo

rimpianto, che aprì una nuovo prospettiva all’uomo. Il fine di Milton, espresso nel primo libro, è “svelare all’uomo la Provvidenza eterna” (I, 26) e spiegare il conflitto tra tale Provvidenza eterna e il libero arbitrio.

133. Ri-trasmettere perché l’uomo era già felice all’inizio della sua storia. 134. Anche la storia dei dinosauri e la loro distruzione, visti dal punto di

vista della “Provvidenza” di cui parla Milton può rientrare in questa visione di un “progetto intelligente”.

135. Per scienza si intende un principio scoperto e acquisito di cui non si

può più discutere, in quanto è dimostrata la sua assoluta e inconfutabile verità. E’ quello che nella religione cristiana si chiama dogma.

136. Che cosa è la vita? Si dovrebbe iniziare un nuovo libro per dire che

cosa è, come diceva lo stesso Darwin. Credo che per ora sia sufficiente aggiungerla a una categoria a priori di kantiana memoria. Cito ancora da Agnoli:<<Secondo Boncinelli – che come abbiamo visto esclude a priori la dimensione spirituale, l’esistenza di Dio e dell’anima, e pone l’universo a caso – riguardo all’origine della vita l’ipotesi di Oparin è oggi scientificamente insostenibile, e la “generazione spontanea per accostamento casuale dei componenti chimici” è “assolutamente improbabile”. Di più: della vita non sappiamo neppure dare una vera ‘definizione’. Essa rimane per noi un mistero.>> In AGNOLI F., Perché non possiamo essere atei, p. 1.

137. Mi spiego: il bambino appena concepito, e dico concepito e non nato,

volutamente, contiene già in sé tutte le caratteristiche umane, cosa cambierà con il suo sviluppo? Non certo la sua natura ma con il processo di accrescimento fisico e il processo educativo si svilupperanno le caratteristiche che rende l’uomo un individuo unico e irripetibile, pur restando “uomo”.

138. L’istinto è, secondo la psicanalisi, un impulso di origine psichica che

spinge un essere vivente ad agire per la realizzazione di un particolare obiettivo, mediante schemi d’azione “istintivi”, e perciò innati. Sono comportamenti automatici, non sono frutto di apprendimento né di scelta personale. L’istinto ha un rapporto piuttosto rigido con ciò che desidera e a cui mira, difficilmente ottenendo soddisfazione da un oggetto diverso. Si distingue dalla pulsione in quanto questa mira alla soddisfazione dei propri bisogni (fame, sonno, sesso) basandosi su schemi appresi tramite interazione continua tra individuo ed ambiente e senza obiettivi particolari. Caratteristiche peculiari dell’azione istintiva sono la mancanza di basi derivanti da esperienze passate, ma sembra essere un comportamento innato della natura animale, come se derivasse da una caratteristica insita nel suo patrimonio genetico, e che viene compiuta in modo del tutto analogo da diversi individui, spesso senza che ne sia chiaro lo scopo. Esempi di comportamento istintivo sono le migrazioni degli uccelli, l’attrazione sessuale umana ed animale, gli stessi meccanismi della nostra vita sociale. La definizione di istinto si estende anche ad azioni puramente psichiche e mentali. Intesa come processo innato, persino la stessa attività cognitiva, il cui obiettivo è la formulazione di pensieri, piani e significati, può essere considerata come un istinto naturale. Istinti fondamentali nell’uomo, sui quali si basano

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tutti gli altri impulsi umani, sono l’istinto di vita (Eros), l’innato bisogno di creare, mantenere in vita ed ottenere gioia e piacere, legato al significato di libido, principale fonte nell’uomo di energia creativa e positiva, e l’istinto di morte (Thanatos), l’innato bisogno di distruggere, uccidere e rivivere le esperienze di tristezza e dolore, oltre al bisogno di morire, legato al significato di distruzione, fonte di energia distruttiva e negativa. Ci si riferisce all’istinto riferendosi ad intuizioni improvvise e senza fondamento che, con il termine “sesto senso”. Ultimamente, lo studio dell’istinto si è esteso all’endocrinologia, per verificare la correlazione tra azione istintiva ed ormoni, ed all’etologia, per studiare le implicazioni etiche e comportamentali negli istinti animali ed umani. Secondo Konrad Lorenz l’istinto è come una grande forza all’interno dell’organismo che deve incanalarsi da qualche parte.

139. In Köler la frase che l’interlocutore ripete allo scienziato in difficoltà è “Null’altro che”, frase che lo scienziato ripete sempre per superare problemi di ordine metafisico. Vedi il I capitolo. KÖLER, WOLFANG, Il posto del valore in un mondo di fatti, pp. 3-27.

140. DELAY J., PICHOT P., Compendio di psicologia. Ed. Giunti-

G.Barbera 1975, Firenze. 141. Dizionario di Psicologia, a cura di WILHELM A., EYSENCK H.J.,

MEILI R.. Ed. Paoline. 1975. Voce: Pensiero.

142. HILGARD E.R., Psicologia, corso introduttivo. Ed. Giunti-Barbera. 1971, Firenze. Glossario: Pensiero.

143. <<Mi ha sempre colpito il fatto che un numero sorprendentemente

elevato di individui non facciano uso della mente se possono farne a meno e che un numero equivalente di essi usano la mente in un modo sorprendentemente stupido. (…) Io cerco qui di fornire al lettore un rapido panorama delle prime impressioni da me provate quando cominciai a osservare le molte persone che si presentavano alla mia attenzione. Mi apparve subito chiaro, tuttavia, che a usare la mente erano solo le persone che pensavano, cioè quelle che applicavano le loro facoltà intellettuali nel tentativo di adattarsi alle altre persone e alle circostanze. Coloro che, pur essendo dotati della medesima intelligenza, non ne facevano uso, cercavano e trovavano la loro strada al livello del sentimento (feeling). (…) Il sentimento come l’intendo io, è (come il pensiero) una funzione razionale (cioè imperativa), mentre l’intuizione è una funzione irrazionale (cioè percettiva). (…) Questi quattro tipi funzionali corrispondono ai mezzi naturali tramite i quali la coscienza viene orientandosi nel corso dell’esperienza [Non sono funzioni a priori, come direbbe Kant, ma si formano con l’esperienza, e lo sviluppo]. La sensazione (cioè la percezione sensoriale) ci dice che qualcosa esiste; il pensiero ci mette al corrente di che cosa si tratta; il sentimento ci rivela se si tratta di una cosa più o meno piacevole; l’intuizione ci fa capire la provenienza e il fine di essa.>> In JUNG, C.G., L’uomo e i suoi simboli. Ed. TEA, Milano, 2009, p. 43. Per la parola mente vedi, più avanti, la nota 148.

144. <<”Non riesco a liberarmi dalla smania di sapere come si formi il

pensiero. Per quanto dica, per quanto faccia, per quanto pensi, ho sempre un’ossessione in testa: come si forma il pensiero… come si forma… come…”. Ascoltando le lamentele della malata, mi ricordai che durante l’ultimo anno di

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scuola secondaria, la stessa idea, forse meno ossessiva ma abbastanza ostinata, esercitò una certa influenza sulla scelta della mia professione. Bastava, così mi sembrava, che la scienza arrivasse ad “afferrare il pensiero”, a delucidarne il meccanismo, perché sparisse la reciproca incomprensione degli uomini. Tutto il mondo sarebbe stato d’accordo per pensare nel miglior modo possibile. [Come dire, basterebbe ingabbiare il pensiero perché esso reso come una cosa materiale uguale per tutti, potrebbe essere in grado di risolvere tutte le incomprensioni]. Si imparerebbe a pensare a scuola. Si organizzerebbero anche corsi speciali di durata ridotta per l’insegnamento del pensiero degli adulti. Gli uomini sarebbero tutti geni, le sole eccezioni alla regola sarebbero i supergeni. Questa idea utopistica della mia gioventù mi sembrava ora piuttosto semplicistica, ma, a dire il vero, non ne sono del tutto convinto. Che sappiamo oggi del processo del pensiero? Quando avevo l’età dei “perché”, mio nonno non smetteva mai di ripetermi che un imbecille poteva fare tante e tante domande, che dieci sapienti sarebbero stati incapaci di rispondere. Concepii da allora un certo rispetto per gli imbecilli. La domanda è legittima? Si può in un modo rigorosamente preciso definire quel che si intende esattamente per pensiero? Si arriva a capire che si tratta della funzione suprema, la più complessa, del nostro cervello. Ma quali ne sono i limiti? Non è certo molto difficile dire quando stiamo pensando, ma tentate un po’ di decidere quand’è che non pensiamo, quando si sa bene che è possibile arrivare alla soluzione di un problema di matematica dormendo? Chi potrebbe dire in quale preciso momento nasca il primo pensiero di un bimbo? Ad analizzarle da vicino, le frontiere del pensiero sono piuttosto convenzionali. Sarebbe altrettanto difficile per un viaggiatore che si sposta a piedi dal sud al nord, determinare dove finisce il caldo e dove comincia il freddo. E’ evidente però, che atterrando al polo nord dopo essere partiti in aereo dall’equatore, si avvertirà una certa differenza di temperatura.>> In LEVI V., I misteri del cervello. Appunti di uno psichiatra, pp. 155-156. La conclusione si trova alla nota 157. Pur di non arrendersi all’evidenza preferisce paragonare l’uomo a una macchina, della quale il motore è nel cervello, inteso solo come materia. Ma forse è da capire l’autore: era sotto il regime comunista, per definizione stessa materialista e atea, anche se l’autore avesse voluto concludere in modo logico gli era impossibile per via del regime. Mi viene da riflettere. Immaginiamo pure che l’uomo sia come una macchina. Ogni macchina per avviarsi ha bisogno di qualcosa (una energia esterna che ne permetta l’avvio), l’uomo fin dal primo istante del suo concepimento, e forse prima (pensiamo alla corsa dei cromosomi!) nasce già avviata. La prima energia è già insita nella sua natura. Allora, anche se volessimo paragonarlo a una macchina, gli dobbiamo concedere che l’avvio è, perlomeno, originale!

145. B.PASCAL, Pensèes n. 82. 146. Non inteso come massa cerebrale e basta, ovviamente, o macchina

come la intende il Levi. E neanche come lo intende il Linden. 147. <<1.Capacità di pensare, attività psichica e intellettuale attraverso la

quale l’uomo elabora concetti, finge situazioni diverse dalla realtà, formula ipotesi ecc.: il p. distingue l’uomo dall’animale…>> In Dizionario della Lingua Italiana. Copyright 1997, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, voce Pensiero.

148. Abbiamo usato parecchie volte questa parola: Mente, anche Jung la

usa; è arrivato il momento di approfondire: <<Mente! Il concetto di ‘mente’

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comporta gradi varianti di indeterminatezza intenzionale. Si riferisce a qualcosa di così complesso e intangibile che preferiamo non farci spingere a una definizione che potremmo dover difendere. Parliamo costantemente di ‘mente inconscia’ ma non sappiamo affatto con chiarezza che cosa intendiamo per mente conscia o inconscia. Il termine contiene residui di innumerevoli filosofie e psicologie che continuano ad assillarci. Da sempre l’uomo ha meditato su se stesso, si è lambiccato il cervello su quell’attributo intangibile che gli permette di dirigere il suo comportamento, che lo distingue, di quando in quando, dalle bestie, gli conferisce la divina capacità di riordinare la natura, e gli consente di superare la dura o dolorosa realtà attraverso la fantasia, o di annotare l’amarezza della sua esperienza nella poesia o nel canto. E’ stato capace di considerare la sua mente come separata dal corpo, e anche come elemento distintivo dalla materia. Descartes rafforzò la dicotomia mente-corpo e ottenne una pace, ma senza requie, con la Chiesa, col considerare la mente un attributo conferito da Dio e influenzato dall’anima che si insinuava nel cervello attraverso la glandola pineale; pretese il corpo e la materia per la scienza e lasciò l’anima e la mente alla Chiesa e alla filosofia.>> In LIDZ T., La Persona umana. Suo sviluppo attraverso il ciclo della vita. Astrolabio, Roma, 1971. p. 39-40. Ma l’autore, tra il serio e il faceto, seguita:<<Negli ultimi cinquant’anni, gli studiosi della mente, gli psicologi, gelosi delle tangibili fondamenta fisiche e chimiche delle scienze biologiche, hanno talvolta insistito che il funzionamento della mente potrebbe essere compreso in termini di impulsi neurali nel cervello. Alcuni si sono convinti che mente e cervello sono sinonimi. Alcuni hanno studiato l’uomo attraverso l’esame degli animali inferiori e non hanno trovato posto per una ‘mente’. Alcuni hanno cercato di risolvere il problema sostenendo che siamo stati semplicemente intrappolati in antiquate speculazioni religiose e filosofiche nel cercare di situare e definire la mente. La stessa parola ‘mente’ puzza di decadentismo, e qualsiasi rispettabile scienziato che usi il termine deve essere uscito di mente. Possiamo mettere fuori legge la parola; possiamo usare altri termini; possiamo cantare quotidianamente all’unisono che “il corpo e la mente sono una cosa sola” così da esorcizzare la dicotomia espellendola dal nostro pensiero, ma in certo senso nessuna di queste manovre riesce del tutto. ‘Mente’ non è un arcaismo; abbiamo bisogno di tale concetto, comunque lo si possa definire, e nessun pensatore serio può rinchiudere la mente nel cranio come parte del cervello>>. p. 40.

149. E’ il meccanismo chimico delle trasmissioni di “ordini”, sensoriali e

non, che partono dal cervello verso i gangli della spina dorsale e da lì raggiungono tutti gli organi del corpo, per mezzo di secrezioni chimiche. Vedi il citato Linden per un aspetto scientifico molto dettagliato.

150. <<Lo studio del comportamento umano, sulla base del concetto di

“scatola nera”, ci porta a considerare l’uscita di una ‘scatola’ come l’ingresso di un’altra. Ma stabilire se tale scambio di informazione sia consapevole o no è un quesito che non ha più quella importanza che invece conserva in una struttura psicodinamica.>> In WATZLAWICK P., BEAVIN J.H., JACKSON D.D., Pragmatica della comunicazione umana, p. 37. In questo libro il cervello viene paragonato a una “scatola nera” di cui sappiamo i dati che entrano, quelli che escono, ma non sappiamo come questi dati vengano elaborati. Come si vede lo studio di ciò che è il prodotto ultimo dell’attività umana, il pensiero, riguarda la scienza in generale. Ma una risposta “scientifica” ancora non c’è.

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151. Quello che chiamo trascendente, per altri è il “dualismo” materia-spirito. A questo dualismo la scienza si oppone e cerca di superarlo cercando risposte solo nel materialismo. Cfr. DENNETT, DANIEL C., Coscienza. Che cos’è, pp. 45-54.

152. Al pensiero, nel senso di reazione personale unica e irripetibile, si

può applicare la negazione di causa-effetto ipotizzato da Hume, nel senso di reazione (effetto) imprevedibile data la stessa causa. E si può applicare il concetto di “scatola nera” di cui sopra. E, infine, si può applicare anche il concetto di retroattività del Watzlawick e Köler.

153. Per avvalorare quanto appena detto cito Jung:<<Ci sono, poi, aspetti inconsci della nostra percezione della realtà. Il primo è costituito dal fatto che anche quando i nostri sensi reagiscono a fenomeni reali, a visioni, a suoni, essi vengono in qualche modo tradotti dal piano della realtà a quello della mente. Qui essi diventano eventi psichici la cui sostanziale natura è inconoscibile in quanto la psiche non può conoscere la propria sostanza psichica. In tal modo ogni esperienza contiene un numero infinito di fattori sconosciuti, per non dire del fatto che ogni oggetto concreto è sempre sconosciuto sotto certi aspetti dal momento che non siamo in grado di conoscere la natura sostanziale della materia in sé. Perciò esistono certi eventi che noi non abbiamo registrato consapevolmente: essi sono rimasti, per così dire, al di sotto della soglia della coscienza. Essi sono accaduti ma sono stati assorbiti sub liminalmente senza la partecipazione della nostra conoscenza consapevole. Noi possiamo prendere coscienza di questi avvenimenti solo in un momento di intuizione o tramite un processo profondo di pensiero che ci porti in un secondo momento alla consapevolezza del fatto che essi debbono essersi necessariamente realizzati. E benché si possa averne inizialmente ignorata l’importanza emotiva e vitale, essa riaffiora dall’inconscio come una specie di fenomeno riflesso. Essa può apparire, ad esempio, sotto forma di un sogno. Di regola, l’aspetto inconscio di ogni evento si rivela a noi nei sogni, dove esso appare non come pensiero razionale ma sotto forma di immagine simbolica. Storicamente è stato lo studio dei sogni a porre gli psicologi in condizione di investigare l’aspetto inconscio degli eventi psichici manifestantisi a livello di coscienza. E’ sulla base di questa evidenza che gli psicologi suppongono l’esistenza di una psiche inconscia, sebbene molti scienziati e filosofi neghino la sua esistenza. Essi argomentano ingenuamente che una posizione di questo tipo implica l’esistenza di due <<soggetti>>, o, per dirla in linguaggio comune, di due personalità all’interno dello stesso individuo. Ma è proprio questa la sua precisa implicazione ed è una delle più drammatiche caratteristiche dell’uomo moderno il fatto che egli soffra di questa divisione della propria personalità. Non si tratta assolutamente di un sintomo patologico: è un fatto perfettamente normale che può essere osservato ovunque e in ogni tempo. Non accade solo al nevrotico che la propria destra non sappia cosa fa la sinistra. Questa drammatica situazione è un sintomo della condizione generale di incoscienza che costituisce l’innegabile eredità comune di tutto il genere umano. L’uomo ha sviluppato la coscienza con lentezza e laboriosamente in un processo che condusse dopo numerosissimi secoli allo stadio della civiltà (che arbitrariamente viene fatta risalire all’invenzione della scrittura intorno al 4000 a. C.). Questa evoluzione è tutt’altro che completa dal momento che larghe zone della mente umana sono ancora avvolte dall’oscurità. Ciò che noi chiamiamo <<psiche>> non corrisponde affatto alla coscienza e ai suoi contenuti. (…) La nostra psiche è parte della natura e i suoi enigmi sono infiniti.>> In JUNG, C.G.,

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L’uomo e i suoi simboli, pp. 6-8. Ho citato per intero sempre per il solito motivo, favorire la lettura del brano senza andare in cerca del libro. Ci sono elementi che non affronto in questo scritto, ad esempio il sogno. Forse lo potrei fare in seguito. E’ presente anche il concetto di “dualismo” accettato da Jung anche se non ne definisce la natura.

154. La percezione, secondo la teoria gestaltica dello figura-sfondo, non è

che la trasformazione in figura delle infinite sensazioni che noi avvertiamo in maniera indistinta. Esempio: quando sto seduto avverto sensazioni di freddo o di calore, di fastidio o di piacere, e così via, che si risolvono nella figura percettiva “sto seduto”. Questo non avviene sempre coscientemente, ma avviene comunque: se io chiedo a una persona seduta “come stai adesso” risponderà “seduto”, anche senza sapere che un istante prima non ne aveva consapevolezza. Quindi noi abbiamo un “database” enorme di percezioni che diventano consce solo al momento opportuno. Questa figura appena realizzata passa nello sfondo, per dare vita ad una nuova figura, e così via. E’ il meccanismo della conoscenza applicato al “qui e ora”. In pratica, è come se avessi una cassetta di tanti attrezzi che uso scegliendo quello giusto al momento giusto.

155. TART C.T., Stati di coscienza. Astrolabio, Roma, 1977, pp. 25-26. 156. Ma non tutti la pensano come Lidtz. Cito per esteso da Dennett:<<2.

Il mistero della coscienza. In che cosa consiste, dunque, il mistero? Che cosa potrebbe essere più ovvio o certo per ciascuno di noi del fatto che egli o ella è un soggetto che gode di percezioni e di sensazioni, che soffre per il dolore, che concepisce idee e che consciamente delibera? Ciò sembra innegabile, ma cosa mai può essere la coscienza in se stessa? Come possono dei corpi fisici viventi nel mondo fisico produrre tali fenomeni? Questo è il mistero. Il mistero della coscienza ha diverse maniere di presentarsi e recentemente mi ha colpito di nuovo con una forza particolare una mattina mentre leggevo un libro seduto su una sedia a dondolo. (segue lunga descrizione). Il mio pensiero cosciente, e specialmente la gioia che provavo per quella combinazione di luce solare, di solari violini di Vivaldi, di rami ondulanti – più il piacere delle mie riflessioni su ciò – come poteva tutto questo essere solo qualcosa di fisico che avveniva nel mio cervello? Come poteva qualsiasi combinazione di avvenimenti elettro-chimici nel mio cervello equivalere in qualche modo alla piacevolezza di quelle centinaia di ramoscelli che si inginocchiavano di fronte a me a tempo di musica- come poteva qualche evento che elaborava informazioni nel mio cervello essere il calore delicato della luce solare che mi accarezzava? A tale proposito, come poteva un evento nel mio cervello essere la mia abbozzata immagine mentale di… qualche altro evento che elabora informazioni nel mio cervello? Sembra davvero impossibile. Sembra davvero che gli avvenimenti che sono i miei pensieri e le mie esperienze coscienti non possano essere avvenimenti cerebrali, ma debbano esse qualcos’altro, qualcosa causato o prodotto dagli avvenimenti cerebrali, senza dubbio, ma qualcosa di aggiuntivo, fatto di una sostanza differente situato in uno spazio differente. Beh, perché no? 3. Le attrattive della sostanza mentale. Vediamo cosa avviene quando prendiamo questa strada innegabilmente attraente. Per prima cosa, dovresti effettuare un piccolo esperimento [segue esperimento]. (…) La risposta è ovvia: la prima mucca immaginata è viola e la seconda è gialla. Ci potrebbero essere altre differenze, ma questa è quella essenziale. Il guaio è che, essendo queste mucche solo immaginate e non reali o dipinte su qualche tela o rappresentate su qualche

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schermo televisivo a colori, è difficile capire che cosa potrebbe essere viola nel primo caso e giallo nel secondo. Nulla nel tuo cervello (o nel tuo globo oculare) che sia anche solo vagamente della forma di una mucca diventa viola in un caso e giallo nell’altro, e, anche se ciò avvenisse, non servirebbe a nulla, poiché l’interno del tuo cranio è nero come la pece e, inoltre, lì non hai occhi con cui vedere i colori. Nel tuo cervello ci sono degli eventi strettamente collegati con le tue specifiche immagini mentali, così non è impossibile che in un prossimo futuro un neuro scienziato, esaminando i processi che avvengono nel tuo cervello in risposta alle mie istruzioni, possa decifrarli talmente bene da poter confermare o smentire le tue risposte alle domande da 1 a 4: <<La mucca mostrava il fianco sinistro? Sembra di sì. La configurazione di eccitamento neuronale “testa della mucca” è coerente con una presentazione nella parte alta sinistra del quadrante visivo; inoltre, si sono potuti osservare dei segnali rivelatori di un movimento oscillatorio di un hertz che suggeriscono la ruminazione, ma non è stato possibile rilevare alcuna attività nei gruppi di rappresentazione del complesso mammario; per quanto riguarda il colore, dopo la calibratura dei potenziali evocati con i profili di rivelazione dei colori del soggetto, si può avanzare l’ipotesi che il soggetto menta sul colore: la mucca immaginata era quasi sicuramente marrone.>> supponi che tutto ciò sia vero; supponi che la lettura scientifica della mente sia giunta a queste raffinatezza. Anche così, però, il mistero sembrerebbe inalterato: cosa è marrone quando immagini una mucca marrone? Non l’evento nel cervello che lo scienziato ha calibrato con la tua esperienza del marrone. I tipi e la posizione dei neuroni implicati, le loro connessioni con altre parti del cervello, la frequenza o l’ampiezza dell’attività, il neuro trasmettitore chimico rilasciato – nessuna di quelle proprietà è veramente la proprietà della mucca <<nella tua immaginazione>>. E poiché tu hai effettivamente immaginato una mucca (non stai mentendo – lo scienziato ha perfino confermato), una mucca immaginata è venuta all’esistenza in quel momento; qualcosa, in qualche luogo, deve aver avuto quella proprietà in quel momento. Il mezzo in cui la mucca immaginata deve prendere forma non è costituito da sostanza cerebrale, ma da… sostanza mentale. Cos’altro potrebbe essere? La sostanza mentale, allora, deve essere quella <<di cui sono fatti i sogni>> e evidentemente ha alcune proprietà notevoli. In una di queste ci siamo già imbattuti [l’ectoplasma] (…). In prima approssimazione possiamo dire che la sostanza mentale ha sempre un testimone. Il guaio con gli eventi cerebrali, abbiamo visto, è che, per quanto essi possano <<collimare>> da vicino con i nostri flussi di coscienza, hanno un inconveniente palesemente fatale: non c’è nessuno che li osserva. Gli eventi che avvengono nel tuo cervello, così quelli che avvengono nel tuo stomaco o nel tuo fegato, normalmente non sono osservati da nessun testimone, e, per di più, la presenza di un eventuale testimone non modifica il modo in cui essi avvengono. Gli eventi nella coscienza, invece, hanno <<per definizione>> un testimone; essi rientrano nell’esperienza di qualcuno che li esperisce ed è proprio il fatto di rientrare nell’esperienza di qualcuno che fa di loro ciò che sono: eventi coscienti. Un evento di cui si fa esperienza non può avvenire per conto proprio; deve costituire l’esperienza di qualcuno. Affinché un pensiero si presenti qualcuno (qualche mente) deve pensarlo, affinché un dolore si verifichi qualcuno deve sentirlo, e così se una mucca viola viene ad esistere <<nell’immaginazione>>, qualcuno deve averla immaginata. Il guaio con i cervelli è che, quando ci guardi dentro, scopri che non c’è nessuno in casa. Nessuna parte del cervello è il pensatore che effettivamente pensa o lo sventurato che sente il dolore, e il cervello nel suo insieme non sembra essere un candidato migliore per questo

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ruolo speciale. Questo è un argomento infido. I cervelli pensano? Gli occhi vedono? O le persone vedono con i loro occhi e pensano con i loro cervelli? C’è una differenza? E’ solo un banale puntiglio <<grammaticale>> o rivela una fonte importante di confusione? L’idea di un sé (o di una persona o, anche di un’anima) distinto dal cervello o dal corpo è profondamente radicata nel nostro modo di parlare, e quindi nel nostro modo di pensare. Io ho un cervello. Questo sembra un modo di esprimersi completamente accettabile. E non sembra significare semplicemente Questo corpo ha un cervello (e un cuore, e due polmoni, ecc.) o questo cervello ha se stesso. E’ piuttosto naturale pensare a <<l’io e il suo cervello>> Poppert e Eccles, 1977) come due cose distinte, con differenti proprietà, per quanto strettamente possano dipendere l’uno dall’altro. Se il sé è distinto dal cervello, sembra che debba essere fatto di sostanza mentale. (…) Così abbiamo scoperto due specie di cose che si potrebbero voler fare con la sostanza mentale: la mucca viola che non è nel mio cervello e la cosa che effettua il pensare. Ma ci sono altri poteri che potremmo voler attribuire alla sostanza mentale. [porta l’esempio di un assaggiatore di vino] (…) stando alle varie teorie raggruppate sotto l’etichetta di funzionalismo, riuscire a riprodurre l’intera <<struttura funzionale>> del sistema cognitivo di un assaggiatore umano di vino (inclusi la sua memoria, i suoi scopi, le sue avversioni innate, ecc.) significa riprodurre anche tutte le proprietà mentali che lo riguardano, incluso quel godimento, quella delizia, quel gusto che rende una buona bevuta qualcosa che molti di noi apprezzano. In linea di principio, dice il funzionalista, non c’è differenza tra un sistema fatto di molecole organiche e uno fatto di silicio, fintanto che svolgono lo stesso compito. I cuori artificiali non devono essere fatti di tessuto organico, e neppure i cervelli artificiali - almeno in linea di principio. Se riesci a riprodurre nei chip al silicio tutte le funzioni di controllo ci un cervello di un assaggiatore umano di vino, avrai riprodotto ipso facto anche il godimento. (…) Sembra che nessuna mera macchina, non importa quanto meravigliosamente imiti i processi cerebrali dell’assaggiatore umano di vino, possa essere in grado di apprezzare un vino o una sonata di Beethoven o una partita di pallacanestro. Per poter apprezzare qualcosa serve la coscienza – proprio ciò che manca a qualsiasi mera macchina. (…) Sembra che proprio questo ci obblighi a dire che non è il cervello che apprezza; la responsabilità (o il privilegio) di questo atto spetta alla mente. (…) Così la mente cosciente non è solo il luogo dove si trovano i colori e gli odori presentati ad un testimone e non è la sola cosa che pensa. E’ anche il luogo dove avvengono gli apprezzamenti. Forse, in un certo senso, ciò segue anche dal fatto che la mente cosciente è ritenuta essere la fonte delle nostre azioni intenzionali. E’ conforme a ragione – non è così? – che se fare qualcosa che è importante per noi dipende dalla coscienza, anche questa importanza (questo gioire, apprezzare, soffrire, preoccuparsi) dovrebbe dipendere dalla coscienza. (…) Per riassumere abbiamo trovato quattro ragioni per credere nella sostanza mentale. La mente cosciente, a quanto pare, non può essere semplicemente il cervello, o nessuna parte propria di esso, giacché nulla nel cervello potrebbe 1. essere il mezzo in cui viene resa la mucca viola; 2. essere la cosa pensante, il soggetto del <<cogito, ergo sum>>; 3. apprezzare il vino, odiare il razzismo, amare qualcuno, ritenere importante qualcosa; 4. agire con responsabilità morale. Una teoria accettabile della coscienza umana deve dare una spiegazione a questi quattro motivi stringenti che ci spingono a pensare che debba esistere una sostanza mentale. L’idea che la mente sia un’entità così separata dal cervello e composta non da materia ordinaria, ma da qualche altra sostanza speciale, viene chiamata dualismo. (Oggigiorno esso gode, meritatamente, di una cattiva reputazione,

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malgrado gli argomenti appena esaminati.) (…) Uno dei compiti principali di questo libro è quello di spiegare la coscienza senza mai arrendersi al canto delle sirene del dualismo.>> In DENNETT, DANIEL C., Coscienza. Che cos’è, pp. 36-54. Come si può constatare dalla lettura del lungo brano citato, l’autore si rende conto che il materialismo non può spiegare la coscienza, ma lo scopo dell’autore è quello di non cadere nella tentazione del “dualismo” cioè della componente trascendente. Restiamo in attesa che qualcuno spieghi il cervello e la mente con una teoria sincretica che annulli il ricorso a qualcosa di immateriale, così da poter dire che anche la coscienza è insita nella materia. Non nel senso inteso da T. De Chardin, che comunque ricorre a un Creatore e quindi al trascendente. Forse T. De Chardin, se avesse ancora la possibilità di leggere questo scritto converrebbe che il significato di coscienza insita nella materia, può coincidere con l’ipotesi della cellula che ha in sé inscritto il senso ultimo della sua creazione. Alla fine della sua esposizione, il Dennett, lancia la sfida che riuscirà a dimostrare che la coscienza appartiene esclusivamente al mondo materiale.

157. <<Ebbi un giorno una conversazione molto interessante con lo

scrittore sovietico Gleb Anfilov. Mi disse Anfilov: -tutti discutono per sapere se una macchina può pensare. E io, da parte mia mi chiedo: l’uomo, può pensare? E rispondo: no , l’uomo non pensa. –E come sarebbe? – gli domandai. –L’uomo non fa altro che vivere. L’uomo sente, ma è una macchina quella che pensa per lui. – Quale macchina? –Quella che c’è nel cervello. Non ho ancora capito se Anfilov scherzasse o dicesse sul serio. Tutto dipende da senso che si dà alla nozione di “uomo”>>. In LEVI, V., I misteri del cervello. Appunti di uno psichiatra, p. 156. E seguitando a p. 160: <<Dopo aver stabilito questa correlazione tra i concetti di “macchina” e di “uomo”, arriviamo alla conclusione che chiedersi chi dei due, l’uomo o la macchina pensi, è semplicemente assurdo. Rispondiamo anche al quesito: la macchina può possedere quel che si chiama “qualità soggettiva”? Oppure, che è la stesa cosa, la macchina può possedere una “personalità”, un “io”? La risposta è sì, perché altrimenti, bisognerebbe ammettere l’esistenza di un’anima immateriale.>> Il ragionamento ci fa capire che negli scienziati (alcuni, in verità) c’è il pregiudizio deformante che tutto è materia e meccanicismo e non si arrendono nemmeno di fronte all’evidenza, tanto da portarli all’affermazione che la macchina ha un’anima, perché altrimenti dovrebbero concludere che l’uomo ha un’anima immateriale!

158. Secondo Jung l’anima è <<intesa come quella componente interiore

della psiche che è necessaria per ogni vera operazione creativa. (…) Nei sogni le immagini di città situate in regioni significative possono essere spesso simboli dell’anima>>. In JUNG C.G., L’uomo e i suoi simboli, p. 109. <<Questa psiche straordinariamente antica costituisce la base della nostra mente. E ciò che noi chiamiamo “psiche” non corrisponde affatto alla coscienza e ai suoi contenuti. Mentre <<ora, dice il sogno, la liberazione è compiuta dall’<<anima>> (la psiche del sognante)…>> afferma MARIE-LOUISE VON FRANZ in Il processo di individuazione, contenuto nel libro di JUNG L’uomo e i suoi simboli, p. 202. Queste definizioni si commentano da sé. Di anima comunque si parla come una componente della psiche.

159. <<Ciò che muove se stesso incessantemente, è eterno [si riferisce,

probabilmente, al motore immobile di Aristotele]; ciò che, invece, trasmette il moto ad altro e a sua volta trae impulso da una forza esterna, poiché ha un termine del movimento, deve avere necessariamente un termine della vita.

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Pertanto, solo ciò che muove se stesso, in quanto da se stesso non viene mai abbandonato, non cessa mai neppure di muoversi; anzi, per tutte le altre cose che si muovono è la fonte, è il principio del moto. Non vi è origine per tale principio; dal principio si genera ogni cosa, ma esso non può nascere da null’altro; se fosse generato dall’esterno non potrebbe, infatti, essere il principio; e come non è mai nato, così non muore mai. Il principio infatti, una volta estinto, non rinascerà da altro né creerà altro da sé, se è vero che da un principio deve nascere ogni cosa. Ne consegue che il principio del moto deriva da ciò che si muove da sé; non può, quindi, né nascere né morire, altrimenti è inevitabile che tutto il cielo crolli e che tutta la natura, da un lato, si fermi e, dall’altro, non trovi alcuna forza da cui ricevere l’impulso iniziale per il movimento. [Concetto delle regole immanenti nell’universo da cui trae la sua esistenza, noi oggi conosciamo il contenuto di queste regole ma la filosofia non può che essere la stessa]. Siccome, quindi, risulta evidente che è eterno ciò che si muove da sé, chi potrebbe sostenere che questa natura non è stata attribuita all’anima? È inanimato infatti tutto ciò che trae impulso da un urto esterno; ciò che è animato, invece, viene sospinto da un moto interiore e proprio; tale è infatti la natura peculiare dell’anima, la sua essenza; se, dunque, tra tutte le cose l’anima è l’unica a muoversi da sé, significa certamente che non è nata ed è eterna.>> In CICERONE, De Republica, Somnium Scipionis. Per Cicerone perciò l’anima è quella che muove il corpo, e per questo l’anima è eterna. Ma se tra l’anima e il pensiero non c’è nessuna differenza ecco perché allora il pensiero è unico come unica è l’anima. E’ chiaro che noi ci distacchiamo da Cicerone sul concetto di “non è nata” attribuita all’anima, e crediamo nella creazione diretta da parte di Dio.

160. <<1Ci fu anche il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re a forza di flagelli e nerbate a cibarsi di carni suine proibite. 2Uno di essi, facendosi interprete di tutti, disse: “Che cosa cerchi di indagare o sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le patrie leggi”. 3Allora il re irritato comandò di mettere al fuoco padelle e caldaie. 4Diventate queste subito roventi, il re comandò di tagliare la lingua, di scorticare e tagliare le estremità a quello che era stato loro portavoce, sotto gli occhi degli altri fratelli e della madre. 5Quando quegli fu mutilato di tutte le membra, comandò di accostarlo al fuoco e di arrostirlo mentre era ancora vivo. Mentre il fumo si spandeva largamente all’intorno della padella, gli altri si esortavano a vicenda con la loro madre a morire da forti, esclamando: 6”Il Signore Dio ci vede dall’alto e in tutta verità ci dà conforto, precisamente come dichiarò Mosè nel canto della protesta: Egli si muoverà a compassione dei suoi servi”. 7Venuto meno il primo, in egual modo traevano allo scherno il secondo e, strappatagli la pelle del capo con i capelli, gli domandavano: “Sei disposto a mangiare, prima che il tuo corpo venga straziato in ogni suo membro?”. 8Egli rispondendo nella lingua paterna protestava: “No”. Perciò anch’egli si ebbe gli stessi tormenti del primo. 9Giunto all’ultimo respiro, disse: “Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna”. 10Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani 11° disse dignitosamente: “Da Dio ho queste membra e, per le sue leggi, le disprezzo, ma da lui spero di riaverle di nuovo”; 12così lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza del giovinetto, che non teneva in nessun conto le torture. 13Fatto morire anche costui, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. 14Ridotto in fin di vita, egli diceva: “È bello morire a causa

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degli uomini, per attendere da Dio l’adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te la resurrezione non sarà per la vita”. 15Subito dopo, fu condotto avanti il quinto e fu torturato. 16Ma egli, guardando il re, diceva: “Tu hai potere sugli uomini, e sebbene mortale, fai quanto ti piace; ma non credere che il nostro popolo sia stato abbandonato da Dio. 17Quanto a te, aspetta e vedrai la grandezza della sua forza, come strazierà te e la tua discendenza”. 18Dopo di lui presero il sesto; mentre stava per morire, egli disse: “Non illuderti stoltamente; noi soffriamo queste cose per causa nostra, perché abbiamo peccato contro il nostro Dio; perciò ci succedono cose che muovono a meraviglia. 19Ma tu non credere di andare impunito dopo aver osato di combattere contro Dio”.20La madre era soprattutto ammirevole e degna di gloriosa memoria, perché vedendo morire sette figli in un sol giorno, sopportava tutto serenamente per le speranze poste nel Signore. 21Esortava ciascuno di essi nella lingua paterna, piena di nobili sentimenti e, sostenendo la tenerezza femminile con un coraggio virile, diceva loro: 22”Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. 23Senza dubbio il creatore del mondo, che ha plasmato alla origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come voi ora per le sue leggi non vi curate di voi stessi”. 24Antioco, credendosi disprezzato e sospettando che quella voce fosse di scherno, esortava il più giovane che era ancora vivo e non solo a parole, ma con giuramenti prometteva che l’avrebbe fatto ricco e molto felice se avesse abbandonato gli usi paterni, e che l’avrebbe fatto suo amico e gli avrebbe affidato cariche. 25Ma poiché il giovinetto non badava affatto a queste parole il re, chiamata la madre, la esortava a farsi consigliera di salvezza per il ragazzo. 26Dopo che il re la ebbe esortata a lungo, essa accettò di persuadere il figlio; 27chinatasi verso di lui, beffandosi del crudele tiranno, disse nella lingua paterna: “Figlio, abbi pietà di me che ti ho portato in seno nove mesi, che ti ho allattato per tre anni, ti ho allevato, ti ho condotto a questa età e ti ho dato il nutrimento. 28Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l’origine del genere umano. 29Non temere questo carnefice ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia”. 30Mentre essa finiva di parlare, il giovane disse: “Che aspettate? Non obbedisco al comando del re, ma ascolto il comando della legge che è stata data ai nostri padri per mezzo di Mosè. 31Ma tu, che ti fai autore di tutte le sventure degli Ebrei, non sfuggirai alle mani di Dio. 32Per i nostri peccati noi soffriamo. 33Se per nostro castigo e correzione il Signore vivente si adira per breve tempo con noi, presto si volgerà di nuovo verso i suoi servi. 34Ma tu, o sacrilego e di tutti gli uomini il più empio, non esaltarti invano, agitando segrete speranze, mentre alzi la mano contro i figli del Cielo; 35perché non sei ancora al sicuro dal giudizio dell’onnipotente Dio che tutto vede. 36Già ora i nostri fratelli, che hanno sopportato breve tormento, hanno conseguito da Dio l’eredità della vita eterna. Tu invece subirai per giudizio di Dio il giusto castigo della tua superbia. 37Anche io, come già i miei fratelli, sacrifico il corpo e la vita per le patrie leggi, supplicando Dio che presto si mostri placato al suo popolo e che tu fra dure prove e flagelli debba confessare che egli solo è Dio; 38con me invece e con i miei fratelli possa arrestarsi l’ira dell’Onnipotente, giustamente attirata su tutta la nostra stirpe”. 39Il re, divenuto furibondo, si sfogò su costui più crudelmente che sugli altri, sentendosi invelenito dallo scherno. 40Così anche costui passò all’altra vita puro, confidando pienamente nel Signore.

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41Ultima dopo i figli, anche la madre incontrò la morte. 42Ma ora basti quanto s’è esposto circa i pasti sacrificali e le incredibili crudeltà.>>

161. E’ di questi giorni (Settembre 2010) la notizia che in Svizzera nel laboratorio di Ginevra hanno fatto esplodere una particella che ha provocato un fenomeno fino ad oggi sconosciuto. Occorre ribadire che l’atomo (o qualsiasi altra cosa) immesso nella macchina è un qualcosa di preesistente, che provoca un nuovo fenomeno. Il fenomeno non è creato dal nulla. E quindi non simula la creazione, ma l’attimo successivo, al massimo. E aggiungo che oggi (16 novembre 2010), è uscito su “Nature” la notizia che a Ginevra hanno “intrappolato” l’antimateria. Le conseguenze credo che la scienza le tirerà in seguito.

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Capitolo II.

A proposito di R. Dawkins e il suo libro “L’illusione di Dio”.

Mi sono occupato indirettamente di questo libro e del suo autore. Ora intendo affrontarlo direttamente.

In questo libro l’autore dichiara apertamente che Dio non è altro, forse,1 che una illusione, l’unica realtà che esiste è solo la scoperta darwiniana dell’evoluzione, la selezione naturale. Una dimostrazione di questa sua certezza è che è impossibile, secondo lui, rispondere alla domanda: “Se il creatore ha creato, chi ha creato il creatore?” perché questa domanda instaurerebbe un processo all’infinito. Il motivo di questo suo pensare è il rifiuto a priori (come per tutto l’ordine degli scienziati, fatte le dovute eccezioni) del principio di causa-effetto.

A questo ho già ampiamente risposto nel capitolo precedente. 1. Nel I capitolo del suo libro: “Un non credente profondamente

religioso”, l’autore racconta come dalla contemplazione della natura un suo professore divenne sacerdote. Ma dalla stessa contemplazione della natura l’autore fu portato a diventare un non credente abbracciando il darwinismo. E si chiede: perché la contemplazione della stessa natura ha portato questi due risultati così diversi? Dichiara che non è facile risolvere il dilemma.

Qualche lettore ricorderà che quando abbiamo parlato della percezione, del pensiero e della consapevolezza abbiamo risposto già a questa domanda. Ognuno di noi è un essere irripetibile. Dio non ci fa con lo stampo. Non è quindi una prova né dell’esistenza di Dio né della non esistenza. Dipende dalla percezione non solo fisica delle cose, ma dal significato che poi ciascuno dà a quello che ha percepito. Non sono queste prove di cui ci possiamo servire per dimostrare la scientificità della non esistenza di Dio. Questo aspetto percettivo della natura umana è un aspetto affascinante che presiede la conoscenza, e mette in evidenza le possibilità infinite del pensiero. Applicate alla dimostrazione della non esistenza di Dio è solo un argomento suggestivo ed emotivo.

2. Lo sforzo che l’autore, [definito etologo, biologo e divulgatore

scientifico, quindi uno scienziato; e che da quando ha pubblicato il suo libro <<non è più soltanto uno scienziato famoso, un brillante divulgatore e uno degli intellettuali più influenti del nostro tempo: è diventato l’ateo più celebre del mondo>>3] fa per non credere nell’esistenza di un progetto intelligente è molto grande.

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I suoi argomenti, alla fine, non sono quelli scientifici, tolto il riferimento costante al darwinismo, (ammesso che Darwin volesse dire quello che gli hanno da sempre attribuito… e ammesso che il darwinismo sia una teoria scientifica inconfutabile… ma sarà poi così vero? Mi pare di no facendo riferimento a quanto scritto in precedenza).

Prima di andare avanti vorrei riproporre il brano di Darwin citato da Dawkins per analizzarlo sotto questa nuova luce:<<Così, dalla guerra della natura, dalla carestia e dalla morte, direttamente deriva il più alto risultato che si possa concepire, cioè la produzione degli animali superiori. Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita, con le sue diverse forze, originariamente impresse [dal Creatore]4 in poche forme, o in una forma sola; e nel fatto che, mentre il nostro pianeta ha continuato a ruotare secondo l’immutabile legge della gravità, da un così semplice inizio innumerevoli forme, bellissime e meravigliose, si sono evolute e continuano ad evolversi.>> 5

Questo brano, proprio a causa di quella parentesi quadra, ci dice che Darwin nella contemplazione della natura si rende conto immediatamente, in quell’attimo di riflessione che si può assomigliare all’istinto, che questo motore è stato messo in moto da qualcuno. L’autore, pur citandolo per tirare acqua al suo mulino, in fondo ammette che il suo è uno sforzo molto intellettuale. Anche lui, come già ho mostrato, è stato costretto a ricorrere al fatto che qualcuno deve aver acceso il motore. (Vedi nota 18 del I cap.).

Ripeto, la scienza si può chiamare tale, solo quando scopre leggi esistenti in natura, o realtà nuove, che possono essere dichiarate verità inconfutabili, e sottostà quindi alla prova della ripetizione all’infinito di quel principio e di quell’esperimento, come la legge di gravità, la radio e così via.

Gli argomenti di questo scienziato, e non solo, sono alla fine, argomenti di una qualsiasi persona normale che afferma di non credere per suoi svariatissimi argomenti personali, spesso, frutto di esperienza negativa (ad esempio con delle generalizzazioni: i preti non fanno quello che dicono), e questa esperienza personale diventa un meccanismo di difesa, che porta l’individuo a chiudere l’argomento come se questo fosse un argomento inconfutabile. Tutti i preti sono così, quindi la Chiesa non dice la verità, non serve, non può essere di origine divina come essa afferma di se stessa e quindi ciò che afferma è certamente falso. Conseguenza: Dio non esiste.

Aggiungo: il fatto che esiste la religione non è un argomento per dimostrare l’esistenza o la non esistenza di Dio. Dio, come ho già detto nella premessa, o esiste di proprio, a prescindere dalla coerenza dei suoi credenti, o non esiste. Lo stesso argomento che ho

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portato circa “la gelosia” attribuita a JHWH riguardo agli altri dei. Quindi questo è soltanto un argomento di ordine emotivo, personale e non scientifico.

3. A parte questo riferimento polemico, l’autore identifica,

spesso e volentieri, l’esistenza di Dio con la “religione”. Questo equivoco purtroppo è un pregiudizio di molti. In tale equivoco quando vi cade una persona normale, può dirsi

un fatto “normale”; sorprende che vi cada uno scienziato. Mi sarei aspettato, da uno scienziato, una capacità di distinzione

tra l’esistenza di un Creatore, e l’istituzione della religione, ad esempio.

Mi spiego meglio. L’autore dedica un intero capitolo a Le origini della religione

(cap. V). Cerca di dimostrare che la religione non trova spiegazione nelle teorie darwiniane (la selezione naturale). Facendo tutte le ipotesi possibili da quelle psicologiche a quelle sociologiche e politiche, non c’è assolutamente posto per la religione nella verità darwiniana, a suo dire.6 Quindi se la religione non ha nulla a che fare col darwinismo essa non può essere che “il risvolto di un particolare meccanismo irrazionale inscritto nel cervello: la tendenza a innamorarsi che ha presumibilmente vantaggi genetici” che è “l’ipotesi affascinante di Dennett”. Quindi procede con il metodo di mettere in correlazione la religione con l’innamoramento, citando se stesso: <<Misi a confronto l’innamoramento con la religione nel 1993, quando notai che i sintomi di un individuo contagiato dalla fede ricordano in modo sorprendente quelli che di solito si associano all’amore sessuale. L’amore sessuale è una forza assai potente nel cervello e non c’è da stupirsi se alcuni virus si sono evoluti per sfruttarlo.>>7

E’ un modo di procedere logoro e che non ha niente di scientifico. Quando si parla di innamoramento, gli psicologi distinguono tra gli effetti persistenti e quelli transitori di questo stato d’animo, tra vero amore e infatuazione. Altrettanto quando si parla di uomo religioso, si deve distinguere: chi ha una mente sana e usa la religione in modo coerente e consapevole, da colui che si “rifugia” nella religione perché senza quel bastone le sue sicurezze crollano. In questo caso si parla di rifugio, si parla di infatuazione, di frustrazione… e non del senso religioso normale. E’ chiara la distinzione. Anche il Dawkins avrebbe dovuto tener presente questa distinzione.

L’esistenza di Dio, comunque, non dipende dalla religione. Le religioni sono tante, Dio, non può che essere uno.

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Questo sta a dimostrare che non è l’istituzione religiosa che determina l’esistenza di Dio. Non posso arrivare a dire che “Dio non esiste” solo, ad esempio, se il Papa della Chiesa cattolica fosse una persona non perbene; così come affermare il contrario. Questi sono argomenti dovuti all’aspetto emotivo, lo ripeto, e non toccano la scienza. L’argomento per provare l’esistenza o la non esistenza di Dio, non può attingere all’emotività, o a fatti contingenti.

Nella morale “cattolica” questo atteggiamento viene definito “scandalo dei pusilli” (piccoli di vedute), cioè di coloro che, in modo superficiale, si scandalizzano e considerano una cosa non vera perché chi lo predica poi non lo fa. Questo vale per tutte le istituzioni sociali, politiche e quant’altro.

Proclamare un valore, se esso viene riconosciuto tale, non dipende da chi lo asserisce, ma dalla sua intrinsecità. Affermare che non si deve uccidere, faccio un esempio al limite, è vero, anche se viene detto da un assassino.

Non mi sembrano, ripeto, argomenti da scienziato, piuttosto da sociologo che vuole spiegare che una determinata categoria di persone o un’istituzione (leggi Chiesa cattolica-cristiana, in modo particolare) sono quantomeno inutili, se non addirittura dannosi, all’aspetto sociale e morale dell’uomo, e della vita dell’uomo sulla terra. Dal punto di vista sociale questa è una tesi sostenibile, sempre che, chi la sostiene, riesca a provarla con argomenti validi. L’esistenza della religione rientra nel mondo fenomenologico non in quello trascendente. Questo aspetto andrebbe sostenuto e provato per altri fini e non per dimostrare la non esistenza o esistenza di Dio. Comunque questo è un argomento d’uso assai comune, ma non prova assolutamente nulla. Ultimamente è diventata una moda, come dimostra la moltitudine di libri già citati che riguardano la manomissione della Bibbia, la storia dei mali del Vaticano, e possiamo aggiungerci anche la storia di quei Papi che non hanno onorato né se stessi né la Chiesa. Ma è solo uno sforzo intellettuale per trovare a tutti i costi, anche contro l’evidenza, l’inesistenza di un Creatore del Creato.

4. La religione, secondo me, ha origine dall’esigenza dell’uomo

primitivo che non sa spiegarsi la maggioranza dei fenomeni naturali8. Mentre per noi oggi è normale sapere perché piove, grazie agli scienziati, per l’uomo primitivo era un fenomeno “soprannaturale” cioè superiore a lui; per spiegarsi il fenomeno doveva evocare “qualcuno” che decidesse di far piovere o di non far piovere, soprattutto se era un evento che non corrispondeva alle reali esigenze che lui aveva in quel momento. Era in questi frangenti che l’uomo primitivo entrava in fibrillazione.

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La religione nasce quando nell’uomo si sviluppa il concetto di un altro da sé, più grande di sé. Facendo un riferimento a quanto finora detto, potrebbe essere la prima reminiscenza di un essere superiore, anche se inizialmente immanente. Nasce l’esigenza di credere che esiste qualcuno, anzi, più di qualcuno che fa girare quello che c’è e che io vedo, sento, tocco ecc. ma questa realtà non è una realtà “trascendente”, essa è immanente, sta dentro il sistema, anche se non cade sotto i sensi. Ed è anche il risultato di una semplice riflessione: non sono stato io a fare tutto ciò che mi circonda e allora chi è stato? Ogni fenomeno naturale, inspiegabile, diventa una divinità. Pensiamo alle religioni animiste, feticiste, alla religione egiziana, a quelle mesopotamiche, e via via fino alla mitologia greca - romana. E’ quella che gli studiosi chiamano “Religione naturale”.

La religione nasce, perciò, come esigenza di conoscenza. L’uomo vuole sapere il perché dei fenomeni, e li spiega con una struttura sociale che fa riferimento al sacro come struttura gerarchica: il re, il faraone non sono che incarnazioni, figli di divinità superiori, ad esempio il sole. Infine, conseguenza di questo, è l’attribuzione-delega di poteri magici-divini agli stregoni, ai maghi, e a quanti altri si appropriano, del tutto arbitrariamente, qualche volta in buona fede, spesso in malafede, di poteri pseudo soprannaturali, sfruttando le paure e i disagi. Questo esiste ancora oggi. Purtroppo.

Più tardi, circa 4000 anni fa nasce una religione che non adora più un’infinità di divinità, ma una sola: è il monoteismo ebraico. Nasce il concetto di “trascendente”, “invisibile”, “creatore”, “onnipotente”, “onnisciente”. O semplicemente “Religione Rivelata”.

Questo passaggio è fondamentale. Nella Bibbia è ben visibile. E tutta la Bibbia, V. e N.T. condanna ogni forma di magia.

Dell’origine del monoteismo ne ho già parlato nel I capitolo. Il Dawkins scrive: <<Esiste un’intelligenza sovrumana e soprannaturale che ha

deliberatamente progettato e creato l’universo con tutto quanto vi è compreso, inclusi noi. In questo libro [il suo] io sosterrò un’altra ipotesi: Qualsiasi intelligenza creativa abbastanza complessa da progettare qualcosa è solo il prodotto finale di un lungo processo di evoluzione graduale.>> (p. 39).

Il suo ragionamento, citato in una delle note (vedi nota 86 del I cap.) di questo mio scritto, è che Dio, se esistesse, non potrebbe che essere il prodotto finale dell’evoluzionismo, sarebbe un Essere altamente complesso per cui, conclude, è impossibile la sua esistenza. Ma come già detto, quando ho parlato della creazione attraverso la Parola, Dio non è un Essere complesso, ma è semplice. E’ anche quello che afferma Tommaso D’Aquino.8

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L’intento del nostro è chiaro. Parla di intelligenza creativa complessa che non è un Essere a se stante, ma il prodotto finale del processo evolutivo, e dovendo arrivare, in ordine di tempo, per ultimo, in quanto più complesso, è chiaro che non può essere il creatore, da cui la sua conclusione: <<Siccome si sono evolute, le intelligenze creative arrivano giocoforza tardi nell’universo e non possono quindi averlo progettato. Dio, nel senso sopra definito, è un’illusione; e, come dimostrerò negli ultimi capitoli, un’illusione perniciosa.>> (p. 39)

E ancora parla delle religioni politeiste e del passaggio al monoteismo:

<<Non c’è da stupirsi se, fondandosi su tradizioni locali di rivelazioni private anziché su prove concrete, l’ipotesi di Dio si presenta in varie versioni. Secondo gli storici delle religioni, l’idea di divinità avrebbe compiuto un progresso, passando dall’animismo delle tribù primitive al politeismo di greci, romani e vichinghi, e dal politeismo al monoteismo dell’ebraismo e dei suoi derivati, il cristianesimo e l’islamismo. Non si capisce perché il passaggio dal politeismo al monoteismo sia ritenuto automaticamente un progresso, ma tale è l’opinione prevalente.>> (p. 39).

Non sto qui a ripetere quanto già detto sul monoteismo, sul trascendente e la sua razionalità.

L’assunto del Dawkins, anzi il suo dogma, è l’immanenza. Il suo darwinismo è di tipo dogmatico. E per quanto riguarda la religione, tutte, lo vive come una

istituzione piena di privilegi, che vengono accordati ai suoi seguaci e non a coloro che non sono religiosi. Cita le varie istituzioni religiose che godono, in quanto tali, di privilegi statali… In fondo se la società si basasse su una istituzione ateistica, i privilegi l’avrebbero gli atei e non i fedeli. La storia del comunismo ce lo insegna. E la storia non cambia. Ma non ne tiene conto.

Ma cosa c’entra questo con l’esistenza di Dio? Anche qui devo ripetermi e citare i libri che parlano del Vaticano e delle manomissioni della Bibbia a fini solo di potere, citati anche da lui. Questo non c’entra con l’esistenza di Dio, al massimo con le varie ipotesi di manomissioni della storia, approfittando di una posizione di potere. Difficilmente volute a tavolino, come sostiene Augias, ma dovute alla condizione umana in quanto tale. Per intenderci, allargando il concetto, non possiamo equipararle ad associazioni segrete o mafiose.9 Sarebbe frutto di un’intelligenza talmente fine e perversa da essere paragonata a quella di una divinità cattiva. A questo punto, anzi, sarebbe più giusto trovare argomenti per dimostrare che è opera del maligno, o, per restare in tema biblico,

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del “serpente”. Forse, se chi pensa e scrive tutto questo si rifacesse a una mente superiore e non a una mente umana, sarebbe più credibile.

5. Quando poi passa all’aspetto delle prove razionali portate dai

vari autori come Tommaso D’Aquino, Anselmo d’Aosta, e altre, il Dawkins le classifica subito come prove e come elementi <<codificati per secoli dai teologi e integrati dai non teologi, tra cui gli alfieri di un malinteso “senso comune”>>. (p. 81.) Infatti, parlando di S. Tommaso, lo liquida in modo sbrigativo affermando che le sue “vie” <<non dimostrano niente e si può facilmente provarne l’inconsistenza, anche se spiace dirlo, vista l’eminenza del filosofo. Le prime tre10 sono solo modi diversi di affermare la stessa cosa e converrà analizzarle in blocco. Riguardano il processo a ritroso: la risposta a una domanda solleva una domanda antecedente e così via ad infinitum.>> (p. 81)

La sua critica è questa: <<Tutte e tre le “vie” si basano su un infinito processo a ritroso e invocano Dio come colui che vi pone fine, partendo dal presupposto arbitrario che Dio stesso sia immune da tale processo.>> (p.82)

Ma perché è arbitrario invocare Dio per porre fine a un processo altrimenti infinito?

Ecco la sua risposta:<<Anche se ci concediamo il dubbio lusso di far comparire arbitrariamente un essere che pone fine a un processo infinito e di dargli un nome solo perché ci serve, non c’è nessun motivo di attribuirgli le proprietà di norma attribuite a Dio: onnipotenza, onniscienza, bontà, progettualità, nonché attributi umani come l’esaudimento di preghiere, il perdono dei peccati e la lettura dei pensieri più riposti. Per inciso, non è sfuggito all’occhio dei logici che onniscienza e onnipotenza sono reciprocamente incompatibili. Se Dio è onnisciente, deve sapere in anticipo come modificherà il corso della storia usando la sua onnipotenza ma ciò significa che non può cambiare parere e quindi che non è onnipotente.>> (p. 82)

Affronto un argomento alla volta. Il primo è che lui non spiega né logicamente, né

scientificamente il motivo per il quale invocare Dio per chiudere questi processi, altrimenti infiniti, è arbitrario. Non ha il coraggio di dire esplicitamente che nega il principio di causa-effetto. Potrebbe essere stato un argomento, perlomeno, logico secondo lui. Ma non spiega perché sarebbe un arbitrio invocare qualcuno più grande dell’uomo stesso che chiude questo il processo. Anche Russell ci ha provato. Sorvola su una motivazione anche piccola e scivola subito verso gli attributi di Dio che sono il secondo argomento.

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Se Dio sa in anticipo il futuro, questo è immodificabile, altrimenti va all’aria la sua onnipotenza. Il ragionamento in sé è logico. Ma da quale episodio della storia risulta che Dio ha fatto marcia indietro?

In questo potrei dargli una mano citando la Bibbia, quando dice che Dio “si pentì” di aver creato l’uomo, prima del diluvio, e quindi voleva annientare la sua creatura. Ma neanche questo potrebbe aiutarlo, perché nella sua onniscienza Dio aveva anche previsto la libertà dell’uomo, come dimostra l’episodio del peccato originale. (Vedere Appendice 1).

Dio, nel “progetto” ha investito contemporaneamente sia la sua onnipotenza che la sua onniscienza. Dio non agisce col dubbio e con l’incertezza.

Comunque, non contento, di questa apparente logicità, ne invoca un’altra: <<Per tornare al processo infinito e all’inutilità di ricorrere a Dio per arrestarlo, non sarebbe più pratico, per esempio, evocare la “singolarità del Big Bang” o qualche altro concetto fisico ancora sconosciuto? Chiamare Dio a svolgere questa funzione è, nella migliore delle ipotesi, inutile e, nella peggiore, pericolosamente fuorviante.>> (p. 82)

Il nostro autore non vuole rassegnarsi e continua a non citare il processo di causa-effetto dimostrandoci scientificamente, o razionalmente, come a suo tempo fece Hume, la presunta inconsistenza dell’argomento. Seguita ad elaborare concetti che si rifanno alle ipotesi scientifiche come il Big Bang che potrebbe, secondo lui, mettere fine al processo. Non mi resta che rinviare il lettore al I capitolo dove ho già affrontato questo argomento. E seguitando, il Dawkins, cita la “scoperta” dell’atomo che pone fine all’ultima divisione possibile della materia. Anche qui occorre ragionare con altre categorie. L’uomo non ha “inventato” l’atomo, con la sua intelligenza ha solo “scoperto” l’atomo. Una volta scoperto ha applicato le sue conseguenze. L’atomo è anch’esso parte del “progetto intelligente”, comunque si giri l’argomento. L’intima consistenza della materia fa parte del “progetto intelligente”. Non è una creazione dell’uomo. L’atomo è la quintessenza della materia. Il concetto Dio, resta comunque in piedi, sempre perché la ragione dell’uomo non è che il riflesso di quella di Dio. La ragione non “inventa” o “crea”, la ragione “scopre”. Voglio di nuovo citare il versetto del Genesi 1, 28:

<<28Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare

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e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”>>. E’ questo il compito dell’uomo: scoprire, conoscere se stesso e

ciò che lo circonda. Tralascio le altre due “vie” criticate dal nostro per passare

all’argomento “ontologico” di Anselmo d’Aosta: <<L’argomento di Anselmo ha una curiosa peculiarità: in

origine non si rivolgeva agli uomini, ma a Dio stesso sotto forma di preghiera (è mai possibile che un’entità capace di ascoltare una preghiera abbia bisogno di farsi convincere della propria esistenza?).9 Si può concepire un essere così grande che niente di più grande possa essere concepito, sosteneva Anselmo. Perfino un ateo può figurarsi tale essere superlativo, anche se ne negherebbe l’esistenza nel mondo reale; ma, prosegue l’argomento, un essere che non esiste nel mondo reale è per ciò stesso meno che perfetto. Dunque, vi è una contraddizione e – oplà – Dio esiste!>> (pp. 84-85)

Intanto è da premettere la logica di Anselmo che si esprime in questi termini: il primo logico è il primo ontologico. Perché Dio è il primo logico? L’argomento tante volte ripetuto: se esiste un mondo non fatto dall’uomo, è logico che deve esistere qualcuno più grande dell’uomo stesso che abbia potuto farlo. O se non vogliamo accettare l’aggettivo “più grande”, dobbiamo accettare comunque una realtà temporale che viene prima di tutte le cose. Dal momento che questo argomento è logico, la conseguenza è che l’Essere che ha fatto tutto questo appartiene ad un’altra dimensione: il trascendente, l’ontologico, o per restare nella categoria tempo, deve averlo fatto prima dell’esistenza dell’uomo. Quindi non è una creazione fantasiosa.

Non c’è nulla di scandaloso, di ridicolo o fantastico. E’ vero che chiunque può costruirsi nella fantasia un essere

inventato che non esiste nella realtà, ad esempio King Kong. E’ chiaro che è un essere fantastico, e l’autore ne è pienamente consapevole; non ha nulla a che vedere con un ragionamento logico qual è quello di Anselmo. Anselmo non crea dalla fantasia, argomenta e deduce.

Il nostro autore si sente offeso per la citazione biblica usata da Anselmo:

<<Anselmo d’Aosta citò infatti il primo verso del Salmo 14, “lo stolto pensa:”Non c’è Dio!”, ed ebbe l’impudenza di usare l’aggettivo “stolto “ (in latino insipiens) per il suo ipotetico ateo.

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Quindi , perfino lo stolto è convinto che, almeno nell’intelletto, esiste qualcosa di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore, poiché egli lo intende, quando lo sente dire, e tutto ciò che si intende esiste nell’intelletto. Ma certamente ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore non può resistere nel solo intelletto. Infatti, se esiste nel solo intelletto, si può pensarlo esistente anche nella realtà e questo allora sarebbe maggiore>> (Anselmo d’Aosta, Prosologion, Milano, Rizzoli, 2005) (p. 85.)

A S. Anselmo, giova ricordarglielo, va aggiunto anche Paolo, nella Lettera ai Romani, capitolo 1, 18, 22:

<<18In realtà l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, 19poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. 20Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; 21essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. 22Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 23° hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.>>

Il salmo 14, S. Anselmo e S. Paolo, se siamo in grado di andare oltre la semplice espressione, parlano di chi non vuole fare i conti con la realtà, e non offendono personalmente chi non crede, cosa che è contro i principi della Bibbia.12 Dichiarano come ragionamento logico ciò che una mente sgombra da pregiudizi, da sola può arrivare a pensare. E cioè che se esiste un creato deve esistere un creatore. L’aggettivo stolto non è un’offesa alla dignità dell’uomo, e neanche vuole offendere la libertà, ma è dire che è impossibile non vedere l’evidenza. Si riferisce a chi, pur vedendo nega di vedere. Il nostro autore, pur avendo gli strumenti per arrivare a chiudere quello che lui definisce un processo ad infinitum, quando arriva al dunque fa marcia indietro. Però, suo malgrado, almeno due volte chiude l’argomento “logicamente”. Uno quando cita Darwin con la parola tra parentesi quadre “Creatore”, due quando deve ammettere che il processo della vita non può nascere dal nulla. (p. 143)

Potrebbe essere un altro motivo di riflessione. Non vorrei dire eresie, ma il principio di Einstein che asserisce che l’Energia equivale alla massa moltiplicato l’accelerazione al quadrato, potrebbe arrivare al punto da identificarsi con l’infinito e l’eternità. Cioè va fuori del tempo e dello spazio. E’ possibile affermare che l’Energia pura può corrispondere alle dimensioni eternità e infinito? Se vogliamo, si può fare un esempio, in cui la massa è una pallina da

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tennis. Primo caso la pallina da tennis viene lanciata a bassissima velocità e mi arriva in faccia non mi fa male. Ma se viene lanciata a 200 km all’ora e mi colpisce, potrebbe uccidermi. Ora immaginiamo una velocità infinita, questa massa a quella velocità si annulla per diventare energia pura. Anche un principio di fisica, quando è scientifico, può portarci fino all’ontologico. In fondo è l’esperimento in atto a Zurigo con l’accelerazione dell’”atomo”.

Le altre prove dell’esistenza di Dio che il nostro autore confuta sono ancora l’argomento della bellezza, l’argomento dell’esperienza personale, l’argomento delle Scritture, la scommessa di Pascal, e gli Argomenti bayesiani.

Lascio al lettore di approfondire da solo, qualora lo volesse. Comunque l’argomento delle Scritture è un argomento che

porto come pregiudiziale di questo libro, per cui le ho citate, o le citerò, quando è stato o sarà necessario.

6. Perché è quasi certo che Dio non esiste. Questo è il titolo del

capitolo IV. La prima cosa che debbo dire è il “quasi”. Lo dice per convinzione, o è solo ironico?

Il capitolo si apre con una citazione del Presidente Jefferson sulla paura degli ecclesiastici per il progresso della scienza. Siamo nell’ ’800 e la scienza credeva di poter sostituire Dio da un momento all’altro. Cosa che non è avvenuta con buona pace di Jefferson e tranquillità degli ecclesiastici.

Il primo argomento che usa l’autore è quello dell’improbabilità, usata dai teisti per dimostrare che ciò che esiste, esiste non per via del “caso” ma per l’esistenza di un progetto intelligente. Secondo il Dawkins questo stesso argomento è invece più efficace per dimostrare il contrario.

L’argomento principe è sempre il darwinismo come spiegazione di tutto. Ma mi debbo ripetere e dire ancora che, a mio modo di vedere, se sgomberiamo la mente dai pregiudizi, sia il Big Bang che il darwinismo, sono ipotesi compatibili e consequenziali al creazionismo. Il mio “creazionismo”, come ho già detto è di tipo deterministico, non un creazionismo diretto, usato dal Dawkins che lo porta a pensare un Dio complicato.

Un aspetto nuovo nel suo argomentare è quello del “culto delle lacune” (p. 127). In definitiva è l’argomento che si usa quando una cosa non si capisce allora si ricorre all’espressione “è così perché così vuole Dio”. Cita il Bonhoeffer che scrive: <<non dobbiamo attribuire a Dio il ruolo di tappabuchi nei confronti dell’incompletezza delle nostre conoscenze; se infatti i limiti della conoscenza continueranno ad allargarsi - il che è oggettivamente inevitabile - con essi anche Dio viene continuamente sospinto via, e

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di conseguenza si trova in una continua ritirata.>> (Tratto da Resistenza e Resa).13

Questo argomento, che è un’ammissione di ignoranza e di incertezza temporanea di argomenti, è importante per la scienza perché spinge lo scienziato ad andare sempre più avanti, mentre per i creazionisti è “una tremenda disdetta”. La cosa non mi sembra rilevante per quello che vengo dicendo: non mi pare che nell’argomentare cerco di delegare Dio a riempire i vuoti con la sua onnipotenza e onniscienza. Il principio che mi guida è esattamente l’opposto, è Gen. 1,28. In ogni caso, se il creazionista è quello descritto dall’autore, certamente quello non sono io.

Un altro argomento usato dall’autore è il principio “antropico” di cui mi sono già occupato.

Nel suo libro si occupa anche di un convegno a Cambridge organizzato da Templeton Foundation, nel quale lui era stato invitato come rappresentante del mondo ateo contro altri illustri scienziati credenti e teologi di cui cita brani delle loro conferenze per dimostrare che non sono argomenti che dimostrano l’esistenza di Dio.

E alla fine del capitolo riassume in sei punti. Eccoli: Per secoli, una delle più grandi sfide per l’intelletto umano è

stato spiegare come mai l’universo sia così complesso e improbabile da apparire frutto di un progetto.

La tentazione naturale è quella di attribuire all’apparenza lo statuto di realtà. Nel caso dei manufatti umani, come un orologio da polso, il progettista è davvero un tecnico intelligente; perciò si è tentati di applicare la stessa logica a un occhio, un’ala, un ragno o una persona.

La tentazione è fuorviante, perché l’ipotesi del progettista solleva immediatamente il problema più vasto di chi abbia progettato il progettista. Il problema da cui eravamo partiti era quello di spiegare l’improbabilità statistica e, ovviamente, non è una soluzione postulare qualcosa di ancora più improbabile. Abbiamo bisogno di una <<gru>>, non di un <<gancio appeso al cielo>>, perché solo una gru può permetterci di passare in maniera graduale e plausibile dalla semplicità a una complessità altrimenti improbabile.

La gru più ingegnosa e potente che sia stata scoperta finora è l’evoluzione per selezione naturale. Darwin e i suoi successori hanno dimostrato che, con la loro incredibile improbabilità statistica e un’apparenza che suggerisce il progetto, le creature viventi si sono evolute per gradi molto lenti da organismi più semplici. Ora possiamo affermare con sicurezza che l’impressione di un progetto è solo un’illusione.

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Non c’è ancora una gru equivalente in fisica. In linea di principio, alcune teorie del multiverso potrebbero svolgere in questo campo la stessa funzione esplicativa che il darwinismo svolge in ambito biologico. Il multiverso appare meno soddisfacente del darwinismo, perché fa maggiore assegnamento sulla fortuna, ma il principio antropico ci autorizza a postulare più fortuna di quella che la nostra limitata intuizione umana si sente di auspicare.

Cerchiamo di non abbandonare la speranza che si presenti anche in fisica una gru migliore, potente quanto il darwinismo in biologia. Ma, anche in mancanza di uno strumento soddisfacente come l’evoluzione, le gru relativamente deboli che abbiamo al momento attuale sono, soprattutto se sostenute dal principio antropico, assai migliori dell’illusorio gancio appeso al cielo rappresentato dal progettista intelligente. (pp. 360-61)

Conclusione. In questi sei punti l’autore riassume il suo pensiero. Ho cercato

di dimostrare che i suoi argomenti non sono tratti da prove scientifiche ma da considerazioni emotive e sociologiche; d’altra parte l’unico argomento scientifico usato dal Dawkins è il darwinismo. Quando arriva ad affrontare un vero argomento scientifico come quello dell’origine della vita, pur ammettendo che essa non può venire dal nulla, poi non argomenta di conseguenza.

Il mio assunto, invece, è quello che tra la Bibbia e la scienza è possibile trovare un punto d’incontro, anzi la scienza ha il compito di “conoscere” la realtà. Questa non può essere spiegata con la sola immanenza. La scienza, giustamente, limita il suo campo, al fenomeno, ma non deve e non può, escludere “ a priori” il “noumeno” di kantiana memoria. Quando la Bibbia invoca il trascendente, sia per la creazione che per le qualità prettamente umane, la Bibbia dice che questo ha il suo fondamento nella realtà fisica, ma non è sufficiente perché senza il ricorso al trascendente, la realtà fisica resta monca. La frase di Lidtz che la mente non può essere contenuta dentro il cranio, è un buon motivo realistico per non escludere il trascendente. E d’altronde il “fenomeno” uomo non può essere ridotto a una macchina. Lo sforzo, secondo il mio modo di vedere le cose, deve diventare uno sforzo comune per arrivare alla “Verità”.

Anche Jung nell’opera più volte citata dice: <<Secondo me la fede non esclude la ragione (che è l’arma più potente dell’uomo), ma disgraziatamente molti credenti sembrano così impauriti dalla scienza (e, incidentalmente dalla psicologia) da essere

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completamente ciechi di fronte alle forze psichiche soprannaturali che dominano incessantemente il destino degli uomini.>> (p. 76). Si sottolinea la resistenza del credente a una dimostrazione ragionevole della fede per la paura che la fede non possa reggere la prova della ragione. Ma non è così.

Nella Bibbia è contenuto sia il fenomeno che il noumeno. Acquisire il “trascendente” è l’inizio di una consapevolezza

nuova, una forma di evoluzione del pensiero. Esiste una realtà che non cade sotto i nostri sensi. E’ il passaggio dallo “spiritismo” delle religioni magiche, che concepivano lo spirito invisibile, ma immanente nelle cose, che di per se stesse sarebbero state inanimate, a uno spiritismo trascendente, che esiste da solo senza il supporto della materia e che alla materia infonde la vita. E’ fondamentale per lo sviluppo del concetto di uomo, per capire la sua origine.

Questo passaggio, che piaccia o no, al signor Dawkins, esiste solo nella Bibbia. Credo che l’importanza della Bibbia sia soprattutto questo: il passaggio da un mondo immanente nel quale c’era la materialità che conviveva con lo spirito (basta pensare al Regno dei Morti egiziano, all’Ade greco-romano), al passaggio ad un mondo separato e distinto profondamente che non è più un “luogo” (Ade, Campi Elisi e così via), ma una dimensione, cioè un modo di vivere diverso.

La creazione dal nulla, il concetto di tempo-spazio in contrapposizione eternità-infinito, un Dio che si definisce Io sono l’esistenza,15 sono queste le nuove categorie introdotte dalla Bibbia. Non solo la storia di un popolo. Non solo una visione maschilista e repressiva della società. Non solo episodi che sembrano contraddittori all’interno della Bibbia.

Il tempo e lo spazio sono le dimensioni vitali nelle quali siamo inseriti noi uomini e tutto il resto del creato. L’eternità e l’infinito sono le dimensioni dove si “colloca” il creatore.16 E queste dimensioni non sono dimensioni religiose, sono dimensioni di cui si deve occupare anche la scienza, la filosofia. Come del resto scienziati e filosofi seri hanno già fatto.17

Del resto di cui si occupa il Dawkins, e cioè della organizzazione del mondo ebraico da lui descritta in modo grottesco e non scientifico, fa parte, in ogni caso, di una organizzazione, cioè della “religione”, fa parte della storia di un “popolo” che non è “il solo popolo”. A questo popolo fu affidata una missione che si è conclusa con la Passione, Morte e la Resurrezione di Cristo. Questi valori vanno ben al di là di una “religione”.

Se la religione la descriviamo così, essa non è che un fatto sociale e sociologico, e come tutte le società sono destinate a

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modifiche profonde nel corso dei secoli. Il popolo ebreo dell’A.T. certamente non è paragonabile allo Stato di Israele di oggi. Le prime comunità cristiane, non sono paragonabili al cristianesimo globale di oggi.

Questo, è vero, è contenuto nella Bibbia come storia del popolo ebreo prima e di quello cristiano dopo. Anche per questo, però, esiste una spiegazione. In ogni religione ci sono dei principi che vanno oltre l’organizzazione sociale e comunitaria e che persistono nel tempo. Nella religione cristiana il punto fondamentale, il principio discriminante è la salvezza.

Questa, appunto, è un’altra cosa. E’ l’aspetto del trascendente che noi dobbiamo cercare nella

Bibbia e chiederci come sia avvenuto questo passaggio repentino (storia di Abramo, non banalizzabile nei suoi episodi storici che sicuramente tali non sono, nel senso che ho sempre detto); passaggio non dovuto certamente all’influsso delle culture limitrofe (mesopotamiche o egiziane), ma ad un intervento che la Bibbia attribuisce a una Voce che dice ad Abramo di lasciare una terra per andare in un’altra che sarà per lui la “terra promessa”. Questo è il messaggio principale. Una terra promessa che non poteva essere solo una terra usurpata, luogo che diventa storia di un popolo e che serve a realizzare la Promessa. La terra promessa, oggi lo possiamo dire, ha un messaggio universale. E’ la “terra” che chiamiamo universo che è di tutti, non di un solo popolo. In questo messaggio il contenuto è certamente simbolico, nell’accezione fin qui espressa tenendo presente anche Jung. Ma, come sappiamo, la storia ha il suo corso attraverso il tempo che cambia non solo l’aspetto biologico dell’uomo, non solo l’aspetto sociale, ma anche il suo aspetto interiore e metafisico. Il concetto di universalità è da sempre contenuto nella Bibbia, come già detto. La Bibbia, è vero, contiene gli espisodi che Dawkins cita nel suo libro, ma tutti sappiamo che quegli episodi fanno parte della “storia”, quindi incarnazione nel tempo che modifica gli usi, i costumi e la morale di un popolo; anche se questo popolo crede nel suo Dio, che sembra avallare episodi al limite o oltre il limite della moralità accettabile. Quale popolo non deve annoverare nella sua storia fatti deprecabili? Anche se questi fatti sembrano essere avallati da un riferimento a un Dio che per definizione non potrebbe avallarli senza entrare in contraddizione con se stesso? Sono episodi che, anche se fossero storicamente veri, non sono avallati da una esplicita dichiarazione di moralità da parte dello stesso Dio. L’intervento di Dio nella storia non è un intervento come quello di un monarca che avalla con delle leggi anche fatti esecrabili, l’intervento di Dio è solo “provvidenziale” ai fini di una storia più ampia ed universale: la finalità è quella di permettere a

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tutti di accedere liberamente alla salvezza. Di passi in avanti ne sono stati fatti, anche grazie all’evoluzione (quella a 360 gradi di cui ho parlato). Per fortuna. Oggi siamo anche in grado di distinguere l’errore del singolo da una norma generale che potrebbe avallarne l’errore.

Il problema di molti è quello di non accettare il concetto di evoluzione nei costumi dettati dal determinismo insito nella creazione. Dio ha creato l’uomo perfetto, ma poi decaduta questa perfezione iniziale, l’uomo è alla continua ricerca di quel “Paradiso perduto”. Se non si accetta questa visione “storicistica” è facile perdersi nei meandri della critica ai vari episodi, e in quelli di una casistica infinita.

Non critico il Dawkins per la sua lettura nuda e cruda dei fatti e misfatti biblici. E’ scritto e sarebbe da sciocchi negarlo. Ma bisogna cogliere nella Bibbia il messaggio dell’Alleanza che ne garantisce la coerenza interna, al di là dell’episodio. Una mente libera da pregiudizi, dovrebbe essere in grado di distinguere la “religione” dall’esistenza di Dio, che vuole la felicità ultima dell’uomo. Così, secondo me, va letta la Bibbia.

La storia del popolo ebraico rientra nel progetto salvifico di cui stiamo parlando e che vedremo in seguito. Dio lo sceglie per una finalità a beneficio di tutta l’umanità.

In conclusione devo citare il libro di ALISTER & JOHANNA MCGRATH, L’illusione di Dawkins. Il fondamentalismo ateo e la negazione del divino. Alfa e Omega.

Il libro edito dalla stessa casa editrice di quello di A. Flew e nella stessa collana “La Bussola”, viene così recensito:<<L’utopica visione di Richard Dawkins di un mondo senza religione viene qui abilmente smantellata dall’erudito discorso di MacGrath. Il suo collega di Oxford dimostra con chiarezza le lacune, le inconsistenze e la sorprendente mancanza di profondità nell’argomentazione di Dawkins>> (Owen Gingerich, professore di astronomia presso l’Università di Harvard).

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Note Capitolo II.

1. Un capitolo si intitola appunto “Perché è quasi certo che Dio non esiste”. Anche se piccolo, il dubbio, comunque, gli resta.

2. Questo argomento, in precedenza era già stato usato da Bertrand

Russel: <<L’ARGOMENTO DELLA CAUSA PRIMA. Forse è l’argomento più semplice e facile da comprendere. Ogni cosa di questo mondo ha una causa e, proseguendo nella catena di queste cause, si giunge ad una Causa Prima, cioè a Dio. Oggi questo discorso non ha molta importanza pratica. Filosofi e scienziati se ne sono occupati per confutarlo; ma il principio della Causa Prima non regge da se stesso. Quando ero giovane e studiavo questi problemi con molta serietà, ammisi per molto tempo il principio della Causa Prima. Un giorno, però, a diciotto anni, leggendo l’autobiografia di John Stuart Mill, trovai questa frase:<<Mio padre mi insegnò che la domanda:’Chi mi creò?’ non può avere risposta, perché suggerisce immediatamente un nuovo interrogativo:’chi creò Dio?’>> Compresi allora quanto fosse errato l’argomento della Causa Prima. Se tutto deve avere una causa, anche Dio deve averla. Se niente può esistere senza una causa, allora perché il mondo sì e Dio no? Questo principio della Causa Prima non è migliore dell’analoga teoria indù, che afferma come il mondo poggi sopra un elefante, e l’elefante sopra una tartaruga. Alla domanda:<<E la tartaruga dove poggia?>> l’indù rispose:<<Vogliamo cambiare discorso?>> Non c’è dunque motivo per sostenere che il mondo debba proprio avere una causa e una origine. Potrebbe anche essere sempre esistito. E’ soltanto la nostra scarsa immaginazione che vuole trovare una origine a tutto.>> In RUSSEL, BERTRAND, Perché non sono cristiano. Ed. Longanesi & C. Firenze 1960, p. 15. L’Indù cambia discorso, ma noi possiamo affrontarlo, e l’abbiamo già affrontato tranquillamente.

3. Così recita l’ultima pagina di copertina, in quanto ha preso il posto di

colui che lo aveva preceduto in questa classifica, Antony Flew, che nel frattempo aveva capito che l’ateismo non poteva essere più sostenuto. Vedi il suo libro: Dio esiste. Come l’ateo più famoso del mondo ha cambiato idea. Alfa e Omega, Caltanisetta, 2010.

4. In nota cita il libro di Darwin, L’origine della specie, e aggiunge di

suo:”Le parole <<dal Creatore>> erano assenti nella prima edizione.” Mi sembrava impossibile, infatti, che citasse questo brano con la parola “Creatore”. Comunque la parola Creatore (con la lettera maiuscola) viene usata da Darwin 9 volte e la parola creato/i/a/e ben 68 volte! Vedi il I capitolo.

5. In DAWKINS R., L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, p.

22. 6. Cito di nuovo le parole di Darwin per dire che lo stesso non aveva

nulla contro la religione, anzi:<<Io non trovo alcuna ragione per pensare che le opinioni espresse in questo volume possano ferire i sentimenti religiosi di chicchessia. Del resto per dimostrare quanto siano fugaci queste impressioni, ci piace ricordare che la più grande scoperta che sia mai stata fatta dall'uomo, vale a dire la legge dell'attrazione di gravità, fu anche attaccata dal Leibnitz (sic!) «come sovversiva della religione naturale e, conseguentemente, della religione

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rivelata». Un celebre autore ed eminente teologo mi scrisse «che egli aveva gradatamente imparato a riconoscere che possiamo formarci un giusto e nobile concetto della Divinità, pensando che Essa abbia create poche forme originali, capaci di svilupparsi da se stesse in altre forme utili, anziché professando l'opinione che Essa debba ricorrere a nuovi atti di creazione, per riempiere i vuoti cagionati dall'azione delle sue leggi». DARWIN C., Sulla origine delle specie per elezione naturale ovvero conservazione delle razze perfezionate nella lotta per l’esistenza, pp. 273-274. In effetti i sentimenti religiosi non possono essere offesi dalla sola esposizione di una teoria. Essa suscita solo un confronto dialettico accettabile.

7. In DAWKINS R., L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, p.

187. 8. <<Volendo rimanere nel nostro argomento, non neghiamo che il

fenomeno religioso si possa utilmente avvicinare da punti di vista diversi; ma importa anzitutto considerarlo in sé, in quel che ha di irriducibile e di originale. L’impresa non è facile perché si tratta, se non di definire il fenomeno religioso almeno di circoscriverlo e di collocarlo entro il complesso degli altri oggetti dello spirito. E, come ha osservato Roger Caillois all’inizio del suo brillante volumetto su “L’homme et le sacré”: ‘In fondo, la sola cosa che si possa validamente affermare intorno al sacro in generale, è contenuta nella definizione stessa della parola sacro: sacro è quel che si oppone al profano. Appena si tenta di precisare la natura, la modalità di questa opposizione, si incontrano grandissimi ostacoli. Per quanto elementare, nessuna formula riesce applicabile alla complessità labirintica dei fatti’. Ora, nelle nostre ricerche, sono anzitutto i fatti che interessano, quella complessità labirintica dei fatti che sfugge a qualsiasi formula e a qualsiasi definizione. Un tabù, un rituale, un simbolo, un mito, un demone, un dio eccetera, ecco alcuni di questi fatti religiosi. Ma presentare i documenti in modo così lineare, sarebbe semplificazione abusiva. In realtà, ci troviamo di fronte a una massa polimorfa, e spesso caotica, di gesti, credenze e teorie, che formano quanto potrebbe chiamarsi il fenomeno religioso.>> In MIRCEA, ELIADE, Trattato di storia delle Religioni, Editore Boringhieri, Torino 1976, p. 5. Questa è l’opinione del Mircea, il quale ricercando i fatti si è imbattuto in quel mondo fenomenico dai miti ai tabù che riguardano il mondo del “sacro”, cioè di tutto ciò che non è “profano”. Quel mondo che ha a che fare con lo “spirito”. La letteratura in merito è tanta, e altrettante le opinioni, ma mi limiterò a citare Levy-Bruhl, Allport, James… i quali si occupano di questo tema antropologico, sociologico, psicologico in riferimento al problema dell’origine della religione. Un problema ancora aperto. Freud si occupa di questo problema in “Totem e Tabù” (1913), “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci” (1910), “Il disagio della civiltà” (1929) :<<Nelle sue principali opere dedicate alla religione Freud tenta di ricostruire la sequenza dei momenti decisivi che hanno dato l’avvio verso la religione del padre. Non considera più a questo punto le forme popolari e degradate della religione, svelatagli dall’esperienza clinica, quelle medesime che egli denunzia in “Die Zukunft einer Illusion” [L’avvenire di una illusione] (1927). Questa volta egli tenta di sottoporre a un esame strettamente psicanalitico la religione grandiosa del totemismo e della tradizione giudaico-cristiana. Per inquadrarla nella sua verità, Freud pone mano a uno studio dei documenti storici e proprio in quelli scopre il simbolo paterno in tutta la sua profondità e potenza drammatica>> In VERGOTE, ANTOINE, Psicologia Religiosa, Borla Editore, Torino, 1967, p. 182. Il Vergote ha

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sintetizzato bene, però devo riferirmi a quanto detto da Freud stesso circa l’origine dell’inconscio, che anche se non è scientifico, certo ci pone più di un interrogativo rapportando la sua teoria all’origine della religione. A questo punto, in coerenza con quanto detto fin qui, io ribalterei il problema, e rifacendomi alla “a-temporalità” dell’inconscio e agli archetipi di Jung che il Vergote scarta:<<Scartiamo ugualmente il termine “archetipo” di Jung, significante un simbolo innato, inconscio e collettivo, mentre l’immagine del padre fa sempre capo alla cultura e alla costellazione familiare.>> (ibidem, p. 185), credo di poter dire che, se l’ipotesi psicanalitica è quella di riferire l’origine della religione alla figura paterna (reale e simbolica), ribaltando il concetto, possiamo dire che anche il concetto di un Padre universale era già inscritto nella cellula primordiale, alla cui realtà può ricondursi il rapporto di sacralità con il “creatore”. Il mio ragionare è una proposta semplice e certamente riduttiva, ma spero, efficace.

9. Nella collana “I GRANDI FILOSOFI.” Tommaso D’Aquino, vita,

pensiero, opere scelte. Ed Il sole 24 Ore, Officine grafiche Calderini, Ozzano Emilia, 2006, a p. 304, leggiamo: <<16. In Dio ciò risulta inoltre evidente che il primo movente deve essere semplice.>> Il D’Aquino espone poi le sue argomentazioni.

10. Mi vengono in mente i Templari, secondo alcuni, detentori di chissà

quali segreti. In realtà sono disquisizioni teoriche, fanno audiens nei programmi televisivi e fanno vendere libri, ma niente di dimostrato o dimostrabile, anche perché ci sono sottese tesi esoteriche, misteriche che nulla hanno di scientifico e, facilmente (dico facilmente per lasciare il beneficio di inventario come è mia abitudine), di vero. Basta riflettere che molti credono nelle profezie di Nostradamus e snobbano la Bibbia.

11. Che sono: 1. motore immobile. 2. Causa incausata. 3. L’argomento

cosmologico. Come ho detto in precedenza, questi argomenti, va detto, in origine non sono di Tommaso ma di Aristotele. « Il primo motore dunque è un essere necessariamente esistente, e in quanto la sua esistenza è necessaria si identifica col bene, e sotto tale profilo è principio. […] Se, pertanto, Dio è sempre in uno stato di beatitudine, che noi conosciamo solo qualche volta, un tale stato è meraviglioso; e se la beatitudine di Dio è ancora maggiore essa deve essere oggetto di meraviglia ancora più grande. Ma Dio, è appunto, in tale stato! » (Aristotele, Metafisica XII (Λ), 1072, b 9-30). E’ un Dio metafisico non biblico o religioso.

12. Questa riflessione contenuta tra parentesi, non tiene conto di una

categoria dell’animo umano, la contemplazione. L’uomo, di fronte a una meraviglia della natura, di fronte a una intuizione della sua mente prova lo stupore e sente la necessità di rivolgersi a qualcuno più grande di lui che suppone essere l’autore di quella intuizione. Posso portare una mia esperienza simile: quando mi accorsi di aver scritto una poesia in un lasso di tempo brevissimo, provai uno stupore tale da mettermi in ginocchio e ringraziare Dio per quello che avevo vissuto. Credo che la “preghiera” di Anselmo vada collocata in questa dimensione e non in quella di convincere Dio della sua esistenza. Il nostro, mi pare, essere fuori strada.

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13. <<21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.>>(Mt. 5, 21-22)

14. In http://www.giovaniemissione.it/testimoni/botesti.htm. 15. <<10Ora va'! Io ti mando dal faraone. Fa' uscire dall'Egitto il mio

popolo, gli Israeliti!". 11Mosè disse a Dio: "Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?". 12Rispose: "Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo monte". 13Mosè disse a Dio: "Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?". 14Dio disse a Mosè: "Io sono colui che sono!". Poi disse: "Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi". 15Dio aggiunse a Mosè: "Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione.>> (Es. 3, 10-15). In questo brano è contenuto il significato del nome di Dio che, comunque lo si voglia leggere o interpretare, è un richiamo diretto al trascendete. Io sono colui che sono senza arrampicarsi sugli specchi, significa semplicemente Io sono l’esistenza in sé, Io sono la Vita, Io sono colui che solo può dare la vita agli altri. Se vogliamo ancora tradurre meglio Io sono il Creatore. La mia solita riflessione: questo concetto è così profondo che è lecito domandarsi se l’autore materiale sta dandoci una sua riflessione o qualcosa che passa per una ispirazione?

16. E leggiamo ancora nel Salmo 90 espresso il concetto di uno degli

attributi di Dio come l’eternità: <<2Prima che nascessero i monti /e la terra e il mondo fossero generati, /da sempre e per sempre tu sei, Dio. /3Tu fai ritornare l'uomo in polvere /e dici: "Ritornate, figli dell'uomo". 4Ai tuoi occhi, mille anni /sono come il giorno di ieri che è passato, /come un turno di veglia nella notte.>> (Salmo 90, 2-4). Nella Bibbia è contenuto in modo chiaro la dimensione tempo-eternità, spiegato in modo semplicissimo.

17. Cartesio, Leibniz, Kant, ecc.

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APPENDICE 1

LA LIBERTA’.

Conquistata con una ribellione: il Peccato Originale.

Ho voluto intitolare “La Libertà” e non peccato originale questa Appendice per il fatto che la libertà, secondo me, è la parola chiave di questa storia.1

La parola appare semplice e anche il suo significato. Essere libero significa non sottostare a niente e a nessuno. Questa, però, è la libertà metafisica o libertà assoluta.

Distinguiamo questa libertà metafisica che, per definizione, appartiene solo a un Essere metafisico, cioè Dio, dalla libertà oggettivamente presente nella vita dell’uomo, che non può che essere una libertà relativa.

La libertà assoluta di questo essere metafisico potrebbe veramente condizionare la libertà di tutto: dell’universo e dell’uomo.

Sì, se questa libertà assoluta appartenesse a un despota o a un essere irresponsabile, che facesse della sua onnipotenza, onniscienza e quant’altro un uso dispotico, a seconda del suo umore. Per il creato non ci sarebbe un ordine prestabilito e per l’uomo la possibilità di scelte libere e possibilità di conoscenza.

Per quanto ne sappiamo, fenomenicamente, non è così. Comunque provo a dire le prove a favore di un dispotismo di

Dio, e quelle della libertà dell’uomo. Le prime sono quelle classiche che riguardano l’esistenza del

male fisico e morale. In fondo l’esistenza del male viene portato come prova per dimostrare l’inesistenza di Dio.

Tra queste prove potrebbe esserci anche l’indisponibilità di lasciar gestire all’uomo stesso la sua vita; di non dare all’uomo la libertà di nascere e di morire quando e dove lui (l’uomo) avrebbe voluto e vorrebbe; impedire all’uomo di sentirsi co-padrone dell’universo.

Quelle a favore sono le considerazioni che le leggi dell’universo non sono soggette a interventi cervellotici e casuali, per cui l’uomo non ci avrebbe mai capito niente e non avrebbe mai avuto la possibilità di scoprire nulla dell’universo e di se stesso, restando disorientato e privo di conoscenza. Proprio da questa stabilità l’uomo è riuscito a scoprire le leggi che governano l’universo (la legge di gravità, la composizione degli elementi, la stessa evoluzione, ecc. ad esempio)

Perciò questi interventi nella creazione, sono, come già ipotizzato, deterministici e irreversibili. Permettono all’uomo di

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scoprire, conoscere. Anzi, secondo la Bibbia, Dio vuole proprio questo.

Per quanto invece riguarda l’uomo, la sua senz’altro è una libertà condizionata. Non può intervenire, ad esempio, sul suo male fisico. Intendo dire che quando si ammala senza essere responsabile del suo male, escludendo, perciò, quelle malattie che uno potrebbe prevenire e consapevolmente non previene, ad esempio il fumo come causa dei tumori specifici, l’alcol come causa di cirrosi, le droghe ecc., questo va fuori del controllo umano. Per il resto, molto è dovuto, almeno per ora, a quella che chiamiamo casualità allorché si usano termini come fortuna/sfortuna o destino.

Volendo fare un ragionamento cinico, in conclusione, il fine della libertà dell’uomo potrebbe essere la felicità eterna, ma questa non si può ottenere se non passando attraverso la morte.

Esorcizzare la morte, aver paura della morte rientra nel comune modo di sentire; questa realtà che nessuno riesce ad accettare, è vista come la fine di tutto.

Se non fosse, al contrario, la fine di tutto e se fosse solo un passaggio, allora anche il male fisico potrebbe acquistare un altro significato.

Il suo esistere non è l’arbitrio di un essere crudele, ma rientra nel determinismo di cui abbiamo parlato.

Possiamo quindi distinguere:

• male dovuto a una casualità contingente (visto come capriccio di una divinità crudele, detta in genere destino-fato, nella mitologia greca assurta a divinità al disopra delle divinità stesse). Non è il nostro caso.

• male volontariamente procurato; • male che arriva come deterioramento del corpo, vuoi per

incidente, malattia o dopo tanti anni di vita. (Determinismo storico).

Al fine della storia, cinicamente parlando, il risultato non

cambia: è la morte. Fino a quando si dovesse scoprire l’eternità immanente.

Mi pare, perciò, traendo qualche conclusione, che è più facile far rientrare la libertà nel determinismo iniziale che a una volontà cervellotica e capricciosa sempre in atto.

Allora in che cosa consiste la libertà dell’uomo? Che cosa si intende per libero arbitrio?

Il discorso è molto complesso in quanto bisogna tirare in ballo il concetto di normalità. Un concetto molto volubile e sottile.

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Possiamo dire che è normale, semplificando, tutto ciò che riguarda, statisticamente, il comportamento della maggioranza.

Come psicologo qui dovrei tirare in ballo un’enormità di concetti a cominciare dall’inconscio di freudiana memoria, la relazione oggettuale,2 la simbologia di cui facciamo uso nell’interpretare la “nostra personale” realtà percepita nel quotidiano, e così via.

Voglio subito specificare che non sono un relativista. Quello che sto cercando di evidenziare è la grande difficoltà che noi abbiamo nel descrivere questo concetto di libertà, apparentemente semplice, ma in realtà molto complesso. Che fenomenologicamente esiste. Noi siamo liberi. Di fare il bene e il male. Se vogliamo, di fare tutto. Ma non tutto si può fare… e non sempre quello che si fa è frutto della vera libertà… si esercita la “libertà”, paradossalmente, anche quando si è dipendenti da qualcosa che ci costringe ad agire nostro malgrado (le cosiddette “dipendenze”).

E’ evidente che per andare avanti è necessario fissare dei parametri di normalità (l’unica accettabile è quella statistica, come già detto, e del buon senso), e di accettazione di alcune limitazioni obiettivamente esistenti. Cerco di farne un elenco, forse insufficiente, ma capace di farci capire cosa voglio dire.

L’uomo: • Non è libero di scegliere i propri genitori • Non è libero di scegliere il luogo della sua nascita • Non è libero di scegliere il tempo e l’epoca della vita • Non è libero di scegliere la società di appartenenza • Non è libero di scegliere il sesso di appartenenza • Non è libero di decidere la durata della sua esistenza

(escluso il suicidio, tenendo presenti le modalità contingenti).

Queste circostanze, ma potrebbero essercene altre, possono

farci riflettere abbastanza sul concetto di libertà condizionata di cui ognuno di noi è dotato. Ho evitato di nominare la religione, le opinioni, le scelte individuali, perché è evidente che nel corso della vita, la storia ce lo insegna, chiunque è in grado di cambiarle.

Arrivati a questo punto, non è difficile ammettere che la libertà assoluta non esiste, di fatto, all’interno del concetto e del fenomeno “uomo”. Lo stesso uomo, per il fatto di essere anche un essere sociale, attraverso le leggi, limita la sua libertà.

Ne deriva, come logica conseguenza, che l’uomo è dotato solo di libertà condizionata. Vuoi per determinismo, vuoi per regole sociali.

Seguitando il ragionamento, occorre precisare che cosa l’uomo può fare o non può fare invocando la propria libertà.3

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Un passo indietro. Riprendiamo il passo biblico già citato, in cui l’autore ci fa capire che, prima di quell’attimo simbolico, cioè di dare un morso alla mela, l’uomo aveva un altro tipo di libertà.

Rileggiamo insieme il passo biblico: <<La donna aveva osservato che l’albero era buono a

mangiarsi, piacevole all’occhio e desiderabile per acquistare il sapere.4 Colse perciò del frutto, ne mangiò e ne dette anche a suo marito che stava con lei ed egli ne mangiò. Si aprirono allora gli occhi di tutti e due e s’avvidero che erano nudi: cucirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture.>> (Gn. 3,6-7)

Quello che appare subito evidente è che l’ordine imposto da Dio

non era impossibile da trasgredire. Non era l’ordine di un despota che fa controllare dalle sue guardie il rispetto delle leggi, sarebbe stato sufficiente farlo. Dopo aver sentito, infatti, dal serpente, che mangiare di quell’albero non li avrebbe condotti alla morte (questa era la conseguenza della trasgressione all’ordine di Dio: ricordatevi che qualora voi ne mangiaste, morirete), e visto che in realtà era un frutto bello a vedersi e buono da mangiare, osano, fidandosi più delle parole del serpente che della paura della condanna. Ma il loro osare li porta a una modifica della percezione della realtà: si accorgono di essere nudi.

Cosa vuole farci capire lo scrittore? Credo semplicemente questo: quell’atto di trasgressione libera, modifica il loro mondo interiore. La realtà non è più, e mai più lo sarà, da lì in avanti, uguale a quella di prima. Accorgersi di essere nudi equivale appunto a un fatto di cambiamento percettivo irreversibile.5

Capirono immediatamente quello che era stato loro promesso dal serpente: diventerete simili a Dio perché conoscerete il bene e il male, e, di conseguenza, sarete per sempre condizionati da questa conoscenza. Erano diventati sì, “liberi” di conoscere i due aspetti della nuova realtà (bene e male), con la conseguenza, però, che dovettero subito diventare responsabili delle loro scelte e delle conseguenze che sapevano.

<<Udirono poi la presenza del Signore Dio, il quale passeggiava per il giardino alla brezza del giorno, e Adamo e sua moglie si nascosero dalla faccia del Signore Dio fra gli alberi del giardino. Il Signore Dio chiamò Adamo e gli domandò: “Dove sei?”. Egli rispose: “Ho sentito la tua presenza nel giardino ed ho avuto paura perché ero nudo, e mi sono nascosto”. Il Signore riprese: “Chi ti ha fatto conoscere [sapere] che eri nudo? Non hai forse mangiato dell’albero che ti avevo proibito di mangiare?”. Adamo rispose:”E’ stata la donna che mi hai dato per compagna che mi ha presentato del frutto dell’albero ed io ne ho mangiato.”Il Signore domandò alla

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donna:”Che hai fatto?”. La donna rispose:”Il serpente mi ha ingannata ed io ho mangiato”.>>. (Gn. 3, 8-13)

Il brano non è solo un susseguirsi logico di domande e risposte

letterariamente perfetto, ma soprattutto è fine dal punto di vista psicologico.

Prima di tutto il senso di colpa simboleggiato dall’accorgersi dell’essere nudi.

Poi l’interrogatorio discreto e non poliziesco da parte di Dio. Le risposte a scaricabarile di Adamo nei confronti di Eva, il

quale Adamo prima e durante il peccato viene appellato “marito”; dopo il peccato, invece, lui, Adamo, temendo le conseguenze, non chiama Eva, per par condicio, moglie, ma “la donna che mi hai dato per compagna”, dove la finezza psicologica sta nel definire Eva la donna-compagna e non moglie, non solo, ma “che mi hai dato”, e cioè, la colpa è tua (di Dio), perché se mi lasciavi da solo io non avrei trasgredito.

Tipico comportamento dell’uomo-donna in paranoia che attribuisce le proprie colpe sempre a qualcun altro.

Anche Eva segue la via di Adamo: la colpa non è mia, ma del serpente che mi ha ingannata.

C’è molto da riflettere. Soprattutto, come ho già detto, sulla finezza sia letteraria che psicologica.

Come non pensare, poi, a qualche cosa che invade lo scrittore come se fosse un’illuminazione, o una reminiscenza di un fatto veramente accaduto: ma dove, ma quando? fuori del tempo e dello spazio? In fondo cosa si intende per rivelazione? In questo caso è come se lo scrittore scrivesse non per conoscenza personale, come un testimone del fatto, né come inventore dello stesso, ma come un’induzione da parte di qualcun altro. Una specie di reminiscenza tratta dall’inconscio. E’ pura fantasia?

Anche il comportamento di Dio è descritto con altrettanta forma e contenuto stupendi.

<<Il Signore disse al serpente6:”Poiché hai fatto questo, sii maledetto fra tutti gli animali e tutte le bestie della campagna: striscerai sul tuo ventre e mangerai la polvere per tutti i giorni della tua vita! Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua discendenza e la sua: essa ti schiaccerà il capo e tu la insidierai al calcagno”. Poi disse alla donna:”Moltiplicherò le doglie delle tue gravidanze: partorirai i figli nel dolore, tuttavia ti sentirai attratta con ardore verso tuo marito, ed egli dominerà su di te”. Infine disse all’uomo:”Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero del quale ti avevo proibito di mangiare, sia maledetta la terra a cagion tua: con fatica trarrai da essa il nutrimento per

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tutto il tempo di tua vita; essa ti produrrà spine e triboli: ti nutrirai dell’erba dei campi. Con il sudore della tua fronte mangerai il pane, finché tornerai alla terra da cui sei stato tratto, poiché tu sei polvere e in polvere ritornerai”>>. (Gn. 3, 14-19).

Il tribunale di Dio non poteva essere che perfetto. Inizia dal responsabile dell’inganno, (come se già ci fosse un

contenzioso aperto), il serpente, e cioè l’antagonista, ma non un antagonista alla pari. Satana non è il dio del male, né tantomeno dio, per questo viene condannato per primo.

La condanna è una condanna che, in questo caso, appartiene al serpente reale: strisciare per terra e mangiare polvere, d’altra parte il serpente simbolo del male spirituale, creatura spirituale creata da Dio e a lui ribellatosi, già aveva avuta la sua condanna di esclusione per sempre dalla visone beatifica. Strisciare per terra equivale alla impossibilità di levare gli occhi al cielo. Anche in questo caso, non ha la possibilità di guardare in faccia il suo creatore. Forse per satana quella condanna coincide con quanto dice Apocalisse 12, 3-4: <<3Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; 4la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra.>> Precipita nel tempo anche lui per sperimentare la condanna di essere l’eterno sconfitto, anche nei confronti dell’uomo.

Questo precipitare “simbolico” poi tanto simbolico non è se esso diventa protagonista e antagonista anche durante la presenza di Cristo sulla terra. I vangeli ci raccontano di questa interferenza tra il maligno e la vita terrena di Cristo, non solo ma è protagonista degli ultimi momenti della vita di Cristo:<< 52Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: “Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante? 53Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre”.>> Lc. 22,52. Il richiamo a chi non vuole la salvezza dell’uomo è evidente nelle parole di Gesù: questa è la tua ora, l’ora delle tenebre, dello scontro finale; ma so che dipende solo da me. Se risulterò vincitore tu sarai sconfitto per sempre. La storia ci ha detto che Cristo ha vinto per noi. Tutti noi. Ora la vittoria del maligno può soltanto far riferimento alla libertà del singolo, non più a quella dell’intera umanità.

Nel Vangelo di Giovanni il maligno è identificato con il mondo, espressione per dire che tutto ciò che è umano come desideri pensieri e azioni dell’uomo sono cose di cui il maligno può ancora disporre per indurre l’uomo alla ribellione e alla non accettazione della salvezza; questo per garantire la libertà dell’uomo stesso in

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coerenza con la scelta iniziale, e per dirci che questa lotta tra il bene e il male, pur avendo Cristo sconfitto il male esistenziale, non nega a nessuno la libertà di non accettare il suo sacrificio, e invita a non aver paura della lotta perché Lui ha vinto e dà anche a noi la stessa possibilità. Nel Vangelo di Giovanni (16, 7-10) leggiamo:

<<7Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. 8° Quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. 9Quanto al peccato, perché non credono in me; 10quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più; 11quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato.>>

Importante la sottolineatura che “il principe di questo mondo” è stato giudicato. E più avanti aggiunge: <<15Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. 16Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 17Consacrali nella verità. La tua parola è verità. 18Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; 19per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità.>> (Gv. 17, 15-19).

Vuole dirci che la lotta continua con il maligno, ma la vittoria esistenziale è certa. Quella del singolo uomo è lasciata alla sua scelta libera.

Tornando al V.T., lo scrittore, pare voglia appunto identificare il male assoluto con il serpente, animale infido e mortale per l’uomo, che seguita a essere un pericolo anche nella vita reale, al di là del simbolo, ricordando Jung.

Quindi passa a condannare Eva (la donna), perché non ha trasgredito solo per l’inganno subito, ma perché, come avviene per tutti noi, quando facciamo qualche cosa i responsabili restiamo sempre noi; l’inganno attenua la responsabilità ma non l’elimina, poiché l’ultimo a decidere resta sempre la persona con la sua libertà; per questo Dio non può accettare la giustificazione di Eva.7 Ha sbagliato e quindi anche lei deve pagare… qui Dio, in modo inaspettato, introduce un elemento nuovo, non consequenziale con la punizione. E’ un aspetto fondamentale per il prosieguo della storia, che a causa di questa digressione, diventerà “storia della salvezza”.

La donna sarà protagonista nella vittoria definitiva contro il serpente: lei schiaccerà per sempre il capo del serpente, il quale cercherà di morderla al calcagno, ma inutilmente. (Gen. 3, 15)

Qual è il significato di questa digressione? In una società maschilista, come presumibilmente era quella dello scrittore, che significato può avere questa elevazione della donna a salvare tutti gli altri dalle insidie subdole del serpente? Perché proprio una donna e

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non un uomo? Credo che la risposta è che JHWH non è un irriducibile maschilista, e dimostra che l’elemento maschile e femminile hanno un ruolo entrambi nell’economia della storia della salvezza.

Bisogna tener presente che il ruolo della donna, anche in una società come quella biblica, assolutamente maschilista, è un ruolo non ridotto alla sola sottomissione8 e affatto secondario, comunque la si pensi. In ogni caso questa condizione è stata determinata da una evoluzione sociale e storica della società, dopo il peccato. Non solo nella società ebraica. Nella mente di Dio, però, non può esistere questa differenza. Le sue categorie non sono le nostre.

Arriviamo all’uomo che Dio ritiene più responsabile della donna, in quanto a lui aveva dato l’ordine. La prima colpa è quella di aver ascoltato la voce della moglie. Viene sottolineato non tanto il ruolo in quanto maschio, ma in quanto responsabile di un mandato: “a te, Adamo” avevo detto in modo esplicito di non mangiare di quell’albero, quindi è a te che chiedo ragione come primo e fondamentale responsabile.

Come fare a non pensare alla responsabilità di un capo-spedizione, di un comandante di una nave, di un capo di Stato, capo famiglia ecc. L’importanza del ruolo e del suo significato è messo ben in evidenza in questo episodio, e non ha origine dall’appartenenza sessuale.

Tu sarai comunque responsabile in ultima analisi dell’errore che vorresti attribuire alla donna, e questa, a sua volta, al serpente.

E’ questo il concetto di libertà di scelta, o libero arbitrio: ti avevo avvertito di non mangiare di quell’albero (possiamo metterci qualsiasi altro ordine corrispettivo), e non te l’ho impedito; eri libero, lo sapevi che saresti stato destinato alla morte, e pertanto la tua irresponsabilità non è perdonabile. La condanna è un atto consequenziale e coerente: Dio esercita la funzione di giusto giudice.

Nella promessa che il serpente invano tenterà di avvelenare la donna, si era già mostrato nella sua seconda natura: misericordioso.

Questo aspetto è sottolineato da una frase di rara potenza intuitiva e paradossale contenuta nell’enciclica di Benedetto XVI “Deus Caritas est”: <<L’amore appassionato di Dio per il suo popolo – per l’uomo – è nello stesso tempo un amore che perdona. Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso, il suo amore contro la sua giustizia. [Un paradosso!] Il cristiano vede, in questo, già profilarsi velatamente il mistero della Croce: Dio ama tanto l’uomo che, facendosi uomo Egli stesso, lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore>> (n. 10).9

Prima Adamo ed Eva conoscevano solo il bene (non si accorgevano di essere nudi); con la trasgressione hanno perso la

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condizione di libertà assoluta che equivaleva ad avere la possibilità solo di fare il bene. Era implicito nella formulazione dell’ordine la possibilità di trasgredire, senza che questo compromettesse l’onniscienza di Dio. Era “previsto” che Adamo fosse capace di seguitare a contentarsi di vivere nel bene e nella libertà assoluta, ed era anche “prevista” la seconda possibilità di fare una scelta di trasgressione, con la conseguenza annunciata: la morte. Quando uno fa una scommessa le ipotesi, prima dell’accadimento del fatto, sono entrambe possibili. Così per Adamo.

La libertà assoluta, quella di scegliere solo il Bene, ormai, è solo la libertà di Dio. Sarebbe potuta restare libertà dell’uomo, se avesse risposto in altro modo al serpente.

E’ questo il concetto di “paradiso perduto” che abbiamo ritrovato anche in letteratura.10 L’uomo perde quella libertà assoluta dove regna il bene assoluto, e trova una libertà che lo costringerà per sempre ad operare delle scelte tra il “bene” e il “male”. Che lo costringerà a combattere tutti i giorni con questa consapevolezza.

<<Non è vero che morirai ma diventerai simile a Dio conoscendo il bene e il male>>.

Non sono parole messe lì tanto per completare un racconto. Non è vero che morirai, parole che ci dicono la nostra eternità. Questo, secondo la mia ipotesi, non può che essere avvenuto in

una fase a-temporale e a-spaziale. Quando l’uomo intraprende la sua vita sulla terra ha già nella sua cellula questa storia. Possiamo dire che il prosieguo della storia sarà la riconquista del “paradiso perduto”. Fortunatamente questa riconquista non sarà per sempre, (intendendo ad esempio il supplizio di Sisifo o di Tantalo della mitologia greco-romana), perché grazie alla donna, simbolo della trasmissione della vita, che sarà portatrice di una vita non contaminata da quella colpa iniziale, questa riconquista arriverà in modo definitivo, con la nascita del Salvatore. Allora in questa storia ognuno di noi ha il suo ruolo “primario” e, quindi, “comprimario” nel rispetto dei ruoli, quando esercita la propria libertà.

Nel N.T. troviamo questi riferimenti all’Antico in modo molto dettagliato. Non sono riferimenti studiati a tavolino.

E’ contenuto nel discorso di Stefano davanti al Sinedrio prima della sua condanna a morte.

Stefano parte da Abramo per dimostrare che Cristo è il Salvatore, e come questo è dimostrato dall’intera storia del popolo ebraico. Fu solo per la testardaggine del popolo non riconoscere questa storia di salvezza compiutasi con Cristo, quando, nel versetto 51, li apostrofa come “gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie.”12 Mi pare importante sottolineare la consapevolezza presente nella prima comunità cristiana di questa storia che si

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attualizza nella storia stessa di Cristo, che si compie con la sua Passione Morte e Resurrezione. La lettera agli Ebrei ne parla ancora in maniera esplicita, soprattutto quando parla del mediatore.

Ma allora come spiegare la condanna che appare come definitiva:<<Polvere sei e polvere ritornerai.>>? Certo in questo contesto sembra un po’ scombinare le carte in tavola, ma si può ricomporre il tutto considerando che nella vita a-spaziale e a-temporale non c’era la morte. Ora la morte corporale fa parte di quella condanna, e quindi, per un argomento di convenienza,13 non può essere una morte definitiva della persona. E, d’altronde la realtà della morte corporale era contenuta nella conseguenza “se ne mangerai morirai”.

Mi sembra che questi concetti espressi dallo scrittore biblico non appartengono al mondo della mitologia, anche se i personaggi sono (o meglio possono sembrare), per una storiografia fatta con criteri scientifici di oggi, mitologici, nel senso che non hanno un riscontro, neanche minimo, in una visione scientifica della storia. Potrebbero coincidere con gli archetipi. Dove e quando è avvenuto? Quali prove documentali abbiamo? Sono domande destinate a restare per sempre senza risposte.

La conquista della libertà prevede la coscienza delle responsabilità che essa comporta.

Nella definizione di uomo, perciò, non può mancare il riferimento alla libertà.

Nel regno animale l’uomo è l’unico dotato di libertà, gli altri esseri viventi sono condizionati dall’istinto14 che li costringe ad azioni senza una vera autodeterminazione.

Conquistare la libertà ha significato anche l’acquisizione di comportamenti tipici dell’uomo, anche se sbagliati: ad esempio, scaricare le proprie colpe sugli altri, per evitare condanne, giudizi negativi e quant’altro. Questo fa parte del complesso meccanismo psicologico dell’uomo, che va ricondotto ai meccanismi di difesa della psicanalisi che l’uomo deve re-imparare ad usare in modo giusto, ricordando che è un mito pensare qualcuno o qualcosa può farmi star bene o male. Ricordarsi che nessuno è responsabile delle mie scelte giuste o sbagliate, se non io stesso. Questo comportamento di autodifesa, anche se fa parte di un residuo istintuale dell’uomo, sono comportamenti, facilmente comprensibili, come inadeguati e definiti paranoici. Sono quei comportamenti che vorrebbero eliminare la responsabilità che deriva dalla libertà per attribuire ad altri le conseguenze delle nostre scelte.

Riportando queste considerazioni ai modi di pensare comune in termini, per esempio, di laicità-religione, eutanasia-morte naturale,

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aborto-vita, entro quali confini è possibile stabilire la libertà di una scelta piuttosto che un’altra? Quale delle due viola la libertà?15

E’ su queste dimensioni e categorie che bisogna confrontarsi, non solo sull’emotività e le considerazioni in termini di libertà assoluta.

Non è possibile pensare che la libertà dell’uomo sia libertà assoluta; non è possibile pensare di eliminare il dolore dalla vita dell’uomo, eliminare le contraddizioni e quant’altro. Le possiamo eliminare solamente in seguito a una formazione che ci aiuta a capire e quindi razionalizzare o metabolizzare, e successivamente accettare e sopportare, dolore e contraddizioni. Altrimenti c’è la categoria della ribellione personale che spesso vorremmo tradurre in legge. Troppe cose sono state stravolte in nome della libertà.

Lascio aperto, è ovvio, a qualsiasi considerazione e intervento, questo aspetto.

Troppe persone offrono opinioni che sono solo risposte emotive, non corroborate da idee oggettivamente valide, non solo, ma spesso concetti usati in modo equivoco e condizionate dal proprio tornaconto personale e, perciò, non in grado di generare una legge universale.

In conclusione, mi pare di poter dire che la libertà dell’uomo è una libertà relativa, che non può e soprattutto non deve inficiare valori più grandi dell’uomo stesso, quando ci si affida a categorie come l’emotività, la laicità (concetto in sé molto complesso, ma che in definitiva dovrebbe corrispondere a una neutralità assoluta e non a invocare un altro tipo di libertà in contrapposizione alla religione) e si dichiara di non credere in certi valori, pensando che sia sufficiente per poterli calpestare. Valori, sia ben chiaro, non imposti dall’alto, ma appresi dal fatto di essere noi entità sociali e pensanti, con l’uso della parola e della coscienza e del buon senso.

La libertà è stata una conquista (è chiaro che includo tutta la storia dei diritti dell’uomo), ma essa, in termini assoluti, è solo libertà di scegliere il bene o il male. Non è una libertà assoluta. Cioè io posso scegliere di fare il male, ma so che questa scelta porta a determinate conseguenze negative, ad esempio, la perdita della libertà fisica con la prigione.

Mi rendo conto che le categorie “bene” e “male” sono soggette non a leggi oggettive, e sono soggette soprattutto a una forte emotività sia individuale che collettiva. Se riuscissimo a fare un elenco dettagliato di ciò che è bene per me e per gli altri, e ciò che è male per me e per gli altri, e non fossimo schiavi di pregiudizi, riusciremmo a fare un elenco di beni che sono per tutti e per tutta la società.

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Faccio un esempio. Una società dove il problema della droga e dell’alcol non esistessero sarebbe una società diversa. Una società senza ladri e assassini sarebbe una società diversa. Proibire però comporta subito un istinto di ribellione: nessuno può proibire nessun comportamento, è una violazione della personale libertà, anche se ammettiamo, oggettivamente, che questi comportamenti turbano l’ordine sociale. Una società così fatta, piacerebbe a tutti, ma la vorremmo solo come inserita in una società spontanea e non regolata da leggi. Specialmente se sembrano leggi imposte “dall’alto”.

Quella società, però, sarebbe potuta esistere come tale solo se l’uomo avesse seguitato ad avere una libertà assoluta.

Apro una parentesi. 11 Settembre 2001: dei terroristi riescono ad abbattere le Twin Tower di New York. Fatto deprecato da tutti. Qualcuno deve fare qualcosa per far sapere a quei signori che hanno perpretato un crimine intollerabile. Decisione presa, con ponderazione, ma non condivisa da tutti: la guerra in Iraq. La discussione è ancora aperta. Giusta questa ritorsione? Sbagliata? Qualcuno è in grado di presentare una soluzione? Salvando il principio della non tollerabilità di un’aggressione così vigliacca, e il principio che qualsiasi vita umana deve essere rispettata, quindi nessuna guerra è lecita? E’ chiaro che la guerra, per il cristianesimo, rientra nel V comandamento non uccidere, quindi è proibita. Tralascio l’uso storico della guerra anche all’interno della Chiesa, ci porterebbe molto lontano.

Ecco la nostra libertà. Sopportare un’ingiustizia o qualsiasi cosa si faccia per punire l’affronto, diventa libera discussione. Al contrario, sembra che il “male” possa esprimersi liberamente. Quei kamikaze hanno obbedito ciecamente a un indottrinamento all’odio.

Da quest’altra parte della civiltà la risposta è univoca solo a parole: premesso che condanno il terrorismo, però… E’ questa la libertà relativa e condizionata.

Dio condannò l’uomo, ma non definitivamente. Gli diede la possibilità del riscatto. La domanda resta aperta: quale libertà?

La storia della salvezza parte proprio da questa conquista. Secondo il Vangelo il male si deve “combattere” con il bene. E’ questo il “peccato originale” da cui ha preso origine la storia

temporale dell’uomo. Le conseguenze sono la nostra vita personale e sociale. Ci resta un lunghissimo cammino per arrivare a introiettare tutti la Verità contenuta nella “storia della salvezza”, cristiani e non.

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Note Appendice 1. 1. <<Il mondo è governato, e lo dimostra la progressiva crescita

dell’organizzazione, riconosciuta più sopra anche da lei [Vito Mancuso]; ma è governato da un principio ordinatore impersonale, il che costituisce l’unica garanzia perché la libertà, il vero scopo della creazione, possa essere effettivamente reale. Proprio perché il fine del mondo è la generazione dello spirito, il mondo deve essere libero, ma non c’è modo di garantire la libertà se non mediante ciò che io chiamo principio ordinatore impersonale, il quale nella Bibbia, è noto, l’ho ricordato come “sapienza”, presso i cinesi il tao, presso gli antichi egizi come maat, presso i greci come logos, presso gli indù e i buddhisti come dharma>>, in AUGIAS C., MANCUSO V., Disputa su Dio e dintorni. Ed. Mondadori, Milano, 2009, p. 145. In questo Augias ha visto bene. E’ la libertà dell’uomo, come vengo dicendo, l’arbitro della nostra storia. Ma la libertà è la conseguenza del peccato originale, responsabile anche della lotta tra il bene e il male. E l’esigenza di spiritualità è l’archetipo della sua origine, che è contenuto nelle parole della Bibbia <<facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza.>> La contraddizione dell’insegnamento di Papa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, evocata dall’Augias, è solo apparente, in quanto la dottrina della Chiesa sulla libertà dell’uomo non è assolutamente messa in dubbio, basta pensare alla Lettera ai Romani, nella quale Paolo afferma che di fronte a Dio siamo tutti uguali e quindi liberi, “giudei o greci”. Dio è Dio di tutti ed è uno solo, che ha ratificato la scelta iniziale dell’uomo. La “sapienza” è quella di questo Dio presente nella nostra natura immanente, ma trascendente nella sua dimensione di Creatore. Che, però, nello stesso tempo, non è solo un “principio ordinatore impersonale”. Dio è un Essere esistente, anzi è l’esistenza, la vita. Nel libro di BAGET BOZZO, G., Profezia. Il cristianesimo non è una religione, l’autore si chiede: <<È il Cristianesimo una variante della religione? O vi è nel Cristianesimo qualcosa di assolutamente diverso dalle religioni? Il Cristianesimo non ha posto l'uomo innanzi al divino, ma Dio all'interno dell'uomo e l'uomo all'interno di Dio: porta dunque in sé un principio di differenza dalla religione. Non a caso la parola più alta sia nel Cristianesimo che nella civiltà che da esso è nata, l'Occidente, è la parola libertà.>> In www.deastore.com

2. Per relazione oggettuale si intende quella percezione di persone e

cose, distorta dagli stati emotivi che ne condizionano il significato. Porto un esempio: se una persona trova difficoltà nel togliersi le scarpe per andare a letto, cosa normale per tutti, per quella persona le scarpe rappresentano, simboleggiano, ad esempio, la propria sicurezza. La scarpa, in questo caso, non è più un semplice oggetto per facilitare la deambulazione, ma viene investita di una carica emotiva che ne condiziona l’uso normale; separarsene anche temporaneamente significa perdere la propria condizione di stabilità. Quella persona, perciò, non è “libera”.

3. Voglio citare J.S.Mill e precisamente il capitolo III del suo libro

Libertà:<<Abbiamo visto quali ragioni dettino categoricamente che gli uomini siano liberi di formarsi le proprie opinioni e di esprimerle senza alcuna riserva; e abbiamo anche visto quali siano le conseguenze deleterie per la natura intellettuale dell’uomo, e attraverso di essa per quella morale, se non si concede questa libertà o non lo si riafferma a dispetto di qualsiasi divieto. Vediamo ora

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se le medesime ragioni non richiedano che gli uomini siano anche liberi di agire secondo le proprie opinioni – liberi di applicarle cioè nella propria vita senza venire intralciati dai loro simili, né fisicamente né moralmente, purché agiscano solo a proprio rischio e pericolo. Quest’ultima, naturalmente, è una clausola indispensabile. Nessuno pretende che le azioni debbano essere libere quanto le opinioni: al contrario: anche le opinioni perdono la loro immunità, se uno le esterna in circostanze tali da far diventare le sue parole una vera e propria istigazione a qualche misfatto. L’opinione che i commercianti di grano sono degli affamatori dei poveri, o che la proprietà privata è un furto, dovrebbe poter circolare indisturbata finché viene solo diffusa sulla stampa, ma può diventare legittimo punirla se la si esprime a voce in mezzo a una folla eccitata davanti alla porta di un commerciante di grano, o se la si sbandiera con dei volantini fatti circolare fra quella stessa folla.>> In Mill, J.S., La Libertà, Ed. Speciale Corriere della Sera, Milano 2010, p. 68. E’ chiaro la relatività della libertà, e non solo, ma l’aspetto morale della libertà, come afferma con l’esempio riportato, e come confermerà poco appresso, che la libertà individuale non può ledere né la dignità né la integrità fisica degli altri, che godono della stessa libertà esistenziale.

4. Mi pare, senza ombra di dubbio, che la questione “frutto” è solo una

questione simbolica e letteraria: il frutto non serve per acquistare il sapere. Qui si sta parlando di acquisire un bene non commestibile, il sapere. Si può riportare questo linguaggio al simbolo e all’archetipo.

5. Voglio portare un esempio per far capire quanto detto. Non so se a

qualche lettore è capitato di fare qualche cosa da cui ci si aspettava un risultato positivo e invece dopo aver fatto quella cosa (esempio un investimento che va a male) uno seguiterà per sempre a dirsi “se non l’avessi fatto ora avrei ancora i miei guadagni” e magari si dispera. Ma sa che non potrà mai più tornare alla situazione precedente. La realtà è cambiata in modo irreversibile. E’ questo ciò che è cambiato in quel momento per il futuro di Adamo ed Eva e tutti i loro discendenti. Questo è il significato di “accorgersi di essere nudi”. Ed è anche l’accorgersi che il tempo non torna indietro.

6. Di questo animale la Bibbia si occupa in diversi altri libri con diversi

significati: Salmo 58,5; Siracide 12,13- 21,2-25,14; Isaia 21,1 – 34,15 - 65,25; Geremia 46,22; Amos 5,19 – 9,3; Michea 7,17; Gv.3,15; 2Col. 11,3; e Apocalisse 12.E solo nell’Apocalisse riacquista il simbolo presente nel Genesi. Rileggere quello che dice Jung del simbolo “Serpente”.

7. Nell’analisi transazionale c’è un capitolo molto importante: i miti

insiti nel pensiero dell’uomo. Il primo: qualcuno può farmi star bene, qualcuno può farmi star male. Secondo: quella circostanza può farmi star bene quell’altra farmi star male. Sono detti miti perché non c’è nessuna persona e nessuna circostanza, se noi non vogliamo, capace di cambiare il nostro modo di essere. E’ solo nell’illusione che qualcosa che non sia la mia volontà possa cambiare la mia visione della vita.

8. Il ruolo delle donne e la sua importanza lo troviamo, per esempio,

nella Lettera agli Ebrei, nelle eroine della Bibbia come Ruth, Giuditta, Ester…; il cap. 11 della Lettera agli Ebrei fa una ottima sintesi di personaggi biblici che hanno attualizzato la storia della salvezza, comprese le donne.

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9. LETTERA ENCICLICA Deus Caritas Est del sommo Pontefice

BENEDETTO XVI Ai Vescovi ai Presbiteri e ai Diaconi alle Persone consacrate e a tutti i Fedeli laici sull’amore cristiano. Libreria Editrice Vaticana. Città del Vaticano 2006.

10. Milton, il Paradiso perduto. Troviamo in letteratura la continua

tentazione a cui è sottoposto l’uomo da satana: potrai riavere ciò che hai perduto e cioè l’eterna giovinezza. Vedi il Faust di Goethe, il Mefistofele e altre opere che ricalcano questo tema.

11. <<8Stefano intanto, pieno di grazia e di fortezza, faceva grandi

prodigi e miracoli tra il popolo. 9Sorsero allora alcuni della sinagoga detta dei "liberti" comprendente anche i Cirenei, gli Alessandrini e altri della Cilicia e dell'Asia, a disputare con Stefano, 10ma non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava. 11Perciò sobillarono alcuni che dissero: "Lo abbiamo udito pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio". 12E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio. 13Presentarono quindi dei falsi testimoni, che dissero: "Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. 14Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè".

15E tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo.

1Gli disse allora il sommo sacerdote: "Queste cose stanno proprio così?". 2Ed egli rispose: "Fratelli e padri, ascoltate: il Dio della gloria apparve al nostro padre Abramo quando era ancora in Mesopotamia, prima che egli si stabilisse in Carran, 3e gli disse: Esci dalla tua terra e dalla tua gente e va' nella terra che io ti indicherò. 4Allora, uscito dalla terra dei Caldei, si stabilì in Carran; di là, dopo la morte del padre, Dio lo fece emigrare in questo paese dove voi ora abitate, 5ma non gli diede alcuna proprietà in esso, neppure quanto l'orma di un piede, ma gli promise di darlo in possesso a lui e alla sua discendenza dopo di lui, sebbene non avesse ancora figli. 6Poi Dio parlò così: La discendenza di Abramo sarà pellegrina in terra straniera, tenuta in schiavitù e oppressione per quattrocento anni. 7Ma del popolo di cui saranno schiavi io farò giustizia, disse Dio: dopo potranno uscire e mi adoreranno in questo luogo. 8E gli diede l'Alleanza della circoncisione. E così Abramo generò Isacco e lo circoncise l'ottavo giorno e Isacco generò Giacobbe e Giacobbe i dodici patriarchi. 9Ma i patriarchi, gelosi di Giuseppe, lo vendettero schiavo in Egitto. Dio però era con lui 10e lo liberò da tutte le sue afflizioni e gli diede grazia e saggezza davanti al faraone re d'Egitto, il quale lo nominò amministratore dell'Egitto e di tutta la sua casa. 11Venne una carestia su tutto l'Egitto e in Canaan e una grande miseria, e i nostri padri non trovavano da mangiare. 12Avendo udito Giacobbe che in Egitto c'era del grano, vi inviò i nostri padri una prima volta; 13la seconda volta Giuseppe si fece riconoscere dai suoi fratelli e fu nota al faraone la sua origine. 14Giuseppe allora mandò a chiamare Giacobbe suo padre e tutta la sua parentela, settantacinque persone in tutto. 15E Giacobbe si recò in Egitto, e qui egli morì come anche i nostri padri; 16essi furono poi trasportati in Sichem e posti nel sepolcro che Abramo aveva acquistato e pagato in denaro dai figli di Emor, a Sichem. 17Mentre si avvicinava il tempo della promessa fatta da Dio ad Abramo, il popolo crebbe e si moltiplicò in Egitto, 18finché salì al trono d'Egitto un altro re, che non conosceva Giuseppe. 19Questi, adoperando l'astuzia contro

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la nostra gente, perseguitò i nostri padri fino a costringerli a esporre i loro figli, perché non sopravvivessero. 20In quel tempo nacque Mosè e piacque a Dio; egli fu allevato per tre mesi nella casa paterna, poi, 21essendo stato esposto, lo raccolse la figlia del faraone e lo allevò come figlio. 22Così Mosè venne istruito in tutta la sapienza degli Egiziani ed era potente nelle parole e nelle opere. 23Quando stava per compiere i quarant'anni, gli venne l'idea di far visita ai suoi fratelli, i figli di Israele, 24e vedendone uno trattato ingiustamente, ne prese le difese e vendicò l'oppresso, uccidendo l'Egiziano. 25Egli pensava che i suoi connazionali avrebbero capito che Dio dava loro salvezza per mezzo suo, ma essi non compresero. 26Il giorno dopo si presentò in mezzo a loro mentre stavano litigando e si adoperò per metterli d'accordo, dicendo: Siete fratelli; perché vi insultate l'un l'altro? 27Ma quello che maltrattava il vicino lo respinse, dicendo: Chi ti ha nominato capo e giudice sopra di noi? 28Vuoi forse uccidermi, come hai ucciso ieri l'Egiziano? 29Fuggì via Mosè a queste parole, e andò ad abitare nella terra di Madian, dove ebbe due figli. 30Passati quarant'anni, gli apparve nel deserto del monte Sinai un angelo, in mezzo alla fiamma di un roveto ardente. 31Mosè rimase stupito di questa visione; e mentre si avvicinava per veder meglio, si udì la voce del Signore: 32Io sono il Dio dei tuoi padri, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Esterrefatto, Mosè non osava guardare. 33Allora il Signore gli disse: Togliti dai piedi i calzari, perché il luogo in cui stai è terra santa. 34Ho visto l'afflizione del mio popolo in Egitto, ho udito il loro gemito e sono sceso a liberarli; ed ora vieni, che ti mando in Egitto. 35Questo Mosè che avevano rinnegato dicendo: Chi ti ha nominato capo e giudice?, proprio lui Dio aveva mandato per esser capo e liberatore, parlando per mezzo dell'angelo che gli era apparso nel roveto. 36Egli li fece uscire, compiendo miracoli e prodigi nella terra d'Egitto, nel Mare Rosso, e nel deserto per quarant'anni. 37Egli è quel Mosè che disse ai figli d'Israele: Dio vi farà sorgere un profeta tra i vostri fratelli, al pari di me. 38Egli è colui che, mentre erano radunati nel deserto, fu mediatore tra l'angelo che gli parlava sul monte Sinai e i nostri padri; egli ricevette parole di vita da trasmettere a noi. 39Ma i nostri padri non vollero dargli ascolto, lo respinsero e si volsero in cuor loro verso l'Egitto, 40dicendo ad Aronne: Fa' per noi una divinità che ci vada innanzi, perché a questo Mosè che ci condusse fuori dall'Egitto non sappiamo che cosa sia accaduto. 41E in quei giorni fabbricarono un vitello e offrirono sacrifici all'idolo e si rallegrarono per l'opera delle loro mani. 42Ma Dio si ritrasse da loro e li abbandonò al culto dell'esercito del cielo, come è scritto nel libro dei Profeti:

43Mi avete forse offerto vittime e sacrifici per quarant'anni nel deserto, o casa d'Israele? Avete preso con voi la tenda di Mòloch, e la stella del dio Refàn, simulacri che vi siete fabbricati per adorarli! Perciò vi deporterò al di là di Babilonia.

44I nostri padri avevano nel deserto la tenda della testimonianza, come aveva ordinato colui che disse a Mosè di costruirla secondo il modello che aveva visto. 45E dopo averla ricevuta, i nostri padri con Giosuè se la portarono con sé nella conquista dei popoli che Dio scacciò davanti a loro, fino ai tempi di Davide. 46Questi trovò grazia innanzi a Dio e domandò di poter trovare una dimora per il Dio di Giacobbe; 47Salomone poi gli edificò una casa. 48Ma l'Altissimo non abita in costruzioni fatte da mano d'uomo, come dice il Profeta:

49Il cielo è il mio trono e la terra sgabello per i miei piedi. Quale casa potrete edificarmi, dice il Signore,

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o quale sarà il luogo del mio riposo? 50Non forse la mia mano ha creato tutte queste cose?

51O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. 52Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; 53voi che avete ricevuto la legge per mano degli angeli e non l'avete osservata". 54All'udire queste cose, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui. 55Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra 56e disse: "Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio". 57Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, 58lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. 59E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: "Signore Gesù, accogli il mio spirito". 60Poi piegò le ginocchia e gridò forte: "Signore, non imputar loro questo peccato". Detto questo, morì.>> At. 6, 8-15; 7, 1-60.

12. La domanda cosa c’è dopo la morte è una domanda pertinente, a

volte angosciante, soprattutto se rapportato a un senso di giustizia. Se ci sarà un’altra vita per ciascuno di noi certamente sarà preceduto da un giudizio. Non sarebbe giusto, infatti, che avessimo tutti lo stesso premio o castigo, come d’altronde capita anche tra i vivi. Questo concetto di giustizia lo troviamo, ad esempio, anche presso gli Egizi nella “pesatura dell’anima” del defunto. Perciò, se esiste un’altra vita, e secondo me esiste per l’argomento di convenienza, non dimostrabile scientificamente, può essere riassunto così: a che ci serve conoscere, se poi questa conoscenza ritorna in polvere? Si potrebbe rispondere che serve per il progresso dell’umanità. Ma al singolo individuo non può importar di meno se la sua conoscenza ha contribuito al bene di tutti se poi la fine è senza ritorno. Suppongo perciò che l’uomo non è destinato a una fine definitiva. Ultimamente ho letto un libro di GRANT& JANE SALOMON dal titolo Le prove scientifiche della vita dopo la morte, Mondolibri spa, Milano 2001. Pensavo fosse una cosa seria, ma in realtà sembra solo la descrizione di sedute spiritiche senza un minimo di prova scientifica. Quindi non essendoci prove scientifiche, resta sempre, per me, quella di convenienza.

13. Quello che penso della morte l’ho sintetizzato in questa

poesia:<<Morte,/realtà dal volto scuro/ incubo di chi vive,/a te io mi rivolgo/e invoco, alfine!/Non ho paura/della tua falce inesorabile,/che aspetto/liberatrice dei miei affanni./Quando s’aprirà su me/il tuo sipario/finalmente troverò/risposta ai miei perché:/luce da te m’aspetto/e libertà./Come vespro delicato/che sul giorno/da occidente scende,/così su me verrai:/in quella sera/(atomo di tempo)/io tornerò com’ero/e sarò per sempre./Delle emozioni/vedrò la fine/e coglierò i frutti./Delle mie paure/vincerò i perché./Dei miei amori/scoprirò la dolcezza/di una eternità./Disseterai,/come montana fonte,/del sapere la mia sete/e della realtà/diventerò signore./<<Non hai timore/che a te appresso/tutto sia vano/e ogni tua speranza/sol dal nulla sarà ricolmo?>>/Se dal dubbio/tutto questo è avvolto,/anche allora di te/sarò sicuro/perché‚ tu, Morte,/non puoi tradire./Il tuo lessico/(che sa di macabro)/tutt’altro acquisterà significato:/MORTE sarà uguale a VITA/OMBRA sarà sinonimo di LUCE/E GIUSTIZIA finalmente/Regnerà con LIBERTÀ’./T’invoco, Morte,/Mentre al

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regno della Vita/Appartengo ancora./Come mortale non sfuggirò/all’angoscia del tuo appressarti,/ma ho certezza della tua lealtà./Ti affronto a viso aperto/e certo leale sarà il nostro incontro./T’aspetto, Morte,/come s’attende/l’arrivo d’un’amante,/per saper completo/il mio sapere./T’aspetto sulla cima/dove risplende LUCE/più luce della LUCE.>>

14. Vedi capitolo I, nota 138. 15. Queste situazioni dovrebbero tener conto del concetto oggettivo di

libertà, non di un concetto emotivo della stessa libertà. E’ ovvio che se prendiamo in esame l’accezione di libertà come “posso fare quello che voglio”, allora posso uccidere o uccidermi, abortire, rubare… ma non si capisce perché ci siamo dati una legge che proibisce di uccidere, per esempio. Volutamente non faccio riferimento al Decalogo biblico. Se non possiamo uccidere per nessun motivo, significa che non abbiamo ontologicamente la “libertà” di uccidere, e questo basta per farci capire che la nostra non è libertà assoluta. Invocare il fatto di legittimare l’aborto con la motivazione che non credo nei principi “religiosi”, mi sembra riduttivo. Come se uccidere una vita, in embrione o adulta che sia, rientri solo nel concetto religioso di peccato e non, invece, con una visione più ampia, nel concetto umano di reato. Legge elaborata, cioè, dall’uomo sociale. Pensiamo se potesse nascere un sindacato degli embrioni! Neanche credo che portare argomenti pseudo-scientifici, che dicono che la vita ha inizio dopo un certo periodo di tempo dal concepimento, come se fosse possibile cambiare la sostanza delle cose, siano argomenti accettabili. Bisognerebbe avere il coraggio di dire: “Mi fa comodo pensare e agire così”, e non trincerarsi dietro l’ipocrisia di una pseudo-scienza. Come ho detto in precedenza, in teoria l’uomo può fare tutto: la guerra, la pace, dare la vita e dare la morte. Ma se ne deve assumere la completa responsabilità delle conseguenze, personali e sociali. Di questi comportamenti può non renderne conto alla giustizia umana, ma non al giudizio della propria coscienza, e al giudizio di Dio. La Chiesa, quando parla di bioetica, ci ricorda solo questo. Poi, ciascuno è libero di ascoltare o non ascoltare. (Ricordare l’esempio del volantino, lecito, che recita contro i panificatori, distinto dai comportamenti violenti, proibiti, contro di essi, nel libro Libertà di J. S. MILL).

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APPENDICE 2

La Parola.

Come anticipato, la parola non è solo una parte naturale che

appartiene all’uomo, la parola è la prima fonte di conoscenza e quindi di progresso e di sviluppo.

Gli studiosi dell’evoluzione ci possono spiegare come la cavità orale dell’uomo si è evoluta nel tempo rendendolo capace di articolare suoni differenziati.1 Gli studiosi di fisica possono spiegarci il meccanismo fisiologico della parola: emettere dei suoni differenziati che cavalcano le onde presenti nell’atmosfera,i quali si trasmettono per via aerea, e poi, per mezzo della complicata fisiologia dell’orecchio, ritornano al cervello dell’altro (o degli altri), che elabora quei suoni percependoli così come sono stati emessi e con lo stesso “significato acustico” dell’emittente, in un arco di un tempo brevissimo. Non sempre, però, con lo stesso significato di contenuto.2 Tutto opera delle sinapsi, invece, per quanto riguarda il meccanismo del parlare e dell’ascoltare.

I grammatici ci possono spiegare come mai queste parole vengono usate grammaticalmente in modo esatto attribuendo a ogni parola una definizione particolare che le colloca in una parte ben definita del discorso grammaticale e sintattico. Questo studio, però, viene dopo la parola stessa. Tanto è vero che un bambino, non in età scolare, pur non conoscendo la grammatica, quando parla sa usare il soggetto, il verbo e il complemento nella maniera giusta. Anche se i suoi genitori fossero degli analfabeti. Questa è la dimostrazione che esistono leggi strutturali innate e appartengono alla natura dell’uomo prima ancora dell’apprendimento. Le regole che soprassiedono all’uso della parola e della lingua di riferimento sono state codificate dopo, dagli studiosi. La parola e le sue regole, invece, sono precedenti allo studio di essa.

Tutti gli studiosi della parola l’hanno sezionata in modo tale che oggi alcune parole le conosciamo dall’origine fino all’evoluzione odierna.3

Ma in definitiva, quello che si vuole sapere è il perché l’uomo “parla” e gli altri animali emettono solo dei suoni. In una parola: che significa parlare.4

In questa prima riflessione tralasciamo l’uso della scrittura e la sua “invenzione” che ci ha consentito di non farci perdere le parole, anche se qui è d’obbligo citare la distinzione del De Saussure tra la langue e la parole: cioè ci sono pervenuti, ad esempio, i segni scritti

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(la langue) delle lingue “morte”, ma non la realizzazione orale di quei segni, cioè la parole.

Dopo queste premesse è possibile fare riferimento alla Bibbia. Prima di tutto, nella Bibbia, Dio crea con la Parola. <<In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era deserta e

vuota; le tenebre ricoprivano l’abisso e sulle acque aleggiava lo Spirito di Dio. Dio disse:”sia la luce”, e la luce fu.>> (Gn. 1, 1-3)

Lo scrittore usa con una naturalezza tale la frase “Dio disse” da sembrare una cosa normale che uno dica una cosa e quella cosa incominci ad esistere.

In realtà, se ci fermiamo a pensare, quando parliamo, l’effetto psicologico che abbiamo è che quelle parole che usiamo sembrano oggetti con i quali stiamo riempiendo una stanza, uno spazio. Cioè parlare, fare un discorso, può sembrare, come riempire un vuoto con degli oggetti importanti, tanto è vero che pensiamo che l’altro abbia saputo mettere al giusto posto quello che abbiamo detto. Anche noi abbiamo, perciò, la sensazione che creiamo qualche cosa con le parole: un concetto, un ordine, un discorso articolato, un libro.

Usiamo le parole per farci capire, per comunicare. Ad esempio, le parole “Torno questa sera”, hanno l’effetto di tranquillizzare chi riceve il messaggio, perché fino a questa sera deve stare tranquillo anche se non lo vede. E il concetto di “tornare” e quello di “questa” e ancora di “sera” sembra veramente riempire il tempo psicologico che intercorre dal momento della pronuncia di quelle parole fino alla sera, e si ha veramente l’impressione di aver riempito uno spazio-temporale che ci garantisce serenità. L’effetto di quelle parole corrispondono a una rassicurazione e a una sicurezza. E’ un altro aspetto psicologico.

Perciò, come ho detto, se non ci fermiamo a riflettere che Dio dica “sia la luce” e la luce diventa luce, ci può sembrare o una cosa normale, o leggere quella frase come si legge una favola. In realtà dobbiamo tener presente che dire “Sia la luce” per Dio, nella Bibbia, equivale non a descrivere un fenomeno, ma a dar vita a un fenomeno, iniziare un fenomeno che sarà così per sempre.

La differenza tra la parola di Dio che “trae dal nulla” un fenomeno, e la nostra parola è che la parola di Dio è ciò che evoca, la nostra descrive solo il fenomeno, e lo simbolizza con un segno orale o scritto con la finalità di rendere possibile orientarci nella foresta delle cose che ci circondano e permetterci di classificarle.

E’ come il critico d’arte, l’artista e l’opera d’arte. E allora di nuovo la domanda: cosa è la parola? E ancora, lo scrittore biblico se ne rendeva conto? Si potrebbe pensare che non ci sarebbe la parola se l’uomo non

avesse i sensi che gli fanno percepire la realtà. I sensi, però, ce

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l’hanno anche gli animali, e non per questo parlano. Non sono sufficienti i soli sensi per spiegarne l’esistenza.

Oltre alle definizioni date fin qui, possiamo aggiungere che la parola è figlia del pensiero.

Non ci sarebbe parola se non ci fosse a monte un pensiero. Al contrario di ciò che dice Darwin: <<Possiamo credere con piena fede che l’uso continuato e il progresso di questa potenza [la parola] deve aver reagito sulla mente rendendola atta sempre meglio a formare una lunga catena di pensieri.>>

Il passaggio da ciò che esiste alla descrizione di ciò che esiste, da parte dell’uomo, è il fenomeno che va spiegato.

Mentre Dio “dice”, e tra quello che “dice” e quello che immediatamente “diventa” non c’è nessuna mediazione, per l’uomo c’è:

• la mediazione dei sensi che raccolgono percezioni suoni e immagini;

• del pensiero che elabora un comando; • del meccanismo fisiologico che esplicita il tutto in un

suono articolato, orale o scritto e in genere con un significato.

Però un conto è descrivere ciò che avviene, altra cosa è dire ciò

che la parola è in sé. Ci potrebbe aiutare il fenomeno della percezione come è

descritta dalla Gestalt: mettere in evidenza una figura rispetto allo sfondo. E cioè: la mente attraverso i sensi percepisce una forma, es. albero, e ha la necessità di archiviare quella forma (metterla sullo sfondo), per poi passare ad un’altra forma, esempio il colore dell’albero, verde, e così via. Nasce il vocabolario, ma non ci chiarisce ancora l’essenza.

La parola per l’uomo sembra non essere altro che la sintesi di un oggetto trasformato in un simbolo, acustico o scritto, che ne contiene il significato che resta comunque identico in quella lingua, fino a quando la lingua stessa non si trasforma.

Ma perché questo accade per l’uomo e non per gli altri esseri viventi?

Cosa ha di speciale l’uomo rispetto al resto del creato? Per gli evoluzionisti la risposta è nella selezione naturale: ci

deve essere necessariamente una gerarchia naturale all’interno del creato. E Darwin liquida l’argomento con queste parole:<< Il fatto che le scimmie più elevate non adoperano i loro organi vocali per parlare dipende senza dubbio dacché la loro intelligenza non ha sufficientemente progredito. Il possesso per parte loro di organi che con una lunga e continua pratica avrebbero potuto acconciarsi

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all’uso della parola, sebbene non mai adoperati a questo scopo, può esser messo a paro col fatto di tanti uccelli che posseggono gli organi propri del canto, eppure non cantano mai. Così l’usignuolo ed il corvo hanno organi vocali somigliantemente costrutti, il primo li adopera in varie fogge di gorgheggi, e l’altro solo a gracchiare.>>5 Secondo Darwin è una questione di intelligenza. Penso proprio di no, con tutto il rispetto per Darwin, come sto dicendo.

E’ l’uomo che cerca le risposte. Alla maggioranza del genere umano può anche non interessare tutto questo discorso, perché inconsapevolmente ci si affida al corso naturale delle cose: si parla, si agisce, si vede, si sente ecc. ma non ci si sta a preoccupare del perché e del come.

Ma non per tutti è così, per fortuna. Quando l’uomo entra in questa spirale della ricerca dei perché

allora vorrebbe conoscere tutto per dare una spiegazione a tutto. E’ come nella fase evolutiva del bambino quando entra nella fase del perché.

Per cercare una risposta plausibile, però, dobbiamo tornare ancora alla Bibbia. Se Dio usa la parola, ciò significa che ci deve essere una specie di simbiosi tra la materia e ciò che la descrive e la conosce.

Dio è un essere spirituale che attraverso la parola dà vita alla materia, anzi pare che Lui sia la Parola. E’ come se il suo pensiero con la parola si materializzasse.

Pensate a quanto sarebbe bello se potessimo inventare una macchina che scrive disegna, dipinge e quant’altro, mentre noi pensiamo, e lo faccia esattamente corrispondere al progetto, al quadro, al libro così come il nostro pensiero lo genera.

In fondo è quanto è stato possibile a Dio: il pensiero crea, e la parola materializza il pensiero.

Ma come ha fatto lo scrittore biblico a sintetizzare così bene questo concetto? Io faccio fatica a cercare di descrivere i passaggi che avvengono nel mio pensiero, voi certamente fate fatica a seguirmi, lo scrittore biblico se la cava in due parole: “Dio disse”.

Per farci capire che non è stato solo un caso fortunato o l’intuizione di un momento, lo scrittore biblico non elabora o spiega, no, ma avanti in modo semplice e veloce, e ad ogni realtà diversa ripete le stesse parole “Dio disse”.

Per completare, fa notare la differenza tra la parola di Dio e quella dell’uomo, semplicemente, senza spiegazioni, quando più avanti scrive:

<<Il Signore Dio disse:”Non è bene che l’uomo sia solo: gli farò un aiuto simile a lui”. Il Signore Dio formò dalla terra tutti gli

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animali della campagna e tutti gli uccelli del cielo e li condusse ad Adamo per vedere con quale nome li avrebbe chiamati, poiché il nome che egli avrebbe loro imposto sarebbe stato il loro nome.>> (Gn. 1, 18-19).

Questa interpretazione non l’ho trovata scritta in nessun libro. Questo passaggio biblico, però, è fondamentale. La realtà ormai esiste, e l’uomo riceve da Dio la facoltà di

“chiamare” ogni cosa con il suo “nome”, anzi l’uomo è talmente autonomo in questo uso della parola che non riceverà correzioni da parte di Dio, perché Dio accetterà qualsiasi nome imposto a qualsiasi cosa dall’uomo.

La stessa domanda: lo scrittore nello scrivere questo pensiero è autonomo (cioè è frutto di una sua intuizione) o è veramente ispirato da Dio che vuole farci conoscere come veramente sono andate le cose?

In altre parole, perché la Bibbia, prima ci presenta un Dio che crea con la parola, e poi la stessa parola viene affidata all’uomo per designare le cose? Perché usata da Dio è parola creatrice, e poi, usata dall’uomo, diventa solo designazione degli oggetti o delle idee?

Credo sia importante questo ricorso alla Bibbia, se vogliamo aggiungere qualcosa di nuovo a quanto detto e scritto finora sulla parola.

E’ vero che possiamo interpretare il racconto come se fosse un racconto mitologico, ma i concetti, ripeto, non appartengono al mito ma alla più complessa delle realtà umane: il pensiero, la parola e la consapevolezza.

Nel mito di Deucalione e Pirra, le pietre lanciate dietro la schiena dagli stessi personaggi si trasformano immediatamente e diventano uomini. Non credo, onestamente, che potremmo soffermarci a descrivere questo fenomeno come abbiamo fatto per la parola, perché è evidente che non c’è nessun rapporto con la realtà estrinseca o intrinseca della natura umana, ma solo un modo fantastico per spiegare la nascita di tanti uomini. Non so se si percepisce la differenza tra un racconto e l’altro. A me sembra evidente.

La parola, che cos’è? Dico in se stessa nella sua essenza, non nella descrizione del fenomeno.

Se dovessi prendere la Bibbia come libro rivelato6 bisognerebbe dire che la parola, insieme al pensiero e alla coscienza, sono gli elementi che garantiscono la veridicità dell’altra frase biblica:<<Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza>>, attribuita dallo scrittore a Dio nel momento di completare l’opera della creazione, e cioè il “sesto giorno” quando creò l’uomo.

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Leggendo le parole della Bibbia e tenendo presenti le cattiverie pensate dette e fatte dagli uomini, facciamo fatica a pensare che l’uomo, che usa la stessa parola, quella che all’inizio egli ha usata con l’ordine di Dio, sia ancora la somiglianza e l’immagine di Dio, che concepiamo (anche se non tutti) come un Essere capace solo di bene. Se analizziamo meglio, però, la somiglianza non è, chiaramente, nell’immagine fisica, non è nei comportamenti o nella facoltà creatrice, ma nelle facoltà di pensare-dire-essere coscienti. E’ per questo che le parole dell’uomo possono essere “pensieracci” e “parolacce”, per via, sempre, della libertà, acquisita con la conoscenza del bene e del male..

Sono questi gli elementi essenziali, le facoltà contenute nella natura di Dio che sono stati trasferiti nella natura umana, a qualsiasi essere vivente che possa essere annoverato in questa categoria. Categorie che appartengono, quantomeno, a una riflessione di sospensione da un giudizio definitivo, come abbiamo evidenziato nel rispondere alla domanda: chi è l’uomo?

Anche queste riflessioni sono tratte da un linguaggio che può essere mitologico, ma poi si rivela contenere non una favola ma concetti reali e verificabili al vaglio della riflessione e delle scienze linguistiche. Non c’è nulla di numinoso nel racconto biblico. Tutto sembra semplice e naturale. E’ questa la caratteristica delle affermazioni bibliche. La parola nella Bibbia non è solo fisicità (flatus vocis), è anche trascendenza, pur nella sua semplicità strutturale.

Per completare la nostra riflessione sulla parola, bisogna affrontare l’argomento “segno-simbolo.”

Kant afferma che la parola è una categoria a priori che fonda la società. Come sono categorie a priori tempo e spazio, pensiero e quant’altro. Kant afferma che queste categorie essendo a priori, sono caratterizzanti da sempre la specie “homo”. E’ vero, ma dà per scontato, o meglio non se ne occupa, né de suoi meccanismi e né dei suoi significati. Sono a priori, quasi fossero esclusi dalla ricerca scientifica. Ci sono e basta.

Che cosa è un segno? Una definizione che può aiutarci a sondare meglio il problema è quella che recita che il segno è “quella cosa, vedendo la quale, ci fa pensare ad un’altra cosa.” L’esempio potrebbe essere: se vedo il fumo, penso al fuoco.

• Questo segno lo cataloghiamo come segno naturale, infatti sia il fumo che il fuoco esistono in natura. E allora estrapoliamo già una prima categoria di segni: il “segno naturale.”

• Abbiamo anche un’altra categoria di segni e sono quelli inventati da noi, che chiamiamo “segni convenzionali.” Ad

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esempio il codice stradale: sono segni inventati per facilitare la realizzazione immediata di un concetto, di un ordine, una informazione, ecc. altrimenti difficile da capire con immediatezza con il solo uso della parola.

• Una terza categoria di segni è il “segno simbolico.” E’ quel segno il cui significato è intrinseco all’oggetto preso come simbolo. Ad esempio se regalo un fiore, non è tanto il fiore in sé che conta, ma quanto il valore intrinseco che il fiore rappresenta: “Ti voglio bene”.

• A questo punto possiamo affermare che la parola è un segno sì, ma del tutto particolare.

A quale categoria, infatti, delle tre, essa appartiene? Appartiene alla categoria dei segni naturali perché la parola fa

parte della natura stessa dell’uomo. Appartiene alla categoria dei segni convenzionali in quanto,

come già detto in precedenza, non c’è nessun rapporto con la realtà in quanto la parola non è un simbolo unico per tutti, ma varia a secondo della lingua di appartenenza. E’ un codice inventato? La lingua fa parte di quelle strutture innate nella natura stessa dell’uomo, con la capacità di trasformarsi nel tempo. Anche se è possibile inventare una lingua di sana pianta.7

E, infine, appartiene anche alla categoria del simbolo, sia parlato che scritto.

Per quanto riguarda il simbolo parlato, la possiamo definire come “immagine acustica”. Per quanto riguarda il simbolo scritto lo possiamo riferire al segno convenzionale detta scrittura o “immagine scritta”. Cioè significa che essa (la parola parlata o scritta) ha il potere di evocare nella mente l’immagine o l’idea che essa contiene. Simboli (parlati o scritti) che variano, però, da lingua a lingua, che permette a noi uomini di non perderne il significato.

Perciò possiamo affermare che la parola è il segno per eccellenza (riguardo alla sua realizzazione grafica o sonora), ed è anche il simbolo per eccellenza (riguardo al significato).

A questo punto, propongo questa definizione: La parola è un segno immediato ed economico che permette

all’uomo di rendere intelligibile la realtà, sia quella che cade sotto i sensi, sia quella che esprimiamo con concetti astratti, elaborando il nostro pensiero. Immediato in quanto la parola rende subito intelligibile la realtà, sensoriale e non. Economico in quanto non ci obbliga a portare con noi gli oggetti di cui vogliamo parlare.

Non solo, attraverso la parola posso trasformare la realtà. La parola, infatti, è lo strumento principale della facoltà associativa

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dell’intelligenza, che consente all’uomo di manipolare e trasformare la realtà che lo circonda.

La definizione di parola che dà il De Saussure è questa:<<Una porzione di sonorità che è, ad esclusione di ciò che precede e di ciò che segue nella catena parlata, il significante di un certo concetto.>>8

Gli strutturalisti parlano di una mente umana come tabula rasa nella quale esistono solo le potenzialità di apprendere un linguaggio.

Questo è certamente vero perché se uno nasce in un paese e fin da subito viene portato in un altro paese imparerà quella lingua, come avrebbe appresa la sua lingua se fosse restato nel luogo d’origine. Oppure può apprendere contemporaneamente le due o più lingue. Questo significa che noi abbiamo fin da subito (portando il concetto all’estremo, fin dalla vita embrionale, come d’altronde afferma il Lipton) le capacità strutturali per l’apprendimento di qualsiasi lingua e di qualsiasi cosa a prescindere da quello che abbiamo appreso dopo, con l’esperienza. Perciò queste strutture innate non sono legate al luogo d’origine, ma sono inizialmente fuori del tempo e dello spazio. Queste strutture sono predisposte a che tutta la realtà diventi intelligibile attraverso il segno e il simbolo. E’ nel determinismo della creazione.

Equivale all’ordine biblico dato ad Adamo: <<Ora io ti faccio passare davanti tutte le cose e tu gli darai un nome.>> Cioè renderai intelligibili le cose e i concetti attraverso dei simboli.

Possiamo azzardare che in queste parole bibliche, oltre la trascendenza, possiamo intravvedere un principio scientifico? Io ritengo di si.

La Bibbia parla ancora della Parola e della Lingua nell’episodio della “Torre di Babele” con un significato piuttosto morale e non strutturale come in Gn. 2,19.

Concludendo questa lunga riflessione sulla parola, mi pare di poter dire che essa è l’elemento fondamentale nella complessa struttura umana, che non appartiene alla semplice evoluzione della materia, come già detto; non appartiene a un’entità che, per ripetere ancora Lidtz, può essere collocata dentro il cranio. Si esplicita, è vero, con meccanismo fisiologico ma non appartiene alla sola fisicità e materialità. La facoltà di parlare viene localizzata spazialmente nell’area di Broca, nel cervello, che chiaramente ne è il supporto. Essa, in realtà, sintetizza l’intera capacità intellettiva e razionale dell’uomo. E’ l’elemento senza il quale, l’uomo non sarebbe uomo. E’ l’elemento primordiale sul quale si costruisce tutto il resto della categoria uomo. E’ la realizzazione simbolica, ma concreta nello stesso tempo, del pensiero.

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Con questo credo che ancora non ho risposto alla domanda che cosa è la parola in sé, nella sua sostanza, così dicasi della coscienza, e del pensiero. Posso affermare, però, che oltre che ad essere caratteristiche dell’essere uomo, esse trovano un appiglio a ciò che afferma il Genesi.

Che, in definitiva, è quello che cerco di provare con questo scritto.

Richiamo, per comodità, il pensiero di Jung: <<L’uomo usa la parola parlata o scritta per esprimere il significato di quello che egli vuole comunicare. Il suo linguaggio è pieno di simboli, ma egli spesso fa uso anche di segni o di immagini che non sono descrittivi in senso stretto. (…) Ciò che noi chiamiamo simbolo è un termine, un nome, o anche una rappresentazione che può essere familiare nella vita di tutti i giorni e che tuttavia possiede connotati specifici oltre al suo significato ovvio e convenzionale. Esso implica qualcosa di vago, di sconosciuto o di inaccessibile per noi. (…) Perciò una parola o un’immagine è simbolica quando implica qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio e immediato. Essa [la parola riferita alla spiegazione di un simbolo] possiede un aspetto più ampio, <<inconscio>> che non è mai definito con precisione o compiutamente spiegato. Né si può sperare di definirlo o spiegarlo. Quando la mente esplora il simbolo, essa viene portata a contatto con idee che stanno al di là delle capacità razionali.>>9

La domanda, che cosa è la parola in sé, resta aperta. La Bibbia ce ne dà una ragione assolutamente fuori del mito, e ben radicata nella realtà oggettiva. E, se non ce ne scandalizziamo, scientifica.

CONCLUSIONE FINALE.

Arrivati alla fine di questo scritto le conclusioni che si possono trarre sono queste:

Partendo dal presupposto che nella Bibbia è possibile ritrovare la verità sulla storia del cosmo e dell’uomo, abbiamo argomentato cercando nella realtà della ragione la prova dell’ipotesi. E cioè che l’uomo possa essere arrivato sulla terra come cellula nella quale era già inscritta la sua storia iniziale e le conseguenze di quella storia. E’ questo che abbiamo ravvisato nel libro della Genesi.

Abbiamo cercato di argomentare che la storia inscritta nella cellula “uomo” corrisponde alla storia della salvezza contenuta nell’intera Bibbia. Preparazione nell’A.T. e realizzazione nel N.T.

Questa storia, ormai compiuta con la storia di Cristo, è partita dal Popolo Ebreo ed ha ancora una sua consequenzialità nella Religione Cristiana, alla quale è passato il testimone per diffonderne la conoscenza all’intera umanità.

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Nel secondo capitolo abbiamo cercato di confutare la tesi del Dawkins che sostiene che è possibile provare l’inesistenza di Dio.

Abbiamo visto come le sue prove, la maggior parte di ordine emotivo e sociologico non hanno nulla di scientifico. Il suo argomentare scientifico con la teoria darwiniana non produce un argomento inoppugnabile. Quelle filosofiche non sono consistenti in quanto non sembra riuscire a smontare S. Tommaso e S. Anselmo. Così, anche per quanto riguarda la critica alla “Bibbia”, egli non adduce assolutamente un argomento che si possa avvicinare a un tentativo di smontarla dal punto di vista scientifico. Le prove scientifiche sono prove ipotetiche, per cui anche lui a un certo punto deve riconoscere che questa realtà non si può basare sul nulla. Noi, al contrario, abbiamo accettato l’evoluzionismo e il Bing Bang come parte sostanziale del determinismo storico della Creazione, e rivalutato Darwin che cita non una sola volta la parola creatore, ben 9 volte e senza parentesi.

Una delle prove che, a nostro parere, è più efficace per dimostrare la nostra tesi di fondo è quella del peccato consumato per una libera scelta. La libertà è diventata l’arbitro della storia dell’uomo da quel momento in poi. Fino ad oggi. Fino a che l’uomo sarà presente sulla terra. Storia contenuta in elementi simbolici riconducibili all’inconscio collettivo e agli archetipi di Freud e di Jung.

La Parola. E’ l’elemento più importante, insieme al pensiero e alla coscienza per dimostrare che l’uomo appartiene a una specie particolare all’interno di tutto il creato. Sono elementi intrinseci nella natura umana che non sono spiegabili con l’immanenza, il meccanicismo e il materialismo del corpo umano. Non sono pienamente spiegabili neanche con l’evoluzione, come si può vedere leggendo Darwin. La frase che chiarisce il tutto è quella di Lidtz:<<La mente non sta certamente dentro il cranio.>> Per noi, queste altissime facoltà come le definisce Darwin, sono prove della trascendenza dell’uomo. Aspettiamo una prova scientifica inoppugnabile, simile, ad esempio, alla scoperta della radio di Marconi, (che non è un’ipotesi), che possa smentire la trascendenza presente nella natura umana. La ricerca in atto a Losanna potrebbe smentire questa tesi. Siamo in attesa di una sua realizzazione scientificamente seria come lo è stata la scoperta della radio. La storia della Parola è tutta contenuta nella Bibbia, sia Antico che Nuovo Testamento.

Saremo ben lieti, se i teoremi sulla inesistenza di Dio (Dawkins, Augias e gli altri) venissero dimostrati con prove inconfutabili, prove scientifiche, non supposizioni. Non prove sociologiche o emotive che riguardano il Vaticano o le Religioni. Abbiamo cercato di distinguere

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bene la Religione dall’esistenza scientifica di Dio. Non abbiamo paura della Verità. E neanche del confronto. Ho più volte ricordato che è il comando dato dal Creatore all’uomo è conoscere la nostra origine e conoscere l’origine del tutto. Far questo significa obbedire al Creatore. Nessuno può aver paura della Verità. Essa, afferma Gesù, ci farà liberi.

Questo è il risultato di questo libro. Noi abbiamo cercato di dimostrare che la Bibbia contiene il “progetto intelligente”. Agli altri dimostrare seriamente che la Bibbia è solo un libro come tanti.

Riflettendo sul metodo annunciato all’inizio, dico che per

restargli fedele, ho cercato di spezzettare le affermazioni: cercare piccole verità sulle quali poter essere tutti d’accordo e arrivare così a trovare dei punti in comune. Anche se spesso questo può aver reso il testo un po’ pesante e qualche volta ripetitivo. Non so se il tentativo è stato centrato, ma l’intento era quello.

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Note Appendice 2 1. <<Il linguaggio [inteso come capacità dell’uomo di parlare] come

fatto evolutivo: Il linguaggio, da distinguersi dalla vocalizzazione, come mezzo di comunicazione di concetti astratti, è una caratteristica tipicamente umana. Anche se esiste un’indubbia correlazione fra linguaggio ed encefalo, è di particolare interesse localizzare i centri cerebrali connessi con questa attività. Tutti sanno che cos’è l’area del Broca ed è noto l’interesse che le nozioni frenologiche hanno destato nella seconda metà del secolo scorso e nella prima metà dell’attuale. Ma queste concezioni settoriali della suddivisione dell’encefalo hanno fatto il loro tempo. Autorevoli ricerche hanno dimostrato che il cervello è una rete di sistemi funzionalmente integrati e non una collezione di subaree relativamente autonome. È difficile stabilire il tempo della comparsa del linguaggio, in quanto non esistono prove archeologiche che direttamente lo dimostrino. Il linguaggio deve tuttavia essere comparso quasi improvvisamente quando sia lo sviluppo biologico sia quello sociale raggiunsero un punto critico. Nell’evoluzione dell’encefalo degli Ominidi si possono distinguere tre successivi eventi. Durante la prima fase australopitecina dell’evoluzione umana (da 4 a 1 milione di anni fa) hanno predominato cambiamenti nel comportamento sociale, legati principalmente all’acquisizione della deambulazione bipede e a variazioni nella costituzione endocrina, dovuti anche al variato regime alimentare. Una conseguenza delle variazioni endocrine è stata l’estensione del periodo di maturazione postnatale, che, rispetto alle Antropomorfe, doveva già essere incrementato di un terzo (da 8 a 12 anni). Questi cambiamenti, specialmente l’ultimo, devono avere incrementato l’influenza dell’ambiente sullo sviluppo del sistema nervoso centrale e ne devono avere condizionato il processo di riorganizzazione. Queste variazioni devono poi essersi rafforzate e raffinate durante il secondo periodo della fase australopitecina dell’evoluzione umana, la cosiddetta fase dell’Homo habilis, finché nella fase tarda dell’Homo erectus, fino alla fase neandertaliana e sapiens, si svilupparono ulteriori capacità culturali, e il cervello subì un notevole incremento di dimensioni. Durante questo periodo inoltre un’interazione positiva fra adattamenti comportamentali all’ambiente e variazioni biologiche deve aver accelerato l’evoluzione di entrambi. Tuttavia, perché una funzione così intricata ed elaborata come il linguaggio possa divenire possibile, è necessario che esista un substrato neurale sufficientemente complesso. Mentre questo deve essersi creato attraverso un lungo processo di selezione naturale, le connessioni neuroniche si sono stabilite sotto la pressione dell’ambiente sociale. Ma in che modo l’ambiente sociale ha agito su una delle più importanti funzioni biologiche del cervello umano e attraverso quale meccanismo queste si sono fissate durante le ultime fasi dell’antropogenesi? In www.sapere.it. Ammesso che tutto ciò sia scientificamente vero, questo processo ci spiegherebbe solo la capacità fisiologica di articolare parole, ma non ci spiega cos’è la parola e per quale meccanismo non fisiologico essa ci ha dato la capacità di rendere consapevole la realtà

2. Questa specificazione è d’obbligo, perché se riuscissimo a percepire

anche l’esatto significato inteso dall’emittente non ci sarebbero tanti fraintesi che portano a litigi, drammi e tragedie dovute al fatto di non essersi capiti. Questo è uno dei tanti aspetti psicologici della parola e anche un suo limite.

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3. Gli studiosi dell’origine del linguaggio umano, uno tra i primi, Platone, ipotizzano che le parole hanno avuto origine per imitazione dei suoni naturali. Ad esempio, dice Platone, le parole che contengono la “r” sono quelle che danno il senso del movimento: correre, scorrere, ecc. E così via. Anche Darwin prova a spiegare l’origine del linguaggio:<< La formazione di linguaggi differenti e di specie distinte, e le prove che gli uni e le altre si sono andati sviluppando con un graduato processo sono in singolar modo le stesse. Ma possiamo segnare l’origine di molti vocaboli molto più indietro di quello che non sia pel caso delle specie, perché possiamo vedere come siano veramente derivati dall’imitazione di certi suoni. Noi trovammo in linguaggi distinti notevoli omologie dovute alla comunanza di origine, ed analogie dovute ad un somigliante processo di formazione. Il modo in cui certe lettere o suoni mutano quando altri mutano è veramente come un accrescimento correlativo. In ambi i casi noi abbiamo il raddoppiamento di parti, gli effetti di una lunga e continua abitudine, e così avanti. La frequente presenza di rudimenti, tanto nelle lingue quanto nelle specie, è ancor più notevole. Nella lingua inglese la lettera m nel vocabolo am significa Io; cosicchè nell’espressione I am (io sono) si è conservato un rudimento superfluo e inutile. Parimente nel sillabare le parole sovente rimangono certe lettere come rudimenti di antiche forme di pronunzia. Le lingue, come gli esseri organici, possono venire classificate in gruppi e sotto gruppi; e si possono anche classificare naturalmente secondo l’origine ed artificialmente per altri caratteri. Le lingue e i dialetti dominanti si sparsero largamente e furono causa della graduata estensione di altre lingue.>> In DARWIN, C., L'origine dell'uomo e la scelta in rapporto col sesso, p.38. Ma se questo può essere vero per alcune parole, per le altre no. Inoltre gli studiosi ci dicono, ad esempio, che le attuali lingue romanze derivano originariamente dalla lingua sanscrita, trasformata in greco e successivamente in latino. Comunque per un corso di linguistica si rimanda ad autori come De Saussure, e altri. E’ evidente che ci troviamo in difficoltà a dare la spiegazione vera a queste domande. Per integrare il pensiero di Darwin aggiungo questa lunga citazione:<< Per ciò che riguarda poi l’origine del linguaggio articolato, dopo aver letto per una parte le interessantissime opere del signor Hensleigh Wedgwood, del rev. F. Farrar, e del prof. Schleicher, e dall’altra le celebri letture del professore Max Müller, non posso mettere in dubbio che il linguaggio deve la sua origine alla imitazione e modificazione aiutata dai segni e dai gesti dei vari suoni naturali, delle voci degli altri animali, e delle grida istintive dell’uomo. Quando parleremo della scelta sessuale vedremo che l’uomo primitivo, o meglio alcuni dei primi progenitori di esso, adoperavano grandemente la loro voce come fanno oggi le scimmie ilobati, producendo cadenze musicali, cioè cantando: potremo quindi conchiudere da una estesa analogia, che questa attitudine si sarà esercitata particolarmente durante gli amori dei sessi, servendo ad esprimere varie emozioni, come l’amore, la gelosia, il trionfo, e venendo anche adoperata per sfidare i rivali. L’imitazione di grida musicali fatta con suoni articolati deve avere dato origine a vocaboli esprimenti svariate e complesse emozioni. Mentre la voce si andava sempre più adoperando, gli organi vocali debbono essersi man mano rinforzati e perfezionati pel principio degli effetti ereditari dell’esercizio, e ciò può avere reagito sulla facoltà di parlare. Ma la relazione tra l’uso continuato del linguaggio e lo sviluppo del cervello deve essere stata indubbiamente molto più importante. Le potenze mentali di alcuni fra i primi progenitori dell’uomo debbono essere state molto più sviluppate di quello che siano in nessuna scimmia esistente oggi; prima anche che fosse adoperata qualunque, per quanto

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imperfetta forma di linguaggio; ma possiamo credere con piena fede che l’uso continuato e il progresso di questa potenza deve aver reagito sulla mente rendendola atta sempre meglio a formare una lunga catena di pensieri. (…) L’intimo legame che esiste fra il cervello come è oggi sviluppato in noi e la facoltà di parlare è benissimo dimostrato in quelle curiose malattie del cervello nelle quali vien lesa particolarmente la parola, come per esempio quando si perde la memoria dei sostantivi, mentre le altre parole si pronunciano correttamente. Non vi è maggior improbabilità a ciò che gli effetti dell’uso continuo degli organi della voce e della mente siano ereditati, di quello che lo sia la scrittura, che dipende in parte dalla conformazione della mano, e in parte dalla disposizione della mente; ed è certo che la facoltà calligrafica si eredita. Le lingue, come gli esseri organici, possono venire classificate in gruppi e sotto gruppi; e si possono anche classificare naturalmente secondo l’origine ed artificialmente per altri caratteri. Le lingue e i dialetti dominanti si sparsero largamente e furono causa della graduata estensione di altre lingue. Una lingua, come una specie, osserva sir C. Lyell, una volta estinta non ricompare più. La stessa lingua non ha due patrie. Linguaggi distinti possono incrociarsi e confondersi insieme. Noi osserviamo che ogni lingua varia sempre, e nuovi vocaboli si formano continuamente; ma siccome vi è un limite alla potenza della memoria, certi vocaboli isolati, come certi linguaggi interi, vanno gradatamente estinguendosi. Come osserva con molta ragione Max Muller: “Ferve una continua lotta per la vita fra i vocaboli di tutte le lingue. Le forme migliori più brevi, più facili, acquistano sempre maggior credito, e vanno debitrici del loro successo alla loro propria inerente virtù”. A queste cause più importanti della prevalenza di certi vocaboli si potrebbe anche aggiungere la novità; perchè nella mente dell’uomo v’ha un amore potente per mutare tutte le cose. Il sopravvivere o il conservarsi di certi vocaboli fortunati nella lotta per l’esistenza è scelta naturale. La costruzione perfettamente regolare e meravigliosamente complessa delle lingue di molte nazioni barbare è stata sovente addotta come prova, o dell’origine divina di quelle lingue, o dell’arte elevata e della primitiva civiltà dei loro fondatori. Così F. di Schlegel scrive: “In quelle lingue che sembrano essere nell’infimo grado di coltura intellettuale, noi osserviamo frequentemente un altissimo ed elaborato grado di arte nella loro struttura grammaticale. Questo è specialmente il caso coi Baschi ed i Lapponi, e molti dei linguaggi americani”. Ma è certamente un errore considerare qualunque linguaggio come un’arte nel senso che sia stato elaborato e metodicamente formato. Ora i filologi ammettono che le coniugazioni, le declinazioni, ecc. esistevano in origine come distinti vocaboli, e che poi furono riunite assieme; e siccome cosiffatti vocaboli esprimevano le più ovvie relazioni fra gli oggetti e le persone, non dobbiamo meravigliarci che siano stati adoperati dagli uomini di moltissime razze durante i primi secoli. (…) Da queste poche ed imperfette osservazioni concludo che la costruzione regolare e sommamente complessa di molte lingue barbare non è una prova che esse siano state originate da un atto speciale di creazione. Neppure, come abbiamo veduto, la facoltà di articolare la parola non offre in se stessa una obiezione insuperabile alla credenza che l’uomo siasi sviluppato da qualche forma inferiore.>> pp. 36-40 Darwin cerca, accostando ipotesi ad osservazioni, che il linguaggio è spiegabile con l’evoluzione. Devo ripetere la differenza che c’è tra linguaggio e parola. Darwin ipotizza che la parola nasce per imitazione e per dare significato alle emozioni. Anche ammesso che sia così, non spiega sufficientemente (il motivo è solo un fatto di intelligenza) perché negli animali più evoluti non è avvenuto questo passaggio. Resta sempre comunque da spiegare la nascita di questo simbolo acustico che non serve solo a

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comunicare oggetti ma idee e concetti astratti. Darwin ipotizza che sono le potenze mentali superiori dell’uomo rispetto agli altri animali il cui continuativo ha permesso all’uomo di parlare. Finché si tratta di articolare parole siamo d’accordo, ma la parola in sé non è solo articolazione di suoni. Resta sempre e comunque difficile da spiegare il pensiero che Darwin accenna appena e che, secondo lui, viene dopo la parola.

4. Per integrare questa appendice fare riferimento a quanto scritto nel I

capitolo. 5. DARWIN, C. L'origine dell'uomo e la scelta in rapporto col sesso, p.

38. 6. Io credo che la Bibbia, essendo un insieme di libri, soggetti a un

canone diverso secondo le varie religioni che lo adottano, essi contengono delle idee che non sempre sono frutto solo di intuizioni umane, ma è un libro unico nel suo genere che vuole comunicarci dei contenuti prossimi alla verità trascendente e strutturale della natura umana. Anche se è insieme epopea, storia e cultura di un popolo che crede di essere stato scelto da questo Dio… e contiene anche un progetto: la salvezza.

7. BAUSANI ALESSANDRO, Le lingue inventate. Ubaldini, Roma,

1974. 8. In MILANI, GERARDO, Da Saussure a Jakobson. La teoria della

lingua e della poesia. www.filosofia.it. 9. In JUNG, C.G., L’uomo e i suoi simboli. Ed. TEA, Milano 2009. pp. 5-

6.

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Nota:

Le parentesi quadre, all’interno delle note, indicano i miei commenti .

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INDICE ANALITICO

A

A.T. 5; 10; 23; 28; 40; 119 Abele 81 Aborto 74; 136; 143 Abram, personaggio biblico 26; 27 Abramo, personaggio biblico 4; 25;

26; 27; 40, 49; 80, 81; 120; 125; 134; 174

Accumulo 16; 18; 38; 52; 62; 64; 69 Adamo, personaggio biblico 4, 27;

31; 32; 33; 55; 76; 81; 129; 130; 133; 134; 139; 148; 151

Ade 38; 119 Adler A. 89 Aeterni Patris, Bolla pontificia 68 Agnoli F. 63; 35; 70; 95 Agnostico 69 Aialon 67 Akenaton, faraone 81 Alcolismo 60 Alighieri, Dante 20; 69 Alito Vitale 33 Alleanza 26; 27; 39; 40; 81; 94; 121;

140 Allport G. 123 Amore 17; 60; 61; 77; 84; 108; 133;

140; 156; 152 Amorreo 67 Amos, profeta 139 Anassagora 52 Anassimandro 52 Anassimene 52 Anfilov G. 103 Angela A. 52 Angeli 37; 49; 75; 142 Angelo 140; 141 Anglicana, Scuola 69 Anima 37; 38; 44; 46; 47; 48; 49;

50; 53; 61; 66; 74; 77; 79; 93; 95; 98; 101; 103; 104; 142

Animal rationale 42

Anime 26;54;79 Animismo 25; 111 Anselmo d’Aosta 112; 114; 115 Antimateria 105 Antropia 9; 29; 56; 70; 72 Antropico, principio, 16; 38; 60;

117; 118 Antropologia 11; 50 Antropologismo 25; 39; 81 Antropomorfi 42 Antropomorfismo 17; 74 Antropomorfo 81 Apocalisse 32; 75; 131; 139 Apokatastasis 76 Aran 26 Arca 48 Archeologia 11 Archetipo35; 38; 50; 76; 80; 86; 87;

124; 138; 139 Archetipa, idea 87 Archetipi 25; 35; 36; 37; 41; 76; 77;

80; 81; 86; 124; 135; 153 Arianna, filo di 36; 37; 50; 89 Aristotele 71; 81; 93; 103; 124 Aristotelismo 67 Aronne 141 Ascensione 5 Asia 140 A-spaziale34; 35; 36; 38; 39; 41; 42;

50; 86; 134; 135 Assiro-Babilonesi 24 Associazioni mentali 72 Astrazione 63; 72; 73; 85 Atarassia 39 Ateismo 56; 62; 74; 93; 122 A-temporale 34; 35; 36; 37; 38; 39;

41; 42; 50; 86; 134; 135 Atomistica, concezione 89; 90 Attenborough D. 9 Atti degli Apostoli 76 Augias C. 9; 55; 56; 111;

138; 153

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Autodeterminazione 35; 135 Autorità 24; 28; 68 Averno 26

B

Babilonia 141 Baget Bozzo G. 94; 138 Bain A. 64 Barth K. 60; 92 Basilica di San Pietro 68 Bausani A. 158 Beavin J.H 59; 98 Behaviorismo 64 Benedetto XVI 133; 138; 140 Bereshit Barà Elohim 29 Bergson H. 71 Bersabea, personaggio biblico 48 Bertorelle G. 53 Boncinelli E. 95 Biester E. 68 Big Bang 62; 113; 116 Biologia 16; 17; 52; 58; 64; 65; 69;

70; 118 Blue Brain Project 61 Bobbio N. 74 Bohr N. 52; 71 Bonnot E., De Condillac, 63 Born M. 71 Boutroux E. 71 Brama, divinità 38 Breuer J. 92 Broca, area di 151 Brodo primordiale 42; 70; 71 Büchner G 73 Buddha 18 Bultmann, R. 5; 60; 92

C

Caillois R. 123 Caino, personaggio biblico 81 Caldei 26; 81; 140 Cambridge 69; 117 Campi Elisi 119

Canaan, località biblica 26; 27; 140 Caos 13; 14; 21; 23; 61 Carisma 28 Carran, località biblica 26; 140 Cartesio R. 19; 52; 71; 75; 125 Casualità 9; 12; 13; 56; 57; 59; 127 Categorie 4; 27; 29; 31; 50; 51; 63;

66; 73; 80; 88; 113; 119; 133; 136; 149

Cattolicesimo 67 Cattolici 28 Cattolico 53 Causa 9;11; 13; 16; 18; 19; 21; 27; 36;

38; 40; 41; 49; 54; 56; 57; 58; 59; 60; 65; 70; 71; 77; 81; 84; 85; 94; 98; 104; 106; 107; 112; 113; 122; 124; 127; 132; 156; 157

Causalità 12; 38; 56; 71 Cellula 17; 19; 22; 34; 36; 41; 42; 43;

44; 51; 65; 74; 75; 84; 103; 124; 134; 152

Cellule 9; 15; 17; 18; 65; 74 Cervello 44; 45; 47; 49; 52; 61; 74;

77; 90; 91; 97; 98; 100; 101; 102; 103; 108; 144; 151; 155; 157

Chiesa 4; 5; 9; 19; 20; 37; 53; 54; 55; 67; 68; 74; 76; 94; 98; 107; 108; 109; 137; 138; 143

Chomsky N. 83 Cicerone 47; 104 Cilicia 104 Cinismo 89 Circolo di Vienna 63 Circoncisione 140 Citomorfismo 17 Civiltà 87; 94; 99; 123; 137; 138; 157 Coccia E. 9; 94 Comportamenti. 15; 27; 49; 53; 84;

99; 139; 140 Comportamento 36; 43; 46; 57; 58;

59; 64; 68; 74; 95; 97; 98; 128; 130; 135; 137; 155

Concilio Vaticano I 20 Concilio Vaticano II 20

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LA BIBBIA ha ragione

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Conoscenza 22; 23; 24; 25; 41; 46; 52; 53; 58; 60; 63; 67; 75; 79; 82; 86; 99; 100; 106; 110; 116; 126; 129; 130; 142; 144; 149; 152

Consapevolezza 14; 17; 18; 24; 36; 42; 44; 46; 72; 73; 92; 99; 100; 106; 119; 134; 148

Copernico N. 19 Coscienza 10; 17; 22; 35; 36; 43; 46;

47; 50; 51; 52; 61; 72; 73; 74; 77; 78; 83; 85; 86; 87; 90; 91; 92; 96; 98; 99; 100; 101; 102; 103; 135; 136; 143; 148; 152

Cosmogonie 85 Cosmologia 69 Cournot A. 71 Creatore 5; 6; 12; 13; 19; 20; 26; 27;

29; 33; 35; 36; 38; 40; 41; 43; 53; 56; 65; 66; 69; 80; 102; 105; 106; 107; 108; 109; 110; 111; 115; 119; 122; 124; 125; 131; 138; 153; 154

Creazione 6; 10; 12; 13; 14; 19; 20; 21; 22; 23; 24; 27; 28; 29; 32; 33; 34; 37; 38; 39; 41; 43; 50; 54; 55; 62; 66; 67; 69; 70; 75; 76; 83; 84; 93; 94; 103; 104; 105; 110; 113; 114; 115; 118; 119; 121; 123; 126; 138; 148; 151; 153; 157

Creazionismo 13; 19; 21; 66; 116 Crick F. 15 Cristianesimo 46; 67; 69; 75; 83;

93; 94; 111; 119; 137; 138 Cristo 4; 5; 10; 23; 28; 32; 33; 40;

54; 61; 68; 76; 81; 93; 94; 119; 131; 132; 134; 135; 152

Croce 133 Cultura 5; 9; 47; 67; 80; 81; 86; 124;

155; 158 Culture 33; 48; 120

D

Darwin C. 12; 14; 15; 16; 18; 19; 20; 21; 35; 37; 50; 51; 54; 55; 56; 63; 64; 65; 69; 71; 72; 73; 77; 78; 80;

84; 85; 87; 106; 107; 115; 117; 122; 123; 146; 147; 153; 156; 158

Darwinismo 69; 106; 107; 108; 111; 116; 117; 118

Davide, re d’Israele 4; 40; 48; 142 Dawkins 7; 9; 16; 18; 21; 29; 39; 46;

52; 56; 59; 60; 62; 63; 64; 65; 69; 70; 74; 81; 82; 106; 107; 108; 110; 111; 112; 113; 116; 118; 119; 120; 121; 122; 123; 153

De Mauro T. 83 De Saussure F. 83; 144; 151; 156 Dei Filius, costituzione dogmatica

68 Delay J. 96 Demitizzazione 60 Democrito 52; 71 Dennett, D. C. 61; 65; 74; 88; 90;

100; 102; 103; 108 Descartes 67; 97 Determinismo 12; 13; 22; 31; 59;

60; 62; 71; 93; 121; 127; 128; 151; 153

Deucalione 84; 143 Deuteronomio 48 Diderot D. 71 Diluvio Universale 10; 26; 27; 81;

113 Dimensioni 33; 36; 39; 45; 63; 72;

115; 119; 136; 155 Dinosauri 52; 94 Disobbedienza 24; 35 Distorsione percettiva 36 Divina Commedia, la 69 Divinità 17; 18; 23; 24; 25; 28; 40;

67; 69; 94; 110; 111; 115; 123; 127; 141

DNA 15; 16; 17; 41; 42; 52; 53; 64; 69; 70; 94

Dogma 16; 17; 19; 28; 68; 95; 111 Dogmi 54; 74 Dolittle, dottor 17 Du Bois-Reymond E. 71 Dualismo 45; 48; 90; 98; 99; 102

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LA BIBBIA ha ragione

167

E

Ebraica, cultura 47; 76 Ebraica, lingua 29 Ebraica, monarchia 24 Ebraica, religione 30; 40; 56 Ebraica, società 32; 133 Ebraismo 111 Eccles J. 101 Egitto 80; 125; 140; 141 Egiziana, religione 26; 110 Egiziana, storia 27 Einstein A. 52; 71; 115 Elia, profeta 48; 76 Eliopoli 61; 75; 81 Elohim 29; 80; 82 Embriologia 91 Embrione 34; 38; 74; 143 Emozioni 16; 45; 143; 156; 158 Empedocle 52 Empirismo 63; 64 Endocrinologia 95 Energia 50; 57; 58; 71; 83; 92; 97;

115 Entelechia 58 Epicuro 63 Epigenetica 17; 65 Eraclito 52 Eresia 21; 56; 74 Erfurt 60 Erikson E.H. 60 Eros 95 Es 89 Esperienza 23; 29; 52; 57; 63; 64;

82; 85; 86; 88; 91; 96; 97; 99; 101; 107; 116; 123; 124; 151

Essere Supremo 24 Ester, personaggio biblico 139 Eternità 5; 6; 26; 36; 68; 88; 115;

119; 125; 127; 134; 143 Etica 68 Etologia 95 Etrusca, religione 26 Eucariotica, cellula 75

Eutanasia 135 Eva, personaggio biblico 4; 33; 81;

130; 132; 133; 139 Evoluzionismo 14; 19; 20; 21; 54;

67; 71; 72; 110; 153 Eysenck H.J. 96 Ezechiele, profeta 49

F

Faraone 81; 110; 125; 140; 141 Faust 140 Fede 4, 5; 6; 9; 12; 18; 24; 28; 37;

39; 54; 55; 56; 60; 61; 62; 68; 69; 71; 74; 92; 93; 94; 108; 110; 118

Felicità 16; 17; 34; 38; 41; 47; 121; 127

Fenomeno 20; 22; 26; 42; 43; 44; 45; 46; 53; 54; 60; 65; 67; 70; 87; 88; 91; 95; 99; 105; 109; 110; 118; 119; 123; 128; 145; 146; 148

Ferrara, università di 52; 53 Fideismo 68 Fides et Ratio, enciclica 53 Filosofia 53; 58; 63; 71; 79; 81; 83;

98; 104; 119; 159 Fine, finalità 6; 32; 38; 40; 41; 47;

58; 68; 93; 96; 127; 138 Fisica 18; 42; 52; 57; 71; 75; 85; 106;

115; 117; 118; 136; 139; 144; 149 Flew A. 121; 122 Flores d’Arcais P. 62; 74; 93 Frankl V. 90 Franz Marie-Louise, von 103 Freud S. 23; 35; 36; 37; 46; 47; 57;

85; 86; 88; 89; 90; 91; 92; 123; 124; 153

G

Gabaon, località biblica 67 Galileo Galilei 19 Genesi 18; 35; 37; 48; 53; 64; 67;

69; 84; 85; 113; 139; 152 Genetica 16; 65

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LA BIBBIA ha ragione

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Geni 15; 16; 17; 18; 53; 65; 96 Geremia, profeta 139 Gestalt 64; 146 Gesù 4; 10; 18; 26; 28; 32; 40; 49;

81; 131; 140; 142; 154 Giacobbe, personaggio biblico 48;

49; 125; 140; 141; 142 Ginevra 71; 105 Gingerich O. 121 Giosuè, personaggio biblico 67; 141 Giovanni, evangelista 32; 40; 75;

84; 131; 132; 138 Giovanni Paolo II 53; 138 Giuda, regno di 24; 48 Giuditta, personaggio biblico 139 Giudizio 54; 77; 80; 105; 125; 132;

142; 143; 149 Giuseppe, personaggio biblico 140;

141 Giustizia 56; 132; 133; 140; 142; 143 Gnostici 31 Gomorra, località biblica 80 Gould S. J. 7; 62 Grant & Jane Salomon 142 Gravità 13; 46; 49; 66; 69; 107; 122;

126 Greci 58; 111; 138

H

Harvard, università 7; 121 Heisenberg W. 71 Hilgard E.R 96 Hobbes T. 83 Humani Generis, enciclica 54; 67 Hume D. 21; 56; 57; 59; 98; 113 Huxley J. 63

I

Illuminismo 19; 20; 21; 37; 67; 93 Immaginazione 57; 62; 73; 101; 122 Immagini simboliche 86

Immanente 25; 26; 38; 44; 45; 46; 47; 51; 59; 73; 88; 90, 109; 110; 119; 127; 138

Immanentismo 25; 81 Immanenza 44; 47; 51; 61; 88; 111;

118; 153 Immortalità 47; 48; 93 Impulsi 78; 84; 90; 95; 98 Impulsività 90 Impulso 18; 24; 48; 49; 68; 84; 98 Inconscio 35; 36; 37; 38; 41; 50; 83;

86; 87; 90; 94; 99; 124; 128; 130; 152; 153

Induismo 38 Infallibilità 28; 68 Infinito 21; 26; 36; 61; 65; 68; 88;

99; 106; 107; 112; 113; 115; 119 Inghilterra 31 Innatismo 64 Intelletto 68; 114; 115; 117 Intelligenza 14; 72; 96; 110; 111; 113;

146; 147; 151 Interazione 57; 58; 95; 155 Intrinseco 21; 29; 150 Iperuranio 26; 27; 34; 47; 79 Isacco, personaggio biblico 49; 125;

140; 141 Isaia, profeta 49; 139 Iside, divinità egizia 61 Islam 48 Ispirazione 28; 125 Israele 25; 27; 48; 67; 119; 141 Istinto 72; 73; 77; 78; 84; 86; 95;

107; 135; 137 Istituzione 4; 5; 28; 108; 105; 111 Italia 67, 70

J

Jackson D.D 59; 98 Jakobson R. 158 James W. 123 Jefferson T. Presidente degli Stati

Uniti 116

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LA BIBBIA ha ragione

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JHWH 24; 26; 27; 40; 80; 81; 82; 107; 133

Joab, personaggio biblico 48 Jung C.G 23; 25; 35; 36; 37; 43; 45;

47; 51; 58; 75; 76; 77; 79; 80; 81; 83; 85; 86; 87; 88; 96; 97; 99; 103; 118; 120; 124; 132; 139; 152; 153; 158

K

Kamikaze 137 Kant I. 63; 68; 77; 84; 85; 87; 88;

96; 125; 149 Keplero G. 71 Köler W. 21; 55; 59; 69; 82; 88, 96;

98 Königsberg 68 Kwait 81

L

Laico 39; 94 Lamentabili Sane Exitu, enciclica

67 Legge 9, 10; 13, 45; 65; 66; 68; 69;

70; 77; 83; 84; 98; 105; 107; 122; 126; 136; 140; 142; 143; 145

Lejeune J. 70 Leibniz G.W. 43; 71; 85; 125 Leonardo Da Vinci 53; 123 Lerner G. 62; 74; 93 Lettera ai Corinzi, prima 76 Lettera agli Ebrei 32; 135; 139; 140 Lettera ai Romani 60; 115; 138 Leucippo 71 Levy-Bruhl 123 Levi V. 43; 52; 97 Liberalismo 68 Libero arbitrio 12; 41; 60; 94; 127;

133 Libertà 10, 12; 25, 39; 40; 46; 55;

60; 61; 75; 80; 113, 115; 126, 127; 128; 129; 131; 132; 133, 134; 135,

136, 137; 138; 139; 142; 143; 149; 153

Lidtz T. 61; 100, 118; 151; 153 Linden D. J. 61; 74, 88; 97, 98 Lingua 29; 30; 31; 72; 78; 82; 83;

97; 104; 105; 144; 146; 150; 151; 156; 157; 158

Linguaggi 31, 41; 156; 157 Linguaggio 10; 22; 23; 24; 31; 33;

34; 36; 72; 75; 77; 78; 81; 82; 83; 86; 99; 139; 149; 151; 152; 155; 156; 157, 158

Lipton B.H 11; 15; 16; 21; 34; 41; 44; 47; 52; 64; 69; 70; 74; 88, 151

Liturgia 81 Logos 31, 32; 33; 53, 83; 84, 138 Lorenz K. 95 Losanna 61; 153 Lot, personaggio biblico 26 Lou Andreas-Salomè 37 Lutero M. 60

M

Maat 138 Maccabei 49 Macgrath A. E. 121 Mach E. 63; 64 Madian, località biblica 141 Magistero 54, 55; 67 Mancuso V. 55, 138 Marconi G. 25, 71; 153 Matematica 71; 83; 97 Materia 22, 26; 29; 30; 35; 36; 39;

44; 46; 49; 54; 55; 66; 73; 82; 90; 92; 97; 98; 99, 102; 103; 113; 119; 147; 151

Materialismo 38; 57; 68; 98; 102; 153

Matteo, evangelista 76 Meccanicismo 71; 103; 153 Mefisotfele 140 Meili R. 96 Memoria 36; 61; 63; 73; 82; 88; 91;

95; 102; 105; 118; 128; 157

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LA BIBBIA ha ragione

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Mente 7; 9, 18, 29; 35; 37; 39; 43; 46; 47; 49; 59; 60, 61; 62; 68; 72; 78; 80, 82; 83; 86; 87, 96; 97; 98, 99; 101; 102; 103; 108; 11; 118; 121; 124; 133; 146; 150; 151; 152; 153; 157

Mesopotamia 140 Metafisica 42; 81; 124; 126 Metapsicologia 37 Metariflessione 71 Metempsicosi 38 Metodo 66; 67; 72; 87; 108 Michea, profeta 139 Milani G. 158 Miller S. 70 Milton J. 94; 140 Miner R.W. 57 Mircea, E. 123 Mistero 4, 6; 60; 72; 88; 94; 95;

100; 101; 133 Mito 5; 23; 26; 36; 61; 75; 76; 79;

80; 84; 123; 135; 148; 152 Mito della caverna 26; 79; 80 Mitologia 4; 5; 23, 26; 86; 87; 110,

127; 134; 135 Mitra, divinità 81 Modello 17; 52; 57; 86; 87; 141 Modernismo 20; 67 Mòloch 141 Monarchia 24 Monod J. 62 Monogenismo 12; 34; 53; 54; 55 Monoteismo 25, 26; 27; 28; 80; 81;

110; 111 Moralità 46; 120 Morte 24, 28; 48; 49, 56; 60; 66;

68; 69; 76; 95; 105; 107; 119; 127; 129; 133; 134; 135; 140; 142; 143, 145

Mosè, personaggio biblico 4; 40; 49; 81; 104; 105; 125; 140; 141

Multiverso 117 Murri R. 67

N

N.T. 5; 23; 26; 33; 40; 49; 110; 134; 152

Natale, festa 75; 76 Naturalismo 89 Neanderthal 52; 53 Neopositivismo 64 Neurone 61 New York 137 New Orleans 61 Newton I. 52; 71; 85 Nilo, fiume 26 Noè, personaggio biblico 4; 40 Nostradamus 124 Noumeno 118; 119 Nulla 22; 29; 32; 33; 63; 82; 93;

105; 115; 118; 119; 143; 145; 153 Nuzzi G.L., 9

O

Odifreddi P. 80; 82; 83; 85; 88 Onnipotenza 112; 113; 117; 126 Onniscienza 112; 113; 117; 126; 134 Ontologico 53; 114; 116 Oparin A. 70; 95 Origene 76 Oscurantismo 19; 37 Osiride, divinità 61 Oxford, università 121

P

Paleontologia 7; 11 Palestina 27 Paolo, apostolo 10; 56; 60; 81; 93;

115; 138 Paradiso 17 Paradiso Perduto 41; 94; 121; 134;

140 Paradiso Terrestre 33 Paradosso 88; 133 Parmenide 52

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LA BIBBIA ha ragione

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Parola 7; 22; 29; 30, 31, 32; 33; 35; 38; 39, 41; 43; 44; 45; 47; 48; 50; 51; 52; 65; 66; 69; 72; 78; 81; 82; 83; 84; 93; 96; 97; 98; 110; 115; 122; 123; 126; 132; 136; 138; 144; 145; 146; 147; 148; 149; 150; 151; 152; 153; 155; 156; 157; 158

Pascal B. 43; 93; 97; 116 Pascendi Dominici Gregis, enciclica

67 Pastor Aeternus, costituzione

dogmatica 68 Patriarca 26; 27 Patriarchi 27; 140 Patto 26; 39; 40; 41 Peccato Originale 24; 33; 34; 35;

39; 40; 41; 50; 55; 85; 113; 126; 137; 138

Pentecoste 5 Percezione 45; 46; 64, 72; 87; 88;

96, 99; 106; 129; 138; 146 Percezioni 45; 85; 90; 100; 146 Personalità 4; 23; 24; 40; 46; 49;

55; 75; 93; 103 Piattelli Palmarini M. 65 Pichot P. 96 Pio IX, papa 68 Pio XII, papa 54 Pirra, personaggio mitologico 84;

148 Pitagora 52 Planck M. 71 Platone 26; 27; 34; 36; 38; 47; 71;

79; 80; 81; 93; 156 Poligenismo 12, 34; 55 Politeismo 25, 82; 111 Ponzio Pilato 59 Poppert K. 101 Preesistente 13, 20; 21; 29; 30; 54;

55; 61; 63; 105 Pre-evolutiva 34; 43 Pregiudizi 37; 55, 65; 69; 79; 115;

116; 121, 136 Pregiudizio 16; 103; 108

Preistorico 35; 47; 53; 86; 94 Pre-spaziale 34 Pre-temporale 34; 36 Principio di Indeterminazione 71 Processi inconsci 90; 91 Processi psichici 35; 87; 90 Progetto intelligente 5; 6; 9; 13; 20;

41; 56; 60; 61; 62; 66; 67, 70; 94; 106; 113; 116; 154;

Profeta 48; 141; 142 Profeti 40; 141; 142 Progenitore 55; 87 Protestante, teologia 60 Provvidenza 94 Psicanalisi 35; 37; 57; 58; 60; 89;

90; 95; 135 Psicanalisti 87; 90 Psiche 86, 87; 89; 99; 103 Psicologia 6; 37; 58; 64; 79; 89, 96;

118; 124 Pulsione 95 Purificazione 38; 48; 94 Puritanesimo 89

R

Radio 25; 63; 71; 107; 153 Ragione 6; 12; 17; 19; 21; 50; 53; 55;

57; 60; 68; 69; 72; 73; 76; 81, 84, 91, 93; 94; 102; 113; 118; 122; 133; 152; 157

Ratzinger J., papa 23; 74; 93 Razionale 5; 29; 34; 39; 41; 44; 65;

93; 96; 99; 108; 151 Razionalismo 68 Redentore 76 Refàn, divinità 141 Reincarnazione 38 Religione 7; 19; 25; 26; 30; 40; 54;

56; 67; 69; 90; 93; 94; 95; 107; 108; 109; 110; 111; 119; 120; 121; 122; 123; 124; 135; 136, 138; 152; 154

Religioni 25, 29; 56; 62; 67; 94; 108; 110, 111; 119; 123; 138; 153; 158

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LA BIBBIA ha ragione

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Reminiscenza 34; 36; 38; 79; 80; 82; 87; 109; 130

Rendena C., 9 Rengger J.R. 73 Resurrezione 5; 40; 49; 76; 104; 119;

135 Retroattività 21; 98 Retroazione 59 Rivelazione 5; 12; 27; 39; 55; 67; 75;

101; 130 Roma 68; 93 Romanticismo 71 Rumi, poeta musulmano 18 Russel B. 21; 122 Ruth, personaggio biblico 139

S

S. Agostino 74 Sacrifici 94; 141 Sacrificio 40; 94; 132 Sacrorum Antistitum, motuproprio

67 Sadducei 49 Salvatore 76; 134 Salvezza 5; 6; 26; 32; 40; 50; 92;

94; 105; 120; 131; 134; 141; 158 Samuele, personaggio biblico 48 Sanscrita, lingua 156 Sapir E. 83 Sarai, personaggio biblico 26 Satana 131; 140 Saulo 142 Scrittura, Sacra 7; 54 Scrittura 39; 87; 99; 144; 150; 157 Scuola di Francoforte 83 Selezione naturale 9; 15; 16; 22; 29;

38; 56; 62; 63; 64; 65; 66; 70; 106; 108; 117; 146; 155

Sensazione 63; 84; 85; 96; 145 Sensazioni 63; 85; 90; 99; 100 Sensismo 63; 64 Serpente 23; 35; 75; 111; 129; 130;

131; 132; 133; 134; 139 Set, divinità egizia 61

Sichem, località biblica 141 Sillabo, enciclica 68 Simbolo 23; 30; 31; 35; 51; 82; 83;

123; 124; 131; 132; 134; 139; 146; 149; 150; 151; 152; 158

Sinagoga 140 Sinai, monte 141 Sinedrio 125; 134; 140 Siracide 139 Sisifo, personaggio mitologico 134 Sociologia 58 Sodoma, località biblica 80 Sostanza 14; 30; 32; 34; 58; 65; 74;

90; 91; 92; 100; 101; 102; 143; 152 Spazio 26; 33; 34; 35; 36; 37; 43;

50; 53; 61; 63; 66; 72; 81; 85; 87; 88; 100; 115; 119; 130; 145; 149; 151

Specie 14; 15; 16; 25; 32; 42; 44; 52; 54; 55; 59; 64; 65; 66; 69; 72; 77; 87; 88; 102; 122; 123; 149; 153; 156; 157

Speranza 5; 8; 80; 93; 118; 143 Spirito Santo 4; 142 SS.ma Trinità 4 Stanford University 16 Stati Uniti 64 Stefano, protomartire 134; 140; 142 Stoicismo 71 Storia della Salvezza 5; 11; 50; 132;

133; 137; 140; 152 Storicismo 71 Stuart Mill J. 64; 122 Svizzera 105

T

Talete di Mileto 52 Tantalo 134 Tarso 56 Tart C.T. 46; 49; 52; 100 Taylor Tim 18 Teilhard De Chardin 5; 12; 35; 54;

69; 102 Templari 124

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LA BIBBIA ha ragione

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Tempo 4; 11; 12; 22; 23; 24; 26; 33; 34; 35; 36; 37; 38; 39; 42; 43; 44; 50; 52; 57; 58; 61; 62; 63; 64; 66; 68; 72; 74; 75; 76; 79; 81; 85; 86; 87; 88; 89; 99; 100; 105; 106; 110; 113; 114; 115; 119; 120; 122; 124; 125; 128; 130; 131; 133; 138; 139; 141; 143; 144; 145; 149; 150; 151; 155

Teologia 6; 54; 60; 69 Terach, personaggio biblico 26 Tommaso d’Aquino 110; 112; 124;

153 Torre Di Babele 10; 27; 81; 151 Totem 123 Totemismo 123 Tracce mnestiche 36; 92 Traccia mnestica 85; 91 Tradizione 23; 54; 60; 76; 123 Trascendente 20; 23; 25; 26; 27; 28;

29; 45; 46; 47; 48; 50; 88; 90; 98; 102; 105; 110; 111; 114; 118; 119; 120; 138; 158

Trauma 35; 36; 37 Trento, Concilio di 55

U

Ulisse 52 Ur, località biblica 26, 81 Urey H. 70 Uria, personaggio biblico 48 Utopia 39

V

V.T 132 Vangeli 60; 81; 131 Vangelo 10; 32; 40; 61; 84; 131; 132;

137 Vannicelli, P.L. 94 Vaticano 4; 9; 20; 68; 109; 111; 140;

153 Verbo, logos 84; 144 Vergote A. 124 Verità 4, 5; 6; 7; 11; 12; 14; 15; 17; 19;

20; 24; 26; 28; 34; 35; 37; 38; 50; 52; 53; 54; 55; 59; 60; 61; 62; 65; 67; 74; 75; 76; 79; 80; 82; 87; 88; 93; 95; 103; 104; 107; 108; 115; 118; 123; 132; 137; 152; 154; 158

Vichinghi 111 Voltaire 9; 94

W

Watson, J.D. 15 Watzlawick P. 21; 57; 59; 98 Wiener N. 57 Wilhelm A. 96 Wisconsin 16 Wise K. 7; 8 Wittgenstein L. 78; 82; 83

Z

Zaccaria, profeta 49

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LA BIBBIA ha ragione

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SOMMARIO

Premessa 4

Note Premessa. 9

Capitolo I. Storia Della Salvezza interpretata da me. La Bibbia al vaglio della scienza. 11

1. Storia dell’umanità. 11 2 . Il Determinismo Storico. Causalità o Casualità? 12 3. Storia dell’uomo. 14 4. La Riflessione Scientifica e la Bibbia. Possono coesistere creazionismo e evoluzionismo? 19 5. L’uomo nella Bibbia. E’ solo un linguaggio mitologico o è possibile intravedere una realtà scientifica nelle affermazioni sulla natura umana? 22 6. Le conseguenze del monoteismo. 25 7. La Bibbia e il concetto di “creazione dal nulla”. 29 8. La Bibbia e la “Parola”. 30 9. Prime conclusioni. 33 A. CREAZIONE DELL’UOMO. 33 B. LE DIMENSIONI TEMPO-SPAZIO. 33 C. IL PENSIERO. 43 1. ASPETTO IMMANENTE. 45 2. ASPETTO TRASCENDENTE. 45 D. LA COSCIENZA O CONSAPEVOLEZZA. 46 E. L’ANIMA. 47 10. Conclusione. 50 Note Capitolo I. 52

CAPITOLO II. A proposito di R. Dawkins e il suo libro “L’illusione di Dio”. 107

Conclusione. 119 Note Capitolo II. 123

APPENDICE 1. La liberta’. Conquistata con una ribellione: il peccato originale. 127

Note Appendice 1. 139

APPENDICE 2. La Parola. 145

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LA BIBBIA ha ragione

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Conclusione finale. 153

Note Appendice 2 156 BIBLIOGRAFIA. 160

INDICE ANALITICO 164

SOMMARIO 173