Karl Theodor Körner (1791-1813) · D. D. Personaggi Solimano il Grande, ... richiede eroiche...

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1 Karl Theodor Körner (1791-1813) Zriny. Tragedia in cinque atti Traduzione dal tedesco e riduzione per cura degli studenti dell’Orato- rio Vescovile di Trento, Trento 1898 Al carissimo direttore don Pietro Nadalini nel quarantesimo anni- versario di sua consacrazione sacerdotale gli studenti dell’Oratorio Vescovile in segno di affetto D. D. Personaggi Solimano il Grande, imperatore turco Mehmed Sokolowitsch, gran Visir Ibrahim, comandante d’Anatolia detto Begler Beg Alì Portuk, comandante Mustafà, Pascià di Bosnia Levi, medico di corte Un messo Un Agà Nicolò conte Zriny Giovanni, figlio di Zriny Stefano, figlio di Zriny Un vecchio Aio Gaspare Alapi, capitano ungherese Wolfango Paprutovitsch, capitano ungherese Pietro Willaky, capitano ungherese Lorenzo Juranitsch [Giurantico], capitano ungherese Francesco Scherenk, cameriere di Zriny Un contadino Un capitano ungherese Popolani e soldati ungheresi, turchi L’azione ha luogo in Sziget l’anno 1566 ATTO I Camera nel palazzo reale dei Gran signore di Belgrado Scena I Solimano (siede pensieroso colla testa fra le mani sul proscenio). Levi (viene dalla porta maggiore) Levi. Il mio real signore mi ha chiamato? Mi avete forse fatto chiamare gran Sultano? Il servo attende il cenno del suo signore. (fra sé) E ancor nessuna risposta? (forte) Signore ed imperatore, perdonate al fedel servo! Siete ammalato? Signore, voi siete ammalato! Solimano. Se anche lo fossi tu non mi recheresti nessun sollievo.

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Karl Theodor Körner (1791-1813) Zriny. Tragedia in cinque atti Traduzione dal tedesco e riduzione per cura degli studenti dell’Orato- rio Vescovile di Trento, Trento 1898 Al carissimo direttore don Pietro Nadalini nel quarantesimo anni-versario di sua consacrazione sacerdotale gli studenti dell’Oratorio Vescovile in segno di affetto

D. D.

Personaggi Solimano il Grande, imperatore turco Mehmed Sokolowitsch, gran Visir Ibrahim, comandante d’Anatolia detto Begler Beg Alì Portuk, comandante Mustafà, Pascià di Bosnia Levi, medico di corte Un messo Un Agà Nicolò conte Zriny Giovanni, figlio di Zriny Stefano, figlio di Zriny Un vecchio Aio Gaspare Alapi, capitano ungherese Wolfango Paprutovitsch, capitano ungherese Pietro Willaky, capitano ungherese Lorenzo Juranitsch [Giurantico], capitano ungherese Francesco Scherenk, cameriere di Zriny Un contadino Un capitano ungherese Popolani e soldati ungheresi, turchi

L’azione ha luogo in Sziget l’anno 1566

ATTO I Camera nel palazzo reale dei Gran signore di Belgrado

Scena I Solimano (siede pensieroso colla testa fra le mani sul proscenio). Levi (viene dalla porta maggiore) Levi. Il mio real signore mi ha chiamato? Mi avete forse fatto chiamare gran Sultano? Il servo attende il cenno del suo signore. (fra sé) E ancor nessuna risposta? (forte) Signore ed imperatore, perdonate al fedel servo! Siete ammalato? Signore, voi siete ammalato! Solimano. Se anche lo fossi tu non mi recheresti nessun sollievo.

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Levi. Tuttavia, gran Signore, fidatevi del vec­ chio servo, se uno il può son io quel desso. Io vi ho dato ripetute prove della mia fedeltà e della mia scienza. Il mio occhio penetrante da ben quarant’anni va spiando le fasi della vostra vita. Tutto ciò che appresi dai grandi maestri e quello che la natura stessa m’insegnò, tutto l’adoperai pel vostro bene; a me pienamente è nota la costituzione fisica del vostro corpo. La scienza medica dovrebbe consacrarsi al bene universale. Questo dovere io lo com­ prendo benissimo e mi sforzo sempre di adempirlo, ma la vostra vita mi preme più che la vita di tutti gli uomini; un eroe ed un imperatore valgono un popolo intero. Solimano. Io conosco la tua fedeltà, e della tua scienza ho già avute prove e per questo appunto ti ho fatto chiamare. Rispondi fran­ camente: quanto pensi che possa ancora restarmi di vita? Mostrati fedel servo come sempre ti ho trovato, di sentimenti retti e leali. Quanto posso vivere ancora? Voglio sapere la verità. Levi. Signore, a questa domanda può rispon­ dere soltanto Iddio. Di fronte a questi problemi s’arena l’arte mia. Solimano. Oh vana presunzione dell’umano pen­ siero! Voi pretendete di conoscere l’interna struttura del corpo? voi volete speculare i più reconditi misteri dei nostri organi, e ancor non sapete fino a quando abbia da muoversi l’umano meccanismo, non sapete quando si debbano fermare queste ruote! Levi. Mio gran Signore, non spregiate la nobil’arte: il limite fu fissato da Dio, e la silenziosa officina della natura non è mai stata scrutata da occhio umano. Noi pos- siamo spiegare il processo della vita, il suo sviluppo ed il suo fiorire. Ma lo spi­ rito oppresso si perde mestamente nel Caos delle più svariate possibilità, quando egli cerca di decifrare l’enigma che seimila anni non hanno ancora potuto spiegare ad alcuno. Io posso dirvi che il vigore dei vostri muscoli, il fuoco che splende nel fiero vostro sguardo e l’entusiasmo del vostro cuore, tutto m’indica che il buon Dio vi abbia a concedere ancor lunghi anni. Tuttavia questo io non lo posso de­ terminare con certezza, e soltanto un im­ postore si può vantare di tanto.

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Solimano. Ancora qualche anno, non è così Levi? Levi. Se voi vi riguardate e con arbitraria mano non rompete il filo della vostra vita e della vostra forza, allora posso promet­ tervi ancor dieci anni. Ma voi vi dovete dei riguardi. A voi è stato concesso fino sulla dura soglia della vecchiaia, ciò che Iddio soltanto a pochi fortunati aveva pro­ messo, cioè di legare costantemente al vostro destino la forza, la gloria e la fortuna e d’intrecciare alla candida chioma i freschi fiori dell’alloro. Riposatevi dunque, mio grand’eroe ed imperatore, riposatevi sulle vostre vittorie. Quello spazio di tempo che Dio ancora vi concede gustatelo all’ombra tranquilla della gloria. A voi donò il cielo ben più che la vita ordinaria d’uomo. Voi siete vissuto per un’eternità. Solimano. Silenzio vecchio, silenzio, io non ho chiesto di più! Dieci anni mi darebbe la tua scienza, se io volessi seppellirmi in un’infingarda quiete; la mia vita è fatta per le grandi imprese e dessa potrà portare un anno di guerra. Di più io non cerco. Va e chia­ mami Mehmed! Levi. (parte)

Scena II Solimano solo

Solimano. Io devo usarmi riguardi? Io veder spe­ gnersi lentamente in un’oziosa vita quel vigore, che scorre per le antiche membra dell’eroe? Quand’io venni alla luce il mon­ do tremò, tremerà anche al mio morire; questo è l’alto destino degli eroi! Nasce il verme e si calpesta, e nessuna traccia ci lascia di sua vita; il popolo rinnova la sua abbietta esistenza in vili generazioni, ed il volgo s’en passa nell’oscurità. Ma quando sta per comparire un eroe od un imperante, allora Dio manda gli astri ad annunziarlo, ed egli fa il suo ingresso sulla attonita terra; il mondo è preparato per le sue gesta. Allorché poi la morte doma il vittorioso, la natura suscita migliaia di misteriose voci e, presaga del fatale mo­ mento, proclama in suo linguaggio che la fenice sta per scagliarsi nelle fiamme. Io son vissuto per tutti i tempi, lo sento, e la mia gloria si erge sino alle stelle. Io avrei domato lo splendente universo, se

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fossi stato l’unico eroe del mio tempo; ma uomini grandi vissero in questo secolo, ed uomini grandi scesero in campo contro di me; non posso rimproverarmi di essere stato il Beniamino della fortuna, ma ho bensì strappato di mano al destino quello che esso voleva negare. Chi fece grande Alessandro? Qual cosa sottomise il mondo ai Romani? Non un re Carlo stava loro di fronte, nessun La Valette, contrastava loro la vittoria. Carlo, Carlo, tu non avre­ sti dovuto vivere adesso, e la tua Europa sarebbe ai miei piedi! Ora ti sfido all’ul­ tima gran battaglia, o Casa d’Austria... spiega le tue bandiere; l’eroe Solimano vuol morir vincitore, lavando l’antico scor­ no nel tuo sangue sulle mura della assa­ lita tua Vienna. Ecco ch’io annunzio al secolo il mio messaggio. Su, Germania, raccogli i tuoi eroi e cadi pel tuo Dio e per la tua libertà! Lo sappia il mondo che muore il Leone, e Vienna arda funebre face alla sua tomba.

Scena III Detto, poi Mehmed Sokolowitsch

Mehmed. Il mio signor Sovrano, ha chiamato il suo servo, ecco ch’ io attendo il suo cenno. Solimano. Dà l’ordine per la partenza, gran Vi­ sir, il tempo è prezioso, la risoluzione è matura, la pronta esecuzione deve provar­ ne la forza. Mehmed. Così presto, mio Sovrano? Solimano. Si è mai giunti troppo presto alla vittoria? Chi è al fine della vita come sono io, sa apprezzare il tempo. Desso osa im­ porre la sua mano pesante anche alla sacra Maestà del Sultano. Anche l’eroico bollor d’un regnante si spegne! Io voglio veder finite tre cose, ma se mi riesce la più difficile, assai meno m’importa che il voler del destino, troncato il filo della vita, mi neghi ostinatamente il compimento degli altri miei desideri. Il tempio di Allah, che eressi nella capitale, deve esser finito, così pure l’ardita costruzione dell’acquedotto, un’opera che ricorda già grandi nomi e che dirà ai posteri: “Come l’ardito arco­ baleno pianta le sue radici sopra le valli, così l’eroe, di cui la grand’opera porta il

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nome, gettò la sorte della guerra sopra il destino dei popoli, spianandosi la via alla immortalità”. Mehmed. Se niente altro ormai ti lega a que­ sta vita che tu riempisti dello splendore di tue gesta, ecco che il mondo fin d’ora versa lagrime per il più grande uomo, che la società abbia mai ammirato; giacché la Moschea, l’ottava meraviglia del mondo, erge ornai la sua cupola e sta per es­ ser compita. Ancora pochi soli tu salu­ terai, o Sire, e ti giungerà la notizia, che la gigantesca costruzione dell’acquedotto è finita. Ed il tuo terzo desiderio? i pro­ getti del tuo cuore non si contengano in sì piccoli limiti! Medita pure la più ardita ed eroica impresa al cui compimento fac­ cia d’uopo anche il corso di molte gene­ razioni; ti assoggettasti il fato e ti rendesti arbitro delle sorti umane; proponiti pure qual tua meta l’impossibile, e non temere, il tempo onorerà il tuo intrepido senno, e non ti torrà dalla vittoriosa tua vita, finché tu non ti abbia guadagnati gli ago­ gnati allori. Solimano. Il mio terzo desiderio è di abbattere Vienna. Attraverso le demolite sue mura, s’apre la strada che condurrà la mezzaluna fra sanguinose vittorie, nel cuore della cri­ stianità alemanna. Allora volentieri morrò da eroe, lasciando schiusa ai miei figli una superba e brillante carriera. Anche il secolo vegnente, richiede eroiche gesta; essi ere­ diteranno il mondo per metà, l’altra metà la deve soggiogare la loro spada. Ora ci importa aver Vienna. Chiamami i coman­ danti dell’esercito, onde possa deliberare con loro la vittoriosa marcia; giacché il tempo fugace richiede una rapida azione. Mehmed. Essi stanno attendendo il tuo cenno nell’anticamera. Solimano. Chi? Mehmed. Mustafà di Bosnia, Alì Portuk, I- brahim... Solimano. Falli entrare. Essi sono eroi provati da lunga pezza. Non si contano le parole in tali circostanze, ma si pesano secondo lo intrinseco valore. Solo il forte pronunci una parola decisiva. Chiamami i principi. Mehmed. (parte) Solimano. Antico spirito ardito! Deh resta; resta ancora per poco fedele al tuo eroe. Par­

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tirai più tardo al suono della vittoria!

Scena IV Detto, Mehmed, Alì Portuk, Mustafà, il Begler Beg

Solimano. Salve a voi, o sostegni del mio trono, benvenuti compagni di mie vittorie, io vi saluto. Alì. Mio signore e sultano! Il tuo nobile e gran Visir ci ha confidato come tu oggi voglia levare il campo, o sublime eroe. Usi come siamo ad affrontare la morte con animo allegro per te e per onor del profeta, noi non attendiamo che un tuo cenno. Solimano. Alla vittoria dovete prepararvi, non alla morte. Voi sapete come l’imperatore Mas­ similiano, il quale si fa chiamare impera­ tore Romano, mi neghi da due anni ormai il tributo e tenga in sue mani Tokaj, il mio castello. Ma adesso giuro all’eterno Allah che voglio vendicare il lungo ob­ brobrio con sanguinosa spada su questi Tedeschi, su queste sette di Cristiani, estir­ pando questa popolazione traditrice, che insulta il nostro santo profeta e si è data ad un falso Iddio. La mezzaluna deve re­ gnare sulla terra. Or può essa giungere a ciò, se questa terra ungherese vuol già fermarci i primi passi e accogliendo soldati Tedeschi tagliarci la via? Io voglio dun­ que la guerra, e guerra sia!... Mustafà. Il mio popolo attende un tuo cenno, e sitibondo di strage, ti guarda con belli­ coso tripudio. Alì. Per le tue schiere si rende garante il coraggio dei condottieri. Begler. Dà loro occasione di mostrar la loro fedeltà. Mehmed. I Giannizzeri, esercito ben agguerrito, il guerriero ed audace popol d’eroi, che fedele ti segue nelle tue imprese, canta inni di vittoria al suo imperatore chieden- do con feroce entusiasmo questa guerra di sterminio al nome cristiano. Solimano. A voi essa non mancherà di certo. Co­ nosco gli Ungheresi, ma so pur quanto valgano gli eroi della Germania miei ne­ mici. Alì. Quanto più valoroso è il nemico, tanto maggiore è il coraggio che si accende nell’animo. Begler. L’eroe combatte più volentieri con un

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altro eroe. Mustafà. La vittoria divien allora certamente più difficile, ma rimane pur sempre sicura; imperciocché il nostro grido di guerra è: “Solimano”. Mehmed. Io dunque, il primo fra tuoi schiavi, ti saluto ormai, o potente gran Sultano, imperatore di Germania! Il tuo secolo ti chiama la spada d’Allah, ed il Cristiano flagello di Dio. Terribilmente armato, ti levi oggi alla vittoria, nessun più formi­ dabile di te ha calcato giammai col suo piede la sanguinosa polvere dell’Unghe­ ria. Di oltre duecentomila uomini è forte il tuo esercito, contando appena le schiere di tutti i tuoi Pascià. L’Amsa Beg sta trin­ cerato alla Drava lavorando a gettarvi un ponte per il tuo tragitto, e Mehmed Beg è giunto vittorioso colle sue scorrerie fino a Sziklas. L’audace generale rimontò lo irato fiume di nottetempo in leggieri bat- telli per prepararti una strada nel cuor dell’Ungheria. Solimano. La vittoria accompagni il suo valore. Su, principi, adesso occorre il vostro co- raggio. O noi prendiamo in fretta la via per la capitale dell’impero ed allora lascia­ mo senza assalto Sziget; di Gynla e delle altre fortezze non val la pena di prendersi pensiero, perché sono circondate soltanto da poco popolo; oppure facciamo così: gettiamo tutta la nostra forza su queste rocche, le abbattiamo ed andiamo poi con­ tro l’esercito tedesco, che Massimiliano vuol radunare presso Vienna. Dimmi la tua opinione, o gran Visir. Mehmed. Mio imperatore, a me sembra più degno d’un eroe incominciare la cam­ pagna coll’assalto di queste fortezze, che si risero della nostra potenza in più com­ battimenti, e stringerle terribilmente. Ni­ colò Zriny, il temuto guerriero, ora è a Vienna, come mi riferiscono i miei spioni. Facilmente domeremo la superba Sziget, se manca la spada di quest’eroe. Poscia in fretta su Vienna o sull’esercito impe­ riale! Una sanguinosa giornata deciderà allora della vittoria! Alì. Se Zriny è lontano ti do ragione e pren­ do Sziget col primo assalto. Tuttavia, se egli fosse presente, per molte e molte lune avremo a cozzare contro le mura di Sziget.

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Solimano. E che? Dai tanta importanza a questo avventuriero che tremi di arrischiare con­ tro di lui il valore di eroi, le tante volte provati? Alì. Non tacciare i tuoi schiavi di vil paura. Hai tu scordato la fama di Zriny, il quale ancor giovanetto all’assedio di Vienna si meritò un abbraccio dell’imperatore Carlo? Eppure egli non era che un tenero gar­ zoncello. Adesso egli è un uomo, e le tue schiere, che di solito vanno incontro alla morte senza timore, tremano ora soltanto alla vista delle sue bandiere. Begler. Anch’io, signore do ragione ad Alì. Se Zriny è lontano, assaliamo Sziget, al­ trimenti sia bloccata come disse il Sultano. Da Gynla abbiamo da temer poco. Mustafà. Il comandante Beg, ha parlato bene. Il suo pensiero è il mio. Solimano. Zriny, Zriny, e sempre col vostro Zriny. Sappiate che Solimano non è uso a de­ viare da suoi progetti, nemmeno di fronte ad un esercito intero, ed ora dovrà vedersi interrotta la marcia da un solo uomo? Lontano, o vicino noi non andiamo a Si­ geth, ma direttamente su Vienna. Questo è il voler del Sultano! Nel cuor dell’Au­ stria ci batteremo.

Scena V Un Agà e detti

Agà. (dice qualche cosa all’orecchio di Mehmed) Mehmed. Ringrazio Lantschak per la sua notizia. Agà. (parte) Solimano. Che c’è, o Visir? Mehmed. Il Lantschak Halla, mi manda ad avvertire che Nicolò Zriny colla sua schiera è ormai in cammino da Vienna verso Sziget. Sembra che egli abbia spiato qualche cosa del vostro piano. Alì. Su, o Sultano, questo è il comando d’Allah, guidaci a Vienna! Sziget resti illesa, guidaci a Vienna, colà si dia la bat­ taglia! Mehmed, Mustafà, Beg. (tutti assieme) A Vien­ na, a Vienna! Colà si dia la battaglia! Solimano. Sono dunque questi i miei eroi, questi che tremano davanti ad un misero nome senza eco? Ed io che costrinsi mezzo mon­ do, a prostrarsi a’ miei piedi, io non posso

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vantarmi d’avere gettato tanto spavento nel cuore dei miei nemici, quanto s’annida nel petto vostro di fronte a questo cane di cristiano. Ora ho deciso! Così è; noi assaliamo Sziget! Io voglio imparare a conoscerlo questo Popanz che insegnò che cosa sia la paura ai miei eroi. Mustafà. Signore, ma pensa... Solimano. Nessuna parola o ne va del tuo capo! Noi assaliremo Sziget! Gran Visir! Alla partenza! La mia rabbia ha stritolata l’A­ sia, e questo conte Ungherese vuole scher­ nirmi? Pagherà il fio della sua tracotanza! Sulle fumanti rovine di Sziget, pianterò la temeraria sua testa.

Scena VI Un Agà, poscia un messo e detti

Agà. Un messo di Hamsa Beg, attende di essere introdotto al tuo cospetto, o gran Signore ed imperatore! Solimano. Venga. Agà. (parte) Messo. (Entra) La benedizione di Allah scenda su te, o gran Sultano! Solimano. Parla, che hai da dirmi? Messo. Il tuo schiavo Hamsa Beg mi mandò a te. Tre volte egli tentò di gettare un ponte sulla terribile Drava. Il libero fiume scosse tre volte il giogo, e tre volte di­ strusse la superba opera. Molti dei tuoi schiavi trovarono la morte nelle irose onde della terribile corrente, imperciocché le acque sono giunte ad insolita altezza per le continue piogge; perciò egli ti preghe­ rebbe che tu volessi attendere finché si sia ritirato nel suo antico letto, poiché è im­ possibile al tuo servo di gittate per adesso il ponte. Solimano. Che? Io devo attendere?... che?... è im­ possibile?... ma che cosa è impossibile quan­ do lo vuole il sultano? Ah! il traditore! Va, monta a cavallo e digli che oggi io parto e che se non trovo il ponte bell’e fatto in ventiquattro ore, a dispetto dei ribellati elementi, io lo faccio appiccare sulla sponda del fiume, e gli insegnerò qual sia la mia teoria del possibile. Avanti! avanti! se ti è cara la vita, avanti alla par­ tenza, gran Visir, noi assaliamo Sziget. (Tutti via)

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Scena VII

(Grande camera nel castello di Sziget; nella parte di dietro due grandi finestre ad arco). Entrano Stefano e Giovanni, figli di Zriny e il vecchio loro Aio Stefano. (va timoroso alla finestra, e guarda) Aio. Che cosa ti angustia? Che cosa hai, figlio mio? Stefano. Ah, caro maestro, c’è qualche sciagura in aria; guardate come si è mutato l’antica quiete della nostra rocca. In ogni angolo vi sono pattuglie di soldati; il popolo è in grande ansia e in preda a grande ap­ prensione. I condottieri corrono attorno pel castello a dar gli ordini. Giovanni. Sì, sì ho veduto anch’io. Stefano. Che cosa sarà mai? Aio. Consolatevi, bimbi miei, una piccola scorreria e nulla più. Noi siamo già usi a queste cose. Stefano. No, caro aio. Io temo ci sia qualche cosa di più. Testé ho trovato nella sala Lorenzo tutto ansante. Egli era salito quassù per la scala a chiocciola, ed era tutto co­ perto di polvere. Di solito sai bene con quanta gioia mi vede e quante carezze vuol farmi. Oggi invece mi guardò appena e partì in fretta. Io gli gridai dietro: “Giu- rantico, che cosa hai?”. Ed egli volgendosi in fretta mi rispose: “Non ho tempo, son di servizio, scusami”, e sparì entro la porta degli appartamenti del padre. Giovanni. (che frattanto sarà andato alla finestra) Ecco, ecco Lorenzo che monta a cavallo ed esce a gran trotto dal portone del castello. Stefano. (corre alla finestra) Aio. (fra sé) Stefano ha ragione. V’è qualche cosa per aria. Se potessi vedere il conte vorrei interrogarlo. Ragazzi, ritiratevi nelle vostre stanze, ove anch’io vi seguirò fra poco, appena avrò sbrigato un affaruccio. Giovanni. Vieni presto se no io ho paura. Stefano. Paura di che? Non siamo noi avvezzi al tumulto delle armi? e quando saremo grandi non dovremo combattere anche noi? Vieni, vieni. Aio. Sì, andate. Fra poco verrò anch’io. (partono) Dio sia lodato. Il conte! Egli mi sembra tranquillo.

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Scena VIII Zriny e l’Aio

Zriny. Che vita dovrà esserci in questo ca­ stello! non angustiarti, buon vecchio. Si dice che il turco abbia allestito un esercito, e che il gran Sultano stesso siasi messo alla testa. Tuttavia notizie certe non ne posseggo ancora; attendo anzi in quest’ora la decisione dei messi. Perciò non temere se rumore d’armi penetrerà nelle tue stan­ ze; imperciocché su questa importante piaz­ za è necessario prudenza. Anche il popolo belligero aspetta ansioso la lotta, e brama sfogare il suo amore guerresco in vista di prossimi fatti d’armi. Aio. Dunque il mio buon padrone pensa che pericoli la nostra fortezza? Vi sarà forse un assedio? un assalto? Non celatemi nulla. Zriny. No, no, buon vecchio, non bisogna accogliere sì tristi sogni. Aio. Zriny, io sono stato il tuo maestro nel- l’armi; mi sono meritato la tua confidenza. Io chiedo la verità. Andrà di mezzo Sziget? Oh, non pensar così bassamente di chi t’ha addestrato a maneggiare la spada; non pensare che gli anni abbiano ammollito i miei spiriti guerreschi, che m’abbiano sfi­ brato il cuore; mentre io sento, che avrebbe ancora un palpito per morire da eroe! Dim­ mi la verità: andrà di mezzo Sziget? Zriny. Se Solimano si arma, lo fa contro di noi. Aio. Lo sa la contessa? Zriny. Nol so. Aio. Non fa nulla. La sposa d’un eroe deve esser degna di lui e la contessa lo sarà certamente.

Scena IX Detti e Alapi armato

Alapi. Una nuova ambasciata! Zriny. Parla pur forte. Che lo sappiano anche i miei cari! Il silenzio non fa che rendere più tetra la paura. Che hai da annunziarmi? Alapi. Arrivò or ora una staffetta da Fünf- kirchen la quale assicura che tutto l’ar­ mamento del Sultano è diretto contro di noi. Zriny. Se Solimano decise la guerra unghe­ rese, non si farà attendere molto. Noi co­ nosciamo già il vecchio leone. Ecco Paprutovitsch, egli ci porterà notizie.

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Scena X

Detti, Paprutovitsch armato e un contadino ungherese Paprutovitsch. Mio nobile signore, impugnate la spada che è tempo. Il Sultano nella sua pompa di guerra, e colla superba maestà di un despota ha già oltrepassato Belgrado. Questo contadino porta notizie certe; egli ha veduto l’esercito. Zriny. Parli. Contadino. Io avevo in Belgrado un affare e finito questo ritornavo a casa coi miei cavalli, allorquando nella città si sparse la voce che il Sultano veniva a quella volta in gran pompa per farvi la sua entrata col- l’esercito. Io non poteva più passare per la porta della città per la grande folla, per cui dovetti fermarmi, ed attenderlo. Prima di tutto io vidi passare cinquemila gian- nizzeri, pionieri e falegnami e tutti questi erano uomini bene armati; seguivano poscia tutti i servi dei Pascià chi a piedi, chi a cavallo, e portando innumerevoli bandie- ruole, differenti secondo lo stemma dei loro padroni. Veniva poscia il seguito imperiale coi falconieri, e circa cinquanta cavalli condotti dagli Spahis ed una fila di gio­ vani schiavi portanti sulle loro teste gatti, mammoni, pappagalli, ed altri simili trastulli: seguivano poscia i soldati dei Pascià col- l’elmo increstato di piume d’airone. Dietro loro i servi del serraglio e tre ricchi Pascià: Serpod, Mustafà e Ahmed, poscia il Ba- scià Mahomed, dietro a lui il Visir Bascià che fungeva quale giudice di campo, indi una schiera di Solacchi. Poi il barbaro po­ polo dei Tauschi, i quali colle mazze bat­ tevano la folla e sparavano coll’archibugio contro le finestre, acciocché nessuno si potesse gloriare d’aver veduto dalla fine­ stra il Gran Sultano. Quindi veniva l’Im­ peratore degl’infedeli montato su di un cavallo arabo, e vestito sfarzosamente. Una magnifica scimitarra tempestata di brillanti pendeva dall’arcione. Alla destra gli stava Terhord Agà e parlava con lui. Tre co­ mandanti li seguivano in qualità di scu­ dieri. Così pure tre fanciulli assai prediletti dall’Imperatore che portavano archi, frec­ ce, vestiti e vassoi. Seguivano inoltre intere file di vaghissimi paggi; essi precedevano

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l’aureo carro che seguiva il Gran Sultano e che deve essere un dono del Re dei Francesi. Otto altri carri non meno costosi del primo, il Chasnadar coi suoi servi, 200 asini, carichi d’oro e i loro asinai chiudeva­ no il corteo. In fine l’esercito in bello e superbo ordine forte di circa duecentomila uomini. Allorquando il popolo si ritirò nelle proprie abitazioni, a tarda notte potei uscir di città, e corsi qua per portarvene l’annunzio, o nobile Conte. Zriny. Bravo, galantuomo, va a ristorarti nelle mie cantine. Il mio tesoriere ti darà la ricompensa. Contadino. (via) Zriny. L’affare, miei cari, diventa sempre più serio; attendo Lorenzo che mandai in esplorazione. Alapi. Eccolo. Zriny. Ora sapremo qualche cosa di più.

Scena XI Giurantico armato e detti

Zriny. Che cosa ci porti, Giurantico? Giurantico. Il grido della battaglia, mio nobil con­ te! Ormai il Beg Mehmed ha passata la la Drava, egli venne fino a Sgiklas, deva­ stò il paese, incendiò i villaggi e rinnovò le barbarie dei guerrieri turchi. Dammi una mano dei tuoi prodi guerrieri, mi stringe il cuore, anelo il momento della battaglia, e voglio vendicare il paese su questi predoni. Zriny. (guardandolo fisso; ma con un sor­ riso di compiacenza) Giurantico solo!!... Giurantico. Nobile conte, poca gloria io ho ere­ ditato dai miei padri; ma la prima volta, ch’ebbi l’onore di pugnare al vostro fianco, meritai le vostre lodi e voi mi lasciaste intravvedere che col mio valore forse avrei potuto nobilitare il mio nome. E poscia più volte voi mi diceste: “Braccio d’eroe è degno di prendere una corona”. Io non manco né di coraggio né di forza. Lascia­ temi andare a confermare la nobiltà ch’io provo nel cuore. Zriny. Per me val più un eroe che il manto d’un principe. Ti sprona il desiderio di gloria; tuttavia io spero che il tuo valore sia salutare all’Ungheria. Gaspare Alapi, prenditi mille pedoni e cinquecento cava­

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lieri; Giurantico e Lupo ti accompagne­ ranno, gli altri condottieri puoi sceglierli a tuo piacimento. Coraggio, marciate su Mehmed Beg. Al vostro piccolo stuolo può essere favorevole soltanto un subito attacco. I Turchi devono apprendere che qui a Sziget troveranno uomini che non temono il loro sterminato numero. Dio sia con voi! ritornate vincitori. Alapi. Confida in me e nel tuo popolo! Su, fratelli, all’opra; domani ritorneremo cari­ chi di un ricco bottino turco. Alapi e Giurantico. All’armi! Tutti. (sguainano le spade) Zriny. (in atto solenne) Per Dio e per la patria! Il Signore v’accompagni.

ATTO II Scena I

Aio, Stefano, Giovanni Stefano. E’ vero, maestro, che vengono i Turchi? Aio. Purtroppo, cari, ci sovrasta un terribile temporale. Stefano. Oh bene! E’ uscito loro incontro Giu- rantico e Alapi, li cacceranno bene essi. Aio. Ma credi tu, che siano così pochi da venir cacciati al primo scontro? Stefano. Quanti sono? Aio. Un numero sterminato, mio caro. Noi al loro confronto non siamo che un pugno di gente. Stefano. Dunque perderemo? Aio. Non dico questo. I nostri sono più va­ lorosi, e poi siamo chiusi in una rocca assai forte. Stefano. E Giurantico vincerà? Aio. Speriamo di sì, ed intanto preghiamo il Signore per lui e per gli altri. Stefano. Oh! noi lo abbiamo già pregato tanto, non è vero, Giovanni? Giovanni. Sì, tanto, assieme colla mamma. Stefano. Ma non si sa ancora nulla di Lorenzo? Aio. Nulla. Vostro padre si trova in angoscia circa l’esito di questa prima sortita, perché essa è di somma importanza, essendo che se riesce bene la prima, tutti gli animi pigliano coraggio; se riesce male tutti ne prendono occasione di disperare. Eccolo appunto che viene da questa parte. Non sapendo dove passare questi momenti an­ gosciosi, viene a passarli in mezzo ai suoi

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figli, come in seno ad un porto.

Scena II Zriny e detti

Zriny. Oh, miei figli, vi trovo in buon punto! venite fra le mie braccia; il mio cuore è molle, da’ miei occhi cadono contro il mio uso le lacrime. Stefano e Giovanni. Papà. Aio. Caro amico, è lungo tempo che io non ti trovo così commosso, che ti accadde? tu sei molto abbattuto, come se tristi pre­ sentimenti oscurassero la tua fronte; che ti accadde, o Zriny? Zriny. Oh, lasciami, amico, credimi io sto così bene fra le braccia dei miei figli, e mille immagini ridenti mi passano liete per la mente, si che io non posso trattener l’emozione! Oh, uomini, godete celermente la vita, non lasciate passare un battito senza dire: “Il momento era mio, io ho goduto le sue gioie, non ho lasciato nel calice nessuna goccia di balsamo, il tempo è celere, ma più celere è la sorte. Chi da pigro lascia trascorrere la fortuna di un giorno, non la raggiungerà più, corresse egli come il lampo”. Aio. Nessuna notizia del campo, di Alapi, di Giurantico? Zriny. Nessuna, mio buon amico, sarebbe appena possibile. Aio. Ah! io temo invece che tu voglia na­ sconderci qualche sciagura! Non nascon­ derci nulla, sia di lieto come di triste. Il mio cuore presagisce altri tempi ben più dolorosi; fa, o Zriny, di avvezzarci al grido della sventura, che essa coll’orrendo suo peso non ci colga impreparati. Zriny. Oh, non dartene pensiero. Se così non fosse, avrei io lasciato in Sziget questi miei poveretti? Avrei io potuto, confidan­ do temerariamente, darli così in balia della sorte? Spedii diggià messi all’imperato­ re esponendogli i pericoli dell’Ungheria, ché la cosa si fa seria. Hamsa Beg, rifece per la quarta volta i ponti sulla Drava, sebbene l’impeto delle acque, che per tre volte li aveva inghiottiti, ne lo impedisse. Ad ogni ora si aspetta l’imperatore. Mehmed Sokolowitsch con sessantamila uomini, il Pascià Mustafà e Haren Beg sono

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preparati per la pugna. Se i nostri eroi non si affretteranno di più, troveranno il grosso dell’esercito già presso a Sziget.

Scena III Scherenk e detti

Scherenk. Mio nobile signore, appunto in questo momento la sentinella ha alzato un grido dalla torre del castello; una grossa nube di polvere è in vista sulla via di Sziget. Di certo sono i nostri che coronati della vittoria ritornano carichi di bottino turco. Zriny. (va alla finestra) Stefano e Giovanni. (battendo le mani corrono an­ ch’essi alla finestra gridando) Vengono, vengono! Aio. Grazie, buon vecchio, della buona notizia che ci avete portato, grazie, mille grazie. Stefano. Dimmi, l’hai tu veduto? Scherenk. Chi, bimbo mio? Stefano. Giurantico, quegli che ci fa sempre tante carezze?! Aio. A che pensi, o fanciullo? il custode non ha veduto che una nuvola di polvere, egli ha solamente congetturato che siano i no­ stri. Stefano Solamente congetturato! Ah, potessi io stare là sopra, là su quel monte, lo saprei ben conoscere io; il mio sguardo lo avrebbe trovato fra mille. Oh, quando verrà quel giorno in cui anche io potrò scendere in campo! Aio. Verrà, fanciullo, e fra non molto. Allora possa tu imitare tuo padre. Zriny. Essi vengono! essi vengono! Vedo da lontano tutta la truppa. Stefano e Giovanni. Dove? dove?... Zriny. Essi si sono diretti alla torre del ca­ stello, l’eroe Giurantico precede la caval­ leria e nella sua mano sventola una bandiera. Stefano. Sì, sì c’è anche Giurantico! Zriny. Che sento? Oh come risuona giulivo il canto della vittoria. Odi come cantano le gloriose lor gesta! (va al la finestra) Essi sono entrati nel cortile... smontano dai cavalli (dalla finestra) Siate i benve­ nuti, miei valorosi soldati, siate i benvenuti! Avete vinto per Dio e per la patria e questa vi premierà ben largamente! Sche- renk, va, apri le cantine, e le sale da pran­ zo, una refezione è necessaria a questo

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valoroso drappello. Scherenk. (parte)

Scena IV Alapi, Paprutovitsch, Giurantico con una bandiera turca e detti, alcuni popolani ungheresi Zriny. Amico! Alapi. Commilitone! Stefano. Giurantico! Aio. Avete vinto? Paprutovitsch. Sì, coll’aiuto di Dio. Quattromila tur­ chi giacciono sul luogo della disfatta, quasi immensa è la nostra preda. Giurantico. (gettando ai piedi di Zriny la bandiera) Ecco, o vecchio eroe! Io ho mantenuta la mia parola. Questa l’ho conquistata nel più fitto della mischia con un piccolo drappello. Ho sciolto la mia promessa, domandane pure ad Alapi. Zriny. Racconta pure, o amico; come finì la lotta? Alapi. Il condottiero Mehmed si era stabilito presso Sziklas con deboli forze, non atten­ dendo assalti di sorta, egli mandava intorno piccole schiere ed espugnava villaggi. Noi ci dividemmo in tre drappelli. Lupo coman­ dava quello a sinistra, io quello di mezzo e Giurantico quello a destra, indi mo­ vemmo incontro al nemico per vie na­ scoste, tutti però intesi di circondare il campo avversario. Tutto ad un tratto ci gettammo gridando sul nemico; timor pa- nico colse le sue truppe, e noi senza nessun ostacolo tagliammo a pezzi l’esercito in­ fedele. Solamente qualche drappello poté darsi alla fuga; gli altri, parte caddero sotto i colpi delle nostre spade, e parte, stretti dalla disperazione, si gettarono nei flutti, dove in gran numero trovarono la morte. Il condottiero stesso Mehmed si è annegato, suo figlio e molti nobili turchi furono fatti prigionieri; otto cammelli carichi straordinariamente d’oro, di bandiere e vessilli già presi ai cristiani in battaglie sfavorevoli, il bottino più svariato e co­ pioso che in altre battaglie abbiamo mai potuto conquistare, fu largo premio del- l’ardimentosa nostra impresa. Più di tutti però, o nobile conte, devo presentare le mie lodi a Giurantico, che confermò valo­ rosamente l’onore della spada, e superò

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di gran lunga la fama che s’avea fin qui guadagnato. Sì, a lui si deve l’onore di questo giorno, ché così è l’opinione di tutti i suoi fratelli d’armi, i quali tutti hanno compito il loro dovere di soldati, e avranno sempre a gloriarsi d’un’impresa così degna d’un prode. Zriny. Vieni al mio cuore, o valoroso giovane; un diploma di nobiltà come quello che oggi ti sei guadagnato tu stesso, non potrà dartelo nessun imperatore. Perché la tua nobiltà non finirà sulla terra colla fine dei tuoi nipoti, ma vivrà nelle canzoni del popolo, e nel dolce cuore della nostra pa­ tria! La vittoria la può premiare l’impera­ tore Massimiliano col farti cavaliere; ma il fatto eroico lo decanterà eternamente la voce dei secoli. Giurantico. (Nelle braccia di Zriny) Mio padre! Dio! Stefano e Giovanni. Lorenzo, Lorenzo Giurantico! Aio. Ricevi anche le mie lodi e le mie con­ gratulazioni, bravo giovane! Il giorno dello splendore per te è venuto, custodiscilo gelosamente. La prima sua aurora bacia le tue guance. E se la benedizione d’un vecchio può portarti felicità, io esulto nel poterla dare ad un tanto eroe. Zriny. Risparmiate le vostre gioie per giorni più quieti, questo momento vuole assenna­ tezza. Però lasciate che ancora una volta vi ringrazi: sì, grazie a tutti, miei buoni commilitoni! Voi avete provata la forza del valoroso vostro braccio, il turco si ricorderà a lungo del vostro nome; ma ora, miei nobi­ li amici, dobbiamo dar mano ad un’opera molto difficile. Il grosso dell’esercito è in mar­ cia forzata su Sziget, oggi stesso temo d’u- dire il grido di guerra “Allah”, terribile Allah, tuonare per l’aere; poche ore passeranno e vedremo ai raggi del sole cadente la mezza luna dorata splendere sui monti intorno a noi sopra le tende degli odiati Mussulmani. Così, o amici... (suono di tromba) Ah, che vuol dire questo segnale? forse qualche messo del nemico? o dell’imperatore? Lupo, che accadde? Paprutovitsch. (alla finestra) Pietro Willaky sale con pochi vassalli per la porta della torre. Zriny. Allora egli viene da parte dell’Impe­ ratore. Lupo, vagli incontro... introducilo. Paprutovitsch. (parte)

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Zriny. Egli è un valoroso soldato, e quan­ tunque giovane, è assai esperto nell’arte della guerra, e guadagnossi grande gloria nelle marce di Svedig. Ecco egli stesso viene.

Scena V Willaky e detti

Zriny. Salve, o Willaky; che notizia ci portate? Willaky. Questo scritto imperiale, e per di più, se il volete, me stesso. Zriny. Dono ben gradito. L’uomo valoroso vale molto in questo tempo, tenetevi per doppiamente ben venuto. Dite quando avete lasciata la corte imperiale? Willaky. Lunedì mattina. Zriny. Allora dovete aver cavalcato molto bene. Willaky. Mi spronò a questo la parola del sovrano e la mia volontà. E se lo richiede il ser­ vizio della patria, nobile signore, so fare di più che cavalcare. Zriny. I Turchi hanno già provato il peso del vostro braccio sui campi di Svedig. Non eravate voi allora a Pest? Mi sembra che anche voi, Willaky, siate annoverato fra gli eroi di quella gran giornata. Willaky. Quello che io feci, o nobile conte, non sono che azioni comuni. Voi invece, allor­ ché l’oppressa cristianità rammenta quella sanguinosa giornata, siete celebrato quale salvatore della patria. Zriny. Io combattei per Dio, per il mio po­ polo e per il mio sovrano: qualunque uomo l’avrebbe fatto. Ditemi come la va alla capitale. Io mi sogno Vienna piena di un guerresco allarme, ho udito che là si pre­ sentarono molti baroni stranieri. Willaky. Il pericolo di una prossima guerra coi Turchi ha attirato non pochi pii guerrieri per combattere in favore del cristianesimo. Il nobile conte di Polonia Alberto Lazco ha condotto dodici carri d’armi, e tre mila uomini scelti, che egli ingaggerà nella cavalleria ungherese, ché il suo re ha con­ chiuso pace coi Turchi. Il cavalleresco duca di Savoia Emmanuele Filiberto ci ha mandato 400 uomini sotto il comando del conte di Camerano. Dalla lontana Inghil­ terra venne da noi il cavaliere Grainville, il sere Enrico di Cambernon, il signor Fi­

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lippo Puzdell, e molti nobili Britanni a loro spese mandarono mercenari a marce forza- te. Vennero ancora il Duca di Guisa e il con­ te di Brisac accompagnati da molti cavalieri francesi; quello di Ferrara con 400 cavalieri, e così pure il nobile Duca di Mantova. Tutti questi - e chi conta gli eroi dei quali giornal­ mente si odono celebrare i nomi? - sono preparati per la guerra presso l’esercito del sovrano. Lucca e Genova mandarono oro, Cosimo de’ Medici 3000 mercenari, e gente senza numero, sia a cavallo come a piedi, piove da ogni parte della Germania per la prossima crociata. Il duca Wolfango di Zweibrüchen, il palatino Rinaldo, il pri­ mogenito del vecchio Duca di Baviera con numerose truppe e ben armati vassalli si annoverano fra gli armati. In tutto, l’eser­ cito può contare 80 mila uomini, il gran duca Ferdinando ne ha il comando. Il conte Gunter Swarzburg è il suo maggiore: il duca Federico di Pomerania porta la ban­ diera. Allorché io lasciavo la città, si di­ ceva che l’esercito sarebbe andato a piantare le tende presso la Raab, per poi muovere contro il nemico. Zriny. Non avete udito nulla del mio pri­ mogenito? Willaky. Il conte Giorgio è presso la guardia d’onore dell’imperatore: egli mi avrebbe dato volentieri il cambio. Egli sperava di poter entrare nell’avanguardia dell’esercito; io porto meco per voi i suoi più cordiali saluti. Zriny. Vi ringrazio, o Willaky, per la buona notizia. Rimarrete presso di noi? Willaky. Signor conte, se voi lo desiderate io rimarrò, mi batterò sotto le vostre bandiere. Io resto volentieri dove regna la serietà e la disciplina. Si sta troppo comodi nell’esercito dell’imperatore. Se l’unghe­ rese deve morire per la patria, muore però molto più volentieri in Ungheria, circondato dagli eroi del suo popolo. Zriny. Io vado superbo di voi. Questa è la più bella mercede per aver pugnato lunghi anni, allorché tali cuori confidano franca­ mente in noi. Il mio capitano Losky è costretto a letto per la febbre, e così vi concederò questa parte di cavalleria che in alcune battaglie si comportò valorosa­ mente. Nella prima sortita vi presenterò

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ai vostri subalterni. Willaky. Se non posso compensarvi colle parole, vi compenserò coi fatti. Zriny. Adesso, amici, aprirò la lettera del- l’Imperatore. Paprutovitsch, domanda agli artiglieri se tutte le porte sono ben chiuse, e i pezzi condotti sui bastioni; fa altresì la ronda per la guardia notturna, io mi fido di te. Paprutovitsch. Signore, io sono pronto al dovere. (parte)

Scena VI Detti senza Paprutovitsch

Zriny. (va nel fondo e legge) Willaky. (ad Alapi) Voi avete condotto a termine in si breve tempo gloriosi fatti; ritornate voi da qualche gloriosa spedizione? Alapi. Noi abbiamo battuto il Beg Mehmed presso Sziklas e 4000 Turchi con lui. Pos­ siamo inoltre contare 400 prigionieri. Aio. (a Giurantico) E’ lungo tempo che non riportasti un trionfo così glorioso. Stefano. Non sei felice, o Lorenzo? Giurantico. Se lo sono! mi si aperse un intiero paradiso, mi sento così ricco! Aio. Il mio signore è molto preoccupato: ri­ tiriamoci da parte. Alapi. Mi pare che quella lettera non gli abbia portate troppo buone notizie. Willaky. Amico, in confidenza questa volta mi sembra che questo silenzio minacci cose serie. Se almeno le donne e i fanciulli fos­ sero al sicuro fuori da questo castello. (si fanno indietro) Zriny. (si avanza e parla fra sé) Io mi devo aiutare senza speranza di soccorso, e devo da uomo d’onore resistere fino all’ultimo soldato. Dunque egli dice che il suo eser­ cito è troppo debole, che egli non vuole mettere a repentaglio il bene della cristia- nità decidendo tutto in una sola giornata. Allora egli aspetta presso la Raab il gros­ so dell’esercito, egli dice di conoscere me, il mio popolo e la nostra provata fedeltà. Dunque morire per la patria è adesso il mio dovere. Tu però, o Massimiliano, mi conosci! Ti ringrazio della tua imperiale fiducia. Tu conosci Zriny, e a buona ra­ gione non t’inganni. Io non agogno mi­ glior premio per la mia fedeltà, che di morire per il mio popolo, per la mia fede. Ma

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fermati, o Zriny, a che pensi, dimentichi la tua sposa e i tuoi figli? Essi devono ora anzi subito partir per Vienna, rifu­ giarsi presso l’Imperatore. No, non può essere; il popolo perderebbesi di coraggio se vedesse il duce dubbioso sull’esito della pugna. Già due volte la fortezza è stata assalita, e sposa e figli rimasero nel castello. Questo è forte, il popolo provato e fedele. Se proprio ci trovassimo agli estremi c’è una via segreta... essi possono rimanere. Se la sorte lo vuole, anche la moglie e i figli dell’eroe sapranno morire per la pa­ tria... essi dunque restino. O mio sovrano, in questa battaglia ti darò prove della mia fedeltà. Tutto consacro a te e alla reli­ gione: la mia casa, il mio popolo, tutti i miei beni, perché nulla è più caro della patria.

Scena VII Detti e Paprutovitsch

Paprutovitsch. Signore, quanto avete comandato tutto è compito. Le fosse sono fortificate, e le porte della città sono state chiuse con grande cura; e ben era tempo, nobile conte. Dalle torri vien detto vedersi all’estremo orizzonte truppe di Turchi dirigersi a que­ sta volta. Cinque villaggi sono già in fiam­ me; scarse truppe si trovavano in vicinanza di Fünfkirchen. Un giovane corse per an­ nunziarci la presenza del nemico, e ci disse che Hibraim condurrà l’avanguardia ed oggi stesso verremmo alle mani se tentas­ simo di fare una sortita. Zriny. Se cosi è, avvisate il mio popolo, chi può portare un’arme venga e si unisca ai miei soldati nel cortile del castello. Quello che vi dico è la volontà dell’im­ peratore, è il volere di Zriny. Paprutovitsch. (parte) Willaky. Ma la contessa e i figli non parti­ ranno per Vienna intanto che le strade sono libere? Io penso, conte, che questo sia un luogo cattivo per i deboli. Aio. Quanto alla contessa, ella mi diceva poco fa, che non si sarebbe per verun conto staccata dal marito, e che del resto, nel caso d’un attacco, come ormai sembra inevitabile, ella avrebbe potuto far molto qui, esperta com’è nell’arte salutare.

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Alapi. Ma e i figli? Aio. Che penserebbe il popolo dell’esito del- l’impresa, se il capo trema? Giurantico. Sziget è ben fortificata, e noi, per grazia di Dio, siamo uomini che non dob­ biamo temere. Aio. Noi niente, perché siamo uomini, ma questi innocenti! Alapi. Amico, noi combatteremo più lieta­ mente se li sapessimo sicuri. Stefano. Babbo, teneteci con voi. Zriny. Ebbene rimanete! Iddio m’è testimonio che lo faccio pel maggior bene. E poi... più tardi... ci sarà ancora tempo. Adesso al lavoro. Andate, aspettatemi nel cortile, un’arma e poi verrò a parlare al popolo. Alapi e Willaky. Faremo quello che ci avete co­ mandato. Zriny. Arrivederci. Popolani. (partono) Zriny. Andiamo, o figli, da vostra madre. Ella deve adornare lo sposo per le nuove vittorie, ella che mi armò alla prima bat­ taglia. (partono tutti)

Scena VIII Il cortile di Sziget. Willaky, Alapi, Paprutovitsch, Giurantico, popolani e soldati Alapi. Io non vidi giammai il conte com­ posto a tanta solennità, sebbene molte volte gli fui a fianco nelle pugne. Il suo sguardo di eroe brilla così infiammato e gioioso, che non posso dire che pensi. Giurantico. Il leone è sempre animato allorché è per dare una pugna. Accade anche a me così. Il clangor delle trombe m’infiamma lo spirito e m’invigorisce. Paprutovitsch. Quello che ti anima non è che ardor giovanile, quello che infiamma Zriny in­ vece è amore per la patria. Allorché un cuore è preso da questa fiamma, questo sentimento è ben più sublime d’una sem­ plice smania di battaglie. Willaky. Mi sono già consacrato alla morte per la patria e pel mio sovrano; questo mi pare sia di tutti noi. Ma non a tutti gli orecchi la piace così. Gli è vero, alcuni hanno il coraggio per il momento, se un esempio luminoso li trascina entusiastica­ mente all’azione, ma non ognuno può fis­ sare senza rabbrividire le nuvole sangui­

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nose della guerra. Però se il tempo stringe, anche la volontà deve essere pronta. Siamo ungheresi alla perfine e Zriny è il nostro condottiero. Alapi. Ecco, viene il conte. Paprutovitsch. Ora, fratelli, sapremo tutto. Adesso che lo vedo, do ragione a Willaky. Giurantico. Andategli incontro, viene il nostro capitano. Evviva il prode Zriny, evviva il nostro eroe. Tutti. Evviva! Evviva! Evviva!

Scena IX. Zriny (armato), e detti

Zriny. Vi ringrazio, miei fratelli. Siete radu­ nati tutti? siete poi uomini capaci per portar l’armi come io comandai? Paprutovitsch. Essi lo sono, mio nobile conte. Zriny. Allora ascoltate bene le parole del vostro capitano; il Turco si dirige su Szi- get con truppe innumerevoli, e vuole il nostro sterminio. Perciò, o fratelli, mettete in opera il vostro valore. L’imperatore Massimiliano si trova ora presso la Raab, dove ha piantato le tende, ma essendo troppo debole per affrontare il nemico in campo aperto, pensa essere temerità l’av­ venturarsi ad una giornata campale col venirci in soccorso. Egli confida perciò su noi e sull’irremovibile fedeltà dei petti ungheresi quando si tratta di combattere per Iddio, per la patria, e per la libertà. Non risparmiate la vostra forza, tutto un in­ tiero mare viene ad infrangersi contro un’iso­ la, ma questa è duro scoglio. Non paventate la moltitudine dei nemici: siano pure cento Turchi contro un solo ungherese; oh, ma Dio e gli Angeli santi sono con noi. Io mi sento nel petto la forza di un esercito, tutta la cristianità sta col cuore lacero pregando per la vittoria di questa nostra piccola truppa. Dovunque sovra di un monte er- gesi inalberata una Croce, tutti pregano per noi e pel nostro trionfo. Se io in­ contrerò la morte prima di voi, allora sia Alapi il vostro capitano e cercate di ub- dirgli come se in lui vedeste il vostro Zriny. Adesso ascoltate la mia volontà, la parola del vostro vecchio capitano: chi rifiuta l’obbedienza ai suoi comandanti deve morire sotto la mannaia: chi lascia anche

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per un solo momento il posto destinatogli senza essere chiamato, deve senza altro morire. Chi manda una lettera ai Saraceni farà la morte dei traditori: le lettere dei nemici, niuno le legga, si gettino nell’onde. Due che vengono colti in sospettoso affa- cendarsi, e che si sussurrano all’orecchio qualche cosa devono essere appiccati. Chi li vede, e per amicizia non li accusa, morrà della stessa morte, poiché, fra noi destinati alla morte, non ci vogliono segreti. La fucilazione che verrà eseguita nella torre del castello, dimostrerà la severità della mia parola. Quello che oggi verrà fucilato è il prigioniero Draco, con lui morrà pure il capitano della truppa dei Giannizzeri, che bestemmiò contro la nostra religione. Una grande Croce rossa, il segno della nostra Redenzione, sia piantato sulla nostra porta, e annunzi a quei cani di turchi, come e per chi l’Ungherese sa pugnare e morire. E come adesso il vostro capitano s’ingi­ nocchia davanti a Dio e pronuncia questo terribile giuramento, così farete ancor voi e giurerete voi pure sulla mia spada. (egli va verso il proscenio e si inginocchia) Io Nicolò conte di Zriny, giuro avanti Iddio e davanti agli uomini, d’essere fedele a Dio, all’imperatore ed alla mia patria, e fedele sino alla morte. Nell’estremo istante di mia vita mi abbandoni il cielo, se mai io vi ab- bandonassi, se non volessi dividere vittoria o morte cogli Ungheresi miei fratelli. (si al­ za) Adesso, o mio eroico popolo, giura, co­ me io ho giurato. Tutti. (s’inginocchiano, e i quattro capitani appoggiano le loro spade su quella di Zriny) Willaky e Alapi. Giuriamo fedeltà, o Zriny, a Dio, all’imperatore, alla patria ed a te fino all’ultimo momento di nostra vita. Tutti. Fino alla morte, fino all’ultimo uomo. Giurantico e Paprutovitsch. Sì ti giuriamo, o nostro capi­ tano, di seguire te, ovunque la tua volontà ci voglia condurre, fino alla morte, fino all’ultimo uomo! Tutti. Sì, fino alla morte, fino all’ultimo uomo. Zriny. Dio ha udito il nostro giuramento, e piomberà tremendo sul capo dello spergiuro!

ATTO III Nella tenda del gran Sultano avanti Sziget

Scena I

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Mustafà, Alì Portuk Alì. Non l’ho io forse predetto? Per Allah, noi non soggiogheremmo questi Ungheresi così presto, se il coraggio di Zriny li anima. Io lo conosco! Mustafà. Non lo dire al gran Sultano. Il vecchio leone è d’un umore assai cattivo. Begler Beg ha già esperimentata la sua ira. Questi avventurieri non aspettarono che noi li sfidassimo alla pugna, pieni d’ardore si pre­ cipitarono fuori dalle loro porte e vennero a cercarci in aperta battaglia; un pugno di gente; eppure ben 2000 Turchi abbiam dovuto seppellire alla sera!... C’è da im­ pazzire! Alì. Non l’ho io detto?... Già noi potremmo essere, marciando per la via diretta, alle porte della capitale, ed invece sciupiamo qui le nostre forze contro questo scoglio!... Intanto l’imperatore Massimiliano raduna le sue truppe... E dopo aver sacrificato il fiore dell’esercito per espugnare questa fortezza, dovrem poi muovere, benché sfi­ niti, contro questi nuovi nemici! Ah, la è ben dura! Mustafà. Amico, amico, e la tua testa?! Alì. E’ forse la tua più sicura, perché taci vedendo tanta pazzia? Se non ci riesce un po’ meglio l’assalto di domani, dovremo pagare il fio per la stolidezza del Sultano, ed egli estinguerà la sua rabbia nel san­ gue dei suoi schiavi.

Scena II Mehmed e detti

Mehmed. (gridando nella scena) Si desista dal- l’assalto, alla ritirata! Correte più che po­ tete! Fatica perduta. Inutilmente venne sparso sì nobil sangue. Correte più che potete, si suoni la ritirata! (ad Alì) Ma­ ledizione! Voi ci avete dato cattivi pro- nostici, ma ben peggiore è l’evento! Alì. Sì, o Sokolowitsch, io prevedeva qualche cosa, ma a Solimano non piace siffatta sa­ pienza, non farebbe fortuna presso di lui un profeta. Quanto ci costa l’assalto d’oggi? Mehmed. 3000 dei nostri migliori soldati. Non avete forse veduto? Zriny come un cin­ ghiale ferito precipitava dalle mura quanti ardivano salirle. A mucchi cadevano i mi-

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seri! Mustafà. I giannizzeri han combattuto da forti. Alì. A che giova il valore contro un tal popolo, che nella sua pazzia di sacrificarsi per Dio e per la patria, va alla morte come a banchetto nuziale! Fidatevi di me, io lo conosco... questo è lo spirito che li anima, quello spirito che avanti a Rodi ci costò migliaia di soldati ed avanti a Malta la nostra gloria medesima. Mehmed. Hai veduto il gran Sultano? Mustafà. Aspettiamo qui nella tenda la sua volontà. Non siamo ancora stati chiamati. Mehmed. Silenzio, mi pare di sentirlo venire. Faccia il cielo che ascolti benignamente il mio annunzio, poiché è assai pericoloso recargli una tale novella. Alì. Egli viene. Mehmed. Soccorretemi, Alì, colla vostra parola, se la mia non vale, egli ha molta fiducia in voi.

Scena III Solimano e detti

Solimano. Quali nuove, Visir? Mehmed. L’assalto fu ribattuto. Solimano. Che vi cogliesse la peste! Chi diede il comando di ritirarsi? Mehmed. Quando io vidi inutilmente e senza alcuna necessità cadere a mille a mille i prodi Giannizzeri, feci suonare la ritirata per risparmiare i tuoi popoli alla fortuna di un giorno più bello. I bastioni non possono resistere a lungo ai nostri cannoni; essi crollano, e sopra le loro rovine irromperà il tuo esercito, e sulle cime di Sziget pian- teremo la mezzaluna. Solimano. Che Sziget debba cadere, lo so anch’io, ma quello che m’importa è l’istante. Do­ vessi io comperarlo con milioni di vite! niente mi sarebbe troppo caro, pur di gua­ dagnare il tempo che vola. Non ho mai fatto economia d’uomini, debbo io forse apprendere questo odioso mestiere nei miei ultimi giorni? Tu mi conosci, Mehmed, temi il mio sdegno! Sulle tue spalle io pongo il mio volere, è egli più pesante della tua debole forza? Bada bene, esso può stritolarti. Mehmed. Se sbagliai, mio signore e imperatore, il feci con buona intenzione.

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Solimano. Ubbidire deve lo schiavo, il ponderare è uffizio del suo signore, ricordatelo. E che? indugi? che hai da pensare? L’assalto io voglio, l’assalto! Se non vanno di lor vo­ lontà, spingili alle mura a forza di cani e di sciaù. L’assalto, voglio l’assalto io! Alì. Mio signore ed imperatore, accorda al tuo schiavo di proporre umilmente alla tua saggezza una sola parola. Solimano. Che hai?! Alì. Non dar oggi l’assalto. Ancor questa notte io farò cannoneggiare città e fortezza con tutta l’artiglieria. Si possono sostenere ancor solo per poco tempo, credilo. Fa trarre dinanzi a te l’ungherese, che fu fatto prigione, egli potrà palesare come stanno le cose in Sziget. Concedi all’esausto eser­ cito solo un breve riposo. Un ritardo fu spesse volte più giovevole che una tal pugna, la vittoria non si può sempre ottener colla forza. Solimano. Io invece la voglio ottenere e la otterrò!... Alì. Pensa a Malta! Solimano. Morte e inferno! Alì non me lo ri­ cordar più se t’è cara la testa! Io ti sop­ porto più che non s’addice al Gran Solimano. Alì. La mia vita è nelle tue mani! Solimano. Giacché il sai e tuttavia mi dici fran­ camente ciò che pensi, ti voglio perdonare: amo la franchezza che non teme la morte. Per darti un segno della mia grazia ap­ provo il tuo consiglio, ed oggi non do l’assalto. Conducimi innanzi l’ungherese. Alì. Subito, signore, l’ho già fatto chiamare. Mustafà. E’ un prode soldato, che noi non avremmo potuto pigliar vivo giammai, se con una sciabolata alla faccia non fosse caduto da cavallo privo di sensi, e solo coll’aiuto dei nostri medici rinvenne. Da sé stesso egli viene a questa volta, sfinito e languente; nei suoi occhi brilla ancora una scintilla di fuoco, ma il vigore dei muscoli ha ceduto al dolore.

Scena IV Willaky (gravemente ferito e sfinito viene sorretto da un Agà) e detti Solimano. (L’aspetto è virile, ardito è il volto come quel d’un eroe. Posso ben andar superbo di aver simili nemici). Chi sei, bra­

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vo giovane? parla! Willaky. Un ungherese ed un cristiano; cosicché ho doppio diritto al tuo odio. Solimano. T’immagini forse ch’ io mi abbassi a odiare un singolo miserabile? Mai non numero le gocce de’ miei mari. Il mio odio colpisce soltanto il popolo come popolo. Dimmi: Come stanno le cose in Sziget? Willaky. Espugnatelo, ed allora il saprete. Mehmed. Schiavo temerario, parli così al Gran Sultano? Willaky. Sei tu il suo schiavo, io nol sono. Un libero ungherese non s’inchina che avanti a Dio e al suo re. Solimano. Tu mi piaci, o cristiano; ciò che pensi dillo senza riguardo. Se io non conoscessi il nobile pensare degli ungheresi mi darei io forse tanta fatica per questo paese? Gode il leone, se l’orso gli ubbidisce, non se il cane e il gatto adulando lo salutano come il re degli animali. Willaky. Tu, leone, guardati bene dal tuo orso, un vero orso non teme la tua criniera. Solimano. Allora egli deve imparare a conoscere la mia zampa. Ebbene, cristiano, come stan­ no le cose a Sziget? Pianterò presto la sacra bandiera della vittoria sulle mura espugnate? Se tu ti ostini nel tuo silenzio, ti farò parlare con ogni sorta di tormenti, e morte ed infamia ti attendono. Willaky. Ciò che tu hai ad udire da me, o Gran Sultano, non meritava, affé di Dio, tutte queste parole. Allontanati te lo con­ siglio; contro quelle mura si romperà la tua fortuna. Nicolò Zriny non la cede a La Valette, né l’Ungherese al Maltese. Tu stai assediando per la seconda volta la fortezza di S. Michele, ma indarno. Solimano. Io vinsi l’Africa e dettai legge all’A- sia. Credi tu, o stolto, che il tuo pugno d’Ungheresi sia invincibile? Io sto accam­ pato d’innanzi a queste mura con 200.000 uomini, bastanti per conquistare l’Europa intera. E saranno desse per me inespu­ gnabili? Willaky. La moltitudine s’infrange contro il valore. Gli abitanti di Sziget possono ben più che i tuoi 200 mila combattenti. Essi sanno morire per la vera fede non già con un coraggio da ubriachi, come le orgo- gliose tue truppe, bensì come si addice ad un eroe: freddi, risoluti, prudenti.

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Solimano. Sì, morir dovranno tutti i temerari, che con sciocca ostinazione spingono la na­ ve sovra la cateratta di un fiume; esso preci­ pita trascinandoli con sé nella profondità de’ suoi gorghi, e il suono del loro nome sarà reso dimenticato dal tempo. Willaky. No, Solimano; il loro nome vivrà e rifulgerà eternamente come una stella nel turbinoso avvicendarsi degli anni fino alla più tarda posterità del loro popolo. Grande cosa potrà essere l’entrare quale vincitore nel mondo espugnato e soggiogato e di­ ventar così erede della terra. Ma credimi è una gloria ben più sublime, se l’uomo all’appressarsi d’una funesta meteora che minaccia la distruzione dell’universo, sa far sacrificio di sé stesso per la libertà del suo popolo, se egli sa sostenere un mondo intero in armi contro di lui. Su te, o So­ limano, pronunzierà il suo giudizio la po­ sterità, e imprimerà sulla tua fronte il marchio della tirannide. Questo io ti dico! Ve’ come tremano questi bambocci, perché io ho gettato senza timore questa grande e inaudita parola in faccia al Sultano. Sì, o Solimano, i posteri saranno i tuoi giu­ dici. Vincesti è vero più di una battaglia, ma quella gloria che tu fondasti sovra mucchi di cadaveri umani, sulle rovine di città e sovra un mezzo mondo soggiogato, non pareggia la gloria d’un Filippo de Villers, uomo che aveva un cuore ed una forza da eroe, e che pure fu vinto da te. Ora, o Solimano, chiama pure i tuoi carnefici, che la mia vita è finita con queste parole. Ciò ch’io ti dissi nessuno tel dirà forse mai più. Solimano. Cristiano, tu sei in libertà. Che cosa può egli mai importare alla luna se il cane le abbaia? Ti dono poco per Allah, se ti dono la vita. La vita vale molto solo a grandi uomini. Strisciare nella polvere non è vivere. Willaky. A questo prezzo non la bramo la vita! Tu devi stimarmi e poi darmi la morte! Solimano. Cristiano, già da gran tempo ho di­ simparato a stimare gli uomini. Willaky. Così imparalo da me. Non voglio grazia da un nemico. (si sfascia la ferita) Scorri, o mio sangue, qui, o sul campo di battaglia è tutt’uno, io muoio finalmente pel mio popolo, per la mia patria. Male­

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dizione a te, o Solimano! e viva il mio grande Imperatore! (casca privo di sensi) Solimano. Pazzo!... pazzo! Se l’Imperatore Mas­ similiano ha molti amici di tal fatta, egli può chiamarsi ben ricco! Portatelo fuori della tenda e se si può ancora richiamarlo alla vita, sia curato bene e si chiami Levi. (Willaky viene portato via)

Scena V Detti, senza Willaky

Solimano. (parlando a sé) Cristiano, cristiano tu hai pronunziata una triste parola. Mehmed. L’Imperatore sembra immerso in profondi pensieri e assai commosso. L’au­ dacia di quest’ungherese l’ha rattristato. Mustafà. Amico, io temo pel vecchio Leone. Alì. Questa mane trovai qui nella tenda Levi; il vecchio medico, lo sperimentato Ebreo. E quando gli domandai come stesse l’Im­ peratore, egli alzò le spalle e disse che questa spedizione è riuscita più fatale di quanto avesse mai potuto prevedere. E’ necessaria la gioia d’una vittoria per richia­ mare il vigore nelle sue vene. Mustafà. Egli è più ammalato di quello che egli stesso non creda. Se possedesse l’antico vigore e l’antica ferocia, non avrebbe per­ donato così all’ungherese. Mehmed. Ritiriamoci, egli sembra riflettere, vedete come corruga le sopracciglia. Riti­ riamoci e lasciamolo sognare. (I principi si ritirano) Solimano. Confessalo pure a te stesso, o vecchio e canuto eroe! A tanta audacia tu non eri pre­ parato, tu non ti sognavi un’altra Malta. Ci sono ancora degli uomini che sanno conqui­ starsi la mia stima. Pensa ai compagni di Zriny; sarebbe una stoltezza l’arrischiare un tempo d’inestimabile valore per questo pugno d’avventurieri, fanatici che nulla han­ no da perdere se non la vita. Essi cadranno una volta: dovessi io pure riempire le fosse coi cadaveri dei miei giannizzeri, dovranno cadere! Ma guadagnar tempo, questo è il grande studio. Intrapresi io forse questa spedizione per espugnare Sziget? Il mio piano, la mia onnipossente volontà non ab­ bracciavano adunque se non un lembo di terra, un pugno di gente, questo avventu­ riere, questo Zriny? Non mi sono io armato

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per conquistare l’intera Europa? non vole­ vo io forse dalle espugnate mura di Vienna dettar la mia legge ai popoli tedeschi? Invece son già più lune ch’io sto combat­ tendo davanti a questa fortezza per fran­ gere su queste rupi la vecchia testa di quel caparbio? E tutto ciò per la gloria di snidare duemila ungheresi da una to- paia? Sarei pazzo, maturo per un manico­ mio, se volessi terminar qui la mia grande e brillante carriera d’eroe e così misera­ mente sprecare più a lungo le mie forze in una pugna affatto comune. No, no!... per Allah!... no!... questo nol voglio... il sento, ho ancora poco da vivere!... La rabbia mi rode il midollo della vita. Perciò bisogna far presto!... Sziget deve cadere, e Gynla puranco, prima che io mi possa accingere all’ultima battaglia con l’Imperator Mas­ similiano d’Asburgo... E’ deciso... Chi conquista il mondo può ben donare un regno in elemosina, Sziget deve esser mio... come?... ciò non m’importa... mio deve essere. Non si fa conto di nessun tesoro quando si vuol possedere un inestimabile gioiello!... Visir!... Mehmed. Mio signore, ed Imperatore? Solimano. Presto a Sziget! Domanda un colloquio col conte Zriny. Egli mi si deve arrendere. Resistere sarebbe una pazzia, e cosa non degna per un eroe. Offrigli la Croazia come regno ereditario, e quanti tesori egli possa desiderare... Ora per me vale più Sziget... Digli ch’io lo voglio amico ed alleato... solo ch’egli mi si arrenda. Fagli noto tutto ciò. Hai tu compreso? Croazia come regno ereditario. Adopera tutta l’eloquenza della tua lingua, io te ne ricompenserò, come niun imperatore potrebbe ricompensarti... basta ch’egli mi si arrenda. Mehmed. Signore, ed Imperatore, conosco ab­ bastanza Zriny per dubitare che le vostre proposte riescano a qualche cosa. Solimano. Devono riuscire... devono, il voglio! Digli: Se egli non mi si arrende, met­ terò tutto in distruzione, nessun fanciullo verrà risparmiato, e donne e giovanette abbandonerò ai miei schiavi! Fermati! Non si diceva che ieri il giovane Conte Zriny, è caduto in mano dei nostri in una scorreria? Mehmed. La notizia non è confermata.

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Solimano. Ciò non monta. Digli che suo figlio è in nostro potere. E se egli non mi con­ segna il castello, ne farò tale strazio quale non si vide ancora da nessun uomo, voglio inventare tormenti tali che l’inferno istesso n’avrebbe orrore. Offri alla sua scelta: una corona o il lacerato cadavere di suo figlio. Se egli, per Allah, non accetta la corona, se egli non vuole il regno, io rimango per­ ditore nella grande partita coll’umanità. Un istante solo vendica l’intero mondo da me calpestato.

Scena VI La grande camera a Sziget

Zriny, Alapi, Giurantico, Paprutovitsch. Alcuni capitani ungheresi si avanzano dal fondo della camera Zriny. Che ne dite, miei fratelli d’armi, devo io sostenere più a lungo la città nuova? devo io confidando nella solidità delle sue mura aspettare il secondo assalto? o devo far volare le rachette negli abituri dei cit­ tadini, per distruggere di mia propria mano, ciò che non può difendere la nostra spada? Giurantico. Non crudeltà, amato padre! Il tristo mestiere degli incendiari lascialo ai gianniz- zeri. Il cittadino, che pieno di fiducia con­ fidò alla nostra difesa i suoi averi, deve veder volare le rachette di là dove egli sognava di trovare rifugio e difesa? I ba­ stioni sono forti, il popolo coraggioso e fedele. Aspettiamo un altro assalto, essi forse perderanno il coraggio contro la no­ stra forza, ed allora noi avremo salvato all’imperatore una città ed ai fedeli citta­ dini i lor beni. Zriny. Le tue parole fanno onore al tuo sen­ timento. Godo di te che propugni così cal­ damente il benessere degli uomini. Chi nella lotta eguaglia il leone, non ne deve dimen­ ticare la generosità. Ma d’altra parte, ben­ ché tu possa sfidare gli altri tutti nel co­ raggio, sei tuttavia il più giovane e ti manca quello che più si richiede nei pre­ senti bisogni: l’esperienza. Parla tu, mio vecchio amico. (ad Alapi) Alapi. Ciò che Lorenzo consiglia per amore d’umanità, l’ho ponderato ancor io e se­ riamente, e volentieri vorrei salvare la po­ vera città, ma pochi sono i nostri e troppo grande è il bastione, perché tu possa co­

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prirlo colla tua piccola schiera; non dap­ pertutto possiamo noi opporre bastante resistenza ai giannizzeri. Per di più la città fu oggi terribilmente danneggiata e bom­ bardata da Alì Portuk; rovinate sono le torri e nel prossimo assalto noi non possia- mo impedire una breccia. I cittadini tra­ sportino adunque al più presto possibile gli averi nella città vecchia, ed allora le rachette spicchino il funesto lor volo; vada pur tutto in fiamme, piuttosto che offrire ad Ali Portuk il modo di fortificarsi, e più facil­ mente prendere d’assalto la città vecchia. Zriny. Tale è puranco il mio parere, vecchio camerata. Paprutovitsch. A me sembra di non comprendere una cosa. Vorrei quasi perdere il dovuto rispetto, quando penso che l’Imperatore Massimilia­ no se ne sta trincerato con ottanta mila uomini presso il Raab, e non fa vista al­ cuna di voler liberarci da questo assedio. Non gl’importa adunque nulla del suo fedele presidio, nulla della sua fortezza? della vita di questo grande eroe? C’è di che impaz­ zire al pensarvi! sacrificare così i suoi fe­ deli, coloro che egli poteva salvare e con­ servare per un tempo migliore. La capisca chi può questa faccenda, ma io non ci riesco. Zriny. Amico, non oltraggiare il nostro Im­ peratore, egli ha da sopportare abbastanza pesi e fatiche, e i cattivi gli sbarrano di frequente la via; risparmiagli questo penoso pensiero che vi sieno anche dei buoni che nol conoscono. La vita appare altrimenti dal trono. Il so, ciò accora il suo cuore paterno, e gli costa nel silenzio più d’una lacrima il sapere me ed il mio esercito consacrati alla morte. Ma la sua volontà è piena di sapienza, ed io m’inchino da­ vanti al suo volere. Qui noi, benché in piccolo numero, possiamo tuttavia essere utili a qualche cosa. Noi costiamo all’ini­ mico più d’una battaglia e Massimiliano ha il tempo di radunare i suoi popoli. Ma che cosa valiamo noi in un grand’esercito? Se tu vuoi conquistare ed avere un mare intero, non hai mai fatto conto delle gocce perdute. Il singolo sparisce tra la molti­ tudine. E un diritto dell’Imperatore, egli può domandare il sacrificio di mille, se questo vale la salute di milioni.

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Scena VII Detti, e un capitano ungherese

Capitano. Un principe dell’esercito Turco s’è fermato davanti al portone, e desidera di trattare con te per la pace. Ma la sua missione riguarda te solo e vuol parlarti senza testimoni. Zriny. Devo ascoltarlo? Alapi. Ciò non può esser di danno. Sarei curioso di sapere quali nuove egli porti. Zriny. Introducilo! Voi restate nel corridoio pronti ad un mio cenno. Per ciò che ri­ guarda la città nuova uditemi: ogni cit­ tadino procuri di salvare il meglio de’ suoi averi; apprestate delle materie incendiarie. Ad un mio cenno il fuoco avvampi nei sette angoli della città. (Tutti partono eccetto Zriny)

Scena VIII Zriny solo

Zriny. (va alla finestra e guarda la città) Ecco la sventurata città... Un sogno di pace aleggia ancora mestamente sovra i suoi tetti; tace il rombo del cannone, la lunga pugna ha esausto le forze dell’amico e dell’inimico. La quiete dei tempi passati regna per le contrade. Tranquillo ognuno attende ai suoi affari. Essi chiudono le loro porte non pensando che verrà un giorno dopo il quale non le apriranno mai più. Essi non presagiscono, che il fulmine sper- ditore di tutti i loro sogni, già rugge nelle gravide nubi aspettando la mano che lo sprigioni sulla terra. E tutta questa pro­ sperosa città dovrà rovinare ad un mio segno? Dio pone tutta questa ridente fe­ licità in mia mano... ed io la distruggo?... Il posso io?... posso esigere il sacrificio dell’altrui vita?... La mia la posso arri­ schiare, posso sacrificare i miei figli, la mia sposa, i miei amici, coloro che di propria volontà si legarono al mio destino... e... dovranno, benché innocenti, far parte della mia rovina! Ma... quei miseri? Debbo io usurpare l’ufficio dell’Angelo di Dio?... il devi tu, o Zriny?... quale mestizia m’assale? che significano queste lagrime, tu piangi, o vecchio eroe? La patria vuole il tuo braccio; di fronte alla patria deve tacere

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il tuo cuore e ogni altro tuo sentimento.

Scena IX Zriny, il capitano ungherese, poi Mehmed

Capitano. Il principe Turco. Zriny. Son solo, entri. Capitano. (parte) Mehmed. (entra) Zriny. Come, tu, Sokolowitsch, il gran Visir? Benvenuto sii tu, qualunque sia l’annunzio che tu m’apporti. Il sultano deve vole­ re cose di somma importanza da Zriny, poiché egli manda il primo del suo esercito. Mehmed. Il mio signore, il gran Solimano, ti manda i suoi saluti ed esorta te e i tuoi compagni a consegnare la fortezza al suo esercito, rammentandoti che la vostra re­ sistenza sarebbe ormai inutile, e che tutto in fine sarà perduto. L’Imperatore onora il tuo coraggio e non vorrebbe trattarti come nemico. Perciò egli è disposto ad accordarti ogni pretesa, purché sia onore- vole e stia nelle sue mani, a patto che tu gli consegni oggi la fortezza. Nel caso contrario egli continuerà gli assalti senza alcun riguardo. Morte! sarà la parola d’or­ dine, e tutto ciò che ha vita cadrà sotto la sua scure. Zriny. Non vuoi nient’altro da me, o Sokolowitsch? Avresti potuto risparmiare la strada. Io sono Zriny: questa è la mia risposta, e se Solimano mi onora come eroe, non può chiedere da me un tradimento. Del modo con cui egli tratterà questa povera fortezza dopo la presa, dovrà renderne conto ad un altro. Io faccio qui quello che debbo fare. Mehmed. Se tu fossi soltanto un eroe, mi pia­ cerebbe questo tuo discorso, ma tu sei uomo e padre. Pensa, Zriny, all’ira del Gran Sul­ tano; egli non risparmierà neppure le don­ ne, e giurò, dove tu non ti arrenda, di abbandonarle ai suoi schiavi. Tu puoi mori­ re in battaglia generosamente da eroe: ma pensa alle tua donna, Zriny, inorridisco al pensarlo. Queste tenere creature in balia del furor dei soldati, vergognosamente strozzate. Zriny. Sei un bravo pittore, o Gran Visir, se si tratta di far agghiacciare il sangue nelle vene. Mehmed. Accogli un consiglio, Zriny. Zriny. Povero turco! Tu non conosci il co-

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raggio che anima la donna. Lascia pure che i tuoi servi si sfoghino sulle povere vittime. Ella è la moglie di Zriny, Mehmed, e saprà morire. Mehmed. Egli non vuol già la fortezza senza alcun compenso. Molto gl’importa questa fortezza e puoi ben conoscerlo dalla ricom­ pensa ch’egli ti offre: tu avrai la Croazia come regno ereditario, e quanti tesori po­ trai bramare: inoltre egli ti onorerà alta­ mente quale amico ed alleato. Zriny. Onta ed infamia sul tuo capo, Mehmed, che ardisci offrire a Nicolò di Zriny tanto disonore. Dillo pure al Gran Sultano: ad un Ungherese importa più l’onore che una corona reale. Egli può distruggere me, il mio popolo, ma deve lasciare intatto il mio onore. Questo non può devastarlo come un paese; fino a tal punto non arriva la sferza d’un Gran Sultano. Mehmed. Se nulla ti commuove, uomo di duro cuore, ascolta la mia ultima parola, e inor­ ridisci. Tuo figlio, il tuo primogenito, ieri fu fatto prigione in una scorreria, e condotto al campo. Se tu non t’arrendi, giurò il Gran Sultano d’inventare tormenti davanti ai quali, l’inferno stesso fremerebbe d’orrore, e di punire l’ostinazione del padre cogli strazi del figlio. Zriny. Mio figlio!... Giorgio!... Dio!... Quanto è pesante la tua mano su questo mio po­ vero capo! Mehmed. Risolvi, i carnefici son già pronti. Zriny. Qui non c’è nulla da risolvere. Zriny è preparato a tutto. Martoriatelo, tormen­ tatelo, strappategli con tenaglie arroven­ tate la lingua! Giorgio è mio figlio, mio figlio! egli muore da eroe. (gridando fuori della porta) Paprutovitsch, il fuoco alla città nuova! La più calda preghiera che il suo povero genitore solleva a Dio per lui è ch’egli muoia degno de’ suoi padri. Dio ha esaudito la mia preghiera, io sono contento. Fra le vostre scuri, e le vostre spade, egli muore per Dio e per la patria. (come sopra) Il fuoco sulla città nuova. Alle fiam­ me tantosto. Domandategli fra i suoi tormenti se egli vuole comperare la vita col disonore del suo genitore. Sì, doman­ dateglielo pure; ma mio figlio griderà: “Giammai!” e morrà. Mehmed. Davanti a tanta grandezza io sono

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costretto ad inchinarmi. Zriny. Oh, non credere che l’ultimo fra i miei fratelli pensi altrimenti che il suo duce! Non credere, Visir, che non pure mia mo­ glie, ma nemmeno i miei figli avrebbero parlato diversamente da me! Da me che pur sono un uomo, essi che sono teneri bambini!... Dalla loro stessa bocca dovrai udirlo. (chiama) Stefano, Giovanni, Giu- rantico! Alapi! Venite tutti, tutti, a cele­ brare la nostra vittoria.

Scena X Zriny, Stefano, Giovanni, Giurantico, Paprutovitsch, capitani ungheresi da diverse parti Stefano. Che cosa vuoi, babbo? Oh come è bello il tuo volto, o padre mio! Come sei tra­ sfigurato! Alapi. Come va, amico! perché scintilla il tuo sguardo? Zriny. (a Mehmed) Odili dunque questi pro­ di. Dichiarate a questo turco, se voi non avete giurato di propria volontà di com­ battere e morire per la patria. Tutti. Di propria volontà. Zriny. Rispondetegli ancor voi, o teneri pegni del mio cuore, poiché egli non vuol credere che voi pure siete forti abbastanza per of­ frire il vostro petto al ferro del nemico, se ne va il vostro onore e la vostra fede? Stefano. Con gioia noi affrontiamo la morte per l’onore e per il buon Dio. Giovanni. Noi seguiremo sempre il nostro babbo. Zriny. (allarga le braccia) Venite al mio cuo­ re... Come sono ricco! (gruppo; si vedon risplendere le finestre dal luccicare del fuo­ co, e si vedono volare rachette) Paprutovitsch. Ecco che le rachette volano sulla città; già i sette angoli sono in fiamme. Zriny. Mehmed Sokolowitsch, va e riporta al tuo Signore come tu trovasti Zriny; così egli pensa e così pensa pure il suo popolo. ancor prima che tu sia di ritorno al campo, l’incendio gli annunzierà la volontà di Zri- ny. L’onore vale per lui più che una co­ rona, la patria più che la vita di suo figlio. Egli è irremovibile fino all’ultimo suo re­ spiro... Ora date pure l’assalto, noi siamo pronti alla battaglia! Non sperate di averci vivi nelle vostre mani. No, neppur uno... e le rovine di Sziget saranno la nostra

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tomba.

ATTO IV La tenda di Solimano

Scena I Solimano (disteso sopra una sedia), Levi (dietro di lui), Mehmed (entra dalla parte principale) Mehmed. Come sta l’Imperatore? Levi. Male, molto male, io non prevedo nulla di bene, Signore! Mehmed. Da quanto tempo è così ammalato? Levi. Dal vostro ritorno da Sziget. Quello che voi gli avete annunciato in allora, non poté essere certo una parola di gioia. Egli mi chiamò, io trovai il sangue dell’eroico vegliardo in agitazione tempestosa; lessi nei suoi occhi febbrilmente infocati che una guerra tremenda gli lacerava il petto. Quando poi riuscito male il secondo, il terzo, il quarto ed anche il quinto assalto alla fine si arrese la città vecchia, diroccata orribilmente dalla potenza delle mine, ma Zriny sempre combattendo poté ritrarsi nella rocca; allora il suo vigore vitale cominciò a vacillare sotto i colpi dell’interna rabbia che infuriava nell’eroico suo petto: egli fece contare i morti, soltanto 500 temerari Ungheresi giacevano sul campo di batta­ glia, e questi avevano abbattute tante mi­ gliaia dei nostri; a quella notizia lo prese tale ribrezzo che gli spegne nelle sue fib- bre l’ultimo resto di vita. Eccolo ora pal­ lido come un moribondo, e l’alba del domani lo troverà nel regno dei trapassati. Mehmed. Tiratevi da parte. Mio imperial signore, io vi porto una buona novella dal Pascià Petow. Gynla è in mano dei no­ stri, Keretschin si è arresa al di lui cogna­ to Bebek. Solimano. Che m’importa! Dimmi: Sziget è mia, ed allora prenditi l’Egitto come regno. Mehmed. Il Re Giovanni voleva la fortezza per sé dal Pascià; egli gliel’ha negata se non paga 400 mila fiorini, quanto appunto ti costa la guerra ungherese. Il Transilvano non li vuol pagare, e spedisce il suo can­ celliere. Solimano. Egli deve pagare, altrimenti la for­ tezza resti mia: egli mi ha trascinato a questa guerra senza alcun bisogno. Egli mi disse: “l’Imperatore Massimiliano è trop­

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po debole per opporvi un esercito, ed è in stretta lotta coi principi germanici”, mi promise inoltre mille cavalieri e l’amore e l’aiuto degli Ungheresi. Arrivato, l’im­ peratore ha ormai raccolto un immenso esercito cristiano, gli Ungheresi mi son più nemici di prima e i mille Transilvani mi tradiscono. Digli che gli voglio inse­ gnar io a non mentire, e che può andar orgoglioso dell’imperial mio sdegno. Mehmed. Una simile parola egli ha dovuto già udirla; il Cancelliere credeva che gli Un­ gheresi avessero giurato di dargli il mas­ simo soccorso. Ma perché i tuoi popoli misero tutto a ferro ed a fuoco, così egli crede che gli Ungheresi abbiano ritirata la loro parola. Riguardo a Massimiliano poi, egli dice che il re stesso è stato tra­ dito da una falsa ambasciata. Solimano. Ma i cavalieri! Dimmi, che cosa cre­ de egli? Mehmed. Il re dice che il ponte fu gettato troppo tardi, e così il suo popolo non po­ té congiungersi col nostro esercito presso la Drava, come diceva il trattato. Solimano. Maledetto! chi ha gettato il ponte? Mehmed. Hamsa Beg. Solimano. Fallo decapitare. Va, io non ho mai sofferto che i miei schiavi scarichino le loro colpe sulle spalle altrui. Perciò non ascol­ talo se si chiama innocente, egli deve pagare il fio che il Transilvano possa scu­ sarsi del suo errore. Mehmed. (parte)

Scena II Solimano e Levi

Solimano. Eccomi dunque al termine delle mie imprese. Il mondo tremava sui suoi cardini, allorché l’ira mia scatenavasi sopra di esso; ed ora io giaccio qui in un vano deliquio, e le mie forze s’infrangono contro questa fortezza. Per me è finita, il vecchio leone muore. Levi. Egli muore. Solimano. Maledetto gufo! tu pure ripeti la tri­ sta parola! Levi. Mio grande signore, perdonate al vec­ chio servo, che non può trattenere il suo dolore. Chi non piange, chi non deplora il tramonto di tanta stella che si nasconde

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dopo aver rischiarato come un sole il suo secolo? Anch’io ho posto ne’ suoi raggi la mia speranza; la mia fiducia tramonta con essa. Solimano. Dunque io devo morire!... lo devo io!... Levi. Ah! invano io ridesterei una voce di speranza. Questo ti consoli, tu vivi in eter­ no! Grande nell’arte, nella vita e nella pugna, tu rizzasti al tuo nome un tempio eterno, dove esso brillerà immortale. Solimano. Levi! io devo morire? Levi. Se Dio non fa un miracolo, domani il mondo verserà lagrime sulla tua salma. Solimano. Che giorno è oggi? Levi. L’anniversario della vittoria di Mohács sopra Luigi d’Ungheria, della caduta di Rodi e di Buda, giorno brillante per la tua dinastia, mio Imperatore. Il tuo ma­ gnanimo padre Selim nel medesimo giorno gloriavasi egli pure di splendide vittorie, Solimano. Zriny, Zriny! quest’è puranco la tua ora!

Scena III Detti Mehmed, Beg, Mustafà, Alì Portuk

Mehmed. Fatta, o mio gran Signore, è la tua volontà; e dinnanzi alla tua tenda cadde il capo del traditore. Solimano. Hurrà! Hurrà! Oggi è il giorno della vittoria di Mohács, Rodi e Buda caddero in questo giorno. Hurrà schiavi, hurrà! Oggi deve cadere anche Sziget!... Spingete contro questo roccioso nido tutto il mio esercito... Sziget cadrà... deve cadere!... Hurrà. (I tre principi partono)

Scena IV Solimano, Mehmed e Levi (si sente suonare all’assalto)

Solimano. Sostienimi, Levi!... sostienimi!... io cado!... Allah, non lasciarmi morire prima che la nostra bandiera sventoli vittoriosa sul più alto merlo! Allah! Allah! deh! non lasciarmi morire così presto! Mehmed. Signore, Sultano, impera alla tua vita, alla tua forza! Usa è la terra ad ubbidirti! Solimano. La morte si burla di me, come Zriny. Ah! non udite queste selvagge grida di gioia? udite voi il rullare del tamburo? Mehmed, questa è la mia canzone predi­ letta, la mia canzone festiva... in sanguinose

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battaglie ed in mille vittorie mi risuonò all’orecchio. Ancor una volta pria di di­ scender nella tomba devo udirla; ancora una volta obbedisci, o fortuna, al tuo signore! Mehmed. Ti sta ancora qualche cosa sul cuore? Confidalo a’ tuoi fedeli servi, disponi di me. Solimano. Sarei io un eroe se avessi delle cure? Io ho pugnato, goduto, soggiogato; ho ri­ comprato l’istante col sangue, ho assag­ giato tutta la sua voluttà; la fama delle mie imprese ha fatto tremare il mondo intero, ha incusso nei contemporanei spavento, terrore e essa lancia la sua voce fra i po­ steri, e si apre la via all’eternità. Passeg­ giai sopra rovine e cadaveri, massacrai milioni d’uomini quando me ne venne la voglia: questo può raccontarlo quel verme che mi strisciò sotto ai piedi. Che importa a Solimano, se il suo nome sarà eterno? Levi. Basta, mio real Signore, risparmiate le parole. Esse diventano fioche, riposatevi. Solimano. Perdono la parola della tua fedeltà. Sciocco, che credi che chi è vissuto come me, voglia poi esalare in un sogno di pace l’ultimo soffio della vita. Vivente chiamo io soltanto l’azione che gagliarda ridesta dal loro sonno le forze smarrite; la quiete uccide, soltanto chi agisce vive, ed io non voglio morire prima della morte.

Scena V Mustafà e detti

Mustafà. Signore, fa suonare la ritirata! Invano spingi le valorose tue schiere alla morte. Zriny infuria fra esse, per distruggerle, come leone, irritato. Ognuno dei suoi vale per un esercito, devono essere dei demoni quelli che noi combattiamo, di tal forza non può vantarsi nessun mortale. I Giannizzeri si rifiutano di assalirli. Solimano. Falli cacciare dai cani, spingetegli a colpi di frusta ai baluardi, lanciate fuoco nelle loro file, uccideteli! Sziget deve cadere, dovessi anco riempire le fosse di teste dei giannizzeri, dovessi anco fracas­ sare la metà dei miei eserciti contro i ba­ luardi! Sziget deve cadere!... Adesso deve cadere!... All’assalto! Io ho ancora pochi istanti di vita e voglio separarmi da voi fra le grida della vittoria!

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Mustafà. (parte) Solimano. Ah! tu vieni, o Morte, io sento il tuo saluto! (assalto a suon di trombe) Mehmed. (fra sé) A tempo spedii i miei mes- saggeri; l’Imperatore muore prima di sera. Levi. Non volger così oscuro lo sguardo, mio Signore, la morte spaventa ella forse un eroe? Solimano. Che cosa è la morte, perché mi faccia tremare? Vi ha qualche cosa che possa intimorire un eroe? Ella sarebbe la ben­ venuta fra lo strepito di grandi fatti, ben­ venuta dopo una pugna vittoriosa; vorrei stringerla allegramente al petto, ed esala­ re giulivo l’ultimo alito di mia vita. Tut­ tavia morire così! l’uomo nella sua vita deve una volta essere il vinto; la morte ha domato anche il grande Maometto, Ba- iazete e Selim. Essi dovettero seguirla la morte, allorché li chiamò... Ma a morire vinto, quando ben sessantasei volte salu­ tai vincitore la primavera, questo lacera il cuore d’un eroe! Mehmed. Tuttavia tu vivi ancora, tu puoi an­ cora mirare sopra gli espugnati merli di Sziget la mezza luna, e la testa di Zriny ai tuoi piedi.

Scena VI Il condottiero Beg, e detti

Beg. Tu sei vinto, le tue schiere sono in fu­ ga, il Pascià d’Egitto è ucciso, la morte avviluppa le tue fuggenti schiere, e più non resistono. Gli Ungheresi tripudiano e gri­ dano vittoria. Solimano. Alla morte, maledetto schiavo! Sziget deve cadere! All’assalto! All’assalto!... lo voglio! Beg. E’ impossibile. Solimano. (brandisce il pugnale e lo getta con­ tro Beg) All’inferno, maledetto. (cade spos­ sato) All’as...salto al...l’...assal...to (muore) Levi. Dio! Mio Imperatore e Signore!... (s’in- ginocchia accanto) Mehmed. Silenzio, muore il leone... il secolo piange la morte del suo eroe!

Scena VII Detti, ed Alì Portuk

Mehmed. Entra silenzioso, è la tomba d’un

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Sultano; l’anima d’un gigante ha lasciata la terra. Alì. vero?... le schiere sono in confusione quasi presentiscano la morte del loro Im­ peratore. Visir, noi tutti siamo perduti, se non inganniamo i guerrieri coll’astuzia. Mehmed. Silenzio, noi tre soli sappiamo la mor­ te del nostro signore; i domestici sono pagati da me e non sapranno nulla. Il pugnale farà tacere anche quel Giudeo. (ai duci) Ho già spediti i miei messag- geri a Selim l’erede di questo trono, giac- ché da lungo siamo d’accordo per sape­ re chi debba ora essere l’Imperatore in Costantinopoli. Il cadavere dell’estinto lo porremo sul suo trono reale, incerta lu­ ce del crepuscolo favorirà la nostra astu- zia; l’esercito deve credere che il Sultano viva. Indi ad un nuovo assalto, finché Sziget sarà nostra. Dopo la vittoria a Co­ stantinopoli, alla Sublime Porta. E a che gioveranno dunque i colos­ sali armamenti di questa spedizione? Non avevamo dunque altro di mira se non la distruzione di questa fortezza? Non anda­ te a Vienna?... contro l’esercito imperiale? Mehmed. Amico, trattieni la smania di bat­ taglie; sarebbe stoltezza impigliarsi adesso in una guerra colla Germania. Se Sziget, non stesse salda come una rupe, e più sal­ da ancora la fedeltà dei suoi combattenti, esulteremmo già da lungo tempo sugli e- spugnati baluardi di Vienna, e la Germa­ nia giacerebbe nella polvere davanti al nostro Allah! Ma ora noi dobbiamo riti­ rarci, l’esercito è in confusione, la Persia si è sollevata e Selim era contrario alla guerra cogli Ungheresi. Alì. Lodo la tua prudenza, o Gran Visir, e l’approvo. Eccoti la mia mano. Beg. Mehmed Sokolowitsch conosce i suoi a- mici. Io ti seguo, e mi duole che i gigan­ teschi progetti del nostro eroe vadano ad infrangersi contro questo Zriny. Mehmed. Uscite dunque, e dite che l’impera­ tore vive e che brama di farsi vedere. Io intanto preparo il compimento del nostro stratagemma. Beg e Alì. Arrivederci! Mehmed. Addio! Tu, Levi, seguimi (partono tutti in differenti parti)

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Scena VIII Cantina in Sziget

Scherenk conducendo Stefano e Giovanni precede l’Aio per una scala Scherenk. Seguitemi, buon vecchio; la vostra mano, fanciulli miei. Stefano e Giovanni. Eccola. Scherenk. La via è ripida, ancora due gradini e poi ci siamo. Aio. Che cosa fa il conte? Scherenk. Lo lasciai vigoroso e gagliardo sui bastioni, perché c’era del movimento nel- l’accampamento dei Turchi. Degli altri duci non vidi che il capitano Giurantico, il quale stava alla porta ed aiutava a fasciare il vec­ chio Horomsci. Egli era sano e ringrazia il Conte d’avergli salvata la vita; però egli ha già pagato il suo debito. Stefano. Oh, ma il babbo? Egli si trova sempre nel fitto della mischia. Ah, io temo per lui! Giovanni. (si asciuga gli occhi) Aio. Perché ti lamenti? che pensi, Stefano? non dimenticarti dove siamo e quello che dobbiamo fare. Il futuro non è più in nostro potere, noi abbiamo chiuso i nostri conti, noi emigriamo in terra straniera, la casa che noi abitiamo è abbandonata, le porte e le finestre sono chiuse; noi sediamo a- vanti la porta, aspettando silenziosi l’arrivo di qualche guida che ci mostri la via alla nuova patria. Nel giardino vi sono molti fiori, che noi ci godevamo coltivare nei giorni felici: cogliamoli e stringiamo al petto con grata rimembranza l’ultima fe­ licità che c’è rimasta in questa valle di lagrime; tuffa nel loro balsamo la tua ani­ ma, e poi gettali via, e parti colla fronte serena. Stefano. E la madre? dov’è la madre? perché non viene con noi? Giovanni. Ah, si! Dov’è la mamma? Scherenk. La tua madre, o bambino, è un an­ gelo! Ella s’aggira sulle mura fra il sibilar delle palle e il clamor della pugna. Raccoglie i feriti, li assiste, ne fascia le piaghe, e quando non può altro li conforta a morir da cristiani, e dappertutto sparge conforti e rasserena i cuori dei combattenti. Più volte l’ho pregata a ritirarsi da quel sito pericoloso, più volte ne la pregò an­ che il Conte; ma ella tutta infiammata di

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carità non lo volle. Stefano. (piange) Giovanni. Ah, vogliono ucciderci anche la mamma! Aio. Non piangete, non piangete, o fanciulli. Andate piuttosto superbi d’avere una tal madre. Ah! questo suo atto è grande, è sublime, è eroico! Che un soldato scenda in campo ed affronti la morte... non è meraviglia. Egli può sperare che il suo va­ lore lo salvi: e se cade, lo aspetta la gloria: ma che una donna s’esponga al pericolo senza altro motivo che la sua carità, senza altre speranze che il Cielo, questo... questo è divino! (pausa; i fanciulli piangono) Calmatevi, o fanciulli, e specialmente quan­ do viene il padre celategli queste lagrime, avete inteso? La sorte gli ha riserbato grandi fatti, e la patria chiede immensi sacrifici da lui. Egli deve compirli; fate che non gli riescano troppo difficili, perché egli deve e dovrà compirli. (silenzio) Sche- renk, dimmi che cosa spinse il tuo signore a mandarci in questo sotterraneo? Crede che il castello non sia più sicuro per noi? Scherenk. I Turchi gettarono il fuoco nella for­ tezza, e proprio nelle vostre stanze, cosicché il soggiorno in quelle non era più sicuro. Qua potete riposare tranquillamente, perché la volta è salda, e ciò che il bisogno do­ manda di cibi e masserizie non verrà di­ menticato. Questo per voi è poco, ma presto sarete liberati, perché io presento che la salvezza non sarà lontana. (si ritira nella parte di dietro) Aio. Silenzio... (ascolta) sento venire il Conte... Asciugate le lagrime, fanciulli miei, perché non tradiscano il vostro dolore. Scherenk. (avanzandosi) Ah, sì! ecco il Conte! Il Conte!

Scena IX Detti, Zriny, Giurantico

Zriny. Cari figli, cari figli! Stefano e Giovanni. Ben arrivato papà! (gli corrono incontro) Aio. Avete vinto? l’assalto disperato dei ne­ mici è respinto? Zriny. Questa volta si faceva sul serio. Un tal bagno di sangue non l’ho mai veduto, a Lorenzo devo la vita! Giurantico. Ed io a te. Il tuo scudo sosteneva i

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colpi che furibondi piovevano sovra il mio capo, quando, con una stoccata, stesi a terra quel cane sanguinario di giannizzero che già ti stava sopra. Aio. Dunque si erano già arrampicati sulle mura? Zriny. Furiosi assalivano i baluardi e già qual­ che testa si trovava audace al di sopra, e già essi piantavano la musulmana bandiera, allorché io sbuffante chiamai i miei Un- gheresi, e mi gettai infuriato fra i barbari. Noi li abbiamo abbattuti e fracassati: un duce dell’esercito cadde, i Turchi fuggi­ vano, sparammo loro dietro gli ultimi colpi, e giubilando alzammo a Dio un inno per la vittoria ottenuta. Giurantico. La vittoria è nostra, ma ci costò cara; l’abbiamo ottenuta colle vite di molti no­ bili eroi. Zriny. Essi morivano fra il giubilo della pa­ tria vittoria, invidiabili... compiangerli sa­ rebbe peccato! Giurantico. Vidi morire Batta, della più bella morte. Il vecchio eroe era stanco della pugna; caduto sulle ginocchia, venne ferito alla spalla destra da una lancia turca; tuttavia combatteva coraggiosamente ve­ dendo scorrere il proprio sangue. Allora tu, o Zriny, visto un nuovo assalto alzasti un grido, e ancor prima che io mi fossi posto l’elmo in capo e impugnata la spada, vedo un paio d’audaci giannizzeri col ves­ sillo nella maledetta mano, che avevano già sorpassati i muri. Io mi slancio su di essi, ma Batta, il vecchio eroe, m’aveva prevenuto. Li abbranca pel petto, li getta giù dal baluardo e cade con essi. Zriny. Una tal morte vale mille vite! tuttavia, mio Dio e mio Signore, non dimenticarti di me. Aio. Quanto tempo puoi ancora resistere? Zriny. Amico, tu non hai mai domandato da me la triste parola. Aio. Dimmi pur francamente; quanto tempo ci resta ancora? Zriny. Fino a domani. Stefano, Giovanni, Scherenk. Dio! già domani? Zriny. Abbiamo subite delle grandi perdite in questi giorni. A soli 600 prodi s’è ri­ dotta la mia schiera. La fame si fa sentire fra i miei fratelli; tutte le provvigioni sono nelle mani del nemico, esse ci andarono

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perdute colla città vecchia. In mia mano stanno solo due pezzi d’artiglieria e nulla più; le mura pericolano di cadere, il fuoco avviluppa il vecchio castello. Alì Portuk ci scaglia catene infuocate. Il nuovo ca­ stello manca di tutto, non possiamo resistere un’ora di più, e se fanno un nuovo assalto tutto il vecchio castello è in mano nemica, saremmo respinti fra queste strette mura e non potremmo difenderci con for­ tuna che per due giorni soli, e quand’anche il nemico non volesse incalzarci più oltre dovremo tuttavia morire dalla fame, o bru­ ciati vivi. No, così non muore Zriny: perciò domani usciremo in campo e si combatterà corpo a corpo. La morte io cercherò, ma seminando strage e morte a me d’intorno. Stefano. E noi, babbo? Zriny. Figliuoli, per voi ho provveduto. Scherenk avvicinati. Il vecchio Francesco mi ha additato uno scampo: un sotterraneo fra cupi rivolgimenti conduce da queste volte fino al lago. E’ vero che per arrivarne allo sbocco si deve fare un centinaio di passi attraverso luoghi occupati dai Turchi; ma domani in sull’albeggiare, mentre i Turchi sono tutti intenti all’assalto, spero, coll’aiuto di Dio, che passerete inosservati. Andrete difilato all’esercito dell’Impe­ ratore e gli direte: “Zriny è caduto come cade un guerriero e l’espugnata Sziget è la sua tomba”. Non abbiate paura, ra­ gazzi miei. Verrà con voi l’Aio e la mam­ ma. Giurantico e Scherenk v’accompagne- ranno nella fuga. Non temete, o miei poveretti. Giurantico. No, mio Signore, io non fuggirò! Zriny. Come, figlio mio? Pensa che se rimani la tua brillante carriera è finita. Giurantico. Tu mi hai allevato, mi hai educato a maneggiare la spada, m’hai infuso nel cuore il sentimento del dovere e dell’ono­ re; m’hai donata la tua stima, il tuo af­ fetto, e vuoi adesso costringermi ad una viltà? non vuoi tu dividere col tuo Lorenzo, con tuo figlio, figlio mi chiamo, poiché a te devo la mia vita, non vuoi tu dividere meco la suprema delle gioie? No, padre, no! questo non lo puoi in faccia a Dio, non lo puoi! Io sono soldato, son capitano dell’ imperatore, ho un giuramento da com- piere; se cade il mio duce io non devo

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sopravvivergli. Zriny. Valoroso soldato! eppure guarda quel vecchio venerando. Hai cuore d’abbando­ narlo? Guarda questi innocenti. Essi sono miei figli. Se tu non li salvi non mi ami. Giurantico. No, Zriny, io t’amo. Il mio cuore, la mia vita, il mio sangue è tuo, tutto sacri­ ficherei per te; ma il mio onore non posso... né tu il vorresti. Ho un debito verso la pa­ tria, è giocoforza che il paghi. Se questi poverini avessero proprio bisogno di me... ma se potranno arrivare a fuggire, lo po­ tranno anche senza di me; e se nol potes­ sero... io solo... ah, io non potrei salvarli. Aio. Quantunque io arrivassi a fuggire, ben di poco mi allungherei l’esistenza; mentre se resto posso veder compito quello che è stato il voto più grande di tutta la mia vita... di morire per Dio e per la patria: ma anche la tua nobil consorte credi tu che si adatterà mai ad abbandonarti? Zriny. Ma se rimane, Dio mio, la morte è sicura!! Aio. E qual desiderio, credi tu, possa avere di vita, quando è costretta a passarla lon­ tana da te, senza speranza di ritrovarti mai più su questa terra? Che incanto, credi, abbia il sole per occhi che nuotano nel pianto? Zriny. Ella cederà alle mie lagrime. Aio. Mal t’apponi, o Zriny, dovresti conoscerla meglio, ella è troppo simile a te... Non cederà! Non hai veduto con quanta in­ trepidezza sfidava in questi giorni, le palle nemiche? Il suo cuore non è cuore di don­ na, ma d’eroina. Zriny. Ma ella non può abbandonare i suoi figli! Aio. Appunto perché non può abbandonarli, non s’adotterà mai a fuggire. Zriny. O Dio! che vuoi tu dire? Non vuoi tu ch’io metta in salvo questi teneri miei figli? Aio. I tuoi figli, sa il cielo s’io li ami! Ma appunto perché li amo non vorrei vederli esposti a tanto rischio. Non dicesti testé che per arrivare allo sbocco della grotta si deve passare pel campo nemico? Zriny. Non importa! I Turchi in quel momento avranno ben altro a pensare. Essi dovranno correre tutti all’assalto. Aio. Tutti... Chi t’assicura? Sono in numero quasi sterminato, se alcuni restano indietro, i fuggitivi sono perduti.

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Zriny. (un po’ indispettito) Dunque... che vor­ resti? Aio. Non adirarti, o Zriny. Tu sai che ti sono sempre stato devoto, e se parlo così è pel tuo meglio. Rispondimi calmo: se i tuoi figli cadessero nelle mani dei Turchi? Zriny. Ebbene, in tal caso, che Dio nol per­ metta, quale peggior sorte può coglierli di quella che li attende se restano? Aio. Ah, qual peggior sorte può coglierli? Credi tu che i Turchi si accontenteranno di farci morire? E gl’insulti, gli oltraggi?... Esporre i tuoi figli agli oltraggi di quella canaglia?... Zriny. Orribile pensiero... taci, taci. Aio. E i supplizi, gli strazi, i martiri!... Ed in mezzo a questi tormenti staremo noi fermi nella nostra fede?... lo staranno que­ sti tuoi teneri figli?... E se fra gli spasimi cedessero alle lusinghe?! Oh Dio, saranno fatti giannizzeri. Io preferisco una morte gloriosa ad una vita forse peggiore ad ogni morte. Zriny. Mi strazi il cuore! Ah! questa prova è troppo grande per me! (la sua agita­ zione cresce continuamente sino alla fine) Aio. Ah! amico, pensa che tu esponi i tuoi figli ad apostatare dal loro Dio, e dalla loro patria, a diventare gli oppressori del loro popolo, i nemici del loro sovrano, o a morire fra i più atroci tormenti, al cui confronto sarà un nulla tutto quello che potrà loro avvenire qui, vicino a te... Stefano. Ah, padre, noi non vogliamo abbando­ narti. Giovanni. Non vogliamo diventar Turchi! Giurantico. Zriny, lasciali morire con te. Non in­ vidiar loro tal sorte. Stefano e Giovanni. Lasciaci morire con te. Zriny. Ebbene, venite al mio seno, fra le mie braccia paterne. Diranno forse che io fui un crudele. Oh ma tu, o gran Dio, che leggi nella tempesta di questo mio povero cuore; oh tu sai che se io sacrifico alla falce della morte questi teneri fiori, è per­ ché li amo. Sì, sì, perché li amo, o mio Dio. (li abbraccia e cade il sipario)

ATTO V Cantina nel castello di Sziget

Scena I Zriny, in abito di parata, e Scherenk che lo aiuta a vestirsi

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Zriny. Presto, Francesco! Come! tu piangi? Via, t’addolora la vittoria del tuo signore? che cosa significano le tue lagrime? Scherenk. Ah, perdonate! io vi portai ancora fanciullo sulle mie braccia, io era presso di voi il giorno che ancor giovinetto in­ dossaste le armi, io vi ho legato gli speroni agli stivali a Vienna. Oggi vi adorno come il giorno delle vostre nozze colla nobil donzella dei Frangipani. Mentre v’incam­ minavate alla chiesa, il popolo esclamava: “Guardate la giovane sposa, guardate il giovane eroe, non s’è mai veduta una cop­ pia così gentile”. E tutti esclamavano giu­ livi ai vostri nomi. In quel giorno era super­ bo l’Ungherese. Zriny. La buona Catterina! Scherenk. Io ero così abituato ad ornarvi ad ogni lieto avvenimento della vostra vita, a tutte le feste del vostro valore, a tutti i banchetti di vittoria. Io ero superbo di adornare il più grande eroe di questi torbidi tempi, con queste insegne di cavalleresca nobiltà, con queste armi della mia patria e con questi pegni della grazia del mio Imperatore. E quando poi sul vostro indomito destriero, che colle zampe batteva scintille, vi sca­ gliavate contro le file nemiche, tutti si meravigliavano e giubilando vi chiamavano “lo scudo dei cristiani ed il flagello dei Turchi”, l’aria risonava a voi d’intorno di festevoli evviva. Io pensavo allora d’avere io pure compiuto una bella cosa, d’aver parte io pure alla vostra gloria aiutandovi ad imbracciare lo scudo. Il vostro fido servo era allora così contento e felice!... e adesso?... Zriny. E adesso? Scherenk. Con questo vestito vi ornai il giorno in cui prendeste a seconda moglie la nobil donzella di Rosemberg... era un giorno sì bello!... io credevo che fosse lungo... lungo... e che dovesse restar sempre così... Invece adesso vi adorno per la tomba... e voi mi comandate di indossarvi questo ve­ stito di gloria... come un lenzuolo sepol­ crale. Oh, mio Dio, questa è una prova troppo dura per la mia fedeltà! Non avrei potuto morir prima? Zriny. Francesco! anima onesta e fedele, non piangere! Tu non mi hai mai adornato per una festa più bella, per una più bella vit­

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toria. Questo è il terzo giorno della mia gloria, perciò mi sono vestito da sposo. Io voglio andare incontro alla morte coll’ar­ dore di un giovane innamorato, stringerla coraggiosamente al mio petto... Ov’è il mio brando? Sckerenk. Quale volete? Zriny. Portameli tutti, deciderò poi. Scherenk. (via)

Scena II Zriny, solo

Zriny. Eccomi agli estremi momenti della mia vita; l’ora che s’appressa sarà quella che m’avvolgerà nella notte della tomba. Ec­ comi giunto alla meta dei miei desideri superbo dei fiori che la fortuna m’offerse! Non indarno, io lo sento chiaramente, non indarno ho combattuto. Dopo la notte di morte spunterà anche per me un’eterna aurora: e s’io devo qui comperare la vit­ toria col mio sangue, v’è però un Dio che in premio mi beerà coi raggi della sua luce immortale. Ammutirà la voce del secolo e dileguerassi la generazione che mi conobbe, ma i nipoti accorreranno pur sempre a queste rovine e qualche labbro pronunzierà il nome mio coll’accento della riconoscenza. Chi cade generosamente per la patria, si rizza colle proprie mani un eterno monu­ mento nel cuore dei suoi fratelli, e questo monumento niuna furia di tempeste potrà abbatterlo giammai. Io seguivo inconscio l’impulso che coi primi moti si sveglia nel fanciullo. Di nobil fuoco s’incoloriva la mia guancia; la consacrazione cavalleresca fu il vento che lo fece divampare. Così io mi armo all’ultimo mio passo. E mentre nel più ardito dei miei sogni non avrei potuto immaginarlo, io posso oggi ambire alla più bella di tutte le corone, quella di morire per il mio Dio e per il mio popolo. Che cosa fecero quei grandi il cui nome noi eternia­ mo nelle canzoni, e dei quali la posterità favella nei suoi inni? Essi stettero saldi fra i combattimenti e l’imperversare delle tempeste, e si mantennero fedeli alla virtù, alla giustizia ed al dovere. Il destino può bensì spezzare il petto d’un eroe, oh ma piegarne la volontà nol potrà giammai! Può il verme strisciare comodamente nella

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polvere, ma un nobil cuore deve combattere e vincere.

Scena III Scherenk (con più spade) e detto

Scherenk. Eccovi, o nobil signore, i vostri acciari; scegliete. Zriny. Questo io lo conosco. Nella battaglia di Pest l’ho gloriosamente consacrato. Tuttavia è troppo pesante per questa pugna, devo prenderne uno più leggero. Questo qui pure, lo conosco mi servì va­ lorosamente alla battaglia di Esseg e mi meritò l’amore del sovrano. Ma esso è trop- po leggero per quest’ultima festa. Ferma, questo è quello che mi piace, questa spada me la diede il mio nobile padre, anni fa, davanti a Vienna. Essa m’ha guadagnato il primo onore, e mi guadagnerà anche l’ultimo. Con te, o nobile acciaro, voglio so­ stenere quella battaglia tremenda che il Cielo m’ha destinata. Io poso la mano su questo ferro, e giuro che niuno potrà condur­ mi vivo per il campo nemico fra lo scherno della plebaglia, e questo giuramento lo a- dempirò cavallerescamente com’è vero che c’è un Dio e com’è vera la mia religione! Scherenk. La corazza, signore!!... Zriny. Non la voglio, io voglio presentare al nemico il nudo petto. Che cosa ha da fare la corazza, quando io cerco la morte che mi trafigga il petto col suo ferro? Leggero come ad un banchetto di vittoria voglio andare alla battaglia, liberamente mi vo­ glio muovere, e libero voglio guardare in faccia la morte, e compiere leggero e spe­ dito senza peso di corazza, l’ultima e san­ guinosa fatica. La mia vita deve costare un po’ cara. Scherenk. Qui ci sono i 100 fiorini e la chiave della fortezza e del castello come voi a- vevate comandato. Zriny. Non voglio che quei cani abbiano a dire che non valeva poi la fatica il trovare la salma di Nicolò Zriny. Questi fiorini e questa chiave li terrò qui nella cintura; così deve fare un fedele capitano, questi, pel cielo, non li piglierà nessuno pria che la morte si sia impadronita di me, e abbia rotto l’ultimo filo della mia vita.

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Scena IV Aio, figli (con una medaglia al collo) e detti

Zriny. Siete pronti non è vero? Aio. Lo sono. Mi sono rappacificato con Dio, ed attendo l’ora della liberazione da questa terra. Zriny. E tu, Stefano? Stefano. Anch’io, padre, sono pronto a presen­ tarmi al tribunale di Dio. Zriny. E tu, Giovanni? Giovanni. Anch’io, babbo. La mamma m’ha con­ dotto a confessarmi e poi ho pregato a lungo con lei. Zriny. Per chi, fanciullo mio? Giovanni. Per tutti, babbo. Prima per te, poi pei nostri amici e per noi ed anche pei Turchi, perché il Signore perdoni loro il male che ci fanno. Io non volevo pregare per quei cattivi; ma la mamma m’ha detto che bi­ sogna pregare anche per loro, perché non sanno quello che si fanno. Zriny. (commosso) Oh, la santa donna! Ma perché non è venuta pur essa a salutarmi per l’ultima volta? Stefano. Dopo che ci eravamo rappacificati con Dio, le restavano ancora da compire gli estremi uffici verso i suoi ammalati, e, sic­ come il tempo stringeva, mandò noi a sa­ lutarti. Ella t’aspetterà nella sua stanza per darti l’ultimo addio prima che tu esca alla pugna. Giovanni. Babbo, guarda che bella medaglia ci ha posto al collo ad entrambi. Stefano. Ella ci ha consacrati alla Madonna che ci accompagnerà nel nostro passaggio. Zriny. Oh, certo, miei figli! La Madonna vi condurrà nel bel paradiso, ove pregherete perché possa presto raggiungervi anche il vostro babbo, che v’ama tanto! Stefano. O babbo, tu ci ami tanto e noi t’ab- biamo forse tante volte amareggiato; al­ meno adesso, te ne preghiamo, perdonaci. Giovanni. Sì, perdonaci se siamo stati cattivi. Zriny. (piange) Oh, consolatevi, cari, non lo foste giammai. (resta assorto per qualche tempo in silenzio) Or a te, amico mio. (al- l’Aio) Io ti sono tanto obbligato! Tu mi hai addestrato fanciullo a maneggiare la spada, e padre m’hai aiutato ad educare questi innocenti; mi hai rallegrato più d’un ora, m’hai consolato più d’un giorno; mi

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sei sempre stato fedele, m’hai sempre con­ servata l’amicizia, anche con tuo incomodo e con tuo danno. (porgendogli la destra) Te ne ricompensi Iddio. Aio. Mio amato eroe, mille volte m’hai ri­ compensato, di tutto quel poco che feci, coll’avermi sempre conservato il tuo amore e specialmente col favore che mi concedesti testé... di morire con te. Zriny. Povero amico! Oh, la misera ricompensa che ho saputo darti... la morte!... Ma tu hai voluto così... Orbene, che hai pensato di fare? Aio. Va, o eroe, non prenderti pensiero di me; ho preso la mia risoluzione. Vedrai che saprò mostrarmi degno della tua ami­ cizia.

Scena V Alapi, Paprutovitsch, Giurantico senza corazza e detti

Giurantico. Noi siamo preparati per l’ultima pugna, e come tu vedi, abbiamo lasciato da parte la corazza. Il petto senza difesa aspetta il ferro micidiale. Paprutovitsch. Il popolo fedele è già radunato nel cortile aspettando il tuo ultimo saluto, aspettando la morte per la loro fede. Alapi. Ho da aggiungere che un fuggiasco, il quale poté salvarsi dalle mani del ne­ mico involandosi di notte tempo, ci portò la notizia che Gynla è in potere dei Turchi. Herethsin l’ha data nelle loro mani. Zriny. Maledetto il traditore del proprio mo­ narca. Su, fratelli, affiliamo le spade, e corriamo a vendicare il nome ungherese, provando che siamo una nazione d’eroi. I tre capitani. E noi ti seguiremo, noi sta­ remo fedeli al nostro giuramento. Stefano. Ah, padre, benedici ancora per l’ultima volta i tuoi amati figli. (Stefano e Giovanni s’inginocchiano) Zriny. (benedicendoli) Sì, scenda su di voi la benedizione del Cielo, che v’accompagni non già alla vita, ma bensì alla morte generosa per la vostra libertà, per l’onore della patria e per la vostra fede. Seguite pure senza paura il divino precetto; l’an­ gelo della morte vi stringe la mano; noi ci troviamo presso alla più vicina aurora. Quello che qui ha congiunto l’amore, si ricongiungerà anche lassù. Le più splen­

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dide corone stanno preparate per incoronare dei lor fiori immortali quelle anime pure che ardevano d’amore per Dio. (pausa. Suono di trombe e di tamburi) Alapi. Senti, i tuoi figli ti chiamano! Zriny. Ebbene, tu Alapi, e tu, Paprutovitsch, scendete e mettetevi alla loro testa. In due minuti sarò con voi. Tu, Giurantico vieni, con me a salutar la contessa. Partito ch’io sia da lei, tu l’accompagnerai assieme ai figli nella stanza qui sotto, per ivi aspet­ tare... finché sarà tutto finito... Entrata ch’ella vi sia, chiudine diligentemente la porta e raggiungimi tosto nel cortile, do- v’io terrò l’ultimo discorso ai soldati, prima d’uscire al trionfo. Andiamo (Tutti escono)

Scena VI (Cortile nel castello. Tutti i soldati si riordinano nelle loro schiere. Nel mezzo sventola la bandiera). La scena resta quieta per alcuni momenti poi escono Alapi e Paprutovitsch Paprutovitsch. Hai osservato il nostro eroe? Io non l’ho mai veduto così strasfigurato. Alapi. Come una fiaccola che nel consumarsi manda più bella la luce; come un vecchio pellegrino, che, stanco, nell’avvicinarsi alla patria sente tornarsi le forze, rinvigorirsi le membra, ringiovanirsi la vita; tale è l’eroe quando giunge al suo termine. Egli esulta e divorando la via s’affretta alla meta. Non v’ha intoppo, non v’ha ritegno. Tutti i fatti gloriosi che compì nel corso della sua carriera si riassumono e si rinno­ vano nella sua fine. Paprutovitsch. Eccolo.

Scena VII Zriny e detti

Zriny. Per l’ultima volta parlo ai miei amici. Vi ringrazio anzitutto per l’eroica fedeltà che m’avete provato nell’ultima pugna. Con cuore lieto e superbo posso dire: “Tra­ ditori non se ne trovarono mai fra il mio popolo. Noi tutti abbiamo mantenuto il nostro giuramento e la più parte hanno incontrato coraggiosamente la morte, ed al di là aspettano la vittoria dei loro com­ militoni. Niun cuore si trova in questo

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drappello (e questa è la mia gloria), che non offra volonteroso la sua ultima stilla di sangue per la patria, per il sovrano, e per la sua fede. Grazie di tanta fedeltà, o miei prodi; Iddio ve ne darà il compenso lassù, giacché su questa terra altro ormai non ci resta che morire, mentre troppo superiori alle nostre sono le forze e la potenza del nemico. Pure, benché uno contro cento, noi li abbiamo respinti tante volte, e abbiamo represso la loro superbia. Più di venti mila dei migliori guerrieri di Solimano furono trasportati da questa fortezza e sepolti as­ sieme a molti principi; ma altri nemici piombano su di noi e così numerosi che non basta la forza umana per superarli. Essi scavano continuamente mine nel mon­ te e la fedeltà dei nostri è scossa; le ra- chette volano continuamente a rovinare il nostro castello, e l’elemento distruttore pugna contro il coraggio! La fame si fa sen­ tire nella nostra debole truppa; appena per un giorno avremo il necessario sostenta­ mento. Noi dobbiamo morire; l’ungherese non pensa d’arrendersi, perché ama il suo sovrano ed il suo onore. Voi non pensate a questo, lo so, ebbene morite. Fuori, fuori, uscite là dove le trombe vi chiamano. Dobbiamo morire forse d’inedia? dob­ biamo morire abbruciati? Ah, no! moriamo come si deve, da uomini valorosi. Mostrate pure al nemico la vostra fronte, azzuffatevi colla morte, e pagate colla vita d’un ne­ mico l’ultima stilla del vostro sangue. Sol­ tanto fra cadaveri suole l’eroe adagiarsi per l’eterno riposo, fra quei cadaveri di cui egli fa sanguinoso presente alla morte. Chi come noi ha sciolto il grande giuramento, chi cade per Dio e per la patria, quegli vive nel cuore del suo popolo, quegli pu­ gna per la vita eterna, quegli entra a parte delle magnificenze del regno di Dio. Tutti. Ebbene, siam pronti, o Signore: gui­ dane pure; gli Ungheresi ti seguiranno.

Scena VIII Giurantico e l’Aio con una fiaccola accesa in mano

Zriny. Ve l’hai condotta? Giurantico. Sì. “Non farci aspettare a lungo” fu la sua ultima parola. Zriny. E tu, mio vecchio amico, perché non

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vi ti sei rinchiuso? Dove vuoi tu attenderli i nemici? Aio. Là, su quei merli attenderò l’assalto per preparare una grande ecatombe. Anche nel verme Dio inspira la sua forza! Zriny. E quand’essi correranno sui caduti? Aio. Allora questa fiaccola vola nella polve­ riera! Sziget non si arrende, se non in ruine. Zriny. Muori pure, o eroe! La tua morte è vita eterna. (Si sentono le grida dei Turchi che hanno incominciato l’assalto) Udite, come infuria l’assalto, come rullano i tam­ buri! Benvenuta, o morte! Io conosco il tuo grido!... Qui, Lorenzo, afferra la ban­ diera! Slanciati avanti, io ti seguo, poi tu (a Paprutovitsch), poi tu Alapi. Come? miei vecchi amici, piangete? Alapi. Sono lagrime di gioia. Con tali eroi, tal morte! Non potrei bramare più bella corona! Giurantico. La bandiera sventola (afferra la ban­ diera) Zriny. L’aquila vince! Mondo, buona notte! (all’Aio) Addio, (ad Alapi e Paprutovitsch), ad­ dio. Stringetemi per l’ultima volta la mano. Squillin le trombe un suono di vittoria (Tutte le trombe suonano) Tutti con me, avanti! Lassù ci rivedremo! Muori, popolo d’eroi!... Per Dio e per la patria!! Tutti. Tutti con te, avanti!... per Dio e per la Patria. (via)

Scena IX Si avviano verso la porta del gran cortile. La porta abbattuta dai Turchi cede, questi entrano, nasce un vivo combattimento, durante il quale Giurantico cade per il primo, Zriny si avanza sopra il suo corpo e pugna valorosamente, finché colpito muore. Allora l’Aio dall’al-to de’ merli grida ad alta voce: “Ecco il momento: Dio ci aiuti!” (getta la fiaccola ecc. Scoppio)

FINE