"La Belle Noiseuse"

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE EDITORIA E GIORNALISMO TESI DI LAUREA La Bella Scontrosa JACQUES RIVETTE TRA CINEMA E PITTURA Relatore: DOTT. ALBERTO SCANDOLA Laureando: MARCO BORTOLI ANNO ACCADEMICO 2005/2006

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Tesi di laurea triennale in critica del cinema, individuo dei modelli pittorici segreti in un film che indaga il rapporto tra pittore e modella (cinema e arte)

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE

EDITORIA E GIORNALISMO

TESI DI LAUREA

La Bella Scontrosa

JACQUES RIVETTE TRA CINEMA E PITTURA

Relatore:

DOTT. ALBERTO SCANDOLA

Laureando:

MARCO BORTOLI

ANNO ACCADEMICO 2005/2006

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1. LA BELLA SCONTROSA TRA CINEMA E PITTURA .......................................................... 3

1.1 SINOSSI ....................................................................................................................................... 3 1.2 IL GENERE .................................................................................................................................. 4 1.3 TRA FINZIONE E DOCUMENTARIO ................................................................................... 6

2. IL REGISTA E IL MODELLO. ................................................................................................. 11

2.1 BALTHUS, IL COMPAGNO DI CITAZIONI. ...................................................................... 11 2.2 GLI SPAZI, INTERNO - ESTERNO, IL GIORNO E LA NOTTE. .................................... 15

3. CORPI E FORME ........................................................................................................................ 19

3.1 IL CORPO, PITTORE E MODELLA - LA MESSA IN SCENA DEL NUDO ................... 19 GIORNATA DI APERTURA: FRENHOFER TRA LISE E MARIANNE ...................................... 20 PRIMA GIORNATA DI POSA: SERVA E PADRONE ................................................................... 22 SECONDA GIORNATA DI POSA: LA MODELLA DI PLASTILINA ....................................... 23 TERZA GIORNATA DI POSA: IL “NO” ESPRESSIONISTA DI MARIANNE ........................... 27 QUARTA GIORNATA DI POSA: LA DECISIVA. ......................................................................... 30

4. CONSIDERAZIONI FINALI. .................................................................................................... 32

BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................. 35

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1. LA BELLA SCONTROSA TRA CINEMA E PITTURA

1.1 SINOSSI

Il celebre pittore Frenhofer vive ritirato con la moglie Lise in un castello lontano dalla città e da

ogni turbamento al loro equilibrio. Le tele che in gioventù gli procurarono la fama avevano

come soggetto il corpo nudo delle sue modelle, ciclo di ritratti conclusosi dopo l’incontro con

la donna che ora tanto ama. Da molti anni in quell’eremo, Frenhofer si è limitato ad autoritratti

del proprio viso arrivando a esaurire la vena creativa, ma l’eco delle trascorse tele attira al

castello Nicolas, un giovane collega suo grande ammiratore, condotto dal loro comune

gallerista Porbus. Accompagna i due forestieri Marianne fidanzata del promettente Nicolas.

Marianne sembra risvegliare Frenhofer da un lungo sonno.

Il mercante, vedendo Frenhofer rinvigorito dall’avere accanto una fanciulla, propone che la

ragazza posi per il vecchio risvegliandone il genio e permettendogli di terminare il progetto

della “Bella Scontrosa”. “Scontrosa”, in francese “Noiseuse”, era stato il soprannome di

Catherine Lescaut, una leggendaria cortigiana del diciassettesimo secolo, della quale Frenhofer

in passato aveva già provato a fissare eternamente sulla tela lo spirito attraverso un’epigona

della Scontrosa. Il primo tentativo di superare la Natura nel limite della mortalità dei corpi era

però fallito con Lise. Ora tocca a Marianne, assoldata dal vecchio pittore come musa ispiratrice

per soddisfare il capriccio di Nicolas e del gallerista, scoprire i motivi della prima rinuncia e

l’effetto di essere rapite sulla tela. La ragazza trascorre sei giorni a stretto contatto con il pittore

durante i quali la ricerca di quale posto spetti al “singolo” e quale alla “coppia” e dove l’“arte”

trovi delle limitazioni per rispetto dell’“amore” costringe tutti a delle profonde riflessioni su se

stessi e sui rapporti di coppia. Molte difficoltà si susseguono nei quattro giorni di pose

estenuanti da cui esce un quadro che esprime la vera natura di Marianne. Ella infatti nel vedere

l’opera completa prende coscienza della propria interiorità e se ne vergogna proprio come

Adamo ed Eva si sentirono nudi solo dopo aver morso la mela. Le due donne del pittore

visionano il capolavoro che questi decide di murare, proprio per rispetto a loro, che mettendosi

a nudo corpo ed anima, ne sono state le ispiratrici.

Al critico e al giovane collega, che volevano trarre vantaggio materiale dall’opera conclusa

(economico o di insegnamento), ne propone un’altra più accessibile, nella quale il mercante

non nota nemmeno la mancanza dell’anima che avrebbe dovuto fare dell’opera un “non plus

ultra”. La scelta di Frenhofer permette alla sua storia con la devota Lise di proseguire rafforzata

dall’esperienza. Dal canto suo Marianne impara a conoscersi tramite il quadro che la riassume

e prende la propria via lasciando il fidanzato che aveva anteposto all’amore per lei l’amore per

l’arte. Prova di tale scala di valori viene dal fatto che il ragazzo, resosi conto che quello non è il

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quadro risultato dal lavoro sulla sua compagna, critica Frenhofer per aver scelto di sacrificare il

genio sull’altare dell’amore.

Il critico infine acquista la tela convinto di avere il massimo dell’espressività, quando invece si

tratta di una copia sbiadita e edulcorata del soggetto.

1.2 IL GENERE

Antonio Costa, lo studioso che più si è occupato del rapporto Cinema-Pittura, cita “la Bella

Scontrosa” come esempio di film con valore “anagogico”.1 Rivette cioè tiene un discorso sulla

filosofia pittorica e sui pittori che a partire da una realtà imperfetta mirano a riscoprirne una

superiore. Il regista segue passo passo i movimenti che portano alla creazione di un capolavoro

che risulta, appunto perché troppo significativo, non mostrabile ad occhi profani.

Ogni artista s’ispira a un modello vicino o lontano al quale però l’opera conclusa potrebbe non

assomigliare almeno a uno sguardo superficiale. Il fine di Frenhofer non è l’imitazione ma

l’espressione: l’esaltazione della musa che si sottrae alla riproduzione ma ne influenza il

risultato. Il quadro che completa sembrerebbe essere riuscito perchè non riproduce una realtà

già evidente ma spiega gli aspetti che a prima vista non si possono cogliere.

Rivette autore molto impegnato anche sul versante della critica d’arte si sofferma inoltre sul

rapporto autore-fruitore analizzando le responsabilità che entrambi hanno nei confronti

dell’opera e delle persone coinvolte.

Nel momento in cui viene fissata un’immagine su pellicola (o una qualsiasi rappresentazione

visiva) tutti i fruitori colgono lo stesso dato sensibile: dei molti possibili sguardi uno diviene la

sintesi diffusa. Nel cinema il regista e i diversi autori guidano la visione più che in altre forme

d’arte. Da questa considerazione muove il film di Rivette che indaga prima quali siano le

aspirazioni dell’artista e le difficoltà nella rappresentazione, poi gli effetti che la sua opera

avrebbe per coloro che ne fruiscono. Per realizzare un’idea l’artista ricerca un modello che di

quell’idea possieda almeno qualche tratto per supportarlo nel difficile trasferimento tra il

“mondo delle Idee” e il “mondo delle Cose”. La modella che posa appare agli occhi dell’artista

come una copia del Modello Ideale. Porta l’originale dentro di sé.

Rivette non ci mostra mai il quadro così come Frenhofer non lo condivide con nessuno al di

fuori della compagna, della modella, e della piccola Magaline.2

1 Cfr. Antonio COSTA, Il cinema e le arti visive, Einaudi, Torino, 2002, p. 49. p. 65 parla di “film teorici sulla pittura” e in questa lista include “La Belle Noiseuse” che riprende poi singolarmente da p. 67.2 Sul diverso finale del film rispetto al racconto di Honorè de Balzac e sui motivi stilistici di tale scelta si vedano:Giulia LAVARONE, Jacques Rivette: indagine sul processo creativo, tesi di laurea Storia e critica del cinema, a.a. 2004-2005, Università degli studi di Padova, §6, La Belle Noiseuse 1991, p. 10-12 .Pascal BONITZER, Peinture et cinéma. Décadrages, in Cahiers du cinéma-Editions de l’ etoile, Parigi, 1985, pp.81-82.

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La visione che esprime Frenhofer del modello originale, attraverso lo studio di Marianne,

permette a ella di riconoscersi in esso ma, sentendosi denudata, di rimanerne sconvolta.

Lise, che è legata all’artista empaticamente, capisce da sé che il quadro è completo e vi

imprime sul retro un emblematico sigillo: una croce. In seguito manifesta al marito

l’apprezzamento per il risultato del suo lavoro e ancor di più per la decisione di sostituire

l’opera sensazionale con una senza particolare significato. Rimane molto colpita, si capisce,

dalla decisione presa da Frenhofer di mettere la pittura dopo il rispetto dei sentimenti di tutte le

persone coinvolte.

Magaline, la servetta tuttofare che aiuta Frenhofer a sbarazzarsi del capolavoro, per ultima

ammira la tela e sentenzia: “E’ la signorina? Com’ è bella”.

La sua affermazione è un probabile saggio di come avrebbero reagito gli spettatori alla vera

“Bella Scontrosa”: ammirati ma disorientati al punto da informasi se si tratti davvero di una

rappresentazione della modella (evidentemente l’associazione non scatta immediatamente).

Può essere la modella come no, se si tratta di lei, Magaline ammette di non essere riuscita a

scorgerla in quel modo prima. Quindi Frenhofer raggiunge l’obiettivo prepostosi mostrando a

Marianne qualcosa in più di quanto non riuscisse a comprendere di se stessa prima del loro

incontro.

Solo Frenhofer aveva presentito che Marianne possedeva in sé quello spirito che egli aveva

cercato senza successo di estrarre da Lise e che ritrovato in Marianne, questa volta più

coraggiosamente, era riuscito a rappresentare. Folgorato dalla lettura dalle gesta di Catherine

Lescaut il pittore aveva riconosciuto in Lise lo stesso spirito ed ella aveva spinto perché questo

modello, attraverso la mediazione visiva del suo corpo e di quella recettiva di Frenhofer,

apparisse sulla tela. Ma i due mondi non possono convivere, questo sembra dire Rivette nel suo

film, o la copia o il modello3.

3 Cfr. Carlo TESTA, Alla ricerca del modello perduto: Rivette, Balzac e le imprudenze dell’ arte, in Leonardo DE FRANCESCHI (a cura di),in Cinema/pittura Dinamiche di scambio, Lindau, Torino, 2003 pp. 165-178.

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1.3 TRA FINZIONE E DOCUMENTARIO

FRENHOFER CREATURA IBRIDA A CUI BERNARD DUFOUR PRESTA LE MANI, MICHEL

PICCOLI IL RESTO DEL CORPO.

Ingenuamente, dopo aver visto il film “La Bella Scontrosa” senza conoscere il pretesto

Balzachiano, uno spettatore potrebbe mettersi alla ricerca di informazioni su Frenhofer per

capirne meglio la figura e la poetica. Il film infatti è costellato di nebulose riflessioni sull’arte,

(intesa come viaggio verso una dimensione assoluta) che non permettono una fruizione passiva

allo spettatore che voglia capire il significato teoretico proposto e criptato. Vediamo sullo

schermo un vecchio pittore che per lo stile potrebbe essere inserito nel sistema dell’arte

contemporanea da cui tenta però di fuggire ritirandosi lontano dal mercato e continuando a

produrre teorie. Il personaggio accenna ma non spiega le sue elucubrazioni e le sue “creature

ibride4” sulla tela lasciano inquieto lo spettatore.

Numerosi sono i segnali che connotano la vicenda come ambientata ai nostri tempi: dall’uso

del telefono e dell’automobile al modo di parlare e vestire, tutto è davvero verosimile. Tuttavia

il film non è la biografia di un artista reale, quindi, questi spettatori ricercatori che amano

approfondire la conoscenza delle opere inserite nei film saranno stupiti nel trovare il nome

Frenhofer solo in relazione ad Honoré de Balzac e a Jacques Rivette, intuendo solo a quel

punto che Frenhofer è un personaggio della finzione. Infatti, Frenhofer è il protagonista di un

racconto Balzachiano, considerato premonitore dell’informale nell’arte, resuscitato da Jacques

Rivette per un film sulla creazione pittorica.

Dell’originale il pittore presentato da Rivette mantiene senza dubbio l’ossessione di “portare il

sangue sulla tela” (cioè di non essere dei “vili copisti della natura5”) e la propensione a

scendere nel profondo, al di là delle apparenze visive.

4 Bernard DUFOUR, Questions au peintre. Intervista rilasciata a Marie-Anne Guérin, in Cahiers du Cinéma n° 447, settembre 1991, pp. 25-29.5 Cfr. Honorè DE BALZAC, Il Capolavoro Sconosciuto, Bur, Milano, 2002

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Rivette con il consenso dei suoi due sceneggiatori-dialoghisti Pascal Bonitzer e Cristine

Laurent ritiene che la poetica del pittore Balzachiano trovi, trasportata ai nostri giorni, “Una

nuova incarnazione nella pittura di Willem De Cooning, di Jean Fautrie o di Francis Bacon,

ma, meglio che in tutti questi noti autori, nelle creazioni del meno conosciuto Bernard

Dufour”6, pittore contemporaneo dallo stile raffigurativo attento alla forma e in particolare a

quella dei corpi femminili. “Avevo avuto modo di vedere negli anni ’60 - ha dichiarato Rivette-

molte pitture di Bernard Dufour che mi avevano colpito specialmente perché le figure che

emergevano sulla tela avevano degli schemi gestuali non totalmente figurativi. In seguito non

avevo più sentito parlare della sua produzione e mi sono quindi messo alla ricerca delle sue

tele più recenti per vedere di cosa trattassero e come. Scoprii che erano quasi tutti corpi

femminili, grandi figure nude senza testa, in cui non vi è differenza tra l’alto e il basso. Mi

risultò chiaro che Bernard avrebbe dovuto partecipare al film”.7

Bernard Dufour, nei suoi disegni precedenti alla collaborazione con Rivette, si era soffermato

maggiormente sulla sensualità delle modelle, andando a frugare senza esitazione nella loro

intimità, a tal punto che spesso, Dufour, preso dalle sue esplorazioni, non rappresenta il viso

delle modelle imprigionando l’occhio dello spettatore tra ventre e cosce. I corpi sono l’unica

parte di realtà che emerge sulla tela; l’ambiente è un sacco amniotico. Si forma una visione

“tattile” in cui niente si intromette tra mano e il corpo che essa tocca. Nessun altro senso ne

disturba il piacere.

I contorni sono sfuocati, le donne sembrano immerse in acqua torbida. Di tutti i colori della

realtà uno solo resiste, un unico colore che si mescola al bianco e nero. Quest’unico colore

simboleggia il sentimento motore della singola creazione: un quadro che nasce dalla noia, uno

che nasce dalla passione etc…

Per il film Rivette chiede al pittore di continuare a mantenere un colore dominante in ogni tela,

quindi, sia negli schizzi preparatori a lungo indagati nel loro formarsi, che per quel poco che

riusciamo a scorgere furtivamente della versione murata del quadro “La Belle Noiseuse”, lo

stile di Bernard Dufour non è snaturato dalle esigenze di narrazione. Ad esempio, di rosso sono

sporchi i bordi laterali e la parte bassa della tela segreta (mostrataci per un istante dalla mano

distratta di Magaline che scosta il velo che la occulta) altri colori non sono percepibili.

Bernard Dufour è un autore in carne ed ossa che lavora sotto l’occhio della macchina da presa

per portare avanti la parte “documentaristica” del film. Del suo corpo all’opera appaiono però

solo le mani, le quali, secondo la finzione cinematografica, appartengono al corpo di Michel

Piccoli che impersona Frenhofer.

Rivette, infatti, non ritiene interessante esclusivamente la vicenda dei personaggi interpretati

dagli attori ma anche l’evolversi della visione che il pittore ha della modella: ed il mezzo meno

6 Bernard DUFOUR, Questions au peintre. Parla di una lettera scritta da Jacques Rivette e Pascal Bonitzer allegata al copione del film che riceve assieme all’ offerta di partecipare al progetto.7 Jacques RIVETTE, Conférence de presse (extraits) Jacques Rivette Cannes 1991 ,in Cahiers du Cinema, n° 445, 1991.

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mediato per presentarla è proprio la proiezione di tale immagine sulla tela tramite il lavoro del

pittore. Il regista riprende perciò tutte le fasi di produzione pittorica, esitazioni comprese, e le

monta con le scene girate con gli attori professionisti.

Il semianonimato al grande pubblico della produzione di Bernard Dufour risulta come un

pregio per Rivette e i suoi sceneggiatori, in quanto, l’utilizzo di uno stile poco noto gioca a

favore della finzione drammatica. Lo stile di Dufour per gli spettatori è, e genera allo stesso

tempo, lo stile del personaggio Frenhofer. La mediazione c’è ma non è percepita.

Arruolato Dufour nel progetto cinematografico, il regista si preoccupa di costituire un “fondo”

che renda testimonianza della produzione artistica di Frenhofer precedente a “quel giorno, un

lunedì pomeriggio d’inizio luglio fra le tre e le quattro”, in cui dei nuovi soggetti arrivano ad

Essas per vederne i lavori. Rivette si reca nell’atelier di Dufour a scegliere qualche quadro tra

quelli lì conservati e ne commissiona di nuovi che riproducano i tratti del Frenhofer-Piccoli e di

Lise-Birkin. Per questi ritratti gli attori si sono preventivamente prestati a delle sessioni di

posa, in quanto queste immagini costituiscono nella storia la memoria di un passato su cui

s’innestano le novità mostrate. Il regista chiede a Dufour di produrre opere in tre stadi diversi:

“Opere ambiente”, materiale plastico che testimonia nel film il passato, “Opere aperte

collettive” che in scena sono completate da Piccoli nel presente della storia, e “Opere

performance” iniziate e terminate (solo da Dufour) sul set per il documentario sulla tecnica

pittorica.

Alle pareti delle stanze del castello sono quindi appese le “Opere ambiente” (che hanno per

soggetto il pittore o la moglie) tutte senza cornice, secondo una logica non casuale: in primo

luogo perché i disegni appaiono come opere non concluse. C’è ad esempio nel soggiorno un

ritratto di Lise nel quale alla donna mancano le mani, mentre altri sono autoritratti del pittore

ancora molto nebulosi ai quali, in ogni momento, il pittore potrebbe decidere di apportare dei

cambiamenti. Ampie superfici non inquadrate ricordano uno schermo cinematografico su cui

viene proiettato una pellicola sbiadita. La mancanza di cornice inoltre non le separa nettamente

dalla realtà suggerendo che l’arte e la vita sono fuse assieme e che l’ispirazione, in quel luogo,

non si sottomette al consenso sociale.

Il suddetto ritratto di Lise privata di mani, viene di notte insolitamente rischiarato

dall’illuminazione diffusa della stanza e da un faretto molto vicino. Questo proietta un cono di

luce che, rischiarando solo il viso, decapita la figura.

Un altro esempio di “Opere ambiente” che non segue le abituali norme d’esposizione è

l’autoritratto di Frenhofer esposto nella camera di Lise. La parete a cui è appeso è troppo stretta

e perpendicolare alla finestra: il viso enorme invade l’intera superficie della tela a tal punto che

il muro sembra schiacciarlo. Durante un confronto tra Frenhofer e la moglie quest’autoritratto

rientra nel “campo” di Lise e allude ad un Frenhofer impacciato che si sente immobilizzato

dalle accuse della moglie e allo stesso tempo incombe su di lei pesantemente. Il chiarimento tra

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i due avviene solo nel momento in cui entrambi muovono verso un’altra stanza e il quadro

scompare dal campo visivo .

Altre tele invece sono prodotte per essere delle “Opere aperte collettive” sulle quali agisce in

maniera naif il corpo di Michel Piccoli mostrando il work in progress di alcuni cartoni

preparatori al ritratto di Marianne. Su queste tele lavora in scena solo l’attore e non più il

pittore professionista.

Infine per “Opere performance” intendo quelle prodotte dall’artista sul set, mentre un

operatore lo riprende. Naturalmente per mantenere una coerenza narrativa è inquadrato di

Bernard Dufour solo il braccio (sul quale è arrotolata la manica della camicia di jeans che

indossa anche Michel Piccoli per tutte le giornate di posa). Rivette ricerca uno stile pittorico

che conferisca personalità al protagonista e sicuramente trova le tele di Dufour adeguate al

Frenhofer che vuole proporre. Lascia dunque abbastanza libertà al pittore ma gli commissiona

dei ritratti di Emanuelle Béart in pose boule a globo, a sfera, tutta accovacciata di spalle.

Dufour è ripreso mentre disegna, non sta recitando, esattamente come Rivette filma, non finge

di filmare. Il primo è nell’inquadratura, l’altro fuori. Rivette afferma a proposito del rapporto

col pittore professionista: “Ho orrore delle prove, le faccio solo se necessario, quindi non ho

mai chiesto a Bernard di ricominciare un disegno né di preparare dei bozzetti”.

In fase di preparazione alle riprese Piccoli studia il comportamento di Dufour per coglierne dei

tratti da imitare; al pittore tale atteggiamento ricorda il proprio davanti alle “inconnue8”, le neo

modelle.

Il primo giorno di posa, in cui il pittore studia a tu per tu la nudità, è per Dufour caratterizzato

da desiderio e repulsione mescolate. Il pittore deve dare precise indicazioni alla modella perché

lui rimane lì vestito e lei se ne sta nuda a sua disposizione (svolge la modella un ruolo passivo,

quindi si aspetta solitamente delle regole a cui attenersi).

Frenhofer si dimostra stupito che Marianne non sappia come posare. Come può la fidanzata di

un pittore non essere abituata a posare? Significa che non è mai stata il soggetto del fidanzato,

che, infatti, dichiara di lavorare con delle fotografie anziché sessioni dal vivo.

Emanuelle Béart si presta come modella per la prima volta in questo film. L’esperto a

disposizione è Bernard Dufour che consiglia i dialoghi che hanno come soggetto la tecnica

pittorica: è sua ad esempio la direttiva preliminare: «regardez-moi de face, mais détournez

légèrment le regard» perchè tra due sguardi che s’incontrano si stabilisce un canale di

conversazione, troppo affollato in questo caso, senza fine, che grava sul pittore non più libero

di fissare la modella come e per quanto tempo gli pare. Lo sguardo della modella deve

rimanere fisso, ma non sul viso del pittore, per lasciare a questo la possibilità di prendersi i suoi

tempi senza sentirsi chiamato in causa: “Levare gli occhi dalla tela e trovarsi qualcuno che ti

fissa è sempre una scossa9”.

8 Bernard DUFOUR, Questions au peintre, cit., p. 24.9 Bernard DUFOUR, Questions au peintre, cit., p. 27

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Il nudo che Rivette chiede ad Emanuelle Béart di interpretare, è la totale nudità10. Il regista

cerca in tutti i modi di evitare l’ostentazione del nudo che il mezzo cinematografico, per sua

natura poco mediato, tende a caricare. La scelta è quella di non soffermarsi mai su singoli

particolari del corpo ma di mantenere una visione generale11. La capacità dell’attrice e del

regista permettono, secondo il mio parere, di presentare una nudità non morbosa né feticista.

10 Cfr. Adriano PICCARDI, in Cineforum, 1992, n°5, pp. 42-47 Si riferisce in queste pagine alla rappresentazione del nudo nella “Bella Scontrosa” con queste parole: “Nudità senza falsi estetismi” e ancora “il nudo è la condizione bruta”.11 La scelta di privilegiare piani più allargati e di stringere meno sui dettagli e sui visi viene evidenziata in due contesti.Antoine DE BAECQUE, Entretien avec Emanuelle Béart, in Cahiers du Cinéma, n° 447, 1991 pp. 22-23.A proposito della profondità di campo: Goffredo DE PASCALE, Jacques Rivette, p. 53 e seguenti.

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2. IL REGISTA E IL MODELLO.

2.1 BALTHUS, IL COMPAGNO DI CITAZIONI.

I RE DEI GATTI: BALTHUS IN UNA FOTO E PI CCOLI-FRENHOFER IN UN FOTOGRAMMA.

Rivette, per formazione e gusto, nelle sue ricerche si muove attraverso tutte le arti: teatro,

balletto, pittura e letteratura. I suoi più stretti collaboratori al “Cahiers du cinéma” parlano

inoltre della sua dedizione al cinema come di un sacerdozio.

Risulta davvero difficile rintracciare le citazioni nei suoi film tanto possiede la capacità di

assimilare le produzioni che ama: ciò di cui fa esperienza diviene parte di sé e

conseguentemente passa nelle opere prendendo nuove forme e omaggiando i modelli

silenziosamente.

Si può estendere a Rivette, e al suo modo di stare in contatto con i modelli, quanto ha scritto

Federico Fellini a proposito del pittore Balthus: “Si fa custode di un patrimonio simbolico in

cui il tempo ha sedimentato la cultura dell’arte”. Fellini aggiunge riguardo allo stile delle

citazioni pittoriche: “Vive sotto l’influsso dei padri spirituali le cui opere non diventano mai

per lui ricordi o testimonianze oggettivate ma forme che si rinnovano in un tempo che è

soltanto quello della sua coscienza.12”

Talvolta i modelli sono espliciti come nel caso di “Hurlevent”, dove il regista ammette di

essere stato profondamente influenzato proprio dai disegni di Balthus prodotti per illustrare

un’edizione del romanzo “Cime tempestose” di Emily Brönte.

Ancora più evidenti sono le citazioni di Piero della Francesca, l’artista moderno a cui più

s’ispira ancora una volta Balthus, in “Jeanne la pucelle” in cui l’aspetto del marito di Jeanne è

sovrapponibile al ritratto del “Duca d’Urbino13” così come illustrato dal pittore quattrocentesco

di Borgo San Sepolcro.

12 Federico FELLINI, Balthus, in Catalogo generale Biennale, 1980, Venezia, 1980, cit.13 Il quadro di Piero della Francesca che ritrae “Federico da Montefeltro, Duca di Urbino”, datato 1465-1466, è conservato alla Galleria degli Uffizi a Firenze.

11

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Considerati i precedenti prestiti e allusioni di Rivette a Balthus e ai modelli di questo, ci si

sente legittimati a proporre un parallelismo costruttivo tra i due per capire un po’ meglio chi sta

dietro alla “Bella Scontrosa”.

Ad esempio può spiegare la vicinanza e i prestiti simbolici tra le diverse arti questo passo

estratto dalle memorie di Balthus (in cui l’artista si riferisce alla propria pittura e al cinema di

Federico Fellini): “Eravamo mossi dalla stessa ricerca, dallo stesso desiderio, lui con le

immagini in movimento, io con la pittura la cui fissità voleva essere in definitiva inquietante e

sconvolgente e finiva con l’essere anch’essa mobile proprio come il fluire fin eccessivo delle

immagini del regista, che voleva riuscire a cogliere la parte più segreta degli uomini.14”

Alcuni critici hanno letto “La Belle Noiseuse” come una sorta di prematuro testamento del

regista in cui deciderebbe di indagare il rapporto tra un artista che sta invecchiando, la sua

opera e il modello, quindi non possono sfuggire i riferimenti alla vita del pittore reale che nel

1991, anno di uscita del film, potrebbe essere coetaneo del pittore visto sullo schermo. Tali

allusioni sono supportate da una scena del film in cui Lise chiama Porbus con il nome d’arte

che ha da anni abbandonato: “Balthus”. Subito l’uomo la riprende: “Non mi chiamare con quel

nome, Balthus non esiste più”.

Balthus entra ne “La Belle Noiseuse” attraverso un gioco di rimandi tra vite di autori e opere

alquanto intricato ad esempio nelle sue “Memorie” si legge: “L’abitudine che ho preso negli

anni 1925-26 di trascorrere intere giornate al Louvre a copiare Poussin mi ha trascinato

nell’avventura della pittura15”. Poussin a sua volta, oltre ad essere un grande maestro della

pittura del ‘Cinque-‘Seicento, è uno dei tre personaggi del “Capolavoro Sconosciuto” e nel film

di Rivette perde il cognome conservando il nome: Nicolas.

Non si può affermare che Frenhofer stia per Balthus ma si può considerare uno degli

“ingredienti” umani del personaggio. Un modello che il regista sfrutta per rappresentare il

pittore. Leggendo le “Memorie” ci si rende conto di quanto di Balthus sia stato ripreso nel film

di Rivette. Tali riferimenti sono supportati anche dalla passione del regista per gli scritti di

Pierre Klossowski de Rola fratello di Balthus, il cui vero nome è appunto Balthazar Klossowski

de Rola.

“Dopo il lavoro d’atelier ritorno al Grand-Chalet. Setsuko (la moglie) fa preparare il

tradizionale tea che ci vede riuniti nella sala da pranzo […] queste pause nella lenta vita del

Grand-Chalet fanno ancora parte della pittura16.” Il passo ricorda l’atmosfera di due scene in

cui Frenhofer e Lise si trovano da soli a confrontarsi dopo la giornata di lavoro assecondando

un rituale pacificatore della coppia. La scelta di Balthus di vivere per lo più ritirato è viene

emblematicamente ripresa nel film andando ad enfatizzare la separazione dal mondo proprio

14Cfr. BALTHUS, Memorie, Longanesi e C., Milano, 2001.15 BALTHUS, Ibidem, cit., p. 53.16Cfr. volume XLI BALT 140, Biblioteca di Castel Vecchio, Il gatto e lo specchio, § Balthus à Chassy.

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attraverso le alte mura del castello situato nel sud della Francia. Balthus stesso nel 1953 si

trasferì a vivere nel castello di Chassy in Provenza dopo venti anni dal giorno in cui, in viaggio

da quelle parti, era rimasto affascinato dalla cittadella in stato d’assedio per le riprese di un

film17.

Inoltre Balthus sceglie spesso, come modelle, giovani donne che celano dei misteri “Il mio

scopo non è solamente il corpo delle mie giovani modelle o la somiglianza dei tratti ma ciò che

era nella loro notte o nel loro silenzio18.” Sono parole che potrebbero uscire ancora una volta

dalla bocca di Frenhofer come l’ha raffigurato Rivette. Inoltre Marianne impersonata da

Emanuelle Béart è giovane e senza dubbio piena di tenebre ben celate dietro ad una facciata di

quiete.

Altra vicinanza tra la poetica che sta dietro i ritratti di Balthus e i nudi filmati da Rivette viene

sempre dalle “Memorie”: “La matita a carboncino può rendere questa grazia intravista. Ecco

perché insorgo contro le interpretazioni stupide che sostengono che le mie fanciulle

provengano da un’immagine erotica19.” Il carboncino è la prima tecnica che Frenhofer utilizza

sulle grandi tele dopo aver preso confidenza con la fisionomia della modella sul quaderno degli

schizzi. Il carboncino è il primo strumento semplice e immediato che supporta Frenhofer nella

cattura dello spirito di Marianne. Ma ciò che più interessa notare di questo passo è il desiderio

di Balthus di chiarire che certi ritratti non siano prodotti per soddisfare degli istinti sessuali,

quanto piuttosto per restituire ai corpi rappresentati il loro stato di purezza. Anche Rivette

presenta il corpo nudo di Emanuelle Béart per quasi l’intero girato nell’atelier (significa per

circa due ore in cui la ragazza non indossa alcun vestito), ma non tende in alcun modo a

erotizzarla.

Come esempio di critto-citazione Rivettiana di un quadro precedente si può prendere in analisi

“La Falena”, uno dei dipinti più famosi di Balthus, dipinto tra il 1959 e il 1960 e conservato al

Musée National d’Art Moderne presso le Centre Georges Pompidou. Nel quadro una ragazza

nuda accanto al letto gioca con una falena, forse spingendola, forse trattenendola dal bruciare

contro una lampada ad olio accesa. La lampada a olio è presente nel film in due scene

successive: la vediamo dapprima spenta al centro del tavolo durante una sequenza in cui il sole

tramonta, poi sul finire della cena la ritroviamo accesa a rischiarare i visi dei personaggi sulle

cui spalle incombono le tenebre. I commensali siedono a tre lati del tavolo e la lampada funge

da perno dell’azione nel campo controcampo. Marianne e Frenhofer da un lato, Lise e Nicolas

dall’altro, Porbus solo.

La lampada rappresenta la verità, la guida, l’obbiettivo ma allo stesso tempo un pericolo per

alcuni: non a caso Porbus si sente improvvisamente male proprio in questa scena.

17 BALTHUS, ibidem, cit., pp. 66-67.18 BALTHUS, ibidem, cit., p. 79.19 BALTHUS, ibidem, cit., p. 75.

13

Page 14: "La Belle Noiseuse"

Per quanto riguarda Marianne, da poco entrata nel castello, non si è ancora parlato della

possibilità di farla posare per un ritratto ma la sua presenza ha già destato l’interesse di

Frenhofer. In questa scena Frenhofer le chiede come si ponga di fronte alla questione della

realizzazione personale e della soddisfazione del partner. Il contenuto di questa domanda

rimane uno dei temi centrali del film: l’arte deve venire per un pittore prima o dopo l’amore per

la propria compagna?

Marianne è bersaglio della domanda ma allo stesso tempo è lei a suscitarla e a rimbalzarla al

pittore che dovrà fare i conti con la ragazza, la quale lo spinge ad avvicinarsi alla luce del

capolavoro ma allo stesso tempo lo trattiene.

Marianne quindi rapisce l’attenzione di Frenhofer e quando questo vorrebbe darsi per vinto è

lei ad insistere per continuare nel volo. Lo implora di non lasciarla nel vuoto in cui si sono

spinti.

DUE IMMAGINI CON LAMPADA AD OLIO: BALTHUS “LA FALENA”-E RIVETTE MARIANNE CON FRENHOFER.

14

Page 15: "La Belle Noiseuse"

2.2 GLI SPAZI, INTERNO - ESTERNO, IL GIORNO E LA NOTTE.

La fisicità è evidenziata dal fatto che vediamo i personaggi mangiare, bere, coricarsi e

risvegliarsi, svenire, spalancare e sbattere porte, accendere alternatamene interruttori,

sanguinare e tremare tutto all’interno del Castello d’Essas. Siamo invitati silenziosi delle loro

vicende.

Proprio come avviene per i caratteri di Balzac, di cui il narratore ci dice tutto un po’ alla volta, i

personaggi vengono attirati dall’intima struttura psichica del protagonista verso di sé ed

iniziano ad orbitarvi attorno. La forza delle idee e dei desideri di Frenhofer costringono gli altri

a rimanere sospesi immobili o a passare con differenti frequenze a seconda della ampiezza

dell’orbita. Il nucleo centrale del pianeta Frenhofer è certamente l’atelier in cui per cinque

giorni ritrae Marianne. A dispetto della crisi dei rispettivi compagni i due continuano il lavoro

in un habitat assoluto.

Una descrizione efficace dell’atelier di Frenhofer si può estrarre dal racconto Balzachiano da

cui Rivette è rimasto affascinato e ripropone fedelmente. Le parole suggeriscono al lettore

l’idea che quel luogo sia una zona privata al cui interno ci si muove senza causare danni solo

chi lo conosce bene.

Nel film tutte le volte che la moglie del pittore entra nell’atelier lascia delle tracce della sua

invasione nella stanza del marito: dimentica di riportare via il gatto, macchia col piede un

dipinto steso a terra, segna con una croce il retro della tela conclusa20.

Altrettanto marcato è l’alternarsi del giorno e della notte, per cui il pittore dipinge solo

quando il fascio di luce naturale si proietta sullo spazio di posa della modella. “Una vetrata

aperta sulla volta illuminava l’atelier del maestro Porbus […] scatole di colori, bottiglie di

olio ed acquaragia, sgabelli rovesciati lasciavano a fatica un angusto passaggio, che

conduceva sotto l’aura proiettata dall’alta vetrata, i cui raggi cadevano a piombo sul pallido

viso di Porbus e sul cranio eburneo di quell’uomo singolare21.”

Lo studio della figura e l’indagine psicologica di Frenhofer su Marianne si svolge nell’arco di

sei giorni a partire da quel lunedì in cui Marianne viene promessa a Frenhofer senza essere

consultata. Mentre si accostano al castello per la prima volta Marianne dichiara di non sapere

niente di quell’idolo che Nicolas adora: “Non ho trovato nessun libro che parli di Frenhofer” e

Porbus le risponde che l’ultima mostra dedicatogli risale a prima della nascita della giovane. È

sempre lei che manifesta i suoi dubbi entrando, per prima della comitiva, nell’atelier che il

fidanzato e il critico smaniano di visitare: “Sembra una chiesa” afferma.

20 Cfr. §1. p. 321 Honorè de BALZAC, Il Capolavoro Sconosciuto, p.105

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Page 16: "La Belle Noiseuse"

Una volta dentro, mentre gli uomini commentano le tele accatastate, Lise da padrona di casa,

propone a Marianne di salire nel soppalco “Di sopra è più carino, vuole venire?” e salgono

così in un luogo, mai ripreso, che sovrasta la zona laboratorio. Luogo che diventa lo spogliatoio

di Marianne a cui Lise passa il testimone. Ed è sempre nell’atelier che la disquisizione

filosofico - artistica viene portata sul tema della bella scontrosa: la disputa. Marianne interviene

dalla scala col viso nascosto dall’ombra.

Il nucleo spaziale in cui si lavora creativamente può essere scisso dal resto ed esistere

comunque. Il dispositivo che mette in atto la vicenda consiste nell’intromissione in un atomo

chiuso di nuovi elettroni che agiscono sulla struttura preesistente sfasandola. Allontanandosi da

questo calderone artistico in ebollizione si incontrano man mano le altre zone del castello:

stanze comuni collegate, attraverso corridoi spettrali, ai privati rifugi notturni, poi il giardino

aperto sul mondo della campagna d’Assas e infine la scalinata d’ingresso del portone che

incontra chi viene dal mondo cittadino. Le scene sono ambientate prevalentemente all’interno

del Castello d’Assas o nell’albergo dove risiedono Marianne e Nicolas su cui incombe la solida

struttura del primo, verso cui questi salgono a piedi.

Le stanze in cui sono appesi ritratti di Lise e autoritratti di Frenhofer sembrano buie caverne

scavate nella roccia, i balconi promontori massicci, le finestre accecano quando ci si volge

verso l’esterno ma non illuminano mai completamente l’interno. Si costituisce un forte

contrasto fotocromatico interno-esterno che collide con l’illuminazione artificiale. Alcune

sequenze di collegamento sono girate sui torrioni del castello ma Rivette ci tiene concentrati

verso il nucleo. Lise ricorda la morte dell’idea di mettere un cannocchiale sulla torre per

guardare in lontananza: si capisce subito che le focali corte sono quelle peculiari a questo film,

l’esterno giunge al castello d’Essas attraverso telefonate, viaggi22. E’ indirettamente collegato -

almeno umanamente-. I protagonisti rimangono sempre lì, mentre gli altri vanno e vengono.

L’esposizione della “pseudo-belle noiseuse” è l’occasione che vede nuovamente tutti i riuniti

dopo la cena del primo giorno. La scena si apre con una carrellata sull’atelier deserto, in cui

tutti i quadri sono girati verso la parete: il rumore della porta annuncia l’ingresso del gruppo.

Marianne titubante entra per prima e rimane sullo sfondo nei pressi dell’uscio appoggiandosi

poi agli infissi, gli altri invece più curiosi penetrano all’interno più vicino alla tela. È un

momento carico di tensione per tutti i personaggi, sia per chi ha già visto l’opera finita e ne

conosce la potenza sia per chi è pieno di speranze e vuole essere ammesso alla visione. I corpi

sembrano non poter stare in equilibrio solo sulle proprie gambe: infatti tutti cercano un

appoggio nell’arredo dell’atelier ad eccezione di Frenhofer. Marianne titubante entra per prima

e rimane nei pressi dell’uscio appoggiandosi poi agli infissi, mentre gli altri scorrono più vicino

alla tela. Frenhofer introduce il quadro, poi gira il supporto e lo mostra. Il quadro sostitutivo

eseguito all’ultimo momento è rassicurante e occupa in larghezza quasi tutta l’inquadratura.

Frenhofer rientrando si affianca alla figura e afferma che quello è il suo primo quadro postumo,

22 Cfr. Giulia LAVARONE, Jacques Rivette: indagine sul processo creativo, §6, p. 15

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Page 17: "La Belle Noiseuse"

gli risponde venalmente Porbus: “Sarà ancora più caro”. Il pittore amareggiato gira attorno al

cavalletto e torna a nascondersi all’ombra della tela che cela tutti i segreti di Marianne.

Il quadro trova evidentemente dei modelli in nudi femminili accovacciati eseguiti da Pablo

Picasso e Jean Fautrier:

1 B. DUFOUR “pseudo-belle noiseuse” 2 P. PICASSO “nudo blu” 3 J.FAUTRIER“nudo”

Nella versione breve vengono amputati dal corpo del film gli spostamenti dei personaggi tra le

varie aree del castello che nell’originale sono seguiti da fluide carrellate. Movimenti che non

vanno intesi come divagazioni o esercizi di ripresa ma espressivi del tempo che corre a misura

d’uomo.

Ogni personaggio marca una stanza a cui appartiene e anche ogni rapporto tra i personaggi

segue una simbologia e regolarità. Il movimento di avvicinamento agli ambienti-persona rende

palese l’abbinamento, si creano infatti delle consuetudini che passano efficacemente allo

spettatore: Frenhofer ha il suo atelier, Lise il laboratorio da imbalsamatrice dove riceve Porbus

e Nicolas, Lise e Marianne si incontrano ripetutamente nel salone delle Chimere, Frenhofer e

Marianne naturalmente si relazionano nell’atelier, mentre i gruppi stanno sempre all’aperto.

Nel divertimento viene quindi a mancare questa mappatura del castello che si crea

spontaneamente quando si seguono i passi dei personaggi all’interno dell’edificio e che

rendono familiari certi corpi in determinate stanze e intrusi gli altri23. Rivette sembra suggerirlo

quando Lise, dopo il primo giorno di posa, intuendo che ci saranno degli ostacoli al lavoro,

indica a Marianne una porta secondaria per accedere più velocemente all’atelier ma questa via

non è altro che un modo per tenere la giovane sotto controllo e fermarla in caso di bisogno.

Nell’arco del film i signori del castello occupano tutti gli spazi con le loro figure e con i loro

ritratti appesi senza cornice alle pareti. Il corridoio che separa la zona giorno e zona notte è

caratterizzato da una pavimentazione bianca e nera a fitta scacchiera che conduce a tante

camere da letto diverse. Lise e Frenhofer infatti non dividono nemmeno lo stesso letto.

23 Cfr. Goffredo DE PASCALE, Jacques Rivette, pp. 58-59.

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Page 18: "La Belle Noiseuse"

Il taglio in “Divertimento” di tutte le carrellate per i corridoi ad eccezione di una in cui Lise e

Frenhofer camminano verso le rispettive stanze da letto conferisce ai loro passi in

quell’occasione una gran solennità.

Nei momenti in cui Lise e Frenhofer sono assieme difficilmente rimangono fermi: il loro modo

di relazionarsi è dinamico e contrasta con la scena tagliata della “Vecchiaia” in cui i due

giacciono in un letto come se fossero morti.

18

Page 19: "La Belle Noiseuse"

3. CORPI E FORME

3.1 IL CORPO, PITTORE E MODELLA - LA MESSA IN SCENA DEL NUDO

Goffredo de Pascale afferma riguardo allo stile di Rivette: “L’ inquadratura viene impostata

solo quando lo esige il movimento stesso del pensiero guida24.” Rivette si comporta come uno

scienziato che analizza cosa succede nella dinamica artistica in determinate situazioni. Il suo

occhio è neutrale ed oggettivo. A tratti il testo sembra più un documentario che film.

La durata del film è inferiore a quella dell’esperienza “vissuta”, ma essendo una ricostruzione

che deve avvicinarsi quanto più possibile al vero, Rivette innesta la dilatazione. Sono quattro le

giornate di posa e che vengono incorniciate tra una di presentazione e una di scioglimento. Il

tempo all’interno dell’atelier è però incontrollabile.

Rivette sceglie delle lunghe scene senza tagli di montaggio, quando il gruppo di personaggi è

riunito, rendendo le situazioni più accostabili ai ritmi di reali visite, dialoghi, incontri e sedute

di posa ma al tempo stesso mostrando una situazione alquanto problematica. Nel rapporto tra

pittore e modella, durante la preparazione del quadro, sono invece frequenti gli stacchi:

soprattutto i campi controcampi tra gli occhi di lei e di lui ma ancora più spesso si alternano il

corpo nudo di Marianne alle linee di colore sulle tele.

Emanuelle, a proposito, afferma che talvolta avrebbe desiderato aspirare la m.d.p. verso di sé

piuttosto che essere totalmente ripresa nella sua nudità, per mostrare esclusivamente il suo

viso25. Rivette, del resto, ricorda la volontà che la macchina fosse un mezzo assolutamente

neutrale e vi fosse profondità di campo senza soffermarsi su primi piani e particolari scabrosi.

Sono due stadi di protezione della privacy diversi: Emanuelle vorrebbe fingere che il suo corpo

non è nudo limitando l’inquadratura al solo viso, Jacques mostrare la nudità per intero ma

senza fare del feticismo o primi piani imbarazzanti. Effettivamente le scelte di regia non

oltraggiano in alcun modo la persona di Emanuelle Béart.

Suggerisce De Pascale sull’atteggiamento di Rivette: “Lui ha questo modo di vedere, vedere e

rivedere ancora, per andare fino in fondo, a voler cogliere l’essenza delle cose ma lasciando

altresì allo spettatore il ruolo di interprete con potere discrezionale e gli riconosce così

capacità e facoltà analitiche. Grazie alla profondità di campo scene intere sono girate senza

interruzioni a volte anche con la macchina da presa immobile. Gli effetti drammatici anziché

essere affidati al montaggio, nascono dalla spontaneità degli attori all’interno

dell’inquadratura26”.

24 Goffredo DE PASCALE, ibidem, p. 5125 Cfr. Anotoine DE BAECQUE, Entretien avec Emanuelle Béart, p.2226 Goffredo DE PASCALE, Jacques Rivette, cit., p. 53.

19

Page 20: "La Belle Noiseuse"

I collaboratori del regista evidenziano il suo modo di procedere ad “esplosioni” durante le

riprese, assecondando con una sceneggiatura agile e flessibile un ispirazione mutevole, che

trova continui spunti nell’interazione degli attori o, ancora meglio delle attrici27. Tuttavia in

questo film specifico preferisce lasciare meno elementi al caso riducendo l’improvvisazione e

il numero di persone che si aggirano sul set per venire incontro al bisogno di privacy che la

nudità di Emanuelle impone. Emanuelle sostiene che un nudo senza sapere cosa fare sarebbe

stato insostenibile. Imbarazzante. Sceneggiatori e attori occupano quindi posizioni più

classiche cinematograficamente e addirittura vivono esistenze separate (entrambe però

supervisionate da Rivette)28.

GIORNATA DI APERTURA: FRENHOFER TRA LISE E MARIANNE

Per la visita al vecchio pittore Marianne decide di indossare un vestito rosso, con le spalle

scoperte, e un paio di scarpe col tacco alto che rendono appariscente e rumoroso ogni suo

spostamento sulla scena. Rivette rimarca la scelta delle scarpe facendogliele sfilare mentre

cammina per le strade impervie e indossare nuovamente una volta giunta al castello.

Il forte vento mediterraneo le agita la gonna, e la costringe a tenere gli occhi socchiusi per

evitare che la polvere sollevata le finisca negli occhi, il sole è accecante e la salita al castello si

rivela un’impresa.

Rivette punta da subito ad avvicinare i corpi di Emanuelle Béart e di Michel Piccoli

evidenziando il momentaneo allontanamento di lui dalla moglie per l’arrivo della nuova

modella. Frenhofer fa la sua entrata in scena in profondità sul confine del giardino dove gli

ospiti siedono attorno ad un tavolo posto in primo piano. Il vecchio si avvicina, gira attorno al

tavolo da destra e tra tutti i posti liberi siede istintivamente accanto a Marianne. Nell’arretrare

per seguire gli spostamenti di Frenhofer la m.d.p. perde Marianne oscurata dalla figura di Lise,

che troneggia seduta sul tavolo, quindi con un carrello laterale a destra la riconquista

accomodata con le mani in grembo vicina al protagonista. Il movimento di macchina gioca con

il posizionamento alternato di figure femminili accanto a Frenhofer. Prima Frenhofer e Lise,

poi Marianne interposta a loro.

È già il secondo caso in cui Marianne e Lise vengono affiancate e messe a confronto:

precedentemente infatti le due donne nella biblioteca si erano trovate a parlare vicine ma

separate da una creazione artistica: sulla libreria a cui si appoggiano è posizionata una statua

femminile per la cui esecuzione sicuramente una donna indietro nel tempo aveva posato.

27 Cfr. Hélène FRAPPAT, Jacques Rivette: secret compris, Cahiers du Cinéma, Parigi, 2001, p.167.28 Cfr. Anntoine DE BAECQUE, Entretien avec Emanuelle Béart, p. 23.

20

Page 21: "La Belle Noiseuse"

Rivette infatti ama comporre le inquadrature con oggetti che alludono simbolicamente alle

relazioni tra i personaggi.

Ad esempio, nel corso della cena del primo giorno, una panoramica a scoprire trova alle spalle

dei mezzi busti di Marianne e Frenhofer, nuovamente seduti accanto, un abito bianco appeso ad

un filo ad asciugare. La sagoma del vestito è ben evidente per intero e pende a colmare sullo

sfondo il vuoto tra i due visi. È difficile trovare una lettura univoca a questa sorta di fantasma

svolazzante: è simbolo di una tela ancora bianca, delle vesti che verranno strappate a Marianne

oppure ricorda che tra loro rimane Lise a cui sicuramente appartiene l’oggetto? In ogni caso

l’inserimento criptato non è casuale come del resto non lo è la bottiglia di vino, che tanta parte

ha nel processo creativo in questa storia, e nemmeno la lampada ad olio che riempiono la stessa

inquadratura.

SIMBOLI TRA I CORPI: LA VESTE LA TERZA MODELLA

Il primo evidente segno d’intesa tra Marianne e Fenhofer emerge nell’atelier del pittore nel

corso di una discussione tra artisti da cui le donne si sono estraniate essendo salite sul soppalco

che sovrasta la zona laboratorio. La voce di Marianne fuori campo completa inaspettatamente

la spiegazione che il pittore ha iniziato sul significato del titolo di una sua opera incompiuta

“Noiseuse”. Il regista restituisce alla voce che udiamo il suo corpo: Marianne appare ora in

piedi su una scala con il viso nascosto dall’ombra del soppalco a cui la scala conduce. La figura

è frammentata dalla scarsa illuminazione ma, man mano che completa il pensiero di Frenhofer,

Marianne scende i gradini e la persona riappare interamente in luce.

Capiamo che Frenhofer non rimane indifferente all’intervento perché ci viene presentato qui il

primo primo piano del pittore sorridente: il tema lo interessa e la ragazza l’ha sorpreso capendo

subito cosa lui cerchi di rappresentare. A questo primo piano viene fatta seguire un’altra

inquadratura del suo viso che si volta e si riempie di delusione per l’eccessiva curiosità

manifestata dal suo giovane collega. Le due inquadrature danno l’effetto di un rimbalzo: una

sorta di eco visiva.

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Page 22: "La Belle Noiseuse"

MARIANNE DIVENTA LA NUOVA SCONTROSA

PRIMA GIORNATA DI POSA: SERVA E PADRONE

Vediamo il viso della nuova coppia di lavoro attraverso i vetri della porta che varcano per la

prima volta da soli. La porta si spalanca e, mentre Frenhofer si sofferma a guardare il soffitto

cercando conferma della sensazione che la ragazza aveva avuto il giorno precedente (cioè che

l’altezza del tetto fa assomigliare l’atelier ad una chiesa), Marianne penetra decisa

nell’ambiente ed esce così dall’inquadratura.

Michel Piccoli fa respirare Frenhofer con corti respiri rumorosi, il suo alito sa di vino e di

caffè. Sotto sforzo emette dei gemiti, grugnisce29.

Le sue azioni sono dettate più dall’abitudine che da un reale interesse. I gesti sono meccanici e

poco convinti. Cerca gli strumenti, riempie le bottiglie per diluire i colori e prepara il tavolo da

lavoro. Quello a cui si appresta è un tentativo in precedenza fallito su cui non ripone nel

presente grandi speranze. Percorre il perimetro dello studio voltando tutte le tele dipinte contro

il muro. Alla fine si siede davanti al tavolo riordinato su cui spicca un grosso quaderno nero

che Frenhofer apre e sfoglia. L’uomo è assorto a studiare gli schizzi del passato dall’inizio fino

a raggiungere i fogli bianchi. Il tempo viene rallentato assecondando l’umore del pittore. La

m.d.p. gli gira attorno lentamente e si pone infine frontale fermandosi nell’istante in cui egli

alza lo sguardo verso la modella e le impartisce le prime direttive per i due primi disegni in cui

Marianne rimane completamente vestita.

Infine afferra un pennino e, piegate le pagine del quaderno che oppongono resistenza, l’esperta

mano di Bernard Dufour inizia a disegnare. Qui Rivette riprende senza interruzioni le

sequenze del lavoro del pittore reale. Sequenze che nella versione “Divertimento” decide di

cestinare venendo meno il tempo necessario per uno dei due filoni presenti nell’originale:

quello documentaristico.

29 Enciclopedia del Cinema, vol. IV mar-sh, Treccani, Catanzaro, 2004.“Piccoli mantiene uno stile austero e distaccato, anche se attraversato da un sottile compiacimento e da una vena di follia […] abbandona man mano i tratti cinici per quelli più morbidi e meno inquietanti che sarebbero sfociati, nel decennio successivo, nel disegno di figure sagge e nostalgiche a volte svampite e spesso venate di profonda solitudine”.

22

Page 23: "La Belle Noiseuse"

Nella “Belle Noiseuse” di quattro ore sono contenuti un film e un documentario allo stesso

tempo, quindi, non sorprende che per una decina di minuti Marianne sparisca dall’inquadratura

lasciando il campo al dettaglio delle mani del pittore che segna la carta con gesti crudeli.

Il quaderno posto obliquamente lascia aria nella direzione in cui sappiamo si trova la modella

direzione da cui proviene anche la luce. La punta stride contro la carta ruvida e il suono

prodotto finisce con essere l’unico rumore percepibile.

Per due brevi intervalli viene presentata la figura intera di Piccoli seduto al tavolo da disegno:

quando poi invita Marianne a salire la scala per prepararsi al nudo il piano si fa più ampio a

riprendere l’ambiente su cui il corpo di Frenhofer e la scala proiettano delle ombre

espressioniste.

La modella torna nell’atelier con una vestaglia, si posiziona di fronte al pittore la slaccia e la

lascia cadere. E’ un sipario che si spalanca, l’operatore accompagna il gesto passando da un

primo piano del viso ad una figura intera completamente illuminata. Nel momento in cui la

ragazza si spoglia il pittore inizia a ritrarla rimanendo in piedi (preme contro il piano

d’appoggio con la mano libera per sorreggersi) si nota il tremore degli arti.

Alla figura intera del pittore Rivette alterna dei primi piani di Marianne che mostrano il

disagio della ragazza nel posare senza vestiti: deglutisce e respira forzatamente ma

sempre senza fare rumore.

Una volta finito il terzo disegno Frenhofer lascia libera la ragazza che torna nel soppalco a

riprendere i suoi vestiti. Questa volta le ombre spigolose attraverso cui era passata nel

precedente salire scale non sono presenti, la tensione sembra essere finita, infatti la ragazza è

convinta che non dovrà più posare per Frenhofer. Invece il pittore la saluta prenotando la sua

collaborazione per il giorno seguente, nuovamente Marianne è schiava del volere altrui.

SECONDA GIORNATA DI POSA: LA MODELLA DI PLASTILINA

La seconda giornata è estenuante per i personaggi quanto lo è per gli spettatori.

La scena si apre con la modella che discende scalza la scala del soppalco.Sembra che quella

scala conduca al regno dei morti e che Marianne si sia ormai rassegnata al suo compito di

traghettatice d’idee.

Frenhofer le offre un caffè, poi, trascinando i piedi rumorosamente si muove nello studio per

sistemare una gran tela in verticale su cui lavora in questa sessione con il carboncino. La

modella lo osserva in ombra finendo il caffè.

Il pittore a questo punto pone la modella di spalle sempre con movimenti “ciabattanti”. Le dice

che quella posa viene utilizzata solitamente dai principianti per evitare l’imbarazzo di avere lo

sguardo della musa fisso su di loro che dipingono per la prima volta dei nudi dal vero30.

30 Cfr., §1. p.8

23

Page 24: "La Belle Noiseuse"

Rivette, per mantenere in video il viso di Marianne, opta per un primo piano frontale di lei che

va ad occupare il terzo di destra e alle sue spalle in un piano americano il pittore nella parte

sinistra che lavora sulla tela che si trova in parte fuori campo ancora più a sinistra.

Il primo piano di Marianne interrotto per mostrare la sua immagine prendere forma sotto le

mani di Bernard Dufour, viene poi ripreso ma questa volta il volto occupa centralmente

l’inquadratura e Frenhofer viene tagliato per metà fuori. E’ difficile trovare al cinema dei visi

che occupino il centro dell’inquadratura mentre è solito nei ritratti fotografici e pittorici. La

scelta di Rivette è probabilmente omaggio a quelle arti.

Tra una posa e l’altra Marianne si riposa su un divano e solitamente accende una sigaretta che

difficilmente riesce finire data l’insofferenza di Fenhofer ad aspettare i ritmi di lei. Più di una

volta la solleva e la sistema a suo piacimento.

Per questa sequenza la situazione è capovolta: il primo piano della mano che dipinge è a destra

e la modella rimane più lontana a sinistra. Questa ennesima posa vede Marianne in piedi

piegata in avanti appoggiata con le braccia tese su uno sgabello. Sembra un animale col capo

chino a terra. Non appena il pittore inizia a tracciarne i tratti sulla tela la ragazza sente un forte

crampo prenderle il palmo della mano, si alza quindi sulle gambe massaggiandosi la mano e

lascia la posa ma Frenhofer le impone di tornare nella stessa posizione senza ribellarsi.

Marianne è abbastanza infastidita del rimprovero e sbuffa come un animale nel rimettersi a

quattro zampe. Ancora una volta Marianne è sottomessa al volere di un uomo che le dice cosa

fare senza prestare attenzione alle sue necessità.

1991 MARIANNE IN POSA 1950-1960 KATIA CHE LEGGE DI BALTHUS

Il rapporto tra pittore e modella sembra equilibrato poi visivamente da un serie di campo-

controcampo che segue ordinato l’alternarsi del dialogo. Naturalmente Marianne è sempre nuda

mentre Frenhofer indossa comodi abiti da pittore. Viene prediletto un piano americano che va

allargandosi quando Frenhofer sconfina nel campo di Marianne per risistemarne la posa

24

Page 25: "La Belle Noiseuse"

sfalsata, e quando egli esce Marianne viene risucchiata con un’inquadratura che evidenzia il

suo stato sottomesso: la figura è scura, piena di ombre, il viso nascosto.

Il pittore inquieto lavora in piedi, la ragazza rimane quasi sempre sdraiata in posizioni di resa,

con gli arti incrociati come legata dal racconto del vecchio. Fuma tantissimo. La luce, sempre

laterale, produce lunghissime ombre.

La mano del pittore che la posiziona si fa sempre più autoritaria, al punto che Marianne finisce

col sembrare una bambola bistrattata. Le posizioni diventano più disarticolate, gli arti

compressi, stretti, il respiro si fa difficile. La ragazza accartocciata spremuta fino all’ultimo. Il

pittore sbraita, si inalbera, la ragazza quindi sotto stress scoppia in una risata nervosa

irrefrenabile che spinge il pittore ad uscire dallo studio e riprendere contatto con il mondo.

Marianne all’interno si aggira tra le sue forme riprodotte sulla carta e testa la loro consistenza

seguendone le linee passando la mano sulla tela31. Dopo un giro dell’atelier si distende sul

divano e si abbandona finalmente sola.

IL SOGNO DI MARIANNE.

1975 MICHELINA ADDORMENTATA DI BALTHUS 1991 MARIANNE DORME

Rivette divide il film in due parti: la seconda inizia con l’atelier avvolto nel silenzio, nel quale

si sente solo il rumore dei piedi del pittore che strisciano sul pavimento. In video appare un

primo piano di Marianne che giace profondamente addormentata con il viso rivolto verso lo

schienale del divano.

La pelle chiara contrasta con il tessuto del divano e l’ambiente. La mano di Frenhofer le sfiora

il viso, l’inquadratura si allarga a comprenderli entrambi, Marianne spalanca gli occhi e si

rannicchia nell’angolo sinistro, Frenhofer si siede all’altra estremità.

I due corpi di profilo in un restaurato equilibrio, una tregua almeno. Marianne per la prima

volta confessa qualcosa di sé raccontando del sogno che ha fatto in quei pochi minuti di sonno.

Sussurra: “Un grosso gatto mi mordeva la mano e non voleva staccarsi.” Frenhofer la ascolta

31 Cfr §1, p. 8 “visione tattile”

25

Page 26: "La Belle Noiseuse"

poi l’aiuta ad alzarsi e la accompagna in fondo alla stanza dove lei riprende la posa mantenendo

un silenzio assoluto.

Marianne si sistema e infine gira il viso verso la m.d.p.

Improvvisamente, assieme ad un piano più ravvicinato del viso, esplode il rumore delle cicale

che accompagna costantemente le scene diurne in esterno.

Marianne sbarra gli occhi. Scopriamo quindi in una soggettiva della ragazza che Lise se ne sta

all’altro lato dell’atelier appollaiata sulla scala. Ciò che abbiamo visto dal risveglio di

Marianne è appunto una soggettiva di Lise che assiste, trattenendo il respiro, al racconto del

sogno. Marianne sembra svegliarsi per la seconda volta nella stessa scena: la realtà penetra

violentemente nell’atelier attraverso i suoi occhi ed orecchie (Gli occhi rivelano la presenza

dell’altra donna, le orecchie il mondo fuori che entra attraverso la porta aperta). La voce le si

spezza in gola quando manifesta la sorpresa di trovare la moglie del pittore nell’atelier. Luogo

che fin dal suo primo istante di posa era stato luogo esclusivamente dedicato alla neo coppia di

lavoro. Lise si scusa dicendo: “È stato Edouard a dirmi di venire”, Il vecchio pittore infatti,

sentendosi minacciato dalla giovane, ha chiesto alla moglie di assisterlo.

Si creano due poli con al centro il pittore che sta creando una base su cui iniziare una

nuova tela.

CAMPO, SOGGETTIVA DI LISE

Da una parte la ragazza, dall’altra la donna. La modella del passato e quella del presente. Tra le

due si costruisce una tensione dello sguardo che il regista evidenzia incanalandola in un

corridoio architettonico costituito da due grandi tele poggiate, frontali tra loro, su cavalletti.

Quindi Lise dopo aver scambiato qualche battuta con Frenhofer, con una scusa, si allontana e

richiude la porta alle sue spalle. Nuovamente cala il silenzio nell’ambiente.

Marianne mossa dall’intrusione della precedente “Belle Noiseuse” indaga sul motivo

dell’abbandono del precedente tentativo, il suo viso è determinato e le domande precise. Il

primo piano la rende vincente nella conversazione, Frenhofer infatti gira a vuoto col corpo nel

rispondere, i gesti sono inutili e sconnessi.

Poi, per la prima volta, una tela occupa l’intero schermo. La mente di Frenhofer è annullata,

stato d’animo che viene espresso attraverso un’infinita superficie bianca senza intrusioni

26

Page 27: "La Belle Noiseuse"

dall’esterno su cui il pennello naviga tracciando dei segni poco convinti. Quindi Frenhofer

deluso si versa da bere, Marianne si accende l’ennesima sigaretta.

Alla fine della seconda giornata Frenhofer vuole abbandonare il tentativo, questa volta è

Marianne a spronarlo a continuare e per la prima volta fissa lei l’appuntamento per il giorno

successivo, nello studio. Sicura di sé si dirige nuovamente verso la scala, la luce è benevola e

non crea angoli bui, un fascio rende la sua salita al piano superiore molto rassicurante.

CONTROCAMPO, SOGGETTIVA DI MARIANNE

Frenhofer, nella notte tra il secondo e il terzo giorno di posa, sfoglia il quaderno che contiene i

suoi schizzi: prima le pagine con sopra Lise e poi le nuove con Marianne. Si capisce la

differenza, oltre che dalle differenti figure, dalle pagine lasciate libere nel mezzo a separare i

due periodi. La scena anticipa un nuovo colloquio tra le due donne che appartiene alla terza

giornata di posa.

TERZA GIORNATA DI POSA: IL “NO” ESPRESSIONISTA DI MARIANNE

In questo piano sequenza Marianne si avvicina percorrendo il corridoio che porta al salone

delle Chimere (quello che lei e Lise dicono di ritenere il posto più bello della casa).

La m.d.p. rimane ad aspettarla nella sala. Quando Marianne vi entra Lise la saluta, la macchina

indietreggia sempre assecondando il camminare di Marianne e allarga la porzione di campo

visibile consentendoci di vedere anche Lise.

Ancora una volta la sua presenza nella stanza è inaspettata. La donna siede su una panca

coccolando il gatto, trattiene con le parole la giovane e la mette in guardia sul pericolo che

corre a essere così coinvolta nella pittura del marito.

Marianne tenta di proseguire verso l’atelier ed esce addirittura dall’inquadratura ma

un’ulteriore richiamo di Lise la attira verso di sé. La donna nuovamente le dice di stare attenta

e di rifiutare nel caso il pittore le chiedesse di ritrarla in viso. Marianne sempre in piedi,

determinata a dare tutta se stessa per il lavoro, articola un “NO” che viene sovrastato da un

esplosione all’esterno dell’edificio.

27

Page 28: "La Belle Noiseuse"

LISE E MARIANNE NEL SALONE DELLE CHIMERE

OMBRE E CORPI OMBRA.

Marianne attende l’arrivo del pittore appoggiata alla parete d’entrata dell’atelier. La

vestaglia scura e i capelli rendono la sua presenza addossata al muro simile ad un

ombra. Il pittore entra e la sua ombra “collide” col corpo ombra della giovane. Si muove

preparando la colazione e la sua ombra si staglia sulla parete dove rimane appoggiata Marianne

che rifiuta il cibo. Il pittore spegne la fiamma del gas capendo che la ragazza è smaniosa di

iniziare a lavorare. Il suo soffio è affaticato e rumoroso. Il respiro e il passo sono i segnali più

evidenti dell’età del pittore.

OMBRE E CORPI OMBRA, MARIANNE E FRENHOFER

Marianne prende le redini del gioco, prepara un materasso a terra che le permetta di mostrarsi

al pittore come meglio crede. Inizia a raccontare di sé e si muove liberamente. Le pose auto-

dirette durano pochi secondi (come quando ci si distende a letto inquieti e si cerca la posizione

più comoda per dormire). Si accovaccia di lato, poi si chiude a riccio e sentiamo il flusso della

voce cambiare e giungere altalenante a seconda che la posizione le consenta di articolare le

parole. Preme sulla mandibola e sul capo.

Frenhofer gira attorno alla ragazza sdraiata “come un gatto col topo” secondo la stessa

espressione di Marianne, e cerca di cogliere i tratti della figura in libertà. Ma Marianne,

sentendosi violata nell’intimo, scatta seduta, il suo movimento è repentino e viene proposto per

intero due volte da angolature differenti32. Una moviola in cui Frenhofer ripropone lo stesso 32 Cfr. §3, p.18 echi visivi

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Page 29: "La Belle Noiseuse"

“nooo” ululato di disaccordo che aveva opposto a Nicolas nella visita d’arrivo all’atelier.

Frenhofer è inebetito e Marianne senza parole. Nuda.

Viene lasciato passare del tempo in cui Porbus viene in visita a Lise e la sorella di Nicolas

giunge al castello a cercarlo.

Di nuovo nello studio, la giovane cammina fumando tra le tele su cui si trova la sua immagine

che ormai copre tutte le pareti. Si muove morbida senza guardare avanti infatti finisce contro il

pittore. Si capisce che entrambi sono ubriachi33. Marianne è di umore instabile: prima

giocosamente propone un’indovinello (a cui Frenhofer non sa che dare come risposta: “siete

voi” o “sono io” che ci fa capire a quale livello di chiusura verso l’ esterno siano arrivati), poi

si fa cupa e manifesta il suo sentirsi fuori dal tempo (forse bambina forse anziana, totalmente

astratta non capisce più se sia giorno o notte, non sente più né caldo né freddo). Sfila il

lenzuolo dal materasso su cui giace e si ricopre tutta come un fantasma. Parla con un filo di

voce appena, Frenhofer si distrae guardandosi attorno in cerca di altro liquore. Un primo piano

ci mostra il suo viso con l’espressione di un ragazzino che in classe fa tutto tranne che ascoltare

l’insegnante e dissimula facendo una faccia interessata ma il resto del corpo lo inganna. Infatti

allungando un braccio per raccogliere una bottiglia da terra perde l’equilibrio e precipita, la

ragazza scatta verso di lui come a evitargli la caduta che è già avvenuta. Frenhofer l’accusa di

essersi mossa. Lei naturalmente scoppia a ridere dandogli del matto. I due mettono in atto

una piccola parodia del rapporto pittore-modella cercando di stabilire se sia la modella a

dover star ferma o il pittore. La figura di Marianne viene ripresa mentre a distanza con dei

gesti direziona il corpo di Frenhofer in modo da ricostruire la sua posa/punto di vista

precedente. Sentiamo il pittore che commenta i propri movimenti ma è lo spensierato ridere di

Marianne ad essere inquadrato.

Scherzano per qualche istante in cui il pittore dimostra un corpo giovane che gli permette di

assecondare gli ordini di Marianne. Prima si mette in equilibrio a quattro zampe sopra lo

sgabello quindi salta “alla cavallina” la ragazza che sta distesa sul materasso.

33 Cfr. §3, p. 24. Il vino era stato annunciato metaforicamente come uno delle componenti di unione dei due personaggi.

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Page 30: "La Belle Noiseuse"

PARODIA DEL RAPPORTO PITTORE-MODELLA.

Da sotto la scala Frenhofer estrae un dipinto incompiuto di Lise che trasporta vicino a

Marianne che rimane annichilita da quella visione.

Il pittore, disposta la tela già dipinta sul cavalletto, sovrappone al corpo precedentemente

disegnato quello della nuova modella (che tiene come ispirazione a cui alternatamene guarda

ma che il regista non mostra).

Il lavoro è lungo, la prima figura si oppone ad essere cancellata, ma, strato su strato scompare.

La nuova modella viene sulla tela attorniata da una nebbia azzurra. Alla fine della sostituzione

la luce nello studio è blu per la prima volta34. Si è fatta sera. Il pittore si allontana dalla tela e

accende una lampada che decreta il termine della sessione di posa. Quella notte Lise penetra

nuovamente nell’atelier col favore del sonno di chi vi è già dentro: il marito si è infatti assopito

sul divano. La donna si guarda attorno sconvolta dal trovare un suo vecchio ritratto

contaminato dalla figura della nuova modella. Fugge poi dallo studio lasciando

inconsapevolmente l’impronta di un piede su un disegno gettato a terra. Il pittore viene

svegliato dal gatto che si è intrufolato nello studio durante l’incursione di Lise. Si instaura un

parallelismo con la sequenza del sogno del gatto di Marianne.

QUARTA GIORNATA DI POSA: LA DECISIVA.

Il quarto giorno non impiega molto tempo come i precedenti.

34 Cfr. § 2, p. 21, vedi i nudi blu, in primis la “pseudo-belle noiseuse”.

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Non si può dire veramente che il film parli della pittura, ma inizia un percorso in quella

direzione: quando la pittura va a iniziare veramente non viene più mostrato il lavoro. Più che la

storia di un quadro sono le operazioni propedeutiche ad essere interessanti secondo Rivette. E’

il giorno decisivo ma la tela non viene mostrata nel suo compiersi. Possiamo da alcuni elementi

intuire che la posa della modella ripresa nel capolavoro sia quella mostrata nei pochi

fotogrammi che li vedono al lavoro per l’ultima volta insieme. Marianne è in piedi su un

lenzuolo rosso, dà le spalle al pittore, tiene un braccio alzato con la mano all’altezza del viso

che ruota verso il pittore. Il regista insiste su questo voltarsi della modella indietro in più

inquadrature35. Gli occhi di Marianne in tale gesto sono spalancati e invasi dalla disperazione,

la sua espressione non sembra giustificata dalla situazione. Piccoli dipinge frontalmente su una

tela di cui vediamo solo lo spessore. Emanuelle ripete la torsione del collo più volte e trema.

Marianne nell’ultima posa per la tela che verrà murata.

Frenhofer, aiutato da Maialine, nasconde il quadro di cui vediamo di sfuggita la parte inferiore.

35 Vedi nota n°37 2eco visivi

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Page 32: "La Belle Noiseuse"

4. CONSIDERAZIONI FINALI.

Rivette sostiene che i migliori risultati vengano lavorando su dei soggetti semplici e comunque

su materie che si conoscono bene36.

Più di uno studio ha evidenziato la centralità delle arti -la musica, la danza, la letteratura e il

teatro- nella filmografia Rivettiana, che diventano soggetti semplici se si considera la vita di

sacerdote dell’arte cui sembra essere votato il regista.

Il regista ammette che i suoi film che mostrano il lavoro di altri artisti all’opera finiscono col

parlare del cinema che tra le arti è la più giovane e che delle altre è in qualche modo la figlia

rivoluzionaria.

In occasione della conferenza stampa per la presentazione a Cannes nel 1991 della “Belle

Noiseuse”37 dichiara che la metafora del cinema appare a lui stesso evidente solo in fase di

montaggio e che non è premeditata.

Nei film in cui si prepara uno spettacolo o un’opera d’arte l’attenzione viene convogliata verso

l’artista e le altre persone coinvolte, sui loro incontri e scontri.

Rapporti che riflettono le dinamiche che Rivette riscontra durante la direzione dei suoi film:

William Lubchansky, capo operatore di molti suoi film, dichiara che il regista cerca di

coinvolgere più che può i collaboratori e, in genere, non lavora su una sceneggiatura scritta

nero su bianco ma su di un canovaccio38. Questo avviene per lasciare più possibilità alla

creazione e interventi di attori e cineasti. “Non è insolito” - rivela Pascal Bonitzer, co-

dialoghista del film - “che gli attori si trovassero a concordare con noi sul set le battute pochi

minuti prima di girare le scene. Dialoghi che venivano scritti giorno per giorno perché Jacques

voleva mantenere la possibilità di cambiare ogni scena in base a quelli che erano stati i risultati

della precedente39”.

Solitamente il regista preferisce girare le scene secondo l’ordine cronologico anche perché non

essendoci una sceneggiatura completa risulta difficile girare una scena se non è stata girata la

precedente. Durante le riprese de “La Belle Noiseuse”, ad esempio, la troupe si installa prima

nell’Hotel dove alberga Marianne per girare il prologo, poi si sposta all’interno dell’atelier per

tornare pochi giorni dopo all’Hotel per una nuova scena.

Più che al risultato finale l’indagine di Rivette si rivolge al processo produttivo dal quale

solitamente il fruitore viene escluso.

36 Helene FRAPPAT, Jacques Rivette: secret compris, cit., p. 84.37 Cfr. Jacques RIVETTE, Conférence de presse.38 Cfr. William LUBCHANSKY, Il ne veut pas savoir…, in Hélène FRAPPAT, Jacques Rivette: secret compris, p. 170.W. Lubchansky è il capo operatore de “la Belle Noiseuse”.39 Pascal BONITZER, Un methode de non-travail, in Hélène FRAPPAT, Jacques Rivette: secret compris, p. 169.P. Bonitzer è co-sceneggiatore e dialogista con Cristiane Laurent de “La Belle Noiseuse”.

32

Page 33: "La Belle Noiseuse"

Il cinema possiede gli strumenti per rendere conto della durata della pittura mostrando l’onda

creativa dell’artista nelle varie fasi, che per Rivette sono tutte interessanti comprese quelle di

crisi.

Il cinema probabilmente è tra le arti quella che prevede il maggior numero di figure

professionali nella realizzazione, la più complessa ed eterogenea, quindi, la scelta di usare il

pretesto teatrale o il lavoro di un pittore significa focalizzarsi su delle figure o dinamiche che

intervengono comunque anche nel cinema. Tutta questa produzione è di conseguenza in

qualche modo autobiografica. “La belle noiseuse” si inserisce appieno in questa serie di film

che indagano sul procedimento artistico e rappresenta lo stadio di massimo avvicinamento allo

studio dell’artista all’opera.

Nel racconto Balzachiano a cui Rivette fa riferimento non viene lasciato spazio al lavoro

fisico e psicologico del pittore con la modella che invece qui diventa il centro

dell’interesse, il tema del film.

Le sequenze dedicate alle sedute di posa nell’atelier occupano molto del girato e comunque

tutto quello che avviene a contorno è conseguenza della produzione del capolavoro. Tensioni e

gelosie dipendono dalla scelta di eseguire un capolavoro, non un semplice ritratto ma un

progetto incompiuto che deve tra tutti essere il non plus ultra. Il lavoro assorbe tutte le energie

dell’artista e della modella che finiscono col mettere momentaneamente in secondo piano le

loro storie d’amore con poca pace dei rispettivi compagni. Il processo ancora una volta è più

importante del risultato dell’opera d’arte tanto che alla fine il quadro viene murato.

Il ritratto colpisce Marianne che vi si riconosce nel profondo. Il soggetto non guarda al ritratto

come se si guardasse allo specchio ma la sua essenza viene filtrata dall’occhio di un mediatore.

Sembra invece che la vita l’abbia portata a fingere a sé stessa e solo nell’incontro con la

sensibilità di Frenhofer capisce qual’è la propria condizione e in base a quella prendere una più

cosciente direzione.

Non bisogna pensare che Frenhofer sia l’analista di Marianne perché infatti si aiutano

reciprocamente a rimuovere gli ostacoli, che posti nel passato, ancora impediscono il fluire

naturale nei rispettivi presenti. Ciò avviene a giorni alterni, si abbandonano reciprocamente e si

impediscono vicendevolmente una fuga che annullerebbe gli sforzi profusi.

Il risultato della collaborazione è quello tanto atteso dall’autore che preferisce però a quel

punto rinunciare alla gloria per rispettare la persona che con la stessa forza si è dedicata

all’opera.

Il soggetto del quadro la Belle Noiseuse non è né Marianne, né Lise, né Catherine Lescaut. Le

modelle sono molte e così pure le tecniche pittoriche utilizzate. “Il soggetto siete voi e non

siete voi, se sarà voi sarà più di voi” annuncia Frenhofer quando Marianne lo pressa per sapere

perché non abbia finito il lavoro con Lise e abbia ora scelto lei.

Si giunge quindi alla conclusione che il soggetto è il quadro, la tensione creativa, la fatica e il

piacere: non questa donna né la fedeltà ai tratti della sua rappresentazione, né questo colore, né

33

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questo pittore, ma il loro incontro-scontro, il riempimento del vuoto. “Non mi puoi lasciare nel

vuoto”, dice appunto Marianne a Frenhofer, quando lui vuole abbandonare il lavoro. Gli occhi

di Marianne hanno seguito il lavoro di Frenhofer passando dal terrore e dalla tristezza più cupa

alla più convinta ostinazione e sostegno.

Egli non si ritiene l’autore unico e quindi non si arroga il diritto di decidere da solo sul destino

del quadro. Decide dunque, assecondando il volere inconfessato dell’altro, di rispettarne la

dignità.

Rivette rende omaggio a tutti i suoi collaboratori in maniera elegante e magistrale. La scelta di

mostrare il lavoro congiunto del pittore e della modella svuota in parte il mito della “nascita

delle immagini” ridistribuisce i meriti tra le parti e non suggerisce più l‘idea che il pittore sia

un essere dotato di poteri speciali.

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Page 35: "La Belle Noiseuse"

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