L' elezione di piñera en cile

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Paper by Stefano Gatto

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A L’elezione di Piñera in Ciledi Stefano Gatto *

Le recenti elezioni cilene hanno rappresentato un momento significativoper la storia politica del paese andino: dopo 20 anni di governi di centro-sinistra, seguiti ai diciassette di dittatura militare di Augusto Pinochet, ladestra ritorna al potere per la via delle urne per la prima volta dopo cin-quant’anni (vittoria di Alessandri nel 1958). È la fine di un’era, quelladella Concertación di centro-sinistra, ma in fondo di una tappa ancorapiù lunga, che era appunto iniziata con il colpo di stato contro Allendedell’11 settembre 1973. Sebastián Piñera, sconfitto quattro anni fa al secondo turno dalla candi-data della Concertación Michelle Bachelet, porta a compimento il suopercorso politico di vent’anni che, da posizioni eterodosse all’internodella destra cilena lo porta alla presidenza del paese.D’altra parte, Concertación de Partidos por la Democracia, eredediretta di quel fronte del “no” al referendum proposto nel 1989 dalla dit-tatura pinochetista, al fine di perpetuarsi in un regime continuista, pagauna certa usura dell’alleanza tra democristiani e socialisti dopo quattroperiodi consecutivi al governo, dapprima con due presidenti democristia-ni, Patricio Alwyn e Eduardo Frei, seguiti da due presidenti socialisti,Ricardo Lagos e Michelle Bachelet. Il fatto che la coalizione non si siadimostrata in grado di trovare un candidato d una generazione diversa daquella che ha governato il paese per vent’anni, e che abbia riproposto aglielettori l’ex-presidente Eduardo Frei, illustra di per sè la necessità di rin-novamento necessaria nel centro-sinistra cileno, figlio di una stagionepolitica di fondamentale importanza ma bisognoso di un aggiornamento.L’attuale situazione cilena richiama quella spagnola alla fine della lunga

Miguel Juan Sebastián Piñera

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epoca socialista: quando nel 1996 José M. Aznar, al suo terzo tentativosconfisse di stretta misura un Felipe González che era stato quattordicianni alla guida del paese, si parlò di completamento definitivo della trans-izione politica spagnola, che poteva definirsi compiuta nel momento incui una vittoria elettorale della destra era divenuta possibile. Ed ad Aznarsi era ascritto il merito fondamentale di aver traghettato con successo ladestra spagnola dall’ombra della continuità con il franchismo alle lucidella piena rispettabilità democratica.In maniera simile, Piñera, che già nel 1989 si era contraddistinto per ilsuo appoggio esplicito al “no”, rara avis nell’ambito di una destra fossi-lizzata su posizioni estremamente rigide e fiancheggiatrici della dittaturapinochetista, lanciò allora una sfida che pareva impossibile: riformare ladestra liberandola progressivamente dalle ombre della dittatura militare esviluppandone l’anima liberal-democratica (in un paese nel quale permolti anni liberale era sinonimo di adesione incondizionata ai dettamiultramercantilistici dei Chicago Boys, che adottarono il Cile come caso-scuola per la sperimentazione delle proprie teorie improntate alla dere-gulation assoluta di moda negli anni ottanta).Il suo partito, Renovación Nacional, rappresenta quindi un’anima diver-sa rispetto ai soci dell’UDI (Unión Democrática Independiente), partitoche non solo non rinnega il pinochetismo ma addirittura lo esalta, rinno-vando quello spirito del muro contro muro che ha contraddistinto unpaese polarizzato come il Cile dai tempi di Allende sino alle prime elezio-ni vinte dalla Concertación.Se il colpo di stato del 1973 ha marcato profondamente la storia cilena,dividendo il paese in modo traumatico per decenni, proprio l’ascesa diuna destra moderata, che non vuole mettere in discussione l’eredità posi-tiva degli anni di centro-sinistra, mette in luce il cammino percorso dalpaese durante vent’anni di governi riformisti.I principali meriti da attribuire ai successivi governi della Concertación

sono lo smantellamento progressivo dell’eredità della dittatura, la rico-struzione della convivenza democratica tra cileni, il proseguimento delle

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A politiche di stabilità e sviluppo economico, completate da riforme socialiche hanno permesso di ridurre la percentuale di popolazione in stato dipovertà dal 38% nel 1989 al 13% attuale: dati di tipo europeo, non lati-noamericano, che situano il Cile in una categoria a parte rispetto agli altripaesi latinoamericani. Sino all’elezione di Lagos su Lavín (2000), il Cile era succube di una divi-sione quasi esistenziale tra modelli incompatibili: per la destra ogni ipote-si di tipo socialdemocratico era definita comunismo e la messa in discus-sione della dittatura, i cui protagonisti erano elevati al ruolo di eroi nazio-nali, inconcepibile. Per le forze democratiche, le uniche vie possibilierano quelle dell’unità, necessaria per imporsi in competizioni elettoralimolto serrate, e del dialogo permanente, per tenere in piedi coalizioniche si mantenessero ferme nella gestione del modello economico cileno,un modello di stabilità ed imprenditorialità, portando avanti una dopo

l’altra riforme consensuali chepermettessero di ampliare ilraggio della democrazia cilenalasciandosi alle spalle le eredi-tà della dittatura.Un percorso difficile, cha harichiesto ai governanti dellaConcertación nervi saldi emolta moderazione: tra l’altro,la dittatura, pur perdendo ilreferendum del 1989, avevaseminato il percorso dellademocrazia cilena di numerosipaletti, che permettevano ditutelare certi punti consideratiirrinunciabili (immunità deimilitari coinvolti nel golpe enella dittatura; senatori vitali-zi, tra cui a lungo lo stessoPinochet; sistema elettorale

binominale, che impedisce la formazione di maggioranze nette in parla-mento).Il maggior successo della Concertación nel corso del ventennio al potereè stato quello di conciliare una sana gestione economica, che ha permes-so al Cile di elevarsi allo stato di paese emergente ante litteram e dirompere con una tradizione che voleva i paesi latinoamericani condannatiall’instabilità economica e finanziaria e dipendenti in maniera passiva daimercati internazionali. Al contrario, il Cile ha saputo, durante la dittaturaed anche dopo il ritorno della democrazia sviluppare un ammirevolemodello di apertura economica in tutte le direzioni.Paese relativamente lontano dai grandi mercati tradizionalmente trainan-ti sino agli anni novanta (Usa ed Europa), e di per sè sprovvisto di unmercato interno sufficiente ad alimentare da solo la crescita economica,ha saputo inventarsi un proprio ruolo specifico e quasi unico, sviluppan-do con molto coraggio alcuni atout che non erano affatto scontati: anzi-ché limitarsi ad integrarsi in un solo mercato regionale prossimo a sè(Mercosur, Comunità Andina), o legarsi ad un mercato in maniera univo-ca (accordo di libero scambio con gli Usa), ha portato avanti una politica

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di apertura in tutte le direzioni che hareso l’economia cilena la più aperta almondo. Il Cile, paese di per sè geografi-camente lontano, ha centrato il propriosviluppo su un’apertura totale dellapropria economia ed uno sviluppoimpetuoso delle esportazioni verso ognimercato potenzialmente interessato aipropri prodotti. Da paese esportatoretradizionale di una materia prima spe-cifica (il rame), il Cile è divenuto ilpaese al mondo con maggiore peso delcommercio estero sul PIB (tra il 70 el’80%) ed ha collocato le proprie merciin settori che sembravano assolutamen-te impenetrabili alla concorrenza sugrande scala. Pensiamo alla straordina-ria penetrazione della frutta cilenafuori stagione nei mercati europeo,nordamericano e giapponese o all’im-pressionante crescita del vino cilenonei mercati mondiali, persino in paesimolto legati al loro prodotto nazionale.Il Cile è oggi il paese al mondo che haconcluso il maggior numero di accordicommerciali bilaterali di libero scam-bio: all’accordo con gli Usa sono seguitiquelli con l’Unione Europea (accordod’associazione, l’unico che l’UE ha inLatinoamerica a parte quello con ilMessico) ed un grande attivismo nellazona pacifica, principale asse di cresci-ta dell’economia mondiale, nel quale ilCile è pienamente inserito: in particola-re, il Cile ha già firmato accordi bilate-rali con Cina e Corea del Sud.Dal punto di vista macroeonomico efinanziario, il Cile è sempre stato addi-tato come il miglior esempio tra i paesiemergenti, e le performance cilene ilriferimento d’obbligo nel contesto lati-noamericano. Se altri paesi emergenti,come il Brasile, attirano oggi maggior-mente l’attenzione, questo non togliemeriti alla continuità dimostrata dalCile nel perseguire un modello econo-mico di successo pur essendo un paesedalla popolazione limitata (diciassettemilioni) e avendo saputo trasformare inopportunità una posizione geograficache avrebbe invece potuto costituireun handicap.

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Jorge Alessandri

Eduardo Frei

Augusto Pinochet

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A Tale stabilità economica ha poi permesso di ridurre la povertà, aumentan-do la consistenza della classe media, anche se i livelli di concentrazionedella ricchezza rimangono elevati in un paese che era profondamenteclassista, ed in buona parte lo rimane (il Cile occupa il posto n.113 negliindici di distribuzione della ricchezza). Però gli indicatori in materia edu-cativa, sanitaria ed abitativa sono migliorati considerevolmente nel corsodegli ultimi vent’anni.L’ammissione del Cile nell’OECD, primo paese sudamericano chiamato afar parte del club dei paesi industrializzati, è il riconoscimento del note-

vole percorso compiuto dalpaese in questi decenni.Anche nel contesto di crisiinternazionale il Cile si è com-portato meglio di altri: se la cre-scita si è ridotta nel 2009 ad unmagro 0,4%, a fronte del 5%abituale negli anni precedenti,un dato inevitabile per un’eco-nomia aperta come quella cile-na, la politica anticrisi portataavanti dalla Bachelet é stataapprezzata dalla popolazione: lapresidentessa uscente chiude ilsuo mandato con un tasso d’ap-provazione superiore all’80%.Non é stata quindi la sua ereditàpositiva quella che i cileni hannorifiutato eleggendo ora Piñera:prevale la sensazione che abbia-no piuttosto voluto imporre uncambio di dirigenza, scegliendo-ne una in grado di sterzareverso mete ambiziose che con-solidino quanto di buono il Cileha fatto sinora. Sotterrati i fan-tasmi del passato (grazie ancheall’iniziativa del localmente pocoamato giudice Baltazar Garzon,la cui iniziativa obbligò le classidirigenti cilene ad affrontare unproblema del passato che pesa-va troppo sugli equilibri naziona-li), i cileni hanno scelto unanuova classe dirigente con lo

sguardo rivolto al futuro e non al passato, che completi il cammino chetanto ha fatto avanzare il Cile negli ultimi anni.In poche parole, una volta divenuta possibile l’alternanza, i cileni hannodeciso di trarne i benefici.Sebastian Piñera, l’uomo che dirige questo nuovo progetto, ha dellecaratteristiche senz’altro particolari: miliardario con interessi in campiche vanno dalla finanza alle compagnie aeree, dalla televisione allo sport(il Colo Colo), é senz’altro uomo di successo personale, ma non sprovvi-

Salvador Allende

Evo Morales, Luiz Inácio Lula da Silva,Michelle Bachelet

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sto d’esperienza politica: già senatore, poi candidato sconfitto dallaBachelet nelle elezioni precedenti, abbiamo già visto come in passatoabbia avuto il coraggio di adottare scelte che gli crearono non poche ini-micizie nella sua stessa parte politica.Piñera ha già dichiarato di voler governare in continuità rispetto all’eredi-tà ricevuta, ma apportando la propria esperienza personale. Probabileche il suo governo sia di ampie intese, e che accolga qualche elementodella Concertacion.

In chiave latinoamericana, mi sembra riduttivo il commento fatto daparecchi osservatori secondo cui la vittoria di Piñera rappresenterebbeuna svolta a destra in America Latina: la realtà é più variegata. In primoluogo, la Bachelet e la Concertacion non rappresentavano governi disinistra assimilabili al socialismo chavista, ma piuttosto esperienze di cen-tro – sinistra maturate in condizioni uniche nella regione.D’altro canto, il consolidamento elettorale dei leader del socialismo delXXI secolo (Bolivia, Ecuador) é anche innegabile. É semmai l’espansioneulteriore del modello propugnato da Chavez al di fuori di quei paesi chesembra arrestarsi, vittima dei problemi interni sperimentati da Chavez inVenezuela per dimostrare la validità del suo approccio e del calo deiprezzi del petrolio che ha reso impraticabile la sua petrodiplomacia.

É invece in auge il modello tranquillo ed efficace di Lula, che ha fatto delBrasile l’indiscusso leder regionale ma soprattutto un attore di prima filadella scena internazionale. Persino una sconfitta del candidato del PTnelle elezioni presidenziali di ottobre 2010 non significherebbela sconfitta di quel modello, dato che a prevalere sarebbe pro-babilmente un Jose Serra che difficilmente puòessere definito un leader di destra.Più che una divisione tra paesi di“destra” e di “sini-stra”, si sta generan-do in America Latinauna divisione tra unblocco ridotto dipaesi che voglionoridare protagonismoallo stato per affron-tare le disuguaglianzeereditate dal passato(Venezuela, Ecuador,Bolivia, Nicaragua)ed una maggioranzadi governi che invecenon credono in talevia, privilegiando lacrescita economicacome fattore d’ali-mentazione dellepolitiche sociali,ormai divenute irri-nunciabili ovunquenella regione.Batte invece il passo

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A un modello ultraliberale, anch’esso esistente in passato, che minimizzavale questioni sociali, sottomettendole ad una logica esclusivamente di mer-cato che ha mostrato anch’essa i suoi limiti.Tornando al Cile, é probabile che l’esperienza della Concertacion abbiafatto il suo tempo, e che il cartello tra democristiani e socialisti non reggail passo del tempo: é finita la sua stagione, o forse é stato vittima del pro-prio successo. Il 20% di voti raccolti al primo turno dal candidato indi-pendente Ominami, sconfitto alle primarie della Concertacion, dimostral’esistenza di un ampio numero di elettori di sinistra insoddisfatti. Ed incaso di consolidamento di Piñera, l’orbita governativa potrebbe attrarreconsensi d’origine democristiana, che andrebbero a rafforzare il centro –destra moderato del nuovo presidente.D’altro canto, la vittoria di una destra moderna rappresenta la fine delladestra antidiluviana che ancora si riconosce nel pinochetismo, e che si éritenuta per troppo tempo l’unica degna di governare il paese.Queste elezioni hanno davvero rappresentato la fine di un’era politica inCile, ed il resto dell’America Latina continuerà a guardare con attenzioneai parecchi buoni esempi che vengono da questo paese.

* Stefano Gatto,appartiene al servizio estero dell’Unione Europea ed è attualmente inposto in America Centrale

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