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L'affascinante mistero degli oracoli

di GIOVANNI IANNUZZO

Nel mondo antico Creso, re di Lidia, era famoso per due caratteristi-che: la sua ricchezza e la sua fede negli oracoli. Essere ricco lo diffe-renziava da tanti altri monarchi dell'antichità; credere negli oracoli,invece, era una caratteristica che condivideva col mondo intero. Quelladi consultare gli oracoli, infatti, era una consuetudine estremamentediffusa e molti regnanti avevano edificato il loro successo grazie allepredizioni delle sacerdotesse oracolari. Evidentemente, però, la fede diCreso nei responsi oracolari non era tale da impedirgli una verifica.Contrariamente agli oroscopi del mondo moderno, che basta leggere suqualunque quotidiano o rotocalco per «assimilare », nell'antichità glioracoli si pagavano. E anche bene. E Creso non lesinava certo il denaro.A un certo momento sembra che sia stato preso proprio dal dubbio.Era poi vero che gli oracoli prevedevano tutto, ma proprio tutto? E seper caso tiravano solo a indovinare? Fu probabilmente per rispondere aquesta domanda, legittima, anche se un po' blasfema, visti i tempi, cheil re dei Lidi architettò uno dei più celebri esperimenti sul valore deglioracoli. Un esperimento che, tuttora, sembra costituire uno dei piùaffascinanti enigmi della storia antica.

D'altra parte Creso aveva le sue buone ragioni di volersi sinceraredell'attendibilità degli oracoli. Si era nel 550 a. C.; il figlio Atys - se-condogenito del re - era stato accidentalmente ucciso, durante una cac-cia al cinghiale, dalla propria guardia del corpo. Il primogenito erastorpio e sordomuto. Da Babilonia giungevano minacciose notizie diguerra. Il giovane Ciro aveva conquistato l'impero dei Medii e l'esercitopersiano premeva ai confini del regno. Creso era profondamente turbato.Aveva bisogno di certezze sull'attendibilità degli oracoli, anche a costodi apparire blasfemo. Per cui aveva escogitato una trovata intelligente,un vero capolavoro di arguzia, tale da far impallidire anche esperimentimoderni.

Gli oracoli maggiormente famosi in quel momento, in Grecia, ,AsiaMinore e Libia erano sette: Delfi, all'apice del suo splendore; l'Anfiareodi Atene; Dodona nell'Epiro; Didima in Asia Minore, Lebadea in Boezia,Abe nella Focide e infine l'oracolo di Ammone nell'oasi di Siwa. Ognuno

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di essi vantava dei successi che ne avevano determinato la fama; maCreso, ormai, non si accontentava più della fama, voleva fatti, e fatticoncreti. Inviò quindi sette delegazioni, una ad ogni oracolo. Ognidelegazione doveva contare cento giorni dalla sua partenza da Sardi,capitale del regno di Lidia, e quindi, al centesimo giorno, presentarsiagli oracoli e chiedere che cosa stesse facendo in quel momento il reCreso. Furbescamente il monarca non aveva chiesto un vaticini.o sulfuturo, bensì una predizione « al presente », immediatamente verificabile.

La storiografia antica non ci ha tramandato tutte le risposte; Erodotone ha ricordata una soltanto, l'unica esatta, quella dell'oracolo di Delfi.Re Creso aveva pensato, per il test, qualcosa di difficilmente indovinabileper caso: aveva preso carne di tartaruga e carne di agnello e le avevamesse a cuocere nella stessa pentola munita di coperchio. Il responsodella « Pizia di Delfi» era stato comunque di una precisione estrema:

,« Ai sensi mi venne odor di testuggine dalla dura conchiglia, cottanel bronzo con carni d'agnella, cui bronzo è sotto e di bronzo sopra èvestita» .

Cresoaveva avuto la risposta che chiedeva. Almeno un oracolo (alquale tra l'altro era da tempo devoto) aveva davvero misteriosi poteri.

Nel 1940 un gruppo di stradini che stava facendo delle riparazioniall'interno del recinto dell'oracolo di Delfi, rinvenne per caso una minimaparte dell'infinità di doni votivi che il re di Lidia aveva inviato all'oracolocome ringraziamento, tra cui centodiciassette barre d'oro, d'argento e dilega d'argento. Creso, di certo, poteva permetterselo...

\L'episodio di Creso e della Pizia è celeberrimo, ed è stato spessoconsiderato una testimonianza indiscutibile dell'esistenza di misteriosecapacità extrasensoriali, perché dimostrerebbe inconfutabilmente - sedobbiamo prestar fede ad Erodoto - il potere di « vedere» oltre lo spazioe il tempo. Potere del quale, d'altra parte, fruivano in quel periodo unpo' tutti. Consultare un oracolo, infatti, non era privilegio solo del re.Tra le tavolette .che venivano consegnate ai clienti, sulle quali essidovevano scrivere le domande, e che sono state ritrovate in vari luoghidi culto, vi è la dimostrazione che l'istituzione oracolare non era riser-vata a prìncipi, guerrieri e monarchi. A Siwa, in Libia, per esempio, èstata portata alla luce una singolare raccolta di cocci di ceramica conincise le domande che venivano poste agli oracoli e, in qualche caso,le risposte. Domande non di prìncipi, non di regnanti, ma presumibil-mente di gente umile che esprimeva le quotidiane preoccupazioni del-l'esistenza: vi si chiede se sarebbero stati distribuiti i cereali, se il vitelloacquistato da un mercante era di buona qualità, se si doveva sospettarel'adulterio della moglie. Problemi economici e coniugali erano, insomma,all'ordine del giorno. E ogni oracolo distribuiva risposte, dava sicurezza,seminava buon senso.

,Le modalità secondo le quali esso si pronunciava erano comunquediverse da luogo a luogo. A Siwa il richiedente poneva la sua domandaall'oracolo dopo averla scritta su una tavoletta; a Dodona, in Epito,vigeva la stessa consuetudine: il cliente scriveva su un foglietto di piombo

la sua domanda che il sacerdote, piegato il foglietto, riponeva in unacesta ai piedi della sacerdotessa. Ad uno ad uno tutti ottenevano la ri-sposta. A Delfi, l'oracolo più potente e amato dell'antichità, invece,domande e risposte sembra fossero date oralmente. Piccoli e grandi pro-blemi, insomma, che potevano trovare una risposta, a pagamento, neiresponsi oracolari. E il prezzo di un responso non era esattamente irri-levante. A Delfi non si pagava il biglietto d'ingresso, ma i sacerdoti diApollo imponevano che, prima di entrare nel tempio, il cliente sacri-ficasse sull'altare antistante l'ingresso una focaccia al miele che, natural-mente, vendevano piuttosto cara. Herbert W. Parke ipotizza che, intornoal 420 a. C., un oracolo privato costasse due dbili, e un oracolo pubblicodieci volte tanto. Una cifra notevole che, comunque, era già un affare.Infatti era la cifra che pagavano i faselidi, abitanti della poleis di Faselide,che avevano stipulato con Delfi un particolare accordo, una specie disconto per comitiva. Un oracolo privato - per un singolo individuo -costava meno di un oracolo pubblico (per esempio per una città), il cuiprezzo variava poi in dipendenza della città. Comunque non c'erano prezzipopolari se, a quanto pare, la cifra più bassa corrispondeva a due giornidi stipendio di un gurata ateniese, il cui reddito mensile era sicuramentealtissimo.

Inoltre, per recarsi a De1fi, i richiedenti avevano bisogno di unrappresentante ufficiale, una sorta di garante-ambasciatore presso l'oracolo.Ogni città-stato aveva un suo rappresentante proprio con questa funzione,un prosseno. Qualora una città ne fosse sfornita, il richiedente dovevasceglierlo in loco e di solito era un eminente cittadino che pagava pro-fumatamente, così come pagava il prosseno. Insomma si trattava di unvero mercato della divinazione, giustificato dalla validità dei responsioracolari che spesso avev'a condizionato addirittura gli eventi storici.

Oracoli e politica

Uno dei personaggi che ne avevano beneficiato era stato AlessandroMagno. Nella vita e nei formidabili successi del condottiero macedonealeggia impercettibile, ma costante, il responso degli oracoli. Primadel suo concepimento, il padre Filippo aveva sognato di comprimere unsigillo sul corpo della moglie, con l'immagine di un leone. Alessandro diTelmesso aveva interpretato il sogno nella maniera più evidente: poichénon si sigillano i recipienti vuoti, disse, il sogno poteva solo significareche la sposa era incinta e che il nascituro sarebbe stato di carattere leo-nino. Non contento, Filippo inviò un messo a Delfi per richiedere deichiarimenti. A Delfi la risposta della Pizia fu ancora più sibillina: Fi-lippo dovev'a venerare Ammone e fare sacrifici al dio egiziano. Ammoneera il dio che ispirava l'oracolo di Siwa, nella Libia. Alessandro avrebbevisitato ambedue i luoghi sacri.

Andò a Delfi prima di intraprendere la campagna contro la PersIa.Arrivò in un giorno nel quale non si formulavano oracoli e i sacerdotie la Pizia gliela dissero ,con chiarezza. Non conoscevano però il carattere

turbolento di Aless'andro, che irruppe nella casa dei profeti, trascinò laPizia al tempio e con un tonache non ammetteva repliche le chiese diprofetizzare. Ella disse, impaurita: «Tu sei invincibile ». Alessandroritenne che si trattasse di una profezia. Quando nel 332-331 a. C. siimpossessò dell'Egitto, dopo aver seminato la sua strada di conquiste(tutte le città dell'oAsia Minore erano cadute nelle sue mani), il responsodella Pizia sembrava si fosse avverato ancora una volta. Ma Aless'androaveva ancora un enigma da risolvere. Nel 331 mentre dava disposizioniper la costruzione, presso l'.antica Rakotis, di una città che fosse a luiintitolata (Alessandria), prese la decisione e si avviò con un esercito lungola via di Marsa Matruh, in direzione dell'oracolo di Ammone, a Siwa.

Certamente il dubbio che lo rodeva non doveva essere piccolo, néminore la sua fede negli oracoli. Il suo viaggio era stato, infatti, un puroe semplice colpo di testa che avrebbe potuto pagar caro. Dario era statobattuto a Isso, ma non si era certamente l'assegnato a perdere il suopotere in Asia: stav'a riorganizzando il suo esercito e nessuno avrebbepotuto sapere dove e quando avrebbe attaccato. Alessandro non tenneconto del rischio.

Sul suo viaggio a Siwa esiste una leggenda suggestiva. Giunto nel-l'oasi del dio Ammone, Alessandro chiese al sacerdote diverse cose:anzitutto se il dio avesse inflitto la giusta punizione agli assassini di suopadre Filippo e il dio rispose affermativamente. Poi chiese se sarebbedivenuto signore di tutti i popoli ed ebbe ancora una volta una rispostaaffermativa. Era quanto bastava, specialmente dopo che i suoi soldatiavevano chiesto se dovessero venerare il loro re -come un dio. Ancorauna volta il dio aveva risposto « sì ».

Alessandro comunque non partì subito da Siwa. L'udienza conces-sagli dal sacerdote di Ammone era stata pubblica, ma egli doveva chie-dere ancora qualcos'altro, qualcosa di -cui nessuno avrebbe dovuto sen-tire la risposta. Si recò un'altra volt'a, da solo, nell'oracolo. Nessuno sacosa chiese e cosa gli fu risposto. Il condottiero macedone affermò cheaveva avuto ri:>posta a quanto aveva chiesto e scrisse alla madre che alsuo ritorno l'.avrebbe messa a parte della misteriosa rivelazione. Il suosegreto fu sepolto con lui, nel 323, a Babilonia.

Talvolta all'interno del sacro recinto di Delfi si decidevano le sortidi interi popoli e di intere nazioni, in maniera assai più decisa di quantonon fosse avvenuto con il grande macedone. Creso, l'unico monarcadell'antichità che avesse osato mettere alla prova l'attendibilità deiresponsi della Pizia, era diventato un vero «oracolo-dipendente ». Sem-bra che, da quando aveva avuto la conferma della veridicità dei re:>ponsidelfici, non facesse assolutamente nulla d'importante senza chiedere ilparere della Pizia. E così nel 546 a. C. inviò dei messi a Delfi per chie-dere lumi su un delicato problema politico e militare. A nord del regnodi Lidi:a si snodava il fiume Halys, che segnava il confine con l'imperopersiano. La poIritica espansionistioa di re Ciro si era spinta quasisino ai confini del regno di Creso; i Persiani avevano sconfitto Astiage,cagnato di Creso, e ne avevano conquistato il regno. Creso era andata

in callera e, fidanda nelle sue ricchezze, aveva pensata di ricacciare ipersiani indietrO' sinO'alle 10'1'0'terre. Ma prima daveva sincerarsi dell'esat-tezza della sua decisiane. QuandO' i suai messi chieserO' un parere allaPizia sull'appartunità di marciare contrO' i Persiani, laprafetessa rispasecan insalita chiarezza: se Cresa avesse varcata l'Halys avrebbe distruttaun grande regna. Il re nan ebbe più esitaziani e nan ascaltò nemmenO'il parere del sua saggia cansigliere Sandanis, che gli fece appartuna-mente natare che anche battendO' i Persiani nulla in più avrebbe attenutadi quanta aveva, mentre i Persiani, barbari, nan appena avesserO' can-statata le sue ricchezze la avrebberO' sicuramente attaccata. Ma Cresanan aveva dubbi: la Pizia aveva suggellata la sua decisiane e la suavittaria.

Le vicende stariche successive fu rana un pO" diverse. Cresa subìuna disastrasa scanfitta militare, il sua esercita fu annientata e i resticastretti a rifugiarsi entra le mura di Sardi, capitale del regna. I Per-siani espugnaranaanche la città e Cresa, a quanta pare, fu uccisa perardine di Cira. La prafezia della Pizia si era avverata, ma nan nel sensO'prevista da Cresa. Egli aveva varcata il fiume Halys e aveva distrutta ineffetti un grande regna: il prapria.

Cresa si era farse fidatO' trappa del patere dell'aracala? A distanzadi 2500 anni nan è facile giudicare il suacampartamenta. Si può salaprendere atta che gli antichi Greci eranO' ben cansci del patere dell'ara-cala: nO'n, benintesO', del patere magica, religiosa a mistica, bensì delpatere palitica. Un l'espansa aracalare pateva influenzare infatti gli ua-mini - came nel casa di Cresa - e gli uamini in fanda avevanO' bisa-gna sala di essere influenzati. Questa «trucca» era assai chiara nellementi degli strateghi, dei palitici e dei candattieri. Alessandra sapevabene che le sue truppe avrebbero cambattuta megliO' se cansapevali delfatta che il 10'1'0're era una divinità e che sarebbe diventata signare ditutti i papali. Insamma, l'aracala distribuiva alla stessa tempo l'espansie patere palitica. Chi riusciva ad accaparrarsene i favari era sicuro diavere in manO' un ulteriarestrumenta di patere. L'aracala svalgeva lafunziane di «persuasare acculta ». Oggi si ricarre ad altri mezzi, maallara, quandO' la pubblicità subliminale, i sandaggi d'opiniane pilatatia beHa pasta e gli «apinian-makers» eranO' di là da venire, Delfi nerappresentava l'equivalente.

Naturalmente accarreva che i responsi fassera favarevoli. Il che, senan era sempre passibile per l'uama camune, era una realtà di fattaper il persanaggia illustre. Una degli esempi più ec1atanti è quella diTemistac1e.

Temistac1e, della famiglia dei Frearri, nel quinta secala a. C. aveva. castruito, praticamente dal nulla, la patenza militare e palitica di Atene.

Grazie ai prafitti delle miniere d'argentO' di Lauria e can un'apera dicanvinziane estremamente intelligente, fece castruire duecentO' triremi.'Atene nan aveva mai avuta una flatta così grande e il candattiera pen-sava che sala can una flatta impanente la Grecia avrebbe pO'tutacantrastare il pericala persiana che gravava su di lei came un'ambra

minacciosa. Le sue opinioni non erano condivise dai concittadini:di fronte alle mille navi persiani, dotate di esperienze tattiche e stra-tegiche notevoli, le duecento triremi ateniesi, senza alcuna esperienzamarinara, avrebbero avuto ben poche possibilità di battere il nemicoastatico. Il progett9 di TemistO'cle di impegnare battaglia navale coiPersiani era stato quindi considerato pura follìa e respinto.

Ma Temistocle non intendeva rinunciare al suo intento. Se le suequalità politiche non gli consentivano di imporre la sua idea strategica,avrebbe daV'uto rivoIgersi ad un"autorità il cui parere fosse indiscutibil-mente accettato da tutti: l'oracolo di Delfi.

Fu durante una campagna nella valle di Tempe che Temistacle feceuna capatina all'oracolo. Non si sa cosa disse ai sacerdoti, notoriamentefilo-per'siani: forse fece grandi promesse, a farse ancora li minacciò.Sta di fatto che quando. i teopropi di Atene andarana a consultare l'ora-calo per s'apere qualcosa in quella situaziane politica e militare digrande incertezza, l'oracolo incitò a fuggire da Atene prima dell'arrivodei Persiani: «suderanno tutte le statue », aggiunse la Pizia, « e i templigronderannO' sangue ». In quello stessa mamenta ad Atene i cittadiniimpauriti videro. che le statue degli dei si coprivanO' di sudore e che letegale dei templi trasudavano. sangue!

Nel frattempO' i messi di Atene, usciti dall'oracala, riferirana dell'espansa della Pizia ad un saggia di De1fi, Timane figlio di Androbulo.Dapo averli ascoltati, Timone suggerì 10.1'0di invocare un secandoaracola preceduto da una supplica di Apollo. Farse il responso, ag-giunse, sarebbe stata migliore. Gli Ateniesi seguirono il consiglio e ineffetti ottennero un l'espanso migliore: quando i Persiani avrebbero dila-gata per Atene, dopo aver conquistata molte ahre città, Zeus avrebbeconsentito che un « muro di legna» assicurasse la vittaria agli Ateniesi.Questi, però, avrebbero dovuta ritirarsi, volgendo le spalle al nemico.La vittoria definibiva si sarebbe avuta a Salamina.

Temistode era stato furbo. Non avrebbe pO'tuta far sostenere aper-tamente il suo progetta di battaglia navale dall'oracolo; per quantofossero credenti gli Ateniesi non erano. del tutto ingenui. E aveva quindiescogitato l'idea del « muro di legno»: cosa poteva essere, insisté Te-mistocle, se nan la murata di una nave? Era quindi sul mare che gliA,teniesi davevano fronteggiare le orde persiane.

L'unica «,svista », che comunque non fu notata, fu il far dire al-l'oracolo che la battaglia si sarebbe svolta esattamente nel luogO' cheTemistacle aveva in precedenza scelto per la felice posiziane geografica.Tra l'isola di Salamina e 1"Attica uno stretto avrebbe impedito alla flottapersiana di manovrare liberamente e quindi di dispiegare la sua enormepotenza beUica. Serse avrebbe preferito una battaglia in mare aperto, maTemistocle lo attirò in uno stretto nel quale la stessa conformazionegeografica congiurava contro il successo delle armate persiane.

Temistocle ebbe ragione, sia come « psicologo delle masse» che comestratega. Nel suo primo ruO'lo aveva architettato un piana di eccezionalefurbizia; grazie all'appoggio 'Che si era conquistato da parte dell'oracolo

di Delfi, la sua strategia aveva prevalso. I Greci avevano abbandonatoAtene. Non erano « fuggiti », come vuole la tradizione: il ritrovamentodi una copia su pietra del decreto di Temistoc1e, col quale si ordinava agliAteniesi di abbandonare la città e aUa flotta di mobilitare, ha risolto defi-nitivamente il problema. La flotta ateniese riportò a Salamina la piùgrande vittoria della sua storia su una flotta che, allora, poteva essereconsiderata la più potente del mondo. Anche nel suo secondo ruoloTemistoc1e aveva rivelato un notevole ingegno.

L'esempio storico di Temistoc1e dimostra come anche i responsi dellaPizia di Delfi potessero essere manipolati e solleva una questione digrande interesse e cioè: qual era l'attendibilità dei responsi dell'oracolo?La Pizia aveva realmente dei poteri di chiaroveggenza o era semplice-mente una istituzione di carattere psicologico e religioso, manipolabileper fini politici?

Sicuramente l'importanza delnstituzione oracolare era enorme; ab-biamo visto come i responsi della Pizia avessero 'condizionato i piùgrandi eventi stodci del passato, dalle campagne di Alessandro Magno,alla caduta del regno di Creso, alla battaglia di Salamina, che decisedefinitivamente il tramonto dell'espansionismo persiano. Nel contempole sue enigmatiche risposte avevano un valore psicologico non indifferente,e ad essa, come già detto, si rivolgevano anche persone comuni, gentedel popolo, non solo prìnoipi, ma anche umili. Chi era in realtà la Pizia?

La leggenda di Delfi

L'origine dell'oracolo di Delfi è naturalmente avvolta nella leggenda.Sembra che quindki secoli prima di Cristo vi fosse venerata la deadella terra, Ghè (o Gea), con la figlia Thèmis e la serpentessa Pytho, chestava a guardia dell'antro in cui la sacerdotessa dava i suoi responsi.La roccia dalla quale la profetessa vaticinava era posta vicino a uncrepaccio da cui esalavnno vapori inebrianti. I primi a fondare unoracolo sarebbero stati gli abitanti di Licorea, nel Parnaso, scesi a Delfi.Si trattava di una prassi oracolare ancora non perfezionata, molto rudi-mentale. Successivamente, intorno al XII secolo a. C., Cretesi e Dori,tornati dalla conquirsta di Creta, avrebbero istituito l'oracolo poi divenutoèelebre. La leggenda racconta che il dio ApoBo apprese da Thèmisl'arte della divinazione, uccise il serpente Pytho con una freccia e siimpossessò dell'oracolo perché attraverso di esso parlasse suo padre Zeus.Poi, servendogli dei sacevdoti, si trasformò in delfino e costrinse unanave cretese a fermarsi nel porto di Kirrha, nel golfo di Corinto. Sitrasformò quindi in una stella splendente e indi'cò agli uomini la viache avrebbero dovuto seguire per giungere al santuario di Delfi. Là sitrasformò in Efebo e costrinse i Cretesi prigionieri a diventare suoisacevdoti. Questa leggenda oi spiega da dove derivi il termine «Pizia»(detta anche « Pitonessa ») e il nome stesso della località.

La Pizia, quindi, era lo strumento mediante il quale il dio ApoUo

profetizzava. La sua età media era intorno .ai cinquant'anni, il voltosempre coperto; si dedicava alla sua funzione pubblica solo il settimogiorno di ogni mese. In genere le Pizie erano due e si sostituivano a vi-cenda. Apparivano in pubblico scortate da due sacerdoti addetti al cultooracolare. L'edificio nel quale abitavano era sorvegliato giorno e notte,in quanto esse erano inavvicinabili. Quando dovevano vaticinare dovevanoprima fare un bagno rituale alla fonte Castalia, accompagnato da pre-ghiere. Poi l'a Pizia si recava alla fonte Cassotide e beveva un sorsod'acqua che le conferiva la virtù profetica. Dopo essere passata dallaCassotide, si fermava vicino all'altare di Hestia, all'interno del tempio.I sacerdoti prendevano 'allora un capretto, lo deponevano sull'altare elo spruzzavano di acqua: se il capretto cominciava a tremare, il presagioera ritenuto favorevole per vaticinare, altrimenti bi.sognava aspettaTe ilsettimo giorno del mese successivo. La profetessa di Apollo non potevavaticinare in giorni che non erano propizi; Lucano riporta un episodiorelativo ad una richiesta di ~atioinio fatta da Appio Claudio, durantela guerra civile tra Cesare e Pompeo. Non si era ne'l settimo giorno delmese, ma la Pizia, impaurita, ubbidì agli ordini del proconsole romano eimpazzì. Da parte sua, PlutJarco racconta che una volta la Pizia fu ,in-dotta a vaticinare anche se il capretto non aveva tremato dal freddo,fu presa da una sorta di delirio e svenne, morendo pochi giorni dopo.

Se il capretto si metteva .a tremare, allora il giorno era propizio alvatidnio. L'animale veniva saorificato e bruciato e il fumo indicavaalle migliaia di clienti che quel giorno la Pizia aVTebbe vaticinato. Nelfrattempo, davanti all'altare di Hestia, essa inalava a pieni polmoniil fumo di piante dalle qualità psicotrope e allucinogene: incenso,laudano, giusquìamo; ne era presto inebriata, cominciava a vacillare,andava .in trance. I sacerdoti allora la portavano all'interno de'11anicchianel tempio di Apollo, posta più in basso del pavimento, che conteneva iltripode e un albero di alloro. .La nicchia era coperta da un ,tendaggioe nessuno poteva intravedere la Pizia che comunque, daUa sua posi-zione, poteva osservare tutto, sino alle porte del tempio. Essa venivaposta dai sacerdoti sul tripode, una sorta di alto sgabello con due manici,nel quale sprofondava reggendosi ai manici laterali. La sua funzione sem-bra fosse eminentemente pratica: la Pizia in tTance in ogni altra posi-zione avrebbe corso il rischio di <cadere giù daHa sedia. Seduta sul tri-pode era invece perfettamente stabile e poteva dunque cominciare i suoivaticini.

Tutto questo, però, non ci dice nuNa sugli effettivi poteri extrasen-soriali della Pizia. Ella andava in trance come un qualunque mediumdei tempi più recenti, e poi rispondeva alle domande che le venivanoposte dai richiedenti. I dati disponibili sono, apparentemente, a favoredell'attendibilità delle sue risposte; non 80'10,ma lo stesso Creso, conil suo celebre «esperimento », ha suggellato la realtà delle virtù pro-fetiche della Pitonessa di ApoNo. T,ranne che, naturalmente, non esistauna spiegazione alternativa.

Le astuzie dell'oracolo

Quando Creso inviò a Delfi i propri emissari, diede loro cento giornidi tempo per il viaggio. Ma tra Delfi e Sardi non vi era una distanzatale da giustificare !'impiego di tutto questo tempo. Quindi è presumibileche i suoi messi arrivassero a Delfi - che era, tra l'altro e oracolo aparte, un luogo di « turismo », per così dire - parecchio tempo primadelI'oracolo. Questa digressione geografica, apparentemente inutile, hainvece un'importanza determinante per spiegare il mistero della rispostadella Pizia a Creso. Bisogna infatti tenere in considerazione che, comeabbiamo più volte ripetuto, la funzione di un oracolo andava ben al di làdi quella religiosa, o psicologica ante litteram: quello che aleggiava suitempli oracolari era potere allo stato puro in grado di cambiare i destinidel mondo. E l'oracolo, d'altra parte, era un'istituzione che potevaprosperare e quindi ~antenere il proprio potere solo a patto di dimo-strarsi efficace. Se il richiedente era un povero pastore della Beozia, ouna moglie ateniese rispettosa, poco male; ma se il cliente era un mo-narca, un politico o un generale non ci si poteva permettere il lussodi sbagliare, perdendo il favore di personaggi tanto importanti.

Che questa esigenza fosse concreta, è dimostrato da una scopertaclamorosa: l'oracolo di Delfi aveva un proprio «schedario» dei clientie tutte le informazioni su di essi venivano opportunamente registrate.Inoltre i sacerdoti erano informatissimi sugli argomenti politici dell'epoca.Se non bastasse, vi sono dati sufficienti a lasciar dedurre che i sacerdotidell'oracolo - veri manager di una impresa economica colossale - siservissero con molta disinvoltura di propri agenti segreti che vivevanoai margini dell'attività di Delfi e che fornivano ai sacerdoti i propri servigidietro lauto compenso.

I! trucco può esser stato semplice. I messi di Creso giungono alsantuario un mese prima che scadano i cento giorni. I sacerdoti, intuita

.l'importanza dell'affare, riescono con i mezzi più vari a carpire loro leinformazioni necess'arie: basta venire a sapere la natura della domandada rivolgere alla Pizia. Inviano allora un loro «agente» a Sardi che,nel centesimo giorno dalla partenza dei messi di Creso, vede che cosasta facendo di significativo il re e torna subito a Delfi. Nel frattempo laPizia ha comunicato il responso, scrivendolo e non comunicandolo ver-balmente (e che questa fosse la prassi di Delfi è cosa ormai risaputa).La lettera è sigillata e nessuno dei messi ne conosce il contenuto. Poii sacel'doti convincono i messi a fermarsi ancora per alcuni giorni. :Èil tempo necessario perché l'agente di Delfi torni e comunichi la rispostaesatta. :È facile sostituire il plico già consegnato. E il gioco è fatto. Larisposta data a Creso dalIa Pizia è sorprendentemente esatta. 'Natural-mente.

Ovviamente non esistono prove sicure di questa ricostruzione deifatti, ma essa si basa su dati certi. Si sa, per esempio, che a Delfi lacorruzione era la norma ed è evidente che un errore dell'oracolo signi-ficava un mezzo disastro economico: basta pensare ai doni straordinariche Delfi ottenne da Creso, per rendersi conto che il gioco ben valeva

la candela. Le distanze geografiche non erano proibitive e l'unica: cosache resta da chiedersi è come mai altri oracoli non utilizzassero tecnichesimHL Questo non è escluso; ma si' deve tener presente che nessunoracolo, in quel momento storico, aveva la smisurata potenza di DeIfi.

Naturalmente, ,per rendere un oracolo credibile esistevano anchetrucchi più semplici, basati per esempio su un linguaggio volutamenteambiguo: vi ricordate del1a predizione della Pizia relativa alla guerradi Creso coi Persiani? La Pizia aveva detto che se Creso avesse attraver-sato il fiume, un regno sarebbe stato distrutto. Non disse quale. Sia cheavesse vinto, Creso, sia che - come avvenne - avesse vinto Ciro,l'oracolo avrebbe in ogni caso indovinato.

Inoltre bisogna tenere in considerazione le caratteristiche di chi con-sultava l'oracolo. Chi si rivolgeva all'oracolo, anzitutto non era tanto ilsingolo cittadino, il privato, bensì il rappresentante dello Stato. E i que-siti che poneva alla Pizia non erano irrilevanti: campagne di guerra,crisi politiche, questioni insomma di indiscutibile rilevanza politica.C'era anche il singolo che chiedeva se dovesse sposare l'amante o se IIsuo socio in affari lo t'ruffasse, ma a tali quesiti è presumibile che lapitonessa rispondesse in maniera quanto mai non impegnativa. D'altraparte è comprensibile che i responsi deUa pitonessa fossero basati sudue pesi e due misure: erano i ricchi, \ governanti, i leader politici emilitari a rappresentare la fonte apparentemente inesauribile deUa suaricchezza che tanto ha stupito gli archeologi. Inoltre, chi si rivolgeva allaPizia era in condizioni psicologiche particolari: aveva sostenuto unviaggio lungo e costoso, e date le distanze e i mezzi di comunicazionenon era probabile che lo ripetesse. Era affascinato e soggiogato dallafama dell'oracolo, e nello stesso tempo se vi era ricorso voleva direche si trovava in un frangente di estrema importanza. E ancora, nonsapeva quando avrebbe ricevuto il responso della profetessa di ApoHo:bastava che, per un motivo qualsiasi, il capretto quella mattina non rab-brividisse, perché l'oracolo postergasse di un mese il responso. Un meseera spesso troppo poco perché il cliente tornasse a casa e intraprendesseun altro viaggio, ma era molto per i sacerdoti, che potevano tranquilla-mente riuscire a carpire loro le informazioni necessarie per un oracolosu misura. Talvolta il cliente non poneva nemmeno la domanda. La Piziaera onniscente. Oppure bene informata.. '

D'altra parte i sacerdoti di Delfi, se dobbiamo ascoltare Esopo,Erodoto e Plutarco, erano imbroglioni e corrotti. Il loro principale in-teresse era quello di salvaguardare la fama di Delfi, una fama che avevafatto dell'oracolo non solo un centro di potere, come abbiamo visto, maanche un fattore di equilibrio nella Grecia e nell'area del Mediterraneo.Fondata sulla fede dei Greci che, come scrive lo storico Eric Dodds,«senza questa fede non potevano 'sopravvivere », l'istituzione dell'ora-colo poteva influenzare profondamente la vita politica e sociale di Greci,Persiani, Macedoni e più oltre anche dei Romani. Tutti si rivolgevanoall'oracolo per chiedere ragguagli e indicazioni. La Pizia suggeriva e

consigliava, ma anche, forse, tramava sulla base di un sistema di infor-mazioni probabilmente raffinatissimo.

« Quando la Pizia sedeva sul tripode - scrive Philp Vandenberg -soltanto di rado ci si oocupava del singolo individuo: ciò veniva lasciatoal ,caso. Quando la Pizia sedeva sul tripode, si faceva soprattutto politica,una politica in cui solo di rado si poteva scorgere qualche attinenza conla religione».

È abbastanza difficile, a distanza di secoli, stabilire se e in che misurale profetesse oracolari avessero genuine oapacità paranormali, che veni-vano poi, evidentemente, utilizzate al servizio del potere. Certamenteuna istituzione come quella deH'oracolo, che assunse un'importanza tantodeterminante nella storia antica, doveva basarsi su qualcosa che andasseoltre la semplice speculazione politica. Per quanto talvolta ambigui, certiresponsi della Pizia suggeriscono l'utilizzazione di misteriose capacitàextrasensoria:li, in qualche modo «attivate» da1'l'uso rituale di droghee di altre tecniche specifiche. D'altra parte questa è so'lo una ipotesi,poiché non sappiamo in realtà se e quanto fossero attendibili i responsimisteriosi della Pizia. In ogni caso l'oracolo soddisfaceva il bisogno dimisticismo dei Greci, sempre in bilico tra un pragmatismo esemplare ela propensione al trascendente; nell'oracolo di Delfi questo pragmatismoe questo mistidsmo si fondevano in un amalgama affascinante.

L'ultima predizione della pitonessa di DeIfi risale al 362 dopo Cristoe fu richiesta dall'imperatore Giuli:ano,che voleva sapere cosa potessefare per risollevare il prestigio dell'oracolo, ormai caduto nell'ombra.Nulla, rispose la Pizia, « ammutolito è il mormorìo dell'acqua ». In ef-fetti solo trenta sei anni dopo le armate di Arcadio lo demolirono. Unaprevisione, è vero, ma una previsione facile. Non occorreva essere profetiper capire che il mondo stava cambiando e che, col difIondersi del Cri-stianesimo, il tempo degli oracoli volgeva rapidamente al termine. L'ul-timo responso della Pizia avrebbe continuato ad aleggiare sugli antichisplendori di Delfi.

Giovanni Iannuzzo

SUMMARY

The Delphic oracle is the most famous of the history, and in parapsychologyit is celebrated for the Croesus «test» about clairvoyant powers of its prophets.But was it a real case of paranormal powers? or other explanations are possible?

Rebuilding the history of this oracle and ancient beliefs, the A. concludesthat in the important questions political and military justifications gave life toresponses.

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