L' intellettualizzazione nell'isteria di angoscia · nell'isteria di angoscia Giuseppe Maffei,...

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L' intellettualizzazione nell'isteria di angoscia Giuseppe Maffei, Lucca II trattamento di alcuni pazienti isterici di angoscia presenta talora difficoltà del tutto particolari: le mo- tivazioni delle difficoltà del trattamento possono cioè essere in connessione alle singole situazioni dei vari soggetti, ma esistono tuttavia anche delle costanti nelle difficolta che si presentano, costanti che, ma- nifestando una sorta di specificità, può essere utile tentare prima di descrivere e poi di comprendere. Se per intellettualizzazione si intende un « processo per cui il soggetto cerca di dare una formulazione concettuale ai propri conflitti ed alle proprie emozio- ni in modo da padroneggiarli » ed all'interno della cura « la preponderanza data al pensiero astratto rispetto all''emergenza ed al riconoscimento degli affetti e dei fantasmi » (Laplanche-Pontalis), si rico- noscerà in ciò che seguirà prevalentemente una par- ticolare forma di intellettualizzazione. Scopo di que- sto lavoro è quello di individuare le caratteristiche particolari dell'intellettualizzazione all'interno di al- cune isterie di angoscia. L'esposizione di un caso vorrà dimostrare I'interesse, su un piano clinico, di 28

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L' intellettualizzazionenell'isteria di angosciaGiuseppe Maffei, Lucca

II trattamento di alcuni pazienti isterici di angosciapresenta talora difficoltà del tutto particolari: le mo-tivazioni delle difficoltà del trattamento possono cioèessere in connessione alle singole situazioni dei varisoggetti, ma esistono tuttavia anche delle costantinelle difficolta che si presentano, costanti che, ma-nifestando una sorta di specificità, può essere utiletentare prima di descrivere e poi di comprendere.Se per intellettualizzazione si intende un « processoper cui il soggetto cerca di dare una formulazioneconcettuale ai propri conflitti ed alle proprie emozio-ni in modo da padroneggiarli » ed all'interno dellacura « la preponderanza data al pensiero astrattorispetto all''emergenza ed al riconoscimento degliaffetti e dei fantasmi » (Laplanche-Pontalis), si rico-noscerà in ciò che seguirà prevalentemente una par-ticolare forma di intellettualizzazione. Scopo di que-sto lavoro è quello di individuare le caratteristicheparticolari dell'intellettualizzazione all'interno di al-cune isterie di angoscia. L'esposizione di un casovorrà dimostrare I'interesse, su un piano clinico, di

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quanto osservato. Come vedremo, nell'esame delcaso avrà particolare interesse il rapporto della pa-ziente colla psicoanalisi, nel senso che, come ve-dremo, per questi pazienti e per la paziente esami-nata in particolare, la psicoanalisi offre una parti-colare possibilità di continue intellettualizzazioni.L'interesse clinico del caso risiede a mio avvisonella dimostrazione di quali intrecci e di quali com-plicazioni esistano nel trattamento dei pazienti peril fatto che il trattamento psicoanalitico è oggi notoe culturalmente accettato. Spero che si dimostreràanche come sia ancora I'ascolto psicoanalitico adavere in se stesso la possibilita di sciogliere il le-game nevrotico tra psicoanalisi e paziente. Sarà piuavanti chiaro perchè è detto psicoanalisi e non psi-coanalista.Potrà sembrare strano che un'esposizione di questogenere trovi accoglienza in una rivista di psicologiaanalitica, nel senso che il materiale esaminato saràun materiale connesso prevalentemente a tematichedi inconscio personale. Non si troveranno riferimentia materiale archetipico. Questo rilievo potrebbe es-sere pienamente giustificato e ne va quindi fornitauna spiegazione esauriente. Nella mia esperienzaho raggiunto la convinzione che il processo di indi-viduazione abbia uno spazio di notevole autonomiae che, una volta liberato possa svolgersi, non dicocerto senza bisogno di un aiuto da parte dello psico-logo analista, ma comunque con una certa indipen-denza. Una volta iniziato, esso tende ad evolverespontaneamente. Quello che attira la mia atten-zione è comunque rappresentato in particolaredalle difficoltà iniziali del processo e dalle distor-sioni che uno pseudosuperamento di queste puòprovocare sul processo successivo. Ritengo per-tanto che le prime fasi necessitino di un'attenzionetutta particolare: un piccolissimo errore iniziale puòdeterminare una distorsione molto grande all'arrivo;per questo motivo ritengo necessario che uno psi-cologo analista possegga una conoscenza appro-fondita anche della psicoanalisi. Solo a queste con-dizioni è possibile liberare veramente il processo di

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evoluzione implicito nella psiche umana. Le fasi suc-cessive sono fasi che meritano pure attenzione, maun interesse particoiare è da me rivolto specie alleprime fasi.Un ulteriore problema deriva dal fatto che questeprime fasi del processo sono descritte in questo ar-ticolo con un Iinguaggio non appartenente alla psi-cologia analitica. Potrebbe cioè stupire ii fatto chesi parli di Inconscio, di lo, di Super-lo, di intelletua-lizzazioni etc. e non di Ombra, Anima, Animus etc.A questo proposito ritengo che per quanto riguardail Iinguaggio junghiano, le fasi descritte nel corsodell'articoio, riguardino il problema dell'Ombra. Mala teoria junghiana non ha costruito fino ad ora de-gii strumenti in grado di descrivere e permetterecosì di elaborare i rapporti tra Iinguaggio, lo ed Om-bra. La terminologia freudiana (ed in questo casolacaniana) può fornire invece gli strumenti per espri-mere quanto osserviamo; la posizione junghiana èquella che permette di sapere che quanto descri-viamo fa parte di un processo più ampio di quelloesaminato da Freud e che ha a che fare con glistrati archetipici della psiche.Dopo queste precisazioni è possibile tornare ad esa-minare quel particolare problema degli isterici diangoscia, che è gia stato definito come una partico-lare forma di inteilettualizzazione. Occorre ora cioèpassare ad esaminare nel dettaglio questo mecca-nismo.II tentativo di base di questi pazienti è quello di riu-scire ad inquadrare il loro vissuto in qualcosa dinoto e che, per ii fatto di essere noto, riesca mo-mentaneamente a tranquillizzarli, tentativo cioè distabilire un legame fra un elemento del loro vissutoed un elemento del linguaggio comune, caratteriz-zato dal fatto che il primo sia perfettamente conte-nuto nel secondo; raggiungono così una sorta ditranquillità quando possono affermare: — Questo (iltal vissuto manifesto) e quello (la tale rappresen-tazione, che essi, prima della scoperta, ritengonolatente) —. Essi sperano di risolvere i loro conflittitraducendo ii linguaggio dei loro sintomi, delle loro

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difficoltà, in un altro linguaggio, come se cioè I'ope-razione da compiere fosse appunto solo una ope-razione di traduzione. Nel caso dell''interpretazionedi un sogno essi giungono a stabilire ad esempioche quello che hanno sognato significa un deter-minato probiema e si tranquillizzano, nella speranzache questa traduzione da un linguaggio ad un altropossa accompagnarsi alla soluzione dei loro pro-blemi. Quello che essi cercano è lo stabilirsi di unarelazione fissa tra significante e significato e vivonola terapia come se questa relazione fissa da loro de-siderata potesse risolvere i loro problemi. Presen-tano poi una particolare sensibilità per le opinioniespresse attraverso la scrittura, laddove essi cre-dono di trovarsi di fronte ad una verità ancora piuverità delle verità parlate. Si creano così delle di-pendenze molto forti rispetto a questi pareri scritti(i giornali ad es.) cui questi pazienti cercano dispe-ratamente di conformarsi.E' invece noto come il punto di giunzione tra signifi-cante e significato non possa essere che un puntomitico e come pertanto la possibile traduzione daun linguaggio ad un altro non sia Io scopo che laprassi psicoanalitica si pone. Questa enfasi sul-I'aspetto «traduzione » del lavoro anaiitico snaturaanzi profondamente la ricerca analitica se non altronel senso di far sospettare la presenza di una veritàall'interno dell'uomo, che si perderebbe nei vari sin-tomi manifesti e che sarebbe compito del lavoro ana-iitico riscoprire ed evidenziare. II problema che ciriguarda è quello della genesi dell'interesse diqueste persone per Io stabilirsi di una relazionefissa tra S ed s e la loro incapacità a sopportare ilfatto che invece s è inconoscibile e che cio che èconoscibile è solo una serie di ri-mandi da S adS.La prima motivazione è la seguente: questi pazientinascondono talora a loro stessi delle responsabilitàin episodi fondamentali della propria vita. Hanno, adesempio, compiuto degli errori grossolani ed evi-denti a tutti coloro che hanno con loro una qual-siasi forma di rapporto. Sia che abbiano sbagliato

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matrimonio o che invece abbiano sbagliato profes-sione, si tratta comunque in genere di persone che,pur sentendosi spinte verso un certo tipo di vita, nehanno invece realizzato un altro diverso e spessoaddirittura contropolare. Questo errore grossolano èla loro corresponsabilità in questo errore non sonoil piu delle volte del tutto sconosciuti alla loro co-scienza, ed essi li riferiscono così come un eventoche ormai è divenuto irrimediabile e che pertanto literrà legati per tutta la vita. Spesso, dopo aver par-lato della drammaticità per loro di questi eventi, liraccontano successivamente come se non fosseropiu importanti per loro o per meglio dire dando I'im-pressione di esserne affettivamente del tutto distac-cati. A questo livello giocano evidentemente le con-seguenze classiche del meccanismo della elusione,studiate da Laing e descritte come modalità del vi-vere « come se ». Questi soggetti vivono cioe « comese » avessero compiuto un errore e per questo mo-tivo, per il distacco creato dal meccanismo dellaelusione, non possono assolutamente correggerlo. IIfatto però che I'errore compiuto sia così marcato,così grossolano ed evidente, li spinge ad una falsaricerca del perchè, di un perchè preciso e defini-tivo. Essi compensano così il senso di colpa cheessi avvertono nei propri stessi confronti per il fattodi essersi così decisamente e gravemente traditi,attraverso una falsa ricerca di una motivazione pre-cisa, di un significato che possa rendere ragione, inmodo più complicato di quello evidente, della loromalattia. In altre parole la disperata ricerca che essifanno per un poter pensare all'esistenza di un si-gnificato fisso per i loro significanti, appare in fon-do come la caricatura di una ricerca già compiutae che ha gia dato i suoi risultati, ma di cui i soggettistessi non sono stati abili a trarre le dovute e sco-mode conseguenze.La seconda motivazione e piu complessa ed interes-sante riguarda il fatto del designare le cose at-traverso le parole. Per questi soggetti I'atto delladesignazione delle cose attraverso le parole è unatto che passa dall'essere funzionale all'essere so-

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stanziale per cui chi da una parola ad una cosa èda loro percepito come « creatore ». In realtà I'attodi designare è un atto dicevo funzionale; se do ilnome di Laura ad una bambina, il fatto di darle que-sto nome rende possibile la comunicazione con lei,permette a lei di riconoscersi e così via, ma noncambia la sostanza della bambina; introduce la bam-bina nell'ordine simbolico e compie, attraverso que-sta introduzione un'operazione fondamentale allasua appartenenza al mondo degli altri, ma non ag-giunge niente alla sostanza di Laura se non il fattodi creare la possibilità di essere indicata ed espres-sa dal proprio nome. Non sono naturalmente ingrado di esaminare questo probelma a livello filo-sofico, ma, a livello psicologico esso mi sembra ab-bastanza chiaro: la bambina senza il nome Laura èdiversa dalla bambina chiamata Laura e quindi qual-cosa è cambiato in lei dopoche è divenuta Laura,ma la parola Laura non ha aggiunto niente alla bam-bina se non nel senso di qualificarla e di introdurlaappunto nel mondo del simbolico. II problema filo-sofico mi sembra risiedere nel fatto se una qualifi-cazione di questo genere determini un cambiamentonella sostanza di Laura, ma è un livello che perquanto è il problema attuale, non interessa. Quelloche interessa e che psicologicamente è molto im-portante è il fatto che la bambina che si chiamaLaura non « è » Laura e se si dice nel linguaggiocomune che la bambina « è » Laura si coglie pro-babilmente un aspetto profondo (la bambina può es-sere divenuta quello che i genitori attraverso il nomedi Laura le hanno inconsciamente trasmesso) ma siintende anche in genere piu semplicemente che labambina si chiama Laura. E' molto difficile dividereil problema della funzione che un nome proprio hasullo sviluppo di un bambino e per il quale si puòarrivare ad identificazioni molto profonde con figuread esempio di nonni, da quello del semplice inse-rimento nel mondo simbolico per il quale è naturaleper tutti ammettere che questo aspetto (il nome)non esaurisce la totalità del soggetto. Solo a livellodel delirio, dice Demoulin, ci si puo credere « Na-

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poleone». Napoleone Bonaparte non ha mai cre-duto di essere « Napoleone » e se lo avesse cre-duto, aggiungerei, non avrebbe potuto riferirsi chead un suo doppio, il quale strutturalmente nonavrebbe così potuto esprimere tutta la sua sogget-tivitàII fatto che a certi bambini venga dato un sopran-nome indica d'altro lato chiaramente che la realtàdel bambino ha un potere dirompente sul nome chela stessa famiglia gli ha dato. Non tutta la realtà delbambino può essere contenuta nel nome e la suarealtà straripa così nel soprannome. Si può quindiconcludere che I'atto del dare un nome è un attomolto importante, che crea un or-dine diverso daquello che esisterebbe se i nomi non esistesseroma che non esaurisce comunque tutta la realtà.Per questi pazienti invece I'ordine creato dalle pa-role è un ordine completamente nuovo che non èappunto funzionale al vissuto, ma lo sostituisce com-pletamente. L'atto del dare un nome è un atto vis-suto come completamente creativo e capace per-tanto di suscitare tutti quei sentimenti che la pos-sibilita di creare, percepita negli altri, suscita inchiunque.Ma perchè questo accada occorre che questi sog-getti abbiano in qualche modo vissuto una radicaledifferenza dell'ordine delle parole da quello del vis-suto. Ed a mio avviso questo è cio che può esserefacilmente riscontrato in molte delle famiglie deisoggetti esaminati. Accade cioè che le parole pos-sano essere usate non per esprimere, ma per ma-scherare o alterare la realtà dei vissuti. Si può fareun esempio clinico molto semplice: si può dire adun bambino piccolo che la sua fame vorace è unafame da porco, « mangi come un porco ». La frasenon coglie magari affatto la fame del ragazzo cheè fame da piccolo d'uomo e non da porco. II porcoè un fantasma della mente della madre che pro-nuncia la frase. Si da così una situazione del ge-nere: — fame di bambino, indicata dalla frase mangicome un porco indicante a sua volta un fantasma

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materno. La frase fame da porco non solo esprimela fame del bambino, ma anche la altera e la fal-sifica e questo dipende dal tono con cui la fraseviene pronunciata.La possibilita di falsificare il vissuto è una delle pos-sibilita di funzionamento del linguaggio; credo chechi usa questi procedimenti di falsificazione valo-rizzi, dall'algoritmo S/s, specie la barra separatrice:per il fatto cioè che questa barra esiste, essa puòessere usata. Questa osservazione dimostrerebbefra I'altro che I'ordine del linguaggio è soggettoall'ordine dell'inconscio.Esistono cos' delle famiglie in cui il linguaggio èprevalentemente usato per falsificare il vissuto e nonper esprimerlo. Un aspetto parziale del linguaggiosi è totalizzato ed è divenuto imperante. Nello scar-to da ogni significante ad un altro, il primo non èsoltanto espresso dal secondo, ma perde anchequalcosa; I'osservazione è evidente a livello dellametafora; se si dice: tu sei un leone, la parola leoneesprime bene una parte della personalità, ma altrerestano inespresse. In questo senso il significanteleone non solo esprime, ma anche falsifica. E' suquesta possibile falsificazione che reggono pertantomolti equilibri familiari nevrotici. Esistono cioè fa-miglie in cui questa possibilità di falsificare attra-verso le parole il vissuto diviene pressochè un si-stema e le parole che apparentemente indicano unsignificato, ne indicano in realtà un altro. Dire adun bambino: — Ti voglio bene —, equivale spessoa dire che non gli si vuole bene, dire che un bam-bino è educato, assume il senso di dire che il bam-bino e stupido e così via. Se si vede la vita qualesi presenta agli occhi di questo bambino, egli no-terà appunto questa continua falsificazione attra-verso le parole e potrà invidiare profondamente chipossiede il potere e le capacità della stessa falsifi-cazione. Egli potrà pensare che il massimo di ciòche la vita può offrire non possa essere rappresen-tato che dalla possibilita di creare attraverso il lin-guaggio un mondo neoformato di cui potere esserepadrone assoluto. il fallo può così essere spostato

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sul linguaggio, su questa sfera particolare del lin-guaggio ed i pazienti possono così vivere all'eternaricerca del suo possesso. L'errore stesso da lorocompiuto e di cui è stato accennato al primo puntoè spesso un errore che ha a che fare con questosistema descritto. Spesso uno di questi pazienti hasbagliato la scelta della professione proprio perchènon ha ben valutato le conseguenze che gliene sa-rebbero derivate, a causa del fatto che la falsifi-cazione sistematica del proprio vissuto gli ha fattosperare che sarebbe stato capace di sopportare co-munque una situazione appunto falsificata. Unapaziente, non quella che sarà poi esaminata piùattentamente, aveva ad esempio una netta pre-ferenza per gli studi letterari e filosofici; era moltobrava, apprezzata dai suoi professori e da loro sti-molata verso una professione che tenesse conto diqueste sue doti naturali. Niente le avrebbe potutoimpedire di dedicarsi a studi di questo genere. Almomento della decisione pero essa aveva deciso dirimanere nell'ambito delle professioni più aderentiallo spirito della famiglia da cui originava ed avevacosì preferito iscriversi e poi terminare economia ecommercio. I problemi, le motivazioni di questascelta furono naturalmente molto più complessi diquanto potrebbe apparire all'esame dal particolarepunto di vista qui assunto: ma, volendo invece ri-manere aderenti a questo, l'errore compiuto avevadelle analogie con la falsificazione sistematica deivari vissuti. Era solo questa falsificazione che po-teva rendere ragione dell'indifferenza ed anche delfavore con cui fu accolta la sua decisione di trasfor-mare un desiderio di occuparsi di letteratura in undesiderio di occuparsi di economia e commercio.Quando questi soggetti incontrano la psicoanalisiessi ritengono spesso di avere scoperto dove risiedeil segreto perchp essi percepiscono immediatamen-te la psicoanalisi stessa come un sistema di falsifi-cazione particolarmente sottile ed efficace. Vista daquesto angolo visuale, da questa particolare strut-tura psichica, la psicoanalisi non potrebbe d'al-tronde apparire in modo diverso: nella visione oggi

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più comune la psicoanalisi appare infatti come unsistema capace di ricondurre ogni manifesto ad unlatente, di dare cioè a molteplici vissuti un nomediverso da quello immediatamente percepibile. Sipotrebbe discutere molto su questa particolare vi-sione della psicoanalisi e credo che oggi nessunosi sentirebbe di accreditare a cuor leggero questomodo di intenderla. Ma naturalmente anche se sivolesse accreditare questa concezione generale dellapsicoanalisi è evidente a tutti che si tratterebbeeventualmente di dare il vero nome a ciò che è ma-scherato. L'attività di dare il vero nome è invececome pervertita in questi soggetti per i quali ap-punto dare il vero nome ai propri vissuti è divenutoquanto di piu difficile esista. Se essi trovassero unnome soddisfacente con cui indicare i loro vissuti,le loro parole sarebbero subito a contatto con que-sti ed essi dovrebbero compiere un completo rivol-gimento del loro modo di vivere, rivolgimento do-loroso come tutti i rivolgimenti psicologici. D'altrolato chiamare le cose col loro vero nome, diretta-mente, ha per loro qualcosa di derisorio per il fattoche è in fondo un'attivita abbastanza semplice ri-spetto a quello che è stata prima indicata come falsi-ficatoria. E' cioe molto piu difficile falsificare che indi-care direttamente col loro nome i vissuti provati equesti soggetti sono particolarmente affascinati dallafacoltà di falsificazione posseduta dai loro genitorisul piano del linguaggio.Quando essi iniziano la psicoanalisi essi sono natu-ralmente ben sinceri nel loro desiderio di guarire, iloro sintomi sono ben fastidiosi, per cui essi si im-pegnano nel lavoro con molta tenacia e decisione.Ma nonostante questa loro buona volontà è moltodifficile che essi non riescano a passare seduta perseduta a falsificare i loro problemi e ad essere par-ticolarmente attenti al « trucco » che il terapeuta aloro avviso conoscerebbe. Essi non riescono a ca-pire che il terapeuta ha la sola capacità di mante-nere una attenzione liberamente fluttuante e di in-terpretare all'interno di questa e pensano che esistacome una chiave di codice, il possesso della quale

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svelerebbe il mistero del terapeuta e li guarirebbe.L'esperienza clinica piu interessante è che essihanno talora alcune sedute durante le quali quelloche ho descritto si capovolge ed essi riescono aduscire dall'atmosfera del « come se » ed a non fal-sificare affatto il loro vissuto. La causa di questebuone sedute mi sfugge: ho avuto talora la fugaceimpressione che queste sedute « buone » abbianola funzione di non permettere la fine dell'analisi,che, senza di esse, verrebbe fuori, logicamente esemplicemente. Di fronte a questa eventualità questipazienti non sono pronti e reagiscono con alcunesedute che dimostrano loro ed anche al terapeuta,che esistono ancora possibilità di guarigione: am-bedue reagiscono a questo con interesse aumen-tato. Durante queste sedute il paziente è completa-mente collaborante nella ricerca e nel desiderio diun suo mutamento per cui sembrerebbe che la so-luzione del suo problema sia a portata di mano. Eglispinge allora I'analisi fino ad un certo punto maquesto punto mai lo supera e rimane, così, semprecome in un al di qua della guarigione. La guarigioneconsisterebbe forse nella piena presa di coscienzache il «trucco » non esiste e che il vero trucco èquello delle sue falsificazioni. Ma questo passo nonviene mai compiuto. Questi pazienti riescono fraI'altro ad impadronirsi di ogni strumento che vengaloro offerto, ma, una volta impadronitesene, lo usa-no nella direzione da loro voluta. Si potrebbe espri-mere questa osservazione dicendo che ogni meta-linguaggio che venga loro offerto perchè li aiuti acomprendere il piano del linguaggio ove si svilup-pano i loro sintomi, diviene subito anch'egli un lin-guaggio di cui essi non riescono a liberarsi e cheperde cioè subito di valore terapeutico. Essi nonhanno cioè ben presente il fatto che ogni linguaggiopuò suscitare un metalinguaggio e che il «trucco »consiste nel fatto nudo e crudo che è stato ora dettoe che cioè il metalinguaggio serve alla compren-sione del linguaggio e che se diviene lui stesso lin-guaggio, crea con questa trasformazione, le pre-messe, a sua volta, per un altro metalinguaggio.

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Diversi anni fa ebbi in terapia alcuni pazienti agora-fobici che presentavano questo problema, che ioperò allora non conoscevo o per meglio dire concui non mi ero ancora confrontato. Ritenevo d'al-tronde che un «trucco » esistesse e non avevo al-cuna difficoltà a rivelarlo ai pazienti; di fronte alleloro domande relative ad una interpretazione di unsogno, cercavo il più possibile di essere chiaro e liaiutavo a diventare padroni di quello strumento cheanch'io credevo di possedere. In quel periodo fraI'altro credevo di piu alla possibilità di un'interpre-tazione «traduttiva» e non mi era così assoluta-mente difficile rispondere alla loro richiesta nevro-tica. Alcuni di questi pazienti cessarono di presen-tare dei sintomi molto violenti che avevano, inizia-rono una vita piu adeguata alle loro capacità umane,alle loro possibilità. II sintomo agorafobico era inalcuni del tutto scomparso. Ritenevo che questi casifossero risolti nel miglior modo possibile e forse, difronte al desiderio di descrivere un caso, ne avreiparlato come di pazienti che avevano svolto unlungo cammino psicologico (d'altra parte questolungo cammino era anche una ben precisa realtà edi questo aspetto testimoniano alcuni lavori che al-lora ho scritto sul problema delle fobie). Con questipazienti ho in genere mantenuto un buon rapportoed avuto talora occasione, dopo la interruzione del-I'analisi, di rapporti sporadici, durante i quali eronaturalmente molto curioso di vedere come anda-vano realmente le cose e di comprendere se il mi-glioramento era da considerarsi stabile. Su questopunto non ho alcun dubbio: molti dei miglioramentiottenuti sono da considerarsi stabili. II problema cheaffiorava era piuttosto diverso: era cioè che questipazienti mantenevano spesso il loro equilibrio aprezzo di una sorta di fedeltà a quanto I'analisi avevaevidenziato. Questo vale, credo, per tutti meno cheper un caso in cui la fine dell'analisi fu determinatada uno stato di angoscia che rese necessario unintervento psicofarmacologico di un collega psichia-tra. In questo caso, la cui descrizione sarebbe moltointeressante, ma che è impossibile a causa di pro-

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blemi di segreto professionale, ho avuto I'impres-sione che il grave stato ansioso abbia permesso unaelaborazione a livello profondo di quanto I'analisiaveva dimostrato e che quindi abbia evitato la pos-sibilita che prima descrivevo. Negli altri casi invecequesti pazienti possedevano come chiave interpre-tativa del reale quello che I'analisi aveva stabilitoed era su questo possesso che essi basavano il loroequilibrio. Non erano diventati « normali » nel sensoche avevano acquistato una possibilità di rapportocontinuo aperto col loro inconscio, ma erano dive-nuti normali nel senso della normalita psicoanali-tica. Avevano sostituito alla nevrosi conclamata unanevrosi da presunta normalità psicoanalitica. Essiraggiungevano in questo modo, con i loro problemi,quelli degli analisti professionisti, per i quali, spesso,I'appartenenza alla casta psicoanalitica vuol signifi-care una guarigione di questo tipo. Il problema, I'in-ganno in cui erano caduti non era cioè un ingannospecifico del loro psichismo, ma era tipico anche dialtri livelli. La scoperta sempre più chiara di questomeccanismo era confermata da diversi fatti: una os-servazione è fondamentale. Quando si attiva unprocesso di individuazione, il processo stesso as-sume una sorta di autonomia rispetto allo stessosoggetto ed egli si trova a maturare, malgrè soi, inmodo spesso del tutto segreto. A mio avviso la veraguarigione, se di vera guarigione si puo parlare,consiste nello sviluppo di una possibilità maturativaimplicita nella psiche umana, la quale puo esseredisattivata a causa dei vari meccanismi psicopato-logici e può essere attivata da varie esperienze fracui quella psicoanalitica. II processo che così si svi-luppa ha una sorta di autonomia rispetto al conscioe questi puo provare una resistenza notevole ad ab-bandonarsi a questo processo, ma una volta che loha sperimentato veramente ha anche notevoli diffi-colta ad opporsi ad ulteriori approfondimenti matu-rativi. In un processo di guarigione l'Io apprendeche si puo fidare del proprio profondo e puo rista-bilire con questo una relazione appunto dialettica. Inquesto senso la mia posizione è chiaramente jun-

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ghiana anche se mi sembra di capire che alcuniconcetti freudiani tipo quello dell'elaborazione, indi-chino fatti simili a quello descritto. Ora i pazientidi cui sopra sono invece pazienti che, dopo l'analisi,vivono ad un livello migliore di quello precedente,hanno cioè fatto un cambiamento, sono mutati e siritrovano pertanto ben piu felici di prima, ma nonhanno fatto il passo successivo che è quello diamare il mutamento stesso e di comprendere ap-punto che la vita psicologica ha bisogno per la suanormalità di essere aperta anche al mutamento.Queste ultime frasi colorano il problema di una tintaun po' particolare di etica psicologica e sono per-tanto da considerare con particolare cautela. Maciò che invece deve essere considerato senza cau-tela è il fatto osservabile che questi pazienti ave-vano appreso quello che loro ritenevano la norma-lità psicoanalitica e vi restavano adesi come allaverità. Questa osservazione era un dato clinico dicui la prassi successiva non poteva non tenereconto. Le analisi di isterici di angoscia successive aquesta acquisizione divennero così analisi più diffi-cili rispetto a come erano state prima ed a livello diattenzione fluttuante diverse e più attente al pro-blema del «trucco» e dell'invidia che questi pa-zienti manifestavano nei miei confronti per il fattoche ritenevano che io avessi il possesso di unachiave assoluta di interpretazione. D'altro canto I'at-tenzione che porgevo a questo problema non po-teva inizialmente che aumentare questa loro impres-sione e la loro invidia. Mi è difficile valutare oggiquello che è cambiato in generale nei risultati diquesto nuovo atteggiamento, anche perchè sono an-cora dentro questa nuova esperienza e non ho an-cora la possibilità di darne una teoria perfettamenteadeguata. I casi singoli in cui sono impegnato miinteressano ora ad un livello personaie e non sonoin grado di astrarre. Vorrei però comunicare un'espe-rienza che mi sembra potere essere interessante eche ha condotto ad una evoluzione chiara e po-sitiva. Si tratta di una paziente gravementeagorafobica

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che non riusciva a muoversi se non accompagnatada qualcuno dei suoi familiari. Possedeva e pos-siede un territorio di azione libero intorno alla propria abitazione ed il raggio di azione libera ha oscl-lato nei 5 anni di terapia con varie alternative. Lemotivazioni addotte per rendere ragione della suaagorafobia riguardano il fatto che da sola essa pre-senterebbe delle crisi durante le quali non saprebbepiù chi lei sia ed in particolare non saprebbe direil proprio nome e cognome, li dimenticherebbe epertanto chi si trovasse alla presenza della crisi, nonpotrebbe riaccompagnarla al suo domicilio. Quan-do aveva presentato delle crisi di angoscia, nonaveva in effetti mai raggiunto quel punto di rottura,di cui lei temeva prevalentemente I'al di la, ma lecrisi erano talmente dolorose che determinavanosuccessivamente per un lungo periodo una condottadi evitamento assoluto da situazioni simili a quelleche avrebbero potuto scatenare la crisi. II sintomopiù grave era comunque rappresentato dal fatto chequanto lei temeva con terrore, la perdita della pro-pria identità, non era qualcosa che sarebbe potutaaccadere solo all'apice delle crisi di angoscia mache era invece presente durante tutto il corso dellasua vita psicologica. Diceva infatti di non sentirsimai se stessa e questo prevalentemente a livello delsuo corpo. Aveva un corpo che tendeva continua-mente a nascondere perchè lo avvertiva da un latoinvadente, troppo pesante e dall'altro brutto e noncapace di destare una qualche attenzione non solosul piano erotico, quanto su quello piu propriamenteestetico. II fatto di non sentirsi un corpo piacevole,di non averlo libidinizzato faceva sì che cercasseuna continua compensazione a questa sua situazio-ne psicologica attraverso la creazione di un mondofantastico che non si esauriva però solo a livello difantasie tipo realizzazione di desideri che pure eranopresenti, ma attraverso fantasie-bugie cui gli altri inqualche modo aderivano. L'esempio più evidente diqueste fantasie-bugie era quanto avveniva in analisidove lei presentava dei problemi cui inconsciamentesimulava un interesse che invece non le determina-

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vano. Poteva darsi che parlasse ad esempio di unproblema dei genitori, ma, mano a mano che ne par-lava, il problema le si svuotava di interesse e finivaper capire che non era stato per lei un vero pro-blema e che si era ingannata. Bastava cioè che po-nesse attenzione ad un qualsiasi problema che que-sto svaniva come neve al sole, per il fatto stesso diaverne parlato. Essa era abilissima cioè nella auto-falsificazione dei problemi, ma poi si trovava conniente di conclusivo. Solo raramente era capace didirigere I'attenzione verso nuclei che si rivelavanointeressanti ed a questi momenti seguiva poi semprequalche progresso.II nucleo profondo fondamentale era rappresentatoprevalentemente da una tematica di castrazione.Questa tematica di castrazione si manifestava in unsentire di avere subito una castrazione tale, per cuiil suo corpo non era assolutamente adeguato allasua immagine ideale, aveva appunto subito una ca-strazione e non era in grado di suscitare interesse.Questi sentimenti di castrazione interessavano spe-cie gli arti inferiori che lei sentiva come « stecchi »e che non le fornivano una possibilità di stabile si-curezza. II suo camminare era molto tipico: si avevaI'impressione che la paziente tendesse a non far ve-dere le gambe, come se le nascondesse continua-mente alla vista altrui. Tanto erano disinvestite lesue gambe che spesso si aveva I'impressione chelei potesse inciampare, vacillare ed in effetti vacil-lava ed inciampava. Questa relazione alle sue gam-be presentava anche un aspetto contro-polare, cioèessa sperava che destassero molta attenzione edinteresse negli altri; c’èra come un mito a livellodell'interesse che gli arti inferiori potevano eserci-tare a livello degli altri, specie degli uomini, comese una donna che possedesse queste gambe miti-che potesse in qualche modo possedere quel fallodi cui appunto era questione per lei. Tutti i suoi di-scorsi ruotavano intorno a questo problema checompariva in tutte le direzioni in cui lei indirizzasse,riuscisse ad indirizzare il suo interesse. Lei era comein una situazione del genere: era stata da bambina

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capace di avere tutta I'attenzione dei genitori su dise, aveva quasi ritenuto di essere portatrice di fallo;quando aveva vissuto la castrazione era stata inca-pace a superaria, non aveva nè rifiutato nè accet-tato, quindi non aveva mantenuto nè una posizionedi bellezza pre-castrazione nè era passata ad unasituazione di bellezza post-castrazione. In genere hoosservato che una donna può sentirsi bella ed es-sere sicura di se da questo punto di vista solo sela belliezza è percepibile ancora dopo I'accettazionedella castrazione simbolica. Questa paziente si man-teneva come su una posizione intermedia, nè avevarespinto, nè aveva accettato. Un amico poteva dauna parte farle sentire di non essere una castrata,dali'altra invece farle misurare fino in fondo la suapochezza. Questo valeva su tutti i piani ed a quantola paziente riferiva, questa tematica investiva anchetutta la famiglia, in quanto nessuno in casa avevaidee ben precise e chiare relative al di lei valore,ma lei restava per tutti un enigma che non si pre-stava ad una facile comprensione. Per cui o eramolto stimata o era molto sottostimata, a secondadelle circostanze, ma mai, o difficilmente, stimataper quello che lei era. II suo modo di deambulareera molto significativo anche da questo punto divista, sospeso come appariva tra un non camminare,un cadere, un traballare ed un incedere da regina.Avevano molta importanza in questa situazione an-che tematiche anali in quanto tutto cio che aveva ache fare con la zona anale e con i derivati delle at-tività anali era violentemente inibito e controinve-stito da disgusto.A livello di rimemorazione erano emersi dei ricordi(o delle fantasie?) di approcci sessuali, di tentatividi seduzione in età molto precoce. L'attivita ses-suale dei seduttori era stata percepita in modo mol-to traumatico e nei primi tempi dell'analisi essa noncomprendeva affatto come si potesse determinareuna tale aberrazione, che lei, piuttosto comprensiva,non riusciva assolutamente a giustificare. Tutto que-sto materiale emergeva con difficoltà e con notevoliinibizioni. Non si determinavano però in seguito a

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questo materiale che scarsissime evoluzioni sinto-matologiche, di cui lei d'altronde non amava parlare.Non si modificava d'altra parte assolutamente il mo-do con cui lei si muoveva: durante la seduta il suocorpo si perdeva dietro la spalliiera del lettino e leiparlava solo come una «voce ». E' molto difficilerendere questo suo sintomo in modo preciso: quan-do un paziente va sul lettino, esso non scompare,di lui si ascolta solo la voce, ma questa è accompa-gnata dalla presenza di chi parla, sia attraverso ru-mori non vocali, intestinali, grattamenti, rimuginii,sia attraverso particolari qualità dei silenzi, che te-stimoniano appunto diverse possibilità di presenza.Questa paziente invece scompariva dal lettino, eracome se non ci fosse; si preoccupava di non pog-giare i piedi calzati sul piano del lettino ed anchequesto dava I'impressione che lei fosse lì per caso,quasi non ci fosse. II suo corpo non posava sulpiano del letto, era come sospeso. Una volta disin-vestito il corpo, solo dopo qualche minuto iniziavaa parlare con una voce che era appunto come unavoce disincarnata e senza musicalità, tutta centratacioè sui contenuti del discorso e senza spazio permodulazioni indicanti una qualche affettività. Allafine della seduta si alzava e scompariva, non la-sciava cioè nessuna traccia di se, si cancellava, riu-sciva come a dissolversi in un nulla, nello stessonulla da cui era provenuta. I gesti, le parole, il corn-portamento sia all'ingresso che all'uscita erano sem-pre i medesimi e come stereotipati. Tra i variproblemi che riferiva e su cui si dibatteva ce ne erauno che riguardava anche il linguaggio. Essa avevadurante il giorno molte fantasie ad occhi aperti che siesaurivano nella soddisfazione allucinatoria deldesiderio e cessavano di esistere quando lei voleva.Accanto a queste fantasie chiaramente percepitecome un gioco, esistevano delle identificazioniprofonde cui la paziente in qualche modo aderivacon convinzione. Si immaginava cioè e finiva percredere che certi sentimenti, certi comportamentipotessero risolvere i suoi problemi e finiva peraderire a certe immagini di se che erano invece

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palesemente false. II vuoto della sua vita, il fattocioè che la sua vita istintiva fosse così inibita facevasi che appena le si affacciavano delle possibilità diriconoscersi in qualche desiderio, lei iniziasse a pen-sare che la soluzione stesse a quel livello e finivacosì per crederci. L'episodio piu tipico era rappre-sentato da un fatto avvenuto all'eta di 6-7 anni, dalei raccontato e sulla cui corrispondenza ad un av-venimento reale non è quindi possibile dare un giu-dizio preciso. Si trattò di un incidente stradale du-rante il quale, per una sua distrazione, fu investitada un autocarro ed ebbe un piede colpito dalla ruo-ta di questo. Lei ricorda di non avere ben ricordatoallora la meccanica dell'incidente e di avere quindidato una versione del tutto soggettiva del fatto, fi-nendo poi per credere anche lei che la meccanicadel fatto fosse stata come lei aveva finito per rac-contare. Aveva falsificato in qualche modo il rac-conto dell'avvenimento e poi non aveva potuto farealtro che aderire alla sua falsificazione. In un primomomento fu esaminato in analisi il fatto in se e sene evidenziò il significato profondo che aveva avutoper lei; lei aveva prevalentemente vissuto l'episodiocome la realizzazione di un rapporto sessuale vio-lento e durante il quale lei era stata del tutto passivasubendo una castrazione traumatica (abbiamo vistoi sintomi relativi agli arti inferiori). Di fronte alladrammaticità dei fantasmi che I'incidente aveva evo-cato, lei avrebbe dovuto dare dell'episodio una ver-sione « strana » agli occhi dei familiari e certo nonsarebbe stata compresa. Probabilmente la versionereale dei fatti sarebbe stata troppo vicina ai fan-tasmi per una sorta di corto circuito fra reale edimmaginario e così probabilmente lei preferì rac-contare una storia del tutto inventata e falsificatarispetto alla realtà. E' sempre d'altronde rimasto ildubbio se possano avere agito in questo episodiodelle dinamiche di tipo auto-lesivo. Successivamen-te lo stesso episodio potè essere interpretato al li-vello che poi vedremo in particolare e che è giastato accennato in generale. La sua vita era costel-

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lata da episodi di questo tipo e la struttura di fondoappariva sempre la stessa.L'evocazione di questi vari episodi, la loro interpre-tazione occuparono per lungo tempo le ore di ana-lisi ma successivamente I'attenzione si diresse ver-so il fatto che questa stessa falsificazione investivaI'analisi ed il racconto che lei faceva dei problemiche la riguardavano. Appena aveva raccontato unepisodio, aveva I'impressione che quanto aveva rac-contato non fosse autentico e doveva quindi o cam-biare argomento o dare versioni diverse, che, peril fatto stesso di essere dette divenivano inauten-tiche. Quanto avveniva a livello del detto avvenivaanche su quello dell'ascoltato. Ogni interpretazioneche lei ascoltava diveniva così qualcosa di astrattoe di logico. In qualche momento le parole udite con-servavano una loro efficacia, potevano «toccarla»ma poco dopo lei iniziava a perderne il senso ed aconservarne solo il guscio, la forma, I'aspetto piùesterno e superficiale. La sua attenzione fu per unperiodo rivolta all'eventuale senso sessuale chequesta tematica poteva evocare (la parola, la co-municazione come simboli di un rapporto sessuale)ma anche I'attenzione a questo livello non riuscivaa sbloccare il suo vissuto corporeo, rimaneva pre-sente in analisi in modo assente e sotto forma di« scomparsa ». Fu così che di fronte all'insuccessodell'analisi di tutti questi temi (è evidente natural-mente che I'analisi di quanto detto era necessariae non sarebbe stato possibile non effettuarla) I'at-tenzione si volse verso il meccanismo stesso dellafalsificazione che lei continuamente effettuava e lapaziente colse una sostanziale differenza fra la so-lidità del suo corpo e la leggerezza della sfera dellafalsificazione. Avvenne cioè una presa di coscienzapressochè contemporanea di due temi: il rapportodella paziente alla psicoanalisi, la falsificazione chelei operava sul suo vissuto traducendolo in terminipsicoanalitici e la stabilità del suo corpo. Essa sirese conto cioè innanzitutto del fatto che la sua re-lazione analitica non era solo la relazione che avevastabilito col terapeuta, ma anche e prevalentemente

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con la psicoanalisi, vissuta come un sistema moltopotente di falsificazione di cui I'analista non era infondo che uno strumento.A questa analisi corrispose la presa di coscienzadella stabilità e continuità del suo corpo e la costi-tuzione successiva di una parola che ora usciva dalsuo corpo: essa scopri cioè che le parole potevanonon solo falsificare, ma anche esprimere ed iniziòappunto ad esprimersi con un netto miglioramentodella sua sintomatologia. Possiamo esaminare conmaggiore ampiezza i vari aspetti del problema: in-fluenzata da varie letture essa aveva dato impor-tanza al rapporto col terapeuta ed aveva mantenutosotto la sua attenzione questo aspetto transferale.Ma, mano a mano che I'attenzione fu rivolta coscien-temente verso il meccanismo stesso attraverso cuiavveniva la falsificazione del vissuto, ed in partico-lare la grande potenza che quella possibilità di fal-sificazione dimostrava, a fianco del terapeuta com-pariva anche la presenza della psicoanalisi in quantotale. Era la psicoanalisi in quanto tale che esistevacome sistema molto affascinante ed il terapeuta neera uno strumento. La psicoanalisi era alle spalledel terapeuta e I'invidia esisteva non solo verso ilterapeuta ma anche verso lo stesso sistema psico-analitico e naturalmente al rapporto fra i due. Quan-do lei parlava od ascoltava « veramente » non solorischiava un rapporto personale con I'analista, marischiava anche che il suo vissuto espresso venissemal compreso e tradito. Sul piano dell'ascolto il pe-ricolo era di essere troppo invasa dal sistema inter-pretativo. Dietro a tutto stava il suo rapporto col si-stema interpretativo.Nel falsificare I'incidente, nel dare cioè una versionemodificata rispetto alla realtà, lei aveva anche com-piuto una sorta di identificazione all'aggressore:come lei era stata travisata, così lei travisava, comelei aveva subito falsificazioni, così lei diveniva pa-drona di questo meccanismo. II fallo era cioè proiet-tato sul meccanismo falsificatore; chi lo possedevafalsificava; chi non lo possedeva era sporco, schi-foso, banale (v. i vissuti relativi alla casta psicoana-

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litica). Oppure il meccanismo falsificatore era proiet-tato sul fallo ed il fallo, la distinzione dei sessi, nonera così potuto divenire un principio ordinatore dellavita, ma rappresentava invece di nuovo la falsifi-cazione dell'ordine della vita. E' molto difficile sce-gliere fra queste due possibilità, sull'esame di que-sto caso, credo che sarebbe molto utile poter diri-mere questo problema, ma, clinicamente, non esi-stono elementi decisivi a favore dell'una o dell'altrapossibilità. Contemporaneamente alla presa di co-scienza di questo problema, la paziente andava in-vece scoprendo la stabilità e la resistenza alla fal-sificazione del suo corpo il quale aveva ad esempiofame indipendentemente da qualsiasi falsificazione.II primo impulso autentico di cui la paziente iniziòa parlare fu appunto la fame e molte sedute furonoda lei dedicate a questo fatto: parlò del suo piacerea cucinare e della sua bravura da questo punto divista. Ed all'analisi di questi fatti corrispose un nettomiglioramento della sintomatologia ed in particolaredel suo corpo che divenne finalmente presente edella deambulazione che cessò di essere «trabal-lante ».II processo era così attivato e lo era stato non soloattraverso I'attenzione diretta al rapporto della pa-ziente con la psicoanalisi. Questo momento fu co-munque il punto di svolta della situazione analitica.Dato che ho esposto i punti di vista teorici prima delcaso clinico potrebbe nascere I'ipotesi che la pa-ziente possa non aver fatto niente altro che confor-mizzarsi al modello teorico che il terapeuta per viainconscia potrebbe avere in qualche modo tra-smesso. Questa possibilita è tale da meritare un'at-tenta considerazione: occorre però dire che il mo-dello teorico proposto è nato proprio dall'osser-vazione analitica di questa come di altre isterie diangoscia, non ha cioè preceduto la prassi analiticarelativa a questo caso, ma si è formato nello stessotempo, in un processo di reciproca influenza: il casoclinico permetteva cioè di confermare o meno lateoria e questa tentava di fornire un modello in cuiil processo analitico potesse inquadrarsi. Questo

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fatto che la teoria è nata in questo caso coestenti-vamente alla prassi mi da così sufficiente garanzianella proposta di questo caso clinico come di uncaso clinico interessante, in quanto non esauriscein se il proprio interesse, ma può fare intravvederepiù a fondo certi particolari aspetti della intellettua-lizzazione, meccanismo alla base anche di alcuneforme di malattia della psicoanalisi contemporanea.

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