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Estratto la bellezza della fede I QUADERNI DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE SANT’APOLLINARE DI FORLÌ NUMERO 4 - ANNO 2015 Pazzini Editore «SCRIPTURA CRESCIT CUM LEGENTIBUS» ERIO CASTELLUCCI PAOLO DELL’AQUILA UGO FACCHINI MATTEO FERRARI ROSINO GABBIADINI MASSIMO GANDOLFINI GIOVANNI GARDINI OLIVIER LEBOUTEUX MARGUERITE LÉNA PIERO MAESTRI PAOLA MALETTA EMANUELA PENNI ALESSANDRO RUSSO CARLO SARTONI GIORGIO SGUBBI GILBERTO ZAPPITELLO

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Estratto

la bellezza della fede

I QUADERNI DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE

SANT’APOLLINARE DI FORLÌ

NUMERO 4 - ANNO 2015

Pazzini Editore

«SCRIPTURA CRESCIT CUM LEGENTIBUS»ERIO CASTELLUCCIPAOLO DELL’AQUILAUGO FACCHINIMATTEO FERRARIROSINO GABBIADINIMASSIMO GANDOLFINIGIOVANNI GARDINIOLIVIER LEBOUTEUXMARGUERITE LÉNAPIERO MAESTRI PAOLA MALETTAEMANUELA PENNIALESSANDRO RUSSOCARLO SARTONIGIORGIO SGUBBIGILBERTO ZAPPITELLO

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iMMaGini eucariStiche neLLa BaSiLica di Sant’aPoLLinare nuovo

di Giovanni Gardini

La raffigurazione dell’ultima cena nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo apre il ciclo delle tredici scene cristologiche della parete destra della nava-

ta centrale dove sono riportati episodi della passione e resurrezione del Cristo, immagini ascrivibili all’epoca teodoriciana, al pari di quelle della parete sini-stra che mostrano il Signore Gesù potente in parole ed opere1.

L’immagine ravennate, al pari di quelle del Codice purpureo di Rossano Ca-labro e del Dittico dalle cinque parti conservato nel Museo del Duomo di Mila-no, si colloca tra le primissime raffigurazioni di questo brano biblico riportato sia nei vangeli canonici sia nella prima lettera ai Corinti al capitolo 11, 23-25, testo, quest’ultimo, nel quale si trova la più antica redazione dell’istituzione dell’Eucaristia del Nuovo Testamento (fig. 1)2.

Il Cristo vestito con abito purpureo, il volto barbato – dettaglio quest’ulti-mo che lo contraddistingue in tutte le scene della parete destra – il capo con il nimbo crucisegnato, la mano destra alzata nel gesto della parola, siede nel posto di onore, in cornu dextro; speculare a lui è l’apostolo Giuda.

1. Parte del presente articolo raccoglie in maniera più organica e completa quanto già scritto in due brevi note pubblicate sul giornale diocesano “RisVeglio Duemila”: g. garDini, Appunti sulla raffigura-zione dell’ultima cena nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, in “RisVeglio Duemila”, 2 ottobre 2015, 6; garDini, Moltiplicazione dei pani e dei pesci a Sant’Apollinare Nuovo, in “RisVeglio Duemila”, 30 ottobre 2015, 8; garDini, I discepoli di Emmaus nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, in “RisVeglio Duemila”, 3 aprile 2015, IV. Per uno sguardo veloce alle ventisei scene cristologiche della Basilica si veda: garDini, I riquadri cristologici nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, in Il Vangelo nei mosaici di Ravenna, Opera di Religione della Diocesi di Ravenna, Ravenna 2014, 13-15. Per uno sguardo complessivo più ampio e ar-ticolato si veda: l. ottolengHi, Stile e derivazioni iconografiche nei riquadri cristologici di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, Tipografia Arti Grafiche, Ravenna [1955?]; g. Bovini, Mosaici di S. Apollinare Nuovo di Ravenna. Il ciclo cristologico, Arnaud 1958; f. w. DeicHMann, Ravenna, Haupstadt des Spätantiken Abendlandes, Band I, Geschichte und Monumente, Wiesbaden 1969, 176-197. e. Penni iacco, L’arianesimo nei mosaici di Ravenna, Longo Editore, Ravenna 2011. In quest’ultimo testo l’autrice propende per una lettura ispirata dal pensiero ariano delle ventisei scene cristologiche. Su una lettura eucaristica di alcuni mosaici di Sant’Apollinare Nuovo si veda lo studio di: f. lanzoni, Studi storico-liturgici su S. Apollinare Nuovo, in “Felix Ravenna”, fascicolo A II, supplemento II, 1916, 95.

2. f. Manzi (ed.), Prima lettera ai Corinzi. Introduzione, traduzione e commento, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2013, 162. Si veda, per l’aspetto iconografico, e. DaSSMann, Eucaristia, in Nuovo dizio-nario patristico e di antichità cristiane, Marietti, Milano 2006, vol I, coll. 1814-1818. L’ultima cena tratta dal Codice Purpureo di Rossano Calabro e quella del Dittico dalle cinque parti hanno un impostazione molto simile al mosaico ravennate: senza entrare nel merito di queste due immagini che chiederebbero una trattazione ben più ampia di quanto non sia possibile affrontare in questo saggio, si segnala che nel Codex, la figura di Giuda è ben riconoscibile in quanto è raffigurato nel momento in cui intinge il bocco-ne nel piatto, mentre la formella di avorio presenta una contrazione estrema nel numero dei personaggi: oltre a Cristo e Giuda, occupanti gli stessi posti che si rintracciano nella redazione ravennate, sono pre-senti altri due apostoli. Sulla mensa sono sei pani ed un pesce.

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110 giovanni gardini

Il riquadro evidenzia il momento in cui si svolge il drammatico dialogo tra Gesù ed i dodici, quando è annunciato il tradimento: Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a doman-dargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà»3.

L’intera scena è dominata da un intenso gioco di sguardi che si fissano su Gesù e su Giuda: tre, tra i discepoli più vicini al Signore, hanno lo sguardo fisso su di lui – primo di essi è Pietro, chiaramente riconoscibile per la folta barba ed i capelli bianchi che gli incorniciano il volto -, mentre gli altri otto puntano gli occhi sul traditore4. Anche Giuda guarda il Signore e si viene così a chiudere un cerchio ideale, suggerito anche dalla disposizione dei di-scepoli, serrati nei loro abiti bianchi, gli uni stretti accanto agli altri in un semicerchio, attorno alla mensa triclinare, qui raffigurata con cura, la stessa usata per descrivere la tovaglia ricamata e dai ricchi panneggi. Su di essa sono adagiati sette pani, due grossi pesci sono offerti su di un vassoio, riferimenti che alludono, chiaramente, alla moltiplicazione dei pani e dei pesci e ai pasti del Signore risorto5.

La più antica riproduzione a noi nota di questo mosaico è stata edita da Giovanni Ciampini, nel secondo volume dei Vetera Monimenta, edito postu-mo nel 1699, alla Tav. XXVI (fig. 2)6. La particolarità di questa incisione con-siste nel fatto che l’unica scena cristolologica tra quelle della parete destra ivi raffigurate, è questa dell’ultima cena, in modo peraltro superficiale; basti fare un confronto con le scene cristologiche di sinistra riportate nella Tav. XXVII per accorgersi dell’approssimazione con cui questo episodio sia stato deline-ato, al punto tale che gli apostoli raffigurati sono solo otto. La trascuratezza con cui questa scena è stata rappresentata, e soprattutto l’assenza delle altre immagini del ciclo di passione e resurrezione, va probabilmente giustificata a causa dello stato di sommo degrado nel quale versavano i mosaici. Ancora nel

3. Mt 26, 20-23.4. Spesso questo dettaglio non è preso in considerazione data anche la distanza della scena dall’os-

servatore: il registro delle scene cristologiche attualmente si trova a 12 m. d’altezza rispetto al pavimento odierno. Rispetto alla quota originaria essi dovevano apparire ancora più distanti; cf. Bovini, Mosaici di Sant’Apollinare Nuovo di Ravenna. Il ciclo cristologico, 10-11.

5. Il numero dei pani e dei pesci è mutuato dai testi veterotestamentari; va tuttavia notato come nei sin-goli racconti evangelici manchi una piena corrispondenza con quanto raffigurato nel mosaico ravennate: in Mt 14, 13-21 vi sono 5 pani e 2 pesci; in Mt 15, 32-39 i pani sono 7, ricordati insieme a pochi pesciolini, senza che ne sia specificato il numero, come nella seconda redazione marciana del miracolo; in Mc 6, 30-44 i pani sono 5 e i pesci 2; in Mc 8, 1-10 i pani sono sette e vi sono pochi pesciolini; in Lc 9, 10-17 i pani sono 5 e i pesci 2; in Gv 6, 1-13 i pani sono 5, d’orzo specifica il testo, mentre i pesci sono 2. Per i pasti del Signore risorto cfr. Gv 21, 9-13; Lc 24,42.

6. Per le immagini ravennati nell’opera di Ciampini si veda: e. BalDini, Cesare Pronti e Francesco Negri, collaboratori ravennati dei vetera monumenta di Giovanni Giustino Ciampini in “Ravenna Studi e Ricerche”, XVIII-XIX, 2011-2012, 137-170.

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111immagini eucaristiche nella basilica di sant’apollinare nuovo

1838 Ignazio Sarti lamentava che solo il pannello dell’ultima cena era visibile, e si dovrà aspettare Liborio Salandri giunto a Ravenna nel 1844 – città nella quale peraltro morì due anni dopo candendo da un’impalcatura della Basilica stessa – per ammirare le scene cristologiche nella loro interezza7.

Alla sommaria riproduzione del mosaico nell’opera di Ciampini, peraltro giustificata dalla difficoltà di poterlo studiare con chiarezza, si unisce l’errata attribuzione che l’autore propone per questo episodio evangelico; pur ricono-scendo in esso un valore pasquale, tema dei tredici riquadri a destra, egli lo in-terpreta come la cena di Gesù a Betania, avvenuta sei giorni prima di Pasqua8.

Uno schizzo attribuibile a Felice Kibel, custodito presso l’Archivio Disegni della Soprintendenza di Ravenna, presenta curiosamente, alle spalle di Cristo, un servo che porge una brocca (fig. 3)9. Il Ricci, sostenendo l’infondatezza di tale iconografia, tenta di darne una risposta: «Può pensarsi che, precipitato in antico quell’angolo estremo di mosaico, come infatti mostra la tarda ripresa, il vano fosse tardi riempito d’intonaco e dipinto, se pure, essendoci la lacuna, non fu idea e proposta dello stesso Kibel quella di riempirla con tale figura e la indicò in quei disegni. Certo non se ne ha altra notizia né storica, né grafica»10.

La monumentale opera di Raffaele Garrucci – Storia della Arte Cristiana nei primi otto secoli della Chiesa – riporta per la prima volta le scene cristo-logiche di Sant’Apollinare Nuovo nella loro interezza e, tra queste, l’ultima cena (fig. 4). Per i mosaici ravennati il Garrucci, come ebbe modo di dichia-rare lui stesso, si avvalse dell’opera del Kibel e delle fotografie di Luigi Ricci, padre di Corrado Ricci, documenti preziosissimi per una restituzione corretta dell’immagine11. Va tuttavia segnalato che anche in quest’opera la resa grafica e l’interpretazione dell’ultima cena non sono immuni da errori. Innanzitutto

7. g. gerola, La tecnica dei restauri ai mosaici di Ravenna, in Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Romagne, Serie IV, Vol VII, Bologna 1917, 144- 146. Sull’opera del Salandri si veda anche: c. antonellini, I restauri eseguiti da Liborio Salandri e Felice Kibel ai mosaici della Basilica di S. Apollinare Nuovo a Ravenna attraverso la documentazione d’archivio, in C. Fiori – M. Vandini (edd.), Atti del primo convegno internazionale. Ravenna Musiva. Ravenna 22-24 ottobre 2009. Conservazione e restauro del mosaico antico e contemporaneo, Ante Quem 2010, 207-213.

8. Gv 12, 1-8.9. Archivio Disegni della Soprintendenza di Ravenna, 2274. Il Ricci ricorda due disegni del Kibel,

ma ad oggi se ne rintraccia solo uno: c. ricci, Monumenti. Tavole storiche dei Mosaici di Ravenna. XXI-XXXIII, S. Apollinare Nuovo, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1933, 78. Per i disegni attribuiti a Kibel si veda: l. ruSSo, Il disegno che narra e quello che registra. Esempi della documentazione grafica dei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo a cavallo fra Ottocento e Novecento, in C. Muscolino (ed.), Sant’A-pollinare Nuovo, un cantiere esemplare, Longo Editore, Ravenna 2012, 81-94. Sui restauri del Kibel nella Basilica teodoriciana si veda: c. antonellini, Il restauro di Felice Kibel al mosaico della Basilica di S. Apollinare Nuovo di Ravenna attraverso la documentazione d’archivio, in “Ravenna Studi e Ricerche”, IX/2, 2002, 149-165.

10. ricci, Monumenti. Tavole storiche dei Mosaici di Ravenna, 79. L’apostolo accanto a Gesù non può essere identificato come Pietro, poiché è stempiato, mentre l’iconografia dell’apostolo presenta sempre una bianca chioma.

11. r. garrucci, Storia della Arte Cristiana nei primi otto secoli della Chiesa, Prato 1877, Vol. IV, 1-2.

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gli apostoli sono presenti nel numero di undici, manca l’apostolo di cui s’in-travvede appena il volto, quello raffigurato alle spalle dell’apostolo Pietro che interrompendo il suo sguardo e quelli del terzo e quarto discepolo, fissa gli oc-chi non sul Signore, ma su Giuda. Da qui ne consegue l’errore ermeneutico del Garrucci che scambia Giuda per Pietro: affidandosi esclusivamente al disegno, e vedendo solo undici apostoli, egli teorizza l’assenza dell’Iscariota, forte del fatto che nella successiva scena, quella della preghiera nell’orto del Getsema-ni, il traditore effettivamente manca, coerentemente con il testo evangelico12. L’erudito gesuita interpreta dunque la figura che noi oggi riconosciamo, ine-quivocabilmente, essere il traditore come quella del principe degli apostoli, indotto probabilmente in errore anche dal fatto che il primo raffigurato accan-to a Cristo è impropriamente rappresentato imberbe, dettaglio iconografico incoerente con il volto petrino13.

Curiosamente, anche nelle Tavole Storiche di Corrado Ricci gli apostoli ritratti sono undici: a farne le spese è ancora l’apostolo nascosto alle spalle di Pietro, ma qui l’approssimazione del disegno è in qualche modo giustifi-cata dallo scopo delle Tavole, che certamente avevano l’intenzione di offrire un’immagine complessiva delle iconografie dei mosaici ravennati, ma innanzi-tutto miravano a rendere subito individuabili le parti originarie ed i successivi restauri (fig. 5)14.

Lungo la parete sinistra della navata centrale altre due scene concorrono a formare, con questa dell’ultima cena, una sorta di trittico dal chiaro riferi-mento eucaristico: esse sono le nozze di Cana e la moltiplicazione dei pani e dei pesci15. Queste ultime due scene spesso compaiono unite nell’iconografia, nella liturgia e nella predicazione dei Padri e si rafforzano a vicenda nelle loro implicanze soteriologiche16. Ambrogio di Milano, nell’inno VII per le epifanie del Signore, accosta i due brani evangelici:

«Gesù altissimo che illumini i corpidegli astri risplendenti nel cielopace, vita, luce, verità,mostrati benevolo con chi ti invoca.

Sia che tu oggi consacri col mistico battesimo

12. Cf. Gv 13, 30; 18, 1.13. garrucci, 1877, Vol. IV, 1-2. 14. ricci, Monumenti. Tavole storiche dei Mosaici di Ravenna, Fasc. IV, Tav. XXV. 15. L’episodio delle nozze di Cana è riportato esclusivamente dal quarto vangelo: Gv 2, 1-11. 16. Al proposito si veda M. P. deL Moro, Nozze di Cana, in F. BiSconti (ed.), Temi di iconografia

paleocristiana, Città del Vaticano 2000, 232-234; a. M. GiunteLLa, Nozze di Cana (iconografia), in Nuovo dizionario patristico e di antichità cristiane, F-O, Marietti 2007, coll. 3563-3564.

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113immagini eucaristiche nella basilica di sant’apollinare nuovo

le acque fluenti del Giordanoun tempo per tre dì a ritroso volte

sia che una stella splendente nel cieloabbia indicato il parto della Verginee che in questo giorno abbia guidato i Magi al presepe per adorarti;

oppure che tu abbia infuso nelle idrie piene d’acquail sapor del vino.Ne attinse il servo, ben consapevoleche non le aveva riempite.

Vedendo che l’acqua prendeva il coloree che i fiumi inebriavano, si stupisce che gli elementi, trasformati, passino ad altri usi.

Così pure, mentre dividi i cinque paniper i cinquemila uomini, nella boccasotto i denti di coloro che mangiavano,il cibo cresceva.

A misura veniva consumato,il pane si moltiplicava.Ma chi, vedendo questi prodigi,potrebbe meravigliarsi del perpetuo scorrer delle fonti?

Il pane scorre abbondantetra le mani di quelli che lo spezzanoe i frammenti, che non avevano spezzato,si presentano agli astanti stranamente intatti»17.

Anche Pietro Crisologo, vescovo di Ravenna nella prima metà del V seco-lo, nel quarto discorso sull’Epifania sottolinea la profonda unione tra questi due brani evangelici:

«Oggi Cristo dà inizio ai prodigi celesti, mentre muta l’acqua in vino per dimostrarsi Dio con i miracoli, come il Padre l’aveva già dimostrato Figlio

17. S. aMBroGio, Inni, Introduzione, traduzione e commento di A. Bonato, Edizioni Paoline, Milano 1992, 195-196.

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con la voce, perché è il Creatore degli elementi chi gli elementi trasforma, e ha fatto la materia che non fatica ad agire contro la natura. Trasforma l’acqua in vino, affinché la debolezza della nostra natura tragga profitto dalla potenza della Divinità. Infatti, Colui che con un frammento che cre-sce abbondantemente e con un aumento nascosto estese e ampliò i cinque pani per il pasto dei cinquemila uomini, ben potè, con accrescimenti che via via aumentavano, ampliare e rendere stabile la misura del vino per la festa nuziale. Ma l’acqua doveva essere mutata nel mistero del sangue, per-ché Cristo offrisse coppe di vin pretto a quelli che bevevano dal vaso del suo corpo, per adempiere il detto del profeta: E il tuo calice che inebria, quant’è splendido!»18.

Il primo dei segni compiuti da Gesù «comprende un insieme di significati simbolici su diversi livelli, sui quali, secondo le osservazioni dei testi patristici e la liturgia dell’Epifania, predominano in senso cristologico l’attesa messia-nica, la prospettiva della salvezza e l’evocazione dell’eucarestia (…); le altre interpretazioni accentuano l’aspetto battesimale e, in misura minore, i riferi-menti al matrimonio ed alla presenza di Maria»19.

Se nel testo del Crisologo sopracitato, l’opera di Cristo viene letta come segno inequivocabile dalla sua natura divina e della sua potenza creatrice, altri Padri accolgono sfumature eucaristiche20. Nella quarta catechesi mistagogica Cirillo di Gerusalemme, dopo aver introdotto il tema eucaristico attraverso la lettura e il commento del capitolo undici della prima lettera ai Corinti, accosta subito a questo brano quello delle nozze di Cana: «Troviamo credibile che a Cana di Galilea abbia trasformato l’acqua in vino – il vino è come il sangue –, e avremo difficoltà a credere che egli abbia mutato il vino in sangue? Se allora, invitato a nozze, operò sì strepitoso miracolo, non confesseremo a maggior ragione che egli ha voluto dare ai figli del suo talamo nuziale di godere del suo corpo e del suo sangue?»21.

Il mosaico delle nozze di Cana nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, a causa di un errato restauro, allo stato odierno appare illeggibile come il primo segno compiuto da Gesù a Cana di Galilea: al posto delle idrie sono infatti alcuni cesti di vimini offerti da un giovane servo (fig. 6).

18. San Pietro criSoLoGo, Sermoni, [125-179] e lettera a Eutiche, G. Banterle – R. Benericetti – G. Biffi – G. Scimè – C. Truzzi (edd.) Città Nuova Editrice, Roma 1997, 3, 3 voll., Sermone 160,6, 225.

19. Del Moro, Nozze di Cana, 232.20. Già prima del Crisologo, Massimo di Torino aveva letto Cana come segno della divinità di Cristo. Si

vedano ad esempio i Sermoni 64 e 101, entrambi pronunciati per l’Epifania; in quest’ultimo leggiamo: «Nes-suno può evidentemente cambiare la natura se non colui che è signore della natura». MaSSiMo Di torino, Sermoni liturgici, introduzione, traduzione e note di M. Mariani Puerari, Edizioni Paoline, Milano 1999, 347.

21. cirillo Di geruSaleMMe, Le Catechesi, traduzione, introduzione e note a cura di Calogero Riggi, Città Nuova Editrice, Roma 1993, p. 456.

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Le Tavole storiche, oltre a ricostruire le varie interpretazioni date all’imma-gine, ben documentano l’ampia porzione ricostruita dal Kibel, cercando di comprendere come sia stato possibile equivocare nella ricostruzione dell’im-magine. Scrive il Ricci: «Uno sconcio e vecchio raffazzonamento in pittura della parte, caduta, come vedremo, nel 1801, deve aver tratto in inganno il Kibel che nel 1852 “ristaurò il mosaico” o il Sarti che gli preparò i cartoni» (fig. 7)22. Giovanni Ciampini, pur non interpretando chiaramente questa scena musiva, riporta, in incisione, un disegno che, come giustamente osserva Ricci, a noi appare ben riconoscibile, «più chiaro assai di quel che parve a lui me-desimo», dove si vede il Cristo che tocca con la virga virtutis una delle cinque idrie poste davanti a lui; compare anche la figura del servo intento a riempire i grandi otri, facendoci leggere inequivocabilmente in questa iconografia la scena delle nozze di Cana (fig. 8)23.

Fa seguito a questa scena l’episodio evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci, un brano riportato sia dai sinottici sia dal quarto vangelo (fig. 9)24. Nella versione giovannea è esplicitamente richiamato il forte valore euca-ristico del miracolo: «In verità, in verità io vi dico: voi non mi cercate perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà (…). E’ il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo (…). Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» 25.

La contiguità con la rappresentazione delle nozze di Cana, episodio che dà avvio alle tredici scene della parete sinistra – immagine con la quale come già abbiamo evidenziato spesso si crea un significativo parallelismo – avvalora un chiaro riferimento eucaristico in merito a questa scena evangelica (fig. 10)26.

Nel mosaico teodoriciano Cristo compare come figura centrale, asse di simmetria di tutta la composizione. Egli è raffigurato giovane, imberbe; veste la porpora sulla quale si notano i clavi dorati, il capo è cinto da un nimbo gemmato e crucisegnato. Alla sua destra due discepoli non chiaramente iden-

22. ricci, Monumenti. Tavole storiche dei Mosaici di Ravenna. XXI-XXXIII, S. Apollinare Nuovo, Isti-tuto Poligrafico dello Stato, Roma 1933, 22.

23. ivi, 18. Ciampini – Vetera Monimenta, Roma 1699, Vol. II, Tav. XXVII. Ciampini interpreta questa scena come il completamento del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, come il momento in cui vengono raccolti i pani avanzati. Questa lettura, che a noi oggi appare errata, doveva la sua motiva-zione anche al fatto che questa appariva come l’ultima delle formelle della parete sinistra e non la prima, come invece è evidente per noi oggi. La scena, nella Tav. XXVII è numerata come tredicesima.

24. Mt 14, 13-21; 15, 32-39; Mc 6, 30-44; 8, 1-9; Lc 9, 10-17; Gv 6, 1-13.25. Gv 6, 26-27; 32-33;35. B. Mazzei, Moltiplicazione dei pani, in BiSconti (ed.), Temi di iconografia

paleocristiana, 220-221.26. La fig. 10, tratta dall’opera di Ciampini – Vetera Monimenta 1699, Vol. II, Tav. XXVII, permette di

vedere accostati, in maniera chiara, i due episodi evangelici.

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tificabili presentano quattro pani, mentre alla sua sinistra Pietro e Andrea suo fratello, offrono due pesci. Che questi ultimi due discepoli siano da identifi-care come tali, è evidente dai chiari riferimenti iconografici: Pietro ha barba e capelli bianchi che gli incorniciano il volto, mentre Andrea è rappresentato con una folta capigliatura che lo associa alla figura penitente di Giovanni Bat-tista, suo primo maestro27. Per gli altri due discepoli è stata formulata l’ipotesi di scorgere in loro gli apostoli Giacomo e Giovanni, teoria che, per quanto affascinante, difficilmente potrà trovare un’evidente accoglienza, come già Giuseppe Bovini ebbe a rilevare28.

Sui doni offerti dagli apostoli – presentati su mani velate – il Signore pone un solenne gesto di benedizione: «Si tratta d’una composizione quanto mai sintetica – scrive Bovini -, regolata dalla legge della simmetria e pertanto per-fettamente bilanciata. Fra l’altro essa appare ben saldamente compatta perché le braccia allargate di Cristo nel compiere l’«impositio manuum», legano e serrano il gruppo, che viene così a formare come un solo blocco»29.

Vorrei proporre all’attenzione dei lettori due letture di questo straordina-rio pannello musivo, la prima del grande storico dell’arte Ernst H. Gombrich, la seconda di Mons. Timothy Verdon, storico dell’arte e sacerdote della Dio-cesi di Firenze, da anni impegnato nella catechesi attraverso l’arte30. Sono due letture appassionate e attualizzanti che mirano a coinvolgere in profondità chi si pone davanti al nostro mosaico. Scrive Gombrich:

«Grazie al modo con cui è raccontato l’episodio, lo spettatore ha l’impres-sione che qualcosa di sacro e di miracoloso si stia svolgendo. Sullo sfondo, ricoperto di frammenti di vetro dorato, non appare una scena realistica. La figura ferma e tranquilla di Cristo occupa il centro del mosaico: ma non è il Cristo barbuto che noi conosciamo, bensì il giovane dai lunghi capelli che viveva nella fantasia dei primi cristiani. Indossa una veste purpurea, e in un gesto di benedizione tende le braccia verso i due apostoli ai lati che, con le mani coperte (come usavano a quel tempo i sudditi nel portare tributi ai

27. Cf. Gv 1, 35-40. Senza ricorrere ad ulteriori confronti, che pur sarebbero necessari, basti ricordare come nelle scene di questo ciclo musivo, Pietro e Andrea sono sempre raffigurati con queste caratteristi-che iconografiche. Basti ricordare la scena successiva a questa, cioè la chiamata dei primi discepoli, che mostra i due fratelli sulla barca, testimoni privilegiati della pesca miracolosa. Anche qui ritorna il tema dell’abbondanza del cibo e del pesce!

28. Bovini, Mosaici di S. Apollinare Nuovo di Ravenna. Il ciclo cristologico, 26. 29. iBiDeM. 30. Entrambi gli autori, nel più ampio testo di cui riporto solo alcuni passaggi, parlano dell’artista

come colui che, consapevolmente, sceglie le immagini nella loro potenza teologica e liturgica; a nostro avviso con più precisione si pone don Giovanni Montanari che distingue in maniera chiara, e scevra da fraintendimenti, il ruolo dell’artista e quello ben più complesso della committenza. Si segnala al propo-sito un suo saggio molto importante per dirimere la questione: g. Montanari, Sui mosaici ravennati. La lettura in Ravenna: L’iconologia. Saggi di interpretazione culturale e religiosa dei cicli musivi, Longo Editore, Ravenna 2002, 245-254.

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sovrani), gli offrono il pane e i pesci perché compia il miracolo. La scena ha l’aspetto di una cerimonia solenne. Sentiamo che l’artista attribuiva un profondo significato alle cose che stava rappresentando. Per lui non si trat-tava soltanto di un singolare miracolo avvenuto in Palestina qualche secolo prima. Era il simbolo e la prova del potere perpetuo di Cristo impersonato nella Chiesa. Ecco perché Cristo guarda con tanta fissità lo spettatore: è lui che Cristo vuole sfamare»31.

Su una lettura più pastorale e spirituale si pone Timothy Verdon:

«In uno dei riquadri musivi di Sant’Apollinare Nuovo, la storia della Mol-tiplicazione dei pani e dei pesci viene raccontata così da far vedere il senso ultimo dell’alimentazione che Gesù diede a coloro che l’avevano seguito nel deserto, il significato profondo della compassione che egli sentì per loro. Al centro della composizione, nella veste purpurea che simboleggia la sua gloria futura, Cristo estende le braccia a destra e a sinistra per dare i pani e i pesci agli apostoli. Ma la posa è quella che avrebbe assunto sulla croce, come se l’artista avesse intuito che, nel Nuovo Testamento, ogni racconto di un passo in qualche modo prepara il lettore a comprendere il senso del pasto decisivo in cui, la notte prima di morire, Cristo offrì il pro-prio corpo nel segno del pane, e il sangue nel vino, per soddisfare la fame spirituale dell’umanità. L’evento storico (la moltiplicazione di pani e pesci) «rivela» il segno salvifico (la croce)»32.

Questo pannello di Sant’Apollinare Nuovo trova, in ambito ravennate, un ottimo termine di paragone con due immagini tratte dalla Cattedra d’avorio custodita presso il Museo Arcivescovile di Ravenna, sede attribuita a Massi-miano (546-556) il primo tra i chiamati alla sede episcopale ravennate a porta-re il titolo di arcivescovo. Tra le formelle che compongono il retro di questo straordinario ed unico seggio, due sono fondamentali per il nostro discorso (fig. 11).

La prima, certamente quella più immediata per il confronto, riporta uno schema molto simile a quello già visto nel mosaico teodoriciano: Gesù, al cen-tro della composizione, pone le mani – gesto solenne di benedizione – sui doni offerti, cioè i pani ed un unico grande pesce, posti rispettivamente in un cesto intrecciato e su un vassoio33. Anche qui le figure accanto al Signore sono quat-tro ma, mentre i primi due sono inchinati accanto a lui e intenti nell’offrire

31. e. H. goMBricH, La storia dell’arte raccontata da Ernst H. Gombrich, Leonardo Arte 2000, 136. Rin-grazio don Antonio Scattolini della Diocesi di Verona per avermi ricordato questa affascinante lettura.

32. t. verDon, L’arte cristiana in Italia. Origini e medioevo, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2005, 112-113.

33. Questa formella è lavorata sui due lati: sulla fronte presenta la Prova delle acque amare, scena tratta dai vangeli apocrifi.

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i doni, gli altri due personaggi maschili sono posti in secondo piano: la loro mano destra è alzata nel gesto dell’acclamazione, mentre nella sinistra reg-gono un codice prezioso uno dei quali è contrassegnato da una croce latina, mentre l’altro presenta un intreccio geometrico.

A differenza del mosaico teodoriciano la scena della cattedra trova un am-pliamento nella formella successiva, bellissima da un punto di visto composi-tivo, dove è rappresentato il momento in cui il cibo miracoloso è distribuito e le folle sono sfamate34. Tre personaggi, tra questi una donna, sono seduti attorno ad una mensa triclinare sulla quale sono pani e la testa di un grosso pesce, colti nell’attimo in cui accolgono il cibo che è loro donato. Altre quat-tro figure saturano lo spazio, di cui tre maschili ed una femminile. Due uomini reggono cesti intrecciati, colmi di cibo e uno di loro è intento a donare una pagnotta alla donna che tende la mano, mentre altre due figure chiudono la composizione.

A queste tre scene così unite sia per la tematica eucaristica che per la pros-simità all’altare – giustamente a nostro avviso Lanzoni rileva come esse siano state disposte in modo tale da trovarsi in prossimità dell’altare – riteniamo vada associata, accogliendo un suggerimento di don Giovanni Montanari, la tredicesima scena della parete destra raffigurante i discepoli di Emmaus, im-magine profondamente connessa con le tematiche fino ad ora trattate (fig. 12)35. Se apparentemente la separiamo dal contesto è perché essa, nel ritmo della narrazione teodoriciana, si lega al tema delle apparizioni del risorto, la cui presenza, proprio dall’Eucarestia, è garantita nella Chiesa sua sposa.

L’iconografia dei discepoli di Emmaus non appartiene a quelle immagini consuete e più volte rappresentate, così ricorrenti nel lessico dell’iconografia cristiana delle origini; essa è scena rara e tarda, tanto che possiamo affermare come quest’immagine ravennate si ponga tra le primissime raffigurazioni di questo brano evangelico.

Al centro della scena compare il Cristo risorto; egli veste la porpora, ha il nimbo crucisegnato, il volto barbato secondo l’iconografia che lo contraddi-stingue in queste immagini della parete destra. Egli, figura solenne e imponen-te, è tra i discepoli di cui narra il Vangelo di Luca, dei quali conosciamo solo il nome di uno dei due, Cleopa; essi sono vestiti di tunica bianca e di paenula

34. Anche questa formella è lavorata sui due lati: sulla fronte presenta l’Annunciazione, con dettagli tratti dalla tradizione apocrifa. Questa formella, staccata dalla Cattedra, fu per un certo tempo custodita a Pesaro presso la raccolta Olivieri. Ritornerà a Ravenna solo nel 1894; stando all’incisione edita dal Bacchini nei primi anni del ‘700, essa risultava già dispersa. Per ulteriori approfondimenti di carattere generale si veda: c. ceccHelli, La cattedra di Massimiano ed altri avori romano-orientali, La libreria dello Stato, Roma a. XIV E.F. [1935-36], 18-22.

35. Lc 24, 13-35; Mc 16, 12-13. Lanzoni, Studi storico-liturgici su S. Apollinare Nuovo, 95. Un utile paralle-lo in proposito si può fare con le lunette dei sacrifici veterotestamentari nella Basilica di San Vitale e con il pannello eucaristico nella Basilica di Sant’Apollinare in Classe. Già a Roma, nella Basilica romana di Santa Maria Maggiore le scene legate a Melchisedek e Abramo erano state poste in prossimità dell’altare.

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colorata. Sulla sinistra è rappresentata, in lontananza, una città cinta da mura, posta su un alto monte, dalla porta urbica ben definita; essa è stata variamente interpretata come Emmaus o, più verosimilmente, come Gerusalemme.

Cleopa e l’altro suo compagno di viaggio sono in cammino per un villaggio di nome Emmaus. Hanno lasciato la città di Gerusalemme nel giorno stesso in cui il Cristo è risorto: in quello stesso giorno, pone l’accento il testo lucano, indicando in questo modo sia il giorno della gloria del Cristo, sia il tempo in cui gli angeli hanno annunciato alle mirofore – Maria Maddalena, Giovanna e Maria la Madre di Giacomo – la vittoria del Signore sulla morte36. E’ inoltre il tempo dello stupore di Pietro che, chinatosi sul sepolcro, vide soltanto i teli37. Il giorno in cui questi due discepoli si mettono in cammino, è anche il tempo dell’incredulità: loro stolti e lenti di cuore non avevano creduto in tutto ciò che avevano detto i profeti; nemmeno gli apostoli, che avevano ritenuto un vaneggiamento quanto le donne avevano riferito loro, erano disposti alla fede.

E’ in questo giorno, di gloria e d’incredulità, che questi due discepoli si allontanano da Gerusalemme, una partenza, la loro, che segna una distanza tragica non tanto da un luogo geografico bensì spirituale: Gerusalemme è la città santa nella quale il Cristo è morto ed è risorto. E’ come se fuggissero dal cuore della fede, smarriti nei loro pensieri tristi, svuotati di speranza; eppure è lì – in questa loro consapevole e colpevole distanza da Dio – che il Signore li accosta e conforta. Nella loro estrema lontananza e cecità – fisica e spirituale – Gesù si rivela come prossimità amorevole del Padre e «cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le scritture, ciò che si riferiva a lui»38. Nell’ascolto della parola del Signore il cuore di questi due discepoli inizia ad ardere, nel gesto del pane spezzato i loro occhi si aprono al riconoscimento del Signore della vita. Essi fanno così esperienza di resurrezione, e sarà il loro cuore, non più arido ma ardente, a rischiarare il cammino di ritorno a Geru-salemme.

36. Lc 24, 1-7.37. Lc 24, 12.38. Lc 24, 27.

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Abstract

L’articolo, incentrato sulle immagini eucaristiche della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo di Ravenna, vuole offrire al lettore una riflessione su alcune raffigurazioni dell’arte cristiana che, partendo dall’ambito storico-artistico, le comprende all’in-terno di un orizzonte più ampio che accoglie riferimenti biblici, patristici e liturgici. La prima iconografia analizzata è quella dell’ultima cena di cui quella ravennate si presenta come una delle più antiche al pari di quelle presenti nel Codice purpureo di Rossano Calabro e nel Dittico dalle cinque parti conservato nel Museo del Duomo di Milano. Altre due immagini, quella delle nozze di Cana e della moltiplicazione dei pani e dei pesci, concorrono a formare, con questa dell’ultima cena, una sorta di trittico dal chiaro riferimento eucaristico. A queste tre scene così unite sia per la tematica eucaristica sia per la loro prossimità all’altare, è associato il mosaico raffigurante i discepoli di Emmaus: se nel ritmo della narrazione teodoriciana questa immagine si lega al tema delle apparizioni del Risorto, non di meno può essere le-gata ad una tematica eucaristica: è proprio nell’Eucarestia che il Risorto è presente nella Chiesa, sua sposa.

The essay, that focuses on the Eucharistic images in the New Basilica of Saint Apollinaris in Ravenna, wants to offer the reader a consideration about some representations of Christian art that, starting from the historical and artistic field, places them in a wider context, including biblical, patristic and liturgical references. The first iconography analyzed is “The Last Supper”, of which the one in Ravenna is one of the most ancient, as well as those in the Codex Purpureus by Rossano Calabro and in the Diptych of the five parts preserved at the Museum of the Duomo of Milan. Other two pictures, depicting the Marriage at Cana and the Feeding the Multitude form, together with “The Last Supper”, a sort of a triptych with an evident Eucharistic reference. These three scenes, very linked to each other both because of their Eucharistic subject and their proximity to the altar, can be put in relation to the mosaic representing the disciples of Emmaus. In the Teodorician narration this image can be related not only to the subject of the Resurrection appearance of Jesus, but also to the Eucharistic theme: in the Eucharist Jesus is present in his Church, his bride.

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121immagini eucaristiche nella basilica di sant’apollinare nuovo

Fig. 1. – Ultima Cena, Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna.

Fig. 2. – Ultima Cena, incisio-ne tratta da Vetera Monimenta 1699, Vol. II, Tav. XXVI.

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122 giovanni gardini

Fig. 3. – Ultima Cena, disegno di Felice Kibel tratto da c. ricci, Tavole Storiche 1933, Fasc. IV, p. 79.

Fig. 4. – Ultima Cena, imma-gine tratta da r. garrucci, Storia dell’Arte Cristiana, Vol. IV, Tav. 250, 2.

Fig. 5. – Ultima Cena, imma-gine tratta da c. ricci, Ta-vole Storiche, Fasc. IV, Tav. XXV.

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123immagini eucaristiche nella basilica di sant’apollinare nuovo

Fig. 6. – Nozze di Cana, Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna.

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124 giovanni gardini

Fig. 8. – Nozze di Cana, incisione tratta da Vetera Monimenta 1699, Vol. II, Tav. XXVII.

Fig. 7. – Nozze di Cana, immagine tratta da c. ricci, Tavole Storiche, Fasc. IV, Tav. XXIV.

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Fig. 9. – Moltiplicazione dei pani e dei pesci, Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna.

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Fig. 10. – Moltiplicazione dei pani e dei pesci, incisione tratta da Vetera Monimenta 1699, Vol. II, Tav. XXVII.

Fig. 11. – Moltiplicazione dei pani e dei pesci, immagine tratta da r. garrucci, Storia dell’Arte Cristiana, Vol. VI, Tav. 419, 1-2.

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Fig. 12. – I discepoli di Emmaus, Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna.

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MATTEO FERRARI La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa.

Il capitolo VI della Costituzione Dei Verbum

Studi e Ricerche

CARLO SARTONI«Scriptura crescit cum legentibus».

Parola di Dio e la legislazione della Chiesa: un esempio concreto nel privilegio paolino

e nel Favor Fidei

UGO FACCHINI«Mea grammatica Christus est».

Alcuni esempi di interpretazione biblica negli scritti di Pier Damiani

ERIO CASTELLUCCIDarwin e la Bibbia

OLIVIER LEBOUTEUX Madeleine Delbrêl e la Parola di Dio

ROSINO GABBIADINI«Non sono più come prima».

la parola di dio nei processi di conversione

GIOVANNI GARDINI Immagini eucaristiche nella Basilica

di Sant’Apollinare Nuovo

EMANUELA PENNI La storia di Giuseppe della Genesi

nella cattedra di Massimiano

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MARGUERITE LÉNA L’Ecole Catholique, un «laboratoire de la fraternité»

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della Religione condotta dagli studenti dell’ISSR “Sant’Apollinare” di Forlì nell’AA 2014-2015

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K. Wojtyła, Pontificium Consilium Pro Laicis, Storia della Chiesa riminese (vol. IV)

NUMERO 4 - ANNO 2015